Archivio del Tag ‘pensioni’
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Magaldi: il Covid, guerra mondiale contro la nostra libertà
Sembra una pandemia, e invece è una guerra: scatenata contro tutti noi, da mani solo in apparenza ignote. Una strana guerra: contro la sicurezza sociale, la libertà, la democrazia. Contro il diritto di vivere come prima, contro il diritto alla felicità. Prima ci hanno provato con i golpe e gli omicidi eccellenti, poi con il cannibalismo mafioso di stampo finanziario, neoliberista. Per buon peso hanno aggiunto il terrorismo stragista, le Torri Gemelle, Al-Qaeda, l’Isis, i “regime change” delle rivoluzioni colorate, la sovragestione dell’emigrazione di massa. Ora ci riprovano, ma con un’arma ancora più micidiale: il virus. Attenzione, i registi sono sempre gli stessi. I loro antenati esordirono nel 1963, facendo saltare il cervello a John Kennedy. Dieci anni dopo, uccisero in Cile Salvador Allende. Poi annunciarono che la lunga marcia della democrazia doveva fermarsi, come ricordato (col sangue, ancora) dall’uccisione di Bob Kennedy, Martin Luther King e ogni altro leader veramente scomodo, dallo svedese Olof Palme all’africano Thomas Sankara fino all’israeliano Yitzhak Rabin. Oggi attaccano l’uomo che più temono, Donald Trump, perché ha osato ostacolare la loro principale macchina da guerra: la Cina e il suo alleato strategico, l’Oms. Strano: il flagello Covid è esploso a Wuhan subito dopo l’umiliante stop, imposto dalla Casa Bianca, all’ambiguo espansionismo cinese.Solo a un cieco può sfuggire il disegno: sembra una semplice emergenza sanitaria (sia pure abnorme, capace di paralizzare il mondo), e invece è soprattutto una guerra. Una subdola Terza Guerra Mondiale combattuta sotto falsa bandiera, dove niente è come appare e nessuno è davvero quello che dice di essere. Se la lente deformante del complottismo iperbolico dà una mano ai signori della guerra sporca e ai loro media, aiutadoli a screditare in partenza chiunque provi a leggere dietro la cronaca, c’è chi si sforza di unire i puntini. Lo psichiatra e criminologo Alessandro Meluzzi, per esempio. La sua tesi: il coronavirus è solo l’innesco. Ormai il morbo sembra praticamente estinto, ma la minaccia viene tenuta in vita a tutti i costi. Le cure oggi esistono, ma sono deliberatamente ignorate perché si vorrebbe imporre il vaccino universale, magari anche con il Tso per i refrattari. E il vaccino a sua volta è solo la premessa per tutto il resto: il tracciamento orwelliano, le App occhiute e il microchip sottopelle, magari gestito dalla rete wireless 5G di ultima generazione. Obiettivo: il dominio assoluto sull’individuo, sottoposto a una psico-polizia sanitaria, grazie al ricatto della paura. Fantascienza distopica: qualcosa di mostruoso sta per invaderci? Sì, certo: «Con il Sars-Cov-2 hanno fatto solo la prova generale. Domani, qualcuno potrebbe immettere un virus ben più letale, fabbricato in laboratorio».E’ un’ipotesi evocata da un analista spiazzante come Gioele Magaldi, massone progressista e autore di un bestseller (”Massoni”, appunto) uscito nel 2014 per Chiarelettere: «Il sequel uscirà a novembre e conterrà precise rivelazioni sulla regia occulta dell’operazione coronavirus, tuttora in corso». Un capolavoro infernale: il panico di massa scatenato dall’allarme pandemia «è riuscito a rovinare i grandi successi economici di Trump giusto alla vigilia delle elezioni americane, nonché a schiantare un paese come l’Italia, che ora è sull’orlo del baratro grazie al peggiore dei lockdown, il più severo e insensato». Tu chiamale, se vuoi, coincidenze. Oggi, osserva un reporter come Massimo Mazzucco, è la paura della povertà (milioni di cittadini trasformati in disoccupati, da un giorno all’altro) a incendiare la rabbia, negli Usa, contro la vergogna nazionale del razzismo che ancora ammorba la polizia. «Fa malissimo, Trump, a ignorare la parte genuina della protesta», dice Magaldi: «Migliaia di americani sono giustamente indignati per lo scandalo della violenza sistematica degli agenti contro i neri, come s’è visto anche nel caso di George Floyd». Ma attenzione: «Tutti attaccano Trump senza farsi una domanda: perché Barack Obama, primo presidente “nero”, in otto anni alla Casa Bianca non ha fatto assolutamente nulla per ripulire la polizia da questa piaga ignobile?».Poi, naturalmente, ci sono gli altri protagonisti delle rivolte: le falangi eterodirette, gli squadristi truccati da “antifascisti”. «Un teatro grottesco, inscenato per dare del fascista al “puzzone” Trump: quasi fosse lui il responsabile della morte di Floyd, e non i suoi aguzzini, peraltro immediatamente arrestati». Estremismo pilotato, strategia della tensione: è possibile non accorgersene? Eccome: i fuochi fatui funzionano a meraviglia, per distrarre i meno attenti. In Italia c’è ancora chi perde tempo nel più tragicomico dei derby, quello tra Salvini e le Sardine, mentre il potere – quello vero – paralizza il paese condannandolo alla retrocessione, e gli squali mandano avanti il loro uomo, Vittorio Colao, con una proposta antichissima: svendere tutto quel che resta, ai soliti amici degli amici. Una spettrale riedizione degli anni Novanta, con analoga sequenza: prima la crisi (Tangentopoli, allora), la liquidazione giudiziaria della Prima Repubblica, le bombe mafiose a Milano e Firenze, l’eliminazione dei testimoni più scomodi di certi giochi (Falcone e Borsellino), e infine la grande svendita del paese affidata a terminali come Prodi e Draghi. Risultato: lo scalpo del Belpaese sull’altare di Maastricht, sacrificato al mercantilismo tedesco in cambio dell’adesione della Germania all’euro, pretesa dalla Francia. Insieme al Made in Italy, rottamata anche la politica: prima la finta guerriglia contro l’imbarazzante Berlusconi, poi l’avvento di Monti e le mezze figure a seguire, il fanfarone Renzi, lo sbiadito Gentiloni. E lo sconcertante Conte.Tutto si tiene, avverte Magaldi, che offre il seguente ragionamento: l’offensiva Covid è stata scatenata in tutta la sua potenza (imponendo il lockdown) dopo che il potere neoliberista aveva subito grandi rovesci. Il peggiore? L’elezione di Trump alla Casa Bianca. Ma non solo: «Christine Lagarde, Mario Draghi e la dirigenza del Fmi hanno abbandonato il fronte oligarchico per passare alla massoneria progressista, keynesiana». Parlano i fatti: Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario, dice che l’Occidente muore, se non mette fine all’austerity. L’ex capo della Bce ha esposto il suo pensiero sul “Financial Times”, a fine marzo: servono oceani di miliardi da regalare all’economia, e subito, pena il collasso di sistemi come quello italiano. E la Lagarde, che ha preso il posto di Draghi a Francoforte, ha messo mano al bazooka sfidando la Germania: miliardi a pioggia, anche sull’Italia messa in croce da Conte. «Quelli della Bce – dice Magaldi – sono gli unici soldi veri che stanno arrivando: altro che le ciance sul Mes o sul Recovery Fund che scatterà forse nel 2021: quanti italiani arriveranno, vivi, al 2021? Qui si fanno solo chiacchiere, si dispensano briciole, molti aspettano ancora la cassa integrazione. Migliaia di aziende non riapriranno, decine di migliaia di famiglie non sanno come arrivare a fine mese. Cosa aspettano, a Palazzo Chigi? Vogliono vedere le strade invase da folle inferocite, con le auto rovesciate e incendiate?».Presidente del Movimento Roosevelt, Magaldi annuncia un ultimatum a Conte: «Al governo, faremo proposte precise, salva-Italia, da attuare nel giro di un mese». Le piazze già ribollono, ma col rischio di finire fuori bersaglio, in mezzo al solito chiasso mediatico depistante: «Sfottono Pappalardo e i suoi Gilet Arancioni per il teatro messo in scena, come se protestare fosse ormai vietato, ma è lo stesso Pappalardo a evocare obiettivi che, comunque li si giudichi, sono irrealistici se non in termini decennali: riforme costituzionali, l’uscita dall’Ue e addirittura dalla Nato». Sul fronte opposto, fino a ieri si agitava il perbenismo delle Sardine: «Da loro, solo proposte ridicole e irrisorie. O addirittura pericolose per la democrazia, come la pretesa di imporre sui social la censura ai ministri». In tanti, ancora oggi, si lasciano ipnotizzare dall’odio per Salvini, pesce piccolo (piccolissimo) nell’acquario-Italia, senza vedere la burrasca che sta devastando l’oceano: la guerra ibrida, spaventosamente insidiosa, contro la libertà e la democrazia. Qualcosa che non s’era mai visto prima, in questi termini: un’arma di distruzione di massa in grado di minacciare il mondo, fino a deformarlo per sempre.Il primo a dirlo, a modo suo, è stato Bob Dylan: con la canzone “Murder Most Foul”, il grande cantautore, Premio Nobel per la Letteratura («e massone progressista», assicura Magaldi), ha messo in relazione l’esplosione del Covid con l’omicidio di Dallas: come se gli eredi dei killer di Kennedy avessero a che fare direttamente con il nuovo terrorismo sanitario. A scanso di equivoci, lo stesso Dylan ha presentato il brano “False Prophet” esibendo uno scheletro che impugna una siringa. Contro il “falso profeta” Bill Gates (a cui Conte si è impegnato a regalare milioni, per i suoi vaccini), Robert Kennedy Junior ha scatenato una polemica furibonda, puntando il dito contro il pericoloso triangolo formato da Gates, dal guru Anthony Fauci e dall’Oms foraggiata dalla Cina. Tutti fieri avversari di Trump. Ma il cognome Kennedy non dovrebbe essere all’opposizione del “puzzone” che siede alla Casa Bianca? In teoria, sì. In apparenza. Fino all’altro ieri, almeno. La verità – dice Magaldi, già iniziato alla superloggia “Thomas Paine” (quella di Gandhi) – nel 2016 la massoneria progressista ha appoggiato in modo decisivo proprio Trump: meglio lui, piuttosto che Hillary Clinton.“The Donald” avrebbe funzionato come ariete, per rompere il dominio dell’élite neoliberista: quella che con Bill Clinton ha regalato i pieni poteri a Wall Street, stracciando il Glass-Steagall Act che separava le banche d’affari dal credito ordinario, e che poi con il clan Bush ha progettato l’inferno del terrorismo “islamico”. C’era quasi riuscito, Trump: aveva fatto volare l’economia americana (meno tasse, più deficit) e aveva fermato l’inarrestabile avanzata della potenza cinese, fatta entrare nel grande gioco mondiale del Wto senza pretendere garanzie democratiche, diritti sindacali e tutele dell’ambiente. «Il problema – avverte Magaldi – non è la Cina, di per sé, ma il potere sovranazionale che usa il sistema-Cina come clava, per “cinesizzare” l’Occidente: lo si è visto benissimo con il lockdown di Wuhan, presentato come modello virtuoso e immediatamente replicato in Italia». Magaldi fornisce occhiali speciali, supermassonici: ricorda che fu Kissinger (superloggia “Three Eyes”) a sdoganare il gigante asiatico. Kissinger, grande regista del golpe cileno, fu il primo a scommettere sul regime dittatoriale di Pechino come alternativa all’Occidente democratico, contro la primavera dei diritti che animava il sogno della New Frontier di Kennedy.Siamo ancora a questo? Allo scontro tra democrazia e oligarchia? Assolutamente sì: è esattamente il tema della grande guerra in corso, sullo sfondo incendiario della rabbia crescente degli italiani e di quella esplosiva degli americani, oggi inferociti contro la polizia. In palio non ci sono singole elezioni, piccole carriere, politicanti di rango nazionale allevati da partiti-fantasma che ancora recitano il minuetto destra-sinistra, seppellito consensualmente col rigore neoliberista alla massima potenza, come nel caso del Rigor Montis (pareggio di bilancio, legge Fornero) convalidato senza fiatare dal “compagno” Bersani. Meglio resettare la lavagna, sollevando finalmente lo sguardo. L’obiettivo è il più alto possibile: la nostra libertà, minacciata dal ricatto del virus con l’alibi della sicurezza sanitaria. Magaldi però non è pessimista: «Non sono riusciti a distruggere la democrazia né col neoliberismo finanziario, né col terrorismo. E non ci riusciranno nemmeno stavolta: ma bisogna sapere quello che sta succedendo davvero. Siamo tutti in pericolo. E occorre essere pronti a combattere, in modo democratico: perché chi ha gestito questo virus ha dichiarato guerra alla nostra libertà».Sembra una pandemia, e invece è una guerra: scatenata contro tutti noi, da mani solo in apparenza ignote. Una strana guerra: contro la sicurezza sociale, la libertà, la democrazia. Contro il diritto di vivere come prima, contro il diritto alla felicità. Prima ci hanno provato con i golpe e gli omicidi eccellenti, poi con il cannibalismo mafioso di stampo finanziario, neoliberista. Per buon peso hanno aggiunto il terrorismo stragista, le Torri Gemelle, Al-Qaeda, l’Isis, i “regime change” delle rivoluzioni colorate, la sovragestione dell’emigrazione di massa. Ora ci riprovano, ma con un’arma ancora più micidiale: il virus. Attenzione, i registi sono sempre gli stessi. I loro antenati esordirono nel 1963, facendo saltare il cervello a John Kennedy. Dieci anni dopo, uccisero in Cile Salvador Allende. Poi annunciarono che la lunga marcia della democrazia doveva fermarsi, come ricordato (col sangue, ancora) dall’uccisione di Bob Kennedy, Martin Luther King e ogni altro leader veramente scomodo, dallo svedese Olof Palme all’africano Thomas Sankara fino all’israeliano Yitzhak Rabin. Oggi attaccano l’uomo che più temono, Donald Trump, perché ha osato ostacolare la loro principale macchina da guerra: la Cina e il suo alleato strategico, l’Oms. Strano: il flagello Covid è esploso a Wuhan subito dopo l’umiliante stop, imposto dalla Casa Bianca, all’ambiguo espansionismo cinese.
