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Odiare: Sardine o Salvini, l’Italia resta cibo per cannibali
Le Sardine vorrebbero un mondo migliore. E fin qui, tutto bene. Sono però convinte che l’ostacolo sia Matteo Salvini, che immaginano voglia un mondo peggiore. Salvini chi? Il vicepremier gialloverde che, dopo aver promesso di stroncare le tasse (mondo migliore) non ha combinato nulla, di fronte ai censori-strozzini dell’Ue (mondo peggiore)? Unico vero terreno di scontro, gli sbarchi dei migranti: accogliamoli tutti (oppure: non accogliamone nessuno). Grande enfasi, da parte dell’allora ministro dell’interno, e tantissimi voti, ma nessuna violenza. Invece Macron, che tra i politici europei è l’amico diletto di Papa Francesco, i migranti inchiodati alla frontiera francese li ha fatti riempire di botte. Ora i Papa-Boys scendono in piazza con le Sardine, contro Salvini. Dunque Macron la passa liscia anche stavolta? Quanto al secondo tema in agenda, quello del presunto fascismo, qualsiasi corte ammetterebbe il non luogo a procedere: le minuscole formazioni che si richiamano al Ventennio non raggiungono l’1% dei votanti, che sono poco più della metà degli aventi diritto al voto. Ma la Lega che c’azzecca, coi presunti nostalgici fascistoidi?C’è chi ricorda un antico corteo con i giovani di CasaPound: ma qualcuno l’ha letto, nel 2018, il programma sociale (per non dire socialista) con cui CasaPound si presentò allora alle elezioni? E comunque, perché scomodare i peggiori fantasmi del ‘900, ignorando pericolosamente i mostri in circolazione oggi? Di nuovo, come nel caso di Macron: perché farla passare liscia, al vero colpevole? Perché Salvini è brutto e cattivo, rispondono in coro le Sardine: è il male assoluto, il demonio, l’Uomo Nero. E dove starebbe, la cattiveria di Salvini? Nel contestare gli abusi di Bibbiano e il sindaco di Riace? Nel contraddire Carola Rackete e gli altri turisti politici che usano l’Italia per diventare famosi, a spese del nostro governo e ignorando il governo manganellatore francese? E’ più facile, semmai, parlare della bruttezza di Salvini, della sua discutibilissima estetica politica, dei suoi crocifissi da comizio, delle sue passerelle in uniforme. Data memorabile, quella in cui andò all’aeroporto – vestito da poliziotto – ad accogliere l’estradato terrorista Cesare Battisti. Brutture: in un paese dove la cocaina la si compra ai giardinetti, il capo della Lega è riuscito a prendersela coi negozi di cannabis terapeutica. Ha persino dato del drogato a Stefano Cucchi, il giorno della condanna dei suoi assassini.Anche Salvini, poi, ha assecondato il conato demagogico del taglio dei parlamentari, caldeggiato dai grillini nel tentativo di apparire puri e intransigenti anziché corrotti dal vero potere, quello europeo. Ecco il punto: Salvini è stato al governo, per un anno, con i grillini che – un giorno dopo l’altro – tradivano tutte le promesse fatte agli elettori. Salvini ha ceduto al niet di Mattarella su Paolo Savona, architetto della difesa finanziaria nazionale, e poi non ha preteso che restasse al suo posto Armando Siri, il promotore della Flat Tax. Soprattutto: non ha osato tener duro sulla richiesta di deficit al 2,4% che, pur insufficiente, sarebbe servito per sostenere gli italiani (mondo migliore). Ha sperato che la tattica attendista finisse per incidere sulla strategia, ma ha perso la scommessa. I suoi alleati si sono tirati indietro, frenandolo su tutto. E infatti adesso sono al governo col Pd, pronti a farsi dettare l’agenda da Bruxelles mentre l’Italia crolla. E l’Italia – anche se le Sardine sembrano non accorgersene – sta davvero crollando, come il ponte Morandi e gli altri viadotti che tremano e franano.Sono nei guai l’Ilva, l’Alitalia, Unicredit. Siamo nei guai tutti, con l’approvazione di un dispositivo cannibale come il Mes, ideato dai tedeschi per colmare la voragine di Deutsche Bank, in un’Europa folle dove la Bce non può fare da garante per gli Stati, sempre più in bolletta. Disastro su disastro: la Fiat (che già paga le tasse in Olanda, anziché in Italia) ora cede il timone ai francesi. Apre un nuovo stabilimento, ma in Marocco, e per premio incasserà 136 milioni in regalo dal governo Conte. Niente da dire, su questo? Certo non fiatano i giornaloni, imbottiti di pubblicità targata Fiat, Alfa Romeo e Jeep. Men che meno aprono bocca i leoni di “Repubblica” e dell’”Espresso”, feroci con Salvini ma zitti sulle imprese di John Elkann, che li ha appena comprati. Siamo il paese che s’è rifiutato di trasmettere in televisione la prima intervista, dopo nove anni di guerra, al presidente siriano. Motivo evidente: Assad, nel colloquio con Monica Maggioni, ha accusato l’Europa (e in particolare la Francia) di aver armato le milizie dell’Isis in Siria. A quanta gente bisognerebbe chiedere conto del fatto che il sospirato mondo migliore non sia ancora all’orizzonte?L’elenco è sterminato, come si vede. Ma nell’agenda delle Sardine c’è solo Salvini. Il che, automaticamente, finisce per scagionare tutti gli altri. Al leghista non si perdona lo stile, il presunto bullismo verbale. Agli altri invece si perdona ogni macelleria concreta, sanguinosa. Non sarà che il chiasso propagandistico di Salvini, sempre rimasto senza effetti pratici, viene usato – anche grazie alle Sardine “distratte” – per deviare l’attenzione dai veri lestofanti all’opera? Se a opporvisi è Salvini, riesce più facile rifilare all’Italia persino una trappola mortale come il Mes. Splendida situazione, per gli strangolatori della nostra economia: grazie alle Sardine, certo, ma anche a Salvini. Nei Promessi Sposi, i capponi di Renzo si beccano a sangue, tra loro, ignari della padella che li attende. Nella padella, le Sardine sono già