Archivio del Tag ‘pensioni’
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Addio democrazia, Renzi e Silvio i manovali del piano
Le chiamano “riforme”, come fossero sinonimo di “migliorie”, secondo la vulgata mainstream accettata dai media come verità di fede. Ma sono soltanto le “indicazioni” – leggasi: diktat – che l’oligarchia euroatlantica da anni reitera all’Italia, a colpi di spread (Mario Monti) oppure confidando nell’appeal demiurgico di Renzi, che attraverso il ministro Padoan (Ocse) e con la collaborazione dell’immancabile “uomo di sinistra”, il ministro Poletti, propone la stessa cura-Monti spacciandola per innovazione entusiasmante. Tutto molto semplice: smantellare i punti cardine della Costituzione antifascista, quella che Jamie Dimon (Jp Morgan) ritiene obsoleta, perché tutela l’interesse pubblico di cittadini e lavoratori contro la legge del business. Quella che – con l’applicazione del Ttip, il Trattato Transatlantico voluto dai padroni di Obama e imposto a Renzi – farà sparire in tutta Europa le ultime garanzie di tutela su ambiente, salute, lavoro e sicurezza alimentare, liquidando la qualità del made in Italy. Logica traduzione: sbaraccare lo Stato di diritto e il “rischio” che possa essere governato dai cittadini tramite politici onesti e responsabili.Marco Travaglio lo chiama “il patto Renzi-Berlusconi”, individuandone la declinazione italiana di oggi, i suoi manovali. Ma è un “patto” che viene da lontano, a metà strada tra Wall Street, Bruxelles e Berlino. «Unendo i puntini delle varie riforme vaganti tra governo e Parlamento, costituzionali e ordinarie, ma anche di certe prassi quotidiane passate sotto silenzio per trasformarsi subito in precedenti pericolosi, come le continue interferenze del Quirinale nell’autonomia del Parlamento, della magistratura e della stampa, viene fuori un disegno che inquieta», scrive Travaglio sul “Fatto Quotidiano”. «Una democrazia verticale, cioè ben poco democratica: sconosciuta, anzi opposta ai principi ispiratori della Costituzione, fondata invece su un assetto orizzontale in ossequio alla separazione e all’equilibrio dei poteri». Svolta autoritaria: «All’insaputa del popolo italiano, mai consultato sulla riscrittura della Costituzione, e fors’anche di molti parlamentari ignoranti o distratti, il combinato disposto di leggi, decreti e prassi – di per sé all’apparenza innocue – rischia di costruire un sistema illiberale e piduista fondato sullo strapotere del più forte e sul depotenziamento degli organi di controllo e garanzia».Il pericolo, sintetizza Travaglio, è una «dittatura della maggioranza». Una “democratura”, come direbbe Giovanni Sartori, «a disposizione del primo “uomo solo al comando” che se ne impossessa, diventando intoccabile, incontrollabile, non contendibile, dunque invincibile». Unendo l’ultimo dei “puntini” – il più importante, anche se Travaglio lo sfuma, forse dandolo per scontato – si scopre che il cervello della manovra per liquidare la residua democrazia italiana non risiede a Roma, ad Arcore o a Firenze, ma nei centri di potere economico-finanziari e tecnocratici che negli ultimi trent’anni hanno logorato senza sosta i gangli vitali della fragile e sgangherata democrazia italiana, per assoggettarla a regole scritte altrove, nei santuari del neoliberismo: fine della sovranità nazionale, debito pubblico ostaggio della speculazione finanziaria, demonizzazione del deficit, taglio della spesa pubblica e del welfare, attacco ai salari, flessibilità e precarizzazione del lavoro (Jobs Act), massacro delle pensioni (riforma Fornero). Tutto questo è avvenuto grazie all’alibi del debito, in realtà esploso dopo il divorzio tra Bankitalia e Tesoro nel 1981, che privò di colpo il paese della possibilità di finanziare il deficit – cioè l’investimento pubblico – a costo zero.Da allora, tutti i “tecnici” al potere (in prima linea e nelle retrovie: Draghi, Ciampi, Amato, Andreatta, Prodi, Dini, Padoa Schioppa, Visco, Treu, Bassanini, Monti) hanno proseguito la missione: dire agli italiani che “bisogna” suicidare lo Stato, cioè spillare più soldi – in tasse – di quanti lo Stato non sia disposto a spendere per i cittadini. “Lo vuole l’Europa”, naturalmente, ovvero la Germania, interessata a sbarazzarsi della concorrenza industriale italiana, e lo vuole – da sempre – l’élite economica euroatlantica, insofferente alla relativa autonomia di paesi come l’Italia, capaci di sviluppare benessere diffuso (nonostante la casta corrotta dei politici) proprio grazie alla spesa pubblica strategica dello Stato, che finisce per fare concorrenza al “mercato”, ovvero ai signori delle multinazionali. Sono loro, i “padroni dell’universo”, gli unici a comandare oggi – a fare le leggi che contano – grazie alle lobby insediate a Bruxelles e a organismi sovranazionali pressoché onnipotenti, dal Wto alla Banca Mondiale, dal Fmi alla Bce, dal Bilderberg alla Banca dei Regolamenti Internazionali. Tutto il potere che conta è verticalizzato, nel sistema neo-feudale dell’euro, in mano a poche “menti raffinatissime” che vogliono la morte per fame dello Stato democratico e la impongono mediante rigore e austerity, Fiscal Compact, unione bancaria europea, pareggio di bilancio.Nella sua lunga analisi, Travaglio osserva la traduzione italiana del piano, affidato a Renzi e Berlusconi con la regia di Napolitano sin dai tempi di Monti (Goldman Sachs, Commissione Trilaterale) e Letta (Aspen, Bilderberg). Il fondatore del “Fatto” individua i punti-chiave della definitiva archiviazione della macchina democratica così come l’abbiamo conosciuta finora. La spaventosa legge elettorale, battezzata “Italicum”, che impedirebbe ai cittadini di eleggere i loro candidati. Il Senato, ridotto a comparsa della democrazia. La fine dell’opposizione, con l’emarginazione dei parlamentari scomodi nelle commissioni (il caso Mineo) e una riforma costituzionale che «disarma le minoranze, istituzionalizzando la “ghigliottina” calata dalla presidente Laura Boldrini contro il M5S che tentava di impedire la conversione in legge del decreto-regalo alle banche». E mentre vengono falciati i poteri di controllo, il capo dello Stato abdica al suo storico ruolo di garanzia per ripiegare su una «funzione gregaria del governo», se per eleggerlo basteranno 33 senatori, dopo che il premier – con la legge-truffa per le elezioni – disporrà «del 55% dei deputati da lui nominati».Chi andrà al governo con l’Italicum, continua Travaglio, controllerà anche la Corte Costituzionale, il Csm, i procuratori della Repubblica: un’ingerenza mai vista prima del potere esecutivo, che – con le nuove regole – metterà al guinzaglio il potere giudiziario, proprio come sognava di fare Licio Gelli. Su tutto, resta ovviamente in piedi l’immunità parlamentare anche per i neo-senatori “nominati”, cioè sindaci e consiglieri regionali: «Basterà che un consiglio regionale li nomini senatori, e nel tragitto dalla loro città a Roma verranno coperti dallo scudo impunitario, che impedirà ai magistrati di arrestarli, intercettarli e perquisirli senza l’ok di Palazzo Madama». Tutto questo proviene dal giovane Renzi: interessato a “rottamare” la democrazia, si guarda bene dal toccare le due leggi-vergogna sull’informazione, la Gasparri sulla televisione e la Frattini sul conflitto d’interessi, mentre i grandi giornali italiani restano in mano a editori impuri come «imprenditori, finanzieri, banchieri, palazzinari (per non parlare di veri o finti partiti, con milioni di fondi pubblici), perlopiù titolari di aziende assistite e/o in crisi e dunque ricattabili dal governo, anche per la continua necessità di sostegni pubblici». Non è strano, quindi, che non raccontino ciò che sta davvero accadendo.Addio, cittadini italiani: «Espropriati del diritto di scegliersi i parlamentari, scippati della sovranità nazionale (delegata a misteriose e imperscrutabili autorità europee), i cittadini non ancora rassegnati a godersi lo spettacolo di una destra e di una sinistra sempre più simili e complici, che fingono di combattersi solo in campagna elettorale, possono rifugiarsi in movimenti anti-sistema ancora troppo acerbi per proporsi come alternativa di governo (come il M5S); o inabissarsi nel non-voto (che sfiora ormai il 50%)». In teoria, la Costituzione prevede alcuni strumenti di democrazia diretta, come i referendum abrogativi: «Che però, prevedibilmente, saranno sempre più spesso bocciati dalla Consulta normalizzata». Restano le leggi d’iniziativa popolare, peraltro quasi mai discusse dal Parlamento, ma i “padri ricostituenti” hanno pensato anche a queste, «quintuplicando la soglia delle firme necessarie, da 50 a 250 mila. Casomai qualcuno s’illudesse ancora di vivere in una democrazia».Nella peggiore delle ipotesi, l’allarme di Travaglio sarà costretto a impallidire se il Trattato Transatlantico che avanza a porte chiuse fosse davvero approvato, come vogliono Obama e Renzi, entro la fine del 2015: i giudici italiani non avrebbero più nessun potere contro le pretese delle multinazionali, pronte a chiedere maxi-risarcimenti a Stati e governi che oseranno opporre leggi a tutela del territorio, dei lavoratori, delle persone. E se a qualcuno il “nuovo ordine” non starà bene, l’Unione Europea – ora guidata dall’impresentabile oligarca Juncker – sta già addestrando in gran segreto l’Eurogendfor, polizia militare antisommossa e multinazionale, incaricata di reprimere le proteste: a caricare i cortei italiani potranno essere agenti francesi e olandesi, poliziotti spagnoli e portoghesi. Entro due o tre anni, secondo i critici più pessimisti, la Costituzione italiana sarà ricordata soltanto sui libri di storia.Le chiamano “riforme”, come fossero sinonimo di “migliorie”, secondo la vulgata mainstream accettata dai media come verità di fede. Ma sono soltanto le “indicazioni” – leggasi: diktat – che l’oligarchia euroatlantica da anni reitera all’Italia, a colpi di spread (Mario Monti) oppure confidando nell’appeal demiurgico di Renzi, che attraverso il ministro Padoan (Ocse) e con la collaborazione dell’immancabile “uomo di sinistra”, il ministro Poletti (Lega Coop), propone la stessa cura-Monti spacciandola per innovazione entusiasmante. Tutto molto semplice: smantellare i punti cardine della Costituzione antifascista, quella che Jamie Dimon (Jp Morgan) ritiene obsoleta, perché tutela l’interesse pubblico di cittadini e lavoratori contro la legge del business. Quella che – con l’applicazione del Ttip, il Trattato Transatlantico voluto dai padroni di Obama e imposto a Renzi – farà sparire in tutta Europa le ultime garanzie di tutela su ambiente, salute, lavoro e sicurezza alimentare, liquidando la qualità del made in Italy. Logica traduzione: sbaraccare lo Stato di diritto e il “rischio” che possa essere governato dai cittadini tramite politici onesti che abbiano a cuore l’Italia.