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E la dittatura dei cialtroni impose all’Italia il reato di vivere
L’Italia si avvia a diventare un regime totalitario temperato dall’inefficienza e dal ridicolo. Con la scusa della salute è stato introdotto il divieto di sbarco agli italiani in piazza, al bar, al ristorante, sulle spiagge; ora mitigato da libertà provvisoria, con la condizionale. I veri clandestini sono gli italiani, sorpresi a consumare all’aperto il più losco dei crimini: il reato di vivere. L’eversione ha un nome preciso: movida. Acchiappatelo, fa la movida. È pericoloso, ha un’arma in pugno, lo spritz. Gli unici che hanno diritto di sbarco sulle nostre coste senza dover prenotare lo scoglio né il tavolo o stare a distanza regolamentare, sono i migranti, che è reato chiamare clandestini. Appena sbarcano ricevono la mascherina vanamente cercata dagli italiani per mesi. Difatti hanno ripreso a sbarcare in massa, incoraggiati dalle aperture dell’Italistan e dall’imam che si professa papa. In omaggio ai nuovi arrivati le nuove mascherine promesse dal floppista Commissario agli Interventi Immaginari, detto Arcuri, saranno burqa o chador; ma in virtù della parità dei diritti non saranno riservati alle donne ma estesi pure ai maschi e agli asmatici che così potranno soffocare liberamente per strada, nella loro anidride carbonica.
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Poco e tardi: Conte spera di illudere gli italiani più ingenui
La coperta era corta: con 80 miliardi di interventi anticrisi complessivamente stanziati finora, tra i 25 del decreto di marzo e i 55 di quello sul “Rilancio” varato solo il 13 maggio dopo infiniti tira-e-molla interni alla maggioranza, il governo Conte ha fatto molto meno di Francia, Germania e Gran Bretagna, privo com’è di cassa e della leadership politica per raccoglierne di più, sia sui mercati sia dall’Europa, quando si tratterà (ben presto) di trovare materialmente i soldi per finanziare tutte le misure varate ieri. Dunque una “toppa” fuori tempo massimo, e senza investimenti né visione. Così la definisce Sergio Luciano, già caporedattore della “Stampa”, del “Sole 24 Ore” e delle pagine economiche di “Repubblica”. Data la “coperta corta”, scrive Luciano sul “Sussidiario”, il Conte-bis «ha scelto di lasciare scoperti i piedi su cui camminare nel futuro anteriore e coprire invece l’interesse del consenso di breve termine, quello che forse andrà presentato al cambiavalute delle prossime elezioni, soprattutto se il buon senso politico del paese si risveglierà e riporterà gli italiani alle urne prima della naturale scadenza della legislatura».Dunque il vero “rilancio” cui allude il nome del decreto, aggiunge Luciano, «è quello delle possibilità della maggioranza, ma soprattutto personali del premier, di raccattare consensi tra gli italiani», specie i più ingenui, cioè «quelli che sono capaci di contare i benefici immediati e diretti delle misure ma che forse non avranno la competenza per ricollegarli alla carenza – che questo governo non cura – di interventi strutturali sui grandi investimenti pubblici e sulle reti che abilitano la ripresa produttiva». Ci verrà detto che quelli e queste verranno fatti in seguito, con i fondi europei, diversi da quelli emergenziali? «Speriamo: finora non è mai successo». Secondo Luciano, «questo non è un decreto per giovani: è un decreto per elettori, soprattutto vecchi». Rivelatore, l’espressione “mosaico” citata dal grillino Patuanelli per descrivere il documento appena approvato. «Un mosaico di interventi, alcuni anche ineludibili, per carità – dalla cassa integrazione rifinanziata per altre nove settimane al maxi-abbuono dell’Irap di giugno per le imprese, dal differimento delle scadenze fiscali fino a settembre al rinnovo dei contributi per gli autonomi meno ricchi – ma comunque di breve termine e di natura emergenziale».Ben vengano gli interventi d’emergenza, ammette Luciano: non se ne può fare a meno. Semmai, in Italia sono tardivi. «Manca del tutto però un pensiero profondo su come rilanciare l’economia del paese: e in questo senso, purtroppo, il decreto non funzionerà». Il turismo, per esempio, «viene accarezzato con un modesto bonus famiglie», e non trova (nelle 505 pagine del decreto) «nulla che lo conforti sul termine medio-lungo». Quanto alla manifattura, viene «lasciata povera com’è di infrastrutture materiali e digitali», senza nulla di incisivo che la possa risollevare. Si segnala una boccata d’aria l’edilizia, «che ne aveva disperato bisogno», col maxi-bonus del 110% per le ristrutturazioni energetiche e antisismiche dei fabbricati. «Ma anche questa misura si limita ad ampliarne altre esistenti, che sono già state vastamente utilizzate e potrebbero anche non essere così gettonate come forse il governo si augura». Dovendo pagare un pegno di cui non ha colpa diretta, cioè «il pegno della malafinanza che ha dissanguato le casse pubbliche», questa compagine governativa ha puntato insomma sull’immediato, e al massimo sul breve termine.Secondo Luciano, la precaria maggioranza del Conte-bis «ha messo se stessa in mano al fato, per chi ci crede: perché è chiaro che se la pandemia dovesse davvero esaurire presto i suoi effetti malefici almeno in Italia e permettere una più dinamica ripartenza dell’economia manifatturiera, quella che da sempre salva il nostro paese nelle fasi critiche, resterà la memoria delle piccole ma tante elargizioni di ieri prima che emerga la gravità delle lacune e sfumerà la consapevolezza delle omissioni commesse». Se invece i danni della pandemia si faranno sentire più a lungo, «ripetere o prorogare questo pioggerellina di “pochi soldi per tanti se non per tutti” sarà impossibile e si rivelerà a chiunque con chiarezza che è stato perso altro tempo e un’occasione preziosa per avviare un’autentico rilancio infrastrutturale e produttivo del paese». Siparietto finale, per la «commozione autentica» di Teresa Bellanova sulla temporanea regolarizzazione dei braccianti stranieri. «Le brevi lacrime della ministra, lacrime proletarie – bracciante è stata lei stessa, da ragazza – cancellano le lacrime aristocratiche di un’altra ministra, Elsa Fornero, che le versò in un’altra storica conferenza stampa annunciando la sua draconiana legge sulle pensioni». Chiosa Luciano: «Una lacrima lava l’altra, il paese non ne ha più».La coperta era corta: con 80 miliardi di interventi anticrisi complessivamente stanziati finora, tra i 25 del decreto di marzo e i 55 di quello sul “Rilancio” varato solo il 13 maggio dopo infiniti tira-e-molla interni alla maggioranza, il governo Conte ha fatto molto meno di Francia, Germania e Gran Bretagna, privo com’è di cassa e della leadership politica per raccoglierne di più, sia sui mercati sia dall’Europa, quando si tratterà (ben presto) di trovare materialmente i soldi per finanziare tutte le misure varate ieri. Dunque una “toppa” fuori tempo massimo, e senza investimenti né visione. Così la definisce Sergio Luciano, già caporedattore della “Stampa”, del “Sole 24 Ore” e delle pagine economiche di “Repubblica”. Data la “coperta corta”, scrive Luciano sul “Sussidiario“, il Conte-bis «ha scelto di lasciare scoperti i piedi su cui camminare nel futuro anteriore e coprire invece l’interesse del consenso di breve termine, quello che forse andrà presentato al cambiavalute delle prossime elezioni, soprattutto se il buon senso politico del paese si risveglierà e riporterà gli italiani alle urne prima della naturale scadenza della legislatura».
