Archivio del Tag ‘petrolio’
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Bush-Clinton, abbraccio infernale tra due dinastie pericolose
Come volevasi dimostrare. Hillary Clinton è oramai il candidato semi-ufficiale per la poltrona di presidente degli Stati Uniti d’America della famiglia Bush. Il 23 febbraio del 2016, sulle pagine de “Il Moralista”, pubblicavo un articolo titolato “Jeb Bush e Hillary Clinton sono espressione degli stessi centri occulti di potere”. Venerdi 11 marzo, in occasione dei funerali di Nancy Reagan, Hillary e George W., in versione amanti clandestini finalmente usciti allo scoperto, si sono fatti fotografare avvinghiati in un caloroso e complice abbraccio. In politica nulla si fa per caso, e la scelta di veicolare questo tipo di immagine non può essere casuale. D’altronde non c’è molto da stupirsi, dal momento che, al punto in cui siamo, la saldatura di un establishment tanto debole quanto intrinsecamente assassino era pressoché scontata. La dicotomia destra/sinistra, come ripetiamo da tempo, è buona solo per ingannare i tonti, masse di ingenui facilmente impressionabili da una sigla di partito o da un simbolo carico di storia. Dietro i simboli di partito però ci sono sempre gli uomini in carne ed ossa, con cordate al seguito e rispettivi interessi privati da soddisfare.I “mondi” dei Clinton e dei Bush sono chiaramente comunicanti. Entrambe le dinastie politiche prima citate portano responsabilità gravissime per quanto concerne la distruzione del Medio Oriente, insanguinato da guerre infami e farlocche, avviate dai Bush e poi proseguite dal segretario di Stato Hillary Clinton, notoriamente ossessionata dall’idea di uccidere Gheddafi e Assad per destabilizzare l’intera regione e favorire l’ascesa dei “finti nemici” dell’Isis. Perfino Obama, non certo un cuor di leone, ha avuto modo di denunciare la furia distruttrice di Hillary Clinton, protagonista insieme a Cameron, Sarkozy, Napolitano e altra bella gente dell’insensata e folle guerra alla Libia del 2011, indegna macelleria ammantata di nobili e ipocriti ideali. Bush e Clinton, poi, a differenza di Trump, sono filo-israeliani e fautori della prosecuzione delle sanzioni alla Russia di Putin, colpevole ai loro occhi di avere smontato il giochino del terrorismo islamico globale, costruito con tanta cura e pazienza dai principali e sanguinari network esoterici in voga negli Stati Uniti d’America e non solo.Al Bagdhadi, sedicente califfo del terrore, è stato appositamente liberato da un campo di prigionia per farne una specie di redivivo Bin Laden, mostro mediatico utilissimo per legittimare e consentire una nuova stagione di “guerre per la libertà” (Orwell, ci sei?) per la gioia di petrolieri alla Dick Cheney e dei signori del famigerato complesso militare e industriale a stelle e strisce. Oltre alle affinità sul tema “terrorismo politico”, le somiglianze tra i Bush e i Clinton non mancano neppure con riferimento al “terrorismo finanziario ed economico”. Fu proprio durante la presidenza di Bill Clinton che venne abolito lo “Steagall Act” di rooseveltiana memoria, linea Maginot che per anni impedì il dilagare dei nazisti tecnocratici di Wall Street ora impuniti e imperanti.Mentre i Bush sono da sempre fautori della teoria dello “sgocciolamento”, tesi bislacca che tutela i soli interessi dei milionari sull’assunto che, ingrossando le tasche dei pochi “Paperoni”, qualche briciola finirà infine per forza anche sulla tavola dei tanti straccioni. Nel merito delle scelte di indirizzo politico effettivamente intraprese, al netto cioè di ricostruzioni suggestive e non dimostrabili, Bush e Clinton somigliano a due gemelli che fino ad oggi hanno “marciato divisi per colpire uniti” (l’utilizzo di simile immagine è da ritenersi per nulla casuale, ndm). A partire da venerdi 11 marzo a quanto pare – oltre a colpire – uniti ci “marciano” (in tutti i sensi) pure.Due considerazioni finali. I Clinton e i Bush traducono in concreto visioni e idee maturate all’interno di consessi gnostici, pan-teistici e di fatto di ispirazione satanica. La politica, per elementi simili che puzzano di zolfo lontano un miglio, è poco più che un paravento. Per dimostrare quanto sia amata fuori dai confini americani Hillary Clinton ha pensato bene di vantarsi del sostegno del premier/cazzaro Matteo Renzi. Giusto come nota di cronaca è bene ricordare che uno dei “consulenti strategici” del premier italiano è Michael Ledeen, uomo dal raffinato ingegno organico al primo cerchio di potere riconducibile alla famiglia Bush (di recente Ledeen ha partecipato ad incontri molto interessanti nel sud d’Italia). Un tassello in più che dimostra quale tipo di “triangolazione” si celi dietro “l’innocente abbraccio” tra l’ex first lady e l’ex inquilino della Casa Bianca al tempo degli attentati alle Torri Gemelle.(Francesco Maria Toscano, “A mali estremi, estremi rimedi: Hillary Clinton e George W. Bush gettano la maschera”, dal blog “Il Moralista” del 15 marzo 2015).Come volevasi dimostrare. Hillary Clinton è oramai il candidato semi-ufficiale per la poltrona di presidente degli Stati Uniti d’America della famiglia Bush. Il 23 febbraio del 2016, sulle pagine de “Il Moralista”, pubblicavo un articolo titolato “Jeb Bush e Hillary Clinton sono espressione degli stessi centri occulti di potere”. Venerdi 11 marzo, in occasione dei funerali di Nancy Reagan, Hillary e George W., in versione amanti clandestini finalmente usciti allo scoperto, si sono fatti fotografare avvinghiati in un caloroso e complice abbraccio. In politica nulla si fa per caso, e la scelta di veicolare questo tipo di immagine non può essere casuale. D’altronde non c’è molto da stupirsi, dal momento che, al punto in cui siamo, la saldatura di un establishment tanto debole quanto intrinsecamente assassino era pressoché scontata. La dicotomia destra/sinistra, come ripetiamo da tempo, è buona solo per ingannare i tonti, masse di ingenui facilmente impressionabili da una sigla di partito o da un simbolo carico di storia. Dietro i simboli di partito però ci sono sempre gli uomini in carne ed ossa, con cordate al seguito e rispettivi interessi privati da soddisfare.
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Guerra in Libia, non sarà certo l’Italia a decidere il da farsi
Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia. Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani. La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre. Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.In questi giorni Renzi ha firmato e subito segretato un decreto che estende ai corpi speciali dell’esercito le coperture riservate ai servizi segreti. Il che vuol dire, esplicitamente, che manda le forze armate italiane a uccidere, cioè a fare la guerra, in Libia. Se qualcuno di quei militari sarà catturato dall’Isis, probabilmente sarà torturato e ucciso, oppure scambiato con armi o prigionieri, ma la sua cattura e uccisione (così come lo scambio) sarà tenuta segreta anche ai suoi familiari, non solo alla stampa. Il decreto in questione, essendo in contrasto con l’art. 11 della Costituzione, è illegittimo. La guerra è già in corso, in segreto, non dibattuta, non dichiarata, non autorizzata dal Parlamento, decisa da Washington. E così andava anche con le altre guerre in cui l’Italia ha partecipato: anche i nostri governi mandavano militari sotto copertura a uccidere i capi dei gruppi considerati nemici da Washington. Ma queste pratiche segrete sono da sempre la norma nella politica estera di tutti i paesi. E’ soltanto l’opinione pubblica ignorante, sistematicamente educata dai media a una visione cosmetica della realtà, che si stupisce e scandalizza.Tornando alla Libia, che si dovrebbe fare per stabilizzarla? Il paese chiamato “Libia” comprende 3 regioni storicamente differenti: Fezzan, Tripolitania, Cirenaica, abitate da molte tribù da secoli in competizione o guerra tra loro. Un paese con una popolazione tribale, senza senso civico e democratico, più abituata a combattere che a lavorare, e con un’enorme ricchezza petrolifera che attira gli appetiti armati di potenze occidentali, le quali ricorrono alla guerra per assicurarsi pozzi e porti, e per toglierli agli altri (all’Eni, in particolare – vedi l’assassinio di Mattei). Come stabilizzare un siffatto paese e un siffatto popolo? E’ ovvio: bisogna che Washington, Londra e Parigi si accordino per spartirsi quelle risorse, che distruggano le forze in campo (usando l’Onu e lo pseudo-governo di Tobruk per deresponsabilizzarsi e dando il comando militare alla serva Italia), che mettano al potere un dittatore armato e finanziato da loro, col duplice incarico di reprimere ogni opposizione o disordine col terrore, e di consentire lo sfruttamento delle risorse petrolifere. Mutatis mutandis, è quello che stanno realizzando in Italia mediante Renzi e le sue riforme elettorale e costituzionale, che concentrano nel premier i tre poteri dello Stato, limitano la rappresentatività del Parlamento e neutralizzano la funzione dell’opposizione.(Marco Della Luna, “Italia, Libia, guerra, intelligence”, dal blog di Della Luna del 4 marzo 2016).Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia. Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani. La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre. Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.
