Archivio del Tag ‘Pdl’
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Foa: bruciare Bersani e poi Grillo, è il piano del Quirinale
Andate a riascoltarvi il discorso con cui Napolitano affidò l’incarico a Bersani, c’era scritto tutto: il presidente voleva continuità rispetto al governo Monti ovvero voleva un governo di intesa tra destra e sinistra con un premier accettabile da tutti, dunque sopra le parti. Bersani era morto in partenza come avevano capito tutti tranne lui, che ha commesso lo stesso errore di Monti: per vanagloria personale ha perso due volte. Non ha ottenuto l’incarico e ora, come Monti, non conta più niente. Il suo flop, infatti, è funzionale al disegno di Napolitano: essendo un leader bruciato – e non avendo nulla da recriminare – può accettare gli appelli al senso di responsabilità del Quirinale. Il Pd può accettare, sapendo che comunque alle prossime elezioni Bersani non sarà leader e dunque il nuovo capo (Renzi?) potrà presentarsi agli elettori “pulito”, lui che non è nemmno in Parlamento.
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Travaglio: Grasso evitò di indagare Schifani, difeso dal Pd
«I 5 Stelle che han votato Grasso contro Schifani sapevano bene chi è Schifani e hanno scelto il meno peggio, cioè Grasso, ma non avevano la più pallida idea di chi è Grasso». E questo è un bel problema, dice Marco Travaglio, specie per chi dice di informarsi sul web per sfuggire alla propaganda di regime: «Se l’avessero fatto davvero, avrebbero scoperto che il dualismo Schifani-Grasso era finto». Schifani è sempre piaciuto al Pd, che infatti cinque anni fa «non gli candidò nessuno contro, votò scheda bianca e mandò la Finocchiaro a baciarlo sulla guancia». Quando poi lo stesso Travaglio raccontò in televisione «chi è Schifani», i primi ad attaccarlo furono Finocchiaro, Violante, Gentiloni, il direttore di “Rai3” Ruffini e “Repubblica”. «Schifani era il pontiere dell’inciucio Pdl-Pd. Così come Grasso che, per evitare attacchi politici, s’è sempre tenuto a debita distanza dalle indagini più scomode su mafia e politica, mentre altri pm pagavano e pagano prezzi indicibili per le loro indagini».
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Grazie a Grillo, Grasso e la Boldrini guidano il Parlamento
«Senza Grillo, ci saremmo sorbiti Franceschini e la Finocchiaro». Lapidario, Enrico Mentana, nel commentare su Twitter l’esito delle nuove presidenze istituzionali: Laura Boldrini alla Camera e Pietro Grasso al Senato. «Fuori dal mondo», per il direttore del telegiornale de La7, la scelta del Pdl di insistere su Schifani: «Se il Pd avesse scelto Topolino chi gli avrebbe contrapposto, il Pdl: Gambadilegno?». La seconda carica dello Stato è oggi l’ex procuratore nazionale antimafia, mentre al posto di Gianfranco Fini siede l’ex direttrice dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, eletta con Sel. «Chi fra Grasso e Schifani ha votato scheda bianca se ne ricorderà con imbarazzo», commenta Gad Lerner, secondo cui «il cambiamento è possibile». Peccato che, per vedere alla guida del Parlamento nomi come Grasso e la Boldrini, sia stato necessario lo “tsunami” grillino: la valanga di quelli che, fino al giorno prima del voto, per i partiti maggiori e i grandi media erano solo i teppistelli dell’antipolitica.
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Massacro a orologeria, per noi euro-prigionieri della Troika
Tutto il mondo politico italiano rappresentato nel nuovo Parlamento, compreso il “Movimento 5 Stelle”, vive in una nuvola lontana anni luce dalle drammatiche scadenze della crisi economica e dai vincoli europei. Pare che tutte le principali forze abbiano dimenticato le politiche di austerità che ci hanno portato ai confini della catastrofe sociale in cui già è sprofondata la Grecia e in cui stanno scivolando Portogallo e Spagna, in un terribile contagio destinato ad estendersi. Così si ignora che il prossimo governo, ammesso che se ne faccia uno, ha già i compiti e le decisioni assegnate dagli impegni assunti dal governo Monti e approvati quasi alla unanimità dal precedente Parlamento. Questi impegni sono stati furbescamente ignorati in una campagna elettorale concentrata sul ruolo dei partiti. La crisi economica è diventata così quasi una derivata della crisi di questi ultimi. Troppo facile, purtroppo.
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Far fuori Berlusconi solo per annullare Grillo: ecco come
Prove di “golpe”: eliminare Berlusconi per poi “sgonfiare” Grillo, con un governo tecnico ancora agli ordini di Bruxelles, sostenuto anche da una ventina di senatori del Pdl, pronti a tradire il Cavaliere se fosse costretto all’esilio dalla nuova offensiva giudiziaria in corso. E’ la tesi che Marcello Foa sostiene dalle pagine del “Giornale”, mentre Berlusconi – ricoverato in ospedale – deve sottoporsi a una visita fiscale che lo conferma malato, ma non gli vale il “legittimo impedimento”. Un ragionamento che «ricade negli interessi del centrodestra e propone un’idea sbagliata del funzionamento della magistratura», osserva “Megachip”, che invita però a prendere in considerazione Foa, «un giornalista capace di uscire dagli schemi, rintracciare notizie vere e proporre intuizioni interessanti». Il grave stallo post-elettorale potrebbe indebolire il Pdl favorendo una cooptazione di una parte dei suoi parlamentari? Scenario plausibile, tenuto conto delle caratteristiche dei principali dirigenti del Pd, «non nuovi anch’essi a confezionare nuove maggioranze con parlamentari in migrazione».
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Revelli: partiti al tramonto, è finita la politica del ‘900
I tedeschi, che la filosofia della storia l’hanno inventata, le chiamano “epoche assiali”: un tempo in cui il mondo ruota sul suo asse, e ogni cosa si rovescia. «E noi ci siamo dentro fino al collo: basta dare un’occhiata a Roma, mai come oggi caput mundi nel simbolismo del vuoto che ostenta», dice Marco Revelli. «Vuoto tutto. Vuoto il Sacro Soglio, con un papa arreso al disordine spirituale del mondo e al disordine morale della curia romana. Vuoto il Parlamento, capace forse di rappresentare il mosaico infranto della nostra società ma impossibilitato comunque a produrre uno straccio di sintesi. Vuoto, tra poco, il Colle dove è vissuto l’ultimo Sovrano tentato di governare lo stato d’eccezione permanente in cui siamo caduti. Vuota persino la poltrona del capo della polizia».
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Vera sovranità democratica: la lunga marcia che ci attende
Un valido difensore della valle di Susa aggredita dalla Torino-Lione, colossale spreco di denaro pubblico, ben peggio del mitico Ponte sullo Stretto. E un nemico giurato della “casta”, quella che vive – anche – di finanziamento pubblico a quei partiti che non hanno voluto cambiare la legge elettorale tenendosi l’orrido “Porcellum”, per poter comodamente imbottire il Parlamento di “nominati” di stretta fiducia, inclusi indagati e pregiudicati. Questo in sostanza il profilo politico iniziale del “Movimento 5 Stelle”, che si è via via evoluto – durante la campagna elettorale, di piazza in piazza – per voce del leader, sempre più incline a puntare sul “reddito minimo di cittadinanza” per tenere in piedi un’Italia sul punto di crollare. Elementi di decrescita e riconversione ecologica dell’economia, certo. E poi: scuola pubblica e sanità pubblica, investimento culturale, Internet veloce e gratuito per tutti. Con che soldi? Forse si comincia a capirlo solo ora, dopo le elezioni.
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Paolo Villaggio con Grillo: via l’euro, a casa ladri e cialtroni
Ho sperato di andarmene abbracciato ai miei simili in una piazza, come nella profezia. Sarebbe stato magnifico, ma i Maya e i nostri politici si somigliano. Non fanno che promettere ciò che non manterranno. La gente si è rotta i coglioni di un gruppo di eletti che, fingendo di rappresentare gli interessi dei sudditi, ne opprime il presente servendo banche, giornali e tv. Grillo, con collaudatissimo copione, denuncia avidità e nefandezze dei moderni Borgia da decenni. Dice: «Cacciamoli, sono stronzi, incapaci e disonesti», ma ha cavalcato una tigre già satura di passeggeri. Il processo è stato naturale, dall’Italia vogliono fuggire tutti: i ragazzi depressi che sognano di emigrare in Costa Rica e i vecchi come me. In attesa della sacrosanta soppressione degli ultrasettantenni, ci rimane la rivoluzione culturale di Grillo.
