Archivio del Tag ‘Peacereporter’
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Armamenti e maxi-debiti: Spagna in crisi, tagli alla difesa
«Non avremmo dovuto acquistare sistemi d’arma che non utilizzeremo, per scenari di guerra che non esistono e, ciò che è più grave, con soldi che non avevamo allora e non abbiamo ora». Costantino Mendez, segretario spagnolo alla Difesa, denuncia così il collasso finanziario creato dalla corsa al riarmo: in Spagna la crisi colpisce anche un settore che non conosce crisi, e i militari si trovano costretti a tirare la cinghia. Quattro legislature – in percentuale dell’85% sotto il governo del Pp – hanno prodotto un debito di 26 miliardi di euro, che la Difesa deve saldare entro il 2025. Armamenti avanzatissimi, per teatri bellici assolutamente improbabili, come la “minaccia” di Iran e Corea del Nord.
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Noi, vittime quotidiane della Guerra dell’11 Settembre
Giulietto Chiesa la chiamò “la guerra infinita”, titolando un bestseller italiano all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle. Dieci anni dopo, un giornalista del “Guardian”, Jason Burke, la ribattezza in modo analogo e ancora più esplicito: la Guerra dell’11 Settembre. Cominciata a Manhattan e proseguita nel resto del mondo: sia in teatri finiti sotto i riflettori dei media, come l’Iraq e l’Afghanistan e ora la Libia, sia in latitudini meno frequentate dai reporter e delle loro narrazioni “embedded”, dai deserti del Sudan alle montagne del Tagikistan, dal mare delle Seychelles alle foreste indonesiane. Il conto delle vittime è spaventoso, ma rivela l’identità degli sconfitti: tutti noi, regolarmente all’oscuro dei piani.
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Privatizzare la Libia, ecco il piano Usa affidato a Jibril
A governare la Libia del post-Gheddafi sarà Mahmoud Jibril, il distinto signore nuovamente ricevuto a Parigi da Sarkozy, dopo una tappa in Italia per incontrare Berlusconi. Questo anonimo tecnocrate sessantenne, finora sconosciuto alle cronache, è stato per anni l’uomo-chiave di Washington e Londra all’interno del regime del Colonnello, scrive “PeaceReporter” mentre le forze Nato e i “ribelli” espugnano l’ultimo bunker del “raiss” nella capitale. In qualità di direttore del Nedb, l’Ufficio nazionale per lo sviluppo economico di Tripoli, Jibril lavorava per facilitare la penetrazione economica e politica angloamericana in Libia promuovendo un radicale processo di privatizzazione e liberalizzazione dell’economia nazionale.
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Italia in fallimento: via Berlusconi e patrimoniale subito
L’Italia a pezzi, la stessa Italia ad personam che vuole a tutti i costi un ecomostro finanziario come la Torino-Lione senza riuscire a spiegarne l’utilità, è ormai sull’orlo del baratro: col terzo debito pubblico del mondo, crescita zero e tassi di interesse alle stelle, non è un’esagerazione dire che siamo già tecnicamente in default: «Non siamo in grado di sostenere questo debito, a meno che non ci sia un intervento immediato: cade il governo, va su un esecutivo tecnico e fa una patrimoniale al volo», coinvolgendo anche i più ricchi – con un maggior prelievo fiscale – nel sostegno della spesa pubblica.
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Addio guerra, ora Parigi tratta sul petrolio con Gheddafi
«E’ stato ampiamente dimostrato che non c’è alcuna possibilità con il ricorso alla forza. Abbiamo sollecitato le due parti a parlarsi, secondo noi è giunto il momento di sedersi attorno a un tavolo». La notizia è che queste parole non le ha pronunciate il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon o un alto rappresentante di una di quelle potenze che la guerra in Libia l’hanno subita più che voluta, come Russia e Cina. Le ha dette Gérard Longuet, il ministro della Difesa francese, rappresentante di quel governo che i bombardamenti li volle a tutti i costi, dello stesso Paese che fu il primo a inviare i suoi bombardieri.
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Preso Mladic, il macellaio: ultimo atto di un’atroce farsa
“Le ragazze bosniache puzzano”. Slogan razzista: serbo? No: olandese. Campeggia sulle pareti della caserma di Potocari, alle porte di Srebrenica, dove i caschi blu europei l’11 luglio 1995 restarono spettatori della feroce pulizia etnica condotta dal macellaio serbo Ratko Mladić, l’uomo finalmente arrestato dalla polizia di Belgrado quindici anni dopo, il 26 maggio 2011, per permettere alla Serbia di entrare nell’Unione Europea. Stratega dell’assedio di Sarajevo, Mladić sarà incarcerato all’Aja insieme al suo leader, Radovan Karadzić, nelle celle dove morì il loro capo supremo, Slobodan Milosević, portando con sé tutti i segreti della sua “guerra sporca”. L’altro macellaio, Zeliko Raznatović, detto Arkan, era già stato assassinato a Belgrado. E se per molti serbi lo stesso Mladić è stato un eroe, a lungo protetto dalle autorità locali, a evitare di dargli la caccia sono stati soprattutto gli Usa.
