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L’euro, creato da gangster nazisti per devastare l’Europa
Il referendum greco ha dato adito ad accesi dibattiti che però dimostrano la generale ignoranza sulle regole del gioco: «I partecipanti si sono lacerati per sapere se i greci fossero o no responsabili del loro debito, stando sempre attenti nel contempo a non accusare mai di usura i loro creditori», scrive Thierry Meyssan. «Ma lo hanno fatto ignorando la storia dell’euro e le ragioni della sua creazione». La moneta unica? «Un progetto anglosassone della guerra fredda», per indebolire l’Europa e staccarla dalla Russia. Dal Trattato di Roma, 64 anni fa, le istanze amministrative successive del “progetto europeo” (Ceca, Cee, Ue) hanno speso somme enormi e senza equivalenti per finanziare la loro propaganda nei media. «Ogni giorno centinaia di articoli, di trasmissioni radio e televisive, sono pagati da Bruxelles per raccontare una falsa versione della storia e farci credere che l’attuale “progetto europeo” sia quello degli europei risalente al periodo fra le due guerre mondiali». Ma gli archivi mostrano che già nel 1946 Winston Churchill e Harry Truman decisero di dividere il continente europeo in due: da una parte i loro vassalli, dall’altra l’Urss con i suoi.«Per assicurarsi che nessuno Stato si emancipasse dalla loro sovranità dominante, decisero di manipolare gli ideali dell’epoca», scrive Meyssan su “Megachip”. «Quel che allora veniva definito il “progetto europeo” non consisteva nel difendere presunti valori comuni, ma nel fondere lo sfruttamento delle materie prime e delle industrie della difesa di Francia e Germania per essere certi che questi paesi non potessero più farsi la guerra (teoria di Louis Loucheur e del conte Richard Coudenhove-Kalergi)». Il britannico Mi6 e la statunitense Cia, continua il giornalista, furono poi incaricati di organizzare il primo “Congresso dell’Europa” all’Aia nel maggio 1948, al quale parteciparono 750 personalità (tra cui François Mitterrand) provenienti da 16 paesi. «Si trattava, né più né meno, di rilanciare il “progetto di Europa federale” (redatto da Walter Hallstein – il futuro presidente della Commissione Europea – per il cancelliere Adolf Hitler) in base alla retorica di Coudenhove-Kalergi». L’Urss aveva reagito all’inizio della guerra fredda sostenendo i comunisti che avevano preso il potere, legalmente, a Praga? «Washington e Londra organizzarono allora il Trattato di Bruxelles, che prefigurava la creazione della Nato».Lo stesso spirito antisovietico accomunava gli “unionisti”, «per i quali si trattava unicamente di mettere in comune i mezzi per resistere all’espansione del comunismo», e i “federalisti”, «che auspicavano che si realizzasse il progetto nazista di Stato federale sottoposto all’autorità di un’amministrazione non eletta». Da lì nacque il percorso europeista a noi noto: prima la Ceca, poi la Cee e quindi l’Ue. Inoltre, quello stesso congresso «adottò il principio di una moneta comune». Tra i “padri” dell’euro, Meyssan segnala Joseph Rettinger, «ex fascista polacco divenuto un agente britannico». Su richiesta dell’Mi6, l’intelligence britannica, Rettinger «fondò la European League for Economic Cooperation e ne divenne il segretario generale. In questa veste, è il padre dell’euro. In seguito, ha animato il movimento europeo e ha creato il Club Bilderberg». Obiettivo dell’Elec, una volta create le istituzioni europee, era quello di «passare dalla moneta comune (la futura European Currency Unit – Ecu) a una moneta unica (l’euro), in modo che i paesi che aderivano all’Unione non potessero più lasciarla».È questo il progetto che François Mitterrand ha realizzato nel 1992, continua Meyssan. «Alla luce della storia e della partecipazione di Mitterrand al Congresso dell’Aja nel 1948, è assurdo affermare oggi che l’euro avesse avuto un altro scopo. Questo è il motivo per cui, logicamente, i trattati attuali non prevedono l’uscita dall’euro, costringendo la Grecia, se lo desidera, a uscire prima dall’Unione per poter uscire dall’euro. Dopo la dissoluzione dell’Urss, gli Stati Uniti rimasero i soli padroni del gioco, il Regno Unito li assistette, e gli altri Stati obbedirono loro. «Di conseguenza, l’Unione non ha mai deliberato il proprio allargamento a Est, ma ha solamente convalidato una decisione assunta da Washington e annunciata dal suo segretario di Stato, James Baker. Allo stesso modo, ha adottato sia la strategia militare degli Stati Uniti, sia il loro modello economico e sociale caratterizzato da enormi disuguaglianze». La stampa dominante ha affermato che votando “no”, l’economia greca avrebbe fatto un salto nel buio. «Eppure, il fatto di appartenere alla zona euro non è una garanzia di performance economica». Secondo i dati del Fmi, nel rapporto tra Pil e potere d’acquisto dei salari, un solo Stato membro dell’Unione Europea è tra i primi 10 al mondo: il paradiso fiscale del Lussemburgo. La Francia è solo al 25° posto su 193.La crescita, nell’Unione Europea, è stata dell’1,2% nel 2014, il che va a classificarla al 173° posto nel mondo: uno dei peggiori risultati del pianeta (la media mondiale è del 2,2%). «È inevitabile constatare che appartenere all’Unione e utilizzare l’euro non sono garanzie di successo», osserva Meyssan con lugubre sarcasmo, di fronte alla catastrofe economica che sta travolgendo l’Eurozona. Ma attenzione, non si tratta di un fallimento per tutti: «Se le élite europee sostengono questo “progetto”, accade perché risulta loro profittevole. In effetti, nel creare un mercato unico e una moneta unica, gli “unionisti” hanno imbrogliato le carte. Ormai, le differenze non sono tra gli Stati membri, ma tra classi sociali che si sono rese uniformi su scala europea. Ecco perché i più ricchi difendono l’Unione, mentre i più poveri aspirano al ritorno degli Stati membri». L’Ue, aggiunge Meyssan, «non è stata creata per unire il continente europeo, ma per dividerlo, scartando definitivamente la Russia. Questo è ciò che Charles De Gaulle aveva denunciato mentre perorava un’Europa “da Brest a Vladivostok”».Gli “unionisti” assicurano che il “progetto europeo” ha consentito la pace in Europa per 65 anni? «Ma parlano dell’appartenenza all’Unione o del loro vassallaggio nei confronti degli Stati Uniti? In realtà è questo che ha garantito la pace tra gli Stati dell’Europa Occidentale, pur mantenendo la loro rivalità al di fuori dell’area Nato». Il sistema-euro, che impone diktat a Stati non più sovrani, ricorda in modo sinistro i meccanismi decisionali del piano di dominio hitleriano. Meyssan cita ancora Walter Hallstein, alto funzionario tedesco, l’uomo che curò la redazione del progetto nazista di Europa federale. «Si trattava di distruggere gli Stati europei e di federare le popolazioni per etnie attorno al Reich ariano. L’insieme sarebbe stato sottoposto alla dittatura di una burocrazia non eletta, controllata da Berlino. Dopo la Liberazione, mise in opera il suo progetto con l’aiuto degli anglosassoni». Altro personaggio chiave nel martirio ellenico, Mario Draghi, presidente della Bce nonché ex numero due in Europa della banca Goldman Sachs.Proprio Draghi «ha celato al Parlamento Europeo il ruolo da lui avuto rispetto alle malversazioni perpetrate dalla banca per conto del governo greco, sebbene risulti a chiare lettere dai documenti della banca». Atene, ora, «potrebbe facilmente cavarsela rifiutandosi di pagare la parte odiosa del debito, lasciando l’Unione, e facendo alleanza con la Russia, che per lei è un partner storico e culturale di gran lunga più serio della burocrazia di Bruxelles». Certo, la volontà di Mosca e di Pechino di investire in Grecia e di crearvi nuove istituzioni internazionali è un segreto di Pulcinella. «Tuttavia, la situazione in Grecia è più complessa», visto che Atene è anche un membro della Nato: proprio per impedire alla Grecia di avvicinarsi all’Urss, l’Alleanza Atlantica aveva già organizzato nel 1967 un colpo di Stato militare, il “golpe dei colonnelli”.Il referendum greco ha dato adito ad accesi dibattiti che però dimostrano la generale ignoranza sulle regole del gioco: «I partecipanti si sono lacerati per sapere se i greci fossero o no responsabili del loro debito, stando sempre attenti nel contempo a non accusare mai di usura i loro creditori», scrive Thierry Meyssan. «Ma lo hanno fatto ignorando la storia dell’euro e le ragioni della sua creazione». La moneta unica? «Un progetto anglosassone della guerra fredda», per indebolire l’Europa e staccarla dalla Russia. Dal Trattato di Roma, 64 anni fa, le istanze amministrative successive del “progetto europeo” (Ceca, Cee, Ue) hanno speso somme enormi e senza equivalenti per finanziare la loro propaganda nei media. «Ogni giorno centinaia di articoli, di trasmissioni radio e televisive, sono pagati da Bruxelles per raccontare una falsa versione della storia e farci credere che l’attuale “progetto europeo” sia quello degli europei risalente al periodo fra le due guerre mondiali». Ma gli archivi mostrano che già nel 1946 Winston Churchill e Harry Truman decisero di dividere il continente europeo in due: da una parte i loro vassalli, dall’altra l’Urss con i suoi.
