Archivio del Tag ‘Pd’
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L’Altra Europa con Vendola, stampella del neoliberista Pd
Allarme rosso: il voto italiano offre carta bianca a Matteo Renzi per le sue cosiddette riforme: in caso di difficoltà il premier potrà appellarsi al consenso popolare e minacciare elezioni anticipate. Il programma è noto: una piccola riduzione delle tasse e altri bonus in busta paga per nuove fasce di cittadini serviranno a far digerire nuovi pesanti tagli alle amministrazioni locali (cioè riduzione dei servizi), e soprattutto privatizzazioni massicce, ulteriore precarizzazione del lavoro, deregulation nell’edilizia eccetera, legge elettorale ultra-maggioritaria per blindare l’assetto di potere. Il tutto, recitando la parte di chi cerca di “correggere” – per quel poco che si può – le politiche europee di austerity, «legate all’ideologia neoliberale dominante in tutte le istituzioni della Ue quindi molto solide e modificabili solo per alcuni dettagli», sottolinea Lorenzo Guadagnucci.Tutto questo, «inseguendo la chimera della ripresa e della crescita», ovvero «la speranza che ha probabilmente animato gli elettori italiani, convinti che qualche decimale in più nel Pil, da ottenere con le cosiddette riforme annunciate da Renzi, porterà nuova occupazione e il mantenimento dei servizi pubblici che vengono normalmente dati per scontati, come sanità e scuola». In realtà, puntualizza Guadagnucci su “Micromega”, la “ripresa” e l’aumento del Pil sono «argomenti virtuali, agitati dai tecnocrati e dai capi politici neoliberali in assenza di un’alternativa che sia alla loro portata», dal momento che «l’alternativa porta fuori dal paradigma neoliberale», che lavora per l’azzeramento dello Stato e del welfare, la fine delle tutele pubbliche per i cittadini. «Gli elettori – continua l’analista – prima o poi scopriranno che la chimera della ripresa è appunto tale (è dal 2008 che viene annunciata la ripresa entro pochi mesi) e che in ogni caso l’alta disoccupazione in Europa è un dato strutturale».Gli elettori italiani, anche quelli che hanno votato Renzi, «scopriranno prima o poi che il progetto delle élite politiche neoliberali è quello dichiarato da Mario Draghi l’anno scorso – la fine del sistema sociale europeo, che andrà fortemente ridotto e assegnato ai privati – e precisato da Jp Morgan quando ha sostenuto che le Costituzioni antifasciste nate dopo la guerra sono un ostacolo perché concedono troppi diritti ai lavoratori e ai cittadini che contestano il potere». Ed ecco allora la vera missione politica di Renzi nei prossimi mesi: «Rallentare e rimandare lo smascheramento dell’illusione neoliberale», che per Luciano Gallino è «una sorta di religione», visto che «non ammette confutazioni sulla base dei fatti storici». E’ la teologia dell’élite finanziaria: «La recessione in atto da anni, secondo i sacerdoti di quella dottrina, non è dovuta al fallimento delle sue premesse e promesse, bensì a un’imperfetta applicazione delle regole-dogmi della religione stessa».La cosiddetta crisi, continua Guadagnucci, è in realtà «un sistema di governo che per resistere – in presenza di alta e crescente disoccupazione, destrutturazione dello stato sociale, immiserimento della vita causa mercificazione di ogni aspetto dell’esistenza – dev’essere verticistico e tendenzialmente autoritario: i cittadini devono stare al loro posto, votare ogni 4-5 anni e nel frattempo affidarsi alle oligarchie finanziarie, tecnocratiche e politiche dominanti». Proprio per questo, «si preme per sistemi poltici fortemente maggioritari e fortemente personalizzati». Scontato: «Renzi si muoverà subito in questa direzione, e potrà contare nel tempo sull’appoggio dei grandi media per le sue politiche neoliberali e anche per mascherarne gli effetti nefasti e gli insuccessi rispetto alle grandi promesse formulate nelle settimane scorse (e molte altre sono in arrivo)».La domanda, per Guadagnucci, ora è questa: è ancora possibile immaginare la costruzione di un’area culturale e politica al di fuori dell’ideologia neoliberale? Qualcosa che prefiguri una via d’uscita? In Grecia, Syriza ha ottenuto la maggioranza relativa proponendo una rottura col paradigma neoliberale: oggi quello di Tispras è il primo partito del paese, ma non ha davvero sfondato (è al 26%). In Spagna, la lunga protesta degli “indignados” ha avuto un’eco elettorale in una lista che è arrivata all’8%, “Podemos”, mentre in Italia la lista “L’Altra Europa con Tsipras” ha superato faticosamente la soglia del 4%. Ben diversa la tendenza di Francia e Gran Bretagna, dove Ukip e Front National hanno vinto le elezioni, sfoderando solidi argomenti nazionalisti, sovranisti e contrari all’attuale europeismo. Per un’alternativa democratica italiana, dice Guadagnucci, è necessario innanzitutto rompere col Pd, guidato dall’ex democristiano Renzi che individua in Blair, campione del neoliberismo, l’unica sua parentela con “qualcosa di sinistra”, anche se Blair è l’uomo che ha seppellito le istanze della sinistra in Gran Bretagna per votarsi al culto del mercato. Che sarà della Lista Tispras? Vendola, uno dei suoi maggiori azionisti, già propone una convergenza col Pd. Si accomodi pure, dice Guadagnucci: quello del centrosinistra italiano è un binario morto.Allarme rosso: il voto italiano offre carta bianca a Matteo Renzi per le sue cosiddette riforme: in caso di difficoltà il premier potrà appellarsi al consenso popolare e minacciare elezioni anticipate. Il programma è noto: una piccola riduzione delle tasse e altri bonus in busta paga per nuove fasce di cittadini serviranno a far digerire nuovi pesanti tagli alle amministrazioni locali (cioè riduzione dei servizi), e soprattutto privatizzazioni massicce, ulteriore precarizzazione del lavoro, deregulation nell’edilizia eccetera, legge elettorale ultra-maggioritaria per blindare l’assetto di potere. Il tutto, recitando la parte di chi cerca di “correggere” – per quel poco che si può – le politiche europee di austerity, «legate all’ideologia neoliberale dominante in tutte le istituzioni della Ue quindi molto solide e modificabili solo per alcuni dettagli», sottolinea Lorenzo Guadagnucci.
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Populismo di regime: perché la vittoria di Renzi fa paura
Vietato lasciarsi impressionare dalle percentuali: il Pd di Renzi, sopra la soglia democristiana del 40% grazie all’astensionismo di massa, in realtà ha recuperato due milioni e mezzo di voi (Bersani nel 2013 ne aveva persi quattro). In ogni caso, «pagato il doveroso prezzo ai numeri, l’immagine del paese che ne emerge è da spavento», secondo “Contropiano”. «Per settimane si sono confrontati tre leader extraparlamentari (Renzi, Grillo e Berlusconi), esplicitamente orientati in senso populista», per vaghezza dei programmi e modalità di comunicazione politica. «Tutti e tre si ponevano come “salvatori della patria”, tutti e tre chiedevano un voto per imporre “gli interessi italiani in Europa”, e tutti e tre – con toni appena diversi – promettevano che avrebbero “cambiato l’Europa” mettendo fine alle politiche di austerità». Berlusconi al tramonto, con elettori in fuga che hanno «cercato rifugio nella bolla speculativa renziana», mentre Grillo – nuovo Masaniello – precipita nella crisi perché «non possiede una “cultura politica” in grado di spiegare le battute d’arresto o le sconfitte».Lo schema renziano, vincente, «è invece quello del populismo di regime». Arrivato a Palazzo Chigi senza alcuna legittimazione popolare, dopo la farsa delle primarie Pd, il neo-premier si giocava molto. «È il “volto nuovo” dei vecchi poteri, il punto di convergenza tra costruzione reazionaria dell’Unione Europea e potentati nazionali». Per “Contropiano”, Renzi «doveva dimostrare di saper coagulare consensi intorno a politiche decisamente impopolari, ricorrendo a escamotage apertamente populisti», come quello degli 80 euro, che non ci sono in busta paga nemmeno a maggio, ma qualche voto gliel’hanno portato lo stesso. «Come nel fascismo di cento anni fa, il populismo di regime nasce “socialista” o socialdemocratico, coglie la fine di un’epoca e si propone come rinnovamento generale (“rottamazione”) mentre consolida la parte più efficiente e competitiva del vecchio assetto di potere», sostiene “Contropiano”. Questo particolare populismo «punta dichiaratamente a distruggere i “corpi intermedi” tra società civile e istituzioni (partiti e sindacati, dunque) e a stabilire un rapporto diretto con “il popolo”, saltando a pie’ pari il potere di blocco dei gruppi di interesse consolidati».La parte di paese che si “si affida” al populismo renziano «è un mix di interessi strutturati, illusioni e paure». Tra i tre populismi in gara alle europee, quello di Renzi «è riuscito a sembrare quello con i piedi più piantati per terra, grazie ovviamente a una informazione a senso unico che mai come questa volta deve essere definita di regime». Non ci sono molti dubbi, a questo punto, su ciò che accadrà nei prossimi mesi: «Il governo ne esce rafforzato e completamente identificato con l’attore fiorentino. Andrà avanti come un treno sulle cosiddette “riforme strutturali” (a cominciare dal mercato del lavoro, su cui c’è da attendersi un’accelerazione del “jobs act”) e soprattutto su quelle costituzionali. Su questi due fronti i dubbi – sindacali o di costituzionalisti – verranno spazzati via come neve tardiva di primavera». Il “semestre europeo” a guida italiana? «Rappresenta anche la finestra di “stabilità” entro cui non ci saranno più fibrillazioni politiche interne al palazzo. E solo il prossimo anni sapremo se il consenso attualmente aggregato sarà rimasto ancora addosso al premier. Se sì, ci attende la legge-truffa anticostituzionale chiamata “Italicum” e probabilmente il tentativo di elezioni plebiscitarie».Vietato lasciarsi impressionare dalle percentuali: il Pd di Renzi, sopra la soglia democristiana del 40% grazie all’astensionismo di massa, in realtà ha recuperato due milioni e mezzo di voi (Bersani nel 2013 ne aveva persi quattro). In ogni caso, «pagato il doveroso prezzo ai numeri, l’immagine del paese che ne emerge è da spavento», secondo “Contropiano”. «Per settimane si sono confrontati tre leader extraparlamentari (Renzi, Grillo e Berlusconi), esplicitamente orientati in senso populista», per vaghezza dei programmi e modalità di comunicazione politica. «Tutti e tre si ponevano come “salvatori della patria”, tutti e tre chiedevano un voto per imporre “gli interessi italiani in Europa”, e tutti e tre – con toni appena diversi – promettevano che avrebbero “cambiato l’Europa” mettendo fine alle politiche di austerità». Berlusconi al tramonto, con elettori in fuga che hanno «cercato rifugio nella bolla speculativa renziana», mentre Grillo – nuovo Masaniello – precipita nella crisi perché «non possiede una “cultura politica” in grado di spiegare le battute d’arresto o le sconfitte».
