Archivio del Tag ‘Pentagono’
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Forze speciali: la guerra segreta di Obama in 134 paesi
Operano nel Sud-Est Asiatico, immersi nel bagliore verde dei visori notturni. E percorrono le giungle del Sud America. Strappano le persone dalle loro case nel Maghreb e si confrontano con miliziani armati fino ai denti nel Corno d’Africa. Combattono nei Caraibi e nel Pacifico, affrontano il caldo soffocante in missioni nel Medio Oriente e il freddo glaciale della Scandinavia. «Su scala planetaria – accusa Nick Turse – l’amministrazione Obama conduce una guerra segreta di dimensioni sconosciute, almeno fino ad ora». Dal fatidico 11 settembre 2001, le forze speciali Usa «si sono sviluppate in ogni forma concepibile, sia come numerico sia per tipo», proiettate in «operazioni speciali richieste ormai a livello globale». La loro presenza,in quasi 70% delle nazioni mondiali «ci fornisce la prova delle dimensioni di questa guerra occulta che si svolge dall’America Latina all’entroterra afghano, passando dall’addestramento degli alleati africani fino alle operazioni virtuali nel cyber-spazio».All’epoca di George W. Bush, le forze speciali statunitensi dislocate in “appena” 60 paesi, saliti poi a 75 nel 2010, secondo Karen DeYoung e Greg Jaffe del “Washington Post”. Per arrivare poi a proiettarsi in 120 nazioni nel 2011, come annunciato dal colonnello Tim Nye, portavoce del Socom, il Comando Operazioni Speciali. «Questa cifra oggi è già obsoleta», scrive Turse in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. «Nel 2013, le forze d’élite Usa erano dislocate in 134 paesi, secondo il colonnello Robert Bockholt ». Questo aumento del 123% durante l’amministrazione Obama «dimostra come, in aggiunta ai conflitti decennali convenzionali, alla campagna dei droni svolta dalla Cia, alla diplomazia e all’esteso controllo della cybersfera, l’America ha lanciato un ulteriore forma significativa di controllo nei paesi esteri». Una strategia «condotta per lo più con missioni-ombra svolte dalle forze d’elite», l’operazione «rimane per lo più sconosciuta ai media ed a ogni forma di controllo», proteggendo la Casa Bianca dalle ripercussioni di «conseguenze spesso catastrofiche e imprevedibili».Prima limitato a 32.000 unità, dopo l’11 Settembre il raggruppamento delle forze speciali è cresciuto in modo esponenziale, raggiungendo quota 72.000 soldati. Idem il costo: da 2,3 miliardi di dollari agli attuali 6,9 miliardi. Secondo ricerche di Tim Dispatch, nel biennio 2012-2013 le operazioni speciali si sono estese a 106 nazioni. Il comando Socom non chiarisce i dettagli sull’impiego di Berretti Verdi, Rangers, Navy Seals e Delta Force, ma alla fine ammette che sono ora impegnati in 134 paesi, in tutto il mondo. Il Pentagono sta «aumentando la propria rete globale», conferma l’ammiraglio William Mc Raven, collaborando con partner stranieri per «prevenire possibili minacce» ma anche «cogliere opportunità». Operativamente, «la rete rende possibile la presenza di piccole unità in posizioni critiche e ne facilita l’azione ove necessario o appropriato». L’aumento del 12% dei dispiegamenti – da 120 a 134 durante la gestione Mc Raven – secondo Turse rivela l’ambizione di «acquisire posizioni strategiche in ogni parte del pianeta», sia pure al riparo dall’opinione pubblica, che di fatto non è informata delle missioni segrete.Addestramenti a Gibuti, in Malawi e alle Seychelles. Poi la “guerra simulata” dei Navy Seals nel porto di Aqaba, in Giordania, insieme a unità irachene, giordane e libanesi. Nel luglio 2013, i Berretti Verdi si sono spostati a Trinidad e Tobago per addestrare forze locali. Un mese dopo, la stessa unità ha addestrato la marina dell’Honduras sull’uso di esplosivi. E a settembre si è svolta una maxi-esercitazione a Sentul, Java occidentale, coinvolgendo Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Laos, Myanmar, Cambogia, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Corea del Sud, India, Cina e Russia. Molto più scarse, invece, le informazioni sulla guerra “non simulata”: rapimenti di sospetti terroristi in Somalia, raid in Libia e nel Corno d’Africa, operazioni nel Sud Sudan e accanto all’esercito afghano. Non mancano missioni umanitarie, come quella condotta a novembre in soccorso ai sopravissuti dell’uragano Haiyan nelle Filippine. Particolare cura è dedicata alla promozione dell’immagine: propaganda affidata a siti web «su misura per l’utenza straniera» e «fatti in modo da sembrare attendibili punti d’informazione». Il cyber-spazio è anch’esso terra di conquista, da parte del Socom.