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Della Luna: Germania criminale, utile idiota dello Zio Sam
“Erneut zerstört eine deutsche Regierung Europa”, ossia “Nuovamente un governo tedesco distrugge l’Europa”, titolava ieri in prima pagina “Handelsblatt”, omologo tedesco de “Il Sole 24 Ore”, nella sua edizione online (il primo fu il governo Bethmann-Hollweg nel 1914-18, il secondo il governo Hitler nel 1938-45, il terzo il governo Merkel, oggi); e mette in bella mostra gli elmi chiodati del II Reich che distrusse l’Europa (e consentì l’egemonia degli Usa) scatenando la I Guerra Mondiale, e scatenandola nel modo più sporco: l’invasione del Belgio neutrale, le stragi di civili innocenti, la distruzione gratuita di centri urbani, l’uso massiccio dei gas mortali. Un altro articolo definisce il ministro delle finanze Schäuble “Il seppellitore (Totengräber) dell’Europa”. A intendere: nella vicenda greca, la Germania ha dimostrato che l’Unione Europea non ha una politica propria, è solo una facciata e uno strumento per i suoi interessi egoistici, nazionalistici e imperialistici rispetto agli altri paesi europei. Adesso che tutti lo vedono, l’illusione idealistica e sentimentale dell’unificazione europea, la retorica dei “padri fondatori” e tutte le altre corbellerie appaiono per quel che sono sempre state: camuffamenti.Tsipras, il doppiogiochista bifronte, ha tradito sia il mandato elettorale che quello referendario del suo popolo, finendo per imporgli condizioni addirittura più schiaccianti di quelle inizialmente richieste dalla Germania, per fare lo sporco gioco di questa, condannando la Grecia a misure incompatibili col risanamento, perché aumentare le tasse sui redditi e l’Iva a un’industria già agonizzante significa voler ammazzare l’economia e peggiorare quindi il rapporto deficit/Pil. E licenziamenti massicci con una disoccupazione al 25% sono un suicidio sociale. L’insostenibilità del debito pubblico greco si ripresenterà entro l’anno, aggravata dal calo della produzione e dell’occupazione. Qual è dunque l’obiettivo di Berlino (e quindi del governo fantoccio di Bruxelles)? Disastrare la Grecia per impadronirsi, o far sì che i capitalisti finanziari franco-tedeschi si impadroniscano dei beni pubblici che il traditore Tsipras col suo Parlamento di nominati (come quello italiano) metterà nel fondo di garanzia da 50 miliardi. E far man bassa nelle privatizzazioni che Atene sarà forzata ad eseguire col peggiorare programmato della sua crisi debitoria.La Grecia ha avuto diversi traditori prima di Alexis Tsipras, a cominciare dal famoso Efialte, che insegnò ai persiani di Serse un sentiero segreto attraverso i monti per prendere alle spalle i difensori delle Termopili. I difensori delle Termopili sono sempre giustamente commemorati e celebrati, mentre Efialte è passato come lo sterco dei muli di Serse. Il governo Merkel, venendo alla luce come il padrone incontrastato e il vero manovratore delle istituzioni europee, ha distrutto l’Europa, o meglio l’illusione del processo di unificazione europea. Ormai il re è nudo, cioè tutti vedono che l’apparato detto “Unione Europea” è una macchina di sottomissione in mano al governo e alla finanza germanici, che non ci sono né democrazia né eguaglianza né solidarietà né giustizia né sane ricette economiche né un progetto costruttivo, ma solo il progetto tedesco di indebitare, indebolire e spadroneggiare in una Lebensraum in via di conquista. Razziare gli assets pregiati e far lavorare la gente in condizione di servitù, senza garanzie e senza progetti di vita, solo per pagare interessi su pretesi debiti contratti in cambio di denaro contabile, generato a costo zero da bancari-usurai.L’opinione pubblica tedesca se ne frega, se la mortalità infantile in Grecia sale del 45%. L’imperialismo genocida tipicamente tedesco riemerge periodicamente per guidare alla vittoria i cancellieri “forti”. I quali sinora hanno poi sempre perso, perché si sono messi contro il mondo. Il problema è però chi sta dietro Berlino e la sua campagna di conquiste: quale potenza consente alla Germania di imporre tutto ciò che vuole senza nemmeno negoziare, ma piegando e umiliando chi osa opporsi? Necessariamente una potenza che dispone di superiori forze non solo economiche, ma anche militari: gli Usa, o meglio la power élite che governa Washington, ai cui disegni globali la Germania, con le sue caratteristiche di efficienza e amoralità, è strumentale. Fu grazie alla I Guerra Mondiale scatenata dalla Germania, alle distruzioni e ai debiti che essa produsse, che gli Usa soppiantarono l’Impero britannico e le potenze europee. Fu grazie ai finanziamenti delle banche e della grande industria americana, che Hitler ricostruì e riarmò la Germania. E fu grazie alla II Guerra Mondiale, che Wall Street impose al mondo il suo ordine monetario, anche col Piano Marshall e la ricostruzione.Storicamente, la Germania è uno strumento con cui lo zio Sam sottomette l’Europa. Anche in questi giorni, dietro il bailamme della crisi greca, sta ottenendo il voto favorevole del Parlamento Europeo al Ttip. Già l’Italia, come la Grecia, ha avuto ed ha governi imposti da Berlino, ma guidati da personaggi della banca americana Goldman Sachs, per fare gli interessi stranieri. Governi che hanno massacrato questo paese, i cui conti reggono oggi solo perché il Qe di Draghi li sostiene, abbassando lo spread; ma quando il Qe finirà, il debito italiano rischia seriamente una crisi di sostenibilità come quello greco. Oggi Brunetta dice «io e Forza Italia non cederemo mai la sovranità a Schaeuble», ma fino a due anni fa hanno votato tutto quello che serviva per cederla!(Marco Della Luna, estratti da “Merkel e Serse, conquistare la Grecia”, dal blog di Della Luna del 14 luglio 2015).“Erneut zerstört eine deutsche Regierung Europa”, ossia “Nuovamente un governo tedesco distrugge l’Europa”, titolava ieri in prima pagina “Handelsblatt”, omologo tedesco de “Il Sole 24 Ore”, nella sua edizione online (il primo fu il governo Bethmann-Hollweg nel 1914-18, il secondo il governo Hitler nel 1938-45, il terzo il governo Merkel, oggi); e mette in bella mostra gli elmi chiodati del II Reich che distrusse l’Europa (e consentì l’egemonia degli Usa) scatenando la I Guerra Mondiale, e scatenandola nel modo più sporco: l’invasione del Belgio neutrale, le stragi di civili innocenti, la distruzione gratuita di centri urbani, l’uso massiccio dei gas mortali. Un altro articolo definisce il ministro delle finanze Schäuble “Il seppellitore (Totengräber) dell’Europa”. A intendere: nella vicenda greca, la Germania ha dimostrato che l’Unione Europea non ha una politica propria, è solo una facciata e uno strumento per i suoi interessi egoistici, nazionalistici e imperialistici rispetto agli altri paesi europei. Adesso che tutti lo vedono, l’illusione idealistica e sentimentale dell’unificazione europea, la retorica dei “padri fondatori” e tutte le altre corbellerie appaiono per quel che sono sempre state: camuffamenti.
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Questa sinistra che obbedisce agli atroci macellai tedeschi
«Abbiamo guardato increduli a come un partito socialista dopo l’altro si sia immolato sull’altare dell’unione monetaria, per difendere un progetto che favorisce quelle élites economiche che la sinistra storica chiamava “un branco di banchieri”». Ambrose Evans-Pritchard, notista economico del “Telegraph”, spiega che ormai il velo è caduto, perché la Grecia ha rotto l’incantesimo: «La sinistra è diventata il gendarme delle politiche reazionarie e della disoccupazione di massa generate dall’euro». Se l’Europa non è nient’altro che la “versione cattiva” del Fmi, «che cosa resta del progetto d’integrazione europea? I tedeschi, peraltro, volevano solo la “sottomissione rituale” della Grecia». Punizione a cui, peraltro, la sinistra non si è sottratta: ancora una volta, i leader socialdemocratici sono stati sorpresi a «difendere un regime pro-ciclico di tagli di bilancio, imposto all’Eurozona da un manipolo di reazionari “ordoliberisti”, come ad esempio il ministro delle finanze tedesco».Se la Germania è «una guida disastrosa per l’Europa», come afferma l’economista Philippe Legrain, già redattore di “Foreign Policy”, «per uno strano scherzo del destino, la sinistra ha lasciato che essa stessa diventasse il gendarme di una struttura economica che ha portato a livelli di disoccupazione una volta impensabili per un governo social-democratico, dotato di una propria moneta e di tutti gli strumenti sovrani». La sinistra europea, continua Evans-Pritchard, «ha trovato il modo per giustificare un tasso di disoccupazione giovanile che, nonostante l’emigrazione di massa, è ancora al 42% in Italia, al 49% in Spagna e al 50% in Grecia, e ha accettato la “Lunga Depressione” degli ultimi sei anni, più profonda di quella del 1929-1935. Ha infine docilmente approvato il “Fiscal Compact” dell’Ue, sapendo che esso obbliga i paesi dell’Eurozona a ridurre drasticamente il loro debito pubblico, ogni anno, del 1,5% del Pil in Francia, del 2% in Spagna e del 3,5% in Italia ed in Portogallo, per i prossimi due decenni. Una formula per la depressione permanente, che vieta qualsiasi politica economica di tipo keynesiano», violando anche «i principi dell’economia classica».Questo, continua Evans-Pritchard, «è ciò che la sinistra prima ha concordato e poi difeso, seppur a malincuore, perché non ha osato mettere in discussione, almeno fino ad ora, la sacralità dell’unione monetaria». E così, quello che una volta era il potente “Partito Laburista Olandese”, è ormai ridotto ad una specie di pietosa reliquia del passato. Anche il Pasok è stato letteralmente cancellato, in Grecia, mentre il “Partito Socialista Spagnolo” ha perso la sua ala sinistra in favore del movimento ribelle “Podemos”, da poco vittorioso a Barcellona. Il leader socialista francese François Hollande, infine, raggiunge a stento, nei sondaggi, il 24%, dopo che la classe operaia francese si è spostata in direzione del “Front National”. Owen Jones, sul “Guardian”, scrive giustamente che «i progressisti dovrebbero essere sconvolti dalla rovina della Grecia per mano dell’Unione Europea. E’ giunto il momento di appoggiare la causa degli euroscettici».Gli esponenti della sinistra sono a disagio, continua Jones: «Il loro istinto è quello di contrastare tutto ciò che l’Ukip rappresenta», ma ora «la crudeltà mostrata sia da Bruxelles che da Berlino ha surclassato tutto il resto». Per George Monbiot, «il “tutto va bene” (con l’Ue) è in ritirata, mentre il “tutto va male” avanza come una furia». E un’altra giornalista britannica, Suzanne Moore, si domanda: «Come può la sinistra aver dato il proprio supporto a tutto quello che è stato fatto?». Conclude amaramente il collega Nick Cohen: «L’Unione Europea viene dipinta, non senza fondamento, come un’istituzione crudele, fanatica e stupida». Dibattiti di questo tenore stanno prendendo piede in tutta Europa, conferma