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Duff: uno di questi pagliacci dominerà gli Usa (e il mondo)
Ho appena finito di farmi una barba lunga così ascoltando Mitt Romney e Donald Trump. Cominciamo allora dal livello di assurdità che li distingue: ai tempi della guerra in Vietnam sono stati entrambi degli spregevoli renitenti alla leva. Nel corso della loro vita hanno avuto entrambi dei forti legami con il crimine organizzato. Hanno entrambi ereditato le loro fortune personali, poi incrementate fregando gli altri. Affrontiamo inoltre un’altra verità a lungo dimenticata: il Gop è interamente gestito da Sheldon Adelson, un boss del gioco d’azzardo di Macao, con una storia di cui non possiamo cominciare a discutere sperando poi di poter entrare in una macchina senza l’aiuto di una squadra di artificieri. Ad aiutarli ci sono i ‘gemelli malvagi’, i fratelli Koch, dei mostri indescrivibili. Guidano il Partito Repubblicano e possono evitare di essere considerati come ‘criminalità organizzata’ solo perché sono più grandi e potenti del tradizionale ‘crimine organizzato’, oltre che molto più pericolosi.Mentre la gente è costretta a saccheggiare i propri risparmi, sono proprio queste bestie [Adelson, i Koch …] e i politici che esse controllano – sono 350 i membri del Congresso e 22 i governatori di cui tirano le fila, assieme ai cartelli della droga, alle compagnie petrolifere e a Wall Street – ad essere i veri terroristi: sono essi stessi l’Isis, Al-Qaeda, l’incarnazione stessa della guerra. Puntare il dito contro Hillary o George Soros è semplice … sono dei bersagli molto facili, lo ammetto. Sono i pianificatori delle vicende di Bengasi, i sostenitori di Boko Haram, di al Qaeda e dell’Isis. Tuttavia, se vogliamo ‘crescere’ e porci delle domande difficili, chiediamoci perché la tronfia ‘principessa neocon’ [Victoria Nuland], moglie di uno dei fratelli Kagan, fu ‘consacrata’ alla distruzione dell’Ucraina proprio da Hillary Clinton. I ratti stanno spolpando l’Ucraina mentre i politici fascisti che a loro fanno capo, con l’aiuto di una ben orchestrata ‘crisi dei profughi’, stanno prendendo l’Europa dal basso.Prendetevi i 6 minuti e 27 secondi che sono necessari e sedetevi su una sedia a guardare il video del “South Front”. Cominciate a pensare alla situazione del mondo intero e al fatto che, mentre stiamo spingendo la Russia verso la bancarotta e la Cina verso la guerra, i nostri ‘salvatori’ dovrebbero essere proprio questi pagliacci. Mi piace veramente tanto ascoltare Trump. Quello che posso dire è che ha un’intelligenza di basso livello, che è un personaggio tutto sbagliato ed essenzialmente la caricatura di se stesso: il cartone animato di un cartone animato. Tuttavia, vale il doppio di Mitt Romney ed è una specie divinità se comparato a Kasich, a McCain o a Jeb Bush. Romney crede veramente di potersi infilare nella corsa alla presidenza e c’è un motivo se può nutrire questa speranza. Il Gop sta alimentando il ‘Dipartimento di Giustizia’ con dei propri files su Trump. Romney, inoltre, sembrerebbe un candidato perfetto, affidabile, con la sua abbronzatura scintillante e i suoi abiti sempre un po’ troppo attillati.Mi ricordo di G. W. Bush e della sua enorme tuta antiproiettile, adatta a coprire il suo grosso sedere e le sue spalle strette: un tentativo per bilanciare il suo sguardo, compreso fra quello di uno scimpanzé e quello del ‘Gollum’ [un personaggio del “Signore degli Anelli”]. Romney, invece, ha un aspetto esteriore veramente bello e, dopo aver ascoltato il discorso di Trump, il suo commento ‘in ginocchio’, comincio a pormi un paio di domande al riguardo di Trump. Ma poi, di nuovo, in una nazione governata da pedofili, l’idea di mettere in discussione la natura di qualsiasi relazione fra adulto e adulto – o fra essere umano ed essere umano, se quest’ultimo termine è più chiaro – viola i veri standard morali dell’America, per come essi sono nella realtà. Nel 2012 alcuni amici dell’Fbi vennero a trovarci nella nostra sede, portando con loro la prova della complicità di Romney con la criminalità organizzata, con il traffico di droga – assieme al suo partner Carlos Salinas – e infine i contratti clandestini che aveva stipulato con Castro ed il ‘Kgb’. Le registrazioni di quelle interviste sono su YouTube.Qualunque sia la mia opinione su Trump, è un ‘capo’ e ha le spalle ben al di sopra della gente del Gop. Ha introdotto un nuovo livello di chiarezza nel discorso politico americano. Il solo problema è che molto di quello che dice è poco considerato, una conseguenza del suo convulsivo modo di parlare, generato da quello che posso solo immaginare sia un caso di ‘sindrome da deficit di attenzione’. Non credo, comunque, che intenda esprimere, nella realtà, le cose folli che gli escono di bocca ed è senz’altro molto meno ‘pericoloso’ di quanto possa sembrare. Anch’io credo che non sia in possesso delle capacità amministrative e dell’energia personale che possano metterlo davanti al ‘pacchetto’ [dei candidati repubblicani alla presidenza]. Per quanto riguarda i democratici, in questo momento è Hillary la favorita. A meno che non venga uccisa, sarà lei il presidente. Il suo programma di politica interna è eccezionale ma, per quanto riguarda la politica estera, è chiaro che lei è ‘gestita’ da una ‘forza nascosta’ che non ama molto gli Stati Uniti.E’ molto doloroso doverlo dire, in particolare per chi come me è sempre più anziano e non è ancora uno stupido integrale. Mi ricordo di Ike, di Nixon e di Reagan. Dei rospi velenosi che avrebbero dovuto essere strangolati nella culla, ma che tuttavia erano lontani mille miglia da ‘W’ [Bush], la più grande mostruosità umana della nostra epoca, di qualsiasi nazione e di qualsiasi specie. Il rischio reale, con Trump, è che nessuno lo può comprare e che lui non condivide i sogni del resto del Gop, capace solo di blandire i ragazzini e ballare al fianco di Tony Scalia, in una gioiosa esaltazione dell’Angelo della Luce [Lucifero]. “Veterans Today” è per la maggior parte un club di bravi ragazzi ma, per quanto riguarda le pubblicazioni, lo staff di Vt è composto più da ‘Bar Fighters’ [combattenti da bar] che da ‘Bible Thumpers’ [coloro che considerano la Bibbia uno strumento per attaccare gli altri e non la guida per una vita corretta]. Ci sono delle verità in quello che stiamo dicendo, per la memoria di cui siamo portatori e che speriamo di condividere con tutti gli altri, mettendo gli orologi indietro fino all’epoca di presidenti ormai morti da molto tempo, come Roosevelt, Truman, Ike e gente simile, come ad esempio il primo ministro Churchill.Ma siamo ormai arrivati al momento della ‘ricreazione’ pomeridiana, del football consumato ‘out of the box’. Il pipistrello si è liberato dai legacci e ha messo fuori la testa, sul campo di gioco. Alcuni ragazzi sono rimasti indietro, giocano al ‘salto della corda’ con le ragazze sviluppando quelle capacità che altri vorrebbero aver guadagnato. Altri invece si sono attaccati alle gonne delle insegnanti in attesa del suono della campanella, che consentirà loro di tornare alla sicurezza e al calore delle loro scrivanie. Sono proprio quest’ultimi, coloro che non hanno mai fatto una scelta, che non hanno mai battuto troppi sentieri, sono proprio costoro i nostri leader nazionali. Se guardiamo ai candidati del Gop, a Jeb, a Kasish, a Cruz, a Rubio o a Trump, anche a Romney, ebbene sono proprio loro ‘quei ragazzi’, quelli di cui ci eravamo scordati e che sono riapparsi nella nostra vita come una vile pugnalata alle spalle, con le loro facce che sorridono alle organizzazioni criminali. Ditemi voi se mi sto sbagliando.(Gordon Duff, “Solo una goccia d’intelligenza”, da “Veterans Today” del 3 marzo 2016, tradotto da “Come Don Chisciotte”. Veterano del Vietnam, Duff è un prestigioso analista internazionale, molto popolare anche sui media).Ho appena finito di farmi una barba lunga così ascoltando Mitt Romney e Donald Trump. Cominciamo allora dal livello di assurdità che li distingue: ai tempi della guerra in Vietnam sono stati entrambi degli spregevoli renitenti alla leva. Nel corso della loro vita hanno avuto entrambi dei forti legami con il crimine organizzato. Hanno entrambi ereditato le loro fortune personali, poi incrementate fregando gli altri. Affrontiamo inoltre un’altra verità a lungo dimenticata: il Gop è interamente gestito da Sheldon Adelson, un boss del gioco d’azzardo di Macao, con una storia di cui non possiamo cominciare a discutere sperando poi di poter entrare in una macchina senza l’aiuto di una squadra di artificieri. Ad aiutarli ci sono i ‘gemelli malvagi’, i fratelli Koch, dei mostri indescrivibili. Guidano il Partito Repubblicano e possono evitare di essere considerati come ‘criminalità organizzata’ solo perché sono più grandi e potenti del tradizionale ‘crimine organizzato’, oltre che molto più pericolosi.
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Padroni stranieri per l’Italia, un paese creato per obbedire
L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze, quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro. L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini (del resto, lo Stato unitario italiano nasce per interesse e intervento di Londra e Parigi).Ahi serva Italia! I rari tentativi di ribellione e di difesa di interessi nazionali sono stati repressi con ogni mezzo, compreso l’omicidio (vedi il caso di Enrico Mattei) e il downrating (vedi il caso Berlusconi). Questa condizione millenaria di asservimento allo straniero, in particolare il fatto che i governanti italiani rispondono a interessi stranieri piuttosto che a interessi nazionali (tolti quelli forti, cioè la Chiesa e le mafie), impedisce il nascere di una coscienza nazionale, di una visione politica di lungo termine e di una classe politica con adeguata competenza: avendo la funzione di trasferire risorse dagli italiani a potentati stranieri, la classe dirigente italiana necessariamente è composta di ladri professionali con mentalità di ladri e compari tra loro. Infatti è connotata, complessivamente, da incapacità, nepotismo, corruzione, abuso, servilismo. Il suo orizzonte operativo è di breve o brevissimo termine. Non si cura di programmare. Vive e ruba alla giornata. Ogni governo fantoccio è un governo di ladri.La popolazione percepisce queste caratteristiche del potere, e si adegua, ricorrendo all’arrangiarsi, al clientelismo, all’evasione fiscale, etc. Da qui derivano il basso senso civico e la sfiducia verso le leggi e la loro abituale trasgressione, da parte delle istituzioni prima ancora che dei cittadini. Il pesce puzza dalla testa. La decadenza di un siffatto sistema-paese è geneticamente predeterminata. Gli esempi di scelte eseguite da governi e presidenti italiani su ordine straniero e contro gli interessi nazionali sono abbondanti e macroscopici. Ne citerò alcuni che mi paiono particolarmente significativi:- L’adesione a tre successivi sistemi di blocco dei tassi di cambio, di cui l’ultimo si chiama “euro”, tutti molto dannosi per l’Italia e molto vantaggiosi per i paesi del Nord Europa; i primi due sono già saltati dopo aver cagionato disastri. Tutti ci hanno inflitto deindustrializzazione e indebitamento, apportando per contro sviluppo e attivo commerciale ai paesi forti. Tutti hanno aumentato il divario rispetto a questi paesi, sotto la promessa di ridurlo.- L’accettazione di scelte europee in materie monetarie, bancarie e fiscali che consentono ai paesi forti di violare le regole a cui invece deve sottostare l’Italia – vedi il sistema bancario tedesco, cui è concesso di usare leve multiple di quelle italiane e di ricevere aiuti di Stato – congiuntamente al fatto che all’economia italiana viene negato l’uso di strumenti finanziari che invece sono disponibili ai paesi forti dell’Ue, i quali quindi possono fare shopping e concorrenza sleale nei confronti dell’Italia, lo si sente!- La partecipazione alla guerra contro la Libia, imposta via Quirinale a Berlusconi poco dopo la conclusione di un trattato di pace vantaggioso per l’Italia, e voluta nell’interesse di Regno Unito e Francia, a danno dall’Italia, che, per effetto della guerra, ha perso quote di risorse petrolifere a favore di quei due paesi, e inoltre si ritrova l’Isis a soli 80 km e un flusso disastroso di migranti.- L’imposizione, sempre via Quirinale, come premier di Monti, che ha irrimediabilmente spezzato le gambe all’economia nazionale soprattutto dove competitiva con quella tedesca, e ha trasferito decine di miliardi spremuti dagli italiani mediante tasse folli per assicurare a banchieri tedeschi e francesi i profitti delle loro speculazioni criminali in Spagna e Grecia.- La demenziale adozione del principio di pareggio di bilancio in periodo di recessione, che automaticamente determina la rarefazione monetaria (perché per realizzare un avanzo primario il governo estrae dal paese più soldi di quanti ne reimmetta, svuotandolo di liquidità), quindi insolvenze, licenziamenti, morie aziendali e avvitamento recessivo.- La irragionevole adozione del bail-in, cioè del principio che, se una banca va male (di solito perché i suoi gestori hanno mangiato), anziché farla salvare dalla banca centrale a costo zero e punire i colpevoli, le perdite si scaricheranno su azionisti, obbligazionisti e risparmiatori – principio che mina alla base la fiducia nelle banche stesse e le rende tutte più deboli, perché adesso chi vuole investire nel capitale azionario di una banca o nelle sue obbligazioni sa che rischia di più, e richiederà tassi più alti.Queste cose non sono novità dell’Europa Unita, ma la prosecuzione del trattamento già riservato all’Italia a Versailles nel 1919. Alla conferenza di Versailles, che definiva i nuovi assetti alla fine della Prima Guerra Mondiale spartendo tra i vincitori territori e colonie dei vinti, il premier francese Georges Clemenceau, soffrendo di prostatite e vedendo il premier italiano, Vittorio Emanuele Orlando, piangere spesso e a dirotto, disse: «Ah, magari potessi urinare così copiosamente come Orlando piange!». Perché Orlando piangeva tanto? Perché il governo italiano, nel 1915, aveva deciso di partecipare alla guerra, che sarebbe costata un alto prezzo di morti, feriti e spese, allo scopo, sancito dal Trattato di Londra del medesimo anno, di far salire di grado l’Italia, di farla equiparare alle nazioni di prima classe; ma, al contrario, l’Italia fu trattata male da Usa, Gran Bretagna e Francia in termini di dazi per le sue esportazioni, e fu esclusa dalla spartizione delle colonie tedesche e dei territori tolti all’Impero Ottomano, cioè fu esclusa da importanti fonti di materie prime nonché sbocchi per la sua sovrappopolazione, e rimase una paese di seconda classe.Anzi, divenne un paese di terza classe, perché gli Usa, usciti dalla Grande Guerra come grandi creditori dell’Europa, in quel dopoguerra assunsero l’egemonia mondiale, spingendo nella seconda classe le vecchie potenze europee, e in terza il Belapaese. La Seconda Guerra Mondiale, col successivo piano Marshall e con l’europeismo, ha radicalizzato questa scomoda posizione di sub-subalternità di questo paese, che deve piegarsi agli interessi di due livelli di paesi padroni, e restare militarmente occupato dagli Usa anche dopo la fine della minaccia “comunista”. All’interno dell’Italia, ancora più sottomessi e sfruttati sono Veneti e Lombardi, che devono cedere buona parte del loro reddito per sostenere il meridione e Roma. Emigrare è quindi la scelta razionale più adatta per chi può farlo.Ps: l’Italia attuale non è una colonia: non ne ha le caratteristiche giuridiche e funzionali perché nessuna potenza straniera si assume la responsabilità di governarla direttamente né manda coloni. Essa è bensì oggetto di imperialismo, che impone governi fantocci e politiche di suo vantaggio, mantenendola inefficiente come sistema-paese. Per funzionare, un paese strutturalmente inefficiente come l’Italia (Meridione inguaribilmente arretrato, mentalità parassitaria, burocrazia e partitocrazia marce, livello scientifico e culturale basso, popolazione vecchia) avrebbe bisogno di quello che aveva prima dell’Euro e prima del 1981, ossia di molta liquidità e molti investimenti pubblici a basso costo: è come un motore vecchio che brucia molto olio: bisogna rabboccarlo continuamente, altrimenti grippa.(Marco Della Luna, “Italia, subalternità e corruzione”, dal blog di Della Luna del 20 febbraio 2016).L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze, quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro. L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini (del resto, lo Stato unitario italiano nasce per interesse e intervento di Londra e Parigi).