«Anche se il presidente Obama raccolse milioni voti nelle passate elezioni del 2008 con la sua politica di disimpegno – rileva Turse – ha dimostrato di essere un comandante in capo alquanto interventista, le cui politiche hanno già causato innumerevoli di quelle che, nel gergo Cia, vengono definite “blowbacks”», cioè conseguenze inaspettate subite durante un’operazione clandestina di intelligence, che possono «portare violenze random verso forze o popolazioni ritenute amiche». La Casa Bianca ha anche battuto ogni record di Bush sull’impiego di droni: 330 missioni, contro 51. «Solo nello scorso anno gli Usa hanno diretto azioni di combattimento in Afghanistan, Libia, Pakistan, Somalia e Yemen». Di recente, le rivelazioni di Edward Snowden (fonte, Nsa) hanno svelato all’opinione pubblica «la vastità della sorveglianza elettronica, che sotto l’amministrazione del Premio Nobel della Pace ha raggiunto un livello globale».Nel frattempo, le “blowbacks” devastano intere regioni: a 10 anni dalla famosa “missione compiuta”, il nuovo Iraq voluto dall’America è in fiamme, in preda ai terroristi di Al-Qaeda schierati contro l’Iran. L’abbattimento di Gheddafi ha destabilizzato il Mali, minacciando anche l’Algeria e provocando «una specie di “diaspora del terrore” in tutta la regione». E l’odierno Sud Sudan – nazione che gli Usa hanno artificialmente creato e che tuttora sostengono, nonostante l’impiego massiccio di bambini-soldato – viene utilizzato come base Hush-Hush, cioè segretissima, per operazioni speciali. Così, il paese «sta a letteralmente implodendo su stesso e scivolando verso una nuova guerra civile». Tutto questo, senza che gli americani abbiano la più pallida idea di quello che sta davvero avvenendo. Secondo l’ex colonnello Andrew Bacevich, docente all’università di Boston, l’utilizzo sempre più massiccio delle forze speciali «ha ridotto drasticamente la credibilità delle forze armate Usa, posto le basi per una “Presidenza Imperiale” e messo un piedi una guerra senza fine».L’utilizzo delle forze speciali per missioni-ombra, aggiunge Turse, «riduce la già sottile differenza fra politica e guerra». Così, sempre più spesso, «le conseguenze di queste operazioni segrete sono impreviste e disastrose». La storia insegna: Osama Bin Laden fu ingaggiato dalla Cia contro i sovietici in Afghanistan, prima di tornare sulla scena come protagonista (mediatico) dell’11 Settembre. «Stranamente, il Pentagono sembra non aver imparato nulla da quella devastante “blowback”», l’attacco alle Torri. Oggi, in Afghanistan e in Pakistan si vivono ancora strascichi da guerra fredda, «con la Cia che, per esempio, compie attacchi missilistici contro la rete Haqqani», network terroristico che, negli anni ‘80, la stessa Cia «aveva rifornito, appunto, di missili». Senza un quadro chiaro del mandato reale di queste forze, conclude Turse, il popolo americano non potrà neppure accorgersi del vero motivo di tanti “ritorni di fiamma”, ritorsioni per azioni “coperte” costate morti e feriti, terrore e sangue. In nome dell’America, forse, ma all’insaputa dei cittadini statunitensi.Operano nel Sud-Est Asiatico, immersi nel bagliore verde dei visori notturni. E percorrono le giungle del Sud America. Strappano le persone dalle loro case nel Maghreb e si confrontano con miliziani armati fino ai denti nel Corno d’Africa. Combattono nei Caraibi e nel Pacifico, affrontano il caldo soffocante in missioni nel Medio Oriente e il freddo glaciale della Scandinavia. «Su scala planetaria – accusa Nick Turse – l’amministrazione Obama conduce una guerra segreta di dimensioni sconosciute, almeno fino ad ora». Dal fatidico 11 settembre 2001, le forze speciali Usa «si sono sviluppate in ogni forma concepibile, sia come numerico sia per tipo», proiettate in «operazioni speciali richieste ormai a livello globale». La loro presenza,in quasi 70% delle nazioni mondiali «ci fornisce la prova delle dimensioni di questa guerra occulta che si svolge dall’America Latina all’entroterra afghano, passando dall’addestramento degli alleati africani fino alle operazioni virtuali nel cyber-spazio».