Evans-Pritchard, citando l’economista Luigi Zingales, consigliere di Renzi, convertitosi all’euroscetticismo. Il giorno in cui la Grecia ha capitolato ha scritto: «Questo progetto europeo è morto per sempre. Se l’Europa è nient’altro che la versione cattiva del Fmi, che cosa resta del progetto d’integrazione europea?».In Grecia, “Syriza” è stata «semplicemente costretta ad abbandonare le sue promesse elettorali, per mezzo della coercizione finanziaria», scrive Evans-Pritchard. La colpa? «Una responsabilità collettiva dei creditori, delle élites dell’Unione Monetaria, dell’oligarchia greca e infine di un immaturo Alexis Tsipras». Il bail-out (salvataggio esterno) effettuato dalla Troika nel 2010 «aveva lo scopo di salvare l’euro e le banche europee (visto che non c’erano difese contro il contagio), non quello di salvare la Grecia che, al contrario, è stata deliberatamente sacrificata». In più, i paesi creditori (Germania in primis) «non hanno mai riconosciuto la propria colpevolezza», inoltre «non hanno mai tentato di negoziare onestamente con Syriza». Si sono limitati a chidere che i termini del memorandum 2010 fossero applicati alla lettera, «indipendentemente dal fatto che avessero o meno un senso economico», e lo hanno fatto in modo feroce e ipocrita, «nascondendosi dietro a farisaici discorsi sulle regole». Yanis Varoufakis, l’ex ministro delle finanze, ha ripetuto che i creditori volevano una vera e propria “sottomissione rituale”, «ed è così che gli eventi sono decisamente sembrati ad un gran numero di persone in tutt’Europa».I paesi creditori hanno quindi forzato la situazione «attraverso l’infame trattativa» cui è stato sottoposto Tsipras, «senza peraltro offrire alcuna chiara riduzione del debito, anche se già sapevano che il Fmi riteneva che la Grecia avesse bisogno sia di una moratoria di 30 anni sulle scadenze del debito». La durezza dell’Ue a gida tedesca allarma Simon Tilford, del “Centre for European Reform”: «Quello che trovo preoccupante è che sono così pochi i politici tedeschi che sembrano turbati dallo spettacolo di una Grecia umiliata fino a questo punto. I tedeschi hanno sviluppato un racconto di fantasia riguardo la crisi. Hanno trasformato il paesaggio intorno a loro e pensano che siano essi ad essere le vittime». Secondo Tilford, è devastante l’assenza politica della sinistra: in Italia, Spagna e Francia, la sinistra è da anni aggrappata all’illusione che la Germania avrebbe infine accettato di alleviare l’austerità e di cambiare l’unione monetaria. «Questo pensiero è stato totalmente screditato dagli eventi dello scorso fine settimana. Tutti possono vedere, in effetti, a quali brutali livelli si trovi la disoccupazione. Se le regole dell’Eurozona non possono essere rispettate, prima si va in quarantena e poi si viene buttati fuori».Non dimentichiamo, aggiunge Evans-Pritchard, che la Bce di Mario Draghi «ha portato la Grecia fin quasi al crollo finale, conseguenza del congelamento della liquidità d’emergenza (Ela) per le banche greche, costringendo Syriza a chiudere le porte ai creditori, ad imporre controlli sui capitali e infine a fermare le importazioni». Tutto questo, aggiunge Pritchard, «viola i principi dell’”Unione Bancaria Europea”, che dovrebbero separare i destini delle banche private dai travagli degli Stati sovrani. E’ stata una decisione politica, probabilmente illegale, condita da una forte aggressività tecnica. E’ in ogni caso molto difficile da conciliare con il dovere della Bce, che è quello di sostenere la stabilità finanziaria». In realtà, «sappiamo tutti cosa c’era in gioco». Ovvero: «La Germania e i suoi alleati erano determinati a fare di Syriza un esempio, per scoraggiare gli elettori di qualsiasi altro paese a voler invertire il sistema». Evans-Pritchard pensa che, alla fine, gli oligarchi perderanno il braccio di ferro: i paesi europei riusciranno a ribellarsi. In Spagna, “Podemos” ha accusato le istituzioni dell’Ue e il governo spagnolo di aver commesso un “atto di terrorismo”, in violazione del codice penale spagnolo.Per Costas Lapavitsas, deputato di Syriza, il messaggio saliente degli ultimi cinque mesi è che nessun governo radicale può perseguire delle politiche sovrane, fintanto che è in balia di una banca centrale in grado di tagliare in qualsiasi momento la liquidità: «Adesso è perfettamente chiaro che l’unica via d’uscita è quella di liberarsi dell’unione monetaria». Kevin O’Rourke, economista di Oxford, prevede che il prossimo partito di sinistra che andrà a sfidare l’unione monetaria «non sarà irresponsabile come Syriza, e non contratterà più da una posizione di tale abietta debolezza». La lezione che può essere tratta da questa débacle? Semplice: «Negoziare con la Germania è una perdita di tempo. Ma, se si vuol farlo, si deve essere disposti ad agire con decisione e unilateralmente; si deve disporre di un piano per il raggiungimento di un avanzo primario (se non è già stato raggiunto); si devono avere in tasca le opzioni sia per un duro default unilaterale che per la fuoriuscita dall’euro, ed essere disposti ad usarle al primo segno di fastidio da parte della Bce».Quanto alla trucida Germania, che altro dire? «E’ davvero di così cattivo gusto ricordare che le “Potenze Alleate” decisero di spazzar via la metà delle passività esterne della Germania, nell’ambito dell’accordo sul debito raggiunto a Londra nel febbraio del 1953?». Quell’atto di saggezza politica arrivò a meno di otto anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dell’occupazione nazista della Grecia, quando le immagini degli orrori erano ancora fresche nella mente di tutti. «La riduzione del debito ha avuto un certo costo per la Gran Bretagna, che era il più grande creditore nel periodo precedente la guerra», spiega Evans-Pritchard. «La riduzione fu convenuta nel rispetto dell’interesse collettivo e della scienza economica, e fu volutamente inquadrata nell’ambito di una “trattativa tra eguali”, per sgomberare la nebbia costituita dai giudizi morali. Il risultato fu il Wirtschaftswunder (miracolo economico) tedesco e gli anni di gloria della ricostruzione post-guerra». Quindi, «qualunque cosa si possa pensare del comportamento della Grecia – che non ha fatto del male a nessuno – non possiamo usare giusto un minimo di buon senso?».«Abbiamo guardato increduli a come un partito socialista dopo l’altro si sia immolato sull’altare dell’unione monetaria, per difendere un progetto che favorisce quelle élites economiche che la sinistra storica chiamava “un branco di banchieri”». Ambrose Evans-Pritchard, notista economico del “Telegraph”, spiega che ormai il velo è caduto, perché la Grecia ha rotto l’incantesimo: «La sinistra è diventata il gendarme delle politiche reazionarie e della disoccupazione di massa generate dall’euro». Se l’Europa non è nient’altro che la “versione cattiva” del Fmi, «che cosa resta del progetto d’integrazione europea? I tedeschi, peraltro, volevano solo la “sottomissione rituale” della Grecia». Punizione a cui, peraltro, la sinistra non si è sottratta: ancora una volta, i leader socialdemocratici sono stati sorpresi a «difendere un regime pro-ciclico di tagli di bilancio, imposto all’Eurozona da un manipolo di reazionari “ordoliberisti”, come ad esempio il ministro delle finanze tedesco».
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Hanno ucciso la Grecia, non esiste più. Poi toccherà a noi?
Ma cosa ha a che fare il cosiddetto accordo per la Grecia con l’Europa dei popoli? Cosa ha a che fare il massacro della Grecia e del suo popolo con l’integrazione e l’unità politica europee? Cosa ha a che fare questa Ue con quella prospettiva di crescita, solidarietà, democrazia che milioni di europei hanno creduto e auspicato in questi decenni? Il presunto accordo è soltanto la garanzia perché i creditori e le banche siano soddisfatti. La Grecia è già al default e quelle condizioni servono soltanto a costringere il Parlamento greco a rendere legittime le scorrerie predatorie sui beni pubblici. Un intero paese privatizzato. Beni culturali, paesaggistici, risorse naturali, costituiranno il fondo di garanzia di 52 miliardi di euro per i creditori. Non hanno mai voluto davvero un esito ‘Grexit’: né i tedeschi per i loro maledettissimi interessi né gli americani preoccupati di non regalare la Grecia, che resta strategica nello scacchiere mediterraneo, alla Russia di Putin.È invece quello dell’appropriazione dei beni comuni il tema principale, e senza entrare nel merito delle altre micidiali condizioni come la riforma delle pensioni e del codice civile. Ogni Paese ha delle risorse che non vengono calcolate in termine di ricchezza e Pil: musei, opere d’arte, storiche, monumentali, collezioni, patrimonio librario, isole, coste. Su queste pregiatissime risorse pubbliche stanno orientando i loro artigli le potentissime lobby economico-finanziarie internazionali. E credo che questo sia un rischio assai concreto anche per l’Italia la cui ricchezza in materia è davvero inestimabile. Se il Peloponneso o il Partenone rischiano così in un futuro prossimo di diventare patrimonio privato, lo stesso potrebbe accadere all’Italia. Qualcuno direbbe “ma la Costituzione tutela questi beni”; vero, però i signori della finanza hanno costretto alla costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio: un vero e proprio monstrum giuridico.Vedremo, se una volta chiuso il capitolo ellenico, si riaprirà quello italiano con i licenziamenti nelle Pa e un’ulteriore riforma delle pensioni, preludio all’aggressione ai nostri beni comuni rispetto ai quali, purtroppo dimentichiamo sempre troppo in fretta, un referendum stravinto è rimasto inapplicato! Se davvero dopo la Grecia toccherà all’Italia, i mastini che condurranno l’Eurosummit non dovranno neppure reggere la fatica di sottoporre il premier di turno al massiccio ‘waterboarding mentale’ riservato a Tsipras: temo che cederà subito…(Orazio Licandro, “Grecia, come si privatizza un paese”, dal “Fatto Quotidiano” del 14 luglio 2015).Ma cosa ha a che fare il cosiddetto accordo per la Grecia con l’Europa dei popoli? Cosa ha a che fare il massacro della Grecia e del suo popolo con l’integrazione e l’unità politica europee? Cosa ha a che fare questa Ue con quella prospettiva di crescita, solidarietà, democrazia che milioni di europei hanno creduto e auspicato in questi decenni? Il presunto accordo è soltanto la garanzia perché i creditori e le banche siano soddisfatti. La Grecia è già al default e quelle condizioni servono soltanto a costringere il Parlamento greco a rendere legittime le scorrerie predatorie sui beni pubblici. Un intero paese privatizzato. Beni culturali, paesaggistici, risorse naturali, costituiranno il fondo di garanzia di 52 miliardi di euro per i creditori. Non hanno mai voluto davvero un esito ‘Grexit’: né i tedeschi per i loro maledettissimi interessi né gli americani preoccupati di non regalare la Grecia, che resta strategica nello scacchiere mediterraneo, alla Russia di Putin.