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Privatizzare la Russia: assalto a Putin, da Usa e oligarchi
Assalto al Cremlino, usando il grimaldello delle privatizzazioni per ingolosire gli oligarchi: domani, quando l’economia russa dovesse riprendersi (archiviate le sanzioni Usa-Ue), i ricchi saranno ricchissimi, e lo Stato avrà perso il suo potere. E’ la tesi avanzata dall’economista democratico statunitense Michael Hudson e da Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. La notizia: alcuni funzionari russi stanno discutendo, da ormai due anni, un piano per la maxi-privatizzazione di grandi imprese strategiche statali, tra cui la compagnia petrolifera Rosneft, la Vtb Bank, le Ferrovie Russe e la compagnia aerea di bandiera, l’Aeroflot. Obiettivo dichiarato: ottimizzare il management, oltre che indurre gli oligarchi a invertire la ventennale emorragia di capitali dal paese per tornare a investire nell’economia di Mosca. Ma le prospettive economiche russe sono peggiorate dal momento in cui gli Stati Uniti hanno spinto l’Occidente a imporre sanzioni economiche contro il paese, e anche per il crollo del prezzo del petrolio. Ciò ha reso l’economia russa meno attraente per gli investitori esteri. Così, la vendita di queste compagnie avverrà oggi a prezzi verosimilmente molto più bassi rispetto a quelli che sarebbero stati nel 2014.Nel frattempo, scrivono Hudson e Craig Robert in un’analisi su “Counterpunch” tradotta da “Come Don Chisciotte”, la combinazione fra debito in crescita e deficit della bilancia dei pagamenti ha fornito ai sostenitori delle privatizzazioni un ulteriore argomento per insistere con le dismissioni. Motivo addotto: la Russia non potrebbe monetizzare il proprio deficit, ma deve vendere le sue risorse migliori per sopravvivere. «Noi vogliamo mettere in guardia la Russia dall’accettare questa nefasta argomentazione neoliberista», scrivono i due economisti. «Le privatizzazioni non aiuteranno a re-industrializzare la Russia, ma ne aggraverebbero la trasformazione in una “economia di rendita” nella quale i profitti vanno a beneficio di proprietari stranieri». Per cautelarsi, Putin ha posto una serie di condizioni per scongiurare che le nuove privatizzazioni avvengano come le disastrose svendite dell’era Eltsin: stavolta gli asset non verrebbero venduti a prezzo di saldo, ma rispecchierebbero l’eventuale valore reale. E le aziende cedute resterebbero sotto la giurisdizione russa: gli investitori stranieri potranno partecipare, ma non scavalcare le regole russe, tra cui i vincoli per mantenere i capitali nel paese.«Putin ha saggiamente evitato la vendita della maggiore banca russa, la Sberbank, che detiene gran parte dei depositi privati nazionali: l’attività bancaria evidentemente resta un servizio principalmente pubblico – come dovrebbe – vista la capacità di creare moneta-credito, che la rende un monopolio naturale e intrinsecamente pubblica nel carattere». Nonostante queste precauzioni, però, «vi sono serie ragioni per non procedere con le privatizzazioni appena annunciate», che avverrebbero «in condizioni di recessione economica dovuta ai bassi prezzi del petrolio e alle sanzioni occidentali». L’alibi sarebbe la copertura del deficit di bilancio nazionale? «Questa scusa mostra come la Russia non si sia ancora ripresa dal disastroso mito, occidentale e atlanticista, che essa debba dipendere dalle banche estere e dai detentori di bond per creare moneta, come se la banca centrale russa non possa fare ciò da sé, tramite la monetizzazione del disavanzo di bilancio», obiettano Hudson e Craig Roberts. «La monetizzazione del deficit di bilancio è esattamente quello che ha fatto il governo degli Stati Uniti e ciò che si faceva presso le banche centrali occidentali nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale».La monetizzazione del debito è una pratica comune in Occidente: i governi possono agevolare la ripresa economica creando moneta. Molto meglio che far indebitare il paese verso creditori privati, che poi «prosciugano il finanziamento del settore pubblico attraverso l’emorragia del pagamento di interessi a creditori privati». Perché mai ricorrere alla finanza privata, quando può essere la banca centrale a creare finanziamento pubblico? «Gli economisti russi, tuttavia, sono stati indottrinati dal credo occidentale che solo le banche commerciali possano creare denaro, e che i governi per procurarsi le risorse debbano emettere dei buoni sui quali alla scadenza pagheranno degli interessi». Questa deformazione della finanza pubblica “privatizzata” «sta portando la Russia sullo stesso sentiero che ha portato l’Europa ad un’economia in stato comatoso». Attraverso la privatizzazione della creazione del credito, infatti, «l’Europa ha trasferito la propria pianificazione economica dai governi democraticamente eletti al settore bancario». La Russia? «Non ha bisogno di accettare questa filosofia economica orientata alla rendita, che può mandare in dissesto le finanze pubbliche di una nazione». Infatti, i neoliberisti non la promuovono certo per aiutare la Russia, «ma per metterla in ginocchio».Essenzialmente, spiegano i due analisti, quei russi cosiddetti “integrazionisti atlantici”, cioè alleati dell’Occidente, «puntano a sacrificare la sovranità della Russia per integrarla nell’impero occidentale», e così «utilizzano il neoliberismo per “intrappolare” Putin e annientare il controllo della Russia sulla propria economia, un elemento che Putin aveva ripristinato dopo gli anni di Eltsin nei quali la Russia era stata depredata da interessi stranieri». Nonostante il Cremlino sia riuscito a ridurre il potere degli oligarchi creato dalle privatizzazioni di Eltsin, il governo ha comunque bisogno di mantenere importanti imprese statali, proprio per controbilanciare il potere economico degli oligarchi. «La ragione per cui i governi costruiscono ferrovie e altre infrastrutture di base è quella di abbassare i costi basilari per vivere e lavorare. Lo scopo delle “corporation private” – di contro – è invece quello di aumentare tali costi quanto più possibile». Questa viene definita “estrazione di rendita”: «I proprietari privati impongono dazi per aumentare il costo del servizio di un’infrastruttura che viene privatizzata». Di fatto, «è l’opposto di quello che gli economisti classici definiscono come “libero mercato”».In base a un accordo di cui si parla, gli oligarchi «acquisiranno delle quote di compagnie statali con il denaro delle precedenti privatizzazioni nascosto all’estero, e faranno un altro “affare del secolo” quando l’economia russa si riprenderà abbastanza da consentire profitti corposi». Problema: «Quanto più potere economico si sposta dalle mani pubbliche al privato, minore è il potere del governo di controbilanciare gli interessi privati». Per questo, «nessuna privatizzazione dovrebbe essere consentita, in questa fase», e ancor meno si dovrebbe consentire «l’acquisizione di asset nazionali russi da parte di stranieri». Ma il rischio esiste: «Al fine di guadagnare un pagamento immediato in valuta estera, il governo russo cederà agli stranieri il flusso dei futuri guadagni che verranno ricavati in Russia e mandati all’estero». Attenzione: «Vendere degli asset pubblici in cambio di un pagamento in un’unica soluzione è quello che ha fatto l’amministrazione della città di Chicago quando ha ceduto per 75 anni la gestione dei parcheggi pubblici in cambio di una cifra corrisposta immediatamente. Sacrificando le entrate pubbliche, l’amministrazione di Chicago ha risparmiato le proprietà immobiliari e le ricchezze private dalla tassazione e ha inoltre consentito alle banche di investimento di Wall Street di fare una fortuna», spingendo però la città verso la bancarotta.«Nessuna sorpresa che gli atlantisti auspichino una sorte simile alla Russia», scrivono Hudson e Craig Roberts. «Usare le privatizzazioni per coprire un problema di bilancio di breve termine, ne porta invece uno di lungo termine. I profitti delle compagnie russe fluirebbero fuori dal paese, riducendo il tasso di cambio del rublo. Se i profitti vengono generati in rubli, questi possono essere cambiati in dollari nel mercato dei cambi. Ciò deprimerà il tasso di cambio del rublo aumentando il valore relativo del dollaro. In sostanza, consentire a degli stranieri di acquisire delle risorse statali della Russia, li aiuterebbe a speculare contro il rublo». Inoltre, anche i nuovi proprietari russi degli asset privatizzati potrebbero mandare all’estero i loro profitti. «Almeno, il governo russo si rende conto che dei proprietari soggetti alla giurisdizione russa vengono disciplinati più facilmente rispetto a dei proprietari in grado di controllare le aziende dall’estero e di tenere il loro capitale attivo a Londra o in altri centri finanziari (tutti soggetti alla pressione diplomatica Usa e alle sanzioni della Nuova Guerra Fredda)».A monte, comunque, il governo russo dovrebbe finanziare i propri deficit di bilancio semplicemente attraverso «la banca centrale che crea il denaro necessario, così come fanno gli Usa e la Gran Bretagna». Al contrario, «alienare per sempre dei flussi di ricavi futuri per coprire solo il deficit di un anno», secondo Hudson e Craig Roberts, «è la strada per l’impoverimento e la perdita dell’indipendenza politica ed economica». La globalizzazione? «E’ stata inventata come uno strumento dell’impero americano». La Russia se ne dovrebbe difendere, piuttosto che aprirvisi. E le privatizzazioni «sono il mezzo per minare la sovranità economica e accrescere i profitti tramite l’aumento delle tariffe». Che se ne rendano conto o meno, concludono i due analisti, gli economisti neoliberisti di Mosca si comportano «come le Ong finanziate dall’Occidente», che «agiscono in Russia come una quinta colonna contro l’interesse nazionale». In altre parole, «la Russia non sarà al riparo dalla manipolazione occidentale fino a quando la propria economia non sarà impermeabile ai tentativi da parte dell’Occidente di piegarla ai propri interessi piuttosto che a quelli nazionali».Assalto al Cremlino, usando il grimaldello delle privatizzazioni per ingolosire gli oligarchi: domani, quando l’economia russa dovesse riprendersi (archiviate le sanzioni Usa-Ue), i ricchi saranno ricchissimi, e lo Stato avrà perso il suo potere. E’ la tesi avanzata dall’economista democratico statunitense Michael Hudson e da Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. La notizia: alcuni funzionari russi stanno discutendo, da ormai due anni, un piano per la maxi-privatizzazione di grandi imprese strategiche statali, tra cui la compagnia petrolifera Rosneft, la Vtb Bank, le Ferrovie Russe e la compagnia aerea di bandiera, l’Aeroflot. Obiettivo dichiarato: ottimizzare il management, oltre che indurre gli oligarchi a invertire la ventennale emorragia di capitali dal paese per tornare a investire nell’economia di Mosca. Ma le prospettive economiche russe sono peggiorate dal momento in cui gli Stati Uniti hanno spinto l’Occidente a imporre sanzioni economiche contro il paese, e anche per il crollo del prezzo del petrolio. Ciò ha reso l’economia russa meno attraente per gli investitori esteri. Così, la vendita di queste compagnie avverrà oggi a prezzi verosimilmente molto più bassi rispetto a quelli che sarebbero stati nel 2014.