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D’Orsi: povera Italia, se resta nelle mani di lorsignori
Ci lamentavamo di Bersani? Becchiamoci Renzi.«Qualcuno annunciava la spaccatura del Pd», e invece «Fassina e Cuperlo hanno appena aderito a tutto», e tace pure «il giovin Civati», mentre Laura Boldrini ha «inferto un colpo quasi mortale alla dialettica parlamentare, con il ricorso alla “ghigliottina”», per bloccare il dibattito in aula e far convertire in legge «il vergognosissimo decreto Imu-Banca d’Italia». Per Angelo d’Orsi, della Boldrini offende il fatto che lei, Napolitano e Grasso «si comportino come parte integrante dell’esecutivo». Ovvero: «Stiamo assistendo alla formazione di un blocco storico, mai visto nella vicenda nazionale, neppure ai tempi bui del fascismo: un blocco che cancella le differenze di ruoli tra le istituzioni (esecutivo e legislativo diventano tutt’uno), che elimina le diversità delle opzioni politiche», visto che Pd-Fi «ormai vanno verso una identità sostanziale», al netto di «leggere sfumature che hanno il mero scopo di preservare una identità ai fini elettorali». Il nuovo blocco di potere «toglie persino il velo alla relazione strettissima tra potentati economico-finanziari e apparati politici».Stesso destino, scrive d’Orsi su “Micromega”, per i sindacati: «Come possiamo ancora distinguere la Cgil dalla voce del padrone?» Di Cisl e Uil «manco vale la pena di parlare, tanto appiattiti sono ormai da anni sulle logiche padronali». C’è il decreto-vergogna per la “ricapitalizzazione” della Banca d’Italia, gigantesco regalo alle grandi banche, e c’è «il silenzio ossequiente verso le scellerate scelte “strategiche” di Marchionne e dell’“azionista di riferimento” Fiat (Agnelli-Elkann), che meriterebbero risposte adeguate», per finire con l’altro scandalo, quello degli F-35 «appena dichiarati pericolosi e costosi dal Pentagono». Mentre il governo Letta, quello “virtuoso”, «persevera nella politica delle commesse alle multinazionali produttrici di questi giocattoli di guerra». E sul tappeto restano inevase le pratiche più scellerate, dall’inutile e mostruoso Tav Torino-Lione della valle di Susa fino al Muos di Niscemi, la piattaforma super-tecnologica siciliana per la guerra totale.«Insomma, un catalogo di orrori – aggiunfe d’Orsi – che sta facendo toccare con mano quanto fossero esatte le funeste previsioni all’ascesa alla guida del Pd del giovane rottamatore, che sta inanellando una vittoria dopo l’altra, nel silenzio complice o inerte degli uni, o nell’adesione convinta o necessitata degli altri». Ma attenzione: «Le vittorie di Renzi sono altrettante sconfitte della democrazia». E il gennaio 2014 sarà ricordato come una “macchia scura” nella vicenda dello stesso sistema liberal-democratico, «per il delitto perfetto che è stato consumato dai “democratici” Renzi e Letta, sotto la regia di Napolitano, con la benevolenza istituzionale dei presidenti delle Camere, e soprattutto la complicità attiva e interessatissima del riesumato Berlusconi e della sua gang». Non paghi di una legge elettorale «persino peggiore della precedente», l’infame “Porcellum”, Pd e Forza Italia mostrano di voler puntare su «uno scenario cimiteriale, dove due partitoni indistinguibili, come sovente sono laburisti e conservatori in Gran Bretagna, democratici e repubblicani negli Usa, occuperanno l’intero panorama politico». E questa sarebbe la “moderna democrazia”?Ma non basta, continua d’Orsi. La nuova «gioiosa macchina da guerra» guidata da Renzi, «il piccolo duce», avanza «nello stupefatto balbettio della minoranza interna», ma anche «nell’entusiasmo