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La mafia Ue uccide Atene per impaurire noi, infami codardi
Non è la Grecia, ma l’Unione Europea, ad aver firmato la sua condanna a morte: oggi sono i greci a scendere all’inferno, ma domani anche i più disattenti avranno capito che razza di regime ci sta votando alla sofferenza eterna, alla spirale senza speranza della crisi innescata dall’Eurozona e dal potere brutale che la governa. Lo sostiene Giorgio Cremaschi, che pure non si nasconde le colpe di Tsipras, peraltro lasciato solo: «La Grecia è stata costretta alla resa dall’isolamento che la Troika è riuscita a costruirle attorno. Sinistre, sindacati, popolo democratico, tutti siamo stati alla finestra, quindi la loro sconfitta è nostra per conseguenze e responsabilità». Il testo varato dall’Eurogruppo? «Non è solo inaccettabile per il popolo greco, ma è una minaccia e una sfida per tutti noi. Siamo tutti greci». Perché tanta ferocia contro i greci? Per rapinarli di tutto. E, intanto, per punirli, visto l’esito del referendum: «Avete alzato la testa? Ora, cittadini greci, vedrete cosa vi costa». La minaccia alla Grecia è in realtà rivolta a tutti noi: non provateci, o vi faremo fare la stessa fine.«Il “no” massiccio al referendum – scrive Cremaschi su “Micromega” – andava sanzionato in quanto tale, per insegnare ai popoli tentati di ripeterlo quanto alto potrebbe esserne il prezzo. Il taglio delle pensioni minime sotto i 400 euro al mese, quello dei salari dello stesso livello, l’aumento del prezzo dei farmaci là ove la sanità pubblica è scomparsa, l’obbligo a rivedere le minime misure di sostegno ai poveri, agli sfrattati, la cancellazione delle poche riassunzioni, tutte queste non sono misure di grande valore economico, sono rappresaglie sociali. Anche per questo, dopo la firma della capitolazione, la Bce ha deciso di continuare a negare i fondi Ela di emergenza. Le file ai bancomat devono continuare fino a che restino ben stampate nella memoria», di ogni greco e di ogni altro europeo. «Le rappresaglie terrorizzano e puniscono, ma il loro scopo è il dominio. La Grecia è il primo Stato europeo che dal 1945 diventa formalmente una colonia. In questo c’è anche la punizione politica che viene somministrata al governo Tsipras». Massima perfidia, costringere lo stesso Tsipras a firmare condizioni-capestro, peggiori di quelle inizialmente respinte, demolendo così la credibilità del premier “ribelle”.«Il Parlamento greco avrà solo il compito di votare il proprio suicidio accettando la resa», continua Cremaschi. «Poi ogni decisione sarà presa dai tecnici, espressione delle potenze occupanti, che supervisioneranno l’operare del governo coloniale. Tutto questo è meticolosamente definito nel protocollo dell’Eurogruppo». Colpo di Stato, come quello dei colonnelli nel 1967: «Allora fu la Nato ad organizzarlo, ora è la Troika». La differenza? «Allora non erano in discussione le proprietà pubbliche, mentre ora sono in svendita». La Grecia continua ad essere «cavia di trattamenti che vengono somministrati in dosi estreme ad essa e più caute agli altri, ma la medicina è la stessa: il Fiscal Compact e il Semestre Europeo si son aggiunti ai già precedenti trattati che hanno legato indissolubilmente euro e austerità». Ora, poi, ci sono poteri formali per far applicare le peggiori decisioni prese dall’Ue: «Se un Parlamento fa un bilancio dello Stato che le autorità di Bruxelles considerano troppo poco rigoroso, queste stesse autorità possono intervenire per modificarlo. I parlamenti nazionali non hanno più la disponibilità del bilancio dello Stato, ragione per cui 200 e più anni fa sono nati».Sopra di loro sta un’autorità tecnocratica e finanziaria che esercita il potere vero: «La Ue è quindi oggi un colpo di Stato permanente, che sulla Grecia ha esercitato una sperimentazione, per ora, estrema». Ma la riduzione allo stato coloniale della Grecia, oltre che la funzione di esempio, che scopo economico ha? Qui le poche cifre chiare disponibili non lasciano dubbi. «Il paese verrà saccheggiato dai “creditori”. Degli 84 miliardi promessi, solo 10 potrebbero finire in investimenti, cioè produrre interventi nell’economia reale. Tutti gli altri son una partita di giro, soldi che tornano alle banche e al Fmi», e il meccanismo si ripete con gli interessi. «Infatti a garanzia del prestito la Grecia deve impegnarsi in tagli di bilancio e tasse per un cifra vicina ai 15 miliardi e privatizzare beni per 52 miliardi». E’ un paese alla fame, con un Pil 8 volte inferiore a quello dell’Italia. «Da noi, la manovra imposta alla Grecia varrebbe 120 miliardi di tagli e oltre 400 miliardi di privatizzazioni. Riusciremmo a farle noi senza vendere Venezia, Firenze e il Colosseo?».Il via libera ad altri licenziamenti di massa e la fine dei contratti collettivi, imposti dall’Eurogruppo, secondo Cremaschi ridurranno alla schiavitù ciò che resta del lavoro: ci saranno più profitti, ma non ci sarà certo una ripresa in grado di pagare i debiti. «Come ogni usuraio, i creditori potranno allora dire che la Grecia non fa fronte a tutti gli impegni e quindi non può avere tutti i prestiti. Così continueranno a fare affari saccheggiando il paese e terranno in ostaggio tutti gli altri popoli: se non volete finire come loro dovete continuare ad accettare le politiche di austerità. La Troika sarà aiutata in questo ricatto permanente dal controllo totale esercitato sui mass media, che con la loro menzogna sistematica in questi giorni ci han già fornito un’anteprima di fascismo 2.0». Conclusione: «La vicenda greca dimostra una sola verità inconfutabile: questa Unione Europea non è riformabile; se si vuole una politica diversa da quella del massacro sociale e dell’austerità bisogna essere disposti alla rottura completa con essa. Il governo greco non era disposto a questo, e quindi ha capitolato».Il popolo greco, invece, aveva risposto “no” al 62%. «E’ stato un segnale che lor signori han ben colto, e per questo han reagito con tanta brutalità. Ma le rappresaglie, i massacri, possono impaurire una, due, tre volte, poi alla fine ottengono l’effetto opposto, alimentano la rivolta. Per questo la Ue, mostrando la sua vera faccia con la Grecia, ha decretato la sua fine». La rottura «va costruita in mezzo ai popoli, che per vivere liberamente debbono saper reggere il ricatto dell’euro e di tutto quanto è ad esso collegato». Nel 1938, la Cecoslovacchia si arrese alla Germania di Hitler, sostenuta da tutta l’Europa, che pensava così di essersi salvata. Scrisse Churchill: «Scegliemmo il disonore per non avere la guerra, e ottenemmo entrambi». Aggiunge Cremaschi: «Il 13 luglio 2015 è la giornata del disonore europeo, tutti i governi che hanno imposto la resa alla Grecia sono colpevoli d’infamia, ma la condanna morale deve diventare rovescio politico. Starà ai greci decidere come organizzare resistenza e sabotaggio verso il Memorandum, con o senza Tsipras, dipende da lui. Ma resistere alla tirannia Ue è il compito da assumere in ogni paese e in tutto il continente».Non è la Grecia, ma l’Unione Europea, ad aver firmato la sua condanna a morte: oggi sono i greci a scendere all’inferno, ma domani anche i più disattenti avranno capito che razza di regime ci sta votando alla sofferenza eterna, alla spirale senza speranza della crisi innescata dall’Eurozona e dal potere brutale che la governa. Lo sostiene Giorgio Cremaschi, che pure non si nasconde le colpe di Tsipras, peraltro lasciato solo: «La Grecia è stata costretta alla resa dall’isolamento che la Troika è riuscita a costruirle attorno. Sinistre, sindacati, popolo democratico, tutti siamo stati alla finestra, quindi la loro sconfitta è nostra per conseguenze e responsabilità». Il testo varato dall’Eurogruppo? «Non è solo inaccettabile per il popolo greco, ma è una minaccia e una sfida per tutti noi. Siamo tutti greci». Perché tanta ferocia contro i greci? Per rapinarli di tutto. E, intanto, per punirli, visto l’esito del referendum: «Avete alzato la testa? Ora, cittadini greci, vedrete cosa vi costa». La minaccia alla Grecia è in realtà rivolta a tutti noi: non provateci, o vi faremo fare la stessa fine.
