Archivio del Tag ‘Pd’
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Ville e castelli, grande svendita dei tesori degli italiani
Il governo italiano prevede la vendita della villa del Grande Inquisitore, del Forte dei Papi e di una delle isole della laguna veneta, allo scopo di tagliare il deficit di bilancio. Secondo quanto riportato dai mass media italiani, la dismissione di questi 50 luoghi di prestigio dovrà apportare al Tesoro all’incirca 500 milioni di euro. Si dice che il passaggio ai privati di parte del patrimonio immobiliare dello Stato permetterà di contenere il deficit di bilancio nel 2013 entro la soglia del 3% del Pil, come esige l’Unione Europea. A parte la riscossione immediata di questi importi, il governo auspica che le ville e i castelli siano convertiti in ristoranti, musei ed alberghi, così da consentire la creazione di nuovi posti di lavoro.Anche la Grecia, altro paese al quale l’Unione Europea ha prescritto un duro regime di controllo del bilancio, l’anno scorso si è trovata a dover svendere ai privati alcune delle sue isole, spiagge e luoghi di villeggiatura. L’Italia, a sua volta, aveva già messo in vendita con successo alcuni fari sull’isola della Sardegna. Secondo il “Corriere della Sera”, tra le proprietà immobiliari statali in dismissione, quest’anno si troverebbe anche il Castello Orsini, vicino Roma, fatto costruire da Papa Nicola III nel 1270, dalla metà del 19° secolo fino al 1989 utilizzato come prigione. La gente del posto ne parla male, come se vi vivessero i fantasmi.Un’altra vestigia nazionale di cui si prepara la messa in vendita è Villa Mirabello, situata non lontano da Milano, costruita nel 1700 dal Cardinal Durini, grande inquisitore di Malta. Nella laguna veneta gli investitori potranno acquistare l’isola di San Giacomo, che dall’undicesimo secolo è stata residenza dei monaci; nel secolo scorso fu trasformata in base militare e poi, dal 1962, dismessa e abbandonata al degrado. Secondo esperti locali, il governo italiano non ha le forze per mantenere adeguatamente questi monumenti, senza contare che molti paesi europei adesso si adoperano per fare cassa attraverso tutte le risorse possibili.(“L’Italia svenderà i castelli storici per risanare i buchi di bilancio”, da “Russia Today” del 16 ottobre 2013, ripreso da “Come Don Chisciotte”).Il governo italiano prevede la vendita della villa del Grande Inquisitore, del Forte dei Papi e di una delle isole della laguna veneta, allo scopo di tagliare il deficit di bilancio. Secondo quanto riportato dai mass media italiani, la dismissione di questi 50 luoghi di prestigio dovrà apportare al Tesoro all’incirca 500 milioni di euro. Si dice che il passaggio ai privati di parte del patrimonio immobiliare dello Stato permetterà di contenere il deficit di bilancio nel 2013 entro la soglia del 3% del Pil, come esige l’Unione Europea. A parte la riscossione immediata di questi importi, il governo auspica che le ville e i castelli siano convertiti in ristoranti, musei ed alberghi, così da consentire la creazione di nuovi posti di lavoro.
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Becchi: è ora di chiedere le dimissioni di Napolitano
Nel lontano 1991, Giorgio Napolitano denunciava i «comportamenti sempre più abnormi e inquietanti» dell’allora presidente Cossiga, messo sotto accusa per aver «totalmente smarrito il senso della misura». Oggi, scrive Paolo Becchi, è evidente il sospetto che dietro alla richiesta di indulto non vi sia tanto la (scandalosa) condizione dei detenuti, quanto la necessità di «far tornare sulla scena il Caimano». Durissimo, Napolitano, coi grillini che glielo fanno notare: «Se ne fregano dei problemi della gente e del paese». Lungi dal ricordare il piano-carceri presentato ad agosto dal M5S al ministro Cancellieri «senza neppure ottenere una risposta», la “Stampa” preferisce condannare la «miserabile reazione di Grillo», che denuncia il tentativo di creare un salvacondotto per Berlusconi, ignorando «le condizioni inaccettabili in cui versano i detenuti». Pazienza il giornale, ma il Quirinale? «Può il Capo dello Stato entrare in lite con la prima forza politica del Paese?», si domanda il professor Becchi. Con che diritto il “garante della Costituzione” di attaccare l’opposizione?Non è la prima volta che Napolitano prende di mira una parte politica, «difendendo la “partitocrazia” e le sue alleanze», ricorda Becchi su “Micromega”. Dopo i sarcasmi sul “boom” elettorale dei grillini alle regionali 2012, Napolitano ha alzato il tiro e «si è servito del potere di esternazione come strumento di direzione politica». Poteri, dopo la sua «atipica» rielezione, utilizzati «non per difendere la legalità costituzionale, ma a fini politici: difendere a tutti i costi le “larghe intese” tra Pdl e Pd, assicurare la stabilità parlamentare al governo Letta, impedire lo scioglimento anticipato delle Camere e nuove elezioni». Di male in peggio: se il governo tecnico di Monti era «voluto dal presidente», l’esecutivo Letta «è il governo diretto dal presidente, ossia il governo a capo del quale c’è, seppur per interposta persona, Napolitano». E c’è molto altro: la minaccia di dimissioni, la difesa di ministri come Alfano anche dopo l’affaire kazako, i richiami contro la “magistratura politicizzata”, la nomina di Amato a giudice della Corte Costituzionale.Dimissioni, esternazioni, poteri di nomina: tutte prerogative del Capo dello Stato, dice Becchi, ma il Quirinale deve mantenersi neutrale. Se invece attacca il M5S, è evidente chenon rappresenta più «l’unità della nazione, ma soltanto una parte del paese: quella che ha voluto le “larghe intese” della partitocrazia e che cercherà, con tutti i mezzi a sua disposizione, di salvare ancora il Caimano». Costringere Napolitano alle dimissioni – aggiunge Becchi – ritarderebbe i tempi per nuove elezioni, ma rappresenterebbe un atto politico fondamentale: «Significherebbe la sconfitta delle larghe intese». La messa in stato d’accusa «avrebbe un valore simbolico e politico ben più alto di quello di un semplice procedimento “giudiziario”». Per Umberto Eco, l’impeachment non è una condanna, ma un esercizio della sovranità del Parlamento, chiamato a giudicare la condotta del presidente. «Per questo – chiosa Becchi – la messa in stato d’accusa ha un valore indipendentemente dal giudizio che, su di essa, darà poi la Corte Costituzionale». Per il giurista vicino ai grillini, è giunta l’ora di «accusare il Capo dello Stato, di fronte al popolo, di aver violato la Costituzione in nome della quale egli ha sempre dichiarato di agire».Nel lontano 1991, Giorgio Napolitano denunciava i «comportamenti sempre più abnormi e inquietanti» dell’allora presidente Cossiga, messo sotto accusa per aver «totalmente smarrito il senso della misura». Oggi, scrive Paolo Becchi, è evidente il sospetto che dietro alla richiesta di indulto non vi sia tanto la (scandalosa) condizione dei detenuti, quanto la necessità di «far tornare sulla scena il Caimano». Durissimo, Napolitano, coi grillini che glielo fanno notare: «Se ne fregano dei problemi della gente e del paese». Lungi dal ricordare il piano-carceri presentato ad agosto dal M5S al ministro Cancellieri «senza neppure ottenere una risposta», la “Stampa” preferisce condannare la «miserabile reazione di Grillo», che denuncia il tentativo di creare un salvacondotto per Berlusconi, ignorando «le condizioni inaccettabili in cui versano i detenuti». Pazienza il giornale, ma il Quirinale? «Può il Capo dello Stato entrare in lite con la prima forza politica del Paese?», si domanda il professor Becchi. Con che diritto il “garante della Costituzione” di attaccare l’opposizione?
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Vauro in val Susa: proiettili, Alfano e le Brigate Rodotà
«Io credo che questa lotta si vincerà, perché saranno sempre meno gli spettatori e sempre di più i partecipanti». Vauro Senesi, il mattatore satirico accanto a Santoro negli studi televisivi di “Servizio Pubblico”, crede nel successo della battaglia civile della valle di Susa contro l’inutile ecomostro Torino-Lione. «Per me avete già vinto, sul piano morale e anche su quello politico – aggiunge Giulietto Chiesa, con Vauro in val Susa il 12 ottobre – dal momento che la Francia ha rinviato il capitolo Tav al 2030», cioè nel futuro remoto. «Fondamentale, però – dice Vauro – evitare si lasciarsi rinchiudere nel recinto militarizzato dello scontro: è esattamente quello che vogliono certi apparati dello Stato, per localizzare una protesta che invece è ormai diventata nazionale, grazie all’abilità dei valsusini». Lo diceva il generale Giap, l’eroe vietnamita che riuscì a battere sia i francesi che gli americani: «In un piccolo campo di battaglia, un piccolo esercito non ha scampo. Per vincere, deve uscire dal recinto e dare battaglia su un campo grande».Convinzioni serissime, quelle di Vauro, dispensate in mezz’ora di comicità intensa, a tratti irresistibile, giusto per scacciare il clima di cupezza che la repressione fa gravare sulla valle “ribelle”. Sulla questione No-Tav, Vauro dichiara di esser stato “illuminato” da un politico. Fassino? «Ma no, Fassino non illumina neanche se gli dai fuoco!». A “illuminare” Vauro è stato «questo astro nascente della politica italiana: Alfano. Che, dicono i tg, è andato in val di Susa a sorpresa – nella giungla, col machete? Nei telegiornali tutti decantavano il suo coraggio». Domanda al pubblico: «Ma voi mangiate i bambini come facciamo noi comunisti? Mangiate gli alfani? Sapete, noi del centro Italia abbiamo di voi del nord una visione barbarica, e quando ho sentito che Alfano era venuto qui – non senza scorta, ma coraggiosamente – mi son chiesto: ma cosa gli fanno, agli alfani lassù? C’è la Sagra degli Alfani? Se li mangiano?». Alfano in val Susa: «Il muso duro dello Stato, cazzo. E io che credevo che lo Stato non ci fosse neanche più, andato a puttane insieme all’ex presidente del Consiglio». E invece: «Alfano dice: noi la Tav la faremo, nonostante le Brigate Rodotà».Già, perché poi a Rodotà hanno dato del quasi-fiancheggiatore del terrorismo, per aver preso le difese della valle di Susa. Vauro: «Difatti son venuto qui speranzoso: ‘sta a vedere che ci sono ancora le Brigate Rosse, in val di Susa. Roba di quando avevo ancora i pantaloni a campana e c’erano i Pooh! Dico: ma io vado a fare un bel revival. E invece qui non vedo nessun brigatista, nessun passamontagna: che delusione». Tornando ad Alfano: «Vi ricordate quando la maestra vi spiegava che lo Stato siamo noi, tutti insieme? Bene, Alfano è venuto e dirvi: lo Stato sono io, tiè. Lo Stato sono io, non voi, perché – nonostante voi – noi faremo la Tav. E allora uno si chiede: chi è questo Stato? E cosa rappresenta, oltre ad Alfano?». Le risposte vanno cercate all’Ilva di Taranto, a Lampedusa, alla Fiat di Pomigliano. Luoghi dove lo Stato «sembra rappresentare un intreccio fortissimo di interessi finanziari, criminali ed economici». E’ la stessa concezione delle famigerate grandi opere, che dovrebbero modernizzare il paese e creare lavoro, in una repubblica dove l’Aquila è ancora com’era il giorno dopo il terremoto, e dove basta un giorno di pioggia per provocare alluvioni e morti. «La grande opera che serve? La manutenzione del territorio: quella sì che crea lavoro, tanto e utile, anche su scala locale».Dunque, se una popolazione come quella valsusina «si ribella a una devastazione scellerata e pericolosa», uno Stato veramente democratico «si interroga sul perché di questa ribellione». E invece: istituzioni sorde e politica «latitante e connivente con l’intreccio di interessi finanziari e mafiosi che caratterizza tutta la crisi: perché non si salvano i piccoli imprenditori e invece si salva il Monte dei Paschi di Siena?». Siamo il paese che piange perché non ha motovedette ma poi si affretta a comprare gli F-35. E’ uno Stato che non vuole ascoltare, ma la voce di chi protesta arriva lo stesso: «Colpisce vedere le bandiere No-Tav che sventolano anche a Niscemi alle manifestazioni contro il Muos, l’installazione che piloterà i droni che andranno a bombardare, massacrando donne e bambini». Le comunità parlano la stessa lingua, che non è quella dei poteri forti. E vengono boicottate: con la disinformazione, e non solo. «Non a caso, dov’è cominciato tutto lo scorreggiamento sulle nuove Brigate Rosse? Buste con proiettili: non so chi le abbia mandate, ma sono vecchio abbastanza per ricordare. Mi son chiesto: strano che non si siano firmati “falange”, data la fantasia dei servizi. C’è qualcuno che da trent’anni, quando fa queste cose, si firma “falange armata”». Quindi, attenzione: «Non fatevi rinchiudere in un ring, non accettate di dare battaglia in un “piccolo cortile”: è quello che gli avversari vogliono, per ridurre la questione al solo piano militare». Vale anche per molti giornali, sempre a caccia di mostri: «Peccato che è morto Bin Laden, sennò era qui: un perfetto No-Tav».«Io credo che questa lotta si vincerà, perché saranno sempre meno gli spettatori e sempre di più i partecipanti». Vauro Senesi, il mattatore satirico accanto a Santoro negli studi televisivi di “Servizio Pubblico”, crede nel successo della battaglia civile della valle di Susa contro l’inutile ecomostro Torino-Lione. «Per me avete già vinto, sul piano morale e anche su quello politico – aggiunge Giulietto Chiesa, con Vauro in val Susa il 12 ottobre – dal momento che la Francia ha rinviato il capitolo Tav al 2030», cioè in un futuro remotissimo e improbabile. «Fondamentale, però – dice Vauro – evitare si lasciarsi rinchiudere nel recinto militarizzato dello scontro: è esattamente quello che vogliono certi apparati dello Stato, per localizzare una protesta che invece è ormai diventata nazionale, grazie all’abilità dei valsusini». Lo diceva il generale Giap, l’eroe vietnamita che riuscì a battere sia i francesi che gli americani: «In un piccolo campo di battaglia, un piccolo esercito non ha scampo. Per vincere, deve uscire dal recinto e dare battaglia su un campo grande».
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Scanzi a Grillo: anziché attaccarmi, fatti intervistare
Un minuto di silenzio per chi, per anni, mi ha dato del “servo di Grillo” (che non sento da maggio 2011) e ora deve prendere atto di come lui e Casaleggio mi abbiano simpaticamente sfanculato nel loro blog, con un post tanto prevedibile (ci avevo scommesso la casa) quanto meraviglioso. E un minuto di silenzio anche per chi, per anni, ha sostenuto che il “Fatto” fosse house organ di Grillo, ora pure quello amenamente crivellato dai due. Non che nutrissi la perversione triste di prendere lezioni da Zucconi o Battista, professionisti della non-critica e fedeli della non-linea, ma Grillo e Casaleggio ci hanno fatto un bel regalo. Da oggi non ho più neanche i difetti inventati e il mio ego potrà finalmente esplodere. Vamos. La speranza è che, un giorno, anche i santoni vicini al Pd facciano le pulci al Pd come noi abbiamo sempre fatto al M5S (e a tutti gli altri): ne guadagnerebbero il paese, il giornalismo italiano e magari pure la sinistra italiana.Capisco comunque la rabbia di Grillo e Casaleggio: sanno che il sottoscritto, Travaglio e il “Fatto” hanno ragione. E sanno anche che la maggioranza di elettori e parlamentari la pensa probabilmente come noi. Il loro rosicamento, per quanto infantile e masochistico, è dunque giustificato. Ne ho quindi rispetto. Mi permetto solo di rammentar loro un vecchio adagio: quando si sbaglia, si sbaglia. Quando si perde, si perde. Capita anche ai migliori. Non tutte le battaglie – e gli sfoghi – possono essere giusti. Quel post sul reato di clandestinità era e resta una cazzata titanica. E quello di stamani sul “Fatto” è persino peggiore. Meglio ammetterlo. Altrimenti viene il dubbio che per loro il giornalismo ideale non sia quello libero, ma quello che gli dà ragione.(Il Cernobbico Casaleggio mi accusa di dire il falso sulla sua candidatura in Forza Italia. Uh oh. Vedo che anche lui, in mancanza di appigli migliori, gioca alla pagliuzza e alla trave. Come un D’Alema qualsiasi. Vero: tecnicamente non si candidò in Forza Italia. Chiedo scusa per la gravissima semplificazione: mi autopunirò guardando in loop un video qualsiasi su “Gaia”. Casaleggio si candidò però in una lista civica, nel 2004, a Settimo Vittone nel Canavese. Quella lista, “Per Settimo”, era capeggiata da Vito Groccia, “politico calabrese vicino a Forza Italia”. Ops. Casaleggio partecipò alla stesura del programma, si impegnò in prima persona e ottenne un risultato rutilante: sei voti e niente elezione. Sarò felice di parlarne con lui. Chissà, magari in una intervista. Quella stessa intervista che, da mesi, Casaleggio rifiuta al “Fatto”. Oppure accetta, ma dettando condizioni capestro che ovviamente mai accetteremo. L’invito è ovviamente esteso anche a Grillo, nella speranza che prima o poi scenda stabilmente dall’eremo di Sant’Ilario, aiuti da vicino i suoi parlamentari soli contro tutti e – già che c’è – cominci a fare quelle conferenze stampa promesse da tempo. Fiducioso e divertito, nonché assai grato, attendo).(Andrea Scanzi, giornalista del “Fatto Quotidiano”, il 13 ottobre 2013 replica così – dalla sua pagina Facebook – alle accuse mossegli da Grillo e Casaleggio; il post è ripreso da “Megachip”).Un minuto di silenzio per chi, per anni, mi ha dato del “servo di Grillo” (che non sento da maggio 2011) e ora deve prendere atto di come lui e Casaleggio mi abbiano simpaticamente sfanculato nel loro blog, con un post tanto prevedibile (ci avevo scommesso la casa) quanto meraviglioso. E un minuto di silenzio anche per chi, per anni, ha sostenuto che il “Fatto” fosse house organ di Grillo, ora pure quello amenamente crivellato dai due. Non che nutrissi la perversione triste di prendere lezioni da Zucconi o Battista, professionisti della non-critica e fedeli della non-linea, ma Grillo e Casaleggio ci hanno fatto un bel regalo. Da oggi non ho più neanche i difetti inventati e il mio ego potrà finalmente esplodere. Vamos. La speranza è che, un giorno, anche i santoni vicini al Pd facciano le pulci al Pd come noi abbiamo sempre fatto al M5S (e a tutti gli altri): ne guadagnerebbero il paese, il giornalismo italiano e magari pure la sinistra italiana.
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Migranti, Grillo-choc: dopo il diktat, accusa il Fatto
Beppe Grillo tenta di rimediare in extremis, spiegandosi – sbagliato concentrarsi sulla disperazione dei migranti trascurando quella dell’Italia che affonda (lavoro, aziende, famiglie) – ma il post “stalinista” firmato con Casaleggio per scomunicare brutalmente i parlamentari 5 Stelle mobilitatisi per abrogare l’infame reato di clandestinità colpisce duro, con migliaia di proteste dalla Rete, di fronte allo spettacolo delle bare allineate a Lampedusa. Così non va, avverte un grande supporter grillino come Dario Fo. E persino Travaglio, che si è permesso di scrivere che Grillo e Casaleggio hanno «perso un’ottima occasione per tacere», finisce nella lista nera dei “falsi amici”. Peter Gomez, direttore della versione web del “Fatto Quotidiano”, affonda il coltello: a parte il fatto che a considerare “nemico” il suo giornale è solo una esigua minoranza di ultras, è semplicemente sconcertante che anche presso Grillo – esattamente come per Pd e Pdl – «resti molto popolare l’idea che l’esistenza di una stampa amica sia un fatto normale».
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Un partito patriottico, contro questi collaborazionisti
Moderatismo significa pensare che il sistema va bene strutturalmente, così come è; e vuol dire anche credere in come il sistema descrive e giustifica se stesso, e che al massimo c’è da migliorarlo e ripararlo. Con lo spodestamento di Berlusconi da parte dei “moderati”, si dissolvono le ultime differenze politiche – sfumature o poco più – sicché ora abbiamo un’unità completa della partitocrazia e un Parlamento quasi interamente uniformato alla strategia “europeista” di totale cessione al capitalismo estero delle leve di economia politica, delle industrie strategiche o di eccellenza nazionali, del controllo dei servizi pubblici essenziali e, ancor più, del sistema creditizio. L’arco moderato è collaborazionista. Fantoccio. Ed è insieme la partitocrazia parassitaria, tassaiola e incompetente che ben conosciamo, la quale ora, essendosi compattata e non avendo competitori, si fa sempre più arrogante e aggressiva con la gente.La Lega è senza armi perché ormai marginale e screditata; mentre il M5S pare arenato, al di là delle contraddizioni interne e degli interrogativi sui veri scopi dei suoi effettivi titolari. Nessuno dei due ha figure di statista o mezzo statista. I partiti della maggioranza hanno superato la crisi senza formulare, nemmeno questa volta, un piano comune degli interventi politico-economici: segno oggettivo che mirano solo alla poltrona e alla greppia e che continueranno a fare le cose come da ordini che riceveranno da Berlino, senza doversi arrovellare per elaborare un programma, che peraltro in tempi differenti hanno dimostrato di essere incapaci di elaborare. Ora la casta può anche riformare la legge elettorale e inscenare nuove elezioni politiche proponendo all’elettorato una falsa dialettica e una falsa alternanza falsamente democratiche, per poi proclamare che l’Italia è finalmente un paese normale.Ma perlomeno, a questo punto, il quadro si è chiarito, abbiamo il bipolarismo reale: un polo è la partitocrazia collaborazionista. L’altro polo è la nazione, la gente, l’interesse collettivo. Lo Stato è ormai veramente e indubitabilmente il nemico della gente e del paese. Come tale è ben diffusamente percepito: strumento di sfruttamento e soprusi, ormai quasi privo di utilità per il popolo. Intanto sta maturando il bubbone del contenzioso sommerso, ossia di tutti i crediti divenuti inesigibili o critici, che le banche dovrebbero segnare in bilancio come tali, ma non lo fanno, perché costerebbe troppo quando non le farebbe, addirittura, saltare. Bankitalia ha completato, giorni fa, un controllo del deterioramento del portafoglio crediti delle banche medie, e sta per iniziare quello sulle banche grosse. Nelle medie, ha trovato che queste non avevano messo in sofferenza crediti per circa 8 miliardi. Ora queste banche sono costrette, per coprire questi crediti deteriorati con la costituzione dei fondi prescritti, a cercare miliardi in giro. Nelle banche grosse troverà di peggio. Ed esse dovranno cercare molti miliardi per coprire le perdite.I capitali stranieri approfitteranno di tutto ciò per acquisire ulteriori quote strategiche nel sistema bancario italiano. E siccome tutto il nostro sistema-paese, aziende in testa, notoriamente dipende dalle banche, mancando di idonei capitali propri, quei capitali stranieri si impadroniranno completamente dell’Italia, facendone un protettorato dedicato alle lavorazioni di bassa e medio-bassa tecnologia, affidate a una forza lavoro di bassa e medio-bassa qualificazione, sottopagata e precaria, alimentata dall’immigrazione, in cui svolgere la parte povera del ciclo produttivo e lasciare la parte minima dei margini di profitto, salvo drenare anche quelli con interessi e tasse.Berlusconi, se non avesse più convenienza a stare buono e giocare diplomaticamente per tutelare le sue aziende di famiglia e la propria libertà, potrebbe, a questo punto, approfittare dello spazio politico che si è aperto, e lanciare un partito patriottico, euroscettico e indipendentista, incentrato sulla tutela degli interessi nazionali e sul recupero della sovranità nazionale, iniziando col ritorno alla lira secondo il modello ante-divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per rilanciare gli investimenti e l’occupazione, e pagare i debiti pubblici in moneta sovrana come fanno Usa, Regno Unito, Giappone, ponendo fine alla presente, interminabile e ingiustificabile agonia, coltivata dai collaborazionisti.(Marco Della Luna, “Moderatismo e collaborazionismo”, dal blog di Della Luna del 7 ottobre 2013).Moderatismo significa pensare che il sistema va bene strutturalmente, così come è; e vuol dire anche credere in come il sistema descrive e giustifica se stesso, e che al massimo c’è da migliorarlo e ripararlo. Con lo spodestamento di Berlusconi da parte dei “moderati”, si dissolvono le ultime differenze politiche – sfumature o poco più – sicché ora abbiamo un’unità completa della partitocrazia e un Parlamento quasi interamente uniformato alla strategia “europeista” di totale cessione al capitalismo estero delle leve di economia politica, delle industrie strategiche o di eccellenza nazionali, del controllo dei servizi pubblici essenziali e, ancor più, del sistema creditizio. L’arco moderato è collaborazionista. Fantoccio. Ed è insieme la partitocrazia parassitaria, tassaiola e incompetente che ben conosciamo, la quale ora, essendosi compattata e non avendo competitori, si fa sempre più arrogante e aggressiva con la gente.
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Chiesa: il cimitero degli ipocriti e le loro leggi disumane
Ci sono due modi di vivere questa tragedia: uno è l’ipocrisia e la malafede. Coloro che ci portano al disastro (e molti di noi, anche) si strappano adesso il capelli, piangono, fingono solidarietà con le vittime, gridano vergogna – ma a chi la gridano, essendo loro i primi responsabili? Uno spettacolo indecente davvero. Il Pd, per bocca di Epifani, dice che «bisogna abrogare la legge Bossi-Fini». Adesso? Ma il Pd è stato al governo dal 2006 al 2008 e non l’ha nemmeno toccata. Napolitano invoca leggi per i profughi: proprio lui, che ha firmato nel 2009 la legge Maroni sul reato di clandestinità. E poi, un paese che si fa guidare da gente come Bossi e Fini (cioè che sceglie plebei incolti e rapaci, oltre che incompetenti) cosa infine può aspettarsi se non tragedie?L’altro modo di affrontare la situazione è quello di guardare in faccia la realtà. L’ondata migratoria è destinata ad aumentare. E’ uno tsunami annunciato. Non ci sono dei o provvidenze che potranno fermarlo. Gli economisti stupidi che sorreggono la baracca con le loro sgangherate ricette, ci ripetono da decenni che bisogna favorire il libero flusso di capitali. Appunto: i capitali si sono mossi molto liberamente (tra le tasche dei padroni dell’Universo). Ma la conseguenza è che anche gli uomini si muovono: più lentamente, perché sono fatti di materia, non come i bit dei computer, ma si spostano – per vivere, per bere, per mangiare; per sognare, perfino. Dunque arriveranno altre centinaia di barconi, con decine di migliaia di disperati. E noi avevamo come ministro della Repubblica un demente che pensa e pensa che ci vuole una legge per fermarli. Pensate a che livello si collocano, lui e il presidente che ha firmato una legge sul reato di clandestinità!Certo, l’Italia, da sola, non può farcela. Ma potrebbe fare subito molte cose importanti. Potrebbe prepararsi allo tsunami – organizzativamente, in primo luogo, perché non siamo preparati. Bisogna dirlo forte e chiaro. Prepararsi significa molte cose. Ci vuole un piano d’emergenza e un piano strategico. Ci vuole un centro di comando composto da persone competenti e oneste, che siano messe in grado di rispettare il diritto sacrosanto di asilo, e di non permettere altre tragedie. Cioè bisogna predisporre misure di accoglienza. A questo non c’è alternativa se non vogliamo essere costretti a costruire cimiteri, o a scavare fosse comuni. Cioè ci vogliono mezzi. E persone qualificate. Per esempio un esercito (sarebbe meglio tornare all’esercito di leva) che, invece di allenarsi a sparare, sia messo in grado di svolgere funzioni estese di protezione civile. E, per il piano strategico, ci vuole una chiara visione dell’azione politica da svolgere in campo internazionale.L’Italia di questi anni balbetta o è assente dalla scena. Non ha voce e, del resto, essendo un paese commissariato dalla Trojka, non si preoccupa di averla. Invece dovrebbe farsi sentire: è l’Europa, con i suoi cosiddetti principi universali, che deve rispondere. E se non lo fa, è l’Italia che deve prendere l’iniziativa e imporre una risposta collettiva. Molto di più che un “corridoio umanitario” di emergenza (non basterebbe comunque). Ci vuole una politica! E ci vuole il coraggio necessario per dire – e dirsi – come stanno le cose. Siamo noi ricchi – e privilegiati – parte del problema. Lo abbiamo creato anche noi. E dunque dobbiamo mettere mano al portafogli. Non regalando motovedette alla Libia, perché fermi e ricacci indietro i disperati, ma cambiando la politica degli aiuti al cosiddetto terzo mondo. Non mandando truppe in Afghanistan e in Iraq, cioè cambiando la nostra politica estera: fuori dalla Nato, perché non abbiamo nemici; fuori dalla guerra. Questo è l’unico modo per contribuire alla soluzione del problema. Per questo ci vuole un’altra classe politica e un altro governo, italiano ed europeo.(Giulietto Chiesa, “Lampedusa, non siamo preparati allo tsunami”, testo del video-editoriale pubblicato da “Megachip” l’8 ottobre 2013).Ci sono due modi di vivere questa tragedia: uno è l’ipocrisia e la malafede. Coloro che ci portano al disastro (e molti di noi, anche) si strappano adesso il capelli, piangono, fingono solidarietà con le vittime, gridano vergogna – ma a chi la gridano, essendo loro i primi responsabili? Uno spettacolo indecente davvero. Il Pd, per bocca di Epifani, dice che «bisogna abrogare la legge Bossi-Fini». Adesso? Ma il Pd è stato al governo dal 2006 al 2008 e non l’ha nemmeno toccata. Napolitano invoca leggi per i profughi: proprio lui, che ha firmato nel 2009 la legge Maroni sul reato di clandestinità. E poi, un paese che si fa guidare da gente come Bossi e Fini (cioè che sceglie plebei incolti e rapaci, oltre che incompetenti) cosa infine può aspettarsi se non tragedie?
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Revelli: larghe intese per manomettere la democrazia
Siamo alla manomissione bipartisan della Costituzione. Pd e Pdl hanno tradito la saggezza dei nostri Padri costituenti facendo saltare quella fondamentale clausola di salvaguardia, vorrebbero cambiare decine di articoli della Carta e la stessa forma di governo: dalla democrazia parlamentare a un qualche tipo di presidenzialismo, d’altra parte già anticipato nei fatti dal presidente Napolitano. Il sistema politico è stato inchiodato sulla figura criminale di Silvio Berlusconi e ai suoi ricatti. Prima la minaccia di Aventino, poi il videomessaggio, infine l’ultima disperata mossa imposta ai ministri rappresentano tutti segni eversivi, di fronte ad una sentenza fondata su ragioni e prove di colpevolezza fortissime. Ma bisogna dire che tutta l’esperienza del governo Letta, ex origine, rappresentava un modo per istituzionalizzare quella selvaggia anomalia italiana che è la figura politica e insieme criminale di Berlusconi, facendone addirittura un partner legittimato di una nuova Costituente.In una condizione economica di assoluta emergenza, di spoliazione del patrimonio produttivo, di conti in disordine, l’Europa aveva intimato le larghe intese nel cui programma, fin dall’origine, stava la sospensione del nostro assetto istituzionale – manomettendo la Costituzione – in nome di emergenze peraltro non affrontate, ma costantemente dilazionate. Le scelte intraprese da Berlusconi e dalla sua corte di servitori – il Pdl non è un partito – in tutti questi mesi di partnership, prima ancora dei terremoti istituzionali che vediamo in diretta, hanno provocato danni gravissimi e irreversibili allo stato mentale del paese e alla sua classe politica. Per mesi al Cavaliere in precario equilibrio sul suo cavallo è stata data una “golden share” governativa che ha costantemente usato per ricattare e minacciare, e far apparire come normale l’inaccettabile. E che ora continua a usare, vedremo se per far saltare tutto, o per tentare di prolungare ancora il proprio gioco personale.Un governo di scopo – capeggiato da una figura di alto profilo giuridico-morale ed esterna all’attuale scenario politico – che ci conduca a nuove elezioni in pochi mesi, andava già fatto a maggio scorso. Un esecutivo con due-tre punti chiave: nuova legge elettorale, in primis, e provvedimenti per tamponare il dramma dei cassintegrati e la crisi sociale nel paese. Chi ipotizzerei a capo di questo governo di cambiamento? Rodotà andrebbe benissimo. Con le larghe intese, andiamo peggio di 150 giorni fa. E bisognava pensarci allora. Vero, anche la Germania va verso le larghe intese, ma in Germania non esiste una figura come Berlusconi né un partito come il Pdl: sono larghe intese ben differenti dalle nostre. Detto questo, bisogna aggiungere che quello delle larghe intese è, per l’Europa, un paradigma totalizzante che caratterizza gli attuali assetti e non tollera deviazioni: le loro ricette aumentano le disuguaglianze, impoveriscono le fasce popolari ed erodono la coesione sociale.C’è un’estrema e disperata domanda di rappresentanza. Sarebbe cieco ridurre tutto agli orfani della sinistra radicale. Esistono milioni di esodati dalla politica indecisi su chi votare e se votare. L’astensionismo è in crescita, molti si rifugiano nel M5S, altri nei frammenti della sinistra radicale. C’è ancora chi – turandosi il naso – dà la preferenza al Pd. Tra poco lo scenario sarà molto diverso. Avremo una nuova Forza Italia trasformata in lugubre macchina da guerra del suo capo, una formazione eversiva in rivolta contro l’ordinamento giudiziario. Il Pd avrà presumibilmente come leader Matteo Renzi, il quale ha tessuto pubblicamente l’elogio della disuguaglianza e le cui idee sul lavoro sono vicine al più radicale neoliberismo (alla Ichino, per intenderci). Il M5S, intorno al 20-25 per cento, non sarà in grado di imprimere un sostanziale cambiamento. Dobbiamo capire fin da subito come porci in questo futuro scenario. C’è il rischio concreto che la cultura democratica radicale e costituzionale sia fuori dalla scena, con danni enormi per la democrazia.(Marco Revelli, dichiarazione rilasciate a Giacomo Russa Spena per l’intervista “12 ottobre, una piazza aperta alle voci sofferenti della società”, pubblicata da “Micromega” il 30 settembre 2013).Siamo alla manomissione bipartisan della Costituzione. Pd e Pdl hanno tradito la saggezza dei nostri Padri costituenti facendo saltare quella fondamentale clausola di salvaguardia, vorrebbero cambiare decine di articoli della Carta e la stessa forma di governo: dalla democrazia parlamentare a un qualche tipo di presidenzialismo, d’altra parte già anticipato nei fatti dal presidente Napolitano. Il sistema politico è stato inchiodato sulla figura criminale di Silvio Berlusconi e ai suoi ricatti. Prima la minaccia di Aventino, poi il videomessaggio, infine l’ultima disperata mossa imposta ai ministri rappresentano tutti segni eversivi, di fronte ad una sentenza fondata su ragioni e prove di colpevolezza fortissime. Ma bisogna dire che tutta l’esperienza del governo Letta, ex origine, rappresentava un modo per istituzionalizzare quella selvaggia anomalia italiana che è la figura politica e insieme criminale di Berlusconi, facendone addirittura un partner legittimato di una nuova Costituente.
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Grillo: stanno spolpando l’Italia, non lo dimenticheremo
Questo governo ha fatto solo annunci e ha aumentato le tasse dirette e indirette. Qualcuno ha detto che qualunque imbecille è capace di aumentare le tasse. Non ha tagliato nulla, auto blu, F-35, finanziamenti pubblici, pensioni d’oro, Province e mille altri sperperi non sono stati neppure sfiorati. Questo governo ha come obiettivo di resistere, resistere, resistere al cambiamento e vendere il patrimonio nazionale, quello che ne è rimasto, per guadagnare tempo. Neppure un pazzo affiderebbe alla coppietta del crack, Capitan Findus Letta e Pesce Palla Alfano, i destini di una nazione. Napolitano lo ha fatto, lo fa, si crede invulnerabile come chi è sopravvissuto a tutto e a tutti. Questo governo si è auto-eletto a norma di legge, ma gli italiani, il voto, la democrazia non c’entrano nulla. Elezioni, referendum, leggi popolari sono diventate un rito. A loro della volontà popolare non gliene frega un beneamato cazzo. Occupano Palazzo e istituzioni da decenni e non se ne vogliono andare.Questo governo ha al suo fianco l’informazione più vergognosa dell’intero Occidente. Ogni anno scende di qualche posizione, superata nel mondo, in modo surreale, da molti paesi africani. La stampa di Dada Amin e di Bokassa non è mai arrivata ai livelli sublimi di menzogna, diffamazione, leccaculismo dei giornali e telegiornali italiani. Di uno Scalfari domenicale al quale va ricordato che chi ha fottuto Prodi nell’urna sono stati Renzi e D’Alema, i suoi amici del cuore, e che il M5S voterà compatto per la decadenza di Berlusconi. Non siamo suoi pari, freni la lingua. Siamo in guerra e ormai non è più un modo di dire. E’ necessario schierarsi. Riconoscere gli amici dai nemici e prepararsi ai materassi. E’ una lunga marcia quella che ci aspetta. Hanno troppi interessi, troppi scheletri, troppi collegamenti con la criminalità organizzata, con le lobby più o meno occulte per uscire di scena. Questi sono gli eredi della P2, dei servizi deviati, della trattativa Stato-mafia. Troppi processi li attenderebbero. Molti finirebbero in galera o ai servizi sociali come Berlusconi, che è solo uno dei tanti predatori dell’Italia, forse neppure il peggiore.L’Italia viene spogliata come un carciofo, foglia dopo foglia, lasciando le famiglie nell’indigenza. In una settimana hanno licenziato due amministratori delegati, Cucchiani di Intesa San Paolo, che si opponeva all’acquisizione di Mps, che dovrebbe essere nazionalizzata con l’avvio di una commissione di inchiesta, e Bernabè di Telecom Italia, regalata a Telefonica da un governo imbelle. Tra poco sarà il turno delle cessioni di quote di Eni, Enel e Finmeccanica. Un italiano su otto non mangia perché il loro appetito è insaziabile. Per poter cambiare devono andarsene. Nessun compromesso con questa gentaglia. John Kennedy disse: «Perdona i tuoi nemici, ma non scordare mai i loro nomi». Faremo dei nodi ai fazzoletti. Noi non dimenticheremo.(Beppe Grillo, “I nodi al fazzoletto, non dimenticheremo”, dal blog di Grillo del 6 ottobre 2013).Questo governo ha fatto solo annunci e ha aumentato le tasse dirette e indirette. Qualcuno ha detto che qualunque imbecille è capace di aumentare le tasse. Non ha tagliato nulla, auto blu, F-35, finanziamenti pubblici, pensioni d’oro, Province e mille altri sperperi non sono stati neppure sfiorati. Questo governo ha come obiettivo di resistere, resistere, resistere al cambiamento e vendere il patrimonio nazionale, quello che ne è rimasto, per guadagnare tempo. Neppure un pazzo affiderebbe alla coppietta del crack, Capitan Findus Letta e Pesce Palla Alfano, i destini di una nazione. Napolitano lo ha fatto, lo fa, si crede invulnerabile come chi è sopravvissuto a tutto e a tutti. Questo governo si è auto-eletto a norma di legge, ma gli italiani, il voto, la democrazia non c’entrano nulla. Elezioni, referendum, leggi popolari sono diventate un rito. A loro della volontà popolare non gliene frega un beneamato cazzo. Occupano Palazzo e istituzioni da decenni e non se ne vogliono andare.
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Rodotà: e invece di governare, insidiano la Costituzione
Giù le mani dalla Costituzione. Piuttosto, abbiano la decenza di cestinare il Porcellum e cambiare la legge elettorale. E dimostrino che non sono soltanto marionette agli ordini dei boss della finanza e della grande industria. Stefano Rodotà vota contro le larghe intese: «Stiamo vivendo il grado zero della politica, e in questo vuoto di politica rischia di precipitare l’intera società italiana». Il governo Letta? «Un azzardo politico, e ora ne stiamo pagando il prezzo, prevedibile e elevatissimo». L’esecutivo era nato «fin dall’inizio prigioniero delle smanie di un autocrate», Berlusconi, che l’ha paralizzato con lo stallo infinito sull’Imu, senza contare la speranza di avere uno sconto sulla giustizia, fonte di «fibrillazioni continue». Ricatti incrociati per una partita truccata, «fino a giungere alle indegne vicende dell’ultima fase», col suicidio del Cavaliere e l’evaporazione del Pd, appiattito sulla pura sopravvivenza del governo, «considerando come unico e supremo bene il solo fatto che il governo riuscisse a durare».
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Giorno: Napolitano riceva sindaci e parlamentari No-Tav
«Odio le cattive massime più delle cattive azioni» (Jean-Jacques Rousseau). Giorgio Napolitano ha scritto al direttore de “La Stampa” Mario Calabresi perché Massimo Numa ha ricevuto una pacchetto anonimo con all’interno un guscio di hard disk con polvere esplosiva. Le indagini sono in corso, nessuno ha rivendicato l’azione, il movimento ha rigettato ogni responsabilità diretta o indiretta («pallottole e bombe non ci appartengono») e lo stesso giornalista non ritiene il movimento NoTav all’origine della spedizione (ha addirittura pubblicato ampi stralci di due mail di solidarietà provenienti da attiviste). Dunque l’accostamento è come minimo prematuro, arbitrario o – più subdolamente – strumentale, in un periodo in cui sembra che sia necessario come mai prima distogliere l’attenzione da “altre” indagini di magistratura, che hanno fatto emergere collegamenti diretti e inequivocabili di una cricca ignobile volta ai propri interessi e alle proprie poltrone con alte cariche istituzionali, esponenti di primo piano dei partiti, “grand commis” dello Stato che dalle poltrone di comando di imprese pubbliche graziosamente trasformate in SpA usano i beni e i denari comuni come fossero propri.Il presidente della Repubblica, trascinato letteralmente nel suo secondo settennato da una faida senza precedenti del suo partito che stava “suicidando” uno dopo l’altro tutti i candidati a succedergli, richiama i cittadini della valle di Susa che si ostinano a non accettare il colpo definitivo alla residua abitabilità della loro terra «al superamento di ogni tolleranza e ambiguità nei confronti di violenze di stampo ormai terroristico». Molti dei cittadini cui è stato rivolto il suo vibrante monito hanno l’età che aveva lui quando aderì alla Gioventù Universitaria Fascista, ma sono tra i più giovani e attivi iscritti alle locali sezioni dell’Anpi. Altri hanno l’età di quando lui – nel 1957, come ha ammesso di recente in una apprezzabile autocritica scritta a due mani con un altro grande vecchio che si atteggia a papa laico – Eugenio Scalfari – plaudeva all’ingresso in Budapest dei carri armati sovietici, i cui cingoli grondavano del sangue di coloro che avevano osato sperare che nel paradiso stalinista potesse essere garantito il diritto all’autogoverno democratico del paese.Ma la maggior parte di coloro che hanno dato vita – un quarto di secolo fa – a un «profilo di pacifico dissenso e movimento di opinione» appartiene a fasce di età che arrivano fino a quella dello stesso presidente, e qualcuno di loro non si limita ad avere la tessera dell’associazione dei partigiani, ma ha partecipato in prima persona alla lotta di Liberazione. Averli avuti e averli tuttora accanto ci da un conforto che nessuna “scomunica” può appannare. Chi tra loro ha ancora recentemente parlato ai più giovani della loro esperienza di Resistenza lo ha fatto in modo autorevole, equilibrato, responsabile: lo ha ricordato anche Erri De Luca ieri sera a Susa in uno dei suoi passaggi più applauditi: c’è un abisso tra l’oppressione di un popolo da parte di un regime dittatoriale ed esterno e il tentativo di imporre (anche attraverso l’uso della forza) un uso del territorio che chi vi risiede non vuole dover subire.Ma ci sono anche delle analogie che autorizzano a richiamarsi a quel diritto-dovere di opporsi a decisioni che possono anche scaturire da percorsi di democrazia formale ma che hanno violato la democrazia sostanziale. Decisioni che comportano (qui come a Taranto, oggi, o nel Vajont ieri) il venir meno di quel principio di precauzione che dovrebbe presiedere a qualunque scelta progettuale, prima ancora di una analisi costi-benefici che però – come sappiamo – è negativa persino circa la desiderabilità di quest’opera per l’intera comunità nazionale (senza contare le perplessità riscontrate in ambito europeo verso un intero programma di grandi opere che sembrano avvantaggiare soltanto il circuito finanziario, che vi individua redditività e garanzie che solo un uso scellerato del denaro pubblico può assicurare ad istituzioni peraltro privatizzate in modo assai discutibile).Annotiamo infine che – stando a quanto scrive “La Stampa” – il presidente Napolitano avrebbe un filo diretto con l’architetto Mario Virano, che in val di Susa ha svolto (su nomina di un gruppo d’impresa coinvolto nella realizzazione e gestione di grandi opere infrastrutturali) l’ad dell’autostrada del Fréjus prima di diventare, per nomina governativa, presidente dell’Osservatorio che doveva stabilire l’utilità dell’opera, e poi commissario per la sua realizzazione. Si tratta di un personaggio certamente informato, ma non per questo in grado di fornire una descrizione obiettiva delle dinamiche in atto, non fosse altro perché la deriva da lui stesso denunciata certifica il fallimento del suo ruolo.Ne discenderebbe il diritto per i cittadini e il dovere per il Capo dello Stato di ascoltare almeno anche le nostre ragioni e “il nostro racconto” della situazione, direttamente o attraverso i nostri sindaci democraticamente eletti. Ma visto che lo stesso presidente oggi in carica si è più volte rifiutato di farlo (e quando non c’erano neanche le avvisaglie di un possibile inasprimento del confronto e quindi nessun “alibi”) potrebbe almeno “sforzarsi” di ricevere i parlamentari eletti nel nostro collegio, che sono motivatamente contrari all’opera. In fin dei conti, dovrebbe essere garante della loro agibilità politica almeno al pari di quella di chi rappresenta le forze di governo.(Claudio Giorno, “Immodesto e non deferente giudizio su un Presidente e le sue iniziative”, 7 ottobre 2013. Ambientalista valsusino già candidato al Parlamento, Giorno è un esponente del movimento No-Tav).«Odio le cattive massime più delle cattive azioni» (Jean-Jacques Rousseau). Giorgio Napolitano ha scritto al direttore de “La Stampa” Mario Calabresi perché Massimo Numa ha ricevuto una pacchetto anonimo con all’interno un guscio di hard disk con polvere esplosiva. Le indagini sono in corso, nessuno ha rivendicato l’azione, il movimento ha rigettato ogni responsabilità diretta o indiretta («pallottole e bombe non ci appartengono») e lo stesso giornalista non ritiene il movimento NoTav all’origine della spedizione (ha addirittura pubblicato ampi stralci di due mail di solidarietà provenienti da attiviste). Dunque l’accostamento è come minimo prematuro, arbitrario o – più subdolamente – strumentale, in un periodo in cui sembra che sia necessario come mai prima distogliere l’attenzione da “altre” indagini di magistratura, che hanno fatto emergere collegamenti diretti e inequivocabili di una cricca ignobile volta ai propri interessi e alle proprie poltrone
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I morti di Lampedusa e la festa dei politici mascalzoni
Nel Canale di Sicilia centinaia di migranti «sono morti affogati dalla legge Bossi-Fini e da una classe politica di mascalzoni», accusa Franco “Bifo” Berardi. Coincidenze: Lampedusa precipita l’Italia nel lutto proprio mentre «Letta, Alfano e Napolitano festeggiano la sconfitta di Berlusconi». Ma quei politici dimenticando un particolare: «Il programma con cui Berlusconi venne sulla scena politica nel 1993 si è integralmente realizzato». Il Cavaliere «voleva che dopo Tangentopoli i democristiani continuassero a governare» e, non trovando un “moderato” capace di realizzare il suo progetto, se ne dovette occupare personalmente. Missione compiuta: vent’anni dopo, sulla scena politica sono rimasti solo democristiani. «Ma soprattutto l’uomo di Mediaset e della P2 voleva distruggere la forza dei lavoratori, ridurre i salari alla metà e costringere i lavoratori a sottomettersi al ricatto infinito della precarietà».Obiettivo pienamente raggiunto, sostiene Berardi su “Micromega”, «grazie ai governi di centrosinistra e a quelli di centrodestra che si sono succeduti in perfetta coerenza e continuità». L’analista traccia un drammatrico parallelo tra Lampedusa e il resto d’Italia: «Nel Canale di Sicilia c’è una fossa comune nella quale per sempre giacciono migliaia di uomini, donne e bambini che le guerre armate dalla follia economica e religiosa cacciano dalle loro case a cercare lavoro e a trovare morte», mentre nelle varie regioni della penisola «decine di migliaia di migranti soffrono in campi di concentramento nazisti inventati dai democratici Turco e Napolitano e rinforzati dai non meno democratici Bossi e Fini con l’istigazione all’omicidio che si chiama “respingimento”». La caduta del Cavaliere sfidato da Alfano? «Un giorno di festa per una classe politica di mascalzoni e di servi».Per Berardi, gli inaffondabili esponenti del Palazzo «festeggiano la ritrovata forza di governo che permetterà loro di distruggere definitivamente la società italiana e di generalizzare a tutta la forza lavoro il decreto schiavista firmato per i lavoratori dell’Expo, che prevede l’imposizione di lavoro gratuito. Festeggiano l’unità che permetterà loro di eseguire i dettati degli speculatori che hanno sottomesso il progetto europeo agli interessi delle grandi banche, e passo passo stanno conducendo l’Europa verso la guerra civile». Intanto, dalle acque di Lampedusa si ripescano cadaveri, che finiscono dentro buste di plastica azzurra. «Quanti altri migranti devono uccidere ancora gli assassini in festa – conclude Berardi – prima che qualcuno cancelli l’infamia della loro legge?Nel Canale di Sicilia centinaia di migranti «sono morti affogati dalla legge Bossi-Fini e da una classe politica di mascalzoni», accusa Franco “Bifo” Berardi. Coincidenze: Lampedusa precipita l’Italia nel lutto proprio mentre «Letta, Alfano e Napolitano festeggiano la sconfitta di Berlusconi». Ma quei politici dimenticando un particolare: «Il programma con cui Berlusconi venne sulla scena politica nel 1993 si è integralmente realizzato». Il Cavaliere «voleva che dopo Tangentopoli i democristiani continuassero a governare» e, non trovando un “moderato” capace di realizzare il suo progetto, se ne dovette occupare personalmente. Missione compiuta: vent’anni dopo, sulla scena politica sono rimasti solo democristiani. «Ma soprattutto l’uomo di Mediaset e della P2 voleva distruggere la forza dei lavoratori, ridurre i salari alla metà e costringere i lavoratori a sottomettersi al ricatto infinito della precarietà».