di chi lo chiama “Matteo” e lo acclama come la star da opporre finalmente al Berlusconi, e capace di fermare il “fenomeno Grillo”». Ora, guadagnato il fortilizio elettorale, «con un’ultima ignominiosa correzione per impedire che la Lega Nord esca dal giro», la macchina marcia verso la Costituzione, che da almeno tre decenni i soloni del “novitismo”, delle “riforme” e della “governabilità” hanno classificato come “obsoleta”: e in quattro e quattr’otto l’amputazione si farà, «recando una ferita che non sarà più possibile rimarginare, neppure quando ci si liberasse del Berluscone e del Berluschino». Secondo d’Orsi, a quel punto, «occorrerà una rivoluzione per restituire dignità al paese e valore alle sue leggi, rinnovando completamente la sua classe dirigente». Ma questa rivoluzione ancora non si vede: «Si vedono proteste, jacqueries, ribellioni, uno scontento generale e gigantesco che si traduce anche, per fortuna, in atti di resistenza». Episodi numerosissimi e diffusi, che «hanno il solo torto di non essere coordinati e spesso neppure conosciuti». Il che significa che «davanti a questo sfascio, se si prende atto che l’alternativa tra Pd e tutta l’ammucchiata di centrodestra è ormai fasulla, non solo ribellarsi è giusto ma è anche possibile».Purtroppo, sempre secondo d’Orsi, «al di là delle simpatie che si possano provare», il “Movimento 5 Stelle” non è ancora un’alternativa pienamente credibile. Grillo e Casaleggio, «i due capetti», lo tengono tuttora in pugno. Per contro, al di là del «fastidio per tanti suoi ridicoli esponenti (basti pensare a Vito Crimi, degno del senatore Razzi imitato dal comico Crozza», oggi «solo questi ragazzacci», i giovani parlamentari “5 Stelle”, «stanno provando ad alzare la voce contro lo schifo», e certo «è meglio di nulla». E se i colleghi del Pd non provano vergogna nell’intonare “Bella ciao” per difendere il decreto Imu-Bankitalia, Alessandro Gilioli osserva: «È davvero notevole lo sforzo con cui il Pd, Forza Italia, Boldrini e Napolitano stanno trasportando verso il “Movimento 5 Stelle” anche gli italiani meno attratti da Grillo e Casaleggio». Quanto agli antiberlusconiani «schifati di tutte le scelte del Pd» nonché «delusi di un Vendola rimasto capace di affabulare solo se stesso allo specchio», che fare? Rifugiarsi nell’astensionismo? Oppure, viceversa, «connettere le tante isole di opposizione allo schifo», perché «un’altra Italia esiste», e può unire tutti quelli che «sono contro lorsignori».Ci lamentavamo di Bersani? Becchiamoci Renzi.«Qualcuno annunciava la spaccatura del Pd», e invece «Fassina e Cuperlo hanno appena aderito a tutto», e tace pure «il giovin Civati», mentre Laura Boldrini ha «inferto un colpo quasi mortale alla dialettica parlamentare, con il ricorso alla “ghigliottina”», per bloccare il dibattito in aula e far convertire in legge «il vergognosissimo decreto Imu-Banca d’Italia». Per Angelo d’Orsi, della Boldrini offende il fatto che lei, Napolitano e Grasso «si comportino come parte integrante dell’esecutivo». Ovvero: «Stiamo assistendo alla formazione di un blocco storico, mai visto nella vicenda nazionale, neppure ai tempi bui del fascismo: un blocco che cancella le differenze di ruoli tra le istituzioni (esecutivo e legislativo diventano tutt’uno), che elimina le diversità delle opzioni politiche», visto che Pd-Fi «ormai vanno verso una identità sostanziale», al netto di «leggere sfumature che hanno il mero scopo di preservare una identità ai fini elettorali». Il nuovo blocco di potere «toglie persino il velo alla relazione strettissima tra potentati economico-finanziari e apparati politici».