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Della Luna: con politici servi, non basterà uscire dall’euro
E’ fallita nei fatti l’idea che si possa indurre il miglioramento qualitativo della spesa pubblica dei paesi inefficienti imponendo a questa spesa vincoli quantitativi nonché il falso dogma della scarsità monetaria. Coloro che prendono le decisioni finanziarie generali sanno che, in un mondo che usa simboli come moneta, la scarsità monetaria è irreale, è un’illusione (cioè sanno che non ha senso logico dire che manchi e non si possa produrre la moneta necessaria per investimenti utili, che essa prima vada risparmiata e accumulata e solo dopo si possa investire, che sia utile o necessario rispettare il pareggio di bilancio, che vi siano limiti oggettivi e logici alla quantità di debito pubblico sostenibile: non ha senso dire tali cose, perché la moneta che si usa è appunto un mero simbolo senza costo di produzione, senza valore intrinseco, e la moneta legale non costituisce nemmeno un titolo di debito). Quindi, nella misura in cui serve, la moneta può essere prodotta sempre e nella quantità richiesta. Il difficile non è produrne quanta ne serve, ma usarla bene, decidere bene come spenderla: un problema politico, ossia di fare scelte tecnicamente valide nell’interesse generale di medio-lungo termine, e che tali siano percepite, anziché scelte di spesa di interesse personale, clientelare, mafioso, tecnicamente inefficienti, miopi, clientelari, demagogiche.Probabilmente la parte in buona fede, cioè la meno intelligente, di quelle persone, pur consapevole che la scarsità monetaria è un’illusione, ha collaborato ad affermarla come principio, ad introdurre i vincoli dell’austerità, la frusta dei mercati, il pungolo del rating e la minaccia dello spread, credendo che attraverso questi vincoli quantitativi sia possibile indurre i sistemi politici scadenti a usare bene la moneta, cioè a spendere in modo efficiente, produttivo, a fare riforme, ad ammodernarsi, a sopprimere gli sprechi e la corruzione. La prova dei fatti ha dimostrato che questa credenza era erronea, e che anzi i limiti quantitativi dell’austerità in diversi casi hanno prodotto un peggioramento qualitativo della spesa pubblica, oltre che a un peggioramento quantitativo del deficit, del debito, del Pil, del rating, dell’occupazione (i governi italiani del rigore, per esempio, hanno mantenuto e ampliato la spesa improduttiva destinata ai privilegi della casta, tagliando quella utile alla collettività, perché la casta, per conservare i suoi consensi e i suoi redditi mentre fa tagli della spesa sociale e aumenti di tasse, deve fare più clientelismo e più ruberie).Dire, con Tsipras e altri sedicenti di sinistra, che di fronte a questo fallimento dell’austerità, la soluzione sarebbe semplicemente più solidarietà, fare più spesa a deficit e comunitarizzare i debiti, significa voler restare entro il paradigma della scarsità monetaria. Specularmente, l’altro fronte del pensiero monetario sostiene che la soluzione del problema del rilancio economico sia l’approccio opposto, ossia smetterla coi mendaci dogmi della scarsità monetaria e con le relative, fallimentari ricette, e fare invece investimenti statali diretti mediante spesa pubblica a debito (che tanto lo Stato riesce sempre a sostenere, come dice la Modern Money Theory di Warren Mosler, stante che la moneta è un mero simbolo) oppure, meglio ancora, mediante una spesa sganciata dall’indebitamento (come raccomanda Antonino Galloni) attraverso l’emissione diretta di moneta da parte dello Stato. Ciò darebbe più benessere alla gente e slancio allo sviluppo, ma non migliorerebbe, anzi probabilmente peggiorerebbe, la qualità e l’efficienza della spesa, della produttività e della stessa società, incentivando atteggiamenti improduttivi, assistenzialisti e ristagnanti. Soprattutto nei paesi come l’Italia in cui la classe dominante è parassitaria e retriva, e la mentalità popolare è molto ideologica, e ampia parte della popolazione vive di redditi presi ad altra parte della popolazione. La storia insegna.La lezione da imparare e che la qualità e l’efficienza della spesa, cioè delle decisioni di spesa pubblica e privata, dipendono da fattori sociologici e politici inerenti ai differenti popoli, o ai differenti insiemi di popoli, e derivano dalle loro diverse storie. Lo dimostra il fatto che alcune nazioni vanno bene e altre male pur applicando o subendo tutte i medesimi erronei principi di economia monetaria. Cioè l’efficienza dipende dai fattori storici, sociologici, culturali; dai mores, dai meccanismi di produzione del consenso e della coesione di questo o quel popolo. I vincoli quantitativi esogeni non “correggono” questi fattori – semmai li accentuano. La Germania, il Veneto, la Lombardia hanno una spesa pubblica abbastanza efficiente; la Grecia, l’Italia, Roma, la Sicilia e la Campania no, perché hanno prassi, mores, mentalità diversi, che non correggi imponendo vincoli esterni di bilancio. I popoli efficienti non dovrebbero avere una moneta comune con i popoli inefficienti, né pagare per sostenerli. L’esperienza dell’euro mostra che imporre una moneta comune (anzi, un cambio fisso) a popoli con diverse efficienze non alza quella dei meno efficienti, ma li impoverisce; e l’esperienza dell’Italia unitaria, della Jugoslavia e di altri paesi simili mostra che non la alza nemmeno l’imporre l’unione di bilancio e la solidarietà.Tutti questi fattori, però, vengono oggi superati, sconvolti e travolti dal fatto che il grosso della spesa, dei movimenti monetari, cioè del business, avviene in mercati finanziari, apolidi, e secondo logiche aliene dalla produzione di beni e servizi e dal soddisfacimento dei bisogni reali. Se il 90% delle transazioni monetarie avviene in mercati speculativi liberalizzati, perlopiù opachi e non controllabili, il ruolo delle società, della politica e delle istituzioni nelle scelte di spesa, quindi lo stesso grado di efficienza specifica dei vari organismi nazionali, viene drasticamente ridotto. Le dinamiche e le richieste dei mercati speculativi cambiano continuamente le carte sui tavoli politici e schiacciano le decisioni degli attori del residuo 10% delle transazioni economiche, cioè dei popoli e dell’economia reale, pubblica e privata. Tendono a imporre loro i propri bisogni e le proprie decisioni, a fare di essi una loro colonia, una sorte di appendice, che serve essenzialmente ad assicurare al business speculativo riferimenti contabili stabili e un quadro legislativo-giudiziario di supporto. I bisogni della gente non devono interferire. Perciò lo Stato è divenuto rappresentante di interessi esterni e in conflitto con quelli del popolo, quindi ha perso la legittimazione rispetto a questo.(Marco Della Luna, “Dopo la scarsità monetaria”, dal blog di Della Luna del 5 luglio 2015).E’ fallita nei fatti l’idea che si possa indurre il miglioramento qualitativo della spesa pubblica dei paesi inefficienti imponendo a questa spesa vincoli quantitativi nonché il falso dogma della scarsità monetaria. Coloro che prendono le decisioni finanziarie generali sanno che, in un mondo che usa simboli come moneta, la scarsità monetaria è irreale, è un’illusione (cioè sanno che non ha senso logico dire che manchi e non si possa produrre la moneta necessaria per investimenti utili, che essa prima vada risparmiata e accumulata e solo dopo si possa investire, che sia utile o necessario rispettare il pareggio di bilancio, che vi siano limiti oggettivi e logici alla quantità di debito pubblico sostenibile: non ha senso dire tali cose, perché la moneta che si usa è appunto un mero simbolo senza costo di produzione, senza valore intrinseco, e la moneta legale non costituisce nemmeno un titolo di debito). Quindi, nella misura in cui serve, la moneta può essere prodotta sempre e nella quantità richiesta. Il difficile non è produrne quanta ne serve, ma usarla bene, decidere bene come spenderla: un problema politico, ossia di fare scelte tecnicamente valide nell’interesse generale di medio-lungo termine, e che tali siano percepite, anziché scelte di spesa di interesse personale, clientelare, mafioso, tecnicamente inefficienti, miopi, clientelari, demagogiche.
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Macché Grecia, Deutsche Bank esposta per 70.000 miliardi
Il problema non sono i soldi, sono gli “schiavi”: i greci, e con loro tutti noi “prigionieri” dell’Eurozona. La crisi ellenica assume i caratteri di una tragica farsa, con Tsipras che indice il referendum e il giorno dopo annulla il “no” proponendo lui stesso le misure-capestro della Troika? «La cosa che mi fa ridere è che tutta ’sta mucchia di cefali con l’insegnante di sostegno che sono praticamente tutti quelli che parlano della Grecia, vi fanno credere che il problema sono i debiti della Grecia verso creditori come Germania, Italia, Bce», scrive Paolo Barnard, proponendo di dare un’occhiata ai numeri: «La Grecia deve alla Germania 56 miliardi di euro, che sono 1/62esimo del Pil tedesco. E il ministro delle finanze tedesco Schaeuble fa un putiferio, come se perdere quegli spiccioli rovinasse la Germania. Però sta zitto, muto, bocca cucita, sul fatto che la sola Deutsche Bank ha il culo esposto a scommesse sui derivati per… SETTANTAMILA miliardi di euro. Basta che ne perda una frazione e la sberla che si beccano i tedeschi sarebbe 200 volte il debito Grecia-Germania». E allora non è questione di soldi, insiste Barnard: la posta in gioco è «non permettere alla Grecia di rompere il Tritaumani che Parigi e Berlino inventarono per rederci schiavi: la moneta unica».Cifre che sfuggono, regolarmente, alle analisi sui media mainstream. «L’eroe di cartone Yanis Varoufakis – continua Barnard – fu dimesso da ministro delle finanze greche (fonte “Financial Times”) quasi due mesi fa a una riunione dell’Ecofin a Riga, il 24 aprile. Fu un incontro simpatico, dove gli fu detto che era “un principiante, un cretino, un povero scemo, e che avrebbe vissuto poco”». Barnard, autore de “Il più grande crimine” (saggio-profezia sulla catastrofe dell’Eurozona) ricorda che lo stesso Varoufakis non ascoltò il suo consiglio (“chiama Warren Mosler della Me-Mmt a dirigere la Greekexit”), preferendo ricorrere all’economista Jamie Galbraith, troppo “vicino” alle grandi agenzie finanziarie mondiali per poter scommettere davvero sul ripristino della sovranità monetaria, traguardo verso il quale, invece, Mosler ha approntato tappe precise (un paracadute sociale, per uscire senza troppi scossoni dall’euro e rimettere in moto l’economia proprio grazie alla moneta nazionale). Varoufakis? E’ inutile che oggi faccia l’eroe, dice Barnard: è stato “licenziato” a Riga da Peter Kazimir, ministro delle finanze slovacco presente all’incontro, perché «non aveva una cazzo di idea su come salvare la sua gente. Io gliel’avevo data». Il mediatico Yanis? «Ignorante, economista da Topolino».«Come ho già scritto duemila volte, la storia della Grecia è una farsa», sostiene Barnard. La “notizia dell’anno” è un’altra: «Il dinosauro cinese è impazzito, è fuori controllo», e soprattutto «è vivo e mostriosamente pericoloso». Motivo: «Pechino ha voluto negli ultimi 10 anni seguire i consigli dei Chicago Boys, cioè vai con la tua atomica a tutta potenza sull’export (lo stesso che vorrebbero i “cago boys” italiani per l’Italia, cioè Borghi, Bagnai, Rinaldi), ma ora il gioco dell’export cinese, come sempre fu previsto dalla Mosler Economics, si è rotto. Con bassa crescita, crollo dei salari reali e della domanda interna (tutti tipici dell’export), la Cina sta soffrendo il più colossale, cataclismatico e micidiale assets-run della storia umana». Ovvero: «Gli investitori stanno svendendo tutto ciò che hanno comprato di cinese alla velocità del lampo, dai Corporate Bonds alle azioni, soprattutto azioni, titoli di Stato, riso cantonese, bastoncini, grappa alla rosa, ciabattine». Le perdite complessive per la Cina «sono arrivate in meno di due mesi a tremila miliardi di dollari solo in azioni! Immaginate il resto». Cina, dunque, non Grecia: «Quando il dinosauro cinese impazzisce e non mangia più come e quanto prima, noi non gli vendiamo più come prima, il petrolio crolla in prezzo, i minerali pure». Tuto questo, mentre la Grecia di Tsipras sembra consegnarsi definitivamente al suicidio a rate progettato dalla Troika.Il problema non sono i soldi, sono gli “schiavi”: i greci, e con loro tutti noi “prigionieri” dell’Eurozona. La crisi ellenica assume i caratteri di una tragica farsa, con Tsipras che indice il referendum e il giorno dopo annulla il “no” proponendo lui stesso le misure-capestro della Troika? «La cosa che mi fa ridere è che tutta ’sta mucchia di cefali con l’insegnante di sostegno che sono praticamente tutti quelli che parlano della Grecia, vi fanno credere che il problema sono i debiti della Grecia verso creditori come Germania, Italia, Bce», scrive Paolo Barnard, proponendo di dare un’occhiata ai numeri: «La Grecia deve alla Germania 56 miliardi di euro, che sono 1/62esimo del Pil tedesco. E il ministro delle finanze tedesco Schaeuble fa un putiferio, come se perdere quegli spiccioli rovinassero la Germania. Però sta zitto, muto, bocca cucita, sul fatto che la sola Deutsche Bank ha il culo esposto a scommesse sui derivati per… settantamila miliardi di euro. Basta che ne perda una frazione e la sberla che si beccano i tedeschi sarebbe 200 volte il debito Grecia-Germania». E allora non è questione di soldi, insiste Barnard: la posta in gioco è «non permettere alla Grecia di rompere il Tritaumani che Parigi e Berlino inventarono per rederci schiavi: la moneta unica».