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Prelievo forzoso: il piano del Fmi per prenderci tutto
Tu, Stato ex sovrano, hai ceduto il tuo debito pubblico alla speculazione finanziaria in cambio degli interessi sui bond, privandoti addirittura di moneta sovrana e accettando di denominare il debito in una moneta “straniera” come l’euro, sulla quale non hai più nessun controllo? Bene, anzi male. Malissimo, perché ora il Fmi propone di riscattare il debito pubblico facendolo pagare direttamente a cittadini, lavoratori, pensionati, risparmiatori. Su “Zero Hedge”, Tyler Durden e Martin Armstrong lanciano l’allarme: non ne parla nessuno, e non a caso la “proposta” è stata fatta trapelare durante i Mondiali di calcio in mondo che l’opinione pubblica fosse distratta, ma la direzione di marcia indicata dal Fondo Monetario Internazionale è la pietra tombale, definitiva, su qualsiasi speranza di ripresa economica nell’Eurozona. In pratica, i tagli sul debito li pagherebbero i cittadini: se attuati, «potrebbero compromettere il futuro delle persone», facendo saltare anche assicurazioni, risparmio gestito e sistemi pensionistici.L’ultimo documento del Fmi, massima istituzione finanziaria dell’oligarchia neoliberista euroatlantica, «descrive in dettaglio come d’ora in poi si potrà autorizzare l’espropriazione dei beni del settore privato e di chi ha investito in titoli di Stato, per pagare i debiti nazionali». Quello del Fondo Monetario diretto dalla francese Christine Lagarde è «un progetto straordinario, che butta a mare qualsiasi congettura finora fatta sull’acquisto di titoli di Stato». Già nel 2013 il Fmi parlava di “repressione finanziaria”: «I governi possono spalmare il debito sui fondi pensione, fondi locali e compagnie di assicurazione, costringendoli per legge ad accettare tassi di rendimento molto più bassi». Il Fondo Monetario aveva consigliato di gestire la “crisi dell’euro” aumentando le tasse, chiedendo di imporre una tassa sulla proprietà anche nei paesi europei in cui quel tipo di tassazione non esiste ancora. Ora, il Fmi spinge per una “tassa sul debito” generalizzata, «per un importo del 10% per ogni famiglia dell’Eurozona, anche su quelle famiglie che dispongono solo di modesti risparmi».Per Durden e Armstrong, «la gente è cieca: crede che in questo modo si sia data l’autorizzazione ad andare a colpire i ricchi, e non capisce che invece si sta correndo dietro chiunque», perché alla fine i “ricchi” sono pochi, da soli non basterebbero neppure se li si spennasse: molto meglio tosare milioni di contribuenti ordinari. «Quelli del Fmi non hanno messo in discussione nessuna riforma del sistema: stanno semplicemente progettando un fallimento, da ripianare buttandolo sulle spalle dei risparmiatori espropriandoli dei loro risparmi, e continuando a far chiedere altri soldi in prestito, per sempre», osserva “Zero Hedge”. E il peggio è che «non c’è nessuno che si sta preoccupando». Il denaro risparmiato dalle persone, secondo il Fmi, «dovrebbe essere utilizzato obbligatoriamente al servizio del debito», quello che lo Stato sovrano – prima dell’euro – garantiva da solo, a costo zero, con emissione di moneta. Ora invece il debito dello Stato dovrebbero pagarlo i cittadini, secondo i tecnocrati neo-feudali del Fondo Monetario: «Sostengono che, per ridurre l’enorme debito nazionale, i governi abbiano il diritto di requisire direttamente i risparmi dei cittadini. Non importa che si tratti di risparmi, di assicurazioni o di immobili, almeno il 10% potrebbe essere espropriato».E dato che il debito pubblico dei paesi dell’Eurozona – impoverita disastrosamente dalla recessione economica indotta dalla moneta unica – è aumentato di più del 90% del Pil, tutta la popolazione dovrebbe sacrificare i propri risparmi, per “salvare” lo Stato lasciato in bolletta dall’euro. Come al solito, la cupola politico-finanziaria europea esegue: già a gennaio, la Bundesbank ha aderito al progetto del Fmi, concentrandosi su una “tassa sulla ricchezza”. «Nella situazione eccezionale di un imminente fallimento dello Stato – dichiara la banca centrale tedesca – un prelievo di capitale una tantum potrebbe rivelarsi un taglio più conveniente rispetto a qualsiasi altra opzione», nel caso in cui aumenti delle tasse o altre drastiche limitazioni della spesa pubblica non fossero sufficienti a soddisfare i bisogni. A giugno, il Fmi ha preparato un altro progetto, per estendere d’imperio la scadenza delle obbligazioni: cedole biennali potrebbero diventare ventennali. «Semplicemente, tu non puoi riscattare la tua obbligazione». I tuoi soldi se li tengono in ostaggio “loro”, naturalmente «con lo stesso tasso di interessi».Purtroppo, sottolinea “Zero Hedge”, «la stampa non spiegherà mai i rischi reali di certe notizie: sono troppo noiose». Quindi, nei paesi in cui ci sono delle pensioni da lavoro, «ci si potrebbe svegliare improvvisamente e venire a sapere che con quello che serve al proprio futuro si sta pagando un contributo al governo – che ringrazia per il patriottismo». Una cosa è certa: per anni, tutti i fondi pensione hanno comprato titoli di Stato perché erano considerati “tranquilli” e “senza rischi”. Non sarà più così. E il crollo dei debiti sovrani potrebbe «mandare in crash» anche i mercati finanziari che quei titoli acquistarono. Chi decide? Il Fondo Monetario, purtroppo. «Il Fmi è una dittatura non eletta da nessuno, che però può gestire la vita della gente», accusano Durden e Armstrong. E ora la Lagarde presenta il “nuovo profilo” della sua strategia: tutti i debiti pubblici – per la prima volta nella storia moderna – dovranno “trovare una copertura”, come se lo Stato fosse una famiglia o un’azienda, e non un’autonoma istituzione finanziaria pubblica.«Quest’ultimo documento non è altro che un ordine di liquidazione del debito pubblico, a spese degli obbligazionisti e a loro insaputa: azionisti che possono tranquillamente essere anche dei pensionati». Per salvarsi la poltrona, gli euro-leader stanno con gli oligarchi del Fondo Monetario, guardandosi bene dal tutelare l’interesse pubblico, cioè i cittadini. «Così, è probabile che presto l’Eurozona possa essere colpita direttamente dai piani del Fmi». Secondo gli analisti di “Zero Hedge”, la situazione è gravissima: la “soluzione finale” prospettata dalla Lagarde «potrebbe produrre anche dei disordini civili, ma solo dopo che il fatto sarà avvenuto». Questo “taglio corto” fatto ai creditori privati è una sorta di condizione preliminare che gli Stati in bancarotta devono rispettare prima di ottenere ulteriori prestiti. Prendere o lasciare: «E’ quanto il Fmi sta facendo in Ucraina, niente meno di quello che hanno fatto a Cipro». Se lo Stato non controlla più il debito, avendolo ceduto agli usurai della finanza privata, il carico fiscale è così opprimente che «ci stiamo rapidamente avvicinando al crollo della democrazia». Milioni di ignari pensionati saranno letteralmente rapinati dai dominus del Fmi. E il guaio è che «questi signori non si sentono minimamente in colpa per l’estorsione fatta ai governi».Tu, Stato ex sovrano, hai ceduto il tuo debito pubblico alla speculazione finanziaria in cambio degli interessi sui bond, privandoti addirittura di moneta sovrana e accettando di denominare il debito in una moneta “straniera” come l’euro, sulla quale non hai più nessun controllo? Bene, anzi male. Malissimo, perché ora il Fmi propone di riscattare il debito pubblico facendolo pagare direttamente a cittadini, lavoratori, pensionati, risparmiatori. Su “Zero Hedge”, Tyler Durden e Martin Armstrong lanciano l’allarme: non ne parla nessuno, e non a caso la “proposta” è stata fatta trapelare durante i Mondiali di calcio in mondo che l’opinione pubblica fosse distratta, ma la direzione di marcia indicata dal Fondo Monetario Internazionale è la pietra tombale, definitiva, su qualsiasi speranza di ripresa economica nell’Eurozona. In pratica, i tagli sul debito li pagherebbero i cittadini: se attuati, «potrebbero compromettere il futuro delle persone», facendo saltare anche assicurazioni, risparmio gestito e sistemi pensionistici.
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Io borghese di merda e tutti noi scarafaggi da schiacciare
«Ma tu non eri di sinistra?», mi chiedeva con preoccupazione un mio follower twittarolo stamattina. Il fatto è, caro, che prima di tutto io sono una borghese di merda, e proprio per questo a vent’anni ero comunista. Non c’è da stupirsene perché sono i borghesi che scelgono la bandiera rossa senza averne la necessità. Marx, Lenin, Trockij, Che Guevara, Fidel Castro, erano tutti borghesi, perché è la borghesia che, quando l’élite esagera, che si tratti di incipriati aristocratici e pretacci o di latifondisti, capitalisti e padroni delle ferriere, fa le rivoluzioni. Sono stata di sinistra per un lungo tempo, prima che saltassero tutte le regole su chi dovesse stare dalla parte del popolo e chi invece doveva vendersi al Capitale. Perché qualcosa è successo, darling. Più o meno attorno al Sessantotto. E’ stato un processo lungo e difficile da allora, ma sta giungendo a compimento. La più grande operazione di pulizia sociale della storia. La fine della lotta di classe con la proclamazione del Capitale come vincitore. With a little help from his friends.Ti spiego il mio percorso. Sono una borghese, dicevo, e la mia è la classe media che, ad un certo punto, nel secolo scorso, è riuscita storicamente ad inglobare emancipandola anche tanta parte della classe operaia. Merito delle lotte dei borghesi dalla coscienza infelice di cui sopra, condotte assieme agli operai, certo, ma anche di un capitalismo che pensava che estendere la ricchezza a fasce più ampie della popolazione, facendo diventare i proletari classe media, significava più merci vendute, più profitti e più benessere per tutti. Il famigerato moltiplicatore. Ma già, Henry Ford era un nazifascista anche se pensava che aumentando il salario ai suoi operai questi avrebbero potuto comperare il modello T che fabbricavano. Quello della mia gioventù sembra un mondo perduto ed estinto; una meraviglia, sai, in confronto a quello di oggi. E sono sicura che te ne ricordi, perché non sei di primo pelo neppure tu.Uno stipendio in famiglia bastava a condurre una vita più che dignitosa dove non ti mancava nulla di veramente necessario. Esisteva ancora il concetto di superfluo e per quello c’era il «no, non ce lo possiamo permettere». Quel no ti aiutava a crescere e a capire che, una volta grande, te lo saresti guadagnato con il tuo lavoro, perché il lavoro ci sarebbe stato, secondo quello che avevi studiato e imparato a fare. Perfino con uno stipendio solo, con i risparmi (allora si riusciva a mettere da parte qualcosa ogni mese), la famiglia riusciva a comperarsi la casa dove viveva e, se lavoravano tutti e due i genitori, ci si comperava magari un’altra casa, al mare o in campagna o in montagna. Perché allora esistevano ancora le ferie e le vacanze non duravano meno di venti giorni. Per le malattie c’era il welfare, ad una certa età arrivavano la pensione e la liquidazione con la quale ti potevi togliere qualche sfizio in più o farti la casetta di cui sopra, perché i nonni non erano costretti a mantenere nipoti disoccupati.Erano i tempi in cui l’Italia stava diventando, pur tra corruzione, mafia e caste, e sottoposta a sovranità limitata come paese sconfitto, la quinta potenza industriale del mondo. Non erano tutte rose e fiori? Certo, c’erano come sempre i poveri e lo sfruttamento, il mondo era diviso in classi. C’erano la crisi petrolifera, il terrorismo di Stato, le bombe, le guerre imperialiste. Poi arrivò la shock economy, prima dal Sudamerica (però così lontano da noi) e poi nel mondo anglosassone, con i primi vagiti del dominio finanziario sulle nostre vite; ma la speranza di un futuro migliore non mancava, nessuno pensava che, pur lavorando da rompersi la schiena, da vecchio sarebbe stato povero e abbandonato perché gli avrebbero portato via tutto. Non avevamo nulla da perdere, casomai ci sarebbe stato ancora qualcosa da ottenere. Il muro nero della depressione, dell’assenza di un futuro o dell’angoscia data dal pensiero di che cosa sarà il nostro futuro in balia della povertà non esisteva e nessuno sarebbe stato in grado di immaginarlo, a meno che non fosse vissuto al di là di qualche Cortina di Ferro.Soprattutto, nessuno si sarebbe mai immaginato che il benessere