dentro fino al collo, insieme a tutti gli italiani, eccezion fatta per gli abili manipolatori dell’odio di piazza. Ma l’ondata di contro-odio non si sarebbe mai levata, se – in partenza – il capo della Lega non avesse usato certi toni.Parole, s’intende: non fatti. In nessun modo, la Lega al governo ha mai attuato politiche xenofobe. Pur vestito da poliziotto, Salvini non ha mai preso a mazzate nessun africano, né risulta che abbia fornito razzi e mitragliatori ai tagliagole jihadisti. La sua colpa maggiore? Aver alzato la voce contro gli sfruttatori di Bruxelles, i nostri parassiti, senza però trovare il modo di agire, concretamente, contro di loro. Un mondo migliore, qui in Italia, lo avremo quando sarà chiaro chi deruba, davvero, gli italiani. L’attuale esecutivo-zerbino è complice dei malfattori, e questo comporterà la morte politica degli sconcertanti grillini, oggi alleati con i traditori storici del bene comune, del mondo migliore. Non c’è verso di farlo capire, alle Sardine? A loro, a quanto pare, basta prendere a sberle Salvini. Che, a sua volta, si è accontentato di abbaiare alla luna, tirando a campare per un anno insieme al fenomenale cazzeggiatore Di Maio.I sentimenti agitati dalle Sardine sono serissimi: chi lo non vorrebbe, un mondo migliore? Le loro frecce però finiscono tutte fuori bersaglio: trafiggono un capro espiatorio che non ha alcuna responsabilità nello spaventoso declino del paese, ora in pericolo di fronte alla dominazione tecnocratica di poteri subdoli, sleali perché opachi, pronti a usare il profilo istituzionale per favorire lobby e colossali affari privati. E a proposito di estetica: se a tanti italiani può dare giustamente il voltastomaco il ricorso alla Madonna di Medjugorje, che dire dei commissari europei (tra cui Gentiloni) ripresi mentre intonano Bella Ciao nei palazzi dove si progetta la dismissione dell’Italia? Si canta Bella Ciao, senza pudore, mentre si condannando gli italiani a vivere nel peggiore dei mondi, vessati da una austerity assurda che non si trova il coraggio di attribuire alla sua vera causa, cioè l’euro (questo euro, così costruito e gestito, allo scopo di sottomettere popoli).Non è bastata, la lezione della Grecia? I cannibali si ripresentano travestiti da Mes, ma gli insulti vanno a Salvini (che è all’opposizione). Surreale, no? Eppure è così che l’Italia agonizza: pur di stroncare il politico del momento, ci si allea con gli stranieri che poi ovviamente ci calpestano. Ce lo meritiamo, tutto questo? Pare di sì, se le piazze tracimano di parole fumogene proprio mentre il governo tresca apertamente col nemico, obbedendo a ordini inconfessabili. Nell’intervista che la Rai si è rifiutata di mandare in onda, il siriano Assad racconta come funziona (secondo lui, almeno) la ricostruzione del suo paese: la riconciliazione nazionale passa attraverso la scuola, cioè il dialogo, corroborato dagli influenti religiosi islamici. Nelson Mandela evitò il bagno di sangue, in Sudafrica, costringendo i funzionari dell’apartheid a scusarsi con le loro vittime, una per una. L’unica volta nella storia in cui sembrò sul punto di finire, seriamente, il supplizio israelo-palestinese, fu quella in cui la voce più forte (Israele) decise di fare concessioni oneste. Il capo di Israele, allora, si chiamava Rabin. Faceva così paura, ai signori della guerra, che decisero di assassinarlo.Può costare la vita, credere davvero nella possibilità di un mondo migliore. E il primo passo per raggiungerlo è la pace, la concordia. Per arrivarci non servono gli insulti, occorre il dialogo. Se all’ostilità si risponde con l’odio, il finale è già scritto: a vincere è il banco, ancora una volta. Finora, al netto delle mostruose sofferenze subite, l’Italia se l’è potuto permettere, il trionfo sistematico dei manipolatori, dei fabbricanti di mostri da sbattere in prima pagina. Craxi, Berlusconi, Renzi, ora Salvini. Nei loro confronti sempre parole-contro, mai progetti. A questo è servita, la morte delle ideologie: ad annebbiare la vista del pubblico, dietro a minuscoli personalismi destinati ormai a durare sempre meno, nascendo e poi sparendo nell’arco brevissimo di una sola stagione. E così ride, il vero nemico, nel vederci puntualmente divisi, rabbiosi e impotenti. Ride largo, il dio alieno dei cannibali. E si prende pure il lusso di prenderci per il fondelli, cantando Bella Ciao. Non manca di humour, il genio del male: quello che s’era inventato Auschwitz, tanti anni fa, ai condannati infliggeva le gelide note di una banda musicale, ogni mattina.(Giorgio Cattaneo, Libreidee, 15 dicembre 2019).Le Sardine vorrebbero un mondo migliore. E fin qui, tutto bene. Sono però convinte che l’ostacolo sia Matteo Salvini, che immaginano voglia un mondo peggiore. Salvini chi? Il vicepremier gialloverde che, dopo aver promesso di stroncare le tasse (mondo migliore) non ha combinato nulla, di fronte ai censori-strozzini dell’Ue (mondo peggiore)? Unico vero terreno di scontro, gli sbarchi dei migranti: accogliamoli tutti (oppure: non accogliamone nessuno). Grande enfasi, da parte dell’allora ministro dell’interno, e tantissimi voti, ma nessuna violenza. Invece Macron, che tra i politici europei è l’amico diletto di Papa Francesco, i migranti inchiodati alla frontiera francese li ha fatti riempire di botte. Ora i Papa-Boys scendono in piazza con le Sardine, contro Salvini. Dunque Macron la passa liscia anche stavolta? Quanto al secondo tema in agenda, quello del presunto fascismo, qualsiasi corte ammetterebbe il non luogo a procedere: le minuscole formazioni che si richiamano al Ventennio non raggiungono l’1% dei votanti, che ormai sono poco più della metà degli aventi diritto al voto. Ma la Lega che c’azzecca, coi presunti nostalgici fascistoidi?