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Ecco Iron Man, il cyber-guerriero per la fine del mondo
Provate a ribellarvi, e ve la dovrete vedere con Iron Man, il primo guerriero “bionico”, forse già in azione tra meno di un anno. Ha lo stesso nome di Tony Stark, l’industriale che diventa supereroe grazie a una corazza totale munita di razzi e alimentata autonomamente, ma non è un clone del personaggio della Marvel Comics. Quello in preparazione è un cyber-soldato vero, indistruttibile e progettato per sterminare qualunque nemico. A volerlo è il comando delle forze speciali americane, che ha aperto una gara tra aziende della difesa, università e laboratori del governo per la produzione di un’armatura hi-tech destinata a soldati d’élite e dotata di arti bionici, esoscheletro a prova di proiettili e schegge, batteria per l’auto-alimentazione. A guidare Iron Man sull’obiettivo, un sistema di caricamento dei dati ricevuti in tempo reale dai droni e proiettati su un display trasparente montato all’interno dell’elmo. Sarà il guerriero-guardiano incaricato di “riportare l’ordine” in un mondo in rivolta, nel caos che verrebbe scatenato da un collasso finanziario?Nessun contratto è ancora stato firmato e il Pentagono sta tuttora selezionando le idee, precisa Alessandra Baldini sul sito dell’Ansa. Ma l’obiettivo è chiarissimo: affidandosi a micro-motori, l’esoscheletro (cioè la struttura cibernetica esterna) permetterebbe al soldato di correre e saltare senza fatica, pur portandosi addosso un carico di decine di chili. Ad esempio, il modello “Exoskeleton Xos 2” prodotto dalla Raytheon può sollevare 77 chili con uno sforzo percepito dal soldato che lo indossa pari a 4,5 chili. «Almeno in teoria, questo cyber-soldato sarebbe in grado di curarsi da solo le ferite sul campo applicando tourniquet gonfiabili nel raro evento che l’indistruttibilità dell’armatura venisse violata». La super-corazza conterrebbe anche scorte di ossigeno in caso di attacco coi gas, un sistema di raffreddamento per mantenere la temperatura a livelli accettabili e una serie di sensori per trasmettere al quartier generale i segnali vitali del combattente.«Vogliono una corazza alla Iron Man: sono stati chiarissimi», ha riferito al “Los Angeles Times” Adarsh Ayar, un ingegnere di Bae Systems, uno dei colossi contattati per lavorare sul tipo di armatura chiesta dalle forze speciali. Anche il nome ufficiale del progetto è un omaggio al supereroe della Marvel: si chiama “tactical assault lihght operator suite”, o Talos, come il guerriero gigante fatto di bronzo della mitologia greca che difese, non sempre con successo, l’isola di Creta dagli invasori. Ma a preoccupare i comandanti di Iron Man sarebbero ancora i “barbari” o gli eventuali concittadini in rivolta? «Siamo di fronte a un ridimensionamento generale del mondo sviluppato», avvertiva già nel 2012 il finanziere George Soros: «La gente non capisce quello che sta succedendo, ma è paragonabile alla caduta dell’Unione Sovietica». O magari, per dirla con Giulietto Chiesa, a quella dell’Impero Romano. «Sarà una scusa per dare il giro di vite definitivo usando maniere forti per mantenere legge e ordine», disse Soros a “Newsweek”. Mantenere legge e ordine: grazie a minacciosi robocop come Iron Man?Provate a ribellarvi, e ve la dovrete vedere con Iron Man, il primo guerriero “bionico”, forse già in azione tra meno di un anno. Ha lo stesso nome di Tony Stark, l’industriale che diventa supereroe grazie a una corazza totale munita di razzi e alimentata autonomamente, ma non è un clone del personaggio della Marvel Comics. Quello in preparazione è un cyber-soldato vero, indistruttibile e progettato per sterminare qualunque nemico. A volerlo è il comando delle forze speciali americane, che ha aperto una gara tra aziende della difesa, università e laboratori del governo per la produzione di un’armatura hi-tech destinata a soldati d’élite e dotata di arti bionici, esoscheletro a prova di proiettili e schegge, batteria per l’auto-alimentazione. A guidare Iron Man sull’obiettivo, un sistema di caricamento dei dati ricevuti in tempo reale dai droni e proiettati su un display trasparente montato all’interno dell’elmo. Sarà il guerriero-guardiano incaricato di “riportare l’ordine” in un mondo in rivolta, nel caos che verrebbe scatenato da un collasso finanziario?