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Pura ferocia, ecco l’Ue: spietata, contro il pallido Tsipras
Consenti alla finanza privata di impadronirsi della moneta e quindi del debito pubblico degli Stati? Vietato stupirsi, dopo, gli se esattori rivogliono tutto indietro, con gli interessi. Sul “Guardian”, l’ex ministro delle finanze ellenico Yanis Varoufakis denuncia «la testarda ostinazione» dei creditori nel rifiutarsi di concedere una sostanziale riduzione del debito, in barba a «qualsiasi normale prassi bancaria», che consiglierebbe di «non accanirsi contro i debitori in difficoltà». Di “normale”, in realtà, in Europa non c’è più nulla, dal momento in cui – col Trattato di Maastricht – proprio la “prassi bancaria” ha sostituito l’interesse pubblico, basato sul governo sovrano della moneta per evitare che lo Stato cada nelle mani di creditori privati, i veri padroni della scena, che manovrano politici-fantoccio e istituzioni comunitarie create solo per proteggere il business finanziario a spese delle comunità nazionali. L’altra notizia è che i paesi europei non insorgano in favore dei greci: nessun governo si ribella, le piazze europee non sono gremite di bandiere greche. E i sondaggi rivelano che 7 tedeschi su 10 danno ragione al super-falco Schaeuble, l’uomo dei diktat, l’esecutore fiduciario dei banchieri.Alla sopravvivenza economica della Grecia, scrive Varoufakis, l’Ue ha preferito «il salvataggio delle banche francesi e tedesche esposte sul debito pubblico ellenico». Nulla di così strano: l’anomalia, semmai, consiste nel fatto che il debito statale di Atene sia stato finanziato da banche private, attraverso la moneta privata chiamata euro. L’austerity che ha devastato la Grecia, facendone crollare il Pil del 25%, serviva solo a “rifondere” le banche straniere, non certo a risollevare l’economia di Atene. «Una volta che questa sordida operazione è stata completata, l’Europa si è subito inventata un altro motivo per rifiutarsi di discutere la ristrutturazione del debito: andava a colpire le tasche dei cittadini europei! E quindi – continua Varoufakis – venivano somministrate dosi ancora maggiori di austerità, mentre il debito cresceva spingendo i creditori a erogare nuovi prestiti in cambio di altra austerità».Il governo Tsipras, continua l’ex ministro, è stato eletto «per porre fine a questo circolo vizioso, per esigere un haircut del debito e mettere fine all’austerità». Mission impossible, ovviamente, sotto il regime euro-Ue: Syriza, invece, si è fatta eleggere raccontando ai greci che sarebbe stato possibile passare all’inferno al paradiso, pur restando nell’Eurozona. Il resto sono dettagli: «Le trattative – racconta Varoufakis – si sono arenate nella ben nota impasse per una semplice ragione: i nostri creditori continuavano a negare qualsiasi ristrutturazione, mentre allo stesso tempo esigevano che il nostro debito, che non è pagabile, fosse rimborsato “parametricamente” dalle fasce più deboli della popolazione greca, dai loro figli e dai loro nipoti». In realtà, il debitro sovrano non è mai “pagabile”, non lo è mai stato e non deve esserlo: il debito del Giappone rappresenta il 250% del Pil ma non è un problema, perché lo Stato – padrone della sua moneta – è in grado di sostenerlo in qualsiasi momento. Nell’Eurozona, invece, si “deve” ricorrere al denaro dei banchieri, che non concedono prestiti a scopo di beneficenza.Lo stesso Varoufakis ricorda che, nella sua prima settimana da ministro, il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem (l’Eurogruppo è l’assemblea dei ministri delle finanze europei) lo mise «brutalmente» messo di fronte a un ultimatum: «Accettare la logica dei bailout e rinunciare a ogni pretesa di ristrutturazione, altrimenti il nostro accordo sui nuovi prestiti sarebbe stato cancellato – con l’implicita conseguenza non detta che le nostre banche avrebbero dovuto chiudere». Dopo cinque mesi di trattative, eccoci al redde rationem: le “istituzioni” europee, guidate da Merkel e Schaeuble, impongono a Tsipras di rimangiarsi tutto, per screditarlo di fronte ai greci, dopo l’intollerabile sfida democratica del referendum contro l’austerity. Nel 2010, ricorda ancora Varoufakis, la minaccia della Grexit «nel 2010 spaventava a morte gli investitori finanziari perché le loro banche erano piene zeppe di debito greco». E ancora nel 2012, «nonostante Wolfgang Schaeuble ritenesse che i costi della Grexit avrebbero avuto il vantaggio di disciplinare la Francia e gli altri, la prospettiva continuava a creare grandi preoccupazioni». Quando invece Syriza è andata al potere a gennaio scorso, «a conferma del fatto che i bailout non hanno realmente lo scopo di salvare la Grecia (ma piuttosto quello di costruire una muraglia cinese attorno al nord Europa), una larga maggioranza dell’Eurogruppo – sotto la tutela di Schaeuble – ha considerato la Grexit come l’esito più favorevole e l’ha adoperata come minaccia contro il nostro governo».Varoufakis sostiene che i greci, «giustamente», hanno «i brividi al pensiero di essere amputati dall’unione monetaria». Il problema è proprio l’euro, «una moneta completamente controllata da creditori ostili alla ristrutturazione del nostro insostenibile debito nazionale». Per uscire dall’euro, secondo l’ex ministro, «dovremmo inventarci una valuta dal nulla: nell’Iraq occupato c’è voluto un anno per introdurre nuove banconote, circa 20 Boeing 747, la mobilitazione di tutta la potenza militare americana, tre stabilimenti per stampare il denaro, centinaia di camion. Senza questi aiuti – continua Varoufakis – sarebbe come se la Grecia dovesse annunciare una grossa svalutazione con 18 mesi di anticipo, il che porterebbe all’immediata liquidazione di tutti i capitali investiti e al loro trasferimento all’estero con ogni mezzo possibile». Così, con la minaccia della Grexit che rafforzava il “bank run” indotto dalla Bce, «il nostro tentativo di rimettere sul tavolo la questione della ristrutturazione si è scontrato contro un muro di gomma. Tutte le volte ci rispondevano che quella era una questione da affrontare in un non meglio specificato futuro successivo alla completa realizzazione del “programma”».Scontata, quindi, l’intransigenza tedesca, anche di fronte al tentativo del successore di Varoufakis, Euclid Tsakalaotos, che ha tentato di convincere «un Eurogruppo chiaramente ostile» che la ristrutturazione del debito «è un prerequisito per il successo delle riforme in Grecia». Finalmente, Varoufakis ammette che il problema è proprio la moneta unica europea: «L’euro è un ibrido fra un vincolo valutario fisso come l’Erm del 1980 o il gold standard e una “moneta di Stato”. Il primo fonda la sua forza sulla paura di esserne espulsi, mentre la “moneta di Stato” implica meccanismi di riciclo (reinvestimento) dei surplus fra Stati membri», ad esempio un budget federale e l’emissione di titoli di Stato in comune, gli eurobond invocati inutilmente già ai tempi di Tremonti. «L’euro è una via di mezzo – più vincolo monetario che moneta di Stato». Di statale, in realtà, l’euro non ha nulla: è anzi il braccio operativo dell’élite finanziaria interessata a lucrare sullo smantellamento degli Stati, ma questo Syriza non l’ha mai osato dire.Anche oggi, Varoufakis si limita in fondo a considerazioni tattiche: «Il ministro delle finanze tedesco – scrive, sul “Guardian” – vuole che la Grecia venga costretta a uscire dalla moneta unica per mettere una paura del diavolo ai francesi e convincerli ad accettare un modello di Eurozona di tipo disciplinario». E’, in fondo, il peccato originale di Syriza: pensare che esista un modello di Eurozona non-disciplinario. E’ come aspettarsi che possa davvero essere ristrutturato (tagliato) un debito nominalmente pubblico, ma non denominato in moneta sovrana. Eppure, nonostante gli errori strategici di Syriza, il “martirio” della Grecia offre un terrificante spettacolo di cos’è realmente l’Unione Europea. L’Austria farà un referendum per uscirne, la Gran Bretagna voterà nel 2017 per abbandonare Bruxelles, mentre Obama teme l’aiuto di Putin alla Grecia e l’Ue punta tutto sulle dimissioni di Tsipras per ripristinare il dominio totale della Troika, togliendo ai greci ogni illusione di sovranità.Consenti alla finanza privata di impadronirsi della moneta e quindi del debito pubblico degli Stati? Vietato stupirsi, dopo, se gli esattori rivogliono tutto indietro, con gli interessi. Sul “Guardian”, l’ex ministro delle finanze ellenico Yanis Varoufakis denuncia «la testarda ostinazione» dei creditori nel rifiutarsi di concedere una sostanziale riduzione del debito, in barba a «qualsiasi normale prassi bancaria», che consiglierebbe di «non accanirsi contro i debitori in difficoltà». Di “normale”, in realtà, in Europa non c’è più nulla, dal momento in cui – col Trattato di Maastricht – proprio la “prassi bancaria” ha sostituito l’interesse pubblico, basato sul governo sovrano della moneta per evitare che lo Stato cada nelle mani di creditori privati, i veri padroni della scena, che manovrano politici-fantoccio e istituzioni comunitarie create solo per proteggere il business finanziario a spese delle comunità nazionali. L’altra notizia è che i paesi europei non insorgano in favore dei greci: nessun governo si ribella, le piazze europee non sono gremite di bandiere greche. E i sondaggi rivelano che 7 tedeschi su 10 danno ragione al super-falco Schaeuble, l’uomo dei diktat, l’esecutore fiduciario dei banchieri.