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Le Sardine in Tv: che meraviglia, non contestano il potere
Evviva, i ragazzi scoprono la politica, l’impegno civile, il gusto del dissenso. L’onda lunga delle sardine è stata salutata da un boato di speranza e di sostegno con una sfilata di sponsor da grandi eventi, preti inclusi. Che gioia il ritorno del figliol prodigo, la gioventù ritrovata. Da troppo tempo latitante dalla politica, eccola che si fa largo. Risale il Novecento, secolo della giovinezza, almeno fino al ’68, si ritrovano i ragazzi sulla breccia, come li vedemmo sull’orlo infranto del Muro di Berlino, salvo poi sparire nei pub, nei display e nei consumi privati. Superata la prima fase di euforia, sorgono i dubbi. Il primo, già noto. Non vi pare strano che i ragazzi scendano in piazza non per contestare un potere, un governo, una dominazione politica e culturale ma per attaccare l’opposizione, per condannare un libero e vasto consenso popolare, per opporsi a chi si oppone all’establishment politico e culturale, all’ideologia dominante e al relativo conformismo? Non ci sono precedenti… Il secondo dubbio è se sono davvero un fenomeno spontaneo: chi c’è dietro? Non siamo in grado di confermare o smentire niente. Ma possiamo dire che appena sono apparsi, la ditta dei santini si è messa subito al loro servizio, compatta, come già aveva fatto per Greta e i manifestanti a scuola, per Carola e i suoi tifosi, per tutte le icone, Papa Francesco incluso, di volta in volta agitate per sostituire – usando le parole di Gramsci – un populismo progressivo al populismo regressivo.Qual è la differenza tra i due? E’ ideologica, pregiudiziale, tautologica: questi sono buoni perché progressisti, quelli sono nefasti perché bollati come regressisti. Dietro le sardine non ci sarà nessuno ma i pescivendoli hanno già lanciato le loro reti politiche. La terza osservazione è sulla loro consistenza. Leggi il loro manifesto e non trovi nulla che giustifichi qualcosa di più di una manifestazione di piazza. Non ci sono idee, non ci sono ragionamenti, non ci sono programmi, niente. E intorno c’è solo una residua simbologia venuta dal passato: Bella Ciao, via retrocedendo nel tempo e nelle forme. Qualcuno dirà, e siamo al quarto inciampo, ma fateli parlare, ascoltateli prima di emettere giudizi. E invece dopo aver sentito i loro esordi pubblici, direi il contrario: sardine, disertate i talk show, per il vostro bene, non andate mai in tv e nei dibattiti. Quando vanno sono una delusione: il vuoto assoluto, il balbettante carosello di luoghi comuni, istanze generiche, più l’odio verso Salvini & C., come unico segno comune distintivo. E poi le vaghe menate sui muri da abbattere, l’ambiente, il senso civico, il politically correct. Troppo poco per dare consistenza a un movimento. Meglio restare sott’acqua, meglio far tappezzeria in piazza, nascondersi nel branco e restare muti come pesci, piuttosto che dire ovvietà con la scusante che sono ragazzi e vanno al Dams.In certi casi si fa miglior figura a essere figuranti. Restate nei collettivi, non separatevi mai dal coro, perché se dite, sapete solo ripetere le banalità dei grandi, con l’attenuante dell’inesperienza e il candore dell’estraneità. Quinta obiezione. I giovani scoprono la politica, ma dieci anni fa, i ragazzi che si affacciavano ai vaffa day di Grillo non erano in prevalenza giovani? E poi il popolo viola, i girotondini, le pantere… Non è dunque una novità assoluta. Diciamo che ciclicamente accade e di solito la rapidità con cui spuntano dal nulla è pari alla rapidità con cui spariscono nel nulla. Sesto dubbio, sono l’iceberg di una vasta gioventù o rappresentano su scala giovanile la stessa minoranza che la sinistra dem rappresenta a livello adulto? Dubbio più che legittimo perché sondaggi di altro tipo dimostrano una diffusa se non prevalente tendenza giovanile inversa rispetto alle sardine. E a tal proposito sorge una domanda congiunta: ma perché non si vedono le triglie conservatrici, le alici destrorse che avversano questo governo, l’establishment e la sua ideologia politically correct? Non esistono, non riescono a fare gruppo, passano inosservati? Difficile che non esistano, possibile che non riescano a fare gruppo, probabile che passino inosservati all’occhio dei media. Dico occhio al singolare, perché si sa che la fabbrica delle opinioni vede solo con l’occhio sinistro. Intanto si parla di pinguini e di gattini…A parte questi dubbi, alla fine fa piacere che ci siano dei ragazzi che si impegnino sul piano civile e politico, non dirò che si espongano perché non hanno da rischiare più che non abbiano da trarre vantaggi. Ma il dubbio che resta è: dureranno? Andranno oltre le elezioni amministrative di gennaio e forse di primavera, o avranno vita breve e finiranno nelle reti della pesca a strascico? Alla fine, però, con tutti i limiti, i difetti e i dubbi espressi, e ben sapendo che sono dalla parte opposta di chi vi scrive, ben vengano le sardine e altri animali politici. Anche perché suscitano l’impegno avverso, come già accadde alla generazione sessantottina che stimolò per reazione e contrappasso una vasta gioventù di “destra” negli anni Settanta. Ne abbiamo visti tanti di proclami e annunci di nuove generazioni alle porte, e poi dopo poco hanno sciolto le righe, si sono imboscati, sono rimasti in carriera politica solo i caporioni. Non devono impressionare le recriminazioni delle generazioni precedenti verso quelle successive, ci sono sempre state. Ognuna si esprime a suo modo. La vera novità è che gli ultimi ragazzi sembrano più sconnessi dalla storia, dalla polis, dal rapporto anche conflittuale con le altre generazioni. Com’è profondo il mare, troppo vasto, liquido, cangiante, per essere riempito dalle esili sardine.(Marcello Veneziani, “Quanto dureranno le sardine”, dal numero 50 di “Panorama”, 2019; articiolo ripreso dal blog di Veneziani).Evviva, i ragazzi scoprono la politica, l’impegno civile, il gusto del dissenso. L’onda lunga delle sardine è stata salutata da un boato di speranza e di sostegno con una sfilata di sponsor da grandi eventi, preti inclusi. Che gioia il ritorno del figliol prodigo, la gioventù ritrovata. Da troppo tempo latitante dalla politica, eccola che si fa largo. Risale il Novecento, secolo della giovinezza, almeno fino al ’68, si ritrovano i ragazzi sulla breccia, come li vedemmo sull’orlo infranto del Muro di Berlino, salvo poi sparire nei pub, nei display e nei consumi privati. Superata la prima fase di euforia, sorgono i dubbi. Il primo, già noto. Non vi pare strano che i ragazzi scendano in piazza non per contestare un potere, un governo, una dominazione politica e culturale ma per attaccare l’opposizione, per condannare un libero e vasto consenso popolare, per opporsi a chi si oppone all’establishment politico e culturale, all’ideologia dominante e al relativo conformismo? Non ci sono precedenti… Il secondo dubbio è se sono davvero un fenomeno spontaneo: chi c’è dietro? Non siamo in grado di confermare o smentire niente. Ma possiamo dire che appena sono apparsi, la ditta dei santini si è messa subito al loro servizio, compatta, come già aveva fatto per Greta e i manifestanti a scuola, per Carola e i suoi tifosi, per tutte le icone, Papa Francesco incluso, di volta in volta agitate per sostituire – usando le parole di Gramsci – un populismo progressivo al populismo regressivo.
