Archivio del Tag ‘Peacereporter’
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Ucciso Arrigoni: denunciò le atrocità di Israele a Gaza
Era la spina nel fianco di Israele, la voce di Gaza sotto le bombe al fosforo bianco. Lo hanno ritrovato con gli occhi bendati: non doveva vedere più. Il corpo senza vita di Vittorio Arrigoni, 36 anni, coraggioso reporter indipendente, è stato rinvenuto nella notte fra il 14 e il 15 aprile in un appartamento di Gaza City al termine del blitz organizzato da Hamas per tentare di salvarlo. Sarebbe stato soffocato o strangolato, molto prima dell’ultimatum lanciato dai rapitori, appartenenti – secondo le rivendicazioni ufficiali – a un gruppo salafita islamico ultra-radicale, vicino ad Al Qaeda. L’atroce morte di Arrigoni rappresenta in realtà una svolta per i “falchi” di Tel Aviv: Vittorio era rimasto l’unico, sul campo, a testimoniare le atrocità israeliane contro la popolazione palestinese.
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Terrore a Misurata: ribelli a mani nude contro i tank
Una città allo stremo, assediata e terrorizzata da cecchini, carri armati e cannonate, con migliaia di lavoratori stranieri intrappolati al porto e nessuno che intervenga a salvarli. E’ il dramma di Misurata, terza città della Libia, unico caposaldo dell’ovest del paese ancora in mano ai ribelli: che sono pochi e male armati, spesso solo di bombe molotov, con cui sperano di fermare i tank di Gheddafi già penetrati nei quartieri centrali, al riparo dai raid aerei che non li colpiscono per paura di far strage di civili. E’ il drammatico racconto del fotogiornalista Alfredo Bini, che è riuscito a raggiungere Misurata: «La situazione è drammatica e l’impatto sulla popolazione civile è difficile da descrivere».
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Crimini di guerra, Londra fa sparire il libro della vergogna
Un libro eretico, che va fatto sparire prima che possa provocare “pericolose” conseguenze. “Dead men risen”, narrazione delle gesta delle Guardie Gallesi in combattimento, sottotitolato “La vera storia della guerra britannica in Afghanistan”, è il volume messo all’Indice dal ministero della Difesa di Sua Maestà. E’ stato il generale Peter Wall, capo di Stato maggiore dell’Esercito, a sollevare il problema: acquistate tutte le stampe della prima edizione o ci saranno rischi per la sicurezza nazionale, un enorme imbarazzo politico, conseguenze per le elezioni in Estonia e il possibile ritiro delle truppe baltiche del Paese mediorientale.
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Tank e bombe, made in Italy l’arsenale del Colonnello
Sembra un carro armato, magari russo come i T-72 centrati dai razzi dei caccia francesi. In realtà, tecnicamente, è un semovente: un cannone di grosso calibro, montato su un mezzo cingolato. Si chiama “Palmaria” e fa parte del “made in Italy” che Roma aveva da poco venduto al Colonnello. La foto ha fatto il giro del mondo, coi ragazzi di Bengasi arrampicati sulla canna dell’obice, tra le rovine dell’armata di Gheddafi che assediava il capoluogo della Cirenaica. Artiglieria semovente corazzata, italianissima: fabbricata nei cantieri Oto Melara di La Spezia. Come tanti altri sistemi d’arma coi quali il regime di Tripoli sta ora seminando il terrore in tutta la Libia.
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Scandalo Fukushima: veleni, corruzione e omessi controlli
Dalla catastrofe di Fukushima e dalla coltre di nebbia (radioattiva e mediatica) che avvolge il disastro che ha messo ko il “nucleare sicuro” made in Japan, emerge ora una inquietante storia di veleni, corruzione e omessi controlli. Al centro del caso, il combustibile che alimenta il terzo reattore della centrale: si chiama Mox, acronimo di “mixed oxide fuel” ed è una pericolosa miscela di uranio e plutonio. Vantaggi: consente di riciclare il plutonio dismesso delle testate atomiche, che altrimenti resterebbe in circolazione come spazzatura di difficile smaltimento, e permette di risparmiare sull’uranio. Secondo l’ambientalista americano Ralph Nader, il Mox è «la sostanza più tossica conosciuta dall’uomo». Il suo impiego richiede controlli speciali: che furono evitati pagando mazzette alle autorità.
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Fukushima, verità oscurata: da Tokyo bugie e silenzi
Da Osaka, dove sta aiutando molti italiani a prendere i voli per rimpatriare, Atsushi Shizumi ci scrive: «La centrale nucleare di Fukushima è sempre stata a rischio. In un articolo ho letto che l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica aveva avvertito già l’anno scorso che un maremoto come quello del Cile avrebbe creato difficoltà incalcolabili qui da noi. Ma la Tepco ha continuato a dire che la centrale era sicura. La compagnia non vuole che si parli di Fukushima ma anche di tante altre cose. E la nostra agenzia per la sicurezza nucleare fa parte di un ministero, dove trovano lavoro i burocrati che sono passati per i servizi amministrativi. Non sanno nulla della tecnologia nucleare ed eseguono esami sulla sicurezza senza verificare bene. L’ho capito facendo ricerche e informandomi su internet».