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Katherine Frisk: il Diavolo veste Prada e siede in Vaticano
Il Vaticano è il prototipo di un’entità fascio-corporativa. Non risponde né paga le tasse a nessuno. I suoi vescovi e i suoi sacerdoti hanno l’immunità diplomatica in tutto il mondo. Ha le sue ambasciate e possiede più beni immobili di qualsiasi altra entità del pianeta. Non ha mai avuto a che fare con Dio, Gesù o il cristianesimo …. ma con il potere, il controllo e la ‘moda’. Il Vaticano ha rilevanti partecipazioni in tutte le più grandi aziende multinazionali, come ad esempio la Lockheed-Martin e la Bank of America. Ma chi e che cosa è davvero il Vaticano? Cosa si nasconde dietro agli ‘uomini eletti’ [i Papi] che calzano scarpe rosse fatte da Prada (il Diavolo veste Prada)? Una fra le più grandi reti pedofile presenti sul pianeta, un’industria attiva nel riciclaggio del denaro e nella gestione del commercio illegale dei farmaci e delle armi. Il Vaticano è una ‘copertura’ per la ‘nobiltà nera’ d’Europa, per i banchieri sionisti e per la setta wahhabita controllata dalla famiglia reale saudita.Non crede nella democrazia e certamente non nelle strutture democratiche di una Repubblica. Sostiene il monopolio, la tirannia politica, l’egemonia e le strutture di tipo gerarchico. I suoi Tribunali sono delle ordalie [il ‘giudizio di Dio’] e non dei luoghi dove i testimoni, sotto la propria responsabilità, possono parlare liberamente. Negli ultimi 1.000 anni il Vaticano si è sempre posto l’obiettivo di fagocitare la Russia, che invece è rimasta cristiano-ortodossa – a dispetto dell’invasione comunista finanziata dai banchieri di Wall Street – e non ha ceduto alla dittatura del Papa né alla sua pretesa di possedere tutto il pianeta, con tutti i suoi corpi e tutte le sue anime. Una Chiesa Apostolica basata su tutti i suoi dodici discepoli – e non del solo Pietro, che è l’unica persona che la Bibbia considera al livello di Satana – è più in linea con il concetto di Federazione di Stati, di Repubblica e di democrazia.Gli spagnoli, ai tempi dell’Inquisizione e dell’ascesa dei Gesuiti, hanno esplorato e colonizzato il Nuovo Mondo, in particolare il Sud America. Nel 20° secolo, in tutto il Continente, abbiamo regolarmente assistito alla soppressione della volontà popolare per mezzo delle violente dittature fasciste, con la ‘mano nascosta’ della Cia, forzata dal Vaticano, a svolgere un ruolo di primo piano. C’è ancora chi sta cercando di divorarsi la Russia – oggi come negli ultimi 1.000 anni – ma c’è anche chi ha preferito trasferirsi, poco a poco, nei paesi del Sud America, portando con sé le sue ricchezze. Queste persone hanno anche generato – utilizzando le ampie risorse del Vaticano – un Nuovo Ordine Mondiale, prototipo del fascismo corporativo, sotto l’egida degli accordi per il Tpp [Trans Pacific Partnership] e per il Ttip [Transatlantic Trade and Investment Partnership]. Il Vaticano, che una volta era il loro ‘pane-e-burro’, si è ora ampliato trasformandosi in quello che è conosciuto come il ‘Vampire Squid’. Una piovra costituita da multinazionali i cui tentacoli abbracciano tutto il mondo.Sotto il regime del Tpp e del Ttip le multinazionali diventeranno esse stesse, analogamente al Vaticano, una specie di Stato, con i loro Tribunali segreti, le loro immunità diplomatiche ed il loro status di aziende esentasse. Avranno gli stessi diritti e gli stessi poteri dei governi. Potranno anche citarli in giudizio per le perdite di reddito conseguenza di Leggi da loro emanate sulla remunerazione del lavoro, sulla sanità e sull’ambiente …. in realtà su qualsiasi Legge governativa che le multinazionali vedessero come un ostacolo alla loro redditività. La Nobiltà Nera, i Gesuiti, gli Illuminati ed i Banchieri Sionisti cambieranno come camaleonti … anzi, lo hanno già fatto. Sono diventati gli Amministratori Delegati delle multinazionali e si sono liberati con successo degli stati-nazione, dei troni sui quali una volta erano seduti, degli altari che una volta servivano come sacerdoti ed infine delle Banche Centrali che un tempo controllavano. Scusate ragazzi, ma il cavallo è già scappato dalla stalla.Negli ultimi 500 anni hanno rubato tutto l’oro che potevano e l’hanno immagazzinato in impianti privati di cui non si sa nulla, lasciando i paesi di tutto il mondo con ‘sistemi bancari centrali’ ormai pressoché defunti, in bancarotta. Il Vaticano diventerà una ‘chiesa povera’ semplicemente perché tutta la sua ricchezza ha già da tempo lasciato l’Italia, insieme a tutto l’oro che era nelle sue catacombe, alle sue opere d’arte e alla sua biblioteca. Oggi, tutto ciò che si vede in Vaticano è una replica. Il ‘vero potere’ del Vaticano ha da tempo lasciato libero l’edificio. Ora siede nei Consigli d’Amministrazione, traccia e pianifica la piena attuazione del Tpp e del Ttip e, se incontra delle difficoltà lungo la strada, scatena ‘rivoluzioni colorate’, tsunami, terremoti e siccità, per convincere le varie nazioni a rientrare nei ranghi. Si tratta, fra l’altro, di crimini contro l’umanità che dovrebbero essere affrontati in un ‘Tribunale di Diritto Internazionale’. I suoi responsabili dovrebbero essere indagati, processati e condannati.Avendo fallito in almeno tre occasioni di prendersi la Russia – Napoleone e le due Guerre Mondiali, ma anche la guerra in Ucraina del 2014 e i patetici tentativi degli anni ’90, attuati attraverso delle guerre economiche – [il vero potere] ha ora deciso di scaricare l’Europa nel suo complesso, per approdare nei più salubri climi del sud del mondo. E, come al solito, farà in modo che tutto questo sembri colpa di qualcun altro. In ogni caso è questo il loro piano. Da qui il finanziamento di Soros ai ‘profughi’ diretti in Europa e la promessa fatta ai wahabiti [sauditi] che la fallita invasione [a suo tempo tentata] dall’Impero Ottomano potrà ora aver luogo. I musulmani saranno chiamati invasori, colonizzatori … e saranno la causa principale della distruzione della società europea per come la conosciamo. Ma le cose potrebbero risultare del tutto diverse da come [il vero potere] se le aspetta.Per gli europei la soluzione migliore, se vogliono sopravvivere, è di chiudere le frontiere, rifiutare di firmare il Ttip e poi andare verso Est unendosi all’Aiib [Asian Infrastructure Investment Bank] e ai Brics. Si tratta di un ‘caval donato’, non stiano a ‘guardare in bocca’. Dovrebbe tenere la Monsanto fuori dall’Europa e rimandare i ‘profughi’ da Soros con un biglietto di sola andata! Egli è così ricco che potrà senz’altro accoglierli, nutrirli e vestirli. Egli li ha finanziati, in primo luogo, perché potessero andare in Europa …. ed allora rimandateglieli indietro. Dopo secoli di tirannia del Vaticano gli europei diventeranno liberi. Dite ciao alla Nobiltà Nera, ai Gesuiti ed ai banchieri sionisti perché stanno imbarcandosi su aerei diretti in Sud America. Vi siete liberati di loro. Mille anni di persone inviate al rogo sono stati veramente troppi. Papa Francesco ha fondamentalmente chiuso bottega e il Vaticano è ormai un guscio vuoto. Lui non calza scarpe Prada e sta dando una rappresentazione del ruolo che contrasta con quella di Papa Benedetto, che sedeva su un Wc dal coperchio d’oro. Ma il suo è solo fumo negli occhi, baby!Polonia, Ungheria, Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia si sono già svegliate. Si muovono verso Est ed hanno gettato nella discarica le politiche di Bruxelles. Questi paesi sono stanchi di essere usati ed abusati, di essere scaraventati in mezzo a guerre che hanno attraversato e distrutto il Continente, mentre coloro che le hanno istigate se ne vanno via con le tasche piene, dopo aver devastato le popolazioni. L’Ungheria, nella sua saggezza, ha bruciato i campi Ogm della Monsanto e ha sradicato questa multinazionale dal paese. Seguirà presto il resto dell’Europa. L’Ucraina Orientale diventerà uno Stato indipendente. La Polonia e l’Ungheria reclameranno quello che originariamente era il loro territorio e la giunta nazi-sionista di Kiev resterà isolata in un piccolo Stato. Chi è che ha bisogno di quei mostri? Il mondo intero, nel 2014, ha visto i loro barbari stupri, le loro ruberie ed i loro saccheggi. La Germania andrà presto verso Est, così come la Francia.Per quanto riguarda la Spagna, il paese è ancora legato al Sud America da un cordone ombelicale, analogamente alla Nobiltà Nera e a quello che una volta era il Vaticano, ma ora solo il grande ‘Vampire Squid’. Chissà come andrà a finire? La Turchia sta scavandosi la tomba con le proprie mani, minacciando la Russia nel nord della Siria. Dovesse persistere, il paese sarà suddiviso tra Armeni, Curdi e Cristiani Ortodossi d’Occidente. Quello che sarà lasciato alla Turchia sarà solo un territorio di lieve entità. Mi aspetto anche che Costantinopoli e la Basilica di Santa Sofia siano restituite alla Grecia, paese cui appartengono. E così l’Apocalisse sarà compiuta. Questo è quello che, a torto o a ragione, son riuscita a capire. Io sono solo una donna [nel senso di ‘essere umano’] e mi riservo di conseguenza il diritto di cambiare idea in qualsiasi momento. Il tempo dirà se ho avuto o meno ragione.(Katherine Frisk, “Il diavolo veste Prada – il fascismo, il Vaticano e il 21° secolo”, da “Veterans Today” del 23 gennaio 2016, tradotto da “Come Don Chisciotte).Il Vaticano è il prototipo di un’entità fascio-corporativa. Non risponde né paga le tasse a nessuno. I suoi vescovi e i suoi sacerdoti hanno l’immunità diplomatica in tutto il mondo. Ha le sue ambasciate e possiede più beni immobili di qualsiasi altra entità del pianeta. Non ha mai avuto a che fare con Dio, Gesù o il cristianesimo …. ma con il potere, il controllo e la ‘moda’. Il Vaticano ha rilevanti partecipazioni in tutte le più grandi aziende multinazionali, come ad esempio la Lockheed-Martin e la Bank of America. Ma chi e che cosa è davvero il Vaticano? Cosa si nasconde dietro agli ‘uomini eletti’ [i Papi] che calzano scarpe rosse fatte da Prada (il Diavolo veste Prada)? Una fra le più grandi reti pedofile presenti sul pianeta, un’industria attiva nel riciclaggio del denaro e nella gestione del commercio illegale dei farmaci e delle armi. Il Vaticano è una ‘copertura’ per la ‘nobiltà nera’ d’Europa, per i banchieri sionisti e per la setta wahhabita controllata dalla famiglia reale saudita.
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Guerra: l’Italia torna nella Libia che abbiamo ceduto all’Isis
La nuova guerra di Libia della Nato è già iniziata con le azioni di commando e i voli sotto copertura. Tra breve l’intervento militare esplicito verrà dichiarato e l’Italia sarà in prima fila. Le pressioni di questi giorni del governo Usa e di quello della Francia servono a superare dubbi tattici ed elettorali, non a imporre una scelta che il governo italiano ha già preso. Il coinvolgimento militare del nostro paese in tutti gli scenari e gli impegni di guerra della Nato è sempre più esteso, in Asia, Africa, Europa. Come ha vantato Renzi l’Italia è tra i primi paesi al mondo per truppe all’estero. Ultimo annuncio quello dell’invio di centinaia di soldati in Iraq per difendere affari privati nella costruzione di una diga. Più cresce l’impegno militare all’estero, più il territorio del paese è militarizzato. Dal Muos al Trident, dalle servitù militari antiche a quelle modernissime, dalla Sicilia e dalla Sardegna a tutta la penisola, l’inquinamento militare dilaga. Fino alla terribile decisione di installare bombe nucleari di nuova generazione nel Friuli e nel bresciano. Bombe nuove perché studiate per essere davvero usate in qualche guerra umanitaria, invece che essere conservate per pura deterrenza.
