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Mattarella esaudirà Renzi-Grillo (Ue) o gli Usa, cioè Salvini?
Singolare coincidenza: nel momento esatto in cui in Senato Matteo Renzi “randellava” Salvini e lanciava segnali ai 5 Stelle, Nicola Zingaretti dettava alle agenzie una nota pesantissima contro Giuseppe Conte, accusandolo di aver taciuto per quindici mesi davanti alle “sgrammaticature istituzionali” del suo ministro dell’interno. Ma attenzione: Sergio Mattarella non si lascerà trasformare in “ostaggio” del Pd, sostiene Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, commentando l’evoluzione della crisi di governo aperta formalmente il 20 agosto con l’annuncio delle dimissioni di Conte, che ha rimesso il mandato al presidente della Repubblica dopo lo scontro a distanza con Salvini, deluso dai grillini. Per i 5 Stelle proprio da Conte bisogna ripartire, mentre per il segretario del Pd evidentemente no. Eppure – scrive Del Duca – il premier uscente ha fatto di tutto per accreditarsi come leader moderato in grado di guidare un nuovo esecutivo “giallorosso”. «È di tutta evidenza che il punto critico che deciderà l’esito della crisi è dentro il Pd, con Renzi fautore di quell’accordo con il M5S che silurò quindici mesi fa, e Zingaretti gelido sostenitore dell’opportunità del ritorno al voto».Bruciato Conte, secondo Del Duca resta impensabile che i 5 Stelle accettino un premier gradito al Pd. E se nell’assegnare l’incarico Mattarella si prenderà qualche giorno «sarà solo per consentire all’attuale premier di partecipare venerdì e sabato al G7 di Biarritz», da dimissionario, ma non ancora del tutto fuori gioco. «In ogni caso, il punto critico che determinerà l’esito della crisi appare il confronto dentro il Pd, con i renziani nettamente in vantaggio sul piano comunicativo, della narrazione di questa nuova convergenza come utile e necessaria per il bene del paese. Il favore della grande stampa a questo schema appare evidente». L’unico schema alternativo al “governo giallorosso” in grado di evitare le urne sarebbe quello di una ricomposizione in extremis di una convergenza fra 5 Stelle e Lega, «che in astratto non si può escludere, ma che non potrebbe vedere Salvini nella compagine di governo e – di conseguenza – neppure Luigi Di Maio». I segnali in questa direzione – dice Del Duca – non mancano, «soprattutto dal lato leghista», mentre i 5 Stelle in Senato hanno espresso rabbia nei confronti dell’ex alleato, che li ha appena scaricati.Alla fine sarà Mattarella a dover operare una scelta, anche se «non farà nulla per imporre una soluzione piuttosto che un’altra», sostiene Del Duca. Anzi, se i renziani si attendono che dal capo dello Stato possa venire l’invito a farsi carico del governo con i 5 Stelle in nome di un interesse superiore, «la delusione è dietro l’angolo: certi interventi che si son visti con Scalfaro e Napolitano ben difficilmente saranno replicati dall’attuale inquilino del Quirinale». C’è da sperarci, visto che proprio Mattarella – per la gioia di Draghi, tramite Ignazio Visco di Bankitalia – nel 2018 fu il primo frenare il governo gialloverde, privandolo della spinta di Paolo Savona, che avrebbe radicalmente reimpostato le linee economiche aprendo una vertenza a testa alta con Bruxelles. Savona avrebbe cercato di sottrarre il paese alla sudditanza dai cosiddetti “mercati”, pilotati dai poteri forti dell’Ue. Se invece sta per compiersi l’ennesimo “scippo” di democrazia, col partito più votato costretto all’opposizione, non ne manca il corollario: oltre al grottesco attivismo di Renzi e all’indegno voltafaccia del suo alleato Beppe Grillo, parlano da sole le esternazioni dei grillini in Senato il 20 agosto: camionate di odio contro Salvini, accuse ridicole (assenteismo) e silenzio di tomba sull’infinita serie di tradimenti dell’elettorato e fallimenti governativi di cui si sono resi responsabili i pentastellati.Nell’inevitabile foga polemica della parlamentarizzazione della crisi, si rischiano di perdere di viste le linee di fondo che l’hanno innescata, ovvero l’attacco concentrico dell’establishment ai danni dell’ingombrante leader della Lega, il politico più amato dagli italiani. Assediato dalla magistratura anche sul caposaldo della sua politica di bandiera – lo stop all’accoglienza illimitata e demenziale dei migranti – Salvini si è visto recapitare una richiesta mostruosa, quasi 50 milioni di euro da “restituire” allo Stato, per rimediare all’antico ammanco (infinitamente inferiore) addebitato alla Lega di Bossi. Da lì la spedizione esplorativa di Gianluca Savoini a Mosca, in cerca – si dice – di aiuti finanziari russi per consentire alla Lega di sopravvivere come partito e quindi svolgere regolare attività politica? Salvini, sostiene Gianfranco Carpeoro, non aveva alternative: sapeva che, se non avesse aperto il divorzio politico (ben motivato, peraltro, dall’imbarazzante latitanza governativa dei grillini) entro fine anno sarebbe finito in trappola, costretto in un modo o nell’altro alle dimissioni. Ora la palla è nel campo di Mattarella: sarà “passata” a Renzi e Grillo, allineati al rigore di Bruxelles come conferma il voto a Ursula von der Leyen, o invece la parola sarà restituita agli elettori, come – sostiene Giulio Sapelli – in fondo chiedono gli Usa, che restano vicini a Salvini, unica carta europea teoricamente disponibile per limitare, domani, lo strapotere dell’oligarchia reazionaria e post-democratica europea?Singolare coincidenza: nel momento esatto in cui in Senato Matteo Renzi “randellava” Salvini e lanciava segnali ai 5 Stelle, Nicola Zingaretti dettava alle agenzie una nota pesantissima contro Giuseppe Conte, accusandolo di aver taciuto per quindici mesi davanti alle “sgrammaticature istituzionali” del suo ministro dell’interno. Ma attenzione: Sergio Mattarella non si lascerà trasformare in “ostaggio” del Pd, sostiene Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, commentando l’evoluzione della crisi di governo aperta formalmente il 20 agosto con l’annuncio delle dimissioni di Conte, che ha rimesso il mandato al presidente della Repubblica dopo lo scontro a distanza con Salvini, deluso dai grillini. Per i 5 Stelle proprio da Conte bisogna ripartire, mentre per il segretario del Pd evidentemente no. Eppure – scrive Del Duca – il premier uscente ha fatto di tutto per accreditarsi come leader moderato in grado di guidare un nuovo esecutivo “giallorosso”. «È di tutta evidenza che il punto critico che deciderà l’esito della crisi è dentro il Pd, con Renzi fautore di quell’accordo con il M5S che silurò quindici mesi fa, e Zingaretti gelido sostenitore dell’opportunità del ritorno al voto».
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Vergogna M5S: ha tradito tutti, dai suoi elettori a Salvini
Nel 2014, il cofondatore del M5S Gianroberto Casaleggio rilasciava a “Il Fatto Quotidiano” una lunga intervista, dal titolo “Pacta Sunt Servanda”. Spaziando su molti argomenti, Casaleggio riassumeva l’idea di democrazia semplice e diretta che stava alla base del MoVimento: in politica gli impegni vanno mantenuti e chi non lo fa deve essere cacciato. Riferendosi al sindaco di Parma, l’allora pentastellato Federico Pizzarotti, Casaleggio sentenziava senza mezzi termini: «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa». Parole inequivocabili, che riflettevano una visione alternativa dei rapporti tra eletti e cittadini elettori. Nell’aprile 2019, dopo aver portato avanti efficaci campagne di demonizzazione e demolizione degli avversari politici ed avere ottenuto il potere, il M5S è arrivato a negare totalmente alcuni temi per i quali era stato da sempre sostenuto dai cittadini. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte le cose vanno indipendentemente dalla volontà di chi agisce. E vero, ma passare dal NoVax, NoTav e NoUe al Sì Vax, Sì Ue e infine Sì Tav non equivale a discorrere di quisquilie.E quanto all’Ue, il cambiamento da demolitori in aperti sostenitori non trova neppure una spiegazione razionale, perché quella del sostegno all’assetto dell’Ue in difesa del Pil italiano pronunciata dal senatore Lanzi lo scorso aprile è e rimane una “kaxxata” che solo persone prive di capacità cognitive potrebbero accettare per buona. Ma come, vieni a dirmi che dobbiamo difendere l’istituzione che ci ha massacrato economicamente e socialmente per 20 anni per salvaguardare proprio quel Pil italiano che è stato fatto a pezzi dai Lorsignori a marchio Bruxelles? E questo dopo che per 10 anni ripeti ovunque che quell’Europa istituzionale, che ora vuoi sostenere, è un Club Med di rispettabili criminali, arricchiti burocrati asserviti ai neoliberisti mondiali che nell’assetto dell’Ue e nelle sue regole capestro hanno trovato un altro giocattolo per far pagare le crisi finanziarie ai meno abbienti, italiani inclusi?Quanto alla Tav serve veramente a poco che Grillo dica che «non avere la forza numerica per bloccare l’inutile piramide non significa essersi schierati dalla parte di chi la sostiene». Servirebbe piuttosto chiedersi se il MoV ha cercato degli alleati per allargare il fronte istituzionale del dissenso in questi anni. Di fronte a fallimenti continui come si può affermare che qui si tratta di coerenza e non di rigidità? Con che coraggio o mancanza di vergogna si dichiara che se il resto d’Europa vuole la Tav, il M5S ha comunque coerentemente fatto tutto quello che doveva e quindi non è responsabile? Ma se impegnarsi e non riuscire a mantenere gli impegni comporta l’ammettere la propria inadeguatezza e andarsene – Casaleggio, mai sconfessato da Grillo, dixit – a cosa serve dire che si è fatto il possibile? E allora Pizzarotti che ha percorso tutte le vie legali per fermare l’inceneritore di Parma e non vi è riuscito cosa doveva fare? Andare di notte con un commando ed esplosivo e farlo saltare? Eppure lui doveva dimettersi – giustamente – e chi sta al governo che ha fatto un voltafaccia su tutto, no?!A questo punto rimarrebbe da spiegare il comandamento etico dei “pacta sunt servanda”, mai venuto meno per il M5S, e che in democrazia dovrebbe valere per tutti, semper Casaleggio Senior dixit. Dov’è il tradimento di Pizzarotti che, vistosi impossibilitato a mantenere una promessa elettorale, dopo aver esaurito tutte le vie legali, ha tentato di trattare con i poteri forti per restare a galla cercando di contenere i danni dell’inceneritore? Non è la stessa cosa che tenta di fare il M5S “per sopravvivere”, dopo che la decisione di Salvini di aprire la crisi di governo lo ha riportato alla realtà del voto e delle scelte maldestre e antitetiche al programma condiviso con la Lega in Europa? Quindi se fallire vuol dire “te ne vai”, anche se ci si può rifiutare comprensibilmente di associare al fallimento qualche dietrofront o inciampo su punti marginali, fallire totalmente su battaglie che in teoria rappresentavano l’anima politica del M5S, le promesse chiave di quel rinnovamento che voleva portare in Italia, cosa comporta? Starsene in poltrona per dire che si è coerenti e che gli altri sono brutti, cattivi e corrotti?Si leggono in questi giorni messaggi di ogni tipo su social che incolpano dell’attuale crisi di governo l’orco Salvini, l’irresponsabile traditore che vuole consegnare l’Italia all’ultradestra. Alternativamente Salvini cede il primo posto sulla gogna mediatica agli italiani, agli Usa, a Di Battista, meno a coloro che dirigono il M5S e che hanno sostenuto il suo sistema. Per i “veri” appartenenti al M5S, dal MoV dovrebbero uscire, anzi essere cacciati, i traditori, gli infiltrati, i fascisti… va bene, ma poi chi ti rimane? Intendo dire che se cacci i fascisti da un partito-azienda dove sopravvive e viene promosso chi fa la volontà del capo, che è una sola persona, non è che poi rimangono molti, dopo aver fatto pulizia. Ora, finché il proprietario era in vita e aveva una visione della storia e della politica ad ampio raggio, il messaggio innovatore poteva essere sostenuto, con qualche falla. Ma nel momento in cui è stato sostituito da un nuovo proprietario che al posto dei libri si interessa solo previsioni di vendita, di cosa ci illudiamo? Del cambiamento? Della Rivoluzione?Fatta da chi? Da una manica di gente messa insieme alla meno peggio e presentata ai cittadini dopo una selezione da casting televisivo su come si ripetono slogan messi a punto dalla Casaleggio, o su come vengono le zoomate fatte a 32 denti o sui tacchi? Se qualcuno davvero crede, dopo quanto il MoV ha mostrato nell’ultimo anno, che una simile compagine potesse davvero competere con Salvini e rappresentare un’alternativa al malgoverno sistemico di questa nazione, allora ha bisogno di supporto psichiatrico. E magari serviva pensare che a trattare con Salvini ci andava gente diversa da un ragazzo di 30 anni con una cultura, esperienza di vita e di lavoro molto limitata. E per capire questo non serviva una visione alternativa e unica della democrazia. Bastava il buon senso, anche se era contrario agli affari, per fare i quali serve impegnarsi solo nelle battaglie che portano utili, che però in questo caso non sono quelle che servono per cambiare l’Italia e abbattere la tanto detestata casta.Per cambiare la gestione sistemica dell’Italia serve ridare allo Stato italiano quella sovranità che non ha più, sovranità che a parole il M5S difende, e per farlo serve attaccare coloro che quella sovranità riducono, e che siedono a Bruxelles nel consesso dell’Ue. La battaglia è contro l’attuale assetto dell’Ue, contro i trattati applicati in modo diverso all’interno dei vari Stati, per cui mentre la Francia emette il franco coloniale contravvenendo al Trattato di Maastricht e in Germania le banche possono prestare denaro pubblico, come più e più volte ha evidenziato Nicoletta Forcheri, l’Italia non può fare nulla. La battaglia è contro la gestione del Mes, il Fondo europeo di stabilità finanziaria, di cui l’Italia è il terzo principale contributore dopo Germania e Francia, e nel quale finora ha versato miliardi di euro. Un fondo tanto generoso e gestito saggiamente che, se uno Stato in difficoltà ne avesse bisogno, verrebbe salvato con erogazioni a tassi di usura, per cui per ricevere in forma di aiuto quei soldi che ha versato deve pagare una tangente, come si fa con ogni rispettabile organizzazione mafiosa.La battaglia è contro la mancanza di una politica europea condivisa e seria sull’immigrazione, invece di favorire una tratta a pagamento di esseri umani gestita da Ong amiche e cooperative compiacenti, sotto la falsa pretesa di una solidarietà che vorrebbe che un continente ne ospitasse un altro “per risolvere i problemi di entrambi”, e che non ha nessun riscontro nella storia. A cosa serve risparmiare qualche ghello, anche tagliando i parlamentari, se poi dall’alto vi è chi ti dice comunque cosa devi o non devi fare, ti impone limiti di spesa, ti obbliga a versare miliardi con cui potresti sanare i debiti pubblici, e affossa i tuoi diritti? A niente, e se una forza politica “rivoluzionaria” si rifiuta di impegnarsi negli scontri veri inventandosi nemici immaginari, allora vuol dire che del cambiamento non gli frega niente. Questi sono i punti che il M5S dovrebbe trattare se volesse davvero cambiare le cose in Italia, e per farlo deve contrapporsi all’Europa così com’è. Certo costa, ma la via è quella. E invece su questi temi, dopo il famoso referendum consultivo sull’euro di 7 anni fa rimasto lettera morta, la propaganda del M5S e il blog non parlano mai… strano!Dovrebbe portare lo scontro in Europa, come ha dichiarato per 10 anni di voler fare. Avrebbe dovuto sostenere il fronte sovranista. E invece cosa ha fatto? Ha lasciato al manipolo di 14 europarlamentari eletti lo scorso maggio libertà di coscienza sulla votazione che avrebbe portato il piddino Doc Sassoli – quello che dice che il Parlamento Europeo per lui sarà sempre aperto all’immigrazione, come i porti, per intenderci – e ha votato alla presidenza della Commissione Ursula von der Leyen, eletta con appena 9 voti di scarto e alla quale non sono mancati quelli dei 14 del M5S. La signora Austerity, amica della Lagarde, la macellaia sociale dell’Ue, e di Angelona Merkel e sua ex ministra, è il correlativo oggettivo di Mario Monti in gonnella, e di Monti condivide oltre alla visione di austerity e tagli alle spese sociali, anche le amicizie importanti per le multinazionali e società di fondi d’investimento e di consulenza come la McKinsey. E mentre veniva incoronata presidente della Commissione Ue, Castaldo (M5S) è stato eletto vicepresidente nonostante i 5 Stelle siano senza gruppo a Bruxelles: è la prima volta in Europa. Ma sarà un caso?Queste “battaglie” del M5S sembrano più scambi di favori per chi vuole farsi gli affari propri a prescindere dalle promesse fatte al beneamato popolo che dovrebbe difendere. E mentre vende briciole di slogan di democrazia, il MoV si rifiuta di attuare le uniche vere scelte che dovrebbe fare se davvero volesse tener fede a quanto detto per una decade. Ma si sa, bisogna sopravvivere e poiché ‘l’amico del mio nemico può diventare amico mio” nel mondo dell’immaginifico politico stellato dove non esiste né destra né sinistra, le ideologie sono morte, ma il denaro rimane, ecco che allora anche l’ipotesi di allearsi con pezzi del Pd renziano può andar bene. Il cofondatore del M5S potrebbe infine illuminarci sulle ragioni – quelle vere, che ancora non conosciamo – per le quali la sua creatura politica è diventata europeista al punto di votare la von der Leyen, che rappresenta la reincarnazione femminile di Monti-aka Rigor Mortis, o chiarire il significato grillino – quello italiano lo conosciamo già – dell’espressione “comitati d’affari” tanto cara al MoV delle origini, lo stesso che nel 2011 condannava Rigor Mortis e che ora con metamorfosi politica – attuata per sopravvivenza o convenienza? – è arrivato camaleonticamente a fare le scelte di cui sopra. I nodi sono sempre quelli.(Alessandro Guardamagna, estratti da “Se pacta sunt servanda, chi ha tradito chi?”, da “Come Don Chisciotte” del 15 agosto 2019).Nel 2014, il cofondatore del M5S Gianroberto Casaleggio rilasciava a “Il Fatto Quotidiano” una lunga intervista, dal titolo “Pacta Sunt Servanda”. Spaziando su molti argomenti, Casaleggio riassumeva l’idea di democrazia semplice e diretta che stava alla base del MoVimento: in politica gli impegni vanno mantenuti e chi non lo fa deve essere cacciato. Riferendosi al sindaco di Parma, l’allora pentastellato Federico Pizzarotti, Casaleggio sentenziava senza mezzi termini: «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa». Parole inequivocabili, che riflettevano una visione alternativa dei rapporti tra eletti e cittadini elettori. Nell’aprile 2019, dopo aver portato avanti efficaci campagne di demonizzazione e demolizione degli avversari politici ed avere ottenuto il potere, il M5S è arrivato a negare totalmente alcuni temi per i quali era stato da sempre sostenuto dai cittadini. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte le cose vanno indipendentemente dalla volontà di chi agisce. E vero, ma passare dal NoVax, NoTav e NoUe al Sì Vax, Sì Ue e infine Sì Tav non equivale a discorrere di quisquilie.
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L’Italia ha già perso, se ricomincia lo stesso vecchio film
Prima era tutta colpa della Dc di Andreotti o, a scelta, dei “comunisti”. Poi di Craxi, e quindi di Berlusconi, oppure di Prodi e D’Alema, infine di Renzi. Per Di Maio, a “distruggere il paese” era stato il Pd, nato però soltanto nel 2007. Ora la colpa è tutta di Salvini, per il quale invece sono stati i 5 Stelle a far deragliare il governo delle meraviglie. Gli italiani applaudono o fischiano, ma più spesso – attoniti – restano a casa (o in spiaggia, dato il periodo). Si domandano cosa stia succedendo. Tutto e niente, si rispondono. Come nel resto del mondo, peraltro, dove gli Stati continuano ad armarsi e a guardarsi in cagnesco, mentre i “mercati” fanno politica al posto dei partiti, meri club di esecutori di piccolo calibro. I politici? Mediocri mestieranti, arruolati da questa o quella consorteria internazionale, secondo uno schema fluido a geometria variabile che corrisponde squisitamente al caos. Persino i loro padroni, le divinità auree, vivono alla giornata: le alleanze non reggono, le promesse sono parole al vento. Castelli di sabbia che il mare provvede a cancellare, onda su onda, senza che nessuno abbia il tempo di metabolizzare veri progetti. L’unico in campo – fare soldi, grazie al monopolio privato del denaro – ha il potere di piegare qualsiasi istanza alternativa. Non esiste altro cielo che quello mercantile. Destra e sinistra sono modi di dire, vezzi linguistici buoni solo a tenere in piedi rottami di clero politicante, in servizio elettorale permanente, verso consultazioni democratiche regolarmente inutili.La rottamazione del governo Conte è cominciata prima ancora che si aprisse lo spoglio delle fatali schede delle europee: a votare era andato soltanto un italiano su due. Già allora gli elettori si erano pronunciati a larghissima maggioranza, scendendo in sciopero e bocciando, di fatto, il miles gloriosus padano e il suo omologo partenopeo. Bei tomi: si erano permessi di illudere la cittadinanza, maneggiando una mitologia dal sapore escatologico. La fine dei tempi, l’inizio di una nuova era di giustizia. Orizzonti stellari, mirabolanti: la sfida alla tirannide euro-burocratica, l’esorcismo contro la paura del declino e della povertà celebrato evocando il crollo delle tasse e la cornucopia della mancia di Stato, già brillantemente inaugurata dal proto-populista fiorentino, altro campione di chiacchiere. “Sì, ma noi siamo diversi”, avevano giurato i valorosi paladini, gli alieni della Terza Repubblica fondata sulla palingenesi del potere in chiave messianica: da un lato il rozzo giustiziere nordico della razza bianca, dall’altro la gracidante scolaresca reclutata via web dal partito-azienda di proprietà di un ex comico, salito a bordo del Britannia tra i massimi oligarchi. A disegnargli la rotta, anni dopo, fu un informatico schivo e visionario. Un uomo misterioso e reticente, pieno di segreti, membro di un’élite intenzionata a fare esperimenti (anche politici, elettorali) per testare la risposta della mandria umana.Solo l’abissale disgusto per i predecessori, gli sciagurati ultimi reggenti della macelleria-Italia (Monti e Letta, Renzi e Gentiloni) aveva spinto gli elettori a votare, per disperazione, gli sfrontati cavalieri dell’impossibile, i fantapolitici delle promesse universali. Speravano, gli italiani, che fosse vero almeno il 10% di quanto garantivano, leghisti e grillini. Ma al primo urto col potere vero, quello euro-finanziario, l’Italietta gialloverde è saltata per aria. Se fossero stati sinceri, Di Maio e Salvini, si sarebbero dimessi allora, di fronte ai ceffoni rimediati a Bruxelles, all’umiliazione subita nel vedersi negare il diritto di risollevare l’economia attraverso il deficit. Sono rimasti entrambi al loro posto, invece, pensando solo al modo di salvare la pelle, l’uno a spese dell’altro, tra agguati e abiure, tradimento dopo tradimento. Oggi si dibattono in una vasca di fango, menando fendenti, per la gioia dei boia dell’Italia, cioè le spietate nomenklature franco-tedesche. Il leghista tenta la fuga in solitaria, slealmente, mentre il grillino – scornato, e altrettanto sleale – prova a imbrigliarlo, ricorrendo ai peggiori trucchi, grazie all’abbraccio mortale del vecchio potere, che non aspettava altro che veder distrutta la teorica anomalia italiana creatasi avventurosamente nel 2018. Poteva essere una falla nell’euro-sistema? Non certo con quei due tizi al timone.Comunque vada, sarà un insuccesso (facile profezia). Ancora una volta, gli elettori non hanno strumenti all’altezza: solo cavalli azzoppati, vecchi brocchi, giovani avventati. Malgrado loro, comunque, i gialloverdi hanno resuscitato una specie di memoria nazionale, l’ombra di qualcosa che in altri tempi di sarebbe chiamato orgoglio, spirito identitario, diversità italiana. Ora stanno cercando di distruggerlo, questo fantasma, perché è troppo ingombrante per la loro statura. Il pubblico può ammirare lo spettacolo, dalla crepa che si è aperta nel muro: vede benissimo, oggi, che nessuno degli attori in campo ha la minima chance per costruire qualcosa di solido, credibile, adatto a tutti. Servirebbero statisti, cioè politici capaci di pensieri lunghi, oltre l’orticello. Non se ne vede l’ombra, anche perché la maggioranza continuna a restare a casa: non partecipa, non rischia, non si impegna. Una buona metà degli elettori non va oltre il tifo, la comodissima caccia all’uomo nero. L’altra metà non riesce più ad avvicinarsi alle urne, ma non fa nulla per darsi una speranza, una prospettiva. Prevale lo sconforto, insieme alla nausea. Ci si domanda se tutto questo ha un senso, e se ce lo meritiamo. La risposta è implicita: alzi la mano chi può dire di aver mosso un dito per evitare di rivedere all’infinito lo stesso film.Prima era tutta colpa della Dc di Andreotti o, a scelta, dei “comunisti”. Poi di Craxi, e quindi di Berlusconi, oppure di Prodi e D’Alema, infine di Renzi. Per Di Maio, a “distruggere il paese” era stato il Pd, nato però soltanto nel 2007. Ora la colpa è tutta di Salvini, per il quale invece sono stati i 5 Stelle a far deragliare il governo delle meraviglie. Gli italiani applaudono o fischiano, ma più spesso – attoniti – restano a casa (o in spiaggia, dato il periodo). Si domandano cosa stia succedendo. Tutto e niente, si rispondono. Come nel resto del mondo, peraltro, dove gli Stati continuano ad armarsi e a guardarsi in cagnesco, mentre i “mercati” fanno politica al posto dei partiti, meri club di esecutori di piccolo calibro. I politici? Mediocri mestieranti, arruolati da questa o quella consorteria internazionale, secondo uno schema fluido a geometria variabile che corrisponde squisitamente al caos. Persino i loro padroni, le divinità auree, vivono alla giornata: le alleanze non reggono, le promesse sono parole al vento. Castelli di sabbia che il mare provvede a cancellare, onda su onda, senza che nessuno abbia il tempo di metabolizzare veri progetti. L’unico in campo – fare soldi, grazie al monopolio privato del denaro – ha il potere di piegare qualsiasi istanza alternativa. Non esiste altro cielo che quello mercantile. Destra e sinistra sono modi di dire, vezzi linguistici buoni solo a tenere in piedi rottami di clero politicante, in servizio elettorale permanente, verso consultazioni democratiche regolarmente inutili.
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Sapelli: con Pd-M5S l’Italia sparisce come paese industriale
La via maestra sono le urne. In questo caso il governo può rimanere in carica per l’ordinaria amministrazione, non c’è bisogno di farne un altro. E una volta che si è dimesso Conte, anche Salvini può dimettersi da ministro dell’interno. Conte e il cardinale Parolin si confrontano su molti dossier, Cina compresa; Oltretevere si stanno muovendo con forti ingerenze nella politica italiana. In questo momento poi gli americani sono profondamente divisi anche sull’Italia. I trumpiani, sulla carta a favore di Salvini, potrebbero essere insoddisfatti di come ha disatteso le loro richieste di una maggiore distanza dalla Cina. Ma c’è anche l’altra parte, quella che ha ancora in mano l’America che conta: la finanza. Cosa vuole la grande finanza americana? Che Salvini sparisca il prima possibile. La firma del memorandum con la Cina ha spiazzato gli Usa. Ora però è come se Washington avesse improvvisamente riscoperto l’importanza dell’Italia. Proprio per questo gli Usa dovrebbero fare di tutto perché si andasse al voto, in modo che la Lega, vincendo, metta a tacere i 5 Stelle.In altri tempi sarebbe andata così. L’ambasciata americana avrebbe svolto un ruolo di primo piano, anche se non sotto i riflettori, per ovvie ragioni. Un governo costituente? Il sistema è così disgregato che un governo costituente non farebbe che sancire la disgregazione. Farebbe la stessa fine della bicamerale di D’Alema. Si dovrebbe riscrivere una parte della Costituzione, ma chi potrebbe farlo? Ci vorrebbe una riflessione sullo Stato in Italia e non vedo chi potrebbe farla. Prima di fare un governo costituente bisogna creare una nuova classe politica. Lo stesso proposito di ridurre il numero dei parlamentari al di fuori di una visione istituzionale è pazzesca. Del M5S non mi sorprendo perché è il massimo che poteva produrre. La Lega però non doveva prestarsi. In questo è ancora figlia di Tangentopoli. E dato che secondo me la Lega è un animaletto destinato ad andare lontano, strada facendo dovrebbe depurarsi, proprio come fanno le lumache.Che governo sarebbe quello di una maggioranza M5S-Pd? Un governo “clintoniano”, sponsorizzato dai grandi big dell’industria finanziaria mondiale. Porterebbe avanti una politica di sottomissione piena dell’Italia all’austerity europea. Uno scenario che farebbe il gioco della Francia. La crisi tedesca determina un ripiegamento di Berlino, e questo dà alla Francia una grande spinta, anche se la sua produzione industriale è ferma. Parigi però ha un rapporto privilegiato con l’Africa, che sfrutta grazie al franco Cfa avvantaggiandosi negli scambi e nelle materie prime. Senza il contrappeso tedesco, l’attivismo di Parigi rafforzerà la Cina, che ha con la Francia un rapporto privilegiato in Europa da più di un secolo. Il governo M5S-Pd sarebbe in un modo o nell’altro la vittoria di Attali. Se questo governo prende forma, l’Italia tra vent’anni non esisterà più come paese industriale. Se Salvini non l’ha compreso, l’unico fattore che potrebbe deviare questo corso degli eventi sarebbe un intervento del presidente della Repubblica, mandando il paese alle urne.Sappiamo tutti che prima di sciogliere le Camere durante la legislatura il capo dello Stato è tenuto a verificare l’esistenza di un’altra maggioranza in Parlamento. Che probabilmente ci sarebbe. D’altra parte sappiamo bene che Napolitano ha risolto i problemi a modo suo, e sempre impedendo agli italiani di votare. Come se ne esce? È la contraddizione di Mattarella. Se Mattarella varasse un governo M5S-Pd, per la prima volta andrebbe contro i suoi legami di profonda amicizia verso gli Stati Uniti, la stessa che ha ispirato il suo dovere quando è stato ministro della difesa (governi D’Alema II e Amato II). D’altra parte, consentendo la parlamentarizzazione della crisi e il patto M5S-Pd, darebbe vita a un governo contrario agli interessi americani attuali in Italia. E a mio modo di vedere, a quelli dell’Italia stessa. Quale sarebbe il programma reale del governo giallorosso? Subordinazione totale alle politiche europee dell’austerità, accelerazione del processo di deindustrializzazione, svendita degli asset strategici del paese.Una cura greca, cura si fa per dire; esattamente l’antitesi delle riforme di cui l’Italia avrebbe bisogno. Ovvero: creare una banca pubblica per il sostegno alle Pmi, quello che una volta facevano le grandi banche partecipate. L’austerity non è stata affatto moderata dal quantitative easing, che salva le banche ma non il credito. La cosa curiosa del M5S è che fino ad oggi ha governato da una posizione tipicamente disgregatrice, ostile allo sviluppo e antropologicamente negativa, cioè tutti sono ladri, cattivi e colpevoli tranne noi. Adesso, inaspettatamente, il ribellismo è diventato iper-governismo: le polemiche interne sono cessate, Grillo ha cambiato rotta senza un confronto pubblico, senza che nemmeno abbia votato la “rete”. Tutto è avvenuto attraverso gli ordini impartiti da una cuspide. Prova evidente dell’etero-direzione del M5S.Cosa dovrebbe fare Salvini? Spiegare con più chiarezza qual è la vera posizione di questo governo nei rapporti con l’Ue, la Cina, la Russia e gli Usa. Invece di un post su Facebook, la Lega dovrebbe fare un documento con i suoi punti fermi: fedeltà alla Nato, permanenza nell’euro per cambiare i trattati e la politica economica europea mediante alleanze, rapporti con la Russia su posizioni non dissimili da quelle di Colombo o Andreotti, cioè di dialogo, come io credo che Salvini voglia fare. Questo è il momento di fare politica. Anche con la Germania? Alla luce dell’incipiente crisi tedesca, non c’è momento migliore per far capire al Partito popolare europeo che l’austerity è sbagliata.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Il segreto della crisi è tra il Colle e Washington”, pubblicata da “Il Sussidiario” il 17 agosto 2019).La via maestra sono le urne. In questo caso il governo può rimanere in carica per l’ordinaria amministrazione, non c’è bisogno di farne un altro. E una volta che si è dimesso Conte, anche Salvini può dimettersi da ministro dell’interno. Conte e il cardinale Parolin si confrontano su molti dossier, Cina compresa; Oltretevere si stanno muovendo con forti ingerenze nella politica italiana. In questo momento poi gli americani sono profondamente divisi anche sull’Italia. I trumpiani, sulla carta a favore di Salvini, potrebbero essere insoddisfatti di come ha disatteso le loro richieste di una maggiore distanza dalla Cina. Ma c’è anche l’altra parte, quella che ha ancora in mano l’America che conta: la finanza. Cosa vuole la grande finanza americana? Che Salvini sparisca il prima possibile. La firma del memorandum con la Cina ha spiazzato gli Usa. Ora però è come se Washington avesse improvvisamente riscoperto l’importanza dell’Italia. Proprio per questo gli Usa dovrebbero fare di tutto perché si andasse al voto, in modo che la Lega, vincendo, metta a tacere i 5 Stelle.
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Grandi manovre, ma piccoli partiti. E tanti saluti agli italiani
Vestali della comunicazione, opposizioni parlamentari ed élite che dalla scorsa estate non hanno fatto altro che evocare crisi di governo e nuove elezioni, ora che Salvini si è chiamato fuori, le elezioni non le vogliono più. Con qualche eccezione motivata, per esempio il Pd di Zingaretti, ma non il Pd di Renzi che controlla la maggior parte dei senatori e dei deputati del partito. Quanto a Forza Italia, che in Senato conta più rappresentanti della Lega, sono in corso trattative con Salvini: se il leader della Lega sarà disponibile per ricostituire il centrodestra classico, bene, altrimenti Berlusconi si orienterà per appoggiare il cosiddetto “governo di scopo”, affidato ad un tecnico con il compito di scongiurare l’esercizio provvisorio di bilancio, evitare l’aumento dell’Iva in cambio di altri sacrifici, e magari approvare la riduzione dei parlamentari con l’intento di evitare le elezioni almeno per i prossimi sei mesi, giustificando con ciò anche l’eventuale approvazione di una nuova legge elettorale.Quanto alla Meloni di Fratelli d’Italia, la sua consueta rigidità non le consente di vedere che l’alleanza elettorale con Salvini, senza neppure la mediazione del Cavaliere, porterebbe ad uno scontro nel paese dove nulla sarebbe scontato: l’estrema destra contro tutti gli altri difficilmente vince in Occidente, tanto più in un paese come l’Italia che conserva ancora freschi ricordi del proprio drammatico passato. Ciò premesso, è interessante osservare come ciascuna fazione del panorama politico italiano lavori unicamente in vista del proprio tornaconto, infischiandosene dei cittadini e degli interessi reali dell’Italia. Tutti, senza eccezione alcuna. A cominciare dalla Lega, che avrà pure le sue buone ragioni nel denunciare i ripetuti “no” dei Cinquestelle al programma di governo, ma che sceglie il momento peggiore per staccare la spina e non lo fa certo sull’onda di un’emozione ma sulla base di calcoli ben precisi che riguardano il proprio assetto interno (la mancata approvazione della legge sulle autonomie, cara alle regioni del nord) e la contemporanea impossibilità di mantenere le tante promesse all’esterno (investimenti produttivi, sterilizzazione dell’Iva e contemporanea approvazione della Flat Tax), per la manifesta contrarietà di quanti, nel governo e fuori, si sono impegnati a “non strappare” con l’Europa.Salvini aveva la possibilità di portare in Parlamento l’approvazione della Flat Tax e degli investimenti produttivi, lasciando ai Cinquestelle la responsabilità di bocciarli; preferisce invece assumere in proprio la responsabilità della crisi col pretesto della Tav, esponendosi a tutti i contraccolpi del sistema: un atto coraggioso o ingenuo o soltanto imposto dal vecchio nucleo della Lega Nord? Per continuare con Zingaretti che vuole andare alle elezioni subito per lucrare sulla perdita di consensi dei Cinquestelle, ridimensionare definitivamente Renzi, togliendogli il monopolio dei gruppi parlamentari, e riattivare il bipolarismo centrosinistra- centrodestra. Con Renzi che per mantenere il suddetto monopolio è disposto persino ad allearsi con i Cinquestelle per un governo di scopo e/o di garanzia elettorale. Con Grillo e Di Maio che faranno di tutto pur di non vedere dimezzata la propria rappresentanza parlamentare. Con Meloni e Berlusconi di cui si è già detto.(Sergio Magaldi, “Grandi manovre e piccoli partiti”, da “Lo Zibaldone di Sergio Magaldi” del 10 agosto 2019).Vestali della comunicazione, opposizioni parlamentari ed élite che dalla scorsa estate non hanno fatto altro che evocare crisi di governo e nuove elezioni, ora che Salvini si è chiamato fuori, le elezioni non le vogliono più. Con qualche eccezione motivata, per esempio il Pd di Zingaretti, ma non il Pd di Renzi che controlla la maggior parte dei senatori e dei deputati del partito. Quanto a Forza Italia, che in Senato conta più rappresentanti della Lega, sono in corso trattative con Salvini: se il leader della Lega sarà disponibile per ricostituire il centrodestra classico, bene, altrimenti Berlusconi si orienterà per appoggiare il cosiddetto “governo di scopo”, affidato ad un tecnico con il compito di scongiurare l’esercizio provvisorio di bilancio, evitare l’aumento dell’Iva in cambio di altri sacrifici, e magari approvare la riduzione dei parlamentari con l’intento di evitare le elezioni almeno per i prossimi sei mesi, giustificando con ciò anche l’eventuale approvazione di una nuova legge elettorale.
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Magaldi: Salvini non è solo, stana i rivali-zombie e vincerà
Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono dalla sua parte tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».Allusione esplicita: «Le superlogge internazionali sono assolutamente in campo e stanno giocando una partita molto raffinata», dichiara Magaldi il 14 agosto nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Premessa: «L’Italia resta un campo di battaglia strategico, il luogo decisivo per le sorti della democrazia in Europa e per la stessa globalizzazione». E’ vero, la geopolitica appare dominata da colossi come gli Usa, la Cina e la Russia. Eppure, sottolinea Magaldi, «è in Europa che si è sperimentata dagli anni ‘90 una certa governance sovranazionale post-democratica, politico-economica, ed è qui in Italia che il corso delle cose può essere invertito: altrove non ci sono possibilità così magmatiche e feconde, in Francia e in Germania il sistema politico è bloccato». Sempre con Frabetti, Gianfranco Carpeoro – altro dirigente del Movimento Roosevelt – nei giorni scorsi ha svelato le mosse della supermassoneria reazionaria: obiettivo, imbrigliare Salvini e disarcionarlo con ogni mezzo. Di qui la strana disponibilità di Grillo ad abbracciare l’ex nemico Renzi, a cui sarebbe stato promesso finalmente l’accesso al mondo esclusivo dei massimi salotti massonici, nel caso riuscisse a sventare la minaccia delle elezioni anticipate richieste da Salvini.«Le reti delle Ur-Lodges oligarchiche sono ancora egemoni», conferma Magaldi, che però aggiunge: «Le superlogge progressiste hanno messo a segno colpi interessanti». Tra questi, ad esempio, il sostegno sotterraneo ai Gilet Gialli in Francia per mettere in croce Macron proprio mentre l’Eliseo premeva su Bruxelles per aggravare l’austerity italiana, bocciando il governo gialloverde e la sua iniziale richiesta di espansione del deficit. «La partita è vivace, anche se difficile da interpretare», dice Magaldi, lasciando capire che niente è come sembra. Il network massonico progressista internazionale starebbe sostanzialmente supportando Salvini nel suo tentativo di lasciare in mutande gli zombie della politica italiana, ancora e sempre proni ai diktat di Bruxelles. «Con le sue mosse, Salvini ha messo in moto un circo con bestie strane, e scomodarle proprio a ferragosto è stato ancora più divertente: cosa che a Salvini ha permesso di dire che non si vede perché ad agosto non possano lavorare anche i parlamentari, come moltissimi altri italiani già fanno». Bestie strane? «Alcune sembravano sotto spirito, imbalsamate, e sono state riesumate per l’occasione: hanno tutte paura e sperano di non scomparire per sempre». Salvini domatore? Ebbene sì: «Sembra condurre il gioco, e addirittura oggi torna a parlare persino di una possibilità di un rilancio gialloverde, un governo Conte-2 con adeguato rimpasto».A Genova, il capo della Lega ha accennato tranquillamente alla manovra, citando 2,4 miliardi per mettere in sicurezza ponti e infrastrutture: «Sembra parlare da azionista di un governo che potrebbe tornare in auge». Intendiamoci, avverte Magaldi: «Occorre decodificare il tiro di dadi inaugurato da Salvini, la cui tempistica ha spiazzato anche i leghisti», molti dei quali per nulla entusiasti all’idea di tornare alla corte di Arcore. Non è affatto impazzito, Salvini: ha solo beffato i suoi avversari, fingendo di divertirsi in modo spensierato sulla spiaggia del Papeete. Nessuno si aspettava che affondasse il colpo, annunciando la sfiducia a Conte: «E la sua mossa originaria, prima ancora della “mossa del cavallo” sul taglio dei parlamentari da votare con 5 Stelle e Pd) ha snidato personaggi e ipotesi che se ne stavano acquattate nell’ombra». Il risulato è fecondo, secondo Magaldi: dopo che Salvini ha pronunciato quel fatidico “io non ci sto più”, «abbiamo scoperto che Renzi stava preparando un nuovo partitino del 2-3%». Poi l’ex “rottamatore” «ha compiuto una torsione a 180 gradi rispetto a inizio legislatura, quando consegnò i 5 Stelle all’allenza con la Lega. Oggi sente vicina la sua fine politica, ma non ha capito che gioco sta facendo Salvini, consigliato da chi e perché». Già, appunto: non sperava di entrare nel grande gioco, Renzi, bussando alla superloggia Maat (quella di Obama) dopo la passerella al Bilderberg?Fa un po’ il misterioso, Magaldi, lasciando intendere di non poter dire più di tanto, per ora. Si limita a dichiarare che quello che sta davvero succedendo «non l’ha capito nemmeno Berlusconi, che prima si ringalluzzisce come possibile ago della bilancia, grazie a cui si può decidere se si va o no alle elezioni, quindi fa bastonare Salvini da Sallusti sulle Tv mainstream ma su Rete4 manda servizi contro Di Maio». Al che, si apprende che Salvini sarebbe disponibile a una trattativa con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Poi però il capo della Lega «offre a Berlusconi una lista unica, quindi una proposta di assorbimento di Forza Italia, che naturalente Berlusconi rifiuta». Falsa pista, quindi: dopo aver stanato il Cavaliere, spingendolo a esporsi, il 13 agosto Salvini risultava indisponibile a incontrarlo, per imprecisati “impegni al Viminale”. «Intanto Berlusconi è stato snidato: sperava in un accordo elettorale soddisfacente, con Salvini, nonostante sia stato per mesi in combutta con il Pd e con tutto il circo mediatico mainstream contro il governo gialloverde, e quindi anche contro la Lega». Doppio avvitamento, con figuraccia. «Sono stati snidati Renzi e Berlusconi, e il gioco non finisce qui» aggiunge Magaldi. «Anche l’inciucio Pd-M5S è stato portato fino all’estremo, fin quasi a concludersi: già hanno votato insieme per la calendarizzazione della sfiducia a Conte, ma Delrio (cerniera a metà strada tra Renzi e Zingaretti) dice che l’accordo si può fare solo se di largo respiro, e lo stesso Zingaretti sta diventando possibilista».Insomma: sono tutti agitati, ma il pallino rimane nelle mani di Salvini. «Sembra un domatore che fa esbire tante bestiole davanti alla platea degli italiani». E questo, sottolinea Magaldi, è solo l’aspetto “essoterico”, alla luce del sole. Per capire il senso di quello che sta avvenendo «occore rovesciare le cose facili, banali, scontate e fuorvianti che si sono dette in questi giorni». La lettura che propone il presidente del Movimento Roosevelt è la seguente: a un certo punto, “ispirato” da qualche insospettabile consigliere strategico, Salvini – pressato dalla magistratura e dal Russiagate, braccato dai media pro-Ong – ha di fatto «cominciato a mostrare tutte le ipocrisie e tutti i nervi scoperti degli altri attori politici». Il gioco è rischioso, ma per ora vincente. «In queste ore si potrà discutere persino di un rilancio del governo Conte, con un rimpasto significativo e una strutturazione del programma che veda i 5 Stelle molto più disciplinati, perché uno dei problemi degli ultimi mesi era che i 5 Stelle attaccavano Salvini anziché l’opposizione». Naturalmente, un nuovo patto presupporrebbe un cambio di passo su molti temi: «Sarebbe una vittoria di Salvini, anche rispetto a quei leghisti che al Nord restano inclini a un’alleanza con Berlusconi».In sostanza, osserva Magaldi, Salvini ha giocato d’anticipo su tutti. E ora ha compiuto la mossa del cavallo: ok, ha detto, votiamo il taglio dei parlamentari e poi andiamo subito a votare. «Quella di elezioni immediate è un’ipotesi costituzionalmente impraticabile, e del resto prima si vota la fiducia o sfiducia a Conte (che è dirimente, prima ancora della questione del taglio dei parlamentari)». Se invece la rottura si consuma, «la grande ammucchiata (Pd, 5 Stelle, Leu e frattaglie varie), al di là di dare un illusorio momento di respiro a Renzi e ai renziani che hanno la poltrona traballante, è una eccellente occasione per ridefinire il prossimo appuntamento elettorale, lasciando a quell’Armata Brancaleone l’onere di proseguire sulla linea del rigore». Una non-strategia, che aggraverebbe solo la situazione italiana. «Qui servirebbe un braccio di ferro fortissimo con la cosiddetta Europa e con i suoi avamposti italici – dice Magaldi – per definire una nuova traiettoria politico-economica fondata su investimenti importanti e un robusto taglio delle tasse, cioè una manovra che incontrebbere un’opposizione formidabile da parte dei gestori dell’austerity».Nell’ipotesi del “governo di salvezza nazionale”, Salvini lascerebbe a Renzi e anche ai grillini il “privilegio” di essere «definitivamente percepiti come i difensori dello status quo». Quindi il governo anti-Salvini sarebbe «un’occasione ghiottissima, una situazione da cui la Lega non potrà che uscire bene». Ma è un bene, per l’Italia, che Salvini abbia innescato questo balletto circense, rivelatore delle altrui pulsioni? Per Magaldi, la risposta è sì. Ed è utile, aggiunge, che da questa vicenda «escano con le ossa rotte i 5 Stelle», almeno fino a quando si fanno rappresentare da Luigi Di Maio: «Ha proprio la vista corta: gongolava, dicendo che Salvini ha dovuto cedere sul taglio dei parlamentari», non capendo che il leghista lo ha sostanzialmente “disarmato”. I 5 Stelle, peraltro, «uscirebbero distrutti dall’abbraccio col Pd: una parte del loro elettorato andrebbe verso la Lega e un’altra parte verso i Dem». A sua volta, il Pd ha problemi interni ancora più gravi: «E’ un soggetto politico afasico, privo di una narrativa convincente». E la prova del nove, ancora una volta, è proprio il capo della Lega: «Salvini cresce nei consensi perché esibisce una narrativa chiara, che parla anche di importanti investimenti e di un nuovo paradigma politico-economico, grazie ai suoi economisti post-keynesiani. E parla pure di taglio delle tasse, Salvini. Rispetto a questo, cos’hanno da dire Pd e 5 Stelle? Il piglio del leader ce l’ha lui, non certo il grottesco Renzi, imbolsito anche nei toni, che a un anno di distanza deve ammettere di aver sbagliato tutto rifiutando l’alleanza coi 5 Stelle».Nel frattempo, il Pd non ha mai fatto autocritica. «Non lo fa neppure oggi, né con Renzi né con Zingaretti, nemmeno rispetto alle cattive riforme costituzionali di Renzi, che non ha capito niente ed è ancora convinto che il Jobs Act fosse la migliore delle carte da giocare per rilanciare occupazione e crescita economica – siamo a questo livello». Si domanda Magaldi: «In cosa si identifica, per Renzi, il bene della nazione? Non lo sappiamo, ed è per questo che Renzi è franato, nella percezione degli italiani. E cosa ha da dirci Zingaretti?». Idem. Ma vale anche per Berlusconi, «anche lui agonizzante come Renzi e in cerca di una scialuppa di salvataggio». Morti che camminano. Salvini, invece, riesce anche a giocare col taglio dei parlamentari: «Ha presentato la cosa strumentalmente, come una decisione importante da condividere con “l’amico” Di Maio», che c’è cascato. Attenzione: «Come panacea dei mali italiani i 5 Stelle dunque propongono il taglio dei parlamentari e magari anche il dimezzamento dei loro stipendi?». Il Parlamento come covo di mascalzoni, affaristi e rubagalline? Pura demagogia grillina, altamente controproducente: «Con stipendi più bassi, i parlamentari saranno più esposti a tentativi di corruzione. E in Parlamento andranno solo le persone molto ricche, che possono permettersi di rinunciare alla loro carriera», obietta Magaldi.«Ai tempi della democrazia di Pericle, nell’Atene del V secolo avanti Cristo – ricorda Magaldi – furono inventate le “misthòtes”, le indennità, proprio per consentire anche ai poveri di occuparsi della cosa pubblica, viceversa prerogativa solo dei ricchi aristocratici». Oggi viviamo in un’Italia in piena stagnazione e con un governo che non ha certo “abolito la povertà”. «E dopo il fallimento clamoroso del reddito di cittadinanza, Di Maio ci viene a spiegare che la soluzione di tutto, la grande scelta epocale, sarebbe la diminuzione dei rappresentanti del popolo sovrano, facendo così diminuire anche il livello di democrazia rappresentativa?». Avverte Magaldi: «Stia attento, Di Maio, anche a quello che fanno i pentastellati nelle amministrazioni locali, perché gira voce che, paradossalmente, siano i più affamati di affari, affarucci e denari». Neoliberismo sospetto, in salsa populista: «C’è questo strano connubio: da un lato ciò che è pubblico (comprese le indennità) viene demonizzato, per offrirlo in pasto a un risentimento popolare del tutto presunto (la gente non ha più la sveglia al collo, vede bene che questi sono pretesti), e dall’altro il taglio delle indennità produce fatalmente più corruzione».Insomma, per Magaldi il “circo” stimolato da Salvini «ci mostra degli animali politici davvero bizzarri», nessuno all’altezza della crisi nazionale. «Questa rappresentazione richiede quindi un cambio di passo drastico: la classe politica italiana è scesa davvero al punto più basso, per merito delle abili mosse di Salvini». Ispirato da chi? Incalzato dalla domanda, nella diretta web-streaming su YouTube, Magaldi rifiuta di essere esplicito: «Diciamo che Salvini sta studiando». Per Carpeoro, non ha ancora trovato il suo “burattinaio”, cioè «uno di quei “venerabilissimi maestri” dei contesti massonici neoaristocratici che amano ridurre i politici a propri burattini». Secondo Magaldi, invece, c’è un’altra possibilità: «E cioè che personaggi come Salvini, che non hanno alle spalle burattinai e che magari non vogliono averne, possano invece cercare suggestioni e ispirazioni, mettendosi a studiare per poter interpretare in modo più adeguato al servizio della collettività». Comunque, aggiunge Magaldi, possiamo stare certi che il leader della Lega non ha tentato uno strappo in modo avventato, non è rimasto isolato e non sta assolutamente cercando di salvarsi in corner. Al contrario: è proprio lui a condurre le danze. In altre parole: “C’è del metodo, in questa follia”, come avrebbe detto Shakespeare.«C’è del metodo, e il primo risultato è quello di aver messo a nudo tutte le ipocrisie degli altri attori politici e la loro disponibilità a rimangiarsi il giorno dopo quello che avevano detto il giorno prima». Quindi, ribadisce Magaldi, c’è un’ispirazione precisa. E c’è anche «un personaggio che ha ancora molto da emendare, da imparare e da perfezionare». Tuttavia Salvini «è l’unico che ha i tratti e le caratteristiche per poter essere percepito come un pericolo, da parte di chi vorrebbe proseguire in modo imperterrito sulla strada di questi anni», cioè il suicidio programmato dell’economuia italiana da parte delle lobby che dominano l’Ue. Diciamola tutta, ammette Magaldi: «Salvini ha anche bisogno anche di smarcarsi da quella ghettizzazione, sempre possibile, che lo presenta come neofascista o fiancheggiatore dei neofascisti». Ne è consapevole: «Lo si è già visto nella sua prudenza rispetto a Fratelli d’Italia e poi anche rispetto a Forza Italia: un’alleanza così, anche se vincente, a livello internazionale sarebbe facile da ghettizzare come l’arrivo di una pericolosa destra». E poi Salvini «ha bisogno di alleanze e di riferimenti politici, ideologici e programmatici che semmai ne sdoganino il lato progressista». Quello che di certo non gli serve è «un abbraccio con Berlusconi e la Meloni in stile nuovo centrodestra, un copione già visto e già bocciato dagli italiani».Quello che sta facendo il capo della Lega, capace di scuotere la politica del Belpaese, non è comunque sufficiente: Salvini è ancora troppo condizionato dalla preoccupazione del consenso. «Il problema vero è che Salvini, e chiunque altro – da destra, da sinistra, dal centro – volesse partecipare di una nuova stagione politica (dove anche la Lega mutasse pelle e diventasse qualcos’altro, magari anche di più progressista), dovrebbe anche saper mordere, oltre che abbaiare e affabulare». Anche perché «non sarà un momento tenero, quello in cui si dovrà fare un braccio di ferro adeguato con i gestori dell’austerity». La verità, sottolinea Magaldi, è che se oggi il sedicente “governo del cambiamento” è comunque costretto a subire tutte queste rappresentazioni teatrali, è perché questo governo non ha cambiato alcunché: «Finora è stato il governo del falso cambiamento. E Salvini se n’è accorto, a differenza del narcisista e miope Di Maio». Caporetto 5 Stelle: «Non c’è discussione interna, Di Maio andrebbe valutato come inadeguato. Dovrebbe quindi esserci un ricambio di classe dirigente: solo a quel punto, prima di scomparire, il Movimento 5 Stelle potrebbe ancora avere un ruolo nel futuro dell’Italia». Se gli elettori ti investono di tante speranze, non puoi fingere: devi lottare, «fino a strappare – per l’Italia e per l’Europa – una prospettiva più democratica e anche più prospera».Il problema vero dice ancora Magaldi, non sta in come si risolve questa grande rappresentazione teatrale, o meglio circense, ma sta nel fatto che – alla fine dei giochi – qualcuno si assuma la responsabilità di fare quello che va fatto. «E quello che va fatto è chiaro: un piano di 50 anni di investimenti pubblici importanti, che diano fiato all’economia privata, iniziando un braccio di ferro con l’Europa in modo soft, cioè chiedendo di stralciare questi investimenti dai parametri del deficit. Poi serve l’apertura in Europa di un tavolo per la redazione di una Costituzione politica di natura radicalmente democratica». Per Magaldi «sono queste le cose importanti da fare, insieme all’abbassamento drastico delle aliquote fiscali». Cose semplici, come l’introduzione di una moneta parallela: «Misura che serve a difendersi dalle norme stringenti di oggi. Ma se l’Italia negoziasse lo stralcio degli investimenti necessari rispetto al computo del deficit, non ci sarebbe nemmeno più bisogno di moneta parallela». In altre parole, «le cose sono davvero più semplici di quello che sembrano, se davvero ci fosse la volontà politica di farle». Per questo servono politici capaci di fare un salto di qualità. Salvini, appunto? «Io credo che oggi stia studiando l’ipotesi di diventare davvero uno statista. Poi sta a lui riuscirci (e studiare bene) oppure no».Naturalmente, la crisi fa esplodere dietrologie multiple. Per esempio c’è il possibile ruolo del supermassone reazionario Michael Ledeen, in Italia da luglio, indicato da Carpeoro come fattore rilevante per disarcionare Salvini. Per Magaldi, invece, «quello di Ledeen è un ruolo forse sopravvalutato, come quello di Renzi: anche se dovesse entrare nel nuovo ipotetico governo e dovesse ridicolizzare Zingaretti, costringendolo a subire il peso della maggioranza dei parlamentari Pd (che oggi è di rito renziano), Renzi dovrebbe comunque accontentarsi di una breve stagione». Ledeen e gli altri “avvoltoi” oligarchici come il francese Attali, mentore di Macron? «Tutte vere le osservazioni di Carpeoro, ma guarderei in modo diverso la prospettiva di fondo», spiega Magaldi. «In realtà, i gruppi reazionari neoaristocratici sono in un momento di grande difficoltà, perché anche tutti gli sforzi fatti per non andare a votare, tenendo in sella certi personaggi, in un modo o nell’altro sono destinati a fallire». E questo, scandisce Magaldi, è davvero un fatto nuovo: «C’è una coscienza popolare che sta comunque crescendo, intorno ad aspettative che oggi vengono proiettate su Salvini». Ma se il leader leghista dovesse fallire o deludere, domani queste speranze «sarebbero comunque proiettate su qualcun altro, perché esprimono un’esigenza reale», che né Renzi né Di Maio (e tantomeno Berlusconi) hanno dimostrato di saper cogliere e interpretare.Magaldi punta alla sostanza, allo sfondo: «Non darei quindi grande peso al ruolo di vecchi arnesi come il “fratello” Ledeen: un anziano signore, memore di antichi giochi spregiudicati fatti anche destando irritazione persino tra le forze dell’ordine e l’intelligence italiana. Quei giochi sono ormai finiti», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt. «Credo che questi personaggi non siano più nemmeno i veri burattinai che cercano di frenare questo nuovi scenario che si prepara». Bisogna saper leggere tra le righe: «La battaglia oggi non è nel tentare di frenare quello che il popolo italiano proietta su personaggi come Salvini. Per questo esprimo una sorta di compassione anche per tutti quelli che si agitano, cercando di combattere in termini sbagliati». E attenzione: «Non può essere efficace utilizzare ancora a lungo il Movimento 5 Stelle come un elemento che rafforzi il sistema. Ha avuto consensi perché era visto come un mezzo per realizzare alcune speranze, per quanto confuse. Se però il M5S fa un abbraccio mortale con il Pd e con altri, contro le speranze proiettate su Salvini, compie un grande suicidio collettivo». “Ciaone”, caro Di Maio. «Tanti auguri, a questo governo che dovesse nascere: sarebbe un regalo, per noi progressisti, un po’ come l’ipotesi di Mario Draghi a Palazzo Chigi». Tutti si accorgerebbero che il Re è nudo: «Che regalo, vedere finalmente Draghi tutti i giorni in televisione a difendere le sue scelte di austerity – non più remoto, ieratico e autorevole dalla poltrona della Bce, ma costretto a rispondere con la sua faccia, non più in modo sfingeo, dovendo spiegare agli italiani (come già Monti) che l’austerità è bella».Secondo Magaldi, un anno di governo con Pd, 5 Stelle e Leu all’insegna del “teniamo i conti in ordine” sarebbe la miglior cosa da auspicare, per i progressisti: «Sarebbe la distruzione definitiva della credibilità di tutti coloro che dovessero animare quel governo». Se ce la faranno, a metterlo in piedi, si voteranno al suicidio. Aiutati dai “venerabili” burattinai della supermassoneria reazionaria? Magaldi è scettico: «Sono al tramolto molti vecchi tromboni alla Ledeen, gente che appartiene a un altro mondo, personaggi che stanno anche invecchiando e morendo. Il fronte massonico delle Ur-Lodges neoaristocratiche oggi è molto meno forte di quanto non si creda». Certo, le strutture nel frattempo create fanno sì che il percorso tracciato resti in piedi, per forza d’inerzia. «E’ la legge di Saturno, per dirla in termini astrologici: la conservazione della struttura esistente. Però la legge di Saturno comporta anche l’invecchiamento e la sclerotizzazione». Di fatto, il caso-Salvini dimostra che si stanno aprendo delle crepe, «nei cascami di questo sistema di governance che riguarda l’Italia». La nuova frontiera? «Sta nell’essere molto dinamici: il nuovo orizzonte credo sia quello di chi è capace di scendere in piazza per fare delle veloci operazioni di flash-mob a favore di telecamera, con le bandiere issate, andando nei luoghi dove si radunano i rappresentanti (magari marci) del potere attuale». E questo «sia nel caso in cui tutto il quadro frani, sia che Salvini invece emerga come qualcuno che finalmente ha iniziato a collocarsi dalla parte giusta, e con la giusta ispirazione ideologica». L’importante, chiosa Magaldi, è che gli italiani non restino a guardare anche stavolta.Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono a suo favore tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».
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Nessuno legge più i quotidiani: solo 600.000 copie vendute
Seicentomila copie, appena. E’ quanto vendono, oggi, gli 11 quotidiani italiani a diffusione nazionale. Negli anni ‘80, attorno a quota 600.000 si davano battaglia le due “corazzate” del mainstream cartaceo, il “Corriere della Sera” e “Repubblica”. Oggi quei numeri impallidiscono: il “Corrierone” si deve accontare di 186.500 copie, mentre il quotidiano fondato da Scalfari è a quota 141.355. Sono impietosi i dati ufficiali, aggiornati al giugno 2019. Per i quotidiani italiani la crisi si è aggravata, scrive Sergio Carli su “Blitz Quotidiano”. «E nella crisi generale, ancora più acuta è la crisi del “Fatto”». Nel giugno scorso, il giornale di Travaglio ha venduto il 25% di copie in meno, rispetto all’anno scorso. «Mentre nell’insieme il mercato ha perso il 10%, dopo il -9 registrato in maggio e il -8 di gennaio e febbraio, il “Fatto” subisce un calo in progressione impressionante: del 10% in gennaio, del 13% in marzo, del 20% in aprile, del 23% in maggio, del 25 virgola in giugno». Malissimo anche il “Corriere”, che in giugno ha subito un crollo improvviso, preciptando al -10%. E “Repubblica”, dopo un -3% di maggio, si è allineata al -10% del concorrente, il peggior dato negativo da inizio anno.Impressiona la pochezza dei numeri: se “Corriere” e “Repubblica” sono abbondantemente al di sotto delle 200.000 copie vendute ogni giorno, la “Stampa” è sotto le centomila copie (95.398). Poi, l’abisso: il “Giornale” di Sallusti galleggia a quota 43.000 insieme al “Sole 24 Ore” (40.159), mentre il “Fatto” si deve accontentare di 27.959 copie (erano oltre 37.000 un anno fa). Seguono “Libero” di Feltri (quasi 24.000), “La Verità” di Belpietro (23.600), “Avvenire” della Cei (22.500) e “Italia Oggi” (20.000 copie). Fanalino di coda il “Manifesto”, con appena 7.000 copie vendute al giorno. Decisamente meglio fanno i quotidiani regionali: 80.000 copie il “Resto del Carlino” di Bologna, 70.000 il “Messaggero” di Roma, 60.000 “La Nazione” di Firenze. Attorno alle 30.000 copie resistono voci importanti dei territori italiani, come il “Gazzettio” di Venezia, il “Secolo XIX” di Genova, “Il Tirreno”, “L’Unione Sarda”. Una solidità, quella dell’editoria locale, basata in gran parte sulla cronaca provinciale. Dove invece a dominare è la politica nazionale – sull’ex “grande stampa” – il trend è in spaventoso calo.«Questi pochi numeri denunciano l’emergenza del settore», scrive Carli. «I governi cattivi di Andreotti e Craxi salvarono i giornali, mentre quelli che piacciono tanto ai giornalisti, targati Pd e M5S, li hanno massacrati». I conti confermano il declino: nei ricavi, Rcs passa da 503 a 475 milioni, il gruppo Gedi scivola da 321 a 303 milioni, mentre il fatturato di “Repubblica” scende da 124 a 116 milioni. Impressiona l’esiguità delle cifre, soprattutto riguardo alle copie vendute: solo mezzo milione di italiani legge le analisi degli editorialisti che la televisione propone a ciclo continuo, come se fossero veri opinion leader. Molti di loro hanno condotto una specie di crociata contro il grande concorrente – il web – colpito anche dalle disposizioni-bavaglio dell’Ue con l’alibi della tutela del copyright. Nel frattempo, crolla anche il prestigio professionale dei giornalisti, quasi sempre percepiti come faziosi co-protagonisti del gioco politico: la loro credibilità, come dimostrano le vendite, è ai minimi storici. Stando ai dati, quelli più in crisi sono gli alfieri del “Fatto”, vicini ai 5 Stelle, e i loro colleghi di “Repubblica”, sempre generosi con il Pd.Seicentomila copie, appena. E’ quanto vendono, oggi, gli 11 quotidiani italiani a diffusione nazionale. Negli anni ‘80, attorno a quota 600.000 si davano battaglia le due “corazzate” del mainstream cartaceo, il “Corriere della Sera” e “Repubblica”. Oggi quei numeri impallidiscono: il “Corrierone” si deve accontare di 186.500 copie, mentre il quotidiano fondato da Scalfari è a quota 141.355. Sono impietosi i dati ufficiali, aggiornati al giugno 2019. Per i quotidiani italiani la crisi si è aggravata, scrive Sergio Carli su “Blitz Quotidiano”. «E nella crisi generale, ancora più acuta è la crisi del “Fatto”». Nel giugno scorso, il giornale di Travaglio ha venduto il 25% di copie in meno, rispetto all’anno scorso. «Mentre nell’insieme il mercato ha perso il 10%, dopo il -9 registrato in maggio e il -8 di gennaio e febbraio, il “Fatto” subisce un calo in progressione impressionante: del 10% in gennaio, del 13% in marzo, del 20% in aprile, del 23% in maggio, del 25 virgola in giugno». Malissimo anche il “Corriere”, che in giugno ha subito un crollo improvviso, precipitando al -10%. E “Repubblica”, dopo un -3% di maggio, si è allineata al -10% del concorrente, il peggior dato negativo da inizio anno.
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Formica: Salvini è un servo pericoloso, assetato di potere
Quando si rompono gli equilibri istituzionali o c’è la soluzione democratica, o decide la forza. Se non ci sono soluzioni democratiche c’è la guerra civile. Quali sono i segnali della decomposizione? Innanzitutto il governo: non c’è. Oggi ci sono tribù che occupano posizioni che una volta erano del governo. Il presidente del Consiglio convoca le parti sociali, ma il giorno dopo le convoca il ministro degli interni. E i sindacati vanno. Quando il sindacato non ha un interlocutore istituzionale ma va da chi lo chiama si autodeclassa a corporazione: vado ovunque si discuta dei miei interessi. Allora: non c’è un governo, perché la sua attività è stata espunta; non ci sono i partiti né i sindacati. È la crisi dei corpi dello Stato. Si assiste a un deperimento anche delle ultime sentinelle, l’informazione, la magistratura. La situazione di oggi è figlia dell’errore del 2018. Il presidente dà l’incarico esplorativo a Cottarelli e questo incarico viene sospeso dall’esterno da due signori che notificano al Quirinale di non procedere perché stanno stilando un “contratto” di cui indicano l’arbitro, il presidente del Consiglio. È il declassamento dall’accordo politico a contratto di natura civilistica, uno stravolgimento costituzionale.L’accordo di governo è altra cosa: stabilisce una cornice politica generale. L’errore è dei contraenti, ma chi lo ha avallato poteva fare diversamente? Se il presidente del Consiglio è arbitro si accetta il fatto che la crisi istituzionale si supera attraverso una extrademocrazia aperta a tutti i venti. Un punto di non ritorno? Il problema ora è mettere uno stop. Il presidente della Repubblica dovrebbe fare un messaggio sullo stato di salute delle istituzioni. Il presidente del Consiglio non c’è più, il governo neanche, la funzione della maggioranza è mutata fra decretazione e voto di fiducia. Ormai, di fatto, una camera discute, l’altra solo vota. Si sta consumando un mutamento dell’equilibrio istituzionale. Il presidente ci deve dire se questa Costituzione è diventata impraticabile. Intanto, il Viminale allarga i suoi poteri: Salvini crea una novità nel nostro tessuto democratico. All’interno di un sistema di sicurezza crea una fazione istituzionale di partito: spezza un corpo dello Stato in fazioni politiche. Il rischio è che nasca una polizia salviniana. Che avrebbe come conseguenza la nascita della Rosa Bianca, come sotto Hitler. E non solo. Ormai Salvini fa in continuazione dichiarazioni di politica estera che si pongono al di fuori dei trattati a cui aderisce l’Italia.Questo governo è un cavallo di troia nelle istituzioni? È la mela marcia che infetta il cesto. I consensi di Salvini crescono, e l’opinione pubblica ormai si forma al Papeete beach? Ma no, Salvini cresce perché non c’è un’alternativa. Un messaggio del presidente darebbe forza a quelle tendenze maggioritarie nell’Ue che hanno bisogno di sapere se in Italia c’è qualcuno che denuncia il deperimento democratico. Anche perché, non dimentichiamolo, l’Unione ha l’arma della procedura di infrazione per deperimento democratico, già usata per la Polonia. L’opposizione non ha ruolo? Il paese è stanco, il Pd non è in condizioni di rimotivarlo. Nessuno ne ha la forza. I rapporti fra Salvini e la Russia di Putin sono servili. La Russia ha un forte interesse a un’Italia destabilizzata per destabilizzare l’Europa. Il disegno non è di Salvini, lui è solo un servo assatanato di potere. Con Salvini sono tornate le ballerine, stavolta in spiaggia? Quando parlai di “nani e ballerine” intendevo che non si allarga alla società civile mettendo in un organo politico i professionisti del balletto. Qui siamo alla versione pezzente del Rubygate. Quello di Berlusconi era un populismo di transizione ma non si può negare che intercettasse sentimenti popolari. Salvini invece eccita i risentimenti plebei. Se questa situazione va avanti, fra due anni Salvini si eleggerà il suo presidente della Repubblica, la sua Consulta, il suo Csm e il suo governo. Siamo al limite. Lo dico con Nenni: siamo all’ultima chiamata prima della guerra civile nazionalsovranista.(Rino Formica, dichiarazioni rilasciate a Daniela Preziosi per l’intervista “È l’ultima chiamata prima della guerra civile, ora il presidente parli”, pubblicata dal “Manifesto” l’8 agosto 2019. Socialista, classe 1927, più volte ministro, da più di mezzo secolo Formica ha sferzato politica e partiti con le sue sentenze affilate).Quando si rompono gli equilibri istituzionali o c’è la soluzione democratica, o decide la forza. Se non ci sono soluzioni democratiche c’è la guerra civile. Quali sono i segnali della decomposizione? Innanzitutto il governo: non c’è. Oggi ci sono tribù che occupano posizioni che una volta erano del governo. Il presidente del Consiglio convoca le parti sociali, ma il giorno dopo le convoca il ministro degli interni. E i sindacati vanno. Quando il sindacato non ha un interlocutore istituzionale ma va da chi lo chiama si autodeclassa a corporazione: vado ovunque si discuta dei miei interessi. Allora: non c’è un governo, perché la sua attività è stata espunta; non ci sono i partiti né i sindacati. È la crisi dei corpi dello Stato. Si assiste a un deperimento anche delle ultime sentinelle, l’informazione, la magistratura. La situazione di oggi è figlia dell’errore del 2018. Il presidente dà l’incarico esplorativo a Cottarelli e questo incarico viene sospeso dall’esterno da due signori che notificano al Quirinale di non procedere perché stanno stilando un “contratto” di cui indicano l’arbitro, il presidente del Consiglio. È il declassamento dall’accordo politico a contratto di natura civilistica, uno stravolgimento costituzionale.
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Qualcosa s’è rotto: traditi gli italiani, vi credevano diversi
Salvini: «Qualcosa si è rotto, negli ultimi mesi». E puoi dirlo forte, Matteo. Per non scadere nel turpiloquio, non si può dire che cosa si sia rotto. Ma che si sia rotto è indubbio. Qualcosa si è rotto vedendo questo sconcertante teatro di baruffe, dispettucci, gelosie e minacce, neanche foste liceali a una diretta del Grande Fratello. Qualcosa si è rotto a tutti gli italiani che, dopo il 4 marzo del 2018, avevano sperato in un governo capace di fare compromessi nell’interesse, per una volta, della maggioranza dei cittadini e non di una collezione di influenti minoranze. Il plauso della maggioranza degli italiani era andato all’idea di un governo che accettasse di essere proprio un “governo di coalizione” senza vergognarsene, un governo che trovava dei punti di compromesso tra istanze e elettorati chiaramente non coincidenti, ma proprio perciò un governo che non fosse la solita esibizione muscolare di galletti vanesi, di chiacchiere e distintivo, di “governismo”, di impazienza verso la mediazione.Se non l’avessi capito, caro Matteo, la fiducia non vi è stata mai data perché “promettevate così bene”, ma per il livello di nausea suscitata dai governi precedenti che uno dopo l’altro governavano per una manciata di lobby influenti, mostrando sempre maggiore impazienza verso i “riti della democrazia”. Che queste lobby fossero poi l’entourage di Berlusconi o le enclave di potere del Pd poco importa. Ma a poco più di un anno di distanza, e soprattutto ad un’elezione di distanza, si è visto che tutti i vecchi istinti di massimizzazione dell’interesse personale del ceto politico, e di tutela dei propri gruppi di pressione sono riemersi. Invece di fare uno sforzo nell’ottica di un interesse collettivo, le spinte sono ora solo quelle a capitalizzare l’onda di consenso (per chi ce l’ha), ad accontentare le proprie lobby nell’imprenditoria lombardo-veneta per la Lega, o a rincorrere i propri referenti sparsi nei No Tav o No Tap o No Vattelapesca per i Cinque Stelle.Tutto il resto è solo il gioco del cerino, alla ricerca di come addossare all’altro la colpa di un ritorno alle urne. In questo gioco naturalmente la Lega può avvantaggiarsi di una linea coerente di lungo periodo, mentre il M5S soffre per aver raccolto richieste sparse senza darvi alcuna unità organica. Ma a parte questa disparità di efficacia, che si ripercuote in un diverso successo presso l’elettorato, la dinamica del ritorno al “particulare” è evidente. Purtroppo non basta riempirsi la bocca di “Italia” e vestire magliette col tricolore per imparare a pensare in termini di interesse nazionale.(Andrea Zhok, “Qualcosa si è rotto”, dalla pagina Facebook di Zhok dell’8 agosto 2019; post ripreso da “Come Don Chisciotte”).Salvini: «Qualcosa si è rotto, negli ultimi mesi». E puoi dirlo forte, Matteo. Per non scadere nel turpiloquio, non si può dire che cosa si sia rotto. Ma che si sia rotto è indubbio. Qualcosa si è rotto vedendo questo sconcertante teatro di baruffe, dispettucci, gelosie e minacce, neanche foste liceali a una diretta del Grande Fratello. Qualcosa si è rotto a tutti gli italiani che, dopo il 4 marzo del 2018, avevano sperato in un governo capace di fare compromessi nell’interesse, per una volta, della maggioranza dei cittadini e non di una collezione di influenti minoranze. Il plauso della maggioranza degli italiani era andato all’idea di un governo che accettasse di essere proprio un “governo di coalizione” senza vergognarsene, un governo che trovava dei punti di compromesso tra istanze e elettorati chiaramente non coincidenti, ma proprio perciò un governo che non fosse la solita esibizione muscolare di galletti vanesi, di chiacchiere e distintivo, di “governismo”, di impazienza verso la mediazione.
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Elezioni anticipate, se regge l’intesa tra Salvini e Zingaretti
Non è a Roma la chiave di volta per spiegare quanto sta accadendo, bensì a Strasburgo. E non è il mese di agosto quello decisivo, bensì quello precedente, in particolare nel giorno 16, il giorno del voto al Parlamento Europeo che elegge Ursula von der Leyen alla guida dell’Unione Europea con il concorso (determinante) dei voti del M5S. Metà luglio a Strasburgo dunque, cioè il momento che ha cambiato il corso della politica nazionale e che, con elevata probabilità, ci condurrà presto alle urne. Perché quel voto e così importante e perché Salvini reagisce come stiamo vedendo? La risposta c’è ed è riassumibile in tre elementi piuttosto semplici. Punto primo: quel voto segna una vittoria del premier Giuseppe Conte, che riesce ad entrare nel gioco “grande” a livello europeo portandosi dietro il partito che l’ha voluto per primo a Palazzo Chigi, riuscendo così a trasformare (almeno in parte) il disastroso risultato del M5S nelle urne in un successo politico dentro il “palazzo”. Così facendo però il premier avvalla la linea che vuole il fronte sovranista fuori da tutto, con evidente messa all’angolo proprio di Salvini. Punto secondo: quel voto indica chiaramente che l’asse Berlino-Parigi vince il primo round della partita continentale, relegando i sovranisti non solo ai margini del potere, ma addirittura provando a fare di loro una “bad company” alla mercé dei russi (si veda ai casi Strache e Savoini).
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Sei di destra? Allora sei un cretino, oppure un delinquente
Se sei di destra sei deficiente o delinquente. La destra è una massa di deficienti guidata da delinquenti. Anzi a volte basta non essere di sinistra per essere proclamato deficiente o delinquente. Prendi il caso di Jerry Calà. O prendi il caso di Salvini, prototipo dei delinquenti politici nella definizione di Roberto Saviano. Cerchiamo di capire le origini di questa teoria razzista. L’anno scorso, a Macerata, dopo l’orrendo massacro di una ragazza ad opera di spacciatori nigeriani, un giovane fanatico spara alla vetrina di un bar dove ci sono nigeriani. Non ci sono vittime ma il gesto oscura il crimine orrendo che lo ha originato. E non solo. Quel giovane isolato diventa il prototipo dell’uomo di destra, del suprematista bianco o del sovranista nero, diventa l’emblema del mondo di Putin, Trump e Salvini. Gli si dedicano perfino libri per dimostrare che c’è l’uomo “normale” (di destra) dietro il cretino-delinquente. Voltiamo pagina. A Bibbiano si scopre la storia orrenda di bambini strappati ai genitori tra false accuse, menzogne e lavaggi del cervello, padri a cui vengono sottratti i figli perché considerati omofobi, beatificazioni delle coppie lesbiche, affidi sconcertanti, ecc.Una rete criminale che coinvolge onlus, psicologi, assistenti sociali, attivisti lgbt, sindaci del Pd. Ma guai a parlare di sistema. Perché non si dovrebbe elevare Bibbiano, come nel caso di Macerata, a emblema e prototipo della sinistra radical-progressista, politically correct e famigliofoba? Perché un caso isolato a Macerata diventa la prova del razzismo in Italia e serve a criminalizzare chi è di destra e invece un sistema “collettivo” d’intrusione nelle famiglie dev’essere sottratto a ogni generalizzazione politica, ideologica, antropologica? Perché a sinistra sono solo casi isolati, a destra sono prototipi di genere. Se sei di destra sei deficiente o delinquente. Se sei di destra, sei per forza di estrema destra, dunque sei fascista, o di CasaPound, e perciò sei razzista, cioè nazista. Nella reductio sommaria a destra rientra tutto ciò che merita pubblico disprezzo: sovranisti, nazional-populisti, leghisti, conservatori, catto-tradizionalisti, e in genere chiunque sia alleato alla destra o simili. Detto con mirabile sintesi a priori: sono tutti carogne.Per la proprietà transitiva, ogni caso Macerata ti vede moralmente e ideologicamente complice nel crimine. Anzi è la prova che il razzismo, il nazifascismo è alle porte, bisogna perciò mobilitarsi contro il pericolo imminente (benché perpetuo). Nel caso raro e malaugurato tu sia un intellettuale di destra sappi che la definizione è un ossimoro impossibile, inammissibile: se sei intellettuale non puoi essere di destra, e viceversa se sei di destra non puoi essere intellettuale. Dunque sei un impostore o un ignorante. A volte per farti un complimento ti dicono: ma tu sei intelligente, non puoi essere davvero di destra. Sei un fingitore, fingi d’essere di destra per godere di tutti gli svantaggi previsti dalla collocazione. Sei in malafede (e sei per giunta un fesso masochista). Puoi salvarti in extremis solo in tre casi: se sei di destra ma disprezzi ogni destra vigente e soprattutto vincente, se sei di destra ma voti a sinistra, se sei di destra ma sei defunto. Un tempo si procedeva all’eliminazione fisica del dissidente, oggi si prevede l’eliminazione morale, civile, intellettuale, cioè ti considerano morto o mai vissuto.Se qualcuno dal versante opposto ripagasse con lo stesso odio assoluto e militante il loro razzismo etico e ideologico, il risultato sarebbe il seguente. Se sei di sinistra sei deficiente o delinquente, sei per la dittatura, la violenza partigiana e i gulag. Se sei di sinistra sei per forza di estrema sinistra, ergo sei comunista, quindi sei brigatista rosso, terrorista o anarco-insurrezionalista, stai coi violenti dei centri sociali, sei un seguace di Pol Pot, Mao e Stalin. Se leggi Saviano stai coi terroristi islamici. Se leggi la “Repubblica” sei tra lo spacciatore nero e lo psicologo di Bibbiano. Ogni episodio vero o presunto d’abuso, corruzione e violenza attribuito a uno di sinistra ti vede colluso e correo. Bibbiano è il tuo modo di concepire il rapporto genitori-figli, ogni delinquente anarco-comunista conferma la matrice criminale della sinistra intera, ogni violenza di migrante che la sinistra copre, giustifica o minimizza, mostra la tua complicità coi delinquenti. Capisco la tentazione di ripagare la faziosità con la faziosità e di ritorcere gli stessi argomenti, perché in tanti non ce la fanno più a vedere così distorta la realtà e mortificata la dignità di chi non la pensa come loro. Ma così non se ne esce dalla spirale di odio e demenza.Sarà più difficile e impopolare, ma preferisco dire che a destra come a sinistra e altrove, ci sono tanti deficienti e non pochi delinquenti; ma non tutti sono così, c’è anche gente per bene, intelligente e in buona fede. Che essere di destra o di sinistra non comporta automaticamente l’iscrizione all’albo dei mostri, al nazismo o al comunismo, al terrorismo rosso o nero. Che un immigrato delinquente non prova che la sinistra stia sempre coi delinquenti, per la stessa ragione che un aggressore di migranti, gay o donne non è il top model della gente di destra, il suo prototipo. Che si può essere buoni o pessimi padri, madri, nonni e figli sia se si è di destra che se si è di sinistra. Che si può essere intellettuali di destra o di sinistra, senza vergognarsi, quel che conta è la qualità che si esprime; e ci sono più cose in cielo, in terra e nell’intelligenza, che non passano dalla destra o dalla sinistra. Insomma, smettetela di dividere il mondo in due razze. Provate a fare uno sforzo, a non seguire l’incarognimento bilaterale e il rincoglionimento generale e andare oltre. Il comune buonsenso diventa uno sforzo epico, titanico…(Marcello Veneziani, “Cretini o delinquenti”, da “La Verità” del 28 luglio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Se sei di destra sei deficiente o delinquente. La destra è una massa di deficienti guidata da delinquenti. Anzi a volte basta non essere di sinistra per essere proclamato deficiente o delinquente. Prendi il caso di Jerry Calà. O prendi il caso di Salvini, prototipo dei delinquenti politici nella definizione di Roberto Saviano. Cerchiamo di capire le origini di questa teoria razzista. L’anno scorso, a Macerata, dopo l’orrendo massacro di una ragazza ad opera di spacciatori nigeriani, un giovane fanatico spara alla vetrina di un bar dove ci sono nigeriani. Non ci sono vittime ma il gesto oscura il crimine orrendo che lo ha originato. E non solo. Quel giovane isolato diventa il prototipo dell’uomo di destra, del suprematista bianco o del sovranista nero, diventa l’emblema del mondo di Putin, Trump e Salvini. Gli si dedicano perfino libri per dimostrare che c’è l’uomo “normale” (di destra) dietro il cretino-delinquente. Voltiamo pagina. A Bibbiano si scopre la storia orrenda di bambini strappati ai genitori tra false accuse, menzogne e lavaggi del cervello, padri a cui vengono sottratti i figli perché considerati omofobi, beatificazioni delle coppie lesbiche, affidi sconcertanti, ecc.
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Sul Tav, suicidio gialloverde: sembra Salvini, ma è Fantozzi
L’Italia “subisce ancora”, come Fantozzi: non bastava l’umiliazione sul deficit, ora si aggiunge anche il fardello del Tav Torino-Lione, massimo emblema della malapolitica nazionale al pari del surreale Ponte sullo Stretto. Capolinea gialloverde: era l’ultima diga possibile, ed è crollata. La Grande Opera Inutile – se mai si farà, al di là delle vuote ciance spadellate in Senato dal Partito Unico dello Spreco (Lega e Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia) – sarà ricordata come il triste mausoleo dei 5 Stelle, il movimento che doveva cambiare tutto e non ha cambiato niente, tranne se stesso. Dietrofront su tutta la linea: Tap e Ilva, obbligo vaccinale, trivelle petrolifere nell’Adriatico. Restava la trincea simbolica della valle di Susa, fortemente identitaria per i pentastellati, dai tempi in cui Beppe Grillo e Dario Fo (2005, un secolo fa) giuravano che mai avrebbe trionfato il sopruso, violento e mafioso, imposto al territorio per una ferrovia-doppione completamente inutile, se non per le tasche dei pochissimi “signori dei cantieri” coinvolti nella cordata trentennale per un’infrastruttura che i francesi valuteranno solo nel 2038 per capire se sarà il caso di costruirlo davvero, quel maledetto binario morto. Ai 5 Stelle restava la possibilità di un atto finalmente dignitoso: dimettersi. Ma non l’hanno fatto. Resta in sella il loro ex alleato, Salvini. Ma fino a quando?Braccato da magistrati e Ong, fanatici pro-migranti e giornalisti a caccia di inesistenti fondi neri dalla Russia, oggi il capetto della Lega sembra il padre-padrone del Belpaese – ma ha meno voti di quanti ne avesse Renzi, prima di sparire dalla scena. Salvini non ha esitato a suicidare i 5 Stelle (e quindi l’esecutivo gialloverde) negando ai grillini la possibilità di tentare di salvare la faccia almeno di fronte ai loro elettori, con la mozione di bandiera – solo dimostrativa – contro l’affare-vergogna del Tav. Ma niente: ora il leghista inscena una resa dei conti basata sulle poltrone, con la minaccia delle elezioni anticipate. Cade il governo Conte? Sai che tragedia, per il popolo italiano. Non mosse un dito, Fantozzi-Salvini, quando Mattarella sbarrò a Paolo Savona le porte del ministero dell’economia. E Savona doveva essere il cervello dell’operazione gialloverde, che prevedeva di impiegare l’Italia come ariete per sfondare il muro infame del rigore europeo, basato sulla teologia ordoliberista dello Stato minimo, ricattato dallo spread, alla mercé degli “investitori” privati che manovrano tutto, dalle agenzie di rating ai loro burattini della Bce e della Commissione Ue. Dov’era, il guerriero Salvini? A combattere sul fronte dei porti, bloccando lo sbarco di poche decine di africani. Grande cinema: perfetto, per distrarre il pubblico dai fallimenti fantozziani del governo.Bravo, Salvini, a spedire in Parlamento due economisti-contro come Borghi e Bagnai, di fede keynesiana. Meno bravo, poi, a relegarli al ruolo di belle statuine, mentre l’indegno sostituto di Savona – Giovanni Tria – si genufletteva a Bruxelles per poi tornare a casa senza l’ok per il deficit strategico su cui contava il governo per risollevare l’economia. E dov’era, il formidabile Salvini, quando l’italico giustizialismo faceva cadere la testa di Armando Siri, solo indagato? Il sottosegretario era il regista della Flat Tax, massimo punto di forza elettorale della Lega: gambizzato e travolto, archiviato insieme alla giusta battaglia (solo verbale, a questo punto) per abbattere la pressione fiscale. Il “capitano” aveva di meglio da fare: tipo accorrere alla festa della sacra famiglia tradizionalista, agitare il rosario e baciare il crocifisso nei comizi, perseguitare i negozietti di cannabis terapeutica nel paese dove la cocacina si compra ai giardinetti e dove la droga illegale può costare la vita a un carabiniere nel centro di Roma, massacrato a coltellate. Non si è fatto mancare niente, lo sceriffo padano: vestito da poliziotto, si è spinto (come tutti gli altri, prima di lui) anche nel piccolo tunnel geognostico di Chiomonte, sette chilometri in sette anni, l’unico cantiere Tav finora aperto, ma solo come opera accessoria. Del tunnel vero, quello per il treno – 57 chilometri – non è stato scavato neppure un metro.Non ci lasciano governare, ammise tempo fa il neo-deputato grillino Pino Cabras, denunciando il ruolo del Deep State (ministeri, Quirinale, Bankitalia-Bce) nel frenare qualsiasi istanza di cambiamento. Tutto vero, purtroppo. E come hanno reagito, i nostri eroi? Sparandosi addosso l’un l’altro. Ha cominciato Di Maio, terrorizzato dal crollo elettorale dei 5 Stelle. Salvini gli ha risposto da par suo, cioè affondando i grillini proprio sull’oscena Torino-Lione. Chi ci rimette, in tutto questo? Facile: gli italiani. Governo in pieno marasma: Conte cerca di sopravvivere al naufragio smarcandosi da Di Maio, la cui sorte sembra segnata (sarà probabilmente rottamato dai proprietari del “moVimento”, Grillo e Casaleggio). Fine del “governo del cambiamento”, dunque? Anche fosse, chi se ne accorgerebbe? Cos’hanno cambiato, Lega e 5 Stelle, in un anno di chiacchiere? Oggi, gli elettori grillini sanno che Di Maio e soci hanno tradito tutte le loro promesse. Ma quanto impiegheranno, gli elettori della Lega, a capire che nella loro parrocchia la canzone è la stessa? Cosa ha fatto, capitan Salvini, per dimostrare – coi fatti, di fronte all’Ue – di non essere la reincarnazione (politica, ma altrettanto patetica) del ragionier Fantozzi?L’Italia “subisce ancora”, come Fantozzi: non bastava l’umiliazione sul deficit, ora si aggiunge anche il fardello del Tav Torino-Lione, massimo emblema della malapolitica nazionale al pari del surreale Ponte sullo Stretto. Capolinea gialloverde: era l’ultima diga possibile, ed è crollata. La Grande Opera Inutile – se mai si farà, al di là delle vuote ciance spadellate in Senato dal Partito Unico dello Spreco (Lega e Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia) – sarà ricordata come il triste mausoleo dei 5 Stelle, il movimento che doveva cambiare tutto e non ha cambiato niente, tranne se stesso. Dietrofront su tutta la linea: Tap e Ilva, obbligo vaccinale, trivelle petrolifere nell’Adriatico. Restava la trincea simbolica della valle di Susa, fortemente identitaria per i pentastellati, dai tempi in cui Beppe Grillo e Dario Fo (2005, un secolo fa) giuravano che mai avrebbe trionfato il sopruso, violento e mafioso, imposto al territorio per una ferrovia-doppione completamente inutile, se non per le tasche dei pochissimi “signori dei cantieri” coinvolti nella cordata trentennale per un’infrastruttura che i francesi valuteranno solo nel 2038 (per capire se sarà il caso di costruirlo davvero, quel maledetto binario morto). Ai 5 Stelle restava la possibilità di un atto finalmente dignitoso: dimettersi. Ma non l’hanno fatto. Resta in sella il loro ex alleato, Salvini. Fino a quando?