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Guerra giusta: l’eroe serbo che difese Sarajevo dai serbi
Guerra giusta? Termine pericoloso e spesso abusato, da chi brandisce l’uso della forza per soluzioni sbrigative e sanguinose, fino al genocidio. Ma in circostanze storiche eccezionali, dalla Resistenza partigiana contro il nazismo fino alla mattanza dell’ex Jugoslavia, c’è chi non ha trovato altra via d’uscita che imbracciare le armi, per non soccombere. E’ il caso del generale Jovan Divjak, eroe della difesa di Sarajevo. Lo hanno arrestato il 3 marzo a Vienna, per poi rilasciarlo cinque giorni dopo, su cauzione: i serbi non gli perdonano il ruolo assunto durante l’assedio della capitale bosniaca. Dettaglio decisivo: il generale Divjak era serbo, orgogliosamente membro della minoranza serba di Sarajevo.
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Rivolta araba, ora s’infiamma anche il Golfo del petrolio
La Libia brucia e di certezze se ne vedono poche. In Egitto e in Tunisia si cerca di costruire il loro nuovo mondo. Tutto ruota, per ora, attorno all’asse del Nord Africa. Il Golfo Persico è attraversato da correnti non meno impetuose e, rispetto all’Europa e al Nord America, i cambiamenti potrebbero avere un impatto anche maggiore di quanto visto fino a ora. L’Arabia Saudita, per esempio. La monarchia di Riad vive la crisi più profonda della sua storia. La casa reale non ha un candidato al trono. O ne ha troppi, che è poi l’altra faccia della stessa medaglia. Oggi è la “giornata della rabbia”, in Arabia Saudita.
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Svolta in Libia: contro Gheddafi anche l’Arabia Saudita
Se il vento di rivolta arriverà all’Arabia Saudita, dovremo aspettarci «una nuova guerra di invasione»: l’Occidente non può permettersi di perdere il controllo sul primo fornitore mondiale di petrolio. Il fantasma saudita, evocato in modo esplicito nei giorni scorsi da Lucia Annunziata, è ora al centro dell’agenda americana della crisi in Libia: «Quando il gioco si fa duro, una telefonata a Riad torna sempre buona». Questa almeno la tesi di Robert Fisk, l’inviato del quotidiano britannico “The Independent”, uno dei massimi conoscitori del grande gioco mediorientale. E’ proprio dall’Arabia Saudita che la Casa Bianca attende il via libera per la spallata finale a Gheddafi.
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Gli Usa: stiamo perdendo il controllo sull’informazione
«C’è una guerra dell’informazione, e noi la stiamo perdendo». A lanciare l’allarme è Hillary Clinton, di fronte alla commissione esteri del Senato americano: la Clinton invoca nuovi finanziamenti, per «tornare a giocare la partita». I media statunitensi, accusa il Segretario di Stato, stanno perdendo terreno: a vantaggio innanzitutto di Al-Jazeera, la “Cnn araba” del Qatar, ma non solo. «I cinesi hanno aperto un network televisivo multi-lingue globale, i russi hanno creato un network in inglese: l’ho visto in diversi Paesi ed è stato molto istruttivo». “Russia Today”, canale televisivo russo citato dalla Clinton, su YouTube conta 300 milioni di visite, mentre la Cnn solo tre.
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Cina-Colombia, un treno archivia il Canale di Panama
Ancora la ferrovia, ancora il Sud America. La strategia di espansione economica della Cina “win-win” – che promette cioè benefici a tutti i contraenti – guarda ancora al continente latinoamericano, ma questa volta il progetto appare incredibilmente ambizioso: mettere in pensione il canale di Panama. Secondo quanto riporta il “Financial Times”, Cina e Colombia starebbero infatti costuendo una ferrovia lunga 220 chilometri dalla costa del Pacifico a quella atlantica del Paese sudamericano. Già soprannominata “canale secco”, la linea permetterebbe alle merci cinesi di arrivare sul continente per essere trasportate in una città di nuova edificazione vicino a Cartagena; qui, sarebbero riassemblate e distribuite in tutta l’America Latina. In cambio, le materie prime di cui il Dragone è ingordo, farebbero il percorso inverso.
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Massacro in Libia, Gheddafi fa sparare sulla protesta
Cresce di ora in ora la tensione in Libia: almeno quattro persone sono rimaste uccise negli scontri scoppiati tra forze dell’ordine e manifestanti nella città orientale di Al-Bayda, nelle prime ore della cruciale “giornata della collera” proclamata dalle opposizioni il 17 febbraio per contrastare il regime di Gheddafi. Le notizie fluiscono frammentarie, attraverso siti di opposizione e Ong libiche. Gli scontri di Al-Bayda fanno seguito alla protesta di Bengasi, ferocemente repressa nella notte tra il 15 e il 16 febbraio. Il Colonnello teme che anche la Libia possa sollevarsi contro il regime: per questo, secondo i servizi segreti italiani, ha agevolato l’esodo verso Lampedusa attraverso la Tunisia facilitando l’espatrio di oppositori.