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I mercati: grazie Renzi, hai salvato l’euro-rigore tedesco
Marine Le Pen? Qualcuno le ha già “parlato”, chiedendole di ritirare la richiesta di scioglimento del Parlamento francese dopo il voto delle europee. Troppo pericoloso, per l’élite finanziaria, il credo politico democratico del Front National: via dall’euro, altrimenti usciamo dall’Unione Europea. Chi è stato a “consigliare” alla Le Pen di non radicalizzare lo scontro, in questo momento così delicato per la tenuta delle istituzioni europee? Loro, i “mercati”. Quelli che confidano che tutto si sistemerà alla svelta: dopo lo scossone euroscettico, proveniente da forze non omogenee (euro-perplessi, no-euro, anti-Ue), i popolari della Merkel e di Juncker riprenderanno il pieno controllo della situazione, grazie all’aiuto decisivo del Pd di Renzi, il cui exploit mette in salvo la socialdemocrazia europea stabilizzando il sistema. Insomma: grazie Renzi, dicono i mercati finanziari che sono i massimi responsabili della crisi che sta devastando i nostri paesi.Lo rivela Paolo Barnard, che dichiara di avere accesso a documenti riservati, quelli di «analisti top di due dei maggiori istituti d’investimento del mondo, quelli che consigliano i “mercati” su come muoversi». I famosi mercati, che avrebbero immediatamente “avvertito” (cioè minacciato) Marine Le Pen. «Non ho le prove di questo», ammette Barnard nel suo blog, «ma è risibile pensare di averle», aggiunge. «La certezza che questo è accaduto viene dalla consolidata prassi del Vero Potere da decenni, e oggi noi italiani sappiamo come questi “colloqui” non siano affatto complottismo», come insegna la spettacolare detronizzazione di Berlusconi nel 2011. E ora, dopo il voto europeo, i “mercati” «hanno tenuto il sangue freddo e hanno analizzato la situazione con le seguenti parole, che cito da documenti riservati di cui mi è stato chiesto di non divulgare la fonte». Illuminante il loro “giudizio”, che «assieme alla calata di capo della Le Pen, ha assicurato oggi la vita all’Eurozona», e quindi «la nostra condanna»: «Rimaniamo tranquilli – scrivono – perché è certo che il centrodestra dei Popolari rimarrà il partito di maggioranza», e collaborerà in modo ancora più stretto col centrosinistra grazie all’affermazione di Renzi in Italia.«Considerando i partiti anti-austerità, quelli anti-Eurozona e i nazionalisti anti-immigrazione», si legge nel documento, «il quadro che emerge è questo: in Grecia l’opposizione ha avuto un buon risultato, ma non sufficiente per impensierire il governo a breve. Syriza è anti-austerità ma non anti-Eurozona. Il Pasok non è collassato e il suo successo relativo ci dice che il governo ha superato il punto di maggior rischio. In Francia e Gran Bretagna abbiamo visto un significativo spostamento verso gli euroscettici, ma all’interno di un range che ci aspettavamo. Siamo certi che l’establishment politico saprà rispondere nel breve termine». Non fanno una piega, gli analisti, di fronte al voto europeo. E per loro le migliori notizie (le peggiori, per noi) vengono proprio dal nostro paese devastato dall’euro-rigore: «Il successo del Pd in Italia è la nota di maggior importanza. Ha portato stabilità in opposizione a tutto il fronte euroscettico europeo. La performance di Renzi apre la possibilità di una sua più stretta collaborazione con la Merkel sulla politica generale in Eurozona. L’Italia assume la presidenza Ue in luglio».«L’ottimismo del mercato – aggioungono gli analisti – viene dal fatto che, anche se l’aumento dei partiti anti-Ue può apportare maggiore imprevedibilità alla politica, paradossalmente ciò rafforzerà la determinazione dei tre maggiori gruppi pro-euro a votare per “più Europa” in Parlamento, e congelare così la compagine anti-euro». E non è finita: «Sappiamo che in ogni caso tutto il blocco anti-Ue rimane una cosa incoerente: molti non hanno esperienza di governo, sono gruppetti raffazzonati, con visioni spesso totalmente divergenti su Eurozona, immigrazione ed economia. Quindi i due gruppi mainstream continueranno a dominare». Per Barnard, la frase più inquietante è questa: «In Francia e Gran Bretagna abbiamo visto un significativo spostamento verso gli euroscettici, ma all’interno di un range che ci aspettavamo». Non è necessario commentare, aggiunge Barnard, «se non per ricordarvi che vi ho tante volte detto che il Vero Potere anticipa sempre tutto». La seconda frase-chiave è quella sull’exploit di Renzi, che stabilizza l’euro-sistema e accelera le larghe intese con la Merkel «sulla politica generale in Eurozona».Amarezza: «Che sia il mio paese, il suo popolo, oggi, a rappresentare la rete di sicurezza dell’economicidio e della chemiotassazione neofeudale da euro fa venire da piangere, perché siamo veramente il popolo più stupido del mondo», scrive Barnard, che accusa i grillini di essere «una sottospecie di stolti»: se invece di «sbavare da cefali dietro alla Casaleggio Associati» avessero adottato una linea decisa anti-eurozona, «oggi sarebbero una speranza, qui, invece di una vergogna internazionale». I mastini dei “mercati” infatti non li prendono nemmeno in considerazione: al di là del fatto che il Movimento 5 Stelle ha ottenuto la metà del punteggio elettorale di Renzi, la campagna elettorale di Grillo non hai impensierito neppure per un istante i “dominus” dell’Eurozona, quelli che ci infliggono l’austerity mediante iper-tassazione indotta dalla moneta unica. Il resto dell’euro-platea dei nuovi scettici? Brigate pasticcione, in ordine sparso. Solo Marine Le Pen si è mostrata all’altezza della sfida. «Nessuna delle forze anti-mercati, dalla Lega all’Ukip a Syriza», secondo Barnard possiede «un tipo di arma come la Mosler Economics Mmt», cioè un dispositivo tecnocratico sovranista da opporre agli oligarchi. Così, i “mercati” non si sono scomposti: sanno che potranno continuare a torturarci, come e più di prima.Marine Le Pen? Qualcuno le ha già “parlato”, chiedendole di ritirare la richiesta di scioglimento del Parlamento francese dopo il voto delle europee. Troppo pericoloso, per l’élite finanziaria, il credo politico democratico del Front National: via dall’euro, altrimenti usciamo dall’Unione Europea. Chi è stato a “consigliare” alla Le Pen di non radicalizzare lo scontro, in questo momento così delicato per la tenuta delle istituzioni europee? Loro, i “mercati”, i signori dello spread. Quelli che confidano che tutto si sistemerà alla svelta: dopo lo scossone euroscettico, proveniente da forze non omogenee (euro-perplessi, no-euro, anti-Ue), i popolari della Merkel e di Juncker riprenderanno il pieno controllo della situazione, grazie all’aiuto decisivo del Pd di Renzi, il cui exploit mette in salvo la socialdemocrazia europea stabilizzando il sistema. Insomma: grazie Renzi, dicono i mercati finanziari che sono i massimi responsabili della crisi che sta devastando i nostri paesi.
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De Iulio: e adesso i padroni di Renzi ci faranno a pezzi
«Ci siamo svegliati in un brutto sogno», ammette Pier Francesco De Iulio su “Megachip”, di fronte alla nuova “notte della repubblica” che cala sul paese che fu di Berlusconi. «A tutti coloro che nutrivano aspettative in un cambiamento radicale della nostra rappresentanza politica bisogna parlare con franchezza: rassegnatevi», perché «il vecchio che avanza segna una vittoria elettorale di proporzioni bulgare». La peggiore delle notizie: Matteo Renzi e il suo Pd ipotecano la politica italiana, «e probabilmente lo faranno a lungo». Non ci sarà nessun nuovo corso: «Tutto previsto. Tutto ampiamente annunciato in campagna elettorale». Nessuna reale opposizione al regime di austerity europeo e nessuna opposizione ai diktat degli Usa sull’economia – il Ttip, Trattato Transatlantico – e sulla geopolitica, dal Medio Oriente all’Ucraina. E ancora: «Nessuna reale opposizione alla politica economica delle privatizzazioni selvagge e alla precarizzazione del mondo del lavoro».Campane a morto per la nostra democrazia in via di avanzata rottamazione, dall’abolizione del Senato al micidiale Italicum che impedisce agli elettori di selezionare i propri dirigenti. «Nessuna reale opposizione allo sfruttamento incondizionato delle risorse naturali e allo strapotere delle lobby del petrolio e del carbone», continua De Iulio. «Nessuna reale possibilità si salvaguardare lo “stato sociale” a garanzia dei cittadini, destinato a soccombere definitivamente sotto i colpi di machete del (neo)liberismo. Niente. Niente di niente. Soltanto chiacchiere e distintivo». E’ il seppellimento di qualsiasi possibile alternativa democratica: con o senza «le stampelle offerte da Alfano, i baci di giuda di Berlusconi e l’appoggio “responsabile” di altri possibili compagni di merende», il Pd renziano ormai rappresenta «il tentativo riuscito di dare vita a una nuova grande forza di centrodestra, capace di mettere insieme i potentati e le tante forze conservatrici di questo nostro martoriato paese, con buona pace della vecchia Democrazia Cristiana».De Iulio è pessimista: non vede nessuna reale possibilità che la politica uscita dalle urne delle europee possa «anche soltanto lontanamente provare a cambiare veramente le cose, a invertire la rotta», per evitare «la catastrofe sociale che ci attende», e che è già abbondantemente cominciata. Gli ominicchi della politica italiana? «Riciclati, invece che rottamati: una palude nefasta». Frammentate le opposizioni, sotto il 4% “Fratelli d’Italia”, isolata la Lega di Salvini. Tsipras, comunque tiepido sull’euro, si è fermato sull’orlo dell’esclusione, mentre l’iper-favorito Grillo – nonostante il programma che prometteva un referendum sulla moneta unica e il rituale “no al Fiscal Compact” – ha preferito concentrarsi sui piccoli ladri dell’Expo di Milano, anziché sui grandi ladri della nostra democrazia, che siedono a Bruxelles e a Francoforte, a Washington e a Wall Street, senza peraltro proferire verbo sulla catastrofica crisi dell’Est Europa, che mette in pericolo il futuro di tutti. Onestamente: «Occasione persa? Sì».«Ci siamo svegliati in un brutto sogno», ammette Pier Francesco De Iulio su “Megachip”, di fronte alla nuova “notte della repubblica” che cala sul paese che fu di Berlusconi. «A tutti coloro che nutrivano aspettative in un cambiamento radicale della nostra rappresentanza politica bisogna parlare con franchezza: rassegnatevi», perché «il vecchio che avanza segna una vittoria elettorale di proporzioni bulgare». La peggiore delle notizie: Matteo Renzi e il suo Pd ipotecano la politica italiana, «e probabilmente lo faranno a lungo». Non ci sarà nessun nuovo corso: «Tutto previsto. Tutto ampiamente annunciato in campagna elettorale». Nessuna reale opposizione al regime di austerity europeo e nessuna opposizione ai diktat degli Usa sull’economia – il Ttip, Trattato Transatlantico – e sulla geopolitica, dal Medio Oriente all’Ucraina. E ancora: «Nessuna reale opposizione alla politica economica delle privatizzazioni selvagge e alla precarizzazione del mondo del lavoro».
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Salvare la democrazia: la questione morale della Le Pen
L’inaudito plebiscito pro Renzi, largamente inatteso dallo stesso Pd, relega l’Italia in posizione ancora una volta subalterna e defilata rispetto alla grande partita europea che si è ufficialmente aperta con le storiche elezioni del 25 maggio 2014, con gli euroscettici al comando in due paesi leader come la Gran Bretagna e soprattutto la Francia, dove più è evidente la bancarotta storica (politica, etica e culturale) della socialdemocrazia, la forza che più di ogni altra ha tacitamente supportato l’euro-disastro neoliberista, tradendo il proprio elettorato di sinistra. Se oggi il Pd può raccontare che – insieme a Martin Schulz – tenterà di mitigare l’austerity di Bruxelles imposta dalla Deutsche Bank per tramite della Mekel, potrà farlo solo grazie alla radicale protesta elettorale dei paesi più avanzati, la Francia in primis, che ora costringerà la Troika a fare i conti con la pressante richiesta di sovranità democratica di molti popoli europei, dalla Grecia all’Austria.Nelle ultime settimane, la campagna elettorale italiana ha riesumato – facendone oggetto di contesa polemica – la “questione morale” impugnata da Enrico Berlinguer, indimenticato leader di un partito “eretico” e anomalo, popolare e democratico, impegnato a contrastare energicamente la corruzione della classe politica italiana dell’epoca, cioè la partitocrazia anticomunista cui si perdonavano le tangenti purché facesse argine contro il “pericolo rosso”, in piena guerra fredda contro l’Unione Sovietica. Subito dopo la caduta del Muro, quella storica tolleranza verso la malapolitica italiana cessò di colpo, sotto la scure di Mani Pulite che decapitò la vecchia classe dirigente partitocratica proprio mentre quella nuova, elitaria e tecnocratica, stava già brigando per consegnare il paese all’europeismo delle banche, della grande industria e della finanza. Esattamente il tipo di europeismo al quale, il 25 maggio 2014, milioni di europei (e pochissimi italiani) hanno detto di no.Della questione morale di oggi – quella vera – si è sentito parlare moltissimo nel Regno Unito e soprattutto in Francia, dove «il popolo ha parlato», come ha detto Marine Le Pen, e ha messo al teppeto il socialista Hollande, prono ai diktat del regime affaristico euro-atlantico che ha un solo grande obiettivo: radere al suolo la democrazia, lo Stato di diritto dei cittadini, mediante la privatizzazione definitiva della finanza pubblica, delle banche centrali e della moneta, riducendo a zero la capacità di spesa pubblica. In Italia il nome di Berlinguer è stato speso chiacchierando di auto blu e stipendi d’oro, mentre – come ha ricordato Giorgio Cremaschi alla vigilia delle elezioni – proprio Berlinguer si era opposto al monetarismo dello Sme, il bisnonno dell’euro, intuendo che il controllo delle élite sulla moneta avrebbe messo in ginocchio lo Stato e quindi la democrazia popolare. Questa battaglia, vittoriosa e centrale per il nostro futuro, è stata adottata da Marine Le Pen, contestando il sistema di potere della Francia, cioè dello Stato che fu più decisivo per la nascita di questa insostenibile, oligarchica Unione Europea. Gli italiani? Non pervenuti: il derby era tra Renzi e Grillo, gli 80 euro e le auto blu.L’inaudito plebiscito pro Renzi, largamente inatteso dallo stesso Pd, relega l’Italia in posizione ancora una volta subalterna e defilata rispetto alla grande partita europea che si è ufficialmente aperta con le storiche elezioni del 25 maggio 2014, con gli euroscettici al comando in due paesi leader come la Gran Bretagna e soprattutto la Francia, dove più è evidente la bancarotta storica (politica, etica e culturale) della socialdemocrazia, la forza che più di ogni altra ha tacitamente supportato l’euro-disastro neoliberista, tradendo il proprio elettorato di sinistra. Se oggi il Pd può raccontare che – insieme a Martin Schulz – tenterà di mitigare l’austerity di Bruxelles imposta dalla Deutsche Bank per tramite della Merkel, potrà farlo solo grazie alla radicale protesta elettorale dei paesi più avanzati, la Francia in primis, che ora costringerà la Troika a fare i conti con la pressante richiesta di sovranità democratica di molti popoli europei, dalla Grecia all’Austria.
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Renzi come Silvio, l’Italia non può permettersi i Grillo
«Chi davvero pensava tra i 5 Stelle che il sorpasso fosse possibile, usava droghe molto forti ma anche molto scadenti», scherza Andrea Scanzi, secondo cui «non ci voleva uno scienziato» per intuire che Renzi avrebbe battuto Grillo magari attestandosi attorno al 32%, con 5 punti di scarto sul M5S. «L’evento pressoché imprevedibile non è la vittoria, scontata, ma la portata enorme della vittoria: Renzi ha addirittura sfondato il muro del 40%, doppiando i rivali». Il Pd ha preso più di 2 milioni di voti in più rispetto a un anno fa con Bersani. «Il 2014 sta a Renzi come il 1994 a Berlusconi», scrive il giornalista del “Fatto”. «Dominerà la scena politica per i prossimi vent’anni». Motivi solidi: incarna «un cambiamento morbido e garbato, prossimo al gattopardismo», essendo «scaltro e rassicurante». E ora si prenderà tutto: «Se non è scemo, e non lo è, a breve fa saltare il banco, va al voto, prende una maggioranza bulgara e con un Parlamento ferocemente renziano fa tutte le riforme che vuole».Da ieri, aggiunge Scanzi, i Civati e i Cuperlo contano zero: «Se hanno un minimo di amor proprio vanno di corsa a dare una mano a Tsipras, o a chi ci sarà alle prossime politiche». Renzi? Ormai è «un uomo solo al comando», ancorché circondato spesso «da arroganti e sprovveduti», mentre il grande sconfitto è il Movimento 5 Stelle: non tanto per il voto, quanto le abnormi aspettative alimentate. «In un paese tradizionalista e conservatore come l’Italia, un movimento così anomalo e di rottura che va stabilmente a due cifre (e la prima è un “2”) ha del miracoloso», premette Scanzi. «Per dire: quando sono usciti gli exit poll, che davano Renzi al 33 e M5S al 26.5, fossi stato in loro avrei firmato tutta la vita. Non mi stupisce il secondo posto, e tutto sommato neanche il 21 scarso: mi stupisce il gap rispetto a Renzi. Nonostante i tre milioni di voti in meno rispetto al febbraio 2013, il risultato non è negativo in sé: a giugno 2013 era dato sotto al 20% e invece oggi è ormai seconda forza radicata: chi, 15 mesi fa, avrebbe detto che Di Battista sarebbe stato più forte di Berlusconi?».I problemi sono altri: «Il primo è la forbice sovrumana con Renzi: accettabile fino a 5, dolorosa attorno al 12 (due mesi fa si parlava di Renzi 34% e M5S al 22%), disastrosa con i quasi 20 punti attuali». Il secondo problema, forse ancora più grave, è «la sopravvalutazione di se stessi». Ovvero: «Perché insistere con ‘sto “vinciamonoi”? Perché credere ciecamente nel sorpasso (ma sorpasso de che?)? Perché dare quasi per certo il raggiungimento del 30% o giù di lì? Perché farsi così tanti autogol (“Se non vinco mi ritiro”, cit Grillo)? E’ ovvio che, giustamente, ora mezzo mondo li sfotte. E fa bene a sfottere». Detta più chiaramente: «Numericamente è una sconfitta, ma visto le (folli) aspettative malamente alimentate è un’asfaltata». Evidentemente, i 5 Stelle si erano convinti «che il mondo reale fosse la rete o la piazza piena». Errore: «Hanno forse dimenticato che l’Italia che vota è fatta anzitutto da chi in piazza non ci va mai e magari decide all’ultimo momento». I milioni di indecisi, stavolta, «li ha presi tutti Renzi».Certo, i militanti 5 Stelle sono molto più attivi di quelli del Pd, «ma anche questa non è una novità: pure Luttazzi riempiva i teatri e Santoro faceva incetta di share, ma convincevano i già convinti e la maggioranza reale restava sempre di Berlusconi». Adottando un profilo più basso, continua Scanzi, oggi il M5S avrebbe addirittura potuto sorridere, perché «in Italia la norma è che vincano i Renzi e l’anomalia è che i Grillo vadano sopra il 10 (figurarsi il 20). Se però ripeti ogni istante “vinciamo noi”, poi ti demoliscono per forza». Secondo Scanzi, nonostante tutto, per i 5 Stelle è meglio essere secondi: «A fare opposizione sono bravi, a governare non so». Se non vuole calare ancora, il M5S deve sottoporsi a un “bagno di umiltà” per valutare i troppi errori: «I parlamentari bravi li hanno: vediamo come reagiranno». Soprattutto, per il giornalista del “Fatto”, «un paese governato da Renzi con il pungolo costante dei 5 Stelle è oggi il massimo a cui l’Italia può ambire».«Chi davvero pensava tra i 5 Stelle che il sorpasso fosse possibile, usava droghe molto forti ma anche molto scadenti», scherza Andrea Scanzi, secondo cui «non ci voleva uno scienziato» per intuire che Renzi avrebbe battuto Grillo magari attestandosi attorno al 32%, con 5 punti di scarto sul M5S. «L’evento pressoché imprevedibile non è la vittoria, scontata, ma la portata enorme della vittoria: Renzi ha addirittura sfondato il muro del 40%, doppiando i rivali». Il Pd ha preso più di 2 milioni di voti in più rispetto a un anno fa con Bersani. «Il 2014 sta a Renzi come il 1994 a Berlusconi», scrive il giornalista del “Fatto”. «Dominerà la scena politica per i prossimi vent’anni». Motivi solidi: incarna «un cambiamento morbido e garbato, prossimo al gattopardismo», essendo «scaltro e rassicurante». E ora si prenderà tutto: «Se non è scemo, e non lo è, a breve fa saltare il banco, va al voto, prende una maggioranza bulgara e con un Parlamento ferocemente renziano fa tutte le riforme che vuole».
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Plebiscito Renzi, l’Italia impaurita ha un nuovo padrone
L’Anna Karenina di Lev Tolstoj inizia con il ricordare che «tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». L’Europa uscita da queste elezioni continentali è più che mai una realtà estremamente variegata, e probabilmente infelice. Il regime dell’austerity ha colpito in modi diversi i popoli europei, provocando reazioni molto differenziate. Queste reazioni sono state influenzate dalla maggiore o minore velocità della crisi, dalla diversa tenuta dei partiti tradizionali, dalla capacità di rassicurare gli elettori da parte dei partiti nuovi e di rottura, dalla traiettoria dell’azione dei rispettivi governi. In certi importanti paesi (come nel Regno Unito e in Francia) si sono affermati in modo clamoroso come primi partiti delle forze di netta rottura. In altri paesi (come in Germania, in Polonia e in Italia) ha funzionato una sorta di tradizionale “riflesso d’ordine” in favore del governo. Altrove, come in Grecia e in Spagna, si è rafforzato chi sta a sinistra del Pse. Ovunque si coglie una qualche tendenza netta, ma è dovunque peculiare.Anche il risultato italiano è straordinariamente netto: il Pd renziano rafforza la propria funzione: riorganizzare efficacemente il blocco sociale conservatore nel momento in cui crolla l’analoga funzione berlusconiana, tenendosi all’interno una porzione ancora molto elevata del suo elettorato tradizionale proveniente da sinistra. Una sorta di Dc 2.0 che ritorna alle percentuali del Pci nelle regioni rosse, prende il doppio dei voti dell’opposizione a cinque stelle e tenterà di dare l’impronta decisiva alla Terza Repubblica, promettendo un dinamismo riformatore, sempre di richiamo nel paese del Gattopardo. Chi scrive non aveva affatto previsto la portata di questa avanzata. Ma una previsione per il prossimo periodo va fatta lo stesso.Nel momento in cui l’area di centrodestra prosciugata dal Pd ratificherà pienamente la nuova leadership, si troverà anche la quadratura per eleggere un nuovo presidente della Repubblica in luogo dell’esausto Napolitano: un Draghi o un suo simile che benedica un’era di nuove privatizzazioni e di ulteriore precarizzazione del lavoro. Di fronte all’odierno distacco di 20 punti percentuali tra Pd e M5S, l’ancora molto rilevante opposizione del movimento fondato da Grillo dovrà aprirsi a un modello di partecipazione politica diversa e a linguaggi che non potranno più continuare con lo schema attuale. In Europa abbondano gli esempi per un rinnovamento, a partire da Alexis Tsipras. Intanto, ovunque la situazione si muoverà, all’ombra delle nuove ombre di guerra che l’Europa ha riportato nel continente.(Pino Cabras, “Il boom di Renzi riorganizza il blocco conservatore”, da “Megachip” del 26 maggio 2014).L’Anna Karenina di Lev Tolstoj inizia con il ricordare che «tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». L’Europa uscita da queste elezioni continentali è più che mai una realtà estremamente variegata, e probabilmente infelice. Il regime dell’austerity ha colpito in modi diversi i popoli europei, provocando reazioni molto differenziate. Queste reazioni sono state influenzate dalla maggiore o minore velocità della crisi, dalla diversa tenuta dei partiti tradizionali, dalla capacità di rassicurare gli elettori da parte dei partiti nuovi e di rottura, dalla traiettoria dell’azione dei rispettivi governi. In certi importanti paesi (come nel Regno Unito e in Francia) si sono affermati in modo clamoroso come primi partiti delle forze di netta rottura. In altri paesi (come in Germania, in Polonia e in Italia) ha funzionato una sorta di tradizionale “riflesso d’ordine” in favore del governo. Altrove, come in Grecia e in Spagna, si è rafforzato chi sta a sinistra del Pse. Ovunque si coglie una qualche tendenza netta, ma è dovunque peculiare.
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Fermare il Pd, il partito che ha fatto più danni all’Italia
Non ignoro i limiti ed i problemi del M5S e su questo sito, ma è anche vero che si tratta di un movimento giovane, che deve ancora attraversare il lungo tunnel della propria definizione. Quanto all’accusa di populismo (che peraltro Grillo non respinge ed anzi rovescia in una orgogliosa rivendicazione): io non sono affatto populista, vengo da una cultura politica che non è affatto populista, però so che ogni processo di rivolta contro il sistema ha sempre avuto esordi di tipo populista. Ma, soprattutto, so che questa polemica contro il populismo è la foglia di fico dietro cui queste miserabili élite nascondono le loro incapacità, la loro voracità, i loro ignobili privilegi. Questo mi dice da che parte stare in questo scontro. Io credo che siamo in un momento cruciale della storia del nostro paese. Ed in particolare in Italia, le cosiddette élite stanno dando il peggio di sé.Dopo un ventennio nel quale hanno preparato il disastro presente, si apprestano a svendere questo paese: pezzi pregiati di Eni, Finmeccanica, porti, patrimonio immobiliare e artistico, Ferrovie, Cdp, tutto sta per essere svenduto ed alla fine ci ritroveremo con lo stesso debito ma molto più poveri. Ricordate la svendita delle Partecipazioni Statali degli anni Novanta? Dovevano servire ad abbattere il debito: che fine hanno fatto? In questi venti anni abbiamo avuto un ceto politico sostanzialmente omogeneo, salvo sfumature di stile: stessa cultura politica liberista, stesso uso cinico delle tecniche surrettizie di raccolta di consenso, stessa moralità politica. Entrambe hanno occupato l’intero spazio politico con il solito argomento: vota me per non far vincere l’altro. Ma era una falsa alternativa, come l’esito finale di questo ventennio nero rende evidente.Dunque, è arrivato il momento di rovesciare questa classe dirigente in tutte le sue “varianti”. La specie berlusconiana sembra felicemente avviata all’estinzione, ma ora è il momento di pensare al Pd. Il partito che ha fatto più danni sul piano della democrazia (per tutte si pensi alle leggi elettorali maggioritarie e senza preferenze ed alla riforma del titolo V nel 2001; alla riforma dei servizi segreti del 2007), che sta svendendo la Banca d’Italia, che ha sempre espresso il maggior grado di asservimento agli Usa, che in 20 anni non ha svolto alcuna azione di contrasto alla corruzione, che non ha fatto alcuna legge sul conflitto di interesse chiedendo i voti per farla, che per i giovani propone solo e sempre maggiori periodi di lavoro gratuito (servizio civile, praticantato post laurea, lavoro in azienda durante il periodo scolastico), che, con il pacchetto Treu, ha dato il via alla demolizione dei diritti dei lavoratori, che ha difeso la legge Fornero, etc.Ora, l’approdo alla segreteria Renzi è il punto di arrivo finale della degenerazione di quello che fu un grande partito di sinistra ed è oggi un piccolo covo di intriganti e faccendieri. Posso avere molte perplessità sul M5S, ma in compenso ho la certezza che il Pd di Renzi sia il nemico da battere e punire. E’ probabile che in questo turno Renzi cresca, l’importante ora è ostacolarne al massimo l’avanzata per batterlo nella prossima occasione. Il M5S è lo strumento più efficace che ho per colpire questa classe politica. C’è poi un secondo ordine di motivi: è evidente ormai che l’ordinamento della Ue, con l’euro al centro, sta soffocando l’Europa ed occorra un forte ripensamento di questa costruzione tecnocratica. Se l’Europa dei popoli non è solo uno slogan, ma un’aspirazione vera, occorre prima mandare in frantumi questa Europa dei finanzieri e dei tecnocrati che è inconciliabile con l’altra. Il M5S, in Italia, è l’unico martello che ho a disposizione per colpire l’Europa delle banche, se non voglio lasciare campo libero, su questo tema, alle formazioni fasciste, xenofobe, di destra.Inoltre, come ho sempre dichiarato, sono un convinto fautore della legge elettorale proporzionale come unica garanzia di vera rappresentanza non manipolata e, non solo il M5S è l’unica forza politica dichiaratamente proporzionalista, ma soprattutto so che una forte affermazione del M5S avrebbe l’effetto immediato di paralizzare l’abominevole legge Renzi-Berlusconi che è in discussione in Parlamento. E’ sufficiente che il M5S emerga come secondo polo per far passare qualsiasi velleità di legge maggioritaria a doppio turno. E già questa sarebbe da sola una ragione sufficiente. Dunque, sulla base di queste considerazioni, voterò il M5S.Tuttavia, faccio anche i miei auguri alla lista Tsipras di raggiungere il quoziente richiesto. Una sconfitta di questa lista sarebbe molto negativa, comportando la dissoluzione della sinistra radicale. Certo sarebbe stato auspicabile che questa lista avesse espresso posizioni meno ambigue su questioni come l’Euro e non si fosse rifugiata nello slogan fumoso dell’Altra Europa, che vuol dire tutto e niente; ma sarà un alleato importante la prossima volta, quando avrà chiarito le sue posizioni. E, dunque, che per ora non le manchi il quoziente. Ci pensino quei malpancisti del Pd che non se la sentono di votare per il M5S: hanno quest’altra occasione di voto per sbarrare la strada a Renzi.(“Perché voto M5S, auguri anche alla Lista Tsipras”, estratti dell’intervento che Aldo Giannuli ha pubblicato sul suo blog il 18 maggio 2014).Attenti agli applausi: quelli che Grillo ha rimediato a Torino, nella straripante piazza Castello. Secondo il blog marxista “Contropiano” è utile prendere nota di cosa enstusiasma i seguaci: dalla battaglia No-Tav all’“euro-nazismo” di Schulz, che dimentica i meriti dell’Urss («Non avesse vinto Stalin, oggi Schulz avrebbe una svastica sulla fronte»). E c’è anche il fantasma buono di Enrico Berlinguer, evocato da Giuseppe Zupo per dire che il Movimento 5 Stelle è «l’unico erede, oggi in Italia, della battaglia berlingueriana per la “questione morale”», cioè istituzioni pulite come argine necessario contro la tentazione della violenza, di fronte alla rabbia per uno Stato dilaniato dalla corruzione di casta. Un’élite così moralmente fragile da farsi “comprare”, a poco prezzo, da chi vuol finire di mangiarsi l’Italia in un sol boccone: votare 5 Stelle, dice un ex esponente di Rifondazione Comunista come il professor Aldo Giannuli, storico e politologo, significa punire la classe politica (Pd, in primis) che ha tradito l’elettorato di sinistra per fare politiche di destra, al servizio esclusivo dei poteri forti.
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Il giudice: l’euro condanna a morte l’Italia antifascista
Il trattati europei violano apertamente la Costituzione italiana, vanno in direzione diametralmente opposta: per la nostra Carta, «scritta da persone che avevano fatto la Resistenza e preso atto dell’anti-socialità di un certo capitalismo», la spesa sociale (deficit) è il “mestiere” dello Stato: «L’essenza stessa delle democrazie è la garanzia del benessere a lungo termine, che c’è solo con la piena occupazione della forza lavoro». L’euro e gli eurocrati fanno esattamente il contrario: costringono lo Stato a tagliare la spesa sociale, cioè a tradire la propria missione costituzionale. Lo afferma un magistrato, Luciano Barra Caracciolo, già membro del Consiglio di Stato, impegnato a smascherare l’impostura della governance Ue, affidata a tecnocrati al servizio dell’élite finanziaria. Personaggi che colpevolizzano paesi come l’Italia, che in realtà versa a Bruxelles molto più di quanto non riceva. E’ il gioco sporco dell’oligarchia: «Tanto più si privilegia il capitale nella sua dimensione finanziaria, tanto più si sacrifica il livello di benessere generale e si sposta la ricchezza nelle mani di pochi».Una volta attuate, dichiara Barra Caracciolo ad “Abruzzo Web”, le democrazie costituzionali contemporanee portano a una crescita incrementata programmaticamente da un intervento pubblico «che è, prima di tutto, correttivo dell’assetto di forze che il capitalismo tende a creare». Un assetto «redistributivo verso la parte più debole, e largamente maggioritaria, della comunità sociale». L’effetto di questa correzione statale è che «tutti stanno meglio», perché la priorità indiscutibile è «la soddisfazione dei bisogni collettivi, non certo la stabilità finanziaria intesa come garanzia della intangibilità dei profitti del capitalismo finanziario». La democrazia moderna quindi “aiuta” la maggioranza, non i privilegiati, e questo «non sta bene a chi sta in cima alla piramide», anche perché la crescita del benessere diffuso «comporta una crescita culturale della massa e fa sì che questa abbia maggiore peso politico», contrastando le élite che tendono invece a condizionare i governi dall’alto del loro potere economico. Ed ecco spiegata l’attuale Ue con la sua Eurozona: sbaraccare lo Stato democratico e restituire il potere all’oligarchia, secondo uno schema pre-moderno, neofeudale.Certo, chi è a favore dell’euro spara a zero contro l’Italia, considerata incapace di intercettare al meglio i fondi europei. Errore, interviene il magistrato: i fondi europei sono nel bilancio dell’Ue ma non dell’unione monetaria, «che è stata deliberatamente creata senza un bilancio fiscale federale: i trattati non offrono strumenti compensativi degli squilibri interni all’area euro, e le dimensioni dei cosiddetti fondi Ue sono assolutamente inadeguate al Pil europeo». Ogni altro sistema federale al mondo – Usa, Canada, la stessa Germania – dispone di ben altro budget. Dato il peso economico dell’Europa, secondo l’economista francese Jacques Sapir servirebbe un bilancio federale europeo paragonabile a quello degli Stati Uniti. «Ma di questo bilancio, la Germania dovrebbe sopportare un peso pari a 8-9 punti del proprio prodotto interno lordo: un risultato semplicemente impensabile, e certamente respinto senza equivoci dalla stessa Germania».Dall’Unione Europea (non dall’area euro) si ripete che agli Stati come l’Italia viene semplicemente “restituita”, in parte, una somma che gli Stati hanno già versato. Per effettuare questa contribuzione netta, dati i vincoli di bilancio (drastica limitazione del deficit, fino all’attuale vincolo al pareggio di bilancio), «dobbiamo sostanzialmente rinunciare ai programmi pubblici previsti dalla nostra Costituzione» dice Caracciolo. «L’Unione Europea, in pratica, ne vieta la piena attuazione nei livelli solidaristici da essa previsti, non si scappa. Insomma, diamo dei soldi e ne riceviamo di meno, il meccanismo è questo. Le priorità, poi, vengono pianificate a livello eurocentrico, secondo finalità settoriali, ben diverse da quelle previste dalla nostra Costituzione». Cifre: ogni anno, secondo la Corte dei Conti, sono oltre 6 miliardi in meno che riceviamo rispetto alla nostra contribuzione. Inoltre, per la stabilizzazione della moneta unica – cioè degli squilibri creati dall’euro – solo negli ultimi tre anni abbiamo dovuto pagare, a vario titolo ed emettendo debito pubblico aggiuntivo (che ci viene poi rimproverato come “colpa”, costringendoci a ulteriori dosi di austerità) oltre 53 miliardi, tra cui i 10 miliardi di soccorsi bilaterali concessi a Spagna e Grecia.Ma anche spendendo per sostenere i paesi più deboli, l’Unione Europea non fa la cosa giusta, nel modo giusto: «I fondi accumulati per tenere su i sistemi bancari greci o spagnoli non sono stati usati per incrementare i bilanci di intervento sull’economia reale di quei paesi, ma vengono direttamente dati in pagamento alla Bce», che compra – da Francia e Germania – i titoli di Stato spagnoli e greci Parigi e Berlino avevano acquisito. Oppure, gli “aiuti” vengono immediatamente girati dagli Stati debitori al sistema bancario dei paesi creditori, quello tedesco in primis. In ogni caso, data la sua esiguità, per un vero “salvataggio” non sarebbe sufficiente neppure il fondo del Mes, il meccanismo europeo di stabilità. E così, nel frattempo le tasse aumentano: «Dall’assetto giuridico attuale non possiamo attenderci che una continua progressione della pressione fiscale», dice Barra Caracciolo. Una super-tassazione, «spesso artificiosa e contraria alla Costituzione», realizzata sia attraverso la moltiplicazione del tipo di imposte, sia attraverso «il continuo allargamento normativo delle basi imponibili», che però tendono a contrarsi dato che siamo in recessione.Uno dei drammi italiani è proprio il crollo della domanda interna di consumi, che aggrava il debito perché riduce il gettito fiscale e compromette il futuro: «Se non c’è più domanda interna, non c’è incentivo alcuno a fare nuovi investimenti in Italia. Chi vorrebbe produrre non lo fa perché non ci sono prospettive di vendere il prodotto, e il carico fiscale rende difficile immaginare anche la convenienza dell’esportazione». Per il magistrato, «siamo nel pieno della visione neoclassica dell’economia», quella della destra economica. «Siamo praticamente in stagnazione dal 1992». Già all’epoca del Trattato di Maastricht «era evidente che non si potesse tollerare un vincolo di cambio e di bilancio fiscale del genere e mantenerlo insieme alla crescita». L’euro – moneta rigida e non sovrana – non può che deprimere l’economia, tagliando le gambe all’unico possibile volano risolutivo, l’intervento statale: in una situazione di crisi, senza investimenti pubblici il settore privato crolla.«In un’economia liberista come quella dell’area euro, fondata sulla lotta all’inflazione e sulla limitazione dell’intervento pubblico, si finisce nella trappola della liquidità», spiega Luciano Barra Caracciolo. «Anche se i tassi praticati dalla banca centrale sono vicini allo zero, i soldi rimangono là, fermi. E i risparmi fermi non si trasformano in investimenti». Questo viene regolarmente imputato «alla mancanza di produttività del lavoro, che viene ulteriormente compresso nel salario: ciò che chiamano “riforme strutturali”», dalla riforma Fornero al Jobs Act di Renzi, dopo il pacchetto Treu del primo governo Prodi e poi la legge Biagi. Secondo Giulio Sapelli, siamo sull’orlo di una guerra. In realtà, la competizione tra Stati è già esplosa: avremmo dovuto cooperare, ma è lo stesso Trattato di Maastricht a parlare di “economia sociale di mercato fortemente competitiva”, prefigurando quindi «una competizione tra Stati per la supremazia sul mercato unico».Eccoci qua: «Privi di governo federale e di sovranità monetaria, stretti da vincoli di bilancio che escludono ogni autonoma politica economica e industriale nazionale, gli Stati non hanno più la parte essenziale della sovranità. Ma quella sovranità, sottrattagli ben oltre i limiti previsti dalla Costituzione per consentire di aderire a un’organizzazione internazionale, non è poi esercitata da nessuno, in termini di politiche di interesse generale dei popoli. È come se ci fosse un buco nero in cui la sovranità si disperde». Gli Stati della nuova Europa? «Devono competere tra loro, altre vie non vengono indicate». Secondo Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia, tutto questo non porta sviluppo: si può anche vincere sulle esportazioni, ma nessuno vince se si vuole realizzare questo obbietivo tutti insieme simultaneamente. Risultato: zero crescita comune, proprio grazie alla perduta sovranità “dispersa nel nulla”. L’export in ogni caso non è la soluzione: «Le esportazioni si mandano avanti comprimendo domanda interna e salari: quindi, negli effetti sociali, siamo in guerra», sottolinea Caracciolo. «Chi perde si trova di fronte a perdite epocali e a un impoverimento che diviene irreversibile».Apriamo gli occhi, aggiunge il magistrato: «Non è l’euro ad aver garantito la pace: semmai è uscire dall’euro che porterebbe finalmente a una “pace”, intesa come armonizzazione cooperativa sul piano commerciale e industriale, che oggi non c’è perché è appunto incentivata una guerra commerciale-finanziaria dalla stessa struttura istituzionale della non-politica monetaria accentrata nella Bce». A questa analisi, la propaganda comune – e i mezzi di informazione di massa – replicano nel solito modo, cioè puntando il dito contro i presunti vizi italiani: non abbiamo mai saputo governarci bene, quindi non cresceremmo nemmeno in caso di uscita dall’euro. Il che è falso, puntualizza il giudice: «L’Italia se la cavava benissimo, riuscendo a stare almeno alla pari di Francia e Inghilterra, con una struttura industriale più dinamica». Fino all’irruzione dello Sme, il sistema monetario europeo e quindi il “vincolo esterno” alla spesa pubblica, «la realtà economico-industriale italiana non era affatto quella mostruosità che è stata dipinta ad arte da chi voleva “ridimensionare” l’Italia». Cifre alla mano, Bara Caracciolo smentisce i pro-euro: tra gli anni ‘70 e gli ‘80 l’Italia aveva una bassa spesa pubblica, inferiore di 10 punti alla spesa tedesca.C’era un deficit strutturale, certo, «ma il deficit non è un in sé un elemento negativo per il prodotto interno lordo», visto che corrisponde «all’immissione pubblica di moneta nel sistema», cosa che da noi «ha generato un grande risparmio privato», il primo d’Europa: gli italiani, in altre parole, si sono arricchiti anche grazie all’azione strategica dello Stato, che ha “speso a deficit per i cittadini”, aziende e famiglie, permettendo al sistema-paese di svilupparsi nel modo che abbiamo visto. Il debito pubblico? Altra mistificazione: nel 1981, al momento del divorzio fra Tesoro (Andreatta) e Banca d’Italia (Ciampi), il debito era appena al 58%, sottolinea Barra Caracciolo. Poi è esploso, quando è stato affidato ai titoli di Stato sul mercato finanziario privato, imbrigliando lo Stato prima con lo Sme – tassi di cambio a oscillazione limitata – e infine con l’euro, moneta iper-rigida che ci vincola «a realtà economiche come la Germania, strutturalmente inconciliabili con la nostra». Morale: «Sottraendo deficit e debito dalle mani dello Stato sovrano, si è avuta un’esplosione degli interessi». Non a caso, naturalmente: «Già in quel momento hanno cominciato ad arricchirsi minoranze di privati che sono diventati i sottoscrittori privilegiati di questo debito a interessi superiori al livello dell’inflazione, determinandosi un trasferimento a loro favore dei soldi dei contribuenti».Uno dei refrain del centrosinistra – da Prodi a Renzi – è la necessità di tagliare la spesa pubblica. E’ solo «una scusa», replica Luciano Barra Caracciolo. «In termini assoluti la spesa italiana non è mai stata alta, era sotto controllo: il problema del deficit era in realtà dovuto alla pressione fiscale relativamente bassa rispetto agli altri paesi europei come Francia e Germania», con in più una vasta evasione fiscale. Con Maastricht, si è cercato di “rimediare” aumentando la pressione fiscale su tutte le categorie produttive. Questo, insieme al cambio sfavorevole (l’euro troppo “forte”) e al venir meno del sostegno pubblico (il taglio del deficit) ha provocato «il blocco dello sviluppo industriale», cioè la grande crisi italiana, sottoposta allo choc improvviso della moneta unica, del rigore fiscale e della fine del sostegno pubblico. Il problema dunque non è l’Italia, ma questa Unione Europea. Il famoso malgoverno italiano? «Non era peggiore di altri ordinamenti in competizione, come Francia e Germania», e in ogni caso gli illustri tangentocrati del passato non hanno certo impedito al paese di svilupparsi rapidamente, arricchendo famiglie e aziende. «Capiamoci bene», insietre Caracciolo: «Con le attuali politiche fiscali, e specialmente col pareggio di bilancio, si azzererà il risparmio privato delle famiglie».«È un fatto di contabilità nazionale, non si può non capire un concetto così elementare», continua il magistrato. «Se devo tenere il deficit sotto un certo limite, si deve comprimere la domanda fino a provocare la recessione». Ma attenzione: il deficit non è un problema. Al contrario: «E’ il risparmio del settore privato». Sono soldi che lo Stato spende per cittadini e aziende. Se invece si taglia, e quindi si comprime la domanda interna di beni e servizi, il saldo arriva allo zero. Pareggio di bilancio, appunto. Così, l’onere degli interessi viene trasferito «nelle mani di chi detiene il debito pubblico», cioè «non certo le famiglie, ormai marginalizzate». Peggio ancora: «Col pareggio di bilancio si arriverà addirittura a un risparmio negativo: per fronteggiare la vita e le tasse, i cittadini dovranno vendere i propri beni patrimoniali, intaccando lo stock di risparmio. Questi beni andranno in sovraofferta, e i prezzi caleranno drammaticamente. Guardate i prezzi degli immobili, già in aperta flessione. In vent’anni di Fiscal Compact i valori reali saranno ridotti almeno a un terzo rispetto ai picchi della metà degli anni 2000. Alla fine del processo saremo tutti più poveri».E mentre il Pd continua a chiedere “più Europa”, proponendo il tedesco Martin Schulz alla guida dell’Ue, «si sta deindustrializzando l’Italia: la Germania su tutte vuole controllarla, in quanto sua principale concorrente industriale nell’area euro». Obiettivo: fare del nostro paese «una gigantesca fabbrica-cacciavite, a bassi salari, progressivamente decrescenti». Insiste il giudice: «La Germania non vuole un’Italia viva e vitale, proprio perché è il principale concorrente sul mercato unico. Fingendo di non volerci – come confermano le posizioni di Helmut Kohl durante la trattativa finale per l’introduzione dell’euro – costrinse l’Italia a entrare nella moneta unica, sapendo di poterla neutralizzare definitivamente nella sua competitività grazie al livello di cambio impostoci per sempre». Certo, televisioni e giornali non hanno certo aiutato gli italiani a capire quello che stava accadendo: «Gli editoriali italiani degli ultimi trent’anni sui più importanti quotidiani ci hanno detto enormi bugie, falsificando il senso economico del deficit e della spesa pubblica. Un lavoro ben orchestrato dai padroni finanziari. Colpevolizzando gli italiani e l’Italia spendacciona siamo arrivati alla povertà: dovevamo espiare i peccati e rinunciare a tutti i nostri diritti sociali. In Europa funziona così». Alla Bce è vietato espressamente di sostenere gli Stati e l’occupazione. «Se non cambiamo è la fine: di tutti».I trattati europei violano apertamente la Costituzione italiana, vanno in direzione diametralmente opposta: per la nostra Carta, «scritta da persone che avevano fatto la Resistenza e preso atto dell’anti-socialità di un certo capitalismo», la spesa sociale (deficit) è il “mestiere” dello Stato: «L’essenza stessa delle democrazie è la garanzia del benessere a lungo termine, che c’è solo con la piena occupazione della forza lavoro». L’euro e gli eurocrati fanno esattamente il contrario: costringono lo Stato a tagliare la spesa sociale, cioè a tradire la propria missione costituzionale. Lo afferma un magistrato, Luciano Barra Caracciolo, già membro del Consiglio di Stato, impegnato a smascherare l’impostura della governance Ue, affidata a tecnocrati al servizio dell’élite finanziaria. Personaggi che colpevolizzano paesi come l’Italia, che in realtà versa a Bruxelles molto più di quanto non riceva. E’ il gioco sporco dell’oligarchia: «Tanto più si privilegia il capitale nella sua dimensione finanziaria, tanto più si sacrifica il livello di benessere generale e si sposta la ricchezza nelle mani di pochi».
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La crisi europea alle urne, voto-contro e astensionismo
Matteo Salvini e Giorgia Meloni, cioè Lega Nord e Fratelli d’Italia: sono i due partiti che puntano le armi con più decisione contro l’euro-regime che ha imposto l’austery, portando l’Italia sull’orlo del collasso. Altri, come la Lista Tsipras, mirano invece a correggere il rigore di Bruxelles, senza mettere in discussione il Trattato di Maastricht, quindi l’euro, sul quale Grillo – accreditato all’estero come forza euroscettica – propone di indire un referendum, limitandosi per ora (come Tispras) a dichiarare guerra al Fiscal Compact. Tra gli opinion leader, il più acuto nel proporre un’analisi organica sulla devastante crisi europea è Paolo Barnard, che denuncia la barbarie del neo-feudalesimo di Bruxelles, storicamente organizzata dalle grandi famiglie dell’élite oligarchica franco-tedesca, ostili alla democrazia e quindi a qualsiasi economia sociale. Soluzioni politiche? Nessuna: Barnard è tra quanti considerano le elezioni europee perfettamente inutili, dato che l’Europarlamento continuerà a non avere nessun potere sul governo dell’Unione.Altri, meno pessimisti, sperano che l’establishment di Bruxelles – espressione della Bundesbank e della Bce – possano prendere buona nota degli avvertimenti che, stando ai sondaggi, il voto del 25 maggio riserverà: non tanto in Germania, quanto soprattutto in Francia e in Gran Bretagna, dove è attesa una forte affermazione di Marine Le Pen e Nigel Farage. Determinante l’eventuale successo dei no-euro in Francia: se non si tornerà alla leva fondamentale per finanziare la democrazia, cioè la sovranità monetaria, la Le Pen minaccia l’uscita della Francia dall’Ue. Insieme a Londra, Parigi sembra destinata a trainare un fronte molto vasto, che passa per l’Olanda e l’Austria: formazioni politiche generalmente definite nazional-populiste, ovviamente “di destra”, si incaricano di rappresentare il dilagante malcontento per una crisi sempre più spietata, mentre il centrosinistra europeo (Spd, socialisti francesi e Pd) restano il più solido puntello del micidiale euro-sistema, che precarizza il lavoro in ossequio al neoliberismo finanziario anglosassone e al mercantilismo tedesco.Nel frattempo, la superpotenza americana imbriglia l’Europa tra le maglie del Ttip, il Trattato Transatlantico che potrebbe metter fine agli ultimi capolsaldi del dritto costituzionale europeo in materia di ambiente, lavoro, sanità e sicurezza alimentare, mentre – dopo aver minacciato la Siria e l’Iran – ora affronta direttamente la Russia sul piano geopolitico militare, puntando soprattutto ad accerchiare la Cina con una inedita proiezione nel Pacifico. Secondo Barnard, solo il nuovo capitalismo di Pechino – fondato sulle immense riserve russe di gas e petrolio a sorreggere lo yuan come futura moneta internazionale – potrebbe innescare un benefico terremoto macro-economico in grado di mandare a monte i piani degli euro-oligarchi, che da trent’anni lavorano per metter fine alla sovranità democratica in Europa e alla nostra economia sociale. Un orizzonte sul quale, evidentemente, è impensabile che possa incidere il risultato elettorale per le europee. Che, almeno per l’Italia, sembra destinato essenzialmente al mercato politico interno, cioè il derby Renzi-Grillo. L’Italia non è mai stata male come adesso, e non c’è più neppure l’alibi del detestato Cavaliere. Quanto peserà il partito del non-voto?Matteo Salvini e Giorgia Meloni, cioè Lega Nord e Fratelli d’Italia: sono i due partiti che puntano le armi con più decisione contro l’euro-regime che ha imposto l’austery, portando l’Italia sull’orlo del collasso. Altri, come la Lista Tsipras, mirano invece a correggere il rigore di Bruxelles, senza mettere in discussione il Trattato di Maastricht, quindi l’euro, sul quale Grillo – accreditato all’estero come forza euroscettica – propone di indire un referendum, limitandosi per ora (come Tispras) a dichiarare guerra al Fiscal Compact. Tra gli opinion leader, il più acuto nel proporre un’analisi organica sulla devastante crisi europea è Paolo Barnard, che denuncia la barbarie del neo-feudalesimo di Bruxelles, storicamente organizzata dalle grandi famiglie dell’élite oligarchica franco-tedesca, ostili alla democrazia e quindi a qualsiasi economia sociale. Soluzioni politiche? Nessuna: Barnard è tra quanti considerano le elezioni europee perfettamente inutili, dato che l’Europarlamento continuerà a non avere nessun potere sul governo dell’Unione.
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Zupo, ex dirigente Pci: il M5S unico erede di Berlinguer
«Ai miei tempi l’onestà era un dna che andava preservato accuratamente, oggi è un optional fastidioso. Il pensiero di Berlinguer è attualissimo e l’unico erede della questione morale è il Movimento 5 Stelle». Parola dell’avvocato Giuseppe Zupo, 73 anni, responsabile nazionale giustizia del Pci ai tempi di Berlinguer. «Allora – dice Zupo, intervistato da “Micromega” – la corruzione non aveva il peso devastante che ha assunto negli anni successivi». C’era il terrorismo, che «trovava terreno fertile tra l’insoddisfazione dei giovani e delle masse popolari». Per questo Berlinguer «si è preoccupato di riguadagnare la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato, da qui la questione morale e l’intransigenza sull’onestà delle istituzioni». La battaglia di Grillo, dunque. E Renzi? «E’ il nulla, e sul niente c’è poco da dire». Quanto a Vendola, «sull’Ilva di Taranto ha fatto uno scivolone terribile e avrebbe dovuto trarne immediatamente le conseguenze: non si ride con i padroni che hanno inquinato una città e prodotto morti su morti».Questione morale non significa solo “non rubare”, è l’idea che lo Stato e le istituzioni democratiche sono un bene pubblico, «da preservare con attenzione essendo di proprietà di una comunità, frutto di sforzi di generazioni che nel passato hanno costruito le fondamenta per quelle future». Per Zupo, la “questione morale” impugnata dal leader del Pci era figlia della grande tradizione liberale, proveniente dalla Rivoluzione Francese, «non relegabile al campo della sinistra» ma cara a qualsiasi sincero democratico. Poi, dopo Berlinguer, il declino inarrestabile dei grandi ideali, in quel partito. Zupo “salva” anche il successore di Berlinguer, Alessandro Natta: dice che fu «defenestrato, mentre era in ospedale, dai vari D’Alema, Occhetto e Veltroni: lo dichiararono dimissionario – mentre era un falso – e lui apprese dal giornale radio di non essere più segretario del Pci». Prima di morire, nel 2001, Natta ha rilasciato un’intervista all’Unità: denunciava «la degenerazione che si era creata con Occhetto».Domanda: tra le forze politiche organizzate di oggi, chi ha preso il testimone di Berlinguer sulla questione morale? «Lo so, farò inorridire i miei compagni di una volta», premette Zupo. «Sono comunista semel semper berlingueriano e dopo il Pci non mi sono iscritto a nessun partito perché nessuno ha portato più avanti quei valori. Ora – dichiara – vedo nel M5S l’unico possibile erede». Una convinzione radicata: «Ho votato il movimento alle ultime elezioni nazionali e – pur non essendo un uomo ricco – l’ho finanziato. Sono andato al comizio di San Giovanni a Roma, prima del voto, e sono rimasto colpito dall’enorme partecipazione e dalla composizione della piazza: cittadini, lavoratori, giovani. La rappresentanza come servizio nelle istituzioni, a termine, per poi ritornare al proprio status di prima. Senza fortune politiche come avviene per gli altri partiti». Confortante, per Zupo, anche il dopo-voto: «I parlamentari 5 Stelle sono persone normalissime: casalinghe, ingegneri, impiegati, gente dalla porta accanto, non arruffoni di soldi e poltrone. Per questo sono del M5S e tornerò a votarlo».«Dall’altra parte – continua l’avvocato – abbiamo quel Pd che, tra l’incostituzionale “Porcellum” e la nuova legge elettorale, ha abrogato le preferenze togliendo alle persone il diritto di poter selezionare la propria classe dirigente. Il nominare loro i parlamentari è solo l’ennesimo atto di autoreferenzialità di una politica ormai lontana dai cittadini». Ormai il Pd è il partito di Renzi. «Berlinguer riteneva che Occhetto fosse solo un venditore di slogan e non un costruttore di politiche. Io penso lo stesso del premier Matteo Renzi, non aggiungo altro: è il nulla». Nella sinistra ufficiale, ci sono anche personaggi come Civati, il quasi-dissidente. «Civati è una persona simpatica e educata ma è compatibile al sistema», dice Zupo: «Ogni volta è lì lì per rompere e poi rientra nei ranghi: voto il M5S perché voglio una forza capace di ribaltare il tavolo su cui questi signori consumano la politica, e non qualcuno che cambi loro le stoviglie».Ai 5 Stelle, conclude l’avvocato, sono stati tesi dei trabocchetti, per esempio da Bersani, e i neoparlamentari hanno commesso errori d’inesperienza e ingenuità: per questo vanno sostenuti, perché continuino a crescere. Il Pd, invece, «ha disperso un immenso patrimonio, quello del Pci». Come diceva Natta, «non hanno tenuto conto che eravamo il punto di arrivo di una particolarità storica, significativa e apprezzata a livello internazionale: un partito socialdemocratico, sul modello scandinavo, che aveva con sé la classe operaia». Tutto questo, sostiene Zupo, non deve andare perduto, e il Movimento 5 Stelle è un’occasione: «In Europa il malcontento si sta riversando verso partiti reazionari, fascisti o addirittura neonazisti, mente qui da noi prende le sembianze del M5S che è invece antifascista, democratico e progressista. Basta osservare come Grillo ha replicato al corteggiamento di Marine Le Pen. Questa specificità del M5S andava compresa e sostenuta, e non osteggiata come fatto dal Pd. Anche le istituzioni che continuano ad accusare il movimento di populismo sbagliano in maniera grossolana».«Ai miei tempi l’onestà era un dna che andava preservato accuratamente, oggi è un optional fastidioso. Il pensiero di Berlinguer è attualissimo e l’unico erede della questione morale è il Movimento 5 Stelle». Parola dell’avvocato Giuseppe Zupo, 73 anni, responsabile nazionale giustizia del Pci ai tempi di Berlinguer. «Allora – dice Zupo, intervistato da “Micromega” – la corruzione non aveva il peso devastante che ha assunto negli anni successivi». C’era il terrorismo, che «trovava terreno fertile tra l’insoddisfazione dei giovani e delle masse popolari». Per questo Berlinguer «si è preoccupato di riguadagnare la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato, da qui la questione morale e l’intransigenza sull’onestà delle istituzioni». La battaglia di Grillo, dunque. E Renzi? «E’ il nulla, e sul niente c’è poco da dire». Quanto a Vendola, «sull’Ilva di Taranto ha fatto uno scivolone terribile e avrebbe dovuto trarne immediatamente le conseguenze: non si ride con i padroni che hanno inquinato una città e prodotto morti su morti».
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Euro-nazisti, negano la strage. Hitler era meno bugiardo
Quattro milioni e 68.250: è il numero delle persone che in Italia sono state costrette a chiedere aiuto per mangiare nel 2013, con un aumento del 10% sull’anno precedente. Lo ha calcolato la Coldiretti, analizzando il piano di distribuzione degli alimenti agli indigenti realizzato dall’Agea, l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, in riferimento ai dati Istat sulle famiglie rimaste senza reddito. Notare che si tratta di cifre ufficiali, approssimate per difetto, visto che non tengono conto di chi ha chiesto aiuto attraverso canali informali, cioè amici e parenti. Un dato destabilizzante, rileva “Come Don Chisciotte”, nonostante sia stato sostanzialmente oscurato dai media mainstream. Colpo d’occhio: «Se mettessimo in fila quelle persone, dando a ciascuna soltanto mezzo metro di spazio, si formerebbe una fila che parte da Reggio Calabria e finisce a Bruxelles», ovvero la città «in cui ha sede il meccanismo di dominazione tirannica basato sullo smantellamento delle istituzioni democratiche e sull’impoverimento generalizzato che si definisce Unione Europea».Si può calcolare che, «per ciascuno di quelli che hanno chiesto un pasto caldo o il pacco alimentare, ci sia solo un’altra persona a condividerne in qualche modo o a subirne di riflesso le sofferenze: giusto quanti ne bastano per far sì che quella fila, una volta arrivata a Bruxelles, possa tornare indietro fino a Reggio Calabria». E se agli italiani costretti a umiliarsi aggiungiamo milioni di cittadini Ue, ridotti in miseria dalla moneta unica? «A quel punto, il continente che un tempo possedeva il più avanzato e inclusivo sistema di welfare – e per questo era universalmente stimato e rispettato come quello in cui la sua civiltà millenaria si esprimeva al livello più alto – si vedrebbe attraversato in ogni direzione da file di diseredati, lunghe migliaia e migliaia di chilometri», scrive “Clack” su “Come Don Chisciotte”. «Se i progetti grandiosi della Ue, come i cosiddetti corridoi ferroviari trans-europei ad alta velocità che avrebbero dovuto attraversare il continente da un lato all’altro sono rimasti in gran parte sulla carta, in compenso l’Europa reale ha realizzato file ancora più lunghe di poveri, disoccupati e affamati, e ha fatto in modo da distribuirle sul territorio in maniera persino più capillare».Solo la Seconda Guerra Mondiale, aggiunge il blog, è stata capace di produrre qualcosa di simile: le conseguenze della moneta unica sono paragonibili a un evento bellico di quella portata. «Negli Stati che dovrebbero essere affratellati dai trattati di unione si sta effettivamente combattendo una guerra», con mezzi «forse più micidiali dei carri armati, essendo capaci di produrre danni ancora maggiori». Tutto questo per che cosa? «Per dare soddisfazione alla patologia di accumulazione compulsiva di un branco di oligarchi, e il doveroso compenso ai politici al loro servizio», politici «non eletti da nessuno» ma con un potere da usare «nella realizzazione del più micidiale strumento di devastazione sociale e istituzionale oggi conosciuto, quello che risponde al nome di euro». Sicché, «di fronte a un disastro simile, causato deliberatamente, il capo del terzo governo fantoccio che si succede in Italia in poco più di due anni non trova di meglio che rispondere con l’elemosina degli 80 euro una tantum», che peraltro «dovranno essere ripagati mediante misure più costose e permanenti, come al solito a spese dei redditi medio-bassi».Quella somma andrà a chi ha già una busta paga, per quanto misera. Viceversa, chi non ha niente – ovvero il milione e più di famiglie senza reddito – non avrà nulla. «Questo in base alla logica consolidata negli anni che prevede l’abbandonare al proprio destino la fascia dei più bisognosi, di giorno in giorno più ampia». Per “Clack”, è «il principio fondamentale della politica sociale dei partiti di falsa sinistra, da decenni intenta alla spoliazione e all’impoverimento generalizzato dei ceti subalterni». Quei partiti – Pd in testa – si sono «messi al servizio delle élite per eseguire le politiche più oltranziste della destra finanziaria», che sono lo strumento per realizzare «gli obiettivi propri del capitalismo assoluto», anche di fronte all’opinione pubblica si tenta sempre di «nascondere le responsabilità oggettive di chi ha precipitato nelle condizioni attuali un paese che, prima della moneta unica, era ai vertici delle classifiche dei paesi manifatturieri e caratterizzato da un benessere diffuso con equità ragionevole». Torniamo al potere assoluto dell’élite, al tempo i cui, in Colorado, i Rockefeller facevano strage delle famiglie dei minatori, che chiedevano condizioni di vita meno disumane.Autori ed esecutori della restaurazione iper-capitalistica e della conseguente macelleria sociale oggi in atto? Sono «nazisti, moderni Mengele», anche se questo può «apparire come la più inaccettabile delle enormità, alle anime belle e tanto volenterose del progressismo nostrano, fedele seguace della sinistra asservitasi al fondamentalismo reazionario del liberismo globalizzato». Nel mondo occidentale si viene ammaestrati fin dalla più tenera età a riconoscere il nazismo come il male assoluto per definizione, inarrivabile per ogni altra cosa. Ma se il nazismo «agiva in nome e per conto del proprio Stato», sia pure con metodi abominevoli, la classe politica di oggi «opera su mandato di poteri esterni, dei quali si è fatta collaborazionista, o meglio fantoccio». Inoltre, «il nazismo riconosceva la propria natura, non aveva problemi a palesarla», viceversa «i moderni sgherri dell’assolutismo iper-capitalista si mascherano vilmente dietro le loro teorie deliranti», ripetute fino a renderle dogma, «dietro la facciata delle istituzioni democratiche che nel frattempo hanno provveduto a sovvertire, svuotandole».Proprio l’essersi palesate in quanto tali è stato il primo punto debole di quelle dittature, aggiunge il blogger, che non a caso a suo tempo sono state finanziate molto generosamente dalle banche controllate da chi oggi persegue il disegno di dominazione globale. Le dittature storiche le guerre le dichiaravano, combattendo alla luce del sole, mentre i tiranni di oggi «muovono guerre invisibili ma ancora più micidiali, che sovente hanno per vittima il loro stesso Stato o quelli con cui si è legati da trattati di unione o amicizia». Se il nazismo non temeva l’evidenza delle sue azioni, l’istinto dei dominatori attuali è quello, innanzitutto, di nascondersi, mentire, non ammettere i loro obiettivi. E’ una «cripto-dittatura», ben più pericolosa e devastante «proprio perché praticamente invisibile». Continua “Come Don Chisciotte”: «Definire nazisti gli autori dell’odierno massacro sociale, dunque, è fuorviante ma soprattutto riduttivo». Già Orwell, in “1984”, segnalava la mancanza di vocaboli adeguati a definire un totalitarismo pervasivo e subdolo, non dichiarato. E’ questo il vero capolavoro dell’élite: l’uomo comune – la sua vittima – non sa neppure cosa stia accadendo. Come potrebbe difendersi dall’aggressione?Quattro milioni e 68.250: è il numero delle persone che in Italia sono state costrette a chiedere aiuto per mangiare nel 2013, con un aumento del 10% sull’anno precedente. Lo ha calcolato la Coldiretti, analizzando il piano di distribuzione degli alimenti agli indigenti realizzato dall’Agea, l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, in riferimento ai dati Istat sulle famiglie rimaste senza reddito. Notare che si tratta di cifre ufficiali, approssimate per difetto, visto che non tengono conto di chi ha chiesto aiuto attraverso canali informali, cioè amici e parenti. Un dato destabilizzante, rileva “Come Don Chisciotte”, nonostante sia stato sostanzialmente oscurato dai media mainstream. Colpo d’occhio: «Se mettessimo in fila quelle persone, dando a ciascuna soltanto mezzo metro di spazio, si formerebbe una fila che parte da Reggio Calabria e finisce a Bruxelles», ovvero la città «in cui ha sede il meccanismo di dominazione tirannica basato sullo smantellamento delle istituzioni democratiche e sull’impoverimento generalizzato che si definisce Unione Europea».