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Nazionalizzare il denaro, l’unica rivoluzione per noi schiavi
Noi uomini siamo portati a pensare che sia possibile risolvere un problema, una crisi, un’ingiustizia, attraverso un’azione collettiva delle persone interessate e consapevoli. Se scopriamo quello che ci sembra essere la causa di un grave male che affligge la società (questa causa potrebbe essere il signoraggio o un certo uso delle onde elettromagnetiche o i vaccini o le registrazioni anagrafiche, tanto per fare qualche esempio), siamo portati a pensare che, diffondendo la consapevolezza di questa nostra scoperta fondamentale, susciteremo una reazione collettiva e coordinata dei nostri simili che potrà risolvere il problema dal basso, con un’azione di massa, magari rivoluzionaria. Solo che tale reazione collettiva e coordinata, nel mondo reale, non vuole partire: il grosso della popolazione non si interessa, se si interessa non capisce, se capisce presto dimentica, se non dimentica comunque non si coordina e non agisce. Questa è l’umanità reale, con i suoi reali comportamenti. Mi obietterete che però, di fatto, l’umanità è capace di fare rivoluzioni. Lo ha dimostrato. Avete ragione.L’attuale situazione della società è veramente molto grave e con pessime prospettive, soprattutto perché la cosiddetta crisi economica appare ormai chiaramente come uno strumento volontariamente attivato e mantenuto per concentrare il reddito e la ricchezza, ma anche il potere politico, nelle mani di pochi grandi finanzieri che si deresponsabilizzano celandosi dietro istituzioni politiche ufficiali che essi hanno svuotato di potere effettivo; e al contempo per far accettare alla gente di avere meno diritti, meno libertà, meno dignità, meno benessere, e di essere governata da lontano e da soggetti irresponsabili. Insomma è una crisi indotta a scopi di ingegneria sociale. Appare altrettanto chiaro che, pertanto, non è possibile risolverla per le vie interne dell’ordinamento giuridico nazionale o internazionale, cioè ad esempio attraverso le elezioni e i parlamenti, dato che esse sono interamente controllate dall’oligarchia al potere su scala globale. Quindi solo un’azione rivoluzionaria dal basso, una rivoluzione popolare, parrebbe idonea a risolvere il problema.Lo conferma il fatto che sono rimasti e rimangono completamente inascoltati, anche di fronte all’avverarsi delle loro previsioni, gli autorevoli economisti che, dagli anni ’70 ad oggi, hanno preavvertito le istituzioni dei disastri che sarebbero stati causati dalle riforme monetarie e bancarie in cantiere, perché hanno proposto e stanno proponendo rimedi razionali. Sono rimasti inascoltati perché parlavano dal punto di vista dell’interesse collettivo, non di quello dell’élite decidente. Molto semplice. Ed eccoci ritornati all’opzione rivoluzionaria. Ma questa opzione deve fare i conti con i dati della realtà storica seguenti. Pensiamo alle grandi rivoluzioni popolari: quella francese, quella sovietica, quella cinese, quella nazista, quella khomeinista in Persia. Tutte sono avvenute a furor di popolo, il popolo si aspettava di risolvere i suoi problemi, ma le cose sono andate diversamente, nel senso che il popolo ha subito un forte peggioramento della sua situazione.In Francia, dopo la rivoluzione, vi fu un ventennio di stragi, con il periodo del Terrore, poi delle guerre contro le coalizioni monarchiche, poi delle guerre napoleoniche, e intere generazioni di giovani furono annientate sui campi di battaglia. Alla fine, in Francia ritornò la monarchia – non è buffo? – e per giunta la Francia si ritrovò subalterna al Regno Unito, cioè perse la sua indipendenza politica. Certo, la rivoluzione francese pose fine al feudalesimo e mise al potere il capitalismo. Negli altri esempi citati, sappiamo tutti che cosa avvenne a quelle nazioni dalle loro rivoluzioni popolari in termini di guerre, distruzioni, dittature, arretratezza. Alle volte, in periodi di acuta crisi, nei quali era evidente una qualche particolare causa della crisi, gli interessi collettivi hanno ottenuto riforme a loro tutela contro gli interessi delle classi sfruttatrice dominanti. Cito come esempi le riforme dei Gracchi nella Roma antica e il Glass-Steagall Act a seguito della crisi del ’29, entrambe tese a porre freno al saccheggio della società da parte della classe finanziaria.Ma poi, in tutti i casi di questo tipo, le classi dominanti, attraverso una pianificazione politica di medio e lungo termine, con azione di lobbying e corruzione, approfittando della cronica distrazione del popolo, hanno sempre recuperato le posizioni perdute e hanno portato avanti i loro interessi contro la popolazione subalterna. Ciò avvenne al tempo dei Gracchi, ed è avvenuto anche ultimamente, con l’abolizione del Glass Steagall Act nel 1999 e tutta una serie di riforme del diritto finanziario e bancario, che hanno permesso le megafrodi bancarie con cui i banchieri hanno realizzato e stanno realizzando enormi profitti a danno della collettività anche oggi e praticamente senza mai pagare il fio. Gli interessi concentrati e consapevoli vincono su sempre su quelli diffusi, nel medio e lungo periodo. Di solito però già anche nel breve periodo.La via rivoluzionaria, nel mondo odierno, è peraltro impraticabile, sia perché l’oligarchia al potere a un enorme vantaggio tecnologico e militare su qualsiasi movimento popolare, disponendo non solo di argomenti ma anche di strumenti di monitoraggio e intervento capillari nella vita di ciascuno, il sogno di tutti i dittatori della storia; sia perché è un mondo interdipendente, perciò, quand’anche un paese insorgesse e se liberasse dai suoi oppressori finanziari e politici, verrebbe bloccato e messo in ginocchio nel giro di pochi giorni. Pensiamo inoltre che l’Italia è un paese e militarmente occupato dagli Stati Uniti con oltre 130 basi militari. E che dipende da forniture esterne per sopravvivere, innanzitutto dal petrolio, che si paga in dollari.Siamo insomma condannati a restare stabilmente in questa situazione e in questo trend peggiorativo, che ci porta verso abissi di insicurezza, di privazione di diritti e libertà, di invasione delle nostre vite da parte di un potere tecnologico incontenibile, entro un regime alla Orwell? Con ragionevole sicurezza, in base all’osservazione dei fatti storici, a questa domanda si può rispondere di no, poiché la storia ci mostra che i sistemi di potere, regni, imperi e repubbliche, così come le costituzioni e le condizioni giuridiche ed economiche, non sono mai stati stabili, non sono mai durati a lungo, soprattutto da quando l’umanità si è messa a commerciare e ha sviluppato varie tecnologie. Cioè da più di 25 secoli. Anche gli imperi apparentemente più solidi, più forti, più invincibili, sono crollati, si sono frantumati, perlomeno a causa di processi disorganizzati ivi interni. Senza bisogno di rivoluzioni popolari.Se esaminate per esempio la storia di Roma, dall’epoca monarchica a quella repubblicana a quella del principato e a quella del dominatus, cioè da Diocleziano in poi, vedrete che gli assetti costituzionali, economici, organizzativi, demografici, si trasformano incessantemente, e che le cose più costanti sono proprio i meccanismi che alimentano squilibri: la lenta demolizione dell’agricoltura e della popolazione in Italia, il trasferimento della ricchezza e del potere dall’aristocrazia terriera senatoriale alla classe finanziaria equestre, il travaso di oro da occidente a oriente (causato dal passivo della bilancia commerciale). Insomma, i grandi cambiamenti avvengono, sono sempre avvenuti, nella storia. Sono avvenuti non solo per effetto di azioni volontarie (collettive o individuali), ma pure e soprattutto per il concorso di forze e di processi molteplici, impersonali, perlopiù incompresi o fraintesi, perlopiù irresistibili, e solitamente con esiti diversi da quelli previsti, progettati, desiderati. Fattori di tipo climatico, economico, demografico o tecnico-scientifico. Pensate all’inaridimento delle fertili pianure nordafricane, al declino demografico della Grecia antica, al declino tecnologico dell’Impero romano, alla divaricazione economica operata dall’introduzione dell’euro tra i paesi che lo usano.Altra illusione abituale: l’uomo pensa che le cose continueranno ad andare in futuro nel modo in cui sono andate in passato, e mira sempre a raggiungere qualche assetto definitivo e sicuro, nel privato come nel pubblico: l’amore per sempre, il matrimonio indissolubile, il posto fisso, i diritti umani inalienabili, un’organizzazione statale perenne, definitiva, perfetta, come la repubblica progettata da Platone. O almeno destinata a durare 1000 anni, come il Reich vagheggiato da Hitler. Ma, al contrario, tutti gli assetti prodotti dall’uomo sono impermanenti, caduchi, transeunti, provvisori. Come l’uomo stesso. Tutto scorre, giustamente osserva Eraclito. Non riusciamo a stabilizzare un tubo. Il grande Cesare Ottaviano Augusto aveva capito i difetti strutturali del possente sistema-paese che governava, e cercò di correggerli, ma non vi riuscì, e come lui non vi riuscirono molti, a Roma e altrove.I grandi cambiamenti, le trasformazioni sistemiche, avvengono, ma solitamente sono molto diversi dai progetti di coloro che li causano: il divenire storico sfugge dal controllo e dalla pianificazione. Pensate per esempio alla I Guerra Mondiale: ognuna delle potenze che vi parteciparono aveva i suoi piani, le sue previsioni, le sue intenzioni, e tutte furono smentite dallo svilupparsi dei fatti. La guerra stessa assunse caratteri che nessuno aveva immaginato. Il suo esito fu… di innescare fascismo, nazismo e una seconda guerra mondiale. Invero, nessuno è mai riuscito a governare la storia, né a prevederla. Tanto meno ci sono riuscite le rivoluzioni popolari, le quali hanno bensì dato colpi e prodotto effetti, ma non gli effetti voluti e progettati, bensì gli altri e impreveduti – almeno per esse. Il comportamento collettivo è sempre miope e ottuso. I popoli non riescono a evitare fallimenti prevedibili.Anche l’attuale tecnocrazia globalizzata, come sistema di potere, è destinata a deteriorarsi, e a cadere, magari proprio perché primo poi le sfuggirà di mano la stessa tecnologia, che si sviluppa e moltiplica le sue capacità in modo praticamente è miracoloso – come Skynet della serie Terminator. Oppure forse cadrà per la sua contrarietà ai bisogni oggettivi, fisiologici, degli esseri umani: essa, guidata com’è dalla logica del bilancio, del rendimento annuale o comunque di brevissimo termine, sta forzando l’uomo e la comunità ad adattarsi a vivere secondo questo brevissimo termine, accettando la precarietà, la discontinuità, l’instabilità come caratteri di fondo dell’esistenza, e rinunciando alla sicurezza, alla progettabilità di lungo termine, alla stabilità, che sono esigenze oggettivamente insite nell’essere umano. E’ una violenza radicale e protratta, implementata attraverso il controllo delle istituzioni. Se scoppiamo, allora potremo dire davvero di essere noi il cambiamento. Oppure ancora è una catastrofe geofisica, climatica, ecologica, il fattore che sta per rimescolare le carte.La popolazione generale, anche buona parte di quelli con istruzione superiore, è consapevole del suo malessere, dell’insicurezza oggettiva in cui sempre più vive, di alcune malefatte compiute da certi potenti; ha una consapevolezza aneddotica, episodica, spesso personificata, dei mali del sistema; ma non è consapevole delle cause strutturali e non manifeste. Non saprebbe dove intervenire, anche potendo. Quindi, mi direte, tu stai dicendo che non c’è niente da fare, per uscire dall’attuale situazione, perché non abbiamo la capacità di correggerla, e del resto essa prima o poi finirà da sé. In effetti, più o meno è così. Più o meno, perché razionalmente e realisticamente ci sono alcune cose da fare, anche per cercare di fare in modo che l’uscita dall’attuale condizione sia verso una condizione non peggiore, magari migliore. Innanzitutto, bisogna fare cose per mettersi al riparo, per difendersi, a livello privato, personale. L’azione politica è pressoché inutile o controproducente, come dimostrano i casi di quei movimenti e di quei partiti che, dopo avere iniziato con grande promesse di rottura, o si sono spenti, oppure si sono omologati al sistema che dovevano abbattere, come in Grecia e in Spagna. Anche tra i grilli nostrani molti danno segni di volersi alleare col Partito Democratico per stabilizzarsi nel potere e nei suoi vantaggi.L’azione collettiva raramente parte e ancora più raramente è efficace, ma l’azione individuale o su scala di piccoli gruppi è fattibile, sul fronte della tutela della salute, del patrimonio, della libertà, considerando sempre anche l’opzione dell’emigrazione verso paesi che consentono una migliore tutela di questi valori. Certamente, di fronte a un drastico e rapido peggioramento della condizione