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Il candidato perfetto per il Quirinale? Raffaele Guariniello
Raffaele Guariniello presidente della Repubblica? Sarebbe il “candidato perfetto”: indiscutibile dirittura morale, famoso ma estraneo alla politica, non ancora troppo in là con gli anni, campione di imparzialità e leale verso la Costituzione. In più, dispone di una solida cultura giuridico-costituzionale, preziosa «per evitare che possa essere raggirato dagli apparati burocratici e dagli esponenti della “politica politicante”». A votare per Guariniello è il politologo Aldo Giannuli: il procuratore aggiunto di Torino, che oggi ha 72 anni, nel 1971 – da semplice pretore – osò sfidare la Fiat per le sue attività di dossieraggio su dipendenti e sindacalisti. Inoltre, Guariniello ha sostenuto l’accusa in importanti processi, in particolare in materia di danni ambientali e sicurezza sul lavoro, dal caso Eternit alla tragedia della ThyssenKrupp. Tra le sue qualità, «l’encomiabile pregio di rifuggire i riflettori televisivi, ricercatissimi da tanti suoi colleghi».
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Amato e De Gennaro, uomini chiave per l’inciucio-horror
Stati Uniti, massonerie, Vaticano, poteri forti. C’è un partito più potente dei partiti che tifa per le “larghe intese” tra Pd e Pdl: sono i politici trasversali di lungo corso, i manager di Stato e i burocrati sopravvissuti a mille ribaltoni, che tremano ogni volta che sentono parlare di accordo tra Grillo e Bersani. «Il partito del governissimo si muove nel silenzio, non appare in tv, ma ha le idee molto chiare sugli uomini giusti per costruire una diga morbida e assorbente all’urto della nuova politica», scrive Marco Lillo sul “Fatto Quotidiano”. Istituzioni secolari come la Chiesa e la massoneria vedono come il fumo negli occhi il “governo di scopo”, e sperano che Bersani non riesca nella missione impossibile di strappare al “Movimento 5 Stelle” la fiducia al Senato. Più rassicurante, per il palazzi romani, la seconda ipotesi: “governissimo” Pd-Pdl, riciclando nomi della portata di Amato e addirittura De Gennaro, capo della polizia all’epoca della mattanza della Diaz.
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Giannuli: spiegate al Pd che non si può sbagliare sempre
Oltre quattro milioni e mezzo di italiani: l’emorragia è pari all’11% del vecchio bottino elettorale del Pd, il partito che sbaglia sempre tutto. Forse anche perché gli iscritti tendono a “perdonare” sempre i dirigenti, mediocri e cronicamente perdenti. «Il peggior colpevole è la base di quel partito, che elegge, mantiene, difende una simile mandria di incapaci, nella incrollabile fede della vittoria finale», protesta Aldo Giannuli. «Ma, cari compagni, vi è mai passato per la testa di chiedere conto ai vostri dirigenti dei risultati della loro azione politica?». Questa tendenza a fare muro intorno al gruppo dirigente, aggiunge Giannuli, aveva un senso negli anni della guerra fredda, quando si poteva temere che in una crisi della leadership potesse inserirsi l’avversario, e che questo potesse spianare la strada persino ad un colpo di Stato, pronto ad approfittare della momentanea frammentazione del partito. «Ma non ve l’hanno detto che la guerra fredda è finita? Sveglia!».
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Fuga dai partiti, milioni di voti in cerca di speranza
No all’euro-dittatura, all’incubo della crescita impossibile, alla stanca democrazia delle élite, ma anche alla guerra che incombe, evocata dagli obblighi Nato. E poi i punti esclamativi sul reddito di base, la solidarietà, la pace, la convivialità, l’onestà, la trasparenza, la competenza, l’ecologia e la compatibilità ambientale, la cultura. In una parola: la speranza. Così legge il successo di Grillo l’analista Pierluigi Fagan, che scruta i flussi elettorali: astensionismo in crescita, crollo del centrodestra truccato da “rimonta”, frana del centrosinistra che non riesce a vincere, estinzione definitiva della sinistra. Nei grandi numeri, osserva Fagan, l’Italia ricalca l’andamento dell’elettorato greco devastato dalla crisi, con una importante differenza: l’inesistenza di un’opposizione di estrema destra: CasaPound, Fiamma Tricolore e Forza Nuova raddoppiano i voti ma si fermano a quota 183.000, meno di quelli che ottenne nel 2008 il Partito Comunista dei Lavoratori.