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Buoni, purché innocui e un po’ tonti (come l’elettore del Pd)
Negli ultimi giorni mi sono chiesto come avesse fatto il movimento delle Sardine a raggiungere un così grande successo. Negli ultimi anni abbiamo infatti avuto manifestazioni di operai, cassintegrati, disoccupati che al massimo riuscivano ad ottenere qualche trafiletto nei quotidiani locali. Solo il grande sciopero degli insegnanti contro la Buona scuola di Renzi era riuscito ad avere un buon successo di partecipazione nonostante le molte censure mediatiche, come i vergognosi pestaggi della polizia contro gli insegnanti in piazza 8 agosto a Bologna, davanti agli stand della festa del Partito democratico. Ora il successo delle Sardine è certamente dovuto al forte sostegno di giornali e Tv. L’establishment neoliberale è chiaramente con loro e lo si vede dal grande spazio mediatico concesso. Uno dei suoi massimi rappresentanti, Mario Monti, ha persino avanzato l’ipotesi di sfilare insieme a loro. Conta inoltre l’assenza di contenuti. Le manifestazioni delle Sardine sono un po’ come le canzoni di Ligabue. Esprimono significanti vuoti vagamente riferibili a un certo contesto sociale. Chi non ha mai vissuto “certe notti”? Chi non ha mai avuto il proprio “bar da Mario” in cui incontrare gli amici? Chi non ha giocato il ruolo di “mediano” in qualche circostanza della vita?Allo stesso modo, chi non è “antifascista” a sinistra? Chi se la sente di opporsi a questo movimento di “giovani”? E in definitiva, chi vuole giocare la parte del cattivone sovranista, qualsiasi cosa voglia dire questa parola? La sardina è insomma un significante vuoto, che applicato al campo della sinistra può essere all’occorrenza riempito di senso in modi diversi, disimpegnati e soggettivi. Essere sardina dunque è facile, non è faticoso. Illude il singolo di poter vedere riflesso nello spazio pubblico la propria idea della politica. C’è però dell’altro, nel segreto del successo delle Sardine. E riguarda la faccia del loro leader dal viso pulito, scanzonato, belloccio, “giovane”, serio, ma soprattutto intellettualmente limitato. Qualche giorno fa rileggevo per lavoro le stranote “Postille al Nome della Rosa” in cui Umberto Eco si interroga sul successo del suo primo romanzo. Secondo Eco, Il nome della rosa ha raggiunto un così largo numero di lettori grazie alla voce narrante, cioè da Adso. Come spiega lo stesso autore, Adso non è intelligente, non capisce tutto quello che gli accade intorno, non gli sono chiare le discussioni teologiche né i ragionamenti del suo maestro Guglielmo da Baskerville.Allo stesso modo Mattia Santori non capisce la politica, per sua stessa ammissione ne sa poco. Simpatizzava per Renzi, ma poi dopo averlo visto in pubblico si è accorto che non era empatico e ha cambiato opinione su di lui. Proprio così: non il Jobs Act, non la Buona Scuola, non l’aberrante riforma costituzionale; Santori ha cambiato idea perché Renzi non è empatico. Santori riscatta l’uomo di sinistra medio, gli fa pesare meno la sua decadenza, il suo profondo conformismo, la sua pigrizia e in fondo la paura di perdere alcune certezze. E del resto il livello di comprensione della politica, come per molti elettori del Pd e dei suoi partiti limitrofi è puramente emotivo e si manifesta per semplici schematismi vagamente identitari. I contenuti veri e propri non contano: il Mes? Santori non ne sa nulla, “se ne occupino i competenti”. Quello che conta è stare dalla parte dei buoni, senza però tante costrizioni, senza conflitti, senza obblighi troppo stringenti. E soprattutto senza accanto un Guglielmo da Baskerville rompiballe che magari mette in discussione le false certezze dell’elettore medio del Pd.(Paolo Desogus, “Il successo dei buoni”, dalla pagina Facebook di Desogus del 9 dicembre 2019; riflessione ripresa da “Come Don Chisciotte”).Negli ultimi giorni mi sono chiesto come avesse fatto il movimento delle Sardine a raggiungere un così grande successo. Negli ultimi anni abbiamo infatti avuto manifestazioni di operai, cassintegrati, disoccupati che al massimo riuscivano ad ottenere qualche trafiletto nei quotidiani locali. Solo il grande sciopero degli insegnanti contro la Buona scuola di Renzi era riuscito ad avere un buon successo di partecipazione nonostante le molte censure mediatiche, come i vergognosi pestaggi della polizia contro gli insegnanti in piazza 8 agosto a Bologna, davanti agli stand della festa del Partito democratico. Ora il successo delle Sardine è certamente dovuto al forte sostegno di giornali e Tv. L’establishment neoliberale è chiaramente con loro e lo si vede dal grande spazio mediatico concesso. Uno dei suoi massimi rappresentanti, Mario Monti, ha persino avanzato l’ipotesi di sfilare insieme a loro. Conta inoltre l’assenza di contenuti. Le manifestazioni delle Sardine sono un po’ come le canzoni di Ligabue. Esprimono significanti vuoti vagamente riferibili a un certo contesto sociale. Chi non ha mai vissuto “certe notti”? Chi non ha mai avuto il proprio “bar da Mario” in cui incontrare gli amici? Chi non ha giocato il ruolo di “mediano” in qualche circostanza della vita?