di vita e del livello di dignità, a breve potrebbe anche porsi fortemente l’opzione del suicidio, del suicidio stoico, cioè dell’uomo che rifiuta di vivere privato della libertà e della dignità: pensiamo a Lucio Anneo Seneca che si suicida per non soggiacere agli arbitri e ai capricci di Nerone. Ma non preoccupatevi: pochissimi seguiranno Seneca, in ogni caso, perché gli uomini si adattano facilmente a una vita di pecore schiave, o di topi che sopravvivono arrangiandosi negli angoli bui.Che cosa resta da fare, in positivo, dopo tanti “non podemos”? Proprio grazie a ciò che dicevo all’inizio, ossia alla indeterminatezza e libertà del divenire storico, alla sua apertura, non può mai venir meno la possibilità di entrare in modo rilevante in questo divenire. Poche verità storiche sono certe e comprovate come la potenza esercitata dalle idee nei millenni: Platone, Aristotele, Gesù, Galileo, Marx, Freud, Einstein, e Fra’ Luca Pacioli, l’inventore della partita doppia – solo per fare qualche nome – sono più che mai attuali e attivi, sono potentissimi… La Rivoluzione Francese mancò gli obiettivi pratici di breve e medio termine, ma nel lunghissimo termine essa è – si può ben dire – ancora in svolgimento… nei cambiamenti nel pensiero, nella coscienza collettiva, nelle dinamiche sociali… nell’aver creato una cosa che cosa prima assente, in Europa, dai tempi di Atene, ossia il pubblico dibattito politico.Assieme all’amico psichiatra Paolo Cioni, col saggio “Neuroschiavi”, ho cercato di dare un contributo mirato all’analisi e al contrasto ai mezzi di rimbecillimento e irreggimentazione di massa che tanta parte hanno nella governance sociale, nella compressione della libertà mentale e critica che è l’anima di quel dibattito. E in altri saggi, in solitaria oppure in cooperazione con qualche amico, ho diretto i riflettori su quello strumento di dominazione e sfruttamento sociale che è il potere monetario vestito nelle banche private, e sui suoi meccanismi occultati dalle prassi contabili oggi applicate, e la cui comprensione da qualche anno si viene ora diffondendo. La sua comprensione a livello perlomeno di classi imprenditoriali e intellettuali sarebbe un presupposto per un possibile rivolgimento strutturale della società, per una possibile fine del regime parassitario imposto dal capitalismo finanziario attraverso proprio quelle prassi contabili false, le quali sono alla base del fatto che esso è divenuto un perfetto strumento di dominio sociale: uno strumento che, da un lato, rende la società e l’economia e le istituzioni sempre più dipendenti da sé stesso e sempre più forzatamente obbedienti ai suoi dettami, perché sotto permanente ricatto di fatali conseguenze; e che, dall’altro lato, attraverso l’uso di moneta-debito progressivamente indebitante, sottrae alla società una quota sempre crescente di reddito, pubblico e privato, sotto forma di interessi, di bail out (saccheggio dell’erario) e bail in (saccheggio dei risparmi o investimenti finanziari).E’ una prigionia estorsiva sistemica, in via di perfezionamento, rispetto a cui le truffette del tipo Banca Popolare dell’Etruria sono soltanto incidenti dovuti all’avidità di banchieri locali, incidenti da coprire subito in qualche modo al fine di poter proseguire col perfezionamento del sistema, col piano di lungo periodo. Prima della rivoluzione del 1789, i popolani francesi, sfruttati dai signori feudali, avevano fatto jacqueries, ossia assalti ai depositi di granaglie dei castelli sotto la spinta della fame – cioè avevano attaccato la sola superficie del problema. Questo equivale ai nostri movimentisti, agli indignados, a quelli che oggi manifestano contro i banchieri che li hanno fregati e chiedono rimborsi da parte dello Stato e carcere ai furbetti del credito e le dimissioni della bella ministra Boschi. Niente di risolutivo.Il salto di qualità che dalle jacqueries (le quali lasciano il tempo che trovano) portò alla vera rivoluzione (che cambia invece il tempo), sia pur nel senso che abbiamo visto, avvenne allorquando, nell’agosto del 1789, alla guida del popolino, si misero intellettuali che sapevano dove mettere le mani, e allora gli insorti penetrarono nei castelli non per rubare la farina, ma per aprire i forzieri e distruggere gli atti di proprietà dei fondi terrieri in essi custoditi, facendo così crollare il sistema latifondista. L’equivalente di questa operazione, oggi, potrebbe essere – dico: potrebbe – il pubblico smascheramento dei sistematici falsi in bilancio con cui i banchieri privati creano la quasi totalità dei mezzi monetari circolanti senza pagare su tale creazione alcuna tassa e senza assumersi le responsabilità politiche e sociali dell’esercizio di un tale primario potere pubblico, e la conseguente nazionalizzazione del sistema monetario-creditizio con la liberazione della società dalla moneta indebitante ora in uso. Ma ciò non credo possa partire dall’Italia, la quale non ha alcuna tradizione o predisposizione rivoluzionaria.(Marco Della Luna, estratto da “Crisi, rottura del sistema e trasformazione”, testo preparato per la conferenza organizzata dalla casa editrice Nexus a Cagliari il 17 gennaio 2016 e ripreso dal blog di Della Luna).Noi uomini siamo portati a pensare che sia possibile risolvere un problema, una crisi, un’ingiustizia, attraverso un’azione collettiva delle persone interessate e consapevoli. Se scopriamo quello che ci sembra essere la causa di un grave male che affligge la società (questa causa potrebbe essere il signoraggio o un certo uso delle onde elettromagnetiche o i vaccini o le registrazioni anagrafiche, tanto per fare qualche esempio), siamo portati a pensare che, diffondendo la consapevolezza di questa nostra scoperta fondamentale, susciteremo una reazione collettiva e coordinata dei nostri simili che potrà risolvere il problema dal basso, con un’azione di massa, magari rivoluzionaria. Solo che tale reazione collettiva e coordinata, nel mondo reale, non vuole partire: il grosso della popolazione non si interessa, se si interessa non capisce, se capisce presto dimentica, se non dimentica comunque non si coordina e non agisce. Questa è l’umanità reale, con i suoi reali comportamenti. Mi obietterete che però, di fatto, l’umanità è capace di fare rivoluzioni. Lo ha dimostrato. Avete ragione.
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Troppe crisi, tutte insieme: verso la bancarotta mondiale?
Sull’orlo del baratro? A quanto pare, sì. «C’è un modo empirico per sapere se una grande crisi è in arrivo: quando gli economisti scrivono che “non è un nuovo ’29 (o 2008)” vuol dire che è in arrivo qualcosa di peggiore del 1929 (o del 2008)», scrive Aldo Giannuli. «Di solito, gli economisti sono bravissimi a prevedere le crisi quando già sono in pieno svolgimento». Paul Krugman, a metà gennaio, su “Internazionale” scrive: «I problemi della Cina provocheranno una crisi globale? La buona notizia è che le cifre non sembrano abbastanza grandi. Quella cattiva è che potrei sbagliarmi, perché spesso il contagio globale si rivela più grave di quanto i numeri non dicano». Situazione «spinosa» in Cina, ma per il resto del mondo «è solo una turbolenza». Conclusione: «Spero davvero di non sbagliarmi, perché a quanto pare non abbiamo un piano-B». Incoraggiante, vero? Molto meno ottimista è Nouriel Roubini, che confida a “Repubblica” (18 gennaio) di scorgere sinistre somiglianze con il 2008 e parla di un imminente pericolo di crack. Giannuli crede più a Roubini: «Il testo di Krugman, più che un’analisi, mi sembra una supplica alla Madonna».Intanto, i numeri della crisi cinese galoppano. Quello di Pechino è il secondo Pil mondiale, il debito aggregato è al 251% del Pil e, da un anno e mezzo, ha superato in percentuale quello americano. La Cina può far fronte alla voragine grazie alla robusta riserva di dollari liquidi e titoli americani. Ma se Pechino smette di rinnovare i titoli americani, che ripercussioni avrà tutto questo sugli Usa e, di riflesso, sul resto del mondo? Probabilmente, continua Giannuli nel suo blog, Wasghington ricorrerebbe – ancora – all’emissione a valanga di dollari, che però pagherebbe in termini geopolitici. «Poi, bisogna considerare quanto peserebbe sul mondo una battuta d’arresto della manifattura cinese, che metterebbe nei guai Australia, Brasile e diversi paesi africani, facendo ulteriormente scendere la domanda di petrolio, che è l’altro fattore di crisi in agguato: l’Arabia Saudita, con la sua politica del prezzo stracciato, si sta riducendo molto male ed è costretta (cosa impensabile sino a poco tempo fa) alla spending review, ma sta riducendo ancor peggio le compagnie petrolifere americane».Il problema è semplice: lo “shale-oil”, il petrolio estratto con il fracking (tecnica devastante per l’ambiente) richiede costi di estrazione molto alti, per cui il barile non può scendere sotto i 60-65 dollari, altrimenti va sottocosto. Ma il barile ormai è sotto i 29 dollari, e diverse imprese petrolifere Usa vedono avvicinarsi lo spettro del fallimento, con tutti gli effetti a catena che si possono immaginare (perdita di posti di lavoro, calo di consumi, sofferenze bancarie). «E il petrolio low cost mette nei guai anche la Russia, che già balla pericolosamente sulla soglia del default». Come se non bastasse, aggiunge Giannuli, bisogna mettere nel conto gli effetti della “guerra” euro-americana per l’auto, l’evanescente ripresa europea, le spinte geopolitiche a cominciare dal terrorismo che ne è espressione. «Ciascuno di questi fattori, in sé, è preoccupante ma non è tale da scatenare una crisi globale. Quello che fa temere un esito del genere è che questi fattori interagiscano fra loro, determinando un effetto moltiplicatore».La più grande somiglianza con il 2008, continua l’analista, è che c’è troppo debito: all’inizio del 2009, la somma dei titoli di credito assommava alla folle cifra di 12 volte il Pil mondiale. Dopo, il problema si è ridotto: in parte perché una parte dei titoli venne bruciato dalla crisi, in parte per la pur limitata ripresa del Pil (soprattutto nei paesi emergenti), e in parte per il riassorbimento di una porzione dei debiti per effetto delle politiche di contenimento della spesa e per la liquidazione di una frazione degli asset (o delle privatizzazioni da parte degli Stati). La crescita del rapporto debito/Pil ha avuto un iniziale rallentamento, ma per poco: le politiche di iper-liquidità hanno spinto di nuovo alla moltiplicazione del debito. «Rispetto al 2007, nel 2015, infatti il debito globale mondiale è cresciuto di ulteriori 57.000 miliardi di dollari, aggiungendo un 17% in più al rapporto debito e Pil». A fine 2014, il debito complessivo mondiale era di 199.000 miliardi di dollari, quasi 3 volte il Pil globale. «L’inondazione di liquidità è stata utilizzata in massima parte solo per essere reimpiegata in investimenti finanziari».Ecco il problema: «Alle imprese e ai privati sono giunte poche briciole, occupazione e consumi sono fermi al palo». E infatti, nonostante l’alluvione di dollari, yen, euro e yuan, non ci sono quei segni di inflazione che dovrebbero esserci se il flusso fosse andato all’economia reale, anzi: «Siamo in un momento in cui quel che fa paura è la deflazione». Per Giannuli, «siamo in un classico “momento Minsky”, per cui anche la nuova emissione di liquidità congiunta fra le principali banche centrali avrebbe solo l’effetto di guadagnare tempo dal punto di vista finanziario per poi tornare in breve a una situazione identica a quella di ora, ma con un debito accresciuto». E non si vede mai una reale via d’uscita, conclude Giannuli: «Il problema è che quello che non funziona è il sistema neoliberista, incapace di uscire dalla sua crisi senza produrre le premesse per un’altra crisi peggiore della precedente».Sull’orlo del baratro? A quanto pare, sì. «C’è un modo empirico per sapere se una grande crisi è in arrivo: quando gli economisti scrivono che “non è un nuovo ’29 (o 2008)” vuol dire che è in arrivo qualcosa di peggiore del 1929 (o del 2008)», scrive Aldo Giannuli. «Di solito, gli economisti sono bravissimi a prevedere le crisi quando già sono in pieno svolgimento». Paul Krugman, a metà gennaio, su “Internazionale” scrive: «I problemi della Cina provocheranno una crisi globale? La buona notizia è che le cifre non sembrano abbastanza grandi. Quella cattiva è che potrei sbagliarmi, perché spesso il contagio globale si rivela più grave di quanto i numeri non dicano». Situazione «spinosa» in Cina, ma per il resto del mondo «è solo una turbolenza». Conclusione: «Spero davvero di non sbagliarmi, perché a quanto pare non abbiamo un piano-B». Incoraggiante, vero? Molto meno ottimista è Nouriel Roubini, che confida a “Repubblica” (18 gennaio) di scorgere sinistre somiglianze con il 2008 e parla di un imminente pericolo di crack. Giannuli crede più a Roubini: «Il testo di Krugman, più che un’analisi, mi sembra una supplica alla Madonna».