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Galloni demolisce Renzi: ripresa inesistente (e impossibile)
Secondo Renzi, l’andamento del Pil dimostra che l’economia italiana è fuori dalla crisi? Numeri “confortanti e superiori alle più rosee aspettative degli economisti”, che prevedavano una ripresa dello 0,2% del Pil, mentre si sarebbe attestata allo 0,3? Inversione di tendenza, che segnala che il paese è fuori dal pericolo della deflazione? Mi dispiace, non è assolutamente così. Chiunque può capire che 0,3 o 0,4 non significa nulla. In tempi in cui la domanda di lavoro era rappresentata soprattutto da contratti a tempo indeterminato, avevamo calcolato che se non si superava il 2- 2,5% – quindi tutt’altro, cioè dieci volte di più di quello di cui stiamo parlando adesso – un aumento significativo dell’occupazione non si poteva registrare. Noi recentemente abbiamo avuto un aumento dei contratti, perché sono state sostituzioni – si è passati da una tipologia a un’altra – ma il livello occupazionale ha continuato a ridursi in modo significativo. Riguarda molto la manifattura, ovviamente. Avremmo un grande potenziale nei servizi di cura e nelle attività ambientali, ma non ci sono le risorse per far crescere l’occupazione, dato che il bilancio dello Stato non ha disponibilità.Si è scelto di non averne, disponibilità – perché potremmo averla, come altri paesi: un minimo di sovranità monetaria, accordi, deroghe, eccetera – ma non abbiamo voluto niente, perché la classe politica ha deciso una rigidità assoluta. La Germania? No, lo abbiamo deciso noi, e ci siamo appiattiti su posizioni che facevano comodo alla Germania, ma è sempre una scusa quando si dice “lo vuole l’Europa, la Germania, i trattati”. Chi li ha firmati, i trattati? Perché li abbiamo firmati? Chi è andato a firmare i trattati non sapeva a che cosa esponeva il paese? Oggi ci sono 56 miliardi di insoluto che si riferiscono alle bollette e alle rate non pagate, dal 2014: un +13% rispetto all’anno precedente. Il 12% di questo è l’insoluto relativo alle imprese. Il credito non viene ancora concesso, per andare incontro alle piccole e medie imprese. Il credito, quello che servirebbe alla ripresa, quello di cui parlava Draghi per gli investimenti, non viene concesso perché la ripresa non c’è. Finché non c’è la ripresa non ci sarà la domanda per investimenti, che attraverso un’azione di credito da parte delle banche metterà in moto il meccanismo.Invece le famiglie e le imprese piccole, che hanno bisogno di prestiti, si trovano sempre nella lista nera delle banche perché sono considerati soggetti a rischio, soggetti deboli, e quindi non vengono aiutati. E’ giusto sottolineare che, a fronte di una riduzione del reddito pro capite, che è molto più forte di quella del Pil – perché non ci dimentichiamo che la popolazione residente, per l’aumento degli stranieri, comunitari ed extracomunitari (nel passato soprattutto comunitari, adesso stanno arrivando anche gli extracomunitari) – è aumentata nella media dello 0,5% all’anno, cioè 250-300.000 persone. Questo fa calare il Pil pro capite, che è il principale indicatore che ci può far capire se i consumi si riprendono o meno. Ma, d’altra parte, ci sono le bollette, le spese, gli insoluti condominiali: è un disastro, la gente è sempre più indebitata, deve pagare sempre di più, ma gli stipendi e l’occupazione vanno male. E quindi, ovviamente, non c’è nessuna prospettiva di ripresa, perché non ci dobbiamo mai dimenticare che il principale aggregato macroeconomico che serve per la ripresa sono i consumi. Ma se non aumentano gli stipendi, o non aumenta la spesa pubblica, non c’è nessuna speranza che ci sia la ripresa, finché non cambiamo politica economica.(Nino Galloni, dichiarazioni rilasciate a “Uno Mattina”, Rai Uno, il 15 maggio 2015, intervista ripresa su YouTube. Insigne economista italiano, Galloni è stato collaboratore del keynesiano Federico Caffè. Ha insegnato economia a Roma e Milano).Secondo Renzi, l’andamento del Pil dimostra che l’economia italiana è fuori dalla crisi? Numeri “confortanti e superiori alle più rosee aspettative degli economisti”, che prevedavano una ripresa dello 0,2% del Pil, mentre si sarebbe attestata allo 0,3? Inversione di tendenza, che segnala che il paese è fuori dal pericolo della deflazione? Mi dispiace, non è assolutamente così. Chiunque può capire che 0,3 o 0,4 non significa nulla. In tempi in cui la domanda di lavoro era rappresentata soprattutto da contratti a tempo indeterminato, avevamo calcolato che se non si superava il 2- 2,5% – quindi tutt’altro, cioè dieci volte di più di quello di cui stiamo parlando adesso – un aumento significativo dell’occupazione non si poteva registrare. Noi recentemente abbiamo avuto un aumento dei contratti, perché sono state sostituzioni – si è passati da una tipologia a un’altra – ma il livello occupazionale ha continuato a ridursi in modo significativo. Riguarda molto la manifattura, ovviamente. Avremmo un grande potenziale nei servizi di cura e nelle attività ambientali, ma non ci sono le risorse per far crescere l’occupazione, dato che il bilancio dello Stato non ha disponibilità.
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Rassegnarci a perdere tutto: è lo scopo della crisi infinita
La lunga crisi economica, e non solo economica ma anche sociale, costituzionale, morale, culturale, sta letteralmente rieducando i popoli: questa è la riforma delle riforme. Insegna loro una lezione importante e penetrante. L’uomo impara ad interiorizzare una diversa e molto più modesta e docile concezione di se stesso, dei suoi diritti fondamentali, delle sue prospettive esistenziali. Taglia pretese e aspettative. Accetta ciò che viene. Si rassegna. La crisi prevedibilmente verrà portata avanti, con gli strumenti di destabilizzazione descritti nei miei precedenti articoli (“Comunitarismo e Realismo”, “Questa non è una Crisi Economica”), finché questa lezione non sarà stata assimilata e finché la precedente maniera di considerare il mondo, la società, i diritti dell’uomo, non sarà stata dimenticata o perlomeno “sovrascritta” da una nuova coscienza, imperniata sugli elementi seguenti. Il rating delle agenzie finanziarie e le variabili “necessità” del mercato sono la fonte normativa suprema, superiore ai principi costituzionali e prevalgono su di essi; lo Stato di diritto e garanzia è finito. Conseguentemente, i diritti di partecipazione democratica e di rappresentanza del cittadino sono condizionati e comprimibili.Le scelte di politica economica, del lavoro, dei rapporti internazionali discendono da fattori di mercato superiori alla volontà popolare e sono dettate ai popoli dall’alto, da organismi tecnocratici sovranazionali, che non sono responsabili degli effetti di tali scelte e possono mantenerle in vigore quali che siano i loro effetti, mentre esse non sono rifiutabili dai popoli e dai loro rappresentanti. Se così non fosse, si metterebbe in pericolo il Pil, il rating, lo spread. In effetti, gli Stati sono politicamente impotenti e subalterni, essendo indebitati in una moneta che non controllano più essi, ma un cartello bancario, da cui essi dipendono per rifinanziarsi. Il cittadino è essenzialmente passivo: subisce senza poter reagire, interloquire, negoziare, le tasse, le tariffe, i prezzi imposti dallo Stato, dei monopolisti dei servizi, dell’energia, di molti beni essenziali. Subisce senza poter reagire il tracciamento di tutte le sue azioni, spostamenti, incassi, spese, consumi.Lo Stato, la pubblica amministrazione, le imprese private monopolistiche che operano in concessione, lo governano e agiscono su di lui da lontano, con mezzi telematici, senza che egli possa interagire con tali soggetti. Come lavoratore, deve accettare una strutturale mancanza di garanzie e pianificabilità, di stabilità dei rapporti e dei redditi, di continuità occupazionale, di prospettiva di carriera e persino di una pensione sufficiente a vivere.Come consumatore, deve accettare i prezzi e le tariffe fissate da monopoli multinazionali o da monopoli locali ammanicati con la casta politica. Deve accettare senza discutere che lo Stato, pur potendo investire e rilanciare l’economia e l’occupazione, scelga piuttosto di lasciare milioni e milioni di persone senza lavoro e nella miseria, nonché senza servizi pubblici decenti, per rispettare i parametri astratti e senza alcuna utilità verificabile, o addirittura dannosi. Deve accettare che i suoi risparmi, sia in valori finanziari che in beni immobili, siano posti in line e gli vengano gradualmente sottratti con le tasse, le bolle, i bail-in, e che non gli rendano più niente, e che i rendimenti siano solo per i grandissimi capitali, quelli di coloro che comandano la società, e che si muovono in circuiti finanziari off shore dove non si pagano le tasse.In fatto di ordine pubblico, deve accettare che la sicurezza sia garantita in misura limitata e in modo pressoché occasionale, che molti delitti e traffici criminali si svolgano in modo tollerato, che molti malfattori non vengono perseguiti o vengano subito rilasciati. Deve rinunciare ad essere tranquillo e padrone sul suo territorio. Deve rinunciare ad avere un territorio suo proprio. Deve inoltre abituarsi a non considerarsi portatore di diritti inalienabili e propri di cittadino, in quanto vede gli immigrati anche clandestini preferiti a lui nei servizi sanitari, nell’edilizia popolare, nell’assistenza pubblica in generale, e protetti quando commettono abitualmente reati. Deve capire che è lo Stato, dall’alto e insindacabilmente, a dare e togliere diritti, a stabilire chi ha diritti, chi non ne ha, chi ne ha di più, chi ne ha di meno. Deve accettare come giusti, normali, inevitabili nonché benefici, i flussi di immigrazione massicci che stravolgono la composizione etnica e culturale del suo ambiente sociale.Deve accettare la fine delle comunità e delle formazioni intermedie, perché tutti gli umani, indistintamente, sono resi per legge e per prassi amministrativa omogenei, equivalenti, monadi solitarie e senza volto davanti allo schermo, al fisco, agli strumenti di monitoraggio e, se necessario, ai droni. Deve accettare la fine delle identità e dei ruoli naturali: fine della famiglia naturale in favore di quella Fai Da Te, fine della differenziazione tra i sessi in favore della scambiabilità del gender, fine della nazione come comunità storica etico culturale in favore del villaggio globale omogeneizzato, fine delle democrazie parlamentari nazionali sovrane in favore di un senato mondialista, bancario e massonico. Deve imparare che il suo ruolo è la passività obbediente, che non ci sono alternative; e a rifiutare come populista, infantile, fascista, comunista, retrivo qualsiasi pensiero strutturalmente critico verso questo nuovo ordine di cose.(Marco Della Luna, “Pedagogia della crisi continua”, dal blog di Della Luna del 26 maggio 2015).La lunga crisi economica, e non solo economica ma anche sociale, costituzionale, morale, culturale, sta letteralmente rieducando i popoli: questa è la riforma delle riforme. Insegna loro una lezione importante e penetrante. L’uomo impara ad interiorizzare una diversa e molto più modesta e docile concezione di se stesso, dei suoi diritti fondamentali, delle sue prospettive esistenziali. Taglia pretese e aspettative. Accetta ciò che viene. Si rassegna. La crisi prevedibilmente verrà portata avanti, con gli strumenti di destabilizzazione descritti nei miei precedenti articoli (“Comunitarismo e Realismo”, “Questa non è una Crisi Economica”), finché questa lezione non sarà stata assimilata e finché la precedente maniera di considerare il mondo, la società, i diritti dell’uomo, non sarà stata dimenticata o perlomeno “sovrascritta” da una nuova coscienza, imperniata sugli elementi seguenti. Il rating delle agenzie finanziarie e le variabili “necessità” del mercato sono la fonte normativa suprema, superiore ai principi costituzionali e prevalgono su di essi; lo Stato di diritto e garanzia è finito. Conseguentemente, i diritti di partecipazione democratica e di rappresentanza del cittadino sono condizionati e comprimibili.