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Le finte rivoluzioni del 2019: la previsione di Carotenuto
«Cari amici, nel 2019 aspettiamoci altre finte rivoluzioni». Era il 29 dicembre dell’anno “gialloverde”, quello in cui gli italiani si erano illusi di poter avere un governo a 5 Stelle, deciso a farsi rispettare in Europa e a restituire giustizia sociale in Italia. Dodici mesi dopo, eccoci qua: alle prese con Greta e con le Sardine. Seppellito da Grillo il famoso “uno vale uno”, archiviato l’inguardabile Salvini vestito da poliziotto. Il copione è cambiato: piazze sempre piene, ma per lo sciopero climatico o i flash-mob contro “il fascismo”. Animi sempre accesi, naturalmente: contro qualcosa, o qualcuno, che (esattamente come prima) non è mai chi comanda, davvero. Autore della “profezia” sul 2019, Fausto Carotenuto, già analista politico dell’intelligence Nato. Previsioni peraltro già formulate a partire dal 2015: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Nel 2018, la messa a fuoco si è fatta progressiva: il caos sulla Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti «solo apparentemente anti-sistema». E poi le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre “parafasciste”, le voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche.«Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature. Foriere di forti tempeste, di feroci scontri», scriveva Carotenuto su “Coscienze in Rete”, esattamente un anno fa. «Come già per Matteo Salvini in uniforme da poliziotto lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante – come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani». Da una parte, scriveva Carotenuto, «sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico», ma dall’altra «anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane». Secondo l’analista, «una modalità molto diversa da quella “gesuitica”, fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica».I gruppi di manipolazione mondialisti, scriveva sempre Carotenuto, «hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione, e ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali». Temi che, manco a dirlo, non sono neppure sfiorati né dai “gretini” né dalle Sardine: i baby-ecologisti non menzionano nessuna delle minacce reali, a partire dal 5G, mentre gli odiatori di Salvini ignorano del tutto il primo problema italiano, l’Unione Europea. Tutto questo accade, anche, dopo il crollo del governo gialloverde: la Lega all’opposizione, e i 5 Stelle (dimentichi di ogni promessa) aggrappati alle poltrone del Conte-bis. «Avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un Cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe. Una presidenza del Consiglio e altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi».Bravi idealisti, «illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera Grillo ormai ridotta al silenzio». Sono e saranno i primi, scriveva Carotenuto, «a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti nel 2019». L’analista intravedeva «un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si porrà come nuova destra egoica e conservatrice, e il M5S come nuova sinistra fintamente progressista». Dietro le quinte, «i soliti poteri occulti» continuano «a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale». Oggi, a un anno di distanza, Carotenuto è estremamente preoccupato dal Conte-bis: lo vede come un terminale pericoloso del potere centralista. Grazie alla sua debolezza politica (lo zombie Zingaretti, il defunto M5S) l’esecutivo giallorosso guidato da Conte, «espresso dal medesimo network di potere vaticano che gestiva Andreotti», è perfetto per infliggere all’Italia un’overdose di rigore: guerra al contante e inasprimento fiscale, fino all’incubo del Mes. E nelle piazze, “gretini” e Sardine, a cantare Bella Ciao. «Anche nel 2019 – scriveva Carotenuto – ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste. Faranno tutto questo, come nel 2018 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze».«Cari amici, nel 2019 aspettiamoci altre finte rivoluzioni». Era il 29 dicembre dell’anno “gialloverde”, quello in cui gli italiani si erano illusi di poter avere un governo a 5 Stelle, deciso a farsi rispettare in Europa e a restituire giustizia sociale in Italia. Dodici mesi dopo, eccoci qua: alle prese con Greta e con le Sardine. Seppellito da Grillo il famoso “uno vale uno”, archiviato l’inguardabile Salvini vestito da poliziotto. Il copione è cambiato: piazze sempre piene, ma per lo sciopero climatico o i flash-mob contro “il fascismo”. Animi sempre accesi, naturalmente: contro qualcosa, o qualcuno, che (esattamente come prima) non è mai chi comanda, davvero. Autore della “profezia” sul 2019, Fausto Carotenuto, già analista politico dell’intelligence Nato. Previsioni peraltro già formulate a partire dal 2015: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Nel 2018, la messa a fuoco si è fatta progressiva: il caos sulla Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti «solo apparentemente anti-sistema». E poi le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre “parafasciste”, le voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche.
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Monti e Berlusconi in piazza con le Sardine, il Mes ringrazia
Ovazioni a Mattarella e piazze piene di Sardine. L’Italia? Minacciata dal Mes. Ma non ne parlano né il capo dello Stato, né i “pesciolini” che odiano Salvini. Cha razza di cortocircuito è mai questo? E per quale motivo il presidente della Repubblica dovrebbe meritarsi un tributo circense, da impero romano, alla prima della Scala? E perché i ragazzi-sardina (coccolati dal massimo potere, giornali e televisioni) ora cianciano di buoni sentimenti, evitando però di citare qualsiasi rogna che affligga il paese, tacendo persino di fronte al letale Fondo Ammazza-Stati? Ragazzi per modo di dire, poi: perché, oltre ai Papa-Boys attesi a Roma per l’annunciata consacrazione politica del 14 dicembre, nell’acquario delle Sardine si tuffa felice l’arci-nemico degli italiani, Mario Monti, insieme a lady Francesca Pascale, domestica sodale di quello stesso Berlusconi fischiato per anni e demonizzato dagli antenati delle Sardine, Girotondini e Popolo Viola. Ancora: dal trampolino di Torino (città che riesce sempre a brillare di luce propria, in questa Italia al tramonto) nella piscina di lusso delle Sardine si accingono a sguazzare anche le Madamine Sì-Tav, tipico esempio sabaudo di rivoluzione colorata (di palazzo, anzi di salotto, e di strettissima osservanza Fiat-Pd). E tutto questo, per cosa? Per fermare l’Uomo Nero?Seriamente: un tale polverone, fondato sulla nulla, servirebbe sostanzialmente a impedire che in Emilia Romagna, dopo 40 anni, possa governare qualcun altro, al posto del Pci-Pds-Ds-Pd? Ma l’alternanza, in teoria, non sarebbe il sale della democrazia? Non sono democratiche, le Sardine? Hanno paura, anche loro, degli elettori italiani? Sono le Marie Antoniette del terzo millennio, cucinate all’amatriciana, nel paese semiserio di Di Maio? Sono il riflesso tricolore della fobia per la democrazia manifestata dal supremo potere globalista neoaristocratico e dai suoi media di regime, spiazzati negli ultimi anni dalle proteste populiste? Domande retoriche, che Gioele Magaldi rilancia