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Di Caprio: gas, petrolio e carbone lasciamoli sotto terra
Dopo aver dedicato il Golden Globe alle popolazioni indigene, Leonardo Di Caprio è tornato a fare parlare di sé. A Davos, in Svizzera, durante il Forum Mondiale dell’economia l’attore americano, da tempo impegnato sul fronte della tutela dell’ambiente, ha lanciato un’invettiva contro le multinazionali delle fossili, invitandole a lasciare sottoterra petrolio, carbone e gas. Di Caprio non finirà mai di stupirci. Donazioni milionarie, campagne per la difesa degli animali in via d’estinzione non bastano all’attore, che non perde occasione per puntare il dito contro chi, in barba alle questioni ambientali, pensa solo ad arricchirsi. «Non possiamo permettere che l’avidità delle industrie del carbone, del petrolio e del gas possa determinare il futuro dell’umanità», ha detto sul palco di Davos, dove ha denunciato senza giri di parole le società che privilegiano i profitti sull’ambiente.Ma non solo. Ha puntato il dito non soltanto contro le multinazionali ma anche contro i governi che hanno chiuso un occhio per non pestare i piedi ai colossi dell’energia a livello mondiale: «Gli enti che hanno un interesse finanziario nel preservare questo sistema distruttivo hanno negato e anche coperto l’evidenza del nostro clima che cambia». Secondo l’attore, il nostro pianeta non può essere salvato se non lasciamo i combustibili fossili alla terra a cui appartengono. «Vent’anni fa, abbiamo descritto il problema come una dipendenza. Oggi possediamo i mezzi per porre fine a tutto questo», ha detto.L’attore, durante il suo discorso, ha annunciato che la sua fondazione donerà 15 milioni di dollari destinati a finanziamenti per sostenere progetti di sostenibilità in tutto il mondo. I cinque progetti si impegnano a controllare la pesca commerciale, proteggere la foresta pluviale indonesiana, sostenere le popolazioni indigene in Ecuador, proteggere le barriere alle Seychelles e promuovere le energie rinnovabili negli Stati Uniti.(Francesca Mancuso, “Leonardo Di Caprio attacca le multinazionali delle fossili: lasciate petrolio, carbone e gas sottoterra”, da “GreenMe” del 22 gennaio 2016).Dopo aver dedicato il Golden Globe alle popolazioni indigene, Leonardo Di Caprio è tornato a fare parlare di sé. A Davos, in Svizzera, durante il Forum Mondiale dell’economia l’attore americano, da tempo impegnato sul fronte della tutela dell’ambiente, ha lanciato un’invettiva contro le multinazionali delle fossili, invitandole a lasciare sottoterra petrolio, carbone e gas. Di Caprio non finirà mai di stupirci. Donazioni milionarie, campagne per la difesa degli animali in via d’estinzione non bastano all’attore, che non perde occasione per puntare il dito contro chi, in barba alle questioni ambientali, pensa solo ad arricchirsi. «Non possiamo permettere che l’avidità delle industrie del carbone, del petrolio e del gas possa determinare il futuro dell’umanità», ha detto sul palco di Davos, dove ha denunciato senza giri di parole le società che privilegiano i profitti sull’ambiente.
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Trivelle e banditi alle Tremiti: a chi diamo il nostro mare?
Petroceltic, chi è costei? Se uno legge la lista delle ditte che vogliono, vorrebbero o hanno già trivellato l’Italia, ci si accorgerà che molte di queste hanno nomi sconosciuti, sono piccole, con pochi capitali sociali, e che pensano di venire in Italia a fare il salto di qualità perché abbiamo “regimi fiscali favorevoli”. Lo dicono loro. Fra queste la Petroceltic di Dublino, la ditta a cui il nostro governo ha deciso di affidare i mari attorno alle isole Tremiti con la concessione Br 274 El. A leggere i comunicati degli investitori emerge che questa Petroceltic è assolutamente piegata in due, da debiti, azionisti senza scrupoli, accuse di frode e corruzione, crollo dei prezzi del petrolio e non sanno più dove andare a parare. Hanno debiti per 200 milioni di dollari che non sono riusciti a ripagare. Basta solo dire che il 23 dicembre 2015, il giorno dopo la firma dei nostri decreti ministeriali, ha iniziato a cercare potenziali acquirenti. La liquidità finirà entro gennaio 2016. Cioè abbiamo dato il mare delle Tremiti a una ditta sul lastrico che sta quasi per fallire.Le banche che si occupano della messa in vendita della Petroceltic sono la Bank of America Merrill Lynch e la Davy Corporate Finance. Stanno vagliando tutte le opzioni: la vendita in toto dei vari permessi di ricerca al miglior offerente, la fusione con altre ditte, o anche l’infusione di capitale con altri debiti e offerte pubbliche. Il valore delle azioni nel solo 2015 è crollato del 77%. Ma come si è arrivati fin qui? Il principale investitore della Petroceltic si chiama Worldview Capital Management ed è una ditta di hedge funds. Detiene il 29% di azioni della Petroceltic ed è guidata da Angelo Moskov. A febbraio 2015 la Petroceltic, a causa dei troppi debiti, decide di vendere obbligazioni per 175 milioni di dollari usando come collaterale Ain Tsila, un campo di gas in Algeria e forse il suo progetto più ambizioso.Moskov si oppone: secondo la Worldview questo passo questo avrebbe lasciato gli azionisti con guadagni derisori. Disse: «Come previsto dalla Worldview nella sua circolare Emg emessa nel febbraio 2015, Petroceltic sembra essere ora a corto di soldi. Di conseguenza si propone di impegnare il fiore all’occhiello della società, vale a dire la sua partecipazione all’attività Ain Tsila, per $ 175.000.000 emissioni obbligazionarie come garanzia. A nostro avviso, questo si tradurrà in un valore sperperato per gli azionisti.Alla luce della storia passata della società fatta di gestione finanziaria molto scadente e false affermazioni, Worldview è estremamente preoccupata che tale emissione di obbligazioni sarà pericolosa per gli azionisti. A causa della costante incapacità della società di produrre flussi finanziari sufficienti, di procedere con l’emissione di obbligazioni nei termini annunciati sarebbe, a nostro avviso, probabilmente risultato in obbligazionisti infine garantire l’attività di classe mondiale per una somma irrisoria».La Petroceltic rinuncia. Le azioni crollano ancora. La Worldview denuncia la Petroceltic in tribunali d’Irlanda e d’Inghilterra per errori nelle revisioni interne. La causa è ancora aperta.Il 20 agosto 2015 la Worldview accusa la Petroceltic di frode e di corruzione in seguito alla creazione di schemi per defraudare la compagnia dall’interno, con fatture gonfiate a Ain Tsila in Algeria. La Petroceltic risponde accusando il suo principale investitore Worldview di una campagna di denigrazione e di sottrarsi al dialogo. Hanno paura che la Worldview possa accaparrarsi il 100% delle azioni e che questa sia una campagnia per l’acquisizione della Petroceltic a pochi spiccioli. Il 17 settembre 2015 la Worldview accusa ancora la Petroceltic di irregolarità in Bulgaria: dirigenti di medio livello avrebbero creato anche qui canali per il trasferimento illegale di fondi della compagnia in mano di terzi, tramite sussidiarie egiziane, bulgare e lussembughesi. E poi il 23 dicembre 2015 finiscono i soldi e si mettono in vendita.Ecco, questa è la Petroceltic d’Irlanda in questo momento. Perché le abbiamo affidato le isole Tremiti senza neanche indagare su che fondi avessero, che o chi fossero? Io non so chi abbia ragione in questa lotta fraticida fra la casa madre e Worldview, ma certo è che è assolutamente folle dare loro un pezzo del nostro mare. Caro Matteo Renzi, veramente vogliamo una ditta squattrinata, guidata da gente senza scrupoli a trivellare in uno dei mari più belli d’Italia?(Maria Rita d’Orsogna, “Trivellazioni alle Tremiti: debiti e accuse di frode per la Petrolceltic. A chi diamo il nostro mare?”, da “Il Fatto Quotidiano” del 12 gennaio 2016).Petroceltic, chi è costei? Se uno legge la lista delle ditte che vogliono, vorrebbero o hanno già trivellato l’Italia, ci si accorgerà che molte di queste hanno nomi sconosciuti, sono piccole, con pochi capitali sociali, e che pensano di venire in Italia a fare il salto di qualità perché abbiamo “regimi fiscali favorevoli”. Lo dicono loro. Fra queste la Petroceltic di Dublino, la ditta a cui il nostro governo ha deciso di affidare i mari attorno alle isole Tremiti con la concessione Br 274 El. A leggere i comunicati degli investitori emerge che questa Petroceltic è assolutamente piegata in due, da debiti, azionisti senza scrupoli, accuse di frode e corruzione, crollo dei prezzi del petrolio e non sanno più dove andare a parare. Hanno debiti per 200 milioni di dollari che non sono riusciti a ripagare. Basta solo dire che il 23 dicembre 2015, il giorno dopo la firma dei nostri decreti ministeriali, ha iniziato a cercare potenziali acquirenti. La liquidità finirà entro gennaio 2016. Cioè abbiamo dato il mare delle Tremiti a una ditta sul lastrico che sta quasi per fallire.
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Usa, elezioni e soldi: chi si compra il futuro presidente
Chi più spende, meno spende. Il totale farà 5 miliardi di dollari, e in palio c’è la Casa Bianca. A chi dovrà dire grazie, portafoglio alla mano, il futuro presidente? Per puntare sul cavallo vincente non si bada a spese: a questo punto della gara siamo già a quota 25 milioni di dollari, cioè 5 volte l’importo versato, nello stesso periodo, durante il ciclo elettorale del 2012. A fare i conti in tasca ai candidati è Jake Anderson, quando mancano dieci mesi al traguardo, fissato per l’8 novembre 2016. Se il denaro è (quasi) tutto, nelle presidenziali Usa, è saldamente al comando Jeb Bush con oltre 114 milioni finora raccolti. Staccatissima Hillary Clinton, a quota 45 milioni, eppure data per super-favorita nonostante l’enorme divario di budget. Un’incognita assoluta è rappresentata da Donald Trump: dichiara che spenderà 100 milioni ma tutti suoi, senza richiedere un dollaro né ai cittadini né alle lobby che scommettono (e investono) sui concorrenti. Nelle immediate retrovie, intanto, tra i repubblicani si fanno largo Marco Rubio e Ted Cruz, con 30 milioni di dollari raccolti, seguiti dal democratico Bernie Sanders (26) e dal repubblicano Ben Carson (20). A seguire, altri 5 candidati, con un bilancio molto inferiore (tra il milione e mezzo e gli 11 milioni di dollari, per ora). Chi vincerà, il candidato migliore o quello più foraggiato?In un’analisi pubblicata da “The AntiMedia” e tradotta da “Come Don Chisciotte”, Anderson denuncia la pratica dilagante del ricorso ai “Super-Pac”, i nuovissimi “comitati di azione politica” costituiti da singoli, aziende e cartelli, con capacità di spesa praticamente illimitata e assolutamente non-trasparente: il candidato non è tenuto a tracciare pubblicamente il denaro ricevuto. «Inutile dire che si tratta di un’elezione in cui la maggior parte dei candidati sono alla ricerca di sostegno da parte dei donatori ricchi invece che dai cittadini che sarebbero chiamati a rappresentare», scrive Anderson. «Ci si sorprenderà nello scoprire chi è stato a donare soldi per il vostro candidato, e come tale contributo possa influenzare le posizioni politiche future». Guida la classifica Jeb Bush, che i sondaggi danno in calo perché “troppo moderato” per gli elettori repubblicani. L’ultimo rampollo della famigerata dinastia presidenziale super-guerrafondaia ha incassato 161 milioni di dollari dalla Golman Sachs, 65 da Neuberger Berman Llc, quasi 44 da Bank of America, 41,5 da Citigroup e quasi 40 da Tenet Healthcare.Secondo i reporter investigativi della Florida, per sostenere Jeb Bush si stanno attivando «signori texani del petrolio, banchieri d’investimento di New York, titolari di aziende sanitarie di Miami e perfino tre ex ambasciatori – due dei quali hanno servito sotto il fratello, l’ex presidente George W. Bush». Totale, 25 contributi da 1 milione di dollari ciascuno. Tre milioni invece sono arrivati da Mike Fernandez, miliardario cubano-americano fondatore di Coral Gables Mbf Healthcare Partners. Poi c’è Hushang Ansary, ambasciatore iraniano negli Stati Uniti dal 1967 al 1969, quindi Richard Kinder, boss della società di oleodotti e gasdotti Kinder Morgan. E Alfred Hoffman, ambasciatore statunitense in Portogallo dal 2005 al 2007, fondatore in Florida della società immobiliare Wci Community. Quindi NextEra Energy, società madre della Florida Power & Light, che fornisce il servizio elettrico a quasi la metà dello Stato. E Julian Robertson Jr., di New York, manager di fondi d’investimento (patrimonio personale di 3,4 miliardi, «ha fatto la sua fortuna investendo in campi da golf e vigneti in Nuova Zelanda»).A parte il corposo sostegno a Jeb, Wall Street pare schierata massicciamente dalla parte di Hillary, finora sempre sostenuta da Citigroup, Goldman Sachs, Dla Piper, Jp Morgan e Morgan Stanley. «Molti dicono che tali alleanze irrevocabilmente la incatenino a suddette istituzioni, rendendola incapace di regnare sopra la corruzione finanziaria di Wall Street», scrive Anderson. Tra gli attuali finanziatori figurano anche Morgan & Morgan, Sullivan & Cromwell, Akin, Gump, Yale University, Latham & Watkins. «E’ anche importante sottolineare che lo studio legale lobbista Akin, Gump, Strauss, Hauer & Feld, che impiega molti dipendenti di Hillary, ha preso le donazioni da due dei più grandi imprenditori delle carceri private, Corrections Corporation of America e Geo Group, con tasse incluse, per un totale di quasi 300.000 dollari». Si chiama “Priority Usa Action” il nuovissimo “Super-Pac” creato per sostenere la Clinton: 25 milioni di dollari in soli tre mesi. I più importanti super-donatori Pac sono George Soros e Steven Spielberg, ma la lista comprende 31 singoli donatori che hanno contribuito più di 200.000 dollari ciascuno. I progressisti contestano alla Clinton il ricorso ai miliardari, ma i sostenitori replicano che non c’è altra strada. Di recente, Hillary ha fatto notizia «abbracciando una tattica per rivelare pubblicamente – cosa che la nuova legge non richiede – i grandi donatori aziendali».Il terzo incomodo, Donald Trump, fa gara a sé: ha ribadito che sarà l’unico finanziatore della sua campagna elettorale e non accetterà donazioni. Secondo “Forbes”, il suo patrimonio ammonta a 4,5 miliardi. Trump assicura che si priverà di 100 milioni per auto-finanziarsi la campagna. Dovrà vedersela innanzitutto col super-finanziato Jeb Bush e gli altri due grandi sfidanti delle primarie, Marco Rubio e Ted Cruz, i cui cognomi ammiccano direttamente all’elettorato “latino”. Sostenuto dai “cubani”, Rubio ha finora raccolto quasi 32 milioni di dollari. Deve ringraziare Goldman Sachs, Steward Health Care, Titan Farms, Florida Cristalli e Oracle. Tra i supporter anche il miliardario Norman Braman e Laura Perlmutter, moglie di Isacco Perlmutter, Ceo di Marvel Entertainment. «La campagna gestita da Rubio è anche dotata di una notevole quantità di “denaro oscuro”», racconta Anderson. «La fonte è una norma su fondi senza scopo di lucro denominata Soluzioni Progettuali Conservatrici, che ha raccolto 15,8 milioni di dollari. Il no-profit, che naturalmente non è tenuto a rivelare i suoi donatori, ha lanciato una massiccia campagna pubblicitaria per attaccare l’accordo coll’Iran del presidente Obama».Altro outsider temibile, anche Ted Cruz ha contestato a Obama l’accordo con l’Iran. In più, si batte per tagliare i fondi a “Planned Parenthood”, i pro-abortisti ufficiali. Tra i suoi sponsor figurano la banca nazionale Woodforest, Morgan Lewis Llp, poi Gibson, Dunn & Crutcher, Pachulski e Stang, la Jennmar Corporation. «La campagna di Ted Cruz ha in realtà quattro “Super-Pac”, tutti finanziati da Robert Mercer, un magnate di Long Island (fondi d’investimento), negazionista del cambiamento climatico», spiega Anderson. «Insieme, hanno raccolto 31 milioni nelle prime quattro settimane della sua campagna». Hanno contribuito la rete politica dei fratelli Koch nonché i miliardari Farris e Dan Wilks, che devono la loro ricchezza al boom del fracking in Texas. Si rivolge invece agli elettori afroamericani il neurochirurgo Ben Carson, l’uomo nuovo dei repubblicani: «Ha sorpreso tutti suggerendo che se George W. Bush avesse iniziato un abbandono del petrolio sulla scia dell’11 Settembre, prendendo l’iniziativa diplomatica piuttosto che quella degli attacchi militari, la nazione poteva essersi evitata una guerra incredibilmente costosa contro il terrore».Con i suoi numeri da sondaggio in aumento, scrive Anderson, molti esperti si chiedono ora se Carson possa essere sfruttato come vicepresidente (di Jeb Bush, ovviamente). Carson è sostenuto da Coca-Cola, West Coast Venture Capital, Trailiner Corp, Ankom Tecnologia, Jea Senior Living. Il “dark money” proviene da “OneVote”, un “Super-Pac” guidato dallo stratega repubblicano Andy Yates, e da un altro cartello, “Run Ben Run”. Recentemente, Carson «ha raddoppiato la retorica anti-musulmana, che sembra aver portato le sue cifre raccolte ancora più in alto, innalzandole a 20 milioni in questo trimestre». Zero trasparenza sui fondi, ma non mancano informazioni indicative: pare che l’84% dei finanziamenti provenga da una folla di micro-donatori, assegni sotto i 500 dollari. Molto differenziato – ed estramamente “etico”, se paragonato agli altri – è il finanziamento di Bernie Sanders, l’unico democratico finora sceso in campo contro la Clinton. Socialista, capace di infiammare i progressisti, è finanziato quasi solo da sindacati, lavoratori, associazioni di categoria. Gli scettici temono che, come Obama, non avrebbe i muscoli necessari a opporsi al vero potere, Wall Street e il complesso militare-industriale.Oltre al libertario indipendente Rand Paul, con appena 3 milioni di dollari in tasca (e quindi ritenuto in procinto di abbandonare la gara), nelle retrovie repubblicane si muovo candidati minori, ancora in corsa, come Chris Christie, data all’1% nei sondaggi eppure forte di un budget di 11 milioni di dollari. Tra i suoi sostenitori figura la Winecup-Gamble, società del Nevada di proprietà dell’ex Ceo di Reebok, Paul Fireman, che ha dato al gruppo un milione di dollari. «Fireman, che vive vicino Boston, prevede un fantasmagorico profitto di 4,6 miliardi dai casinò a Jersey City se gli elettori dello Stato approveranno un emendamento costituzionale per permettere il gioco d’azzardo anche fuori Atlantic City». Altri supporter di Chris Christie sono Stephen Wynn, magnate dei casinò di Las Vegas, Steve Cohen (maganer di hedge funds), l’imperatrice del wrestlig Linda McMahon e la numero uno di Hewlett-Packard, Meg Whitman. Stesso budget (11 milioni) per John Kasich, governatore dell’Ohio, mentre è più povero il portafoglio di Mike Huckabee, ex governatore dell’Arkansas (3 milioni), così come quello di Carly Fiorina (1,6 milioni); presidente di Hp ed esponente dell’ultra-destra, la Fiorina è sostenuta dall’ex finanziere d’assalto Tom Perkins nonché da vari campioni della Silicon Valley, come Paul Otellini (già Intel) e Jerry Perenchio (ex Ceo di Univision).«Come potete vedere – conclude Jake Anderson – le elezioni presidenziali 2016 sono, per la maggior parte, una guerra tra donatori aziendali a tutto campo». Secondo l’analista, è importante ricordare che molti di questi “totali” sono già obsoleti, giacchè i team dei candidati possono strategicamente nascondere le quantità donate, grazie alle nuove disposizioni di legge per proteggere la raccolta fondi da qualsiasi legittima curiosità. «Insomma, noi non conosciamo la reale portata del “denaro oscuro”», derivante dal cosiddetto “non profit” e da associazioni imprenditoriali. «Quello che sappiamo è che questa sarà l’elezione più costosa della storia. I fratelli Koch da soli hanno un budget di 889 milioni di dollari. Una volta aggiunto alla spesa prevista dai democratici e dai repubblicani, stiamo parlando di un ticket totale di circa 5 miliardi di dollari».Chi più spende, meno spende. Il totale farà 5 miliardi di dollari, e in palio c’è la Casa Bianca. A chi dovrà dire grazie, portafoglio alla mano, il futuro presidente? Per puntare sul cavallo vincente non si bada a spese: a questo punto della gara siamo già a quota 25 milioni di dollari, cioè 5 volte l’importo versato, nello stesso periodo, durante il ciclo elettorale del 2012. A fare i conti in tasca ai candidati è Jake Anderson, quando mancano dieci mesi al traguardo, fissato per l’8 novembre 2016. Se il denaro è (quasi) tutto, nelle presidenziali Usa, è saldamente al comando Jeb Bush con oltre 114 milioni finora raccolti. Staccatissima Hillary Clinton, a quota 45 milioni, eppure data per super-favorita nonostante l’enorme divario di budget. Un’incognita assoluta è rappresentata da Donald Trump: dichiara che spenderà 100 milioni ma tutti suoi, senza richiedere un dollaro né ai cittadini né alle lobby che scommettono (e investono) sui concorrenti. Nelle immediate retrovie, intanto, tra i repubblicani si fanno largo Marco Rubio e Ted Cruz, con 30 milioni di dollari raccolti, seguiti dal democratico Bernie Sanders (26) e dal repubblicano Ben Carson (20). A seguire, altri 5 candidati, con un bilancio molto inferiore (tra il milione e mezzo e gli 11 milioni di dollari, per ora). Chi vincerà, il candidato migliore o quello più foraggiato?