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Stiamo già uscendo dall’euro, creato per distruggerci
L’euro è una moneta unica che impedisce ai singoli paesi di avere sovranità monetaria e quindi di utilizzare la leva del cambio, ovvero di gestire i propri debiti pubblici in funzione di una spesa che deve servire per assorbire la disoccupazione e rilanciare lo sviluppo. Una moneta di egemonia, assolutamente. Le radici dell’euro sono il G7 di Tokyo del 1979, dove si è deciso che ciascun paese deve essere responsabile della propria bilancia dei pagamenti senza aiuti per i paesi deboli. Quindi si è rotto il principio di solidarietà. Poi c’è stata la netta separazione tra le banche centrali e i governi, per cui si privavano questi ultimi della possibilità di avere una spesa pubblica per investimenti, adeguata alle esigenze. Terzo: il momento in cui alla fine degli anni Ottanta i paesi europei accettano la riunificazione della Germania. In cambio della sostituzione della moneta si dovrà creare una moneta comune, al livello del marco. Dietro tutto questo c’era la necessità di deindustrializzare l’Italia, perché né Francia né Germania erano in grado di sostenere una competitività derivante dalle nostre capacità.Una sovranità monetaria e una leva del cambio insieme avrebbero creato difficoltà a tutti questi paesi. Come uscirne? Secondo me stiamo già uscendo dall’euro. Questo capitalismo che io chiamo ultra-finanziario, che massimizza le emissioni dei titoli – oggi nel mondo i titoli tossici sono 54 volte il Pil – e che concentra la liquidità dove non deve stare, cioè nelle attività finanziarie, e la rende scarsa dove deve stare, cioè per consumi e investimenti; questo tipo di economia finisce per essere talmente lontana dalla realtà, che la “realtà” stessa reagisce e reagirà ancora di più, emettendo una propria moneta. Moneta fiduciaria, dunque, sistemi di compensazione, di soluzione alternativa delle dispute economiche, eccetera. Tutto questo ci porterà fuori dall’euro. Chi potrebbe prendere l’iniziativa? Può essere che ci si metta d’accordo in qualche modo, e questa sarebbe la cosa ottimale. O potrebbe anche essere un processo conflittuale, con qualcuno che salta. Adesso c’è la situazione della Grecia che fa da pilota.La Grecia si sta già rivolgendo alla Russia per essere aiutata, ma le oligarchie europee non vogliono far vedere che sia possibile uscire dall’euro ed essere aiutati. Con molta miopia, secondo me. Comunque, niente di male che la Russia abbia un ruolo nel Mediterraneo, se poi l’Iran avrà un ruolo diverso nel Medio Oriente, con l’accordo della parte migliore degli americani che, diciamo così, si disimpegnano dall’area dopo aver fatto danni. Ripeto: il problema non è tanto come si esce dall’euro, ma il fatto che stiamo già uscendo con monete alternative, con iniziative che hanno a che vedere con lo sviluppo dell’economia reale a partire dalle realtà locali e che poi daranno dei risultati nel giro dei prossimi anni.(Nino Galloni, dichiarazioni rilasciate a “Stampa Libera” per l’intervista “La finanza vuole la Terza Guerra Mondiale”, pubblicata il 1° giugno 2015 e ripresa dal blog “Vox Populi”).L’euro è una moneta unica che impedisce ai singoli paesi di avere sovranità monetaria e quindi di utilizzare la leva del cambio, ovvero di gestire i propri debiti pubblici in funzione di una spesa che deve servire per assorbire la disoccupazione e rilanciare lo sviluppo. Una moneta di egemonia, assolutamente. Le radici dell’euro sono il G7 di Tokyo del 1979, dove si è deciso che ciascun paese deve essere responsabile della propria bilancia dei pagamenti senza aiuti per i paesi deboli. Quindi si è rotto il principio di solidarietà. Poi c’è stata la netta separazione tra le banche centrali e i governi, per cui si privavano questi ultimi della possibilità di avere una spesa pubblica per investimenti, adeguata alle esigenze. Terzo: il momento in cui alla fine degli anni Ottanta i paesi europei accettano la riunificazione della Germania. In cambio della sostituzione della moneta si dovrà creare una moneta comune, al livello del marco. Dietro tutto questo c’era la necessità di deindustrializzare l’Italia, perché né Francia né Germania erano in grado di sostenere una competitività derivante dalle nostre capacità.
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Mosler: salvi col deficit all’8%, ma Berlino vi vuole morti
Le nostre idee sono arrivate a Obama, quando sono stato candidato al Senato in Connecticut, nel 2010, proponendo una riduzione o un’eliminazione del cuneo fiscale. Del resto, la tassazione sulla busta paga è l’imposta più regressiva che abbiamo negli Usa e l’argomento è quindi efficace. Scrissi alcuni articoli e feci alcune apparizioni televisive, e Jamie Galbraith, consigliere di Obama, cominciò a riprendere i nostri contenuti pubblicamente. L’idea suscitò anche l’interesse dell’amministratore delegato della General Electric, Jeffrey Immelt, e poi quello di Troy Nash, un altro degli assistenti di Obama. E così il taglio del cuneo fiscale è diventato legge. Si tratta di un taglio minimo, del 2%, ma importante, anche perché è uno dei pochi provvedimenti bipartisan. Questa misura ha contribuito ad alimentare la crescita negli Stati Uniti, che ha subìto poi un sostanziale rallentamento nel momento in cui il governo ha voluto iniziare a ridurre il deficit pubblico.Nell’area Euro i trattati rendono difficili, se non impossibili gli investimenti e l’ampliamento del welfare. Manca la volontà politica. Ed è un peccato, perché basterebbe decidere di aumentare il vincolo di rapporto col Pil dal 3 per cento all’8. Senza altre variazioni nella struttura delle istituzioni Ue, la disoccupazione diminuirebbe e la crescita potrebbe arrivare anche al 4%. Non è una strada che piace alla Germania, però. La Germania ha un problema del tutto ideologico, persino filosofico. Gli intellettuali progressisti hanno a lungo visto nell’Unione Europea una via maestra per il rifiuto delle politiche regressive di stampo nazionalista. Sfortunatamente chi governa oggi questa istituzione ha sviluppato un’agenda economica fortemente regressiva, di destra. Uscirne tuttavia significa esporsi, appunto, ad un alto rischio di crescita del nazionalismo. La sfida è capire quale fra tutte le possibili strade sia meno “di destra” rispetto alle altre.Restando nell’Eurozona, se vi fosse la volontà politica di fare qualunque cosa di diverso rispetto alle politiche attuali, allora bisognerebbe puntare ad incrementare il deficit. Le istituzioni europee credono che agire sui tassi di interesse migliori l’economia e che le riforme strutturali consentano di aumentare l’occupazione. Non è così. L’euro a due velocità? Ancora una volta, credo manchi la volontà. I politici sono stati trasformati in esattori delle tasse: non hanno nessuna prospettiva economica. E in Italia non hanno nessun interesse, al governo sono totalmente passivi. Qualcuno mi ha chiesto quale politica economica abbia in mente Renzi: ho risposto che non ne ha una! E come lui, però, nessuno, in Europa. Manca la logica. Ad esempio: mettiamo che voi crediate realmente che in Grecia siano tutti pigri e nessuno abbia voglia di lavorare. Anche se voleste punirli, che senso ha creare politiche in cui gli stessi greci sono messi nelle condizioni di non poter più lavorare?Credo che il tasso di cambio dell’euro si rafforzerà molto e la Germania vedrà le esportazioni nette deteriorarsi. Non c’è nulla che siano in grado di fare. Sono impotenti. Sarà una distruzione della società fondata sulla deflazione e l’apprezzamento della valuta. Nei sei mesi scorsi l’euro è sceso temporaneamente, perché le banche centrali mondiali hanno reagito al Quantitative Easing e hanno iniziato a vendere grandi quantità di euro; questo processo però terminerà. Ora che l’euro tornerà a crescere, cosa faranno? Non gli resta nulla.(Warren Mosler, dichiarazioni rilasciate a “Left” per l’intervista “In Germania un problema ideologico, persino filosofico”, pubblicata il 23 maggio 2015 e ripresa dal blog “Vox Populi”)Le nostre idee sono arrivate a Obama, quando sono stato candidato al Senato in Connecticut, nel 2010, proponendo una riduzione o un’eliminazione del cuneo fiscale. Del resto, la tassazione sulla busta paga è l’imposta più regressiva che abbiamo negli Usa e l’argomento è quindi efficace. Scrissi alcuni articoli e feci alcune apparizioni televisive, e Jamie Galbraith, consigliere di Obama, cominciò a riprendere i nostri contenuti pubblicamente. L’idea suscitò anche l’interesse dell’amministratore delegato della General Electric, Jeffrey Immelt, e poi quello di Troy Nash, un altro degli assistenti di Obama. E così il taglio del cuneo fiscale è diventato legge. Si tratta di un taglio minimo, del 2%, ma importante, anche perché è uno dei pochi provvedimenti bipartisan. Questa misura ha contribuito ad alimentare la crescita negli Stati Uniti, che ha subìto poi un sostanziale rallentamento nel momento in cui il governo ha voluto iniziare a ridurre il deficit pubblico.