nel vuoto pneumatico della non-politica in cui sta affondando il paese. Penosa, la scialuppa di Conte e Zingaretti, con le sue euro-protesi ortopediche (Gualtieri, Gentiloni, Ursula-Sassoli). Pericolante navicella su cui sgomita Renzi, mentre gli effimeri 5 Stelle svaniscono come neve al sole. Tutti i sondaggi, intanto, decretano un unico verdetto: gli italiani oggi darebbero fiducia proprio a lui, l’orrendo Uomo Nero, in tandem con la sua collega romana e altrettanto tribunizia, Giorgia Meloni. Brrr, che paura: arrivano i fascisti?Questa la linea pletorica del Piave, su cui si accampa il branco delle Sardine. Parola d’ordine: volemose bene, morte al puzzone. «Cioè, fatemi capire: “morto” Salvini, i problemi dell’Italia sarebbero risolti?». Fondato nel 2015, il Movimento Roosevelt (di cui Magaldi è presidente) predica il ritorno alla sovranità della politica. Si spende – in modo trasversale – per spingere i partiti a ritrovare il loro posto nella storia: meglio se si spogliano dei loro panni di maggiordomi del potere finanziario. Da Milano, in un recente convegno, i “rooseveltiani” (tra cui l’economista Nino Galloni) hanno evocato il fantasma di Olof Palme, ineguagliato campione mondiale del welfare. Non sarebbe l’eroe perfetto, per le Sardine? A quanto pare, no: sembra non interessi, l’esplosivo cocktail tra diritti civili e diritti sociali. Cioè: ben venga l’accoglienza dei migranti, benché spacciata come unico surrogato di felicità obbligatoria, in un paese derubato da poteri superiori. Vogliamo dimenticare gli anziani impoveriti, che faticano ad arrivare alla fine del mese? O i giovani laureati costretti a fare i camerieri, se non a fuggire all’estero? Qui crollano i viadotti, si ferma l’Ilva. Disoccupazione, precarietà, rassegnazione: è il tragico declino del sistema-Italia, ma per Palazzo Chigi va tutto bene. Sardine, dove siete? Su che pianeta vivete?Pazzesco, dice Magaldi, l’endorsement del funesto Mario Monti: dove passa lui, non cresce più l’erba. Gli italiani lo ricordano cone un Attila in doppiopetto: è il boia che ha imposto la legge Fornero, il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione. Che c’azzecca, con le Sardine? E che dire della Pascale, ventriloqua di quel Cavaliere sempre pronto a qualsiasi inciucio, con chiunque, pur di garantirsi un posto al sole lasciando il paese sottomesso ai poteri neo-feudali che lo ricattano? Begli amici, care Sardine: ma chi siete, veramente? «Cosa volete? Non lo si è ancora capito (a parte la morte politica di Salvini, ovviamente). Se volessi scendere in piazza con voi, da semplice cittadino – domanda Magaldi – voi Sardine cosa mi proporreste, di preciso?». Le idee non mancherebbero. Tanto per cominciare, un’Unione Europea (quella di oggi, la Disunione Europea, è solo il comitato d’affari di potentati privati). Non c’è una Costituzione democratica, né un governo federale eletto dai popoli, tramite il Parlamento Europeo. Non c’è una politica estera comune. Non c’è nemmeno una politica fiscale: il Conte-bis si appresta a vessare ulteriormente il signor Rossi, mentre l’Ue ammette che Olanda e Lussemburgo restino paradisi fiscali dov’è più conveniente pagare le tasse, se ti chiami Fiat-Fca.E tutto questo le Sardine non lo sanno? Non lo capiscono, che il loro chiasso contro un falso obiettivo (Salvini) è un regalo favoloso per gli sfruttatori del Belpaese? Non si domandano il perché di tanta calorosa accoglienza, da parte di quei media che nel 2011 stesero un tappeto rosso al macellaio Monti? Quanto alla Lega, Magaldi non fa sconti: deve fare ancora tanta strada, l’ex Carroccio, se vuole davvero candidarsi ad aiutare l’Italia a rialzare la testa. «Se non altro – puntualizza il presidente del Movimento Roosevelt – Salvini ha almeno il merito di averci provato, a contestare lo status quo, attaccando il regime dello spread con l’aiuto dei suoi economisti keynesiani come Bagnai e Rinaldi». Certo non l’ha fatto Mattarella, che nel 2018 ha stoppato il professor Paolo Savona negandogli il ministero dell’economia. «Stiamo parlando di un ex ministro di Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica e, prima ancora, governatore di Bankitalia». A proposito: l’attuale capo della banca centrale, Ignazio Visco, ha lanciato l’allarme: il Mes potrebbe devastare le banche italiane e prosciugare i conti correnti. Dai palazzi del governo, silenzio. Idem dalle piazze: non è roba per Sardine, il Mes. In compenso, applausi a Mattarella dal lussuoso parterre milanese della lirica.Ma scusate, insiste Magaldi: «Che particolari meriti avrebbe, il capo della Stato? Ha silurato Savona, sostenendo di voler proteggere l’Italia dai mercati. E ora rieccoli, i mercati, in grande spolvero col Mes: la più grande minaccia per la finanza italiana e per i risparmiatori». Un trattato-capestro, «da respingere in blocco». Silenti le Sardine, chi si agita contro il Mes? Lui: Salvini. Ve lo figurate, un Mes, in un’Europa in cui ci fosse ancora un tipo come Olof Palme, fuoriclasse scandimavo dello Stato sociale? Era il vero leader carismatico dei socialisti europei: le Ilva svedesi le supportava coi soldi del governo, imponendo un management più vicino ai lavoratori. Socialismo liberale: assassinato – con Palme – nel 1986, a Stoccolma, proprio perché (sgombrato il campo dai progressisti, quelli veri) potesse nascere questo aborto di Ue, questa Eurozona infame e senza eurobond, in mano ai banchieri privati della Bce, unici sovrani di mezzo miliardo di persone. Arbitrio e business, senza democrazia, grazie anche al sangue di Olof Palme e di tutti gli altri combattenti, caduti nelle varie macellerie mediatiche, giudiziarie e criminali di quest’Europa tragica e ridicola. Ultima puntata della farsa: le Sardine in piazza contro Salvini. Insieme a Mario Monti, la Pascale e le Madamine Sì-Tav. Prosit: morte al leghista, e buon Natale a tutti.Ovazioni a Mattarella e piazze piene di Sardine. L’Italia? Minacciata dal Mes. Ma non ne parlano né il capo dello Stato, né i “pesciolini” che odiano Salvini. Che razza di cortocircuito è mai questo? Per quale motivo, peraltro, il presidente della Repubblica dovrebbe meritarsi un tributo circense, da impero romano, alla prima della Scala? E perché i ragazzi-sardina (coccolati dal massimo potere, giornali e televisioni) ora cianciano di buoni sentimenti, evitando però di citare qualsiasi rogna che affligga il paese, tacendo persino di fronte al letale Fondo Ammazza-Stati? Ragazzi per modo di dire, poi: perché, oltre ai Papa-Boys attesi a Roma per l’annunciata consacrazione politica del 14 dicembre, nell’acquario delle Sardine si tuffa felice l’arci-nemico degli italiani, Mario Monti, insieme a lady Francesca Pascale, domestica sodale di quello stesso Berlusconi fischiato per anni e demonizzato dagli antenati delle Sardine, Girotondini e Popolo Viola. Ancora: dal trampolino di Torino (città che riesce sempre a brillare di luce propria, in questa Italia al tramonto) nella piscina di lusso delle Sardine si accingono a sguazzare anche le Madamine Sì-Tav, tipico esempio sabaudo di rivoluzione colorata (di palazzo, anzi di salotto, e di strettissima osservanza Fiat-Pd). E tutto questo, per cosa? Per fermare l’Uomo Nero?
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Sicuri che Salvini al governo riuscirebbe a bocciare il Mes?