ottenuto in base alle lotte sindacali, nato dal sangue degli operai e di quei borghesi empatici e simboleggiato in maniera sacra dalla democrazia, dato ormai per acquisito perché certificato nella Costituzione, sarebbe stato possibile toglierlo al popolo per consegnarlo ad un’élite intenzionata a redistribuire la ricchezza esistente verso l’alto, accaparrandosela tutta e creando un mondo dove l’1% ha tutto e il 99% quasi nulla, senza più democrazia. Un mondo nuovo ma tremendamente simile al Medioevo che, per essere realizzato, ormai lo sappiamo, nei trent’anni previsti per il suo compimento non potrà che finire con l’eliminazione fisica della classe media, magari sostituita da carne da macello proveniente dal terzo mondo, da impiegare per la pulitura dei cessi dove andranno a sedersi i culi imperiali.Credo che, se qualcuno allora, negli anni sessanta-settanta, avesse visto un’anteprima del futuro, ovvero dei giorni nostri, lo avrebbe considerato il peggiore incubo mai vissuto e nessuno avrebbe potuto immaginare che coloro che si sarebbero offerti spontaneamente per farlo avverare sarebbero stati i partiti di sinistra, quelli più tradizionalmente (allora) vicini al popolo. Eccoci, caro, al perché io non sono più comunista, non sono più di sinistra, anzi non sono niente, sono solo una borghese di merda ma molto, molto incazzata. Sono incazzata e mi difenderò fino all’ultimo perché vogliono farmi fuori. Vogliono portarmi via ciò che la mia famiglia mi ha lasciato, affinché, assieme a ciò che mi guadagno con il mio lavoro, potessi avere una vecchiaia serena senza dover dipendere da nessuno. Penso a me stessa, certo. Gli altri hanno smesso di pensare a me.Ti pare impossibile che l’orrendo scenario che ti ho descritto possa realizzarsi? Cosa ti stanno ripetendo giorno e notte, tutti i giorni e a tutte le ore, caro amico? Che quel mondo che ti ho descritto e che abbiamo vissuto, che ci ha permesso di crescere ed arrivare fin qui dobbiamo scordarcelo perché NON POSSIAMO PIU’ PERMETTERCELO. E, di grazia, ti stai chiedendo il PERCHE’? Perché le risorse mondiali sono limitate? Per quello basterebbe uno sviluppo più responsabile. Basterebbe quella cosa che si chiama progresso e che nasce dall’ingegno di persone molto creative in ogni epoca e che in poco più di cento anni ci hanno dato l’elettricità, la mobilità di persone e merci e la comunicazione. Progresso che serve da sempre a migliorare la vita delle persone e a renderla più facile. Basterebbe tendere a realizzare uno di quei mondi futuribili ideali che nessun romanzo di fantascienza ha più il coraggio di immaginare.Il nostro benessere non possiamo più permettercelo perché ciò che abbiamo lo vuole qualcun altro, e non sono certo coloro che non hanno nulla ma quelli che hanno già tutto. Vedi, in fondo, da borghese di merda, con queste parole sto pensando anche a te, sto cercando di avvertirti del pericolo, anche se non meriteresti affatto di essere salvato. Non sono direttamente le élite che ti annunciano la fine del tuo diritto al benessere perché un domani conterà solo il loro, perché la scusa delle risorse limitate è un’occasione ghiotta per fare un po’ di pulizia sociale e vincere la Lotta di Classe. Te lo fanno dire dai loro servi. Quelli che si sentono superiori perché non sono razzisti ma democratici, a favore delle minoranze, antifascisti, ammiratori dell’Europa e della serietà teutonica, progressisti, internazionalisti, contro tutte le diversità perché devoti all’OMOLOGAZIONE. Che si sentono importanti perché con il 99% possono masturbarsi sulle grandi cifre e non si accorgono che la loro maggioranza è destinata a diventare il Soylent Green. Sono quelli che ogni mattina ringraziano non si sa chi per non essersi svegliati trasformati in scarafaggi piccoloborghesi.Quando tutto iniziò, con i primi attacchi ai diritti sociali acquisiti e l’avvento della dittatura del mercato, avrebbero dovuto riconoscere subito il progetto reazionario e revanchista dell’élite. Certo avrebbero dovuto difendere il benessere generale, le conquiste ottenute fino a quel momento e la democrazia, distinguendo tra capitalismo accettabile e capitalismo disumano, alleandosi con quella borghesia di merda che però sa fare le rivoluzioni e che un minimo di riconoscenza se la meriterebbe. Invece, pur di non rinnegare la lotta antiborghese di principio, hanno ascoltato le sirene della globalizzazione travestita da internazionalismo ed hanno scelto l’omologazione nel concime, il “semo tutti uguali” come materia organica anfibia, per potere essere ancora più merda della borghesia e in fondo distinguersi. Perché in fondo sono dei neoaristocratici pure loro. Si sono alleati con il Capitale contro il resto del mondo e di fatto contro loro stessi. Perché credono di appartenere ad un corpo speciale e privilegiato per essersi guadagnati con il tradimento l’onore di poter dare il colpo di grazia all’odiata borghesia (rinnegando Marx, Lenin e gli altri che ho nominato) ma sono anche loro feccia destinata a soccombere. Li tengono per ultimi per compostarli meglio. Concimeranno con onore i giardini degli ingiusti di Elysium.(Barbara Tampieri, “Io sono una borghese di merda”, da “Il blog di Lameduck” del 29 maggio 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte).«Ma tu non eri di sinistra?», mi chiedeva con preoccupazione un mio follower twittarolo stamattina. Il fatto è, caro, che prima di tutto io sono una borghese di merda, e proprio per questo a vent’anni ero comunista. Non c’è da stupirsene perché sono i borghesi che scelgono la bandiera rossa senza averne la necessità. Marx, Lenin, Trockij, Che Guevara, Fidel Castro, erano tutti borghesi, perché è la borghesia che, quando l’élite esagera, che si tratti di incipriati aristocratici e pretacci o di latifondisti, capitalisti e padroni delle ferriere, fa le rivoluzioni. Sono stata di sinistra per un lungo tempo, prima che saltassero tutte le regole su chi dovesse stare dalla parte del popolo e chi invece doveva vendersi al Capitale. Perché qualcosa è successo, darling. Più o meno attorno al Sessantotto. E’ stato un processo lungo e difficile da allora, ma sta giungendo a compimento. La più grande operazione di pulizia sociale della storia. La fine della lotta di classe con la proclamazione del Capitale come vincitore. With a little help from his friends.
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Farsi votare dalle proprie vittime: il capolavoro di Renzi
Le elezioni del 25 maggio sono state un mega-sondaggio sul rapporto che i cittadini d’Europa intrattengono con l’Unione Europea, lo Stato multinazionale in costruzione al di fuori di ogni loro possibile controllo: tutto infatti resta affidato alla concertazione intergovernativa, quindi dei paesi economicamente più forti, ma soprattutto alla pressione dei “mercati”. Il sondaggio, scrive Dante Barontini su “Contropiano”, ha mostrato un continente diviso in “nazioni”, preoccupato del futuro dipinto dai tecnocrati di Bruxelles e – per mancanza di alternative chiare – tentato dal semplice ritorno al nazionalismo. «Lo avevano in qualche modo dimostrato le campagne elettorali di tutti i partiti, in ogni paese, incentrate esclusivamente sui problemi e le dinamiche interne, anziché su quelle comunitarie. Gli unici paesi relativamente stabili sono la Germania, come ampiamente previsto, e l’Italia renziana (molto a sorpresa)». L’Europa non c’è come “spirito pubblico”: esiste solo una Unione Europea «arcigna custode di regole e conti che non tornano più».La retorica europeista degli spot istituzionali sulla libera circolazione delle persone (studenti, professionisti, imprese, turisti) dimenticava completamente i disastri materiali provocati sia dalla crisi. «Le preoccupazioni espresse immediatamente da Barroso (presidente uscente della Commissione) sono ben più realistiche dell’ottimismo di facciata sparso dai media mainstream italiani», scrive Barontini. «Con le politiche fin qui adottate, la “costruzione europea” è a rischio». Quella costruzione aveva due pilastri fondamentali, Francia e Germania. «La prima è in frantumi, avendo subito tutti gli svantaggi della costruzione comune; la seconda è relativamente stabile solo perché ha beneficiato in modo clamoroso della sua posizione “centrale” sul piano produttivo, manifatturiero, finanziario e monetario». Se a Berlino c’è solo qualche scricchiolio, il 7% dei centristi no-euro di Afd, Alternative fur Deutschland, dagli altri paesi – anche senza calcolare la evidente fuga transatlantica della Gran Bretagna – sono arrivati segnali univoci: così non si va avanti.Quasi ovunque, i governi in carica hanno pagato dazio alle misure di austerità «imposte a schiaffi, ricatti e manganellate in piazza». Le contromisure, da spacciare come “riforme” dei trattati europei, sono già in via di definizione. «È più che probabile un innalzamento di alcuni dei parametri di Maastricht (in primo luogo quel ridicolo 3% nel rapporto tra deficit e Pil)», aggiunge “Contropiano”, «ma intanto si è approvato un trucco statistico-contabile di immense proporzioni: da ottobre di quest’anno tra i fattori economici validi per il calcolo del Pil di un paese saranno compresi anche “attività economiche” come la prostituzione, lo spaccio di droga e il contrabbando». Una dose incredibile di droga “statistica”, dice Barontini, per un paese come l’Italia, dove queste voci sono stimate intorno al 27% del Pil (senza calcolare le ricadute da “indotto” su buona parte dell’economia sommersa). Truccati i conti, «resta il problema di far pagare le tasse alle varie mafie e ai “papponi”, ma basterà attingere alle legislazioni di altri paesi Ue per raccogliere qualche risultato “vendibile” al grande pubblico». L’alterazione contabile – che alleggerisce di colpo il rapporto deficit-Pil – è un “regalo” dell’Unione Europea che però a Bruxelles non costerà nulla, e serve ad evitare il costo (insostenibile) del “salvataggio” di paesi come l’Italia.Sul piano politico, da noi «è in corso un’operazione reazionaria assai più complessa, quasi da manuale». Il governo Renzi? «Era troppo recente per poter essere riconosciuto colpevole delle peggiorate condizioni di vita e lavoro». Così, «nonostante la sua perfetta continuità con i governi precedenti – sia “politici” che “tecnici” – ha giocato con spregiudicatezza la carta della “rottamazione” delle vecchie facce dell’establishment per mantenere al posto di comando esattamente gli stessi assetti di potere». Un’operazione di chirurgia estetica, continua Barontini, fondata su uno sforzo comunicativo eccezionale per dimensioni, intensità, capacità innovativa. «Sembra l’eterno ritorno del pessimo destino italiota: tutto deve cambiare perché tutto resti uguale». Una parte considerevole del blocco sociale ex berlusconiano «ha piantato le tende in campo renziano, dando dimensioni “eccezionali” a una vittoria giocata sullo stesso campo degli avversari più temuti, i grillini: stesso “tutti a casa”, stesso giovanilismo esteriore, stesse incompetenze messe davanti alle telecamere». Ma l’operazione-Renzi è stata gestita con «una regia ferrea, “rassicurante”, di potere e per il potere, con un progetto chiaro (le riforme anticostituzionali e la dissoluzione delle regole del mercato del lavoro, la blindatura della rappresentanza politica e sidacale)», mentre Grillo è apparso «ondivago e verboso», e così «ha conquistato meno cuori di quante menti è riuscito a inquietare», relegando nell’astensionismo molti ex supporter.Domanda: come mai, solo in Italia, il precipitare della crisi e l’esplosione del malessere non si traducono in una solenne bocciatura del governo e del regime Ue? Premesse: c’è da fare i conti con una struttura sociale opaca, incluso quel 27% di Pil-fantasma. Inoltre, «buona parte della popolazione mette ancora insieme redditi “spurii”, cioè provenienti da fonti diverse: case di proprietà, risparmio investito in titoli di Stato, lavoro nero che affianca quello ufficiale». C’è anche una notevole “flessibilità” comportamentale, che permette di adottare strategie di sopravvivenza articolate, dalla “riscoperta della coabitazione” all’utilizzo dei pensionati come ammortizzatore sociale familiare. «Di fatto – sottolinea Barontini – la crisi ha fin qui “asfaltato” in modo selettivo», colpendo soprattutto i percettori di un solo reddito. Persone che si sentono isolate, e faticano a coalizzarsi: «Una condizione che istiga al suicidio, più che alla lotta, mentre nella maggioranza della popolazione che stringe la cinghia prevale ancora un atteggiamento alla “io speriamo che me la cavo”, dove la riduzione delle entrate è affrontata con la contrazione dei consumi e l’erosione del “patrimonio”».Se così è, prosegue “Contropiano”, la stessa forza politica di Renzi è altamente volatile: «Regge sulla eventuale disponibilità tedesca ad allentare alcuni parametri e su questo fronte potrà farsi forte della debolezza francese (e spagnola). Si glorierà del miglioramento statistico dei conti truccati. Ma resta in balia di una crisi globale che non passa e che sta per celebrare l’ingresso nell’ottavo anno consecutivo». Di sicuro, il “nuovo” potere «andrà avanti come un treno inarrestabile, o almeno ci proverà: il “semestre europeo” a guida Renzi è da questo punto di vista sia un banco di prova sia un’assicurazione contro “nervosismi” interni al blocco dominante». Servirebbe un contro-semestre ispirato a un’opposizione radicale: «Un’epoca è definitivamente chiusa», conclude Barontini. «Siamo già in un contesto post-costituzionale e ben poco “democratico”». Per i movimenti sociali si avvicina la tolleranza zero, a meno che non sappiano – ora o mai più – costruire un’allenza capace di contrastare il disegno egemonico che si nasconde dietro la maschera di Renzi.Le elezioni del 25 maggio sono state un mega-sondaggio sul rapporto che i cittadini d’Europa intrattengono con l’Unione Europea, lo Stato multinazionale in costruzione al di fuori di ogni loro possibile controllo: tutto infatti resta affidato alla concertazione intergovernativa, quindi dei paesi economicamente più forti, ma soprattutto alla pressione dei “mercati”. Il sondaggio, scrive Dante Barontini su “Contropiano”, ha mostrato un continente diviso in “nazioni”, preoccupato del futuro dipinto dai tecnocrati di Bruxelles e – per mancanza di alternative chiare – tentato dal semplice ritorno al nazionalismo. «Lo avevano in qualche modo dimostrato le campagne elettorali di tutti i partiti, in ogni paese, incentrate esclusivamente sui problemi e le dinamiche interne, anziché su quelle comunitarie. Gli unici paesi relativamente stabili sono la Germania, come ampiamente previsto, e l’Italia renziana (molto a sorpresa)». L’Europa non c’è come “spirito pubblico”: esiste solo una Unione Europea «arcigna custode di regole e conti che non tornano più».
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Londra, un milione di nuovi poveri in coda per il cibo
La riforma del welfare britannico lascia sul campo un milione di nuovi poveri. E’ il quadro di un’Inghilterra affamata quello dai Trussel Trust, la piu grande banca del cibo del paese. Secondo l’ultimo rapporto dell’organizzazione benefica, piu di 900.000 persone si sono rivolte a loro nell’ultimo anno, facendo registrare un aumento record nell’utenza, pari al 163%. Una situazione inquietante, causata in gran parte dal taglio dei benefit assistenziali e condannata da 600 leader di religioni diverse, che hanno inviato una lettera al governo chiedendo un’azione immediata per risolvere il problema. Nello stesso tempo una coalizione anti-povertà formata da decine di organizzazioni umanitarie, Trussel Trust compresa, afferma che la Gran Bretagna sta violando la legge sui diritti umani, in particolare il diritto delle persone a poter provvedere al proprio nutrimento.Una presa di posizione durissima che riflette il risultato, altrettanto duro, del rapporto del Trussell sull’uso delle sanzioni imposte dal governo al sistema dei benefit, scrive Enrica Orsini sul “Giornale”, in un servizio ripreso da “Vox Populi”. Metà dei nuovi poveri britannici si sono rivolti alle banche del cibo tra il 2013 e il 2014: «L’hanno fatto perchè i loro sostegni assistenziali sono stati cancellati o sono giunti in ritardo». Otto banche caritative su dieci rilevano la stessa situazione. «In totale, 913.138 persone si sono rivolte almeno per tre giorni al Trussell Trust, contro le 346.992 dello scorso anno». Tra le cause più frequenti, oltre alla riforma del welfare, «l’aumento del costo della vita, i salari troppo bassi e la disoccupazione: i nuovi poveri fanno quindi salire a 4.700.000 il numero delle persone che non riescono ad alimentarsi».Cifre definite «scioccanti, nella Gran Bretagna del ventunesimo secolo» da Chris Mould, direttore dell’organizzazione. Ed è solo la vetta dell’iceberg: questi numeri, aggiunge Mould, non includono «chi si rivolge ad altre organizzazioni in città dove non sono presenti le nostre banche del cibo, e non può tener conto di tutti i soggetti che si vergognano troppo per chiedere il nostro aiuto», senza contare «il largo numero di utenti che provano a far fronte al problema semplicemente mangiando di meno e acquistando cibo scadente». Nel rapporto, l’organizzazione sostiene che l’aumento della richiesta è presente in tutte le organizzazioni. Per Rachel Reeves, ministro-ombra laburista per lavoro e pensioni, «le banche del cibo sono divenute il simbolo vergognoso del fallimento del governo di David Cameron nella lotta all’aumento del costo della vita». Serve «un’azione urgente per azzerare un sistema sbagliato, in cui i ritardi e le cancellazioni nell’assegnazione dei benefit hanno portato a questa situazione».La riforma del welfare britannico lascia sul campo un milione di nuovi poveri. E’ il quadro di un’Inghilterra affamata quello dai Trussel Trust, la piu grande banca del cibo del paese. Secondo l’ultimo rapporto dell’organizzazione benefica, piu di 900.000 persone si sono rivolte a loro nell’ultimo anno, facendo registrare un aumento record nell’utenza, pari al 163%. Una situazione inquietante, causata in gran parte dal taglio dei benefit assistenziali e condannata da 600 leader di religioni diverse, che hanno inviato una lettera al governo chiedendo un’azione immediata per risolvere il problema. Nello stesso tempo una coalizione anti-povertà formata da decine di organizzazioni umanitarie, Trussel Trust compresa, afferma che la Gran Bretagna sta violando la legge sui diritti umani, in particolare il diritto delle persone a poter provvedere al proprio nutrimento.
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Il Guardian: l’euro è fallito, l’Europa lo ammetta o è la fine
Umore nero alla vigilia delle europee: il quantitative easing della Fed ha dato respiro all’Eurozona, i cui debiti però sono superiori alla velocità di crescita. Così l’austerity ha messo in croce l’economia e la Bce non ha fatto nulla per compensare le perdite, sostiene il “Guardian”. «La disoccupazione è alta e gli elettori sono malati di austerità». Secondo il giornale inglese, sarebbe un errore aspettari miracoli dal voto per Strasburgo: «I partiti mainstream con il loro pensiero dominante saranno ancora in carica e la vita andrà avanti come prima». Come risultato, «l’Europa si condannerà a un periodo anche più lungo di stagnazione economica, disoccupazione di massa e austerità», al punto che «fiorirà l’estremismo». Un’alternativa a questo scenario deprimente? «Ammettere che adottare l’euro come un modo per promuovere la causa di un’unione sempre più stretta è stato un errore di proporzioni storiche», scrive Larry Elliot.L’euro, scrive Elliot in un servizio ripreso da “Voci dall’Estero”, potrebbe essere radicalmente riformato secondo le linee proposte da Charles Grant, direttore del “Centre for European Reform”: questo permetterebbe di ristrutturare i debiti sovrani, ridurre velocemente l’austerità e riconvertire l’economia tedesca per renderla meno concentrata sull’export. L’alternativa radicale è invece quella di «rompere il vincolo della moneta unica, restituire il potere alle singole nazioni o gruppi di Stati con economie convergenti, e ricominciare». Questo, secondo il “Guardian”, «non accadrà, almeno non ancora», visto che l’euro è il simbolo dell’eurocrazia a guida tedesca. Secondo l’economista Roger Bootle, «l’euro è stato un disastro economico, imposto all’Europa per ragioni politiche». Anziché unire l’Europa, la sta frantumando in modo pericoloso. Già negli anni ‘90 si sapeva che l’euro «avrebbe potuto rivelarsi una macchina che distrugge il lavoro», dato che tutti quei paesi «non erano pronti per un’unica politica monetaria».Dice Elliot: «Sembrava lampante che, in assenza di mobilità del lavoro e redistribuzioni su larga scala, i paesi, privati del potere di condurre la propria politica monetaria, avrebbero dovuto ricorrere all’austerità se fossero diventati non più competitivi». Tutto questo, ovviamente, è rimasto inascoltato. «Si prevedeva molto fiduciosamente che l’euro avrebbe reso l’Europa più prospera e così facendo avrebbe creato le condizioni per un’unione sempre più stretta. La realtà è stata una crescita lenta, alti tassi di disoccupazione, riforme strutturali pasticciate, deriva e crescente malcontento. I problemi sono sorti non solo nella periferia, ma anche al centro, dove dalla creazione della moneta unica la situazione è decisamente peggiorata». Quel che è successo è che l’euro ha significato «un tasso di interesse unico e un tasso di cambio unico: il tasso di interesse era troppo basso per alcuni paesi come l’Irlanda e la Spagna, che erano in rapida crescita, ed era troppo alto per paesi come la Germania e la Francia, che crescevano meno rapidamente».Prima della creazione dell’euro, i paesi della periferia economica avrebbero lasciato deprezzare le loro monete per restare competitivi rispetto alla Germania. «Per un decennio, i lavoratori tedeschi hanno avuto aumenti salariali al di sotto del livello di inflazione per vendere le loro merci a prezzi bassi nei mercati europei». Un grande successo, ma fino a un certo punto, aggiunge Elliot: «Il surplus commerciale della Germania è aumentato, ma il rovescio della medaglia è che i deficit commerciali in paesi come la Spagna, la Grecia e l’Italia sono peggiorati». Prima della crisi, il sistema reggeva perché la Germania esportava capitali verso i paesi della periferia. Con la crisi, Berlino ha cominciato a raccontare che, se i paesi del Sud Europa erano in difficoltà, era perché avevano “vissuto oltre le proprie possibilità”. «Un po’ eccessivo, dato che la Germania era stata complice nel permettere loro di farlo», pur di vendere il made in Germany.La Merkel ha detto che avrebbe aiutato i paesi in difficoltà, ma solo alle sue condizioni: tutti i partner europei dovrebbero «replicare la Germania, comprimendo la domanda interna e promuovendo le esportazioni». Questo è chiaramente un’impossibilità logica, obietta Elliot, perché il surplus di un paese è il deficit di un altro paese. Così, non potendo più restare competitivi attraverso la svalutazione, gli altri paesi «hanno dovuto farlo tramite l’austerità, tagliando i salari e la spesa pubblica in modo aggressivo». Con una sola eccezione: il mondo finanziario. «Su insistenza della Germania, per le banche non c’è stata nessuna austerità». Conclude Elliot: «I leader europei considerano l’euro “troppo grande per fallire”? Si sbagliano: è già fallito». Semplice: «E’ fallito perché non riesce a dare la prosperità economica promessa e non riesce a portare l’Europa a unirsi politicamente. L’euro è come il gold standard, ma peggio, è per questo che sarebbe un errore di proporzioni storiche ignorare le elezioni di questa settimana. Sappiamo come finisce questo film». L’ultima grande crisi europea – non c’è bisogno di dirlo – portò al potere un certo caporale Hitler.Umore nero alla vigilia delle europee: il quantitative easing della Fed ha dato respiro all’Eurozona, i cui debiti però sono superiori alla velocità di crescita. Così l’austerity ha messo in croce l’economia e la Bce non ha fatto nulla per compensare le perdite, sostiene il “Guardian”. «La disoccupazione è alta e gli elettori sono malati di austerità». Secondo il giornale inglese, sarebbe un errore aspettari miracoli dal voto per Strasburgo: «I partiti mainstream con il loro pensiero dominante saranno ancora in carica e la vita andrà avanti come prima». Come risultato, «l’Europa si condannerà a un periodo anche più lungo di stagnazione economica, disoccupazione di massa e austerità», al punto che «fiorirà l’estremismo». Un’alternativa a questo scenario deprimente? «Ammettere che adottare l’euro come un modo per promuovere la causa di un’unione sempre più stretta è stato un errore di proporzioni storiche», scrive Larry Elliott.