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Liquidità alle imprese entro questa settimana o sarà default
Dovremo convivere con il coronavirus per lungo tempo e non possiamo distruggere l’economia con provvedimenti punitivi, come è stato fatto per necessità nei mesi scorsi. Oggi dobbiamo assumerci qualche rischio. La vera domanda semmai è: siamo in condizioni di rischio tollerabile? Lo siamo ampiamente, considerando quello che sta succedendo anche negli altri paesi europei e considerando l’unico dato da seguire che è la mortalità: anche se fotografa la situazione con dieci giorni di ritardo, conferma che è in atto una decisa attenuazione del contagio. L’emergenza sanitaria sta rientrando. Quella economica, forse ancora più drammatica, sta invece avanzando a grandi passi. Come valuto l’azione del governo su questo fronte? Male. Per esempio, il decreto liquidità: è stato annunciato in Tv il 6 aprile, dicendo che si era mobilitata una poderosa manovra da 400 miliardi. La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è arrivata il 10 aprile, e quattro giorni in questa emergenza possono essere decisivi. Siamo a inizio maggio, e di quei 400 miliardi alle piccole e medie imprese forse è arrivato un miliardo, probabilmente meno. Se in un mese un decreto considerato fondamentale arriva a dispiegare il suo “vigoroso” impatto dell’1%, mentre negli altri paesi europei lo stesso tipo di provvedimento ha già erogato tutta la sua capacità di finanziamento, siamo in presenza di un grosso problema.In questione non c’è tanto l’attività di decretazione del governo, ma l’attuazione pratica, che risulta essere inaccettabilmente lenta e farraginosa. Conte si è scusato con gli italiani per la lentezza e l’inefficienza con cui stanno arrivando gli aiuti? È vero, ma è solo un’esortazione retorica, sono solo parole. Bisogna guardare ai fatti, e in quel decreto ci sono errori tecnici imperdonabili, che lo rendono inefficace. Ne cito uno sostanziale. Il principio delle garanzie pubbliche al 90% è stato adottato per evitare l’azzardo morale, cioè il rischio di far arrivare questi soldi ad aziende che non li meritano. Ma in questa drammatica emergenza qualche azzardo morale è preferibile al ritardo che si è ingenerato. Con il 90% di garanzia la banca deve per forza fare l’istruttoria, che richiede tempo e un infernale iter burocratico. Come accompagnare le imprese italiane fuori dal lockdown? La prima urgenza è ovviamente la liquidità. Un’azienda, avendo comunque dei costi incomprimibili da sopportare, dall’affitto alle bollette, dai fornitori da pagare alla cassa integrazione (anticipata e non ancora rimborsata), se resta per due mesi senza fatturato, non vive. Due mesi sono un tempo infinito. La liquidità deve arrivare adesso, al massimo entro questa settimana, altrimenti molte aziende chiuderanno.Ma la liquidità promessa arriva sotto forma di debito: e questo è l’altro problema, oltre a quello dei ritardi. In questo modo avremo altre aziende che lentamente moriranno di debito, perché non saranno in grado di rimborsarlo. Chi si illude, dopo che avremo riaperto tutto, che il mondo ritornerà come prima, non ha capito nulla. La gente si sentirà più povera, i consumi rallenteranno, il turismo soffrirà in modo terribile. Sarà una depressione, che è peggio della recessione. Le aziende non solo soffriranno questo mese, ma anche i prossimi dodici mesi in termini di perdite. Bisogna quindi aiutarle, se non si vuole correre un rischio ben peggiore. In Italia la spesa per pensioni, sanità, istruzione e pubblico impiego è sostenuta dalle tasse dei privati, cioè le aziende. Se spariranno, non si incasseranno tasse e a un certo punto si cadrà in una spirale tremenda e insostenibile. Non a caso molti hanno invocato il ricorso a finanziamenti a fondo perduto. Con il pessimo stato di salute dei nostri conti pubblici e del nostro debito pubblico, costantemente nel mirino della Ue, il governo può permetterseli? Quest’anno sì, perché è una sorta di anno sabbatico, in cui vale tutto. Nessun vincolo europeo sarà invalicabile, anzi molti sono già stati rilassati dalla stessa Ue.Il problema è che noi ci trovavamo in una situazione di debito eccessivo già da prima del coronavirus. Questa pandemia aggiungerà altri 25 punti percentuali, portando, secondo le mie stime, il nostro rapporto debito/Pil al 170%. Una soglia non sopportabile. Come uscire da questo crinale? Ci sono due sole strade. La prima, quella che auspico: accelerare violentemente, costi quel che costi, sulla ripresa e sullo sviluppo economico, aumentando il denominatore. Quindi dare anche soldi a fondo perduto, pur di mantenere in vita le aziende. Sembra un “regalo”, ma in realtà è un investimento, a favore della crescita e a garanzia futura dell’occupazione, del prelievo fiscale e della sostenibilità del debito. Ecco perché chi parla di decrescita felice andrebbe criminalizzato, perché prefigura il collasso dello Stato. La seconda strada? Ahimè, è il default. Se il lavoro, le imprese e le tasse non sostengono adeguatamente questo debito, lo Stato non sarà più in grado di ripagarlo. Sarebbe una tragedia, soprattutto per i ceti più deboli. L’Italia ce la farà a superare questa durissima prova? Sì che ce la farà, per forza, anche se quest’anno il Pil calerà del 12% e stiamo precipitando in un buco. A patto, però, che tutti si convincano che la nostra possibilità di uscirne è legata allo sviluppo economico, creando lavoro e intrapresa.(Giovanni Cagnoli, dichiarazioni rilasciate a Marco Biscella per l’intervista “Liquidità alle imprese entro questa settimana o sarà default”, pubblicata dal “Sussidiario” il 4 maggio 2020. Cagnoli è presidente di Carisma, holding di partecipazioni industriali dedicata allo sviluppo delle Pmi italiane, ed esperto di strategia aziendale. E’ stato tra i primi a mettere sul tavolo il tema della riapertura e dell’uscita dal lockdown).Dovremo convivere con il coronavirus per lungo tempo e non possiamo distruggere l’economia con provvedimenti punitivi, come è stato fatto per necessità nei mesi scorsi. Oggi dobbiamo assumerci qualche rischio. La vera domanda semmai è: siamo in condizioni di rischio tollerabile? Lo siamo ampiamente, considerando quello che sta succedendo anche negli altri paesi europei e considerando l’unico dato da seguire che è la mortalità: anche se fotografa la situazione con dieci giorni di ritardo, conferma che è in atto una decisa attenuazione del contagio. L’emergenza sanitaria sta rientrando. Quella economica, forse ancora più drammatica, sta invece avanzando a grandi passi. Come valuto l’azione del governo su questo fronte? Male. Per esempio, il decreto liquidità: è stato annunciato in Tv il 6 aprile, dicendo che si era mobilitata una poderosa manovra da 400 miliardi. La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è arrivata il 10 aprile, e quattro giorni in questa emergenza possono essere decisivi. Siamo a inizio maggio, e di quei 400 miliardi alle piccole e medie imprese forse è arrivato un miliardo, probabilmente meno. Se in un mese un decreto considerato fondamentale arriva a dispiegare il suo “vigoroso” impatto dell’1%, mentre negli altri paesi europei lo stesso tipo di provvedimento ha già erogato tutta la sua capacità di finanziamento, siamo in presenza di un grosso problema.
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Virus, lo sterminio della generazione che lottò per l’Italia
Il Covid-19 sta sterminando chi ha dai settant’anni in su, la mia generazione e quelle più vicine. Generazioni nate a cavallo della seconda guerra mondiale, che ne hanno incontrato le sofferenze, le distruzioni, i morti, le lotte o direttamente, o subito dopo nei ricordi dei genitori che ogni tanto si lasciavamo scappare qualche frase, magari mentre si parlava d’altro. Io, che sono nato nel dopoguerra, ho conosciuto questa parola per un gioco stupido che avevo imparato in strada – allora i bambini ci vivevano – da miei compagni più grandi. Facevano con la bocca il rumore sempre più forte degli aerei che si avvicinavano: uuuuuuuuu. Mi era sembrato divertente e poi ero bravo a riprodurre quel suono, e una sera lo provai a tavola. Un urlo disperato di mia madre – smettila! – mi ammutolì. Seppi poi che ad altri bambini non era andata così bene, il loro rievocare il rumore dei bombardieri in arrivo era stato interrotto da solenni scapaccioni. La mia generazione ha visto il mondo cambiare forse come poche altre. Quando ero piccolo il solo mezzo di comunicazione della famiglia con il mondo, oltre ai giornali, era la radio. Telefoni e televisione erano un lusso che sarebbe arrivato dopo, già con l’adolescenza.La mia generazione non è stata determinante per la ricostruzione del paese, realizzata da quelle precedenti. Però la mia generazione è stata decisiva, questo sì, per la costruzione sociale civile e culturale. Quando ero adolescente la moralità dominante era ancora quella medioevale. La donna era sottoposta all’uomo, vigeva persino il diritto di ucciderla se “traditrice dei doveri di matrimonio”. E divorzio, aborto, omosessualità, erano proibiti persino come parole, la maledizione ed il sospetto incombevano su chi osasse parlarne senza usare termini spregiativi. La scuola era un privilegio da cui erano esclusi i figli degli operai e dei contadini. Il primo esame era in seconda elementare e si poteva essere bocciati, ricordo miei compagni di classe che lo furono. Poi dopo l’esame di quinta elementare c’era la vera spartizione sociale. Per entrare nella scuola media – dove si studiava il latino e solo attraverso la quale si poteva accedere al liceo e all’università – si doveva superare un difficile esame di ammissione, pubblico però senza alcuna preparazione pubblica. Così le famiglie dovevano pagare un’insegnante privata e quelle che non potevano permetterselo mandavano i figli alla scuola di avviamento, che dopo tre anni spediva direttamente al lavoro.La maggioranza della mia classe seguì quella via e a tredici o quattordici anni molti di quei ragazzi erano già apprendisti operai, o semplicemente garzoni, così si chiamavano, in qualsiasi altro posto di lavoro. Nei luoghi di lavoro vigeva un autoritarismo padronale che si sommava a quello che si era riaffermato in tutta la società, dopo il breve dilagare di libertà seguito al 25 aprile del ‘45. Giuseppe Di Vittorio lo definì il ritorno del fascismo nelle fabbriche. E anche se il paese cresceva e diventava diverso, lo sfruttamento era gigantesco, come la miseria che spingeva milioni di persone dal Mezzogiorno verso il Nord, ove si accelerava lo sviluppo industriale. Il mondo cambiava e la politica, la grande politica, entrava nelle vite della mia generazione da tanti lati. Dal conflitto delle sinistre – comunisti e socialisti – con la Democrazia Cristiana, che attraversava tutto il paese e che prima o poi ti coinvolgeva. Dallo sconvolgimento del mondo, dove crollavano gli imperi coloniali e avanzava il socialismo; dalle lotte di liberazione, Cuba, l’Algeria, il Vietnam, che ti chiedevano di prendere posizione. Dal cambiamento dei costumi che avanzava e minava l’Italia bigotta, familista e autoritaria che ancora dominava.Magari si cominciava con la musica, il rock contro il melodico, e poi si finiva in piazza. Quelli più grandi di noi lo fecero già nel 1960 scendendo in strada con le loro magliette a righe contro il governo filofascista di Tambroni e furono uccisi a Reggio Emilia, in Sicilia. Poi ci furono il ‘68 ed il ‘69, le grandi lotte degli anni Settanta, che davvero trasformarono il paese, spazzarono via tutto l’autoritarismo che ancora lo permeava e provarono a costruire una società giusta. Negli anni ‘80 cominciò il riflusso, il giro di boa della storia, e in diversi decenni di restaurazione molte conquiste sociali e democratiche furono cancellate. Nel nome del mercato e dell’impresa, che si presentavano come moderni, rivoluzionari persino. Una parte della mia generazione fu catturata da questi tempi nuovi e se ne fece complice e artefice. In molti però resistemmo, per fermare ciò che vedevamo come il ritorno al passato, mentre si presentava come il futuro. Così da rivoluzionari in fondo diventammo conservatori, e così fummo definiti e dileggiati. Lottammo tanto, ma perdemmo; il mondo diventò ciò che non avremmo mai voluto che fosse, dominato dalla ricchezza e dal denaro.Prima di restare chiuso in casa, girando per Brescia mi capitava spesso di incontrare operai con cui avevo lottato negli anni Settanta e Ottanta e tutti mi facevano lo stesso discorso: quanti scioperi quante lotte, e ora si è perso tutto; i giovani non hanno più nulla di ciò che avevamo conquistato noi. Già, i giovani… Ai quali la mia generazione era additata come causa dei loro guai, da chi ci aveva sconfitto. Noi eravamo considerati dei privilegiati perché avevamo conquistato un lavoro più sicuro, perché avevamo una pensione, bassa ma dignitosa. Noi avevamo lottato contro la distruzione dei diritti sociali e del lavoro, contro la precarizzazione dei lavori e delle vite, ma paradossalmente, proprio coloro che avevano cancellato le nostre conquiste, ora ci accusavano di essere la causa del fatto che nessuna di esse fosse arrivata ai giovani. Eravamo i baby boomers, la generazione nata col boom delle nascite del dopoguerra, che “viveva alle spalle” di tutte le altre. Ok, boomers era il termine che si stava diffondendo e che serviva a zittire con disprezzo uno della mia generazione, se provava a dire che il mondo attuale non gli piaceva affatto. “Vai all’inferno vecchietto, accontentati dei tuoi privilegi e della tua vita fortunata”.Poi è arrivato il morbo che ha aggredito in particolare gli anziani e ucciso tante e tanti di essi. Come per una tremenda legge del contrappasso, noi che abbiamo lottato per la sanità pubblica e contro i tagli e le privatizzazioni, ora siamo vittime della nostra sconfitta e del successo di chi ci ha battuto. Ora di fronte allo sterminio delle generazioni anziane l’opinione verso di noi sta mutando, e una società che ha colpito i diritti ed il futuro dei giovani dandone la colpa a noi, ora riscopre le parole e le idee della nostra gioventù. Il conflitto generazionale quasi scompare e tornano le differenze di classe, le ingiustizie sociali, la divisione tra ricchi e poveri, anche quelle tra stati nel mondo. E la solidarietà e l’eguaglianza riconquistano improvvisamente la ribalta, i politici che le hanno sempre ignorate e dileggiate ora si nascondono ipocritamente dietro di esse. La mia generazione e quelle più vicine pagano con migliaia di morti il ritorno di ciò per cui si sono battute fin dalla gioventù e per cui bisognerà riprendere a lottare. Coloro che ce l’avranno fatta in fondo torneranno giovani, e ci auguriamo che essi siano il più possibile.(Giorgio Cremaschi, “Lo sterminio della mia generazione”, da “Contropiano” del 30 marzo 2020. Già leader sindacale Fiom, Cremaschi è un esponente di “Potere al Popolo”).Il Covid-19 sta sterminando chi ha dai settant’anni in su, la mia generazione e quelle più vicine. Generazioni nate a cavallo della seconda guerra mondiale, che ne hanno incontrato le sofferenze, le distruzioni, i morti, le lotte o direttamente, o subito dopo nei ricordi dei genitori che ogni tanto si lasciavamo scappare qualche frase, magari mentre si parlava d’altro. Io, che sono nato nel dopoguerra, ho conosciuto questa parola per un gioco stupido che avevo imparato in strada – allora i bambini ci vivevano – da miei compagni più grandi. Facevano con la bocca il rumore sempre più forte degli aerei che si avvicinavano: uuuuuuuuu. Mi era sembrato divertente e poi ero bravo a riprodurre quel suono, e una sera lo provai a tavola. Un urlo disperato di mia madre – smettila! – mi ammutolì. Seppi poi che ad altri bambini non era andata così bene, il loro rievocare il rumore dei bombardieri in arrivo era stato interrotto da solenni scapaccioni. La mia generazione ha visto il mondo cambiare forse come poche altre. Quando ero piccolo il solo mezzo di comunicazione della famiglia con il mondo, oltre ai giornali, era la radio. Telefoni e televisione erano un lusso che sarebbe arrivato dopo, già con l’adolescenza.