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Sdoganare Al Qaeda: Obama-Osama, convergenza postuma
Obama e Osama d’accordo nel sostenere le rivoluzioni arabe. Il discorso pronunciato dal presidente degli Stati Uniti e il messaggio postumo di Bin Laden, diffuso poche ore prima dalla solita agenzia privata d’intelligence legata al governo Usa (il Site), contengono lo stesso elogio della “primavera araba”. A parte i riferimenti di circostanza ai tradizionali nemici di al Qaeda (gli ebrei e l’Occidente), le parole del defunto sceicco del terrore potrebbero benissimo essere sottoscritte dal presidente Usa. Come si spiega questa inattesa convergenza politica?
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Usa, guerra totale permanente: poteri speciali a Obama?
Chi si illudeva che con l’uccisione di Bin Laden gli Stati Uniti avrebbero proclamato la fine della ‘guerra al terrorismo’ contro al Qaeda dichiarata dopo l’11 settembre 2001, si sbagliava. Al contrario, l’America sta valutando di ampliare i limiti geografici, politici e temporali del conflitto, trasformandolo in una guerra globale permanente. In questi giorni la commissione Difesa del Congresso Usa – dallo scorso novembre a maggioranza repubblicana – sta esaminando il testo di una nuova dichiarazione di guerra (dal “National Defense Authorization Bill” per l’anno 2012, sezione 1034, pagina 20) che ‘aggiorna’ quella approvata il 18 settembre 2001.
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Bin Laden: niente foto, mistero anche sull’ultimo atto
«Ma cosa aspettano a mostrare le foto?», si domanda Federico Rampini su “Repubblica”, perplesso per l’incredibile black out di informazioni seguito all’annuncio trionfale dell’uccisione di Osama Bin Laden. «L’attesa delle foto sta diventando snervante», scrive Rampini: comprensibile la prudenza e il vaglio dell’intelligence, ma «più aspettano, più le “teorie” hanno tempo di attecchire e proliferare: dopotutto, a 66 anni di distanza c’è ancora chi pensa che Hitler non morì in quel bunker di Berlino». E che dire della “notizia” della sepoltura in mare della salma? «Se venisse confermato sarebbe assurdo, perché così sparirebbe la prova della sua morte», dice il decano dei giornalisti pachistani, Rahimullah Yusufzay.
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Chi era davvero il Frankenstein creato e allevato dalla Cia
Figlio di un magnate delle costruzioni di origine yemenita (Mohammed Awad Bin Laden) e di una donna di origine siriana, Osama nasce il 10 marzo 1957 a Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita. All’età di 13 anni perde il padre. A 17 si sposa con la prima delle tre mogli, una ragazza siriana, sua parente. Il matrimonio a una così giovane età fa parte – per il suo carattere di protezione dalla corruzione e dall’immoralità – della rigida educazione religiosa che gli viene impartita. Compie tutti i suoi studi nelle scuole della città di Gedda, fino a conseguire la laurea in Management ed Economia all’università Re Abdul Aziz.
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Ultimo saluto a Vittorio: «E’ morto in croce, come Cristo»
E’ morto sulla croce come il Cristo, per la resurrezione di un popolo martoriato, affinché questo popolo potesse avere giustizia e pace. Le parole dell’arcivescovo emerito di Gerusalemme, Hilarion Capucci, hanno risuonato ieri nella palestra del centro sportivo di Bulciago, gremita di amici per dare l’ultimo saluto a Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza il 15 aprile da estremisti islamici. Sono arrivati in centinaia dall’Italia e dall’estero tra amici, conoscenti, autorità e persone comuni, per partecipare alle esequie. Avvolti nelle kefiah, con foto del pacifista stampate su fogli di carta, insieme a poesie e pensieri improvvisati, in centinaia hanno riempito il palazzetto dello sport, mentre altre centinaia attendevano fuori.
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Strage in Siria, Assad nel panico fa sparare sulla protesta
Anche la Siria è in fiamme: almeno 100 morti sono il tragico bilancio della protesta del “venerdì santo”, soffocata dalla feroce repressione scatenata il 22 aprile che ha suscitato le proteste di Usa e Onu. Libertà e democrazia, elezioni, via la censura e la legge marziale che schiaccia il paese da decenni. Risposte: prima promesse vane e ora pallottole, con l’esercito in campo a sparare sulla folla inferocita, nel paese-chiave del Medio Oriente, in bilico fra Turchia e Iran e in attrito permanente con Israele. Il presidente Bashar Assad non sa rispondere alla protesta con validi argomenti e ricorre alla violenza più brutale, prenotando probabilmente il suo suicidio politico, in un autentico bagno di sangue.