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Cesaratto: l’euro uccide la democrazia, ditelo alla sinistra
Il nostro è un paese dall’identità storicamente fragile. Sfiducia nello Stato nazionale o sfiducia nella saldezza democratica del popolo hanno fatto in modo che sia a destra che a sinistra si guardasse all’Europa per rafforzare la nostra debole costituzione. Un pizzico di utopia spinelliana ha fatto il resto. Quest’ultima di per sé non guasta, se non fosse andata (in particolare a sinistra) troppo oltre, dimenticando che l’Europa è un consesso di Stati nazionali che fanno ciascuno il proprio interesse. L’utopismo ha inoltre offuscato il segno reazionario che ha preso la costruzione europea, soprattutto col progetto della moneta unica. Come l’antico gold standard, la moneta unica è uno strumento disciplinante. C’è chi ha detto che precisamente attraverso questa crisi, frutto dell’euro, la moneta unica sta realizzando i suoi obiettivi: un ritorno a un capitalismo ottocentesco, quello del gold standard appunto. La sinistra ha assistito imbelle e genuflessa agli ideali europeisti, allo svuotamento dei poteri dello Stato nazionale.Quest’ultimo è il playing field naturale della democrazia, del conflitto democratico su come creare e distribuire le risorse. Una volta svuotato dei sui poteri, trasferiti a livello sovra-nazionale, con lo Stato nazionale scompare la democrazia. Fior di economisti hanno sostenuto l’incompatibilità fra moneta unica e democrazia! Il Parlamento Europeo non può sostituire le democrazie nazionali perché troppo cacofonico. Lì finiscono per prevalere gli interessi nazionali, mentre le classi lavoratrici nazionali non hanno più un terreno rivendicativo su cui esprimersi. A me pare, contrariamente alle accuse mosse dagli utopisti delle liste di sinistra, che Stati sovrani siano il presupposto di democrazia e cooperazione internazionale, mentre sia l’europeismo superficiale a fomentare il nazionalismo: dio ci scampi dagli utopisti!L’Europa dovrebbe invertire il segno delle politiche di bilancio con un forte sostegno della Bce nel controllo dei tassi di interesse e nell’agevolare forme di ristrutturazione del debito (vi sono varie proposte in merito). Il dramma è che la Germania non è interessata a quest’Europa. Essa ha un modello mercantilista (export-led) basato su un forte ordine sociale interno accompagnato dalla moderazione salariale e fiscale che non intende mettere in forse (e ciò è comprensibile). Quindi è un bel pasticcio. Parlare di Europe federali vuol dire vaneggiare. Una forte affermazione delle forze anti-euro è dunque benvenuta, se smuoverà le acque, anche se sia chiaro che in nessun senso personalmente appoggio compagini xenofobe o di destra con cui, a differenza di qualche collega (o presunto tale), non intendo avere rapporti.La sinistra avrebbe dovuto riprendere la bandiera della nostra libertà nazionale in un senso democratico e positivo, ma ne ha paura. Questo è un dramma. Una rottura consensuale dell’euro sarebbe benvenuta, ma è un processo assai complicato, forse troppo. Ma certo, se l’Europa ci prova a chiederci di applicare il Fiscal Compact, allora la rottura se la saranno cercata. Ricordiamo poi che tutto il dramma europeo cade in un quadro mondiale a sua volta assai complesso: dal pericolo di una “stagnazione secolare” del capitalismo – anche alla luce delle crescenti disuguaglianze che mortificano la domanda aggregata oltre che le coscienze – alla sfida epocale dei paesi emergenti fatta del combinato disposto di bassi salari e crescente tecnologia. Una vera unione politica, che implicherebbe uguali diritti sociali, non è e non sarà nel futuro prevedibile all’ordine del giorno. Dimentichiamoci queste stupide utopie.(Sergio Cesaratto, dichiarazioni rilasciate a “ForexInfo” per l’intervista “L’Europa che non c’è”, ripresa da “Megachip” il 6 maggio 2014. Eminente economista, esperto di politica fiscale europea, il professor Cesaratto è docente all’università di Siena e curatore del blog “Politica Economia”).Il nostro è un paese dall’identità storicamente fragile. Sfiducia nello Stato nazionale o sfiducia nella saldezza democratica del popolo hanno fatto in modo che sia a destra che a sinistra si guardasse all’Europa per rafforzare la nostra debole costituzione. Un pizzico di utopia spinelliana ha fatto il resto. Quest’ultima di per sé non guasta, se non fosse andata (in particolare a sinistra) troppo oltre, dimenticando che l’Europa è un consesso di Stati nazionali che fanno ciascuno il proprio interesse. L’utopismo ha inoltre offuscato il segno reazionario che ha preso la costruzione europea, soprattutto col progetto della moneta unica. Come l’antico gold standard, la moneta unica è uno strumento disciplinante. C’è chi ha detto che precisamente attraverso questa crisi, frutto dell’euro, la moneta unica sta realizzando i suoi obiettivi: un ritorno a un capitalismo ottocentesco, quello del gold standard appunto. La sinistra ha assistito imbelle e genuflessa agli ideali europeisti, allo svuotamento dei poteri dello Stato nazionale.
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Investire in Italia? Sì, quando l’euro ci avrà rasi al suolo
«Nell’epoca dell’avidità e delle guerre per massimizzare i profitti delle SpA nessun politico calato dall’alto avrà il coraggio di spegnere l’interruttore dell’immoralità», e ovviamente «nessun partito pensa di riformare il processo decisionale della politica – riforma dei partiti, elezioni primarie per legge, democrazia diretta», sostiene Peppe Carpentieri. «Una delle più grandi menzogne spacciate dai media e dai politici nostrani è che l’Eurozona avrebbe promesso un miglioramento del benessere collettivo». I mantra della “religione” liberista? Crescita e competitività, a parole. Nei fatti, invece, il cambio fisso dell’Eurozona, il patto di stabilità e crescita nonché il Fiscal Compact «sono tutti strumenti che hanno sostenuto il processo di recessione avviato prima con lo Sme, poi nel 1981 con la separazione fra Tesoro e Banca d’Italia, e accelerato con la deregolamentazione bancaria e finanziaria, fino ad esplodere nel 2008 con la crisi dei mutui subprime che ha raggiunto l’Eurozona».Gli Stati che aderiscono all’euro, e quindi abdicano alla sovranità monetaria – cioè rinunciano ad una propria politica monetaria – e decidono di farsi condizionare dallo spread e dalle “opinioni” dei mercati finanziari, scrive Carpentieri in un post ripreso da “Megachip”. I mercati finanziari hanno anch’essi la loro “religione”, cioè «l’avidità e la crescita del Pil». E così, «accade che i fondi di investimento internazionali guidati da soggetti privati, favoriti dalla deregolamentazione globale, scelgono di investire i capitali seguendo la crescita del Pil, l’andamento demografico e lo sviluppo urbano dei singoli Stati». Non conviene più investire nel nostro paese? Ovvio: «I vantaggi di investire in Italia non ci sono poiché la globalizzazione sposta gli interessi verso i paesi emergenti». Molto meglio puntare su paesi neppure democratici, senza sindacati né diritti umani, ma con «l’opportunità di sfruttare e usurpare risorse materiali», senza contare i «vantaggi fiscali» e le «opportunità per massimizzare i profitti», utilizzando lavoratori-schiavi. I diritti civili e la cultura democratica? «Rappresentano un ostacolo oggettivo, per i fondi di investimento privati».Consapevoli di questa enorme contraddizione fra avidità e democrazia, il progetto politico dell’Eurozona «rappresenta non solo una minaccia concreta per gli uomini liberi, ma è di fatto un progetto immorale, incostituzionale, che pregiudica la sopravvivenza delle generazioni presenti e future», sottolinea Carpentieri. «Non è tollerabile e tanto meno accettabile che la Repubblica italiana sia cancellata dalla storia per l’apatia dei cittadini stessi, manipolati, ingannati e traditi da dipendenti politici, nella migliore delle ipotesi incapaci e stupidi, nella peggiore traditori della Repubblica». La depressione dell’Eurozona e soprattutto dei paesi periferici dell’Ue ha una radice comune: «Cessione della sovranità monetaria, assenza di una banca pubblica che faccia l’interesse pubblico, sgretolamento dello Stato sociale, un sistema contabile fiscale stupido perché i criteri della crescita impediscono di fare investimenti pubblici, assenza di una politica industriale utile allo sviluppo umano».Tutto questo, ovviamente, non viene mai ammesso dall’establishment e dal suo mainstream: si continua a «blaterare di crescita e sviluppo», cercando solo di «confondere le idee degli elettori». Nella realtà, i mercati finanziari «ignorano le chiacchiere di questi utili idioti». L’Unione Europea «serve ai paesi “centrali” per drenare risorse (tasse), e serve a produrre disperazione, istigazione al suicidio e povertà crescente nei paesi “periferici”». Sicché, «quando i paesi “periferici” avranno raggiunto i livelli di povertà dei paesi emergenti, può darsi che i famigerati mercati finanziari avranno pietà e interesse nell’investire anche in Italia», ma in quel caso «non ci saranno più gli italiani». A quel punto, di fronte alla catastrofe socio-economica, ridiventerà finalmente “conveniente” investire in Italia, quando cioè ci si metterà in fila per un lavoro qualsiasi, con paga “cinese”. E’ una macchina imponente, che funziona a meraviglia. Da dove vengono tutti quei soldi, impiegati contro di noi? Dai paradisi fiscali, che insieme agli strumenti finanziari «rappresentano il modo più efficace di far perdere le tracce e distribuire soldi per corrompere politici e pagare la politica delle multinazionali SpA: guerre e controllo del debito».Per Moisés Naìm, economista e direttore di “Foreign Policy”, già dirigente della Banca Mondiale, il numero dei territori che offrono servizi off-shore continua a crescere. Una piaga inarrestabile: «Non si tratta di catturare questa o quella persona, qui si tratta di un problema di sistema, “sistema mondo” intendo, che sta minacciando l’equilibrio globale». L’alta finanza ha creato paradisi bancari come Euroclear e Clearstream, dove vige il segreto assoluto: «Conti su cui è possibile far comparire e scomparire il denaro occultandone la fonte di provenienza». L’organizzazione “taxjustice.net”, continua Carpentieri, ha creato un indice della segretezza finanziaria, una ricchezza monetaria che sfugge alle regole fiscali nazionali: «Si tratta di un sistema globale che consente di non pagare tasse o pagarne poche grazie alle maglie larghe di leggi deboli e inefficaci». Secondo “Taxjustice”, ci sono da 21 a 32 trilioni di dollari depositati nei paradisi fiscali. In cima alla classifica brilla la Svizzera, seguita da Lussemburgo, Hong Kong, le Cayman, Singapore, gli Usa.Secondo John Christensen, dato che il capitale di privato depositato offshore è pari a 11.500 miliardi di dollari, «se questo capitale generasse un profitto modesto diciamo del 7% e se questo reddito fosse tassato a un’aliquota molto bassa, ad esempio del 30%, i governi del mondo avrebbero ogni anno un surplus di reddito pari a 250 miliardi di dollari, che potrebbero spendere per alleviare la povertà e raggiungere gli obiettivi di sviluppo fissati dalle Nazioni Unite». Sicuramente, aggiunge Carpentieri, in termini di giustizia sociale determinate istituzioni bancarie, grandi imprese e politici dovrrebbero «pagare il danno morale, sociale e ambientale che stanno causando a singole comunità, a singoli Stati e all’umanità intera». La soluzione? «Il ripristino della sovranità monetaria per favorire l’interesse della Repubblica e avviare un percorso di transizione, dall’era industriale verso una comunità fondata sul lavoro dell’equilibrio ecologico e non più sul profitto».«Nell’epoca dell’avidità e delle guerre per massimizzare i profitti delle SpA nessun politico calato dall’alto avrà il coraggio di spegnere l’interruttore dell’immoralità», e ovviamente «nessun partito pensa di riformare il processo decisionale della politica – riforma dei partiti, elezioni primarie per legge, democrazia diretta», sostiene Peppe Carpentieri. «Una delle più grandi menzogne spacciate dai media e dai politici nostrani è che l’Eurozona avrebbe promesso un miglioramento del benessere collettivo». I mantra della “religione” liberista? Crescita e competitività, a parole. Nei fatti, invece, il cambio fisso dell’Eurozona, il patto di stabilità e crescita nonché il Fiscal Compact «sono tutti strumenti che hanno sostenuto il processo di recessione avviato prima con lo Sme, poi nel 1981 con la separazione fra Tesoro e Banca d’Italia, e accelerato con la deregolamentazione bancaria e finanziaria, fino ad esplodere nel 2008 con la crisi dei mutui subprime che ha raggiunto l’Eurozona».
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Il giudice: l’euro condanna a morte l’Italia antifascista
Il trattati europei violano apertamente la Costituzione italiana, vanno in direzione diametralmente opposta: per la nostra Carta, «scritta da persone che avevano fatto la Resistenza e preso atto dell’anti-socialità di un certo capitalismo», la spesa sociale (deficit) è il “mestiere” dello Stato: «L’essenza stessa delle democrazie è la garanzia del benessere a lungo termine, che c’è solo con la piena occupazione della forza lavoro». L’euro e gli eurocrati fanno esattamente il contrario: costringono lo Stato a tagliare la spesa sociale, cioè a tradire la propria missione costituzionale. Lo afferma un magistrato, Luciano Barra Caracciolo, già membro del Consiglio di Stato, impegnato a smascherare l’impostura della governance Ue, affidata a tecnocrati al servizio dell’élite finanziaria. Personaggi che colpevolizzano paesi come l’Italia, che in realtà versa a Bruxelles molto più di quanto non riceva. E’ il gioco sporco dell’oligarchia: «Tanto più si privilegia il capitale nella sua dimensione finanziaria, tanto più si sacrifica il livello di benessere generale e si sposta la ricchezza nelle mani di pochi».Una volta attuate, dichiara Barra Caracciolo ad “Abruzzo Web”, le democrazie costituzionali contemporanee portano a una crescita incrementata programmaticamente da un intervento pubblico «che è, prima di tutto, correttivo dell’assetto di forze che il capitalismo tende a creare». Un assetto «redistributivo verso la parte più debole, e largamente maggioritaria, della comunità sociale». L’effetto di questa correzione statale è che «tutti stanno meglio», perché la priorità indiscutibile è «la soddisfazione dei bisogni collettivi, non certo la stabilità finanziaria intesa come garanzia della intangibilità dei profitti del capitalismo finanziario». La democrazia moderna quindi “aiuta” la maggioranza, non i privilegiati, e questo «non sta bene a chi sta in cima alla piramide», anche perché la crescita del benessere diffuso «comporta una crescita culturale della massa e fa sì che questa abbia maggiore peso politico», contrastando le élite che tendono invece a condizionare i governi dall’alto del loro potere economico. Ed ecco spiegata l’attuale Ue con la sua Eurozona: sbaraccare lo Stato democratico e restituire il potere all’oligarchia, secondo uno schema pre-moderno, neofeudale.Certo, chi è a favore dell’euro spara a zero contro l’Italia, considerata incapace di intercettare al meglio i fondi europei. Errore, interviene il magistrato: i fondi europei sono nel bilancio dell’Ue ma non dell’unione monetaria, «che è stata deliberatamente creata senza un bilancio fiscale federale: i trattati non offrono strumenti compensativi degli squilibri interni all’area euro, e le dimensioni dei cosiddetti fondi Ue sono assolutamente inadeguate al Pil europeo». Ogni altro sistema federale al mondo – Usa, Canada, la stessa Germania – dispone di ben altro budget. Dato il peso economico dell’Europa, secondo l’economista francese Jacques Sapir servirebbe un bilancio federale europeo paragonabile a quello degli Stati Uniti. «Ma di questo bilancio, la Germania dovrebbe sopportare un peso pari a 8-9 punti del proprio prodotto interno lordo: un risultato semplicemente impensabile, e certamente respinto senza equivoci dalla stessa Germania».Dall’Unione Europea (non dall’area euro) si ripete che agli Stati come l’Italia viene semplicemente “restituita”, in parte, una somma che gli Stati hanno già versato. Per effettuare questa contribuzione netta, dati i vincoli di bilancio (drastica limitazione del deficit, fino all’attuale vincolo al pareggio di bilancio), «dobbiamo sostanzialmente rinunciare ai programmi pubblici previsti dalla nostra Costituzione» dice Caracciolo. «L’Unione Europea, in pratica, ne vieta la piena attuazione nei livelli solidaristici da essa previsti, non si scappa. Insomma, diamo dei soldi e ne riceviamo di meno, il meccanismo è questo. Le priorità, poi, vengono pianificate a livello eurocentrico, secondo finalità settoriali, ben diverse da quelle previste dalla nostra Costituzione». Cifre: ogni anno, secondo la Corte dei Conti, sono oltre 6 miliardi in meno che riceviamo rispetto alla nostra contribuzione. Inoltre, per la stabilizzazione della moneta unica – cioè degli squilibri creati dall’euro – solo negli ultimi tre anni abbiamo dovuto pagare, a vario titolo ed emettendo debito pubblico aggiuntivo (che ci viene poi rimproverato come “colpa”, costringendoci a ulteriori dosi di austerità) oltre 53 miliardi, tra cui i 10 miliardi di soccorsi bilaterali concessi a Spagna e Grecia.Ma anche spendendo per sostenere i paesi più deboli, l’Unione Europea non fa la cosa giusta, nel modo giusto: «I fondi accumulati per tenere su i sistemi bancari greci o spagnoli non sono stati usati per incrementare i bilanci di intervento sull’economia reale di quei paesi, ma vengono direttamente dati in pagamento alla Bce», che compra – da Francia e Germania – i titoli di Stato spagnoli e greci Parigi e Berlino avevano acquisito. Oppure, gli “aiuti” vengono immediatamente girati dagli Stati debitori al sistema bancario dei paesi creditori, quello tedesco in primis. In ogni caso, data la sua esiguità, per un vero “salvataggio” non sarebbe sufficiente neppure il fondo del Mes, il meccanismo europeo di stabilità. E così, nel frattempo le tasse aumentano: «Dall’assetto giuridico attuale non possiamo attenderci che una continua progressione della pressione fiscale», dice Barra Caracciolo. Una super-tassazione, «spesso artificiosa e contraria alla Costituzione», realizzata sia attraverso la moltiplicazione del tipo di imposte, sia attraverso «il continuo allargamento normativo delle basi imponibili», che però tendono a contrarsi dato che siamo in recessione.Uno dei drammi italiani è proprio il crollo della domanda interna di consumi, che aggrava il debito perché riduce il gettito fiscale e compromette il futuro: «Se non c’è più domanda interna, non c’è incentivo alcuno a fare nuovi investimenti in Italia. Chi vorrebbe produrre non lo fa perché non ci sono prospettive di vendere il prodotto, e il carico fiscale rende difficile immaginare anche la convenienza dell’esportazione». Per il magistrato, «siamo nel pieno della visione neoclassica dell’economia», quella della destra economica. «Siamo praticamente in stagnazione dal 1992». Già all’epoca del Trattato di Maastricht «era evidente che non si potesse tollerare un vincolo di cambio e di bilancio fiscale del genere e mantenerlo insieme alla crescita». L’euro – moneta rigida e non sovrana – non può che deprimere l’economia, tagliando le gambe all’unico possibile volano risolutivo, l’intervento statale: in una situazione di crisi, senza investimenti pubblici il settore privato crolla.«In un’economia liberista come quella dell’area euro, fondata sulla lotta all’inflazione e sulla limitazione dell’intervento pubblico, si finisce nella trappola della liquidità», spiega Luciano Barra Caracciolo. «Anche se i tassi praticati dalla banca centrale sono vicini allo zero, i soldi rimangono là, fermi. E i risparmi fermi non si trasformano in investimenti». Questo viene regolarmente imputato «alla mancanza di produttività del lavoro, che viene ulteriormente compresso nel salario: ciò che chiamano “riforme strutturali”», dalla riforma Fornero al Jobs Act di Renzi, dopo il pacchetto Treu del primo governo Prodi e poi la legge Biagi. Secondo Giulio Sapelli, siamo sull’orlo di una guerra. In realtà, la competizione tra Stati è già esplosa: avremmo dovuto cooperare, ma è lo stesso Trattato di Maastricht a parlare di “economia sociale di mercato fortemente competitiva”, prefigurando quindi «una competizione tra Stati per la supremazia sul mercato unico».Eccoci qua: «Privi di governo federale e di sovranità monetaria, stretti da vincoli di bilancio che escludono ogni autonoma politica economica e industriale nazionale, gli Stati non hanno più la parte essenziale della sovranità. Ma quella sovranità, sottrattagli ben oltre i limiti previsti dalla Costituzione per consentire di aderire a un’organizzazione internazionale, non è poi esercitata da nessuno, in termini di politiche di interesse generale dei popoli. È come se ci fosse un buco nero in cui la sovranità si disperde». Gli Stati della nuova Europa? «Devono competere tra loro, altre vie non vengono indicate». Secondo Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia, tutto questo non porta sviluppo: si può anche vincere sulle esportazioni, ma nessuno vince se si vuole realizzare questo obbietivo tutti insieme simultaneamente. Risultato: zero crescita comune, proprio grazie alla perduta sovranità “dispersa nel nulla”. L’export in ogni caso non è la soluzione: «Le esportazioni si mandano avanti comprimendo domanda interna e salari: quindi, negli effetti sociali, siamo in guerra», sottolinea Caracciolo. «Chi perde si trova di fronte a perdite epocali e a un impoverimento che diviene irreversibile».Apriamo gli occhi, aggiunge il magistrato: «Non è l’euro ad aver garantito la pace: semmai è uscire dall’euro che porterebbe finalmente a una “pace”, intesa come armonizzazione cooperativa sul piano commerciale e industriale, che oggi non c’è perché è appunto incentivata una guerra commerciale-finanziaria dalla stessa struttura istituzionale della non-politica monetaria accentrata nella Bce». A questa analisi, la propaganda comune – e i mezzi di informazione di massa – replicano nel solito modo, cioè puntando il dito contro i presunti vizi italiani: non abbiamo mai saputo governarci bene, quindi non cresceremmo nemmeno in caso di uscita dall’euro. Il che è falso, puntualizza il giudice: «L’Italia se la cavava benissimo, riuscendo a stare almeno alla pari di Francia e Inghilterra, con una struttura industriale più dinamica». Fino all’irruzione dello Sme, il sistema monetario europeo e quindi il “vincolo esterno” alla spesa pubblica, «la realtà economico-industriale italiana non era affatto quella mostruosità che è stata dipinta ad arte da chi voleva “ridimensionare” l’Italia». Cifre alla mano, Bara Caracciolo smentisce i pro-euro: tra gli anni ‘70 e gli ‘80 l’Italia aveva una bassa spesa pubblica, inferiore di 10 punti alla spesa tedesca.C’era un deficit strutturale, certo, «ma il deficit non è un in sé un elemento negativo per il prodotto interno lordo», visto che corrisponde «all’immissione pubblica di moneta nel sistema», cosa che da noi «ha generato un grande risparmio privato», il primo d’Europa: gli italiani, in altre parole, si sono arricchiti anche grazie all’azione strategica dello Stato, che ha “speso a deficit per i cittadini”, aziende e famiglie, permettendo al sistema-paese di svilupparsi nel modo che abbiamo visto. Il debito pubblico? Altra mistificazione: nel 1981, al momento del divorzio fra Tesoro (Andreatta) e Banca d’Italia (Ciampi), il debito era appena al 58%, sottolinea Barra Caracciolo. Poi è esploso, quando è stato affidato ai titoli di Stato sul mercato finanziario privato, imbrigliando lo Stato prima con lo Sme – tassi di cambio a oscillazione limitata – e infine con l’euro, moneta iper-rigida che ci vincola «a realtà economiche come la Germania, strutturalmente inconciliabili con la nostra». Morale: «Sottraendo deficit e debito dalle mani dello Stato sovrano, si è avuta un’esplosione degli interessi». Non a caso, naturalmente: «Già in quel momento hanno cominciato ad arricchirsi minoranze di privati che sono diventati i sottoscrittori privilegiati di questo debito a interessi superiori al livello dell’inflazione, determinandosi un trasferimento a loro favore dei soldi dei contribuenti».Uno dei refrain del centrosinistra – da Prodi a Renzi – è la necessità di tagliare la spesa pubblica. E’ solo «una scusa», replica Luciano Barra Caracciolo. «In termini assoluti la spesa italiana non è mai stata alta, era sotto controllo: il problema del deficit era in realtà dovuto alla pressione fiscale relativamente bassa rispetto agli altri paesi europei come Francia e Germania», con in più una vasta evasione fiscale. Con Maastricht, si è cercato di “rimediare” aumentando la pressione fiscale su tutte le categorie produttive. Questo, insieme al cambio sfavorevole (l’euro troppo “forte”) e al venir meno del sostegno pubblico (il taglio del deficit) ha provocato «il blocco dello sviluppo industriale», cioè la grande crisi italiana, sottoposta allo choc improvviso della moneta unica, del rigore fiscale e della fine del sostegno pubblico. Il problema dunque non è l’Italia, ma questa Unione Europea. Il famoso malgoverno italiano? «Non era peggiore di altri ordinamenti in competizione, come Francia e Germania», e in ogni caso gli illustri tangentocrati del passato non hanno certo impedito al paese di svilupparsi rapidamente, arricchendo famiglie e aziende. «Capiamoci bene», insietre Caracciolo: «Con le attuali politiche fiscali, e specialmente col pareggio di bilancio, si azzererà il risparmio privato delle famiglie».«È un fatto di contabilità nazionale, non si può non capire un concetto così elementare», continua il magistrato. «Se devo tenere il deficit sotto un certo limite, si deve comprimere la domanda fino a provocare la recessione». Ma attenzione: il deficit non è un problema. Al contrario: «E’ il risparmio del settore privato». Sono soldi che lo Stato spende per cittadini e aziende. Se invece si taglia, e quindi si comprime la domanda interna di beni e servizi, il saldo arriva allo zero. Pareggio di bilancio, appunto. Così, l’onere degli interessi viene trasferito «nelle mani di chi detiene il debito pubblico», cioè «non certo le famiglie, ormai marginalizzate». Peggio ancora: «Col pareggio di bilancio si arriverà addirittura a un risparmio negativo: per fronteggiare la vita e le tasse, i cittadini dovranno vendere i propri beni patrimoniali, intaccando lo stock di risparmio. Questi beni andranno in sovraofferta, e i prezzi caleranno drammaticamente. Guardate i prezzi degli immobili, già in aperta flessione. In vent’anni di Fiscal Compact i valori reali saranno ridotti almeno a un terzo rispetto ai picchi della metà degli anni 2000. Alla fine del processo saremo tutti più poveri».E mentre il Pd continua a chiedere “più Europa”, proponendo il tedesco Martin Schulz alla guida dell’Ue, «si sta deindustrializzando l’Italia: la Germania su tutte vuole controllarla, in quanto sua principale concorrente industriale nell’area euro». Obiettivo: fare del nostro paese «una gigantesca fabbrica-cacciavite, a bassi salari, progressivamente decrescenti». Insiste il giudice: «La Germania non vuole un’Italia viva e vitale, proprio perché è il principale concorrente sul mercato unico. Fingendo di non volerci – come confermano le posizioni di Helmut Kohl durante la trattativa finale per l’introduzione dell’euro – costrinse l’Italia a entrare nella moneta unica, sapendo di poterla neutralizzare definitivamente nella sua competitività grazie al livello di cambio impostoci per sempre». Certo, televisioni e giornali non hanno certo aiutato gli italiani a capire quello che stava accadendo: «Gli editoriali italiani degli ultimi trent’anni sui più importanti quotidiani ci hanno detto enormi bugie, falsificando il senso economico del deficit e della spesa pubblica. Un lavoro ben orchestrato dai padroni finanziari. Colpevolizzando gli italiani e l’Italia spendacciona siamo arrivati alla povertà: dovevamo espiare i peccati e rinunciare a tutti i nostri diritti sociali. In Europa funziona così». Alla Bce è vietato espressamente di sostenere gli Stati e l’occupazione. «Se non cambiamo è la fine: di tutti».I trattati europei violano apertamente la Costituzione italiana, vanno in direzione diametralmente opposta: per la nostra Carta, «scritta da persone che avevano fatto la Resistenza e preso atto dell’anti-socialità di un certo capitalismo», la spesa sociale (deficit) è il “mestiere” dello Stato: «L’essenza stessa delle democrazie è la garanzia del benessere a lungo termine, che c’è solo con la piena occupazione della forza lavoro». L’euro e gli eurocrati fanno esattamente il contrario: costringono lo Stato a tagliare la spesa sociale, cioè a tradire la propria missione costituzionale. Lo afferma un magistrato, Luciano Barra Caracciolo, già membro del Consiglio di Stato, impegnato a smascherare l’impostura della governance Ue, affidata a tecnocrati al servizio dell’élite finanziaria. Personaggi che colpevolizzano paesi come l’Italia, che in realtà versa a Bruxelles molto più di quanto non riceva. E’ il gioco sporco dell’oligarchia: «Tanto più si privilegia il capitale nella sua dimensione finanziaria, tanto più si sacrifica il livello di benessere generale e si sposta la ricchezza nelle mani di pochi».
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Europee, contro il Pd di Renzi l’unico vero “voto utile”
La confusione è grande, perché non esiste un piano-B sufficientemente chiaro: non c’è ancora un possibile governo per l’alternativa, a cominciare dall’economia. Rispetto alle politiche 2013, però, la situazione si è molto chiarita: la crisi sta devastando famiglie e imprese, e la protesta contro Bruxelles ormai dilaga in tutta Europa, da Londra a Parigi. Si improvvisano liste no-euro per cogliere il vento favorevole, mentre sul fronte opposto fioccano scongiuri: ma sono motivati dalla scarsa credibilità attribuita a molte espressioni no-euro, piuttosto che da una reale convinzione nelle virtù della moneta unica, il cui fallimento disastroso è ormai sotto gli occhi di tutti. I critici più coerenti, sulle barricate da anni contro l’anomalo regime monetario di Francoforte, unico al mondo, invitano a non considerare affatto un fallimento quello dell’euro, bensì il perfetto compimento – col massimo profitto possibile – del piano oligarchico di cui l’euro sarebbe il braccio armato: ridurre gli Stati all’impotenza e preparare la loro resa definitiva alle ragioni del più forte, cioè il capitalismo globalizzato che oggi si rifugia nella speculazione finanziaria e nella razzia ai danni dello Stato, non potendo più ricorrere, come prima, al consueto saccheggio del colonialismo industriale a spese del terzo mondo.La situazione geopolitica si va facendo esplosiva, con gli Stati Uniti che accerchiano la Cina nel Pacifico e intanto in Ucraina logorano il più importante alleato dei cinesi, la Russia, con la piena collaborazione di un’Europa-fantasma, domani al guinzaglio anche sul piano commerciale grazie al varo del Trattato Transatlantico, che minaccia di porre fine alla storica sovranità giuridica europea in materia di libero scambio, agricoltura, energia, salute, lavoro, pensioni, sicurezza alimentare. Nell’offerta elettorale italiana, per molti aspetti sconcertante, uno spettro variegato di forze – da destra a sinistra – denuncia perlomeno alcuni aspetti della crisi. Una sola, il Pd, procede invece a rullo compressore verso un regime di devastante pericolosità. Jobs Act e precariato obbligatorio, abolizione del Senato, legge elettorale liberticida: secondo i maggiori giuristi è a rischio la sopravvivenza stessa della democrazia, o di quel che ne rimane, grazie soprattutto al soggetto politico prescelto per tenere l’Italia in stato di sofferenza, sprofondando il paese in una depressione irreversibile. Se una vera soluzione non c’è ancora, milioni di elettori andranno alle urne il 25 maggio con in testa un’idea precisa: la convizione che ogni voto contro il Pd di Renzi sia un voto utile.Fermare il Bugiardo di Firenze, in qualunque modo. Per milioni di elettori, molestati dal debordante presenzialismo televisivo del premier, è la vera missione del voto del 25 maggio. Vale tutto: qualsiasi lista – da Tsipras a Fratelli d’Italia – può servire a sbarrare la strada a quello che la maggioranza relativa degli italiani ormai considera il pericolo numero uno per il paese, il Pd, percepito come il partito di gran lunga più compromesso coi “nemici” storici dell’Italia. Partito che ora, con Renzi, si appresta a sfrerrare il colpo di grazia di fronte al quale Berlusconi e persino Monti avevano esitato. Vecchia, triste regola degli ultimi decenni: il super-potere sceglie la sinistra (intesa come partiti) per colpire a fondo i ceti popolari. Così Prodi, D’Alema e Amato introdussero privatizzazioni, tagli e flessibilità, producendo sofferenze e precariato. Oggi, il partito del super-potere euroatlantico teme l’antagonista Grillo, e gli oppone il giovane Matteo. Obiettivo: fingere di innovare il paese e in realtà smantellare quel che resta dello Stato, a beneficio del grande capitale finanziario che si appresta a banchettare su pensioni e sanità, scuola, servizi vitali, acqua potabile, trasporti.
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Ragazzi, eravamo ricchissimi. E vi hanno rubato tutto
Questo è per voi, il giovane, la giovane, italiani. Vi guardate intorno persi nella nebbia perché milioni di voi già dai 16 anni hanno capito che semplicemente il futuro non c’è. Liceo, università, specializzazione, quello che vi pare, ma la strada finisce in un mini-job part-time verticale, apprendistato gratis, i fortunati 800 euro al mese. Cioè: Albania, Romania, o Tanzania. Ma vi faccio questa domanda: qualcuno di voi si è mai… VOLTATO INDIETRO voltato indietro? Voltatevi indietro un attimo, per favore, ecco, così: cosa si vede? Si vede un paese, l’Italia, le cui donne 70 anni fa non avevano le calze, sedevano su cumuli di macerie e si chiedevano perché le truppe americane non facessero rumore quando camminavano. Povere donne, non conoscevano l’esistenza della scarpe di gomma. Non c’era nulla, l’Italia aveva il Pil del Bangladesh.Poi cosa si vede? Si vede che i vostri nonni, padri e madri HANNO FATTO I COMPITI A CASA hanno fatto i compiti a casa. Dopo 35 anni dai cumuli di macerie, e dai mandarini solo due volte all’anno in tavola, l’Italia diventa la quinta potenza mondiale, il primo paese al mondo per risparmio privato e per ricchezza privata pro-capite. Scese Cristo e moltiplicò i pesci? No, no. Tuo nonno e tuo padre fecero i compiti a casa. E arriviamo al 1994, quando le agenzie di rating ci definivano “Economia leader d’Europa”, quando stracciavamo la Germania sia in produzione che export. Ricchi, ricchissimi. E arrivate voi. I giovani italiani si presentano dal Notaio dopo il 1994 per reclamare LA GIUSTA EREDITA’ la giusta eredità del quinto paese più ricco del mondo, quindi lavoro garantito, stipendi per casa, matrimonio e bei risparmi. No? Il Notaio apre le carte e dice: NON C’E’ PIU’ NULLA, MI DISPIACE Non c’è più nulla, mi dispiace.Nulla? Eh???? DOVE SONO FINITI I SOLDI, IL 5° PIL DEL MONDO, GLI ENORMI RISPARMI, LA 1a RICCHEZZA PRIVATA DEL MONDO, IL LAVORO, CIOE’ TUTTA L’EREDITA’ DEI 70 ANNI DI LAVORO DI TUO NONNO E DI TUO PADRE? Dove sono finiti i soldi, il 5° Pil del mondo, gli enormi risparmi, la 1a ricchezza privata del mondo, il lavoro, cioè tutta l’eredità dei 70 anni di lavoro di tuo nonno e di tuo padre? Ancora giratevi indietro, ragazzi. Cosa si vede? Si vede che i padri fondatori dell’Italia si erano seduti sulle macerie della guerra e avevano scritto la PIU’ AVANZATA COSTITUZIONE la più avanzata Costituzione nell’interesse pubblico del mondo. Anno 1948. Diritti garantiti, Stato sovrano, Parlamento sovrano, Costituzione sovrana. Una legislazione del lavoro che era invidiata da tutto il pianeta. I giovani italiani si presentano oggi dal Notaio per reclamare LA SECONDA GIUSTA EREDITA’ la seconda giusta eredità: si chiama DIRITTI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA GA-RAN-TI-TI diritti della Costituzione italiana ga-ran-ti-ti. Il Notaio apre le carte e dice: NON C’E’ PIU’ NULLA, MI DISPIACE Non c’è più nulla, mi dispiace.Nulla? Eh???? Sì, nulla. Non vi avevano detto che nel 1993 dei tecnocrati europei che nessun italiano ha mai eletto avevano creato il Trattato di Maastricht, poi nel 2007 quello di Lisbona, che hanno esautorato il Parlamento del tutto, hanno tolto all’Italia la sovranità monetaria, e hanno persino soppresso la nostra Costituzione. Risultato: NON AVETE NESSUN DIRITTO CHE L’ITALIA POSSA OGGI DIFENDERE PER VOI Non avete nessun diritto che l’Italia possa oggi difendere per voi. Shock. Ricapitoliamo: Esistevano per voi giovani, DUE EREDITA’ CAPITALI due eredità capitali, costruite per voi dai vostri nonni, padri, madri, e Padri Fondatori, che vi avrebbero garantito il futuro di dignità e prosperità e democrazia. Erano lì fino al 1999! Oggi non ci sono più. MA COME E’ POSSIBILE Ma come è possibile? Come accade che 70 anni di lavoro per voi svaniscano nel nulla negli ultimi 5 minuti?Chi vi ha… RUBATO IL FUTURO E LA VITA STESSA QUANDO VI SPETTAVA DI DIRITTO IN EREDITA’ DOPO 70 DI LAVORO, VITA, LOTTA E MORTE DEI VOSTRI NONNI, GENITORI E PADRI FONDATORI rubato il futuro e la vita stessa quando vi spettava di diritto in eredità dopo 70 anni di lavoro, vita, lotta e morte dei vostri nonni, genitori e padri fondatori? Risposta: Unione Europea dei Tecnocrati non eletti che lavorano per un pugno di speculatori Neofeudali, primi fra tutti i tedeschi, che vogliono divorare l’Italia. Chi vi scrive pubblica da 5 anni le prove su prove su prove di questo crimine contro di voi, perpetrato attraverso la creazione dell’Eurozona coi suoi Trattati di cui sopra.Soluzione: LE DUE EREDITA’ SONO VOSTRE! RIPRENDETELE, IN DUE MODI: le due eredità sono vostre! Riprendetele, in due modi: a) Assediare il Parlamento, che s’inginocchi a chiedere scusa agli italiani, stracci i Trattati Ue della rapina storica contro l’Italia, riporti la sovranità monetaria e costituzionale in Italia; b) Gridare alle forze armate della Repubblica di arrestare Giorgio Napolitano, principale complice della rapina storica in Italia, dissolvere il governo di Renzi servo dei tedeschi distruttori dell’Italia, e che riportino la sovranità monetaria, parlamentare e costituzionale in Italia. Fuori dall’Eurozona. Le forze armate hanno giurato fedeltà alla Costituzione, devono farlo. Poi tornate dal Notaio e reclamate le vostre EREDITA’ eredità, questa volta nel nome dei vostri nonni, padri e madri, che ve l’avevano lasciata. Alzate la testa, ragazzi, la piazza è vostra, ma non per fare casino. Per reclamare CIO’ CHE VI SPETTA IN EREDITA’ ciò che vi spetta in eredità.(Paolo Barnard, “Giovani, se capite questo farete le barricate”, dal blog di Barnard del 3 maggio 2014).Questo è per voi, giovani italiani. Vi guardate intorno persi nella nebbia perché milioni di voi già dai 16 anni hanno capito che semplicemente il futuro non c’è. Liceo, università, specializzazione, quello che vi pare, ma la strada finisce in un mini-job part-time verticale, apprendistato gratis, i fortunati 800 euro al mese. Cioè: Albania, Romania, o Tanzania. Ma vi faccio questa domanda: qualcuno di voi si è mai… voltato indietro? Voltatevi indietro un attimo, per favore, ecco, così: cosa si vede? Si vede un paese, l’Italia, le cui donne 70 anni fa non avevano le calze, sedevano su cumuli di macerie e si chiedevano perché le truppe americane non facessero rumore quando camminavano. Povere donne, non conoscevano l’esistenza della scarpe di gomma. Non c’era nulla, l’Italia aveva il Pil del Bangladesh.
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Vittorio Grilli alla Jp Morgan come Blair, l’amico di Renzi
Le aveva definite “voci infondate e dannose”, quando il giorno prima del varo del governo Monti, il 14 novembre del 2011, era stato ipotizzato un suo passaggio a Jp Morgan. Oggi, a distanza di quasi tre anni, quelle voci che lo volevano vicino a un approdo alla grande banca d’affari americana, una delle più importanti del mondo, trovano conferma a posteriori: l’ex ministro è stato infatti nominato presidente del Corporate & Investment Bank del colosso finanziario statunitense per l’area Europa, Medio Oriente e Africa. Il ceo di Jp Morgan, Jamie Dimon, è il super-potente che ha apertamente dichiarato guerra alle “vecchie” Costituzioni antifasciste, come quella italiana, che pretendono ancora di tutelare i diritti dei lavoratori. Grilli, scrive Walter Galbiati su “Repubblica”, entra nel novero di quei politici che dopo una lunga militanza all’interno dello Stato finiscono a fare i consulenti per le grandi banche d’affari, interessatissime ad allungare le mani sul patrimonio pubblico.Il più celebre “ex”, in questo campo, è il britannico Tony Blair, in forza proprio alla Jp Morgan: di recente, a Londra, Blair ha nuovamente incontrato Matteo Renzi, col quale si era visto, a suo tempo, già a Firenze. Gli ex politici “promossi” nel gotha della finanza planetaria, aggiunge Galbiati, fanno gola alle grandi banche internazionali, «sempre attente a raccogliere i fuoriusciti che possono garantire loro gli appoggi giusti per entrare nel giro degli affari degli Stati. E in Italia – aggiunge il giornalista di “Repubblica” – tra la gestione di 2.000 miliardi di debito pubblico e le nuove privatizzazioni annunciate dal presidente del consiglio Matteo Renzi, non manca certo il lavoro per gli advisor finanziari».All’epoca dei primi contatti con Jp Morgan, Grilli era direttore generale del Tesoro e a luglio 2011 si era parlato di lui come di un possibile successore di Mario Draghi alla guida di Banca d’Italia, grazie all’appoggio di Giulio Tremonti e di Massimo Ponzellini, presidente della Banca Popolare di Milano, finito al centro di un’inchiesta per finanziamenti facili a un giro di “amici”. Superato da Ignazio Visco nella corsa per il vertice di Bankitalia (e smentita la migrazione verso Wall Street), Grilli era stato chiamato da Monti come viceministro dell’economia. Diventerà il titolare del dipartimento, però, solo a luglio del 2012, quando il “premier dello spread” deciderà di lasciare l’interim del Tesoro. Da ministro, ricorda ancora Galbiati, Grilli «era stato al centro di una polemica per l’acquisto di un appartamento a Roma finanziato dal Monte dei Paschi di Siena con un mutuo superiore all’importo del valore della casa».Le aveva definite “voci infondate e dannose”, quando il giorno prima del varo del governo Monti, il 14 novembre del 2011, era stato ipotizzato un suo passaggio a Jp Morgan. Oggi, a distanza di quasi tre anni, quelle voci che lo volevano vicino a un approdo alla grande banca d’affari americana, una delle più importanti del mondo, trovano conferma a posteriori: l’ex ministro è stato infatti nominato presidente del Corporate & Investment Bank del colosso finanziario statunitense per l’area Europa, Medio Oriente e Africa. Il ceo di Jp Morgan, Jamie Dimon, è il super-potente che ha apertamente dichiarato guerra alle “vecchie” Costituzioni antifasciste, come quella italiana, che pretendono ancora di tutelare i diritti dei lavoratori. Grilli, scrive Walter Galbiati su “Repubblica”, entra nel novero di quei politici che dopo una lunga militanza all’interno dello Stato finiscono a fare i consulenti per le grandi banche d’affari, interessatissime ad allungare le mani sul patrimonio pubblico.