«Sapevamo che questo governo era nato con un solo scopo: sopravvivenza di gruppo e personale, al governo e in Parlamento, impedendo il voto e la vittoria di Salvini coi suoi alleati». Se questo è il mastice interno che tiene incollato alle poltrone il Conte-bis, scrive Marcello Veneziani su “La Verità”, in questi giorni abbiamo conosciuto anche «lo scopo esterno» assegnato alla congrega, ovvero: «Eseguire i comandi dell’Eurocrazia, non solo in tema di migranti ma soprattutto in tema di conti, secondo le direttive europee, come testimonia il Mes». La vera ragione politica del governo in carica, «oltre quella pietosa di natura personale», era e resta quella. «Non c’è un progetto, una grande riforma, un obbiettivo primario davanti». C’è solo quel core business: «Eseguire il mandato degli eurocrati, di cui il Pd è la guarda bianca, la filiale interna», continua Veneziani. «Il partito al servizio dell’establishment è il Pd, è il concessionario di zona dei poteri europei, è il rivenditore autorizzato della pappa europea ma è anche il rappresentante, il messo solerte delle sue direttive». Da solo, però, il Pd non basta più: per questo serve il paravento dei 5 Stelle, con l’aiuto delle provvidenziali Sardine e il profilo finto-istituzionale del premier.C’era da «mandare avanti qualcuno» al posto dell’impresentabile Pd: «Le sardine in piazza, i grillini in Parlamento e l’avvocato di tutte le cause al governo», osserva Veneziani. Il Pd? «Deve stare dietro e avvalersi di funzionari testati e garantiti dall’Europa, tipo Gualteri, tipo Gentiloni, tipo Enrico Letta. O la new entry, il passpartout Conte Fregoli, pronto a tutto pur di restare sul palcoscenico a recitare la parte del premier». Spettacolo ormai sotto gli occhi di tutti: «Con linguaggio orwelliano lo chiamano il SalvaStati, ma la sua traduzione reale è AmmazzaStati, insieme alle rispettive sovranità e agli interessi generali». Però, aggiunge Veneziani, «la porcata sul Mes scontenta e tradisce troppa Italia, e le coperture politiche – da quella renziana a quella dimaionese – tremano paurosamente e rischiano da un momento all’altro di crollare». E’ un fatto: «Mai, la base elettorale e militante grillina, espressa da Alessandro Di Battista, avrebbe accettato di essere usata come copertura per il peggior asservimento all’Europa». La speranza del Pd è che prevalga la paura di perdere la poltrona: che fine farebbero, i parlamentari grillini, se si tornasse a votare? E questo è davvero l’unico appiglio, per il Pd e «il consulente premier ingaggiato».Probabilmente, continua Veneziani, un simile calcolo personale spinge Grillo «a insistere sul governo in corso e a tacere su questa svendita nazionale», temendo il supremo potere di ricatto dell’establishment eurocratico. Più facile il compito dell’opposizione, che spara a zero sul Mes. Ma se domani il centrodestra salviniano e meloniano fosse al governo? Troverebbe «gli stessi poteri e i veti, gli ostacoli, le minacce, le tante forme ricattatorie di pressione e di ritorsione». Inevitabili compromessi? Salvini ce l’avrà, «la forza per dire un secco “no, non se ne parla”, e sarà convincente nel far capire che se per noi è un guaio mettersi di traverso ai dettami degli eurocrati, pure per la Ue e il suo sistema finanziario è un guaio dichiarare guerra a un socio fondatore come l’Italia?». E quindi, «riuscirà almeno a rinegoziare radicalmente il Mes e cambiargli prospettiva?». Nel caso, «troverà partner europei nella scelta sovranista e indipendentista?». Oppure: «Troverà sponde fuori dall’Unione Europea per bilanciare eventuali strappi e ultimatum? E quanti ostacoli troverà in Italia, tra magistratura, stampa e poteri istituzionali pronti a remare contro, gufare anti, colpire il sovranismo magari accusandolo pure di fare interessi stranieri?».Osserva Veneziani: è dura, «dover governare e dover fare i conti con le aspettative della gente che ti ha votato e le ingiunzioni del potere che ti vorrebbe far cadere appena possibile». Sulla scena dominano «forti giocatori politici e internazionali». E noi, allora, «saremo in grado poi di fronteggiare i potenti con armi e leadership adeguate?». Sono domande preliminari che vanno affrontate, conclude Veneziani, se si vuole andare oltre l’incasso immediato e vincente della giusta protesta. «Stavolta non basterà ripetere “noi twitteremo diritto”, remake social del “noi tireremo diritto”». Un consiglio e Salvini e Meloni: «Siate più prudenti nel dire e più conseguenti nel fare. La vostra forza principale è essere dalla parte della realtà, con i piedi per terra, convinti che la vita reale dei popoli vale più degli assetti contabili». E dunque, «siate realisti anche in questa partita difficile, pensateci già da ora. Prima o poi arriveremo alla fine del Mes».«Sapevamo che questo governo era nato con un solo scopo: sopravvivenza di gruppo e personale, al governo e in Parlamento, impedendo il voto e la vittoria di Salvini coi suoi alleati». Se questo è il mastice interno che tiene incollato alle poltrone il Conte-bis, scrive Marcello Veneziani su “La Verità“, in questi giorni abbiamo conosciuto anche «lo scopo esterno» assegnato alla congrega, ovvero: «Eseguire i comandi dell’Eurocrazia, non solo in tema di migranti ma soprattutto in tema di conti, secondo le direttive europee, come testimonia il Mes». La vera ragione politica del governo in carica, «oltre quella pietosa di natura personale», era e resta quella. «Non c’è un progetto, una grande riforma, un obbiettivo primario davanti». C’è solo quel core business: «Eseguire il mandato degli eurocrati, di cui il Pd è la guarda bianca, la filiale interna», continua Veneziani. «Il partito al servizio dell’establishment è il Pd, è il concessionario di zona dei poteri europei, è il rivenditore autorizzato della pappa europea ma è anche il rappresentante, il messo solerte delle sue direttive». Da solo, però, il Pd non basta più: per questo serve il paravento dei 5 Stelle, con l’aiuto delle provvidenziali Sardine e il profilo finto-istituzionale del premier.
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Minuscole Sardine, a quando la politica con la P maiuscola?