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Magaldi: il partito “cinese” dichiara guerra alla nostra libertà
Anziani soli e disperati che piangono, al telefono coi carabinieri, implorando un piatto di cibo, mentre i servizi segreti avvisano Palazzo Chigi che ormai il Sud è a rischio sommossa: dilaga l’economia sommersa, e dunque non è possibile indennizzare i lavoratori-fantasma reclusi anch’essi ai domiciliari. Così a Palermo già si saccheggiano gli scaffali, e a presidiare i supermercati accorre la polizia. Tutto questo mentre il truce Macron si schiera clamorosamente con l’Italia contro “l’Europa egoista”. E lo stesso Mattarella – per la seconda volta in pochi giorni, dopo l’uscita di Draghi sul “Financial Times” («soldi a tutti, e subito, perché ora siamo in guerra») – interviene dal Quirinale con un appello a Bruxelles: fine del rigore, o stavolta l’Italia ci lascia la pelle. Cronache del finimondo, minuto per minuto, nel giorno in cui si registrano quasi mille morti in appena 24 ore, drammatico record mondiale dell’apocalisse chiamata coronavirus. Tragedia nella tragedia: il governo italiano paralizza il paese imponendo il coprifuoco, ma senza riuscire a evitare l’ecatombe. E senza rassicurare né soccorrere finanziariamente, con tempestività, i milioni di lavoratori che ha confinato in casa, pena sanzioni severissime per chi sgarra: si può portare a spasso il cane, ma non i bambini.E a proposito di medioevo: il sottosegretario Andrea Martella (Pd) apre la caccia a quelle che chiama “fake news”, mentre l’Agcom mette al bando il giornalista “eretico” Adriano Panzironi, che raccomanda le vitamine per rafforzare le difese immunitarie. Da parte sua, il Patto per la Scienza fondato dal virologo Roberto Burioni va persino oltre: l’associazione (privata, ma benedetta al suo esordio da Grillo, Renzi e Mentana) esige il bavaglio per il nanopatologo Stefano Montanari, che ridimensiona – in modo discutibile – la pericolosità clinica del Covid-19. Con un atto inaudito nella storia della nostra democrazia, Burioni chiede addirittura ai magistrati di oscurare “ByoBlu”, il video-blog più seguito d’Italia, “reo” di aver dato spazio a una voce scientifica alternativa. Siamo sull’orlo di un regime che esala dalle fogne della storia? Peggio: siamo di fronte a un piano preciso, spietato e mostruoso. Gioele Magaldi lo chiama: il partito del virus, che è cinese solo a metà. Pistola fumante: il clamoroso servizio della Rai, girato da “Leonardo” nel 2015 e riesumato in queste ore. La prova: il laboratorio che traffica coi coronavirus per fabbricarne una versione pericolosa per l’uomo, anche allo scopo di calibrarne in anticipo l’eventuale vaccino. Attenzione: il laboratorio è cinese, ma – a quanto pare – sotto il controllo dell’Oms.La coda del diavolo: qualcuno ha usato la nuova Cina post-comunista come “Frankenstein”, dopo averla appositamente creata? Un gigante economico bifronte: capitalista, ma senza libertà. Era il sogno degli oligarchi (non certo cinesi) che nel 1975 evocarono la fine della democrazia come “soluzione” per il mondo globalizzato. Autore del bestseller “Massoni”, Magaldi – atlantista di ferro – demolisce le suggestioni del complottismo antiamericano che demonizza invariabilmente lo Zio Sam. E svela un retroscena spiazzante: il ruolo di una quarantina di superlogge-ombra, impegnate a disputarsi i destini del pianeta. Da una parte gli eredi della supermassoneria “progressista”, rooseveltiana e keynesiana, fermata anche a colpi di pallottole: i Kennedy, Martin Luther King, e in Europa personaggi come lo svedese Olof Palme, campione del welfare. E così in Africa l’immenso Nelson Mandela, e in Medio Oriente un eroe della pace come Yitzhak Rabin. Dall’altra, le superlogge reazionarie capeggiate dalla storica “Three Eyes” di Kissinger, vero regista del golpe in Cile l’11 settembre 1973. Tanti anni dopo (ma sempre l’11 settembre) un’altra superloggia, la “Hathor Pentalpha” dei Bush, avrebbe scelto addirittura l’abominio del terrorismo stragista “fatto in casa” per ricattare il pianeta, spingendolo nella voragine infinita dei nuovi fronti di guerra.Negli Usa ne seguì il Patriot Act: la fine della privacy, con l’alibi della sicurezza. Ci risiamo? La risposta è sì. E la matrice del “partito del coronavirus”, dice Magaldi, è sempre quella messa a fuoco nelle pagine di “The crisis of democracy”, il fatale libello – firmato da Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki – con cui la Commissione Trilaterale (sempre lui, il Kissinger che sdoganò la Cina maoista) raccomandava la sua ricetta: ridurre la democrazia, perché «troppa libertà fa male». Cinque anni dopo, lo sciagurato patto “United Freemason for Globalization” inaugurò il terzo millennio con largo anticipo. Salvo poi imporre un’accelerazione spaventosa – nel segno del sangue e del terrore – con la demolizione delle Torri Gemelle, seguita dalle guerre in mezzo mondo e infine coronata dal terrorismo stragista dell’Isis, altro “Frankenstein” uscito dalla stessa fabbrica di mostri. «E ora, eccoci al Covid-19: sembra proprio l’ultimo nato, da quella filiera dell’orrore».Si può credere, a Magaldi, frontman italiano dei circuiti massonici progressisti sovranazionali? Fate voi. Nel suo libro-denuncia, in premessa, chiarisce: ho 6.000 pagine di dossier riservati, sotto chiave. «Pubblicarli tutti ci pareva proibitivo: così s’è ragionato con l’editore, Chiarelettere. Ma se qualcuno si sente diffamato, me lo dica: mostrerò la documentazione scritta che comprova ogni mia affermazione». Risultato: silenzio di tomba. Non un fiato, da parte di nessuno dei super-potenti messi alla berlina. «Lo stesso Napolitano, esponente della “Three Eyes” – assicura Magaldi, senza timore di dover rispondere di quanto dichiara – ha dovuto abbandonare il Quirinale proprio a causa del mio libro: ha preferito dimettersi, piuttosto che chiarire la sua posizione, imbarazzante, di grande regista del commissariamento italiano attraverso il “golpe bianco”, supermassonico, di Monti». Silenzio anche in Parlamento, nonostante una clamorosa interrogazione dei 5 Stelle. E mutismo assoluto – più che sospetto – da parte dei grandi media, per un saggio che ha scalato le classifiche e tuttora veleggia nelle primissime posizioni, tra i long-seller italiani di argomento storico. Non se ne può parlare: non si deve. L’argomento è tabù.Magaldi però non si ferma. Ha fondato il Movimento Roosevelt, meta-partito che prova a risvegliare dal letargo la politica italiana. E, come leader del “Grande Oriente Democratico”, già affiliato alla superloggia “Thomas Paine”, presidia il back-office “massonico-progressista” del Belpaese. Obiettivo: contrastare gli oligarchi, con ogni mezzo. Per esempio, parlando. E non solo: nel 2018 chiese le dimissioni di Mattarella, accusandolo di aver forzato la Costituzione nel negare il ministero dell’economia a Paolo Savona, temutissimo dai signori dell’austerity europea. Di seguito, l’illusione gialloverde: «Dovevano pretendere già allora quello che oggi l’Italia invoca, nel disastro nazionale in cui Conte ha trasformato l’emergenza sanitaria, prima coi suoi errori e poi col coprifuoco di marca cinese». Magaldi è severo anche con Salvini: «Oggi si è accodato al clima di panico. Ieri, però – precisa – è stato demonizzato ingiustamente, con accuse ridicole: xenofobia, fascismo». Temevano Salvini, le Sardine che fino a gennaio brulicavano nelle piazze? Ebbene, prendano nota: non è certo il “capitano” leghista, ad aver sigillato in casa gli italiani.Cos’avevano chiesto, ragliando, le Sardine? Che i politici cessassero di potersi esprimere liberamente, sui social. E adesso eccoci qui, con le restrizioni alla libertà di parola che ormai incombono a reti unificate: le televisioni partecipano alla crociata contro il web accreditandosi come uniche voci ascoltabili, serie e autorevoli, mentre l’Italia sospende – di fatto – la democrazia. Le Sardine, cioè Romano Prodi: per Magaldi il professore bolognese, «grande privatizzatore in grembiulino», è un’eminenza grigia – dietro le quinte – del “partito cinese” che ha ridotto l’Italia a provincia di Wuhan, senza neppure riuscire a evitare la strage, e mandando allo sbaraglio medici e infermieri. Infuria il grande terrore, e Conte sbaglia tutto lo sbagliabile: non si sbriga ad attrezzare posti letto per la rianimazione, poi lascia scappare al Sud migliaia di potenziali “untori”, quindi ferma il paese e chiude gli italiani in casa, mandando l’esercito nelle strade. «A proposito: guai se qualcuno si azzarda, come ventilato, a spedire i militari nelle nostre case, dopo il 15 aprile, a eseguire chissà quali controlli: si vuole commettere anche il reato di tentata strage, moltiplicando i contatti fra persone?». Italiani comunque già trasformati in gregge da sorvegliare: con le app sugli smartphone, con i droni. Tutti potenziali trasgressori, intimiditi da decreti minacciosi. Sprangati in casa, senza risarcimenti pronta cassa né la certezza di riuscire a riaprire – chissà quando – l’attività economica di cui è stata imposta la chiusura.E questo, avverte Magaldi, non è che l’inizio: è la “guerra” che ci si aspettava, da molto tempo. Si pensava a uno scontro finanziario con Bruxelles – dispotismo contro sovranità – e invece è arrivato il virus, a sparigliare le carte. Qualcuno, è evidente, ci si è avventato come un avvoltoio: quale migliore occasione, per archiviare libertà e democrazia terremotando anche l’economia? Magaldi annuncia battaglia: nel mirino, gli “apprendisti stregoni” che manovrano l’Oms, che ormai guida la nuova psico-polizia sanitaria, di sapore orwelliano. Nel partito “cinese”, accusa Magaldi, milita sicuramente Conte, una mezza figura destinata a non lasciare traccia quando non servirà più, esattamente come l’increscioso Di Maio, ormai rottamato insieme al Movimento 5 Stelle. Quanto al fondatore, Grillo – dice sempre Magaldi – l’ex comico coltiva relazioni molto altolocate, sorprendenti, anche se ormai sembra aver perso completamente la bussola. In ogni caso: tutte pedine, di un gioco più grande. Ma attenzione: pedine italiane. E questo, sì, è decisivo. Illuminante. Non è un caso che proprio l’Italia sia l’epicentro, l’occhio del ciclone che sta cambiando faccia al mondo, ridisegnando la globalizzazione, la vita quotidiana, il perimetro delle libertà.Inascoltato, Magaldi l’aveva ripetuto in tempi non sospetti: sta arrivando la bufera, e sarà proprio l’Italia la trincea strategica, il bivio decisivo. Da una parte la stretta autoritaria, dall’altra la riscossa democratica: la morsa del rigore, fino alla soppressione delle libertà più elementari, oppure il risveglio di un paese che – si calcola – potrebbe trovare la forza di demolire la menzogna europea dell’austerity neoliberista, la “dittatura” parassitaria della peggiore finanza, ritrovando la strada dei diritti sociali fino a fare da apripista per il mondo intero. Fantasie? Niente affatto, se si segue l’analisi di Magaldi (e le sue “profezie”, che puntualmente si avverano). Mesi fa, annunciava: Christine Lagarde e Mario Draghi, nientemeno, stanno divorziando dagli oligarchi e vorrebbero rimediare ai disastri che hanno contribuito a creare, massacrando l’economia europea. Primo round: alla richiesta italiana di aiuto, di fronte alla catastrofe-coronavirus, “lady Bce” risponde a muso duro: niente da fare, non siamo qui per calmare gli spread. Un’uscita tremenda, evitabilissima. «Gliel’abbiamo richiesta noi», dice Magaldi: «Le abbiamo chiesto di mostrare il vero volto, spietato, del potere europeo: solo così si sarebbe potuta finalmente suscitare l’indignazione generale che infatti ha spinto persino il timidissimo Mattarella ad alzare la voce per difendere l’Italia».Poco dopo, ecco il secondo round: l’affondo di Draghi, gran maestro del supremo rigore, che adesso chiede di ribaltare tutto e aprire i rubinetti, senza condizioni, per rianimare l’economia. Una mossa epocale, tenendo conto che Draghi resta uno degli uomini più influenti del pianeta. Nel suo curriculum: Bankitalia, Goldman Sachs, il Gruppo dei Trenta, la Bce. Prima ancora: da direttore del Tesoro, aveva orchestrato le devastanti privatizzazioni all’italiana che avevano declassato l’Italia (in tandem con Romano Prodi, incaricato di sabotare l’Iri, vero motore del Belpaese). Nella Seconda Repubblica – da Berlusconi a Monti, passando per D’Alema, Amato e Prodi – l’Italia ha continuato a scivolare verso il basso: l’ex quinta potenza industriale del pianeta è arrivata all’elemosina, alla fuga dei cervelli, alla strage delle aziende. Tagli ovunque: ricerca, sanità, lavoro, pensioni. Forche caudine: il Patto di Stabilità e il Fiscal Compact, il Mes, il pareggio di bilancio. Da trent’anni siamo in avanzo primario: lo Stato eroga meno denaro, in termini di servizi, rispetto a quanto ne riceva, dai cittadini, sotto forma di tasse. Verità scioccante, ma sempre taciuta. Ora ci siamo: è il dramma del virus a mettere a nudo le menzogne ufficiali (l’eccesso di debito, gli italiani “cicale”), nel frattempo costate sofferenze indicibili.Di fronte al Covid-19 – virus tuttora misterioso – si legge in trasparenza una dinamica precisa: il male esplode in Cina, e Pechino reagisce sequestrando i cinesi. Atto secondo, l’Italia: stesso film. Siamo il primo paese occidentale a reagire all’emergenza esattamente come l’oligarchia asiatica. Con una differenza: Xi Jinping si è limitato a sprangare Wuhan, noi invece abbiamo paralizzato l’intera penisola. Doveva servire da esempio per tutti? L’Italia come apripista del sistema-Cina da imporre all’Europa e poi al resto del mondo? Solo economia, senza più democrazia? Ognuno sta giocando le sue carte, dice Magaldi. E i nodi vengono al pettine, uno dopo l’altro. Finalmente, crolla la legittimità del rigore europeo: gli italiani adesso lo toccano con mano. «Non esiste scarsità di moneta: lo dice persino Draghi, smentendo se stesso (e in questo, dimostrando una certa grandezza)». L’ex presidente della Bce è consapevole del fatto che qui si sta davvero facendo la storia, partendo proprio dall’Italia: ma che combinazione, chi l’avrebbe mai detto?Magaldi annota: lo scontro sarà epocale, perché il nemico è potentissimo, transatlantico e transpacifico. E’ articolato in modo trasversale e tentacolare, sedimentato in decenni di potere incontrastato: finanziario e tecnologico, politico, mediatico, ideologico, scientifico, militare. Esattamente come per il contagio, non ci sono frontiere che tengano: la sfida è mondiale, tra democrazia e oligarchia. Primo obiettivo, intanto: smascherare in Italia il partito “cinese”, che poi cinese non è. E spiegare agli italiani che – ora sì – hanno la possibilità di cambiare il proprio destino. Certo, non sarà un passeggiata. Intanto, la penisola è in ginocchio. E domani, quando ai segregati sarà concesso di uscire di casa, si conteranno i caduti economici: una carneficina annunciata, pari a quella che si sta consumando negli ospedali. Ma attenzione: dalle guerre si può rinascere, l’economia si può ricostruire. La perdita della libertà, invece, è infinitamente più pericolosa. Magaldi invita a tenere gli occhi aperti: la democrazia (difettosa fin che si vuole) è un’invenzione recente, dopo millenni di autoritarismo. «Conquistarla è costato sangue, sempre. E non si tratta mai di una conquista definitiva: va difesa, ogni giorno. Lo stiamo imparando anche oggi».(Giorgio Cattaneo, Libreidee, 28 marzo 2020. Le affermazioni di Gioele Magaldi sono tratte dagli interventi su YouTube registrati in questi giorni: “Massoneria On Air” del 26 marzo con Paolo Franceschetti, “Nella Morsa” con Gianfranco Carpeoro – sempre su “Border Nights” – e poi “Siamo ancora in democrazia?”, con Marco Moiso e Roberto Hechich).Anziani soli e disperati che piangono, al telefono coi carabinieri, implorando un piatto di cibo, mentre i servizi segreti avvisano Palazzo Chigi che ormai il Sud è a rischio sommossa: dilaga l’economia sommersa, e dunque non è possibile indennizzare i lavoratori-fantasma reclusi anch’essi ai domiciliari. Così a Palermo già si saccheggiano gli scaffali, e a presidiare i supermercati accorre la polizia. Tutto questo mentre il truce Macron si schiera clamorosamente con l’Italia contro “l’Europa egoista”. E lo stesso Mattarella – per la seconda volta in pochi giorni, appena dopo l’uscita di Draghi sul “Financial Times” («soldi a tutti, e subito, perché ora siamo in guerra») – interviene dal Quirinale con un appello a Bruxelles: fine del rigore, o stavolta l’Italia ci lascia la pelle. Cronache del finimondo, minuto per minuto, nel giorno in cui si registrano quasi mille morti in appena 24 ore, drammatico record mondiale dell’apocalisse chiamata coronavirus. Tragedia nella tragedia: il governo italiano paralizza il paese imponendo il coprifuoco, ma senza riuscire a evitare l’ecatombe. E senza rassicurare né soccorrere finanziariamente, con tempestività, i milioni di lavoratori che ha confinato in casa, pena sanzioni severissime per chi sgarra: si può portare a spasso il cane, ma non i bambini.
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Se il virus e Conte consegnano l’Italia allo strozzino, il Mes
Quello stesso governo che ha chiuso l’Italia per far fronte all’emergenza coronavirus, tra pochi giorni aprirà nel silenzio generale – siamo in stato d’ eccezione – alla riforma definitiva del Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità. L’economia è a pezzi e la Ue ci concede solo 7,5 miliardi di deficit in più quando ne occorrerebbero – subito – almeno 20. Ebbene in questa situazione, invece di ridiscutere il Fiscal Compact, che di per sé è già un cappio al collo (visto che prevede il pareggio di bilancio), Ue e governi pensano di legarsi ancor di più mani e piedi con la firma del nuovo Mes. Tra pochi giorni, l’Eurogruppo è chiamato a darne l’approvazione finale. State certi non lo bloccheranno per il corona e il nostro ministro ci andrà. Poi seguirà l’iter di sottoscrizione degli Stati membri e la procedura di ratifica di ciascuno, secondo le proprie norme costituzionali. Se l’iter andasse a buon fine, il nuovo Mes – dopo il virus – ci darà il colpo di grazia.Nella versione del 2012, che è quella ancora oggi in vigore, ciascuno Stato versa un acconto pro-quota all’interno di tale organismo. In caso di crisi dei debiti sovrani, cioè nel caso si impennino i tassi di interesse dei titoli di Stato a tal punto da mettere in ginocchio la finanza pubblica, gli Stati in difficoltà possono ricorrere al Meccanismo per chiedere soldi in prestito. Il Mes concede il prestito a condizione che lo Stato richiedente ponga in essere una serie di riforme concordate, principalmente nel campo della spesa sociale (pensioni e sanità). Insomma, i famigerati tagli lineari, ma quantomeno lo Stato richiedente può sedersi a tavolino per mitigare le misure attraverso memorandum concordati. La nuova versione del Meccanismo Europeo di Stabilità prevede invece che i memorandum siano sostituiti da una specie di “pilota automatico”. In breve, se la riforma passasse, lo Stato che richiedesse un prestito al Mes dovrà applicare – senza neppure un previo accordo politico – le riforme strutturali imposte dal Meccanismo.In altre parole, occorre una ristrutturazione del debito pubblico (alias tagli su tagli), e sulla sostenibilità del debito e della ristrutturazione decide il Mes in totale autonomia. Diciamocela tutta, ad essere tagliate saranno sempre le voci più sensibili, soprattutto la sanità. E gli effetti li stiamo vedendo proprio in questi giorni, col sistema sanitario nazionale ormai al collasso a causa dei tagli intervenuti nel corso degli ultimi anni. Insomma, sarà come andare dallo strozzino, con la differenza che lo strozzino rischia il carcere, quelli che prendono le decisioni del Mes godono di totale immunità. In una situazione in cui la gestione dell’emergenza epidemiologica sta distruggendo l’economia del paese, servivano (e servono) politiche economiche espansive, quindi l’abrogazione del Fiscal Compact e l’accantonamento del Mes. E invece la burocrazia europea si prepara ad approvare un altro trattato-capestro. Sulla spinta del terrore emergenziale, Conte firmerà la riforma del Mes. Del resto ormai siamo in “stato di eccezione” e Conte può fare tutto quello che vuole. E’ lui l’”uomo solo al comando”, e oggi nessuno fiata.(Paolo Becchi e Giuseppe Palma, “Apriranno al Mes nel silenzio generale”, da “Libero” dell’11 marzo 2020).Quello stesso governo che ha chiuso l’Italia per far fronte all’emergenza coronavirus, tra pochi giorni aprirà nel silenzio generale – siamo in stato d’ eccezione – alla riforma definitiva del Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità. L’economia è a pezzi e la Ue ci concede solo 7,5 miliardi di deficit in più quando ne occorrerebbero – subito – almeno 20. Ebbene in questa situazione, invece di ridiscutere il Fiscal Compact, che di per sé è già un cappio al collo (visto che prevede il pareggio di bilancio), Ue e governi pensano di legarsi ancor di più mani e piedi con la firma del nuovo Mes. Tra pochi giorni, l’Eurogruppo è chiamato a darne l’approvazione finale. State certi non lo bloccheranno per il corona e il nostro ministro ci andrà. Poi seguirà l’iter di sottoscrizione degli Stati membri e la procedura di ratifica di ciascuno, secondo le proprie norme costituzionali. Se l’iter andasse a buon fine, il nuovo Mes – dopo il virus – ci darà il colpo di grazia.
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Galloni: no al golpe del Mes, con la scusa del coronavirus
In quale tipo di situazione ci stiamo trovando? Mentre era evidente che i poteri economico-finanziari, per la prima volta nella storia, non fossero in grado di dare indicazioni su come l’economia e la finanza dovessero affrontare le crisi che stavano cominciando, si è tirato fuori prima il pretesto dell’ambiente – che è un gravissimo problema per l’umanità, ma non certo nei termini sollevati da Greta e dai suoi seguaci – e adesso c’è questo coronavirus. Come nasce, il Mes? E’ l’erede di quel Fondo Salva-Stati che fu costituito prima che la Banca Centrale Europea si attrezzasse per comperare i titoli di Stato sul mercato secondario. Quindi è diventato inutile, nel momento in cui la Bce può acquistare titoli di Stato, può immettere tutti gli euro che vuole (come fanno le altre banche centrali del pianeta) per comperare titoli di qualunque genere – anche titoli tossici: oggi circolano 54 Pil mondiali di titoli tossici di debiti, ed è questa la ragione per cui il sistema sta diventando ingovernabile. Ma non ci sono soluzioni: né da parte di quelli che ci hanno dominato finora, né da parte nostra, in fondo, che siamo qui per cercare di affrontare la situazione.Il Mes ha dei profili di incostituzionalità che sono stati perfino rilevati dai tedeschi, che non l’hanno firmato. Pertanto, a ratificarlo dovranno essere i rappresentati popolari riconosciuti (nel caso nostro, il Parlamento), e non possono essere ammessi o ipotizzati colpi di mano. La situazione del coronavirus è praticamente dominata da una gravissima emergenza: non era mai successo, per esempio, che si chiudessero le scuole. Ma perché? Perché nel recente passato abbiamo chiuso ospedali, abbiamo ridotto la spesa pubblica, non abbiamo assunto infermieri né medici, e adesso ce n’è estremo bisogno. E quindi, se questi 4.000 contagiati dovessero diventare 40.000 o 400.000, negli ospedali non avremmo i posti. Come si fa ad affrontare questo problema? Come si fa ad affrontare il problema degli Stati che non hanno moneta per fare investimenti e spese necessarie? In un modo semplicissimo, come hanno fatto tante altre realtà: immettendo moneta sovrana a circolazione nazionale. Questa è l’unica strada che abbiamo: sia per affrontare realmente l’emergenza del coronavirus, sia per tagliare la strada al Mes.(Nino Galloni, intervento nella diretta web-streaming “Mes, fermare il contagio” trasmessa su “ByoBlu” e “Pandora Tv” il 7 marzo 2020, registrata su YouTube. Economista keynesiano e vicepresidente del Movimento Roosevelt, Galloni è il portavoce del Coordinamento nazionale No-Mes, che conduce la sua campagna all’insegna dello slogan “Blocca il contagio, no alla ratifica del Mes”. Il fondo europeo, alimentato da fondi statali, obbligherebbe lo Stato a pagare forti interessi denaro anticipato al Mes dallo Stato stesso, pena una drastica “ristrutturazione” del debito che taglierebbe il welfare mettendo in ginocchio l’economia, sotto il ricatto finanziario. Sostenitore del recupero della sovranità finanziaria statale, Galloni propone l’adozione di una moneta parallela all’euro, sovrana, non convertibile, a circolazione solo nazionale, accettata esclusivamente in Italia per qualsiasi pagamento, compreso quello delle tasse. Per Galloni, l’artificiosa austerity europea è solo il frutto – solo ideologico, non certo scientifico-economico – della volontà di potenza di un’élite post-democratica, che ha “fabbricato” a tavolino la crisi: privatizzazioni, delocalizzazioni, deindustrializzazione, precarietà e disoccupazione, attacco ai salari e alle pensioni, erosione dei risparmi. Sempre secondo Galloni, il ricorso alla moneta parallela – non vietato allo stesso Trattato di Lisbona – permetterebbe all’Italia di eseguire enormi investimenti, puntando rapidamente alla piena occupazione).In quale tipo di situazione ci stiamo trovando? Mentre era evidente che i poteri economico-finanziari, per la prima volta nella storia, non fossero in grado di dare indicazioni su come l’economia e la finanza dovessero affrontare le crisi che stavano cominciando, si è tirato fuori prima il pretesto dell’ambiente – che è un gravissimo problema per l’umanità, ma non certo nei termini sollevati da Greta e dai suoi seguaci – e adesso c’è questo coronavirus. Come nasce, il Mes? E’ l’erede di quel Fondo Salva-Stati che fu costituito prima che la Banca Centrale Europea si attrezzasse per comperare i titoli di Stato sul mercato secondario. Quindi è diventato inutile, nel momento in cui la Bce può acquistare titoli di Stato, può immettere tutti gli euro che vuole (come fanno le altre banche centrali del pianeta) per comperare titoli di qualunque genere – anche titoli tossici: oggi circolano 54 Pil mondiali di titoli tossici di debiti, ed è questa la ragione per cui il sistema sta diventando ingovernabile. Ma non ci sono soluzioni: né da parte di quelli che ci hanno dominato finora, né da parte nostra, in fondo, che siamo qui per cercare di affrontare la situazione.
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Banche pubbliche: rivoluzione, nella culla del neoliberismo
Il 2019 ha segnato un punto di svolta in un crescente movimento di banche pubbliche che ha preso slancio negli Stati Uniti. Tra le conquiste del movimento troviamo il passaggio del Public Banking Act (Ab-857) in California, l’istituzione di una banca pubblica statale nel New Jersey e l’apertura della Banca territoriale delle Samoa americane. Dopo che i legislatori della California hanno emanato il Public Banking Act dello Stato, San Francisco e Los Angeles hanno annunciato piani per l’istituzione di banche pubbliche. E ora ci sono più di 25 leggi per l’apertura di banche pubbliche in esame in altri stati. Perché il settore bancario pubblico? Perché ora? Dalla crisi bancaria del 2008, l’opinione pubblica ha espresso preoccupazioni per le banche commerciali e la natura del sistema bancario. Ogni anno miliardi di dollari di fondi pubblici vengono depositati in banche private (Wall Street). Non è il governo che conserva i nostri soldi, sono le banche private. In genere, questi fondi pubblici non sono investiti in comunità o Stati locali. Questi fondi finiscono in investimenti ad alto rendimento come l’industria dei combustibili fossili, condutture, prigioni private.Un movimento di disinvestimento in crescita si concentra ora sulla cessione di programmi governativi, come i fondi pensione dei dipendenti pubblici ad esempio, togliendoli alle grandi banche. La domanda quindi è dove metterli. Gli attivisti della giustizia economica affermano che la risposta è il settore bancario pubblico. Le banche pubbliche sono servizi pubblici, di proprietà delle persone con la missione di servire il bene pubblico e i valori della comunità. Secondo i sostenitori, le banche pubbliche possono offrire prestiti a basso tasso d’interesse per studenti e agenzie pubbliche e capitali per piccole imprese e organizzazioni no profit. In tal caso, il sistema bancario pubblico consentirebbe alle città, alle contee o agli Stati di ottenere di più per i loro fondi limitati e di gestire efficacemente il proprio denaro per fornire più servizi ai propri cittadini. Vale a dire alloggi a prezzi accessibili, servizi per i senzatetto, istruzione, energie rinnovabili, strutture sanitarie comunitarie, trasporto pubblico.Il 2019 è stato anche il centesimo anniversario della prima banca statale di proprietà pubblica americana, la Bank of North Dakota (Bnd), un’eredità vivente che fa prestiti al di sotto del mercato per le comunità locali e le imprese, generando allo stesso tempo un profitto per lo Stato. La Bank of North Dakota è stata fondata in risposta a una rivolta degli agricoltori contro le banche private che stavano ingiustamente pignorando le loro fattorie. Da allora la Bnd si è evoluta in una banca da 7,4 miliardi di dollari, che risulta essere ancora più redditizia rispetto a Jp Morgan Chase e Goldman Sachs, sebbene il suo mandato non sia effettivamente quello di generare profitti ma di servire le comunità locali. Insieme a centinaia di banche pubbliche in tutto il mondo, Bnd ha dimostrato cosa si può fare tagliando azionisti e intermediari privati e mobilitando le entrate pubbliche per servire il pubblico. Con la leadership di Bnd, il Nord Dakota è stato l’unico stato negli Stati Uniti a sfuggire alla crisi del credito del 2008, avendo anche il più basso tasso di disoccupazione e tasso di pignoramento nel paese. La Bank of Nord Dakota si pone come modello di successo.La rivoluzione del settore bancario pubblico potrebbe andare oltre, esplorando la rinascita del sistema bancario postale, un servizio realizzato in passato dagli uffici postali statunitensi. Le banche che inseguono gli utili tendono ad abbandonare i quartieri rurali e a basso reddito, lasciando una persona su cinque senza servizi bancari o “underbanked”. Questo, spesso li costringe a fare affidamento su servizi finanziari predatori come banchi dei pegni, servizi di cambio assegno e prestatori di giorno di paga. Di conseguenza, le famiglie senza accesso ai servizi bancari spendono quasi il 10% delle loro entrate solo per accedere al proprio denaro. L’ufficio postale locale potrebbe facilmente cambiare la situazione. Mentre le città e gli Stati iniziano a svilupparsi e ad investire nei propri sistemi bancari pubblici, siamo in un momento storico che potrebbe portare a un futuro più prospero per l’americano medio. La copertura mediatica di questo argomento è stata limitata all’annuncio di notizie isolate, invece di raccontare questa rivoluzione in atto nel settore bancario locale e le forze che la guidano.(Mattew Ascano, “La rivoluzione delle banche pubbliche, nella culla del neoliberismo”, da “Projectcensored.org”; articolo presentato da Riccardo Donat-Cattin su “Come Don Chisciotte”. Ascano è un ricercatore della San Francisco University).Il 2019 ha segnato un punto di svolta in un crescente movimento di banche pubbliche che ha preso slancio negli Stati Uniti. Tra le conquiste del movimento troviamo il passaggio del Public Banking Act (Ab-857) in California, l’istituzione di una banca pubblica statale nel New Jersey e l’apertura della Banca territoriale delle Samoa americane. Dopo che i legislatori della California hanno emanato il Public Banking Act dello Stato, San Francisco e Los Angeles hanno annunciato piani per l’istituzione di banche pubbliche. E ora ci sono più di 25 leggi per l’apertura di banche pubbliche in esame in altri stati. Perché il settore bancario pubblico? Perché ora? Dalla crisi bancaria del 2008, l’opinione pubblica ha espresso preoccupazioni per le banche commerciali e la natura del sistema bancario. Ogni anno miliardi di dollari di fondi pubblici vengono depositati in banche private (Wall Street). Non è il governo che conserva i nostri soldi, sono le banche private. In genere, questi fondi pubblici non sono investiti in comunità o Stati locali. Questi fondi finiscono in investimenti ad alto rendimento come l’industria dei combustibili fossili, condutture, prigioni private.
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Magaldi: leader effimeri per false guerre, così perde l’Italia
Tra gli scontati vincitori delle regionali in Emilia ci sono le Sardine, che non chiedono nulla tranne una cosa: l’espulsione di Salvini. I ragazzi per cui Prodi fa il tifo vorrebbero la squalifica a vita del leader leghista, un animale politico da cartellino rosso: indegno, incivile, nazista e cannibale. L’interessato anche stavolta ci ha messo del suo per alimentare l’equivoco, scatenando una caccia alle streghe porta a porta, edizione 2020: il suo “dagli all’untore” (tunisino) gli avrà sicuramente alienato simpatie tra gli osservatori garantisti che alla Lega hanno guardato come a una possibile alternativa sistemica, contro le regole truccate dell’Ue che condannano tanti giovani italiani, Sardine in primis, a cercarsi un futuro all’estero. Comunque, tranquilli: come volevasi dimostrare, in Emilia non è successo niente. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, era stato il primo a spegnere gli entusiasmi salviniani per le regionali: era praticamente impossibile che qualche estraneo riuscisse a sfrattare il blocco di potere che regna sugli emiliani dal 1945. Se non altro, dice Magaldi, Salvini è riuscito a mettere il sale sulla coda a Bonaccini e compagni. Ma il tracollo parallelo dei 5 Stelle ricicla un vecchio film inguardabile: la finta sfida tra il sedicente centrosinistra e l’altrettanto immaginario centrodestra.Attenzione: il cosiddetto bipolarismo italiano (solo formale, mai sostanziale) ha fatto della famigerata Seconda Repubblica un posto dove si sta peggio, non si cresce più, dilaga la disoccupazione, le crisi industriali non hanno soluzione. E’ la cancrena dell’austerity Ue, imposta in modo subdolo del potere economico neoliberista attraverso le direttive della Commissione Europea e il rigore suicida nei conti pubblici, dopo la catastrofe nazionale delle privatizzazioni varate da Prodi e Draghi. Un sistema deprimente (che infatti ha prodotto solo recessione, più debito e più tasse) a cui non si sono mai opposti né Berlusconi né i suoi presunti oppositori, da Prodi a Gentiloni. Ora ci risiamo, con la santa alleanza contro il demonio Salvini, male assoluto della politica italiana e quindi degno erede del Cavaliere? Di questo passo le cose andranno sempre peggio, avverte Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: l’Italia non può certo uscire dal tunnel con l’ennesima stagione di schermaglie-fuffa tra due schieramenti ben decisi, entrambi, a non cambiare proprio niente. Se Salvini vuole voltare pagina, che ci sta a fare col vecchio Silvio e con i cascami del tradizionalismo polveroso, tra gli anacronismi del “popolo della famiglia” e le ridicole crociate contro la cannabis?A Magaldi non piace nemmeno la predilezione salviniana per il sistema elettorale maggioritario, che oggi premierebbe la Lega come primo partito: meglio un sistema totalmente proporzionale, magari compensato dell’elezione diretta del presidente della Repubblica. Un sistema che dia voce a tutti, restituendo piena dignità a un Parlamento sempre più precario, con deputati e senatori non più tutelati completamente dall’immunità e in più falcidiati dall’incombente taglio dei seggi, che farebbe eleggere inevitabilmente solo i candidati più vicini ai leader, riducendo ulteriormente la dialettica democratica. A proposito: anche Salvini, dice Magaldi, rischia di soffrire della stessa sindrome “liquida” che ha colpito Di Maio e, prima ancora, Renzi. Successi-lampo, con numeri strabilianti: i 5 Stelle al 33% nel 2018, il Pd renziano addirittura al 41% nella precedente tornata delle europee. E poi? Il tonfo: oggi basta un attimo, e si cade. Ieri sembravi il padrone assoluto della scena, ma già domani sei ridotto all’elemosina elettorale, come Di Maio e colleghi, o a fare piccoli giochi di palazzo come l’ex Rottamatore fiorentino. La loro colpa? Troppe parole al vento: solo proclami altisonanti, tutto fumo e niente arrosto. Di Maio doveva “sconfiggere la poverità”, con le briciole del suo patetico reddito di cittadinanza. E Matteo Renzi, zerbino della Merkel e dei grandi privatizzatori, non aveva forse promesso di riscattare la sovranità economica del made in Italy?La verità, osserva Magaldi, è che gli italiani – almeno, quelli che chiedono di cambiare tutto – esprimono un voto essenzialmente di speranza. Prima Renzi, poi Di Maio e ora Salvini: cambiali in bianco e suffragi temporanei, concessi in modo condizionato. Inevitabile la delusione, in tempi rapidissimi: Renzi nella polvere, “asfaltato” dal referendum, e Di Maio ora in fuga dal politburo grillino. Salvini? Rischia anche lui, specie se – ridando vita al cadavere del centrodestra – si auto-condanna a non incidere in nulla, nella dialettica decisiva con i poteri che reggono l’Ue e massacrano abitualmente l’Italia. Come Renzi e Di Maio, anche Salvini ha essenzialmente abbaiato alla luna, chiedendo più deficit per finanziare il rilancio del paese, senza però ottenere nulla. Su questo, Magaldi ha le idee chiare: la governance Ue va sfidata in modo frontale, visto che l’Italia ha bisogno di investimenti immediati per 200 miliardi di euro, scomputabili dal debito. Il paese cade a pezzi, ha bisogno di infrastrutture strategiche e milioni di posti di lavoro. Il Movimento Roosevelt sogna la piena occupazione, sorretta da un intervento pubblico di tipo keynesiano. Persino Draghi, oggi, riconosce che i tagli sono l’anticamera del disastro. Sintetizza Magaldi: se tutti i cittadini, a prescindere dal loro reddito, percepissero 500 euro mensili (con l’obbligo di spenderli subito), l’iniezione di liquidità farebbe volare i consumi e il lavoro, ripagando poi abbondantemente, con le tasse, l’investimento iniziale.C’è qualcuno che oggi è in grado di fare discorsi del genere, a parte Magaldi? Forse – di nuovo – lo stesso Draghi: fino a ieri, massimo architetto della drammatica austerità europea, e ora invece pronto, a parole, a tornare sui suoi passi, aprendo addirittura alla Modern Money Theory, la spesa statale illimitata per rianimare l’economia inondandola di soldi creati dal nulla. Eresia pura, in un’Europa dove i grandi poteri privatistici controllano la stessa Bce, organizzando la scarsità artificiosa della moneta a scopo speculativo, facendo soffrire il 90% delle famiglie e delle aziende e impedendo agli Stati di recuperare la sovranità finanziaria che è indispensabile per governare davvero i paesi. Insegneremo agli italiani come votare, disse il commissario tedesco Günther Oettinger nel 2018, inviperito per lo squillante successo gialloverde. Gli fece eco Sergio Mattarella, bloccando la nomina di Paolo Savona all’economia, sgradito ai santuari europei del rigore: l’ultima parola – sostenne il capo dello Stato – spetta ai mercati finanziari, dunque non al cittadino-elettore che si illude di scegliersi democraticamente il proprio governo. Ancora un anno fa, il consenso al governo gialloverde superava il 60%: un record storico. Risultati? Zero, tranne la Quota 100 strappata da Salvini sulle pensioni. Poi il film ha proposto il Papeete e l’orrendo Conte-bis: il trasformismo sfacciato e traditore, prono ai diktat di Bruxelles. Ora siamo alle comiche finali, dice Magaldi, se qualcuno pensa davvero alla riedizione del grottesco: centrodestra e centrosinistra che fingono di litigare, ma di fatto obbediscono entrambi ai soliti nemici dell’Italia.Tra gli scontati vincitori delle regionali in Emilia ci sono le Sardine, che non chiedono nulla tranne una cosa: l’espulsione di Salvini. I ragazzi per cui Prodi fa il tifo vorrebbero la squalifica a vita del leader leghista, un animale politico da cartellino rosso: indegno, incivile, nazista e cannibale. L’interessato anche stavolta ci ha messo del suo per alimentare l’equivoco, scatenando una caccia alle streghe porta a porta, edizione 2020: il suo “dagli all’untore” (tunisino) gli avrà sicuramente alienato simpatie tra gli osservatori garantisti che alla Lega hanno guardato come a una possibile alternativa sistemica, contro le regole truccate dell’Ue che condannano tanti giovani italiani, Sardine in primis, a cercarsi un futuro all’estero. Comunque, tranquilli: come volevasi dimostrare, in Emilia non è successo niente. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, era stato il primo a spegnere gli entusiasmi salviniani per le regionali: era praticamente impossibile che qualche estraneo riuscisse a sfrattare il blocco di potere che regna sugli emiliani dal 1945. Se non altro, dice Magaldi, Salvini è riuscito a mettere il sale sulla coda a Bonaccini e compagni. Ma il tracollo parallelo dei 5 Stelle ricicla un vecchio film inguardabile: la finta sfida tra il sedicente centrosinistra e l’altrettanto immaginario centrodestra.
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Finlandia-choc: al lavoro solo 4 giorni, e per appena 6 ore
«Una settimana lavorativa di quattro giorni, di sei ore ciascuno, con lo stesso stipendio. Perché non potrebbe essere il prossimo passo per la Finlandia? Otto ore sono davvero l’unica scelta possibile? Credo che le persone meritino di trascorrere più tempo con le loro famiglie, con i propri cari, dedicandosi agli hobby e altri aspetti della vita, come la cultura. Questo potrebbe essere il prossimo passo per noi». Sanna Marin, la premier finlandese di 34 anni, ha fissato in cima alla sua agenda una proposta che ha già generato l’entusiasmo di tutto il paese: 4 giorni lavorativi di 6 ore ciascuno. Sanna Marin lo ha chiesto in occasione del 120esimo anniversario dello Sdp, il partito socialdemocratico di cui è leader di fatto. Ad appoggiare l’idea anche il Vasemmistoliitto, l’unione della sinistra radicale della ministra della Pubblica istruzione Li Andersson. «È importante consentire ai cittadini finlandesi di lavorare di meno. Non è questione di governare con stile femminile bensí di offrire contenuti e mantenere le promesse agli elettori».In Finlandia attualmente si lavora 8 ore al giorno per cinque giorni alla settimana. Così la premier socialdemocratica sta studiando insieme a Li Andersson e alle altre leader della coalizione come cominciare un ampio test per sperimentare il modo migliore di adottare la settimana lavorativa accorciata. La giornata di 6 ore funziona già nella vicina Svezia: nel 2015 Göteborg, la seconda città più grande della Svezia, ha ridotto l’orario di lavoro a sei ore al giorno nelle case di riposo e nell’ospedale municipale, senza variazioni allo stipendio dei dipendenti. I risultati due anni dopo parlano chiaro: il personale è più felice, più sano e più produttivo. Con la riduzione dell’orario di lavoro, i servizi sono stati ampliati e i pazienti sono stati più soddisfatti. E i costi sono stabili: sono stati assunti più dipendenti, il che ha comportato maggiori entrate fiscali. Inoltre, hanno riscontrato meno giorni di malattia, meno pensioni di invalidità e meno persone disoccupate hanno risparmiato denaro.Anche l’industria tecnologica svedese ha portato a 6 ore al giorno la giornata di lavoro. La casa automobilistica Toyota ha dimostrato che funziona: non solo i dipendenti Toyota erano più soddisfatti e motivati, ma potevano anche aumentare la loro produttività – e alla fine: i profitti della Toyota. Le ragioni sono semplici: in primo luogo, le riunioni inutilmente lunghe sono state scartate o rese più efficienti. E in secondo luogo, ci sono molti meno tempi di inattività durante la giornata lavorativa che sono pieni di social media o di navigazione in Internet. Le persone vanno a lavorare e lo fanno in modo più concentrato e concentrato. Quindi tornano a casa e hanno abbastanza tempo per passare il pomeriggio con le loro famiglie, amici e hobby.(”La premier finlandese propone la settimana corta di lavoro: 4 giorni, 6 ore, stesso stipendio”, dall’”Huffington Post” del 4 gennaio 2020).«Una settimana lavorativa di quattro giorni, di sei ore ciascuno, con lo stesso stipendio. Perché non potrebbe essere il prossimo passo per la Finlandia? Otto ore sono davvero l’unica scelta possibile? Credo che le persone meritino di trascorrere più tempo con le loro famiglie, con i propri cari, dedicandosi agli hobby e altri aspetti della vita, come la cultura. Questo potrebbe essere il prossimo passo per noi». Sanna Marin, la premier finlandese di 34 anni, ha fissato in cima alla sua agenda una proposta che ha già generato l’entusiasmo di tutto il paese: 4 giorni lavorativi di 6 ore ciascuno. Sanna Marin lo ha chiesto in occasione del 120esimo anniversario dello Sdp, il partito socialdemocratico di cui è leader di fatto. Ad appoggiare l’idea anche il Vasemmistoliitto, l’unione della sinistra radicale della ministra della Pubblica istruzione Li Andersson. «È importante consentire ai cittadini finlandesi di lavorare di meno. Non è questione di governare con stile femminile bensí di offrire contenuti e mantenere le promesse agli elettori».
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Soldi gratis: il mondo vuole la Mmt, e l’Italia ignora Draghi
Finire impiccati dagli interessi passivi sul debito pubblico: succede, se si impedisce allo Stato di rimediare, emettendo liquidità a costo zero. Non a caso, l’Italia è in avanzo primario da decenni: in termini di servizi, lo Stato spende meno di quanto incassi dai cittadini sotto forma di tasse. E allora perché nessuno dà retta a Mario Draghi, che nella sua ultima esternazione da presidente della Bce ha evocato il ricorso alla Modern Money Theory di Warren Mosler, cioè il finanziamento teoricamente illimitato da parte dello Stato mediante immissione di liquidità? Se lo domandano Paolo Becchi e Giovanni Zibordi su “Milano Finanza”, ricordando che la Mmt è oggi sostenuta persino da Jan Hatzius, capo-economista di Goldman Sachs, e da Stefanie Kelton, “mente” economica del candidato democratico Bernie Sanders. Con Trump, il debito pubblico Usa aumenterà di altri 1.200 miliardi di dollari, sforando i 23.000 miliardi, proiettando l’America nel decimo anno consecutivo di espansione «senza avere problemi di inflazione o di debolezza del dollaro». Il debito del Giappone rappresenta il 250% del Pil, e Tokyo ha appena lanciato un altro piano di espansione fiscale, con tassi d’interesse vicini allo zero, «continuando a smentire gli economisti che si preoccupavano del livello del suo debito pubblico».Anche nell’Eurozona si è “stampato moneta”, ricordano Becchi e Zibordi, nel senso che la Bce ha triplicato il suo bilancio (da 1.300 a 4.700 miliardi in pochi anni) comprando più di un terzo dei titoli di Stato sul mercato, e finanziando banche italiane e spagnole che a loro volta ne hanno comprati. «Il risultato è stato che i tassi di interesse sono scesi più o meno a zero o persino sotto zero, e il mercato e lo “spread” è stato addomesticato». A livello globale il debito pubblico negli ultimi dieci anni è più che raddoppiato, aggingono i due analisti, ma i tassi d’interesse sono scesi ai livelli più bassi della storia: un risultato che è più in accordo con la Mmt che con i testi di macroeconomia più diffusi. «La tesi centrale di Warren Mosler è appunto che la politica ottimale sarebbe non emettere titoli di Stato (Treasury o Btp) e tenere i tassi a zero», riassumono Becchi e Zibordi. «I deficit verrebbero finanziati con un misto di finanziamento da parte della banca centrale ed emissione di titoli a breve come i Bot o i T-Bills a cui applicare un limite di rendimento molto basso (0,5% ad esempio)». Da settembre, la Fed sta comprando 60 miliardi di T-Bills al mese, aiutando (pur senza ammetterlo, e dando una motivazione diversa) a finanziare gli enormi deficit pubblici Usa. E non è un caso che Trump le chieda insistemente di portare i tassi a zero.Negli ultimi anni, archiviato l’orrore della Grecia – paese svenduto, licenziamenti in massa, stipendi dimezzati e pensioni decurtate, ospedali senza medicine per i bambini – negli ultimi anni «il mondo assomiglia più a quello che descriveva la Mmt che a quello dei Cottarelli & Company, per i quali invece l’aumento del debito pubblico porta a rischi di default e, se monetizzato, porta a inflazione e svalutazione senza freni». Quello che è stato vietato alla Grecia (e che avrebbe salvato la società allenica, che oggi ha “i conti in ordine” e quindi la peggiore economia europea) viene invece praticato largamente: si smette di considerare lo Stato “una famiglia” e si torna alla verità, cioè alla funzione salvifica del potere di emissione monetaria a costo zero. «Se ora applichiamo la Mmt alll’Italia – scrivono i Becchi e Zibordi su “Milano Finanza” – dobbiamo ricordare che dai primi anni ‘80 lo Stato ha pagato in totale 4.000 miliardi di interessi su Bot, Cct e Btp, per cui si può senz’altro dire che il debito pubblico, di 2.300 miliardi, sia dovuto solo agli interessi cumulati», e dunque «ad un caso, se vogliamo, di “macro-usura”». Se l’Italia avesse applicato la ricetta Mmt di finanziare in parte tramite la banca centrale e in parte con Bot a rendimento limitato – aggiungono i due analisti – avrebbe potuto risparmiare qualcosa come 3.000 miliardi di interessi ed evitare l’austerità, cioè gli “avanzi primari” a cui è obbligata dal 1995.E’ curioso, continuano Becchi e Zibordi, che si finga di non vedere che a salvare il mondo occidentale da una crisi sistemica (e non solo quello, perché la Cina ha aumentato da 7.000 a 40.000 miliardi di dollari i suoi aggregati monetari) sia stato il massiccio intervento di creazione di moneta. Solo la povera Italia, dopo la Grecia, deve restare esclusa dalla soluzione che tutto il mondo pratica da tempo? Dal 1862 al 1980 lo Stato italiano ha finanziato il 54% dei suoi deficit con moneta emessa dalla banca centrale. «Il cuore del problema è la famigerata creazione di moneta da parte dello Stato, che nel mondo moderno è affidata alla banca centrale quando finanzia i deficit pubblici». Un raddoppio dei debiti pubblici nel mondo come quello occorso dalla crisi di Lehman in poi, finanziato in parte da creazione di moneta della banca centrale, «non ha avuto conseguenze negative, anzi: ha consentito di salvare i sistemi bancari e aumentare la spesa (fuori dall’Eurozona), riducendo le tasse e quindi sostenendo l’economia. «Se si guarda a Spagna e Francia, che hanno raddoppiato il debito pubblico dal 2007 tenendo deficit elevati, si vede che hanno potuto riprendersi molto meglio dell’Italia», che invece «ha continuato a tassare più di quello che spendeva».I 60 o 70 miliardi di interessi l’anno, infatti, «ritornavano solo in piccola parte alle famiglie», per cui il deficit del 2% medio italiano, in realtà, «non stimolava l’economia», e le tasse, comunque, «finivano per aumentare sempre». In più, «il vincolo di bilancio ha impedito allo Stato di intervenire a sostegno delle banche italiane in crisi dopo il 2008», come invece è accaduto negli altri paesi. E così, si è lasciato che si tagliasse in modo indiscriminato il credito alle imprese italiane (-25% in dieci anni). «La soluzione – scrivono Becchi e Zibordi – è invece proprio quella di andare avanti sulla strada della monetizzazione del debito, come ha fatto il Giappone dove la banca centrale ne possiede oggi il 44% e una cifra pari al 100% del Pil nipponico». Da trent’anni il Sol Levante ha altissimi deficit primari, «perché ha tenuto la tassazione molto più bassa di noi», e così «il reddito pro capite giapponese è aumentato quanto quello medio dell’Eurozona, mentre il nostro è collassato del -7% dal 2007». Dopo trent’anni (e dopo aver pagato 4.000 miliardi di interessi sui titoli di Stato), secondo Becchi e Zibordi è insensato non ricorrere alla Mmt: significa «continuare a paralizzare per sempre il popolo italiano». Servirebbe «una soluzione una tantum per monetizzare parte di questo debito, che è poi quello che, sotto false spoglie, sta facendo Bankitalia, che ha ora 400 miliardi di debito pubblico».La Mmt, concludono i due analisti, ha il pregio di inquadrare questa soluzione in una teoria della moneta moderna in cui la politica ottimale sarebbe quella di non emettere più Btp, e di finanziare i deficit per metà tramite la banca centrale e per metà con Bot a tasso prefissato. «Un’altra possibilità è emettere debito permanente a cui dare la caratteristica di moneta, cioè tramite cui consentire al pubblico di spendere come da un conto corrente». Attenzione: i Btp decennali non sono sempre esistiti; sono un’invenzione recente, dei primi anni ‘90, e avevano lo scopo di attirare investitori e banche straniere sul nostro debito, che all’epoca era in mano alle famiglie e alle banche (pubbliche) italiane. «Bisogna riconoscere che è stato un errore estromettere le famiglie italiane e affidarsi al mercato estero, anche se non si vuole ammetterlo nonostante l’evidenza delle banche centrali che sono costrette a stampare moneta per ritirare dal mercato titoli, sia in Europa, che in America che in Giappone». La Mmt di Mosler? «Aveva previsto quello che è successo negli ultimi dieci anni». La sua teoria «aiuta a capire che si può uscire dalla paralisi attuale tornando a dare allo Stato il controllo del suo finanziamento». In tutto il mondo, oggi, si discute finalmente della Modern Money Theory, «e persino Draghi l’ha presa in seria cosididerazione». In Italia, invece, «se ne parla solo per screditarla». Nel 2018, Mattarella stoppò Paolo Savona perché, secondo il capo dello Stato, “i mercati” non lo avrebbero gradito, al ministero dell’economia. Eppure, con la Mmt, i “mercati” di cui parla Mattarella – i signori dello spread – sarebbero fuori gioco: neutralizzati dall’emissione di moneta.Finire impiccati dagli interessi passivi sul debito pubblico: succede, se si impedisce allo Stato di rimediare, emettendo liquidità a costo zero. Non a caso, l’Italia è in avanzo primario da decenni: in termini di servizi, lo Stato spende meno di quanto incassi dai cittadini sotto forma di tasse. E allora perché nessuno dà retta a Mario Draghi, che nella sua ultima esternazione da presidente della Bce ha evocato il ricorso alla Modern Money Theory di Warren Mosler, cioè il finanziamento teoricamente illimitato da parte dello Stato mediante immissione di liquidità? Se lo domandano Paolo Becchi e Giovanni Zibordi su “Milano Finanza“, ricordando che la Mmt è oggi sostenuta persino da Jan Hatzius, capo-economista di Goldman Sachs, e da Stephanie Kelton, “mente” economica del candidato democratico Bernie Sanders. Con Trump, il debito pubblico Usa aumenterà di altri 1.200 miliardi di dollari, sforando i 23.000 miliardi, proiettando l’America nel decimo anno consecutivo di espansione «senza avere problemi di inflazione o di debolezza del dollaro». Il debito del Giappone rappresenta il 250% del Pil, e Tokyo ha appena lanciato un altro piano di espansione fiscale, con tassi d’interesse vicini allo zero, «continuando a smentire gli economisti che si preoccupavano del livello del suo debito pubblico».