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Al-Qaeda non serve più, e gli Usa “licenziano” i sauditi
Dopo aver minacciato e “insultato” la Russia e la Cina, l’Onu e persino gli Usa, l’Arabia Saudita – che ha deciso di continuare ad alimentare la guerra civile in Siria nonostante il disgelo tra Washington e Mosca persino sull’Iran – ora rischia grosso: il suo petrolio non è più così indispensabile, e in ogni caso l’America non lo comprerebbe sotto ricatto, cioè in cambio della cessione a Riyadh della sua politica in Medio Oriente. Qualcosa di fondamentale sta accadendo, avverte il giornalista indipendente Thierry Meyssan: per la prima volta, dopo tanti anni, gli Usa stanno abbandonando il loro più decisivo alleato occulto, il network del terrore chiamato “Al-Qaeda”, emanazione diretta dell’intelligence saudita. Agli occhi del nuovo capo della Cia, John Brennan, «lo jihadismo internazionale deve essere ridotto a proporzioni più deboli», tenuto in vita solo come carta di riserva da usare «in alcune occasioni». Lo dimostra la rinuncia della Casa Bianca – di fronte alla fermezza di Putin – a scatenare in Siria l’inizio di una possibile Terza Guerra Mondiale. I terroristi usa e getta? Probabilmente non serviranno più.Secondo Meyssan, se Riyadh non si adegua alla nuova linea di Obama, è a rischio la stessa sopravvivenza dell’Arabia Saudita come Stato: l’emirato petrolifero potrebbe facilmente essere smembrato in cinque unità. «È improbabile che Washington si lasci dettare la propria condotta da alcuni facoltosi beduini, mentre è prevedibile che li rimetterà a posto. Nel 1975, non esitarono a far assassinare il re Faysal. Questa volta, dovrebbero essere ancora più radicali». Lo conferma la presenza alla guida della Cia di un uomo come Brennan, «strenuo oppositore del sistema messo in atto dai suoi predecessori assieme a Riyadh: lo jihadismo internazionale». Secondo Meyssan, Brennan ritiene che, «ancorché questi combattenti abbiano svolto bene il loro compito, un tempo in Afghanistan, Jugoslavia e in Cecenia, siano nondimeno diventati troppo numerosi e troppo ingestibili». Quella che all’inizio era costituita da alcuni estremisti arabi partiti per sparare all’Armata Rossa, è poi diventata una costellazione di gruppi, presenti dal Marocco alla Cina, che si battono per far trionfare il modello saudita di società, più che per sconfiggere gli avversari degli Stati Uniti.Già nel 2001, continua Meyssan, gli Usa avevano pensato di eliminare Al-Qaeda «attribuendole la responsabilità degli attentati dell’11 Settembre». Tuttavia, «con l’assassinio ufficiale di Osama Bin Laden nel maggio 2011, hanno deciso di riabilitare questo sistema per farne ampio uso in Libia e in Siria: senza Al-Qaeda non si sarebbe mai potuto rovesciare Muhammar Gheddafi, come dimostra oggi la presenza di Abdelkader Belhaj, ex numero due dell’organizzazione, come governatore militare di Tripoli». Licenziare i terroristi e i loro gestori mediorientali? “Gettare i Saud fuori dall’Arabia” era il titolo di un powerpoint del 2002 presentato dal Pentagono allora diretto da Donald Rumsfeld. Sono i sauditi, oggi, a mettersi nei guai. Il principe Bandar Bin Sultan, capo dei servizi segreti, in pochi mesi si è messo contro il resto del mondo: ha minacciato la Russia (terrorismo sulle Olimpiadi di Soči), bocciato la politica dell’Onu sulla Siria (promossa anche dalla Cina, super-cliente saudita), rifiutato di parlare al Palazzo di Vetro e annunciato che non userà mai il seggio offerto all’Arabia Saudita al Consiglio di Sicurezza. Quindi ha accusato Israele e l’Iran di accumulare “armi di distruzione di massa”, e ha addirittura annunciato il ritiro dagli Usa degli investimenti sauditi. Gioco pericoloso. Riyadh non ha ancora capito che è terminata la fiction della dittatura medievale travestita da “alleato arabo moderato”, perché – oltre al petrolio – è finita in soffitta la sua arma migliore: il terrorismo “islamico” pilotato dall’intelligence occidentale.Dopo aver minacciato e “insultato” la Russia e la Cina, l’Onu e persino gli Usa, l’Arabia Saudita – che ha deciso di continuare ad alimentare la guerra civile in Siria nonostante il disgelo tra Washington e Mosca persino sull’Iran – ora rischia grosso: il suo petrolio non è più così indispensabile, e in ogni caso l’America non lo comprerebbe sotto ricatto, cioè in cambio della cessione a Riyadh della sua politica in Medio Oriente. Qualcosa di fondamentale sta accadendo, avverte su “Megachip” il giornalista indipendente Thierry Meyssan: per la prima volta, dopo tanti anni, gli Usa stanno abbandonando il loro più decisivo alleato occulto, il network del terrore chiamato “Al-Qaeda”, emanazione diretta dell’intelligence saudita. Agli occhi del nuovo capo della Cia, John Brennan, «lo jihadismo internazionale deve essere ridotto a proporzioni più deboli», tenuto in vita solo come carta di riserva da usare «in alcune occasioni». Lo dimostra la rinuncia della Casa Bianca – di fronte alla fermezza di Putin – a scatenare in Siria l’inizio di una possibile Terza Guerra Mondiale. I terroristi usa e getta? Probabilmente non serviranno più.
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Dopo la Siria, sollevazione anti-Usa: non fate più paura
Nel 1991, gli Stati Uniti avevano considerato che la fine del loro grande rivale liberava il loro budget militare e permetteva loro di sviluppare la propria prosperità. Il presidente George H. Bush (il padre) aveva cominciato, dopo l’operazione Desert Storm, a ridurre le dimensioni delle sue forze armate. Il suo successore, Bill Clinton, rafforzò questa tendenza. Tuttavia, il Congresso repubblicano, eletto nel 1995, rimise in questione questa scelta e impose un riarmo senza nemici da combattere. I neo-conservatori lanciarono il loro paese all’assalto del mondo per creare il primo impero globale. Fu solo in occasione degli attentati dell’11 settembre 2001 che il presidente George W. Bush (il figlio ) decise di invadere successivamente l’Afghanistan e l’Iraq, la Libia e la Siria, poi la Somalia e il Sudan, e di terminare con l’Iran, prima di volgersi verso la Cina.
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Pilger: il nostro grande nemico, di cui nessuno osa parlare
Attaccata al muro di fronte a me c’è la prima pagina del “Daily Express” del 5 settembre 1945 con le parole: «Scrivo questo come avvertimento per il mondo». Così cominciava il rapporto da Hiroshima di Wilfred Burchett. Fu lo scoop del secolo. Per quel suo solitario, pericoloso viaggio che sfidava le autorità di occupazione americane, Burchett fu messo alla gogna, anche dai colleghi che lavoravano con lui, ma fece sapere al mondo che un atto premeditato di omicidio di massa, su scala epica, aveva innescato una nuova era di terrore. Quasi ogni giorno, ora, ci si riconosce nelle sue parole. Tutta l’intrinseca criminalità dei bombardamenti atomici si è sprigionata, dagli archivi nazionali Usa, per decenni di militarismo camuffati da democrazia. Come si vede chiaramente oggi nello psicodramma della Siria. Ancora una volta, tengono il mondo in ostaggio per combattere un terrorismo, la cui natura e la cui storia è ormai negata anche dal più liberale dei critici. L’Innominato, che è il più grande e pericoloso nemico dell’umanità, abita a Washington.
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Da Bin Laden a Vickers, il macellaio della guerra di Obama
Prima regola, le “verità indiscusse”: noi siamo il Bene, loro il Male, ed è bene i media ne prendano nota senza discutere. Seconda regola: pace e ordine mondiale richiedono la presenza militare globale degli Usa. Terza regola: solo un interventismo globale, anche sotto forma di guerra preventiva, può sconfiggere le minacce esistenti. E’ il credo imperiale che Andrew J. Bacevich, già alto ufficiale degli Stati Uniti e ora storico dell’università di Boston, chiama “la Sacra Trinità” sui cui si regge il potere Usa, che da almeno tre decenni, in Medio Oriente, viaggia a fari spenti: «Obama improvvisa, non ha una strategia. Persino nel coinvolgere il Congresso, punta solo a condividere l’impiccio. E non vedo la Siria come una svolta. Penso che ormai sia chiaro, e non da oggi, come la politica americana nel mondo islamico abbia fallito. Intervenire in Siria perpetuerà semplicemente questo fallimento».
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Massimo Fini: l’America ricatta il mondo, rimpiango l’Urss
La politica di potenza imperiale che gli Stati Uniti stanno esercitando a tamburo battente da quando non c’è più il contraltare dell’Unione Sovietica, e hanno quindi le mani libere, si maschera dietro questioni morali. La Siria è un paese che dà fastidio, perché legata all’Iran, che è l’arcinemico, non si capisce poi bene il perché, degli Stati Uniti e di Israele. Tra l’altro non si sa affatto se Assad ha usato armi chimiche, ci sono gli ispettori Onu per questo, o l’Onu non conta nulla? Evidentemente non conta nulla perché quando serve c’è il cappello Onu, se non c’è il cappello Onu si aggredisce lo stesso. Questo è avvenuto in Serbia nel ‘99, in Iraq nel 2003 e in Libia recentemente. Tutte azioni e aggressioni senza nessuna copertura Onu. Si dovrebbe per lo meno aspettare la relazione degli ispettori. C’è un precedente che dovrebbe consigliare prudenza – non dico agli Stati Uniti che non ne hanno, ma ai suoi alleati, ed è quello dell’Iraq – dove sostenevano che Saddam Hussein avesse le armi chimiche, di distruzione di massa, e poi non le aveva. Certo, lo sostenevano perché gliele avevano date loro a suo tempo, gli Stati Uniti, in funzione anti-sciita e anti-curda, però non le aveva più perché le aveva usate ad Halabja, gasando cinquemila curdi.
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Giulietto Chiesa: finito il consenso, useranno il terrore
Democrazia e libertà civili furono gli strumenti culturali e istituzionali indispensabili per la costruzione del consenso. Il loro esercizio soddisfacente permise di controllare e conquistare non solo i ceti intermedi che venivano consolidandosi, ma anche settori decisivi delle classi lavoratrici. Il “welfare state” fu l’arma economica con cui le classi dominanti dell’Occidente si assicurarono il superamento indolore del “turning point” previsto da Karl Marx. Il risultato fu raggiunto. A fatica, certo, e attraverso lotte durissime, poiché le forze lavoratrici si erano nel frattempo dotate di strumenti di difesa: partiti, sindacati, società civile organizzata. La storia del XX secolo è stata, in Occidente, un continuo alternarsi di offensive e controffensive delle due classi principali. Quando la bilancia delle forze si spostò dalla parte dei subordinati, e per il Potere il pericolo divenne concreto, esso ricorse senza esitazione alla forza, al sangue, alla violenza.
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Missili? No, grazie. L’opinione pubblica boccia la guerra
La rottura ormai consumata tra governi e governati dell’Occidente non potrebbe essere più netta di così: dopo sette giorni di intensissima indignazione mondiale a comando – con ogni tipo di media – per “l’esecrabile infamia” attribuita a Bashar el Assad, le percentuali di cittadini contrari all’intervento militare punitivo in Siria non sono cambiate: negli Stati Uniti i contrari sono il 70% (Pew research) e in Francia il 59% (Ifop). I dati italiani e inglesi non sono stati divulgati. L’assalto dei presidenti-sceriffi al necessario consenso delle rispettive opinioni pubbliche è fallito. L’opzione militare diventa politicamente impraticabile, oltre che strategicamente pericolosa, tatticamente inutile, umanamente crudele e giuridicamente precipitosa e infondata. La credibilità degli apparati di comunicazione e costruzione del consenso dei governi occidentali è ormai vicina allo zero.
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Pentagono 2011: un bel massacro, poi l’attacco alla Siria
«Niente raid aerei, a meno che i media non si interessino ad un massacro, come fu a Bengasi per la Libia». Era solo il 2011, ma i cialtroni stragisti della “guerra umanitaria”, a porte chiuse, parlavano così. Volevano il massacro? Eccolo: è la carneficina dei bambini soffocati dai gas tossici, sparati non si sa ancora da chi ma più che sufficienti a invadere i media di immagini spaventose. Quelli che oggi fingono di commuoversi per quei bambini sono gli stessi che, già due anni fa, avevano accuratamente pianificato l’invasione della Siria, “scudo” occidentale dell’Iran e, probabilmente, ultimo baluardo del mondo sull’orlo della Terza Guerra Mondiale. «Per tutti quelli che sono rimasti scioccati dallo “sviluppo degli eventi” in Siria – scrive Tyler Durden – ecco il resoconto completo di come tutto è stato orchestrato nel 2011», e poi divulgato l’anno seguente da WikiLeaks. Sul blog “Zero Hedge”, Durden pubblica il report di una riunione strategica di due anni fa, nella quale al Pentagono si lascia intendere che forze Usa sono già “sul terreno”, per destabilizzare il regime di Assad e trasformare la Siria in un mattatoio. Obiettivo: preparare lo scenario che, due anni dopo, renderà “inevitabile” quello che l’ipocrisia dei media chiama ancora “intervento umanitario”.
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Siria, gas nervini: la sinistra efficacia di un evidente falso
Potrebbe avere conseguenze ancora peggiori delle “solite” l’attuale, ancora virulenta, campagna condotta da numerosi media mainstream (in testa, ovviamente, le “anime belle” della “sinistra”) sull’uso di gas nervini da parte del governo Assad. Le solite stantie “notizie” sulle “armi di distruzioni di massa” in mano al Saddam di turno per giustificare un ennesimo intervento dell’Occidente, una guerra? Forse, questa volta, non è così. Partiamo dalle considerazioni più ovvie. Intanto, cui prodest? Che interesse avrebbe oggi Assad, sotto gli occhi degli osservatori dell’Onu appena arrivati in Siria, a usare i gas alla periferia di Damasco? E poi per ottenere militarmente cosa? Dopo due anni di guerra l’esercito siriano sta riconquistando tutte le roccaforti prese dai “ribelli” (che, tra l’altro, si stanno letteralmente scannando tra di loro) e gli stessi media mainstream occidentali sono costretti a riprendere, sempre di più, il vero volto di questa guerra di invasione.