La politica con la P maiuscola è quella che rivendica il suo primato sull’economia. E non vedo niente di concreto, in questo senso, nel “manifesto” delle Sardine e in quello che dicono. Attaccano il sovranismo, il quale a sua volta interpreta a modo suo il concetto di sovranità. Non è affatto sbagliato, il principio di sovranità: e se la sovranità non appartiene al popolo, chi sarà sovrano al posto del popolo? L’economia, ovvio. E perché le Sardine non lo rimarcano? Loro si intestano la lotta antifascista dei partigiani: grazie ai nostri padri e nonni, dicono ai populisti, avete il diritto di parola (ma non quello di essere ascoltati, aggiungono). Oggi, quando Tremonti parla di fascismo bianco del mondo finanziario a guida tedesca, alle Sardine non viene in mente che ci possa essere un altro punto di vista, diverso dal loro e altrettanto legittimo? E il filone partigiano sarebbe una tradizione unilaterale, esclusivamente appannaggio di una sola parte? Non è così, ragazzi. C’è chi, proprio in quanto ex partigiano, nel vedere una dominazione sovranazionale espressa dal governo tedesco magari si spaventa, ricollegandosi a una memoria dolorosa.«Siamo già centinaia di migliaia, e siamo pronti a dirvi basta», scrivono le Sardine, sfidando sovranisti e populisti. Benissimo, l’attivismo è sempre positivo. Ma alle Sardine dico: se parlate di “politica con la P maiuscola”, dovete necessariamente criticare le teorie economiche che rivendicano il primato della finanza sulla politica. Va rovesciata, quella relazione: bisogna rivendicare il ruolo di una politica che sovrasti i processi economici. E per rivendicare una politica con la P maiuscola, care Sardine, dovete anche fare delle proposte con la P maiuscola. Va bene soccorrere i migranti, ma perché dire che “aiutare a casa loro” il miliardo e mezzo di africani sarebbe un’idea razzista? Parliamo di soluzioni vere, con la P maiuscola, se davvero vi preme l’empatia tra esseri umani. Dite di essere anti-sovranisti: ma non vi viene in mente che la sovranità del popolo è il principio cardine della democrazia? Il “manifesto” delle Sardine sembra una letterina di Natale, senza consapevolezza politica, incastonato in quella narrativa moralista della sedicente sinistra (che non dà risposte ai bisogni delle persone).Come si può volere una politica con la P maiuscola essendo però anti-sovranisti? La sovranità popolare, ripeto, è il fondamento della democrazia. Poi, certo, c’è chi equipara la sovranità popolare alla sovranità nazionale: problemi suoi, ormai oggi le nazioni non sono più in grado di combattere l’involuzione antidemocratica derivata da processi finanziari ed economici che hanno luogo su scala globale. La sovranità è proprio quello che vivifica la politica con la P maiuscola di cui parlate, care Sardine. Nel vostro “manifesto” non c’è una sola proposta, chiara e netta. Ve ne suggerisco alcune io, se vogliamo parlare di politica con la P maiuscola. La vogliamo democratizzare, questa Unione Europea? La eliminiamo, la Commissione di “nominati”, che subisce l’influenza della finanza trasformando l’Ue in una Disunione Europea? Diamo il potere legislativo al Parlamento Europeo, e decidiamo che il presidente del Parlamento sia eletto dal popolo, eliminando i giochi di partiti e interessi. E decidiamo per esempio di legare la Bce a un potere politico. Chiediamo di cambiare il mandato della Bce, aggiungendo l’obiettivo di raggiungere la piena occupazione (la Fed, ad esempio, lo fa).E poi: decidiamo di creare un Glass-Steagall Act per l’Europa, separiamo le banche speculative dal credito ordinario all’economia. E decidiamo di creare gli eurobond, in modo da condividere con tutti i nostri concittadini europei le sorti del continente. Chi critica questa Europa non lo fa perché razzista o ignorante. Lo fa perché questa Disunione Europea ha tradito il ruolo che doveva avere nella storia. Avrebbe dovuto rappresentare il luogo in cui riuscire a coniugare le libertà individuali, compresa la libertà d’impresa e di profitto, con la responsabilità sociale. E invece l’Europa è diventata il luogo nel quale la finanza ha il primato sull’economia, nel quale la politica si piega alla finanza, e in cui il popolo deve lavorare per inseguire indicatori economici che nulla hanno a che vedere con il benessere della collettività. A essere anti-europeista, oggi, è proprio chi ha il potere in Europa. L’idea di Europa doveva vivificare principi totalmente diversi da quelli che oggi vediamo dettare legge, all’interno di queste istituzioni antidemocratiche, tecnocratiche, economicistiche. Non sono istituzioni che rappresentino la volontà popolare e gli interessi dei popoli.Vogliamo una politica con la P maiuscola? E allora cominciamo a consisderare come l’Europa possa essere il volano per imporre un nuovo paradigma economico. Perché di questo si tratta. Io sento molti sovranisti che rivendicano la sovranità (invece che del popolo) della nazione. Ma ai neoliberisti come Hayek non interessa che i mercati sovrastino la sovranità nazionale, a loro preme che i mercati siano al di sopra della sovranità popolare. Quello che preme ai neoliberisti è proprio questo: non si deve raggiungere una sovranità popolare sopra-statuale, per esempio a livello di comunità europea. Per loro, politicizzare la comunità europea sarebbe un ostacolo alla libertà dei mercati: si creerebbe un nuovo contenitore politico democratico, all’interno del quale le persone diverrebbero una vera comunità, consapevole di avere interessi comuni. Lo dico ai sovranisti, che si illudono: se si torna alla dimensione nazionale, si fa proprio il gioco dei teorici del neoliberismo.Quanto alle Sardine, le critico con affetto: felice di vedere all’opera un movimento studentesco. Non importa che sia schierato col Pd, il partito che (insieme a Italia Viva e +Europa) incarna in Italia l’ultra-conservatorismo economico. Mi aspetto però che le Sardine comincino a rivendicarla per davvero, la politica con la P maiuscola. Ci pensate voi, Sardine, a spiegare a quei partiti perché è sbagliato che la politica sia subordinata alla finanza? Vi metterete finalmente a studiare Hayek e Friedman? Andrete a leggere Van Parijs? Sarete voi a spiegare al Pd perché quel modello di sinistra, che si ammanta di superiorità morale, in realtà non è capace di incidere sulla società? Invece di limitarvi a criticare il discutibilissimo Salvini, care Sardine, se volete vivificare i principi che dite di avere cari, vi consiglio di uscire dalla semplice narrativa dei buoni e dei cattivi. Non bastano, le buone intenzioni. Bisogna capire qual è la relazione diretta tra democrazia sostanziale ed economia.(Marco Moiso, dichiarazioni rilasciate nel video “Una valutazione equanime del fenomeno Sardine, tra pregi e difetti”, registrato su YouTube il 2 dicembre 2019. Moiso è vicepresidente del Movimento Roosevelt, espressione del progressismo socio-economico e culturale di matrice keynesiana, fondato sull’equilibrio democratico avanzato tra diritti civili e diritti sociali).La politica con la P maiuscola è quella che rivendica il suo primato sull’economia. E non vedo niente di concreto, in questo senso, nel “manifesto” delle Sardine e in quello che dicono. Attaccano il sovranismo, il quale a sua volta interpreta a modo suo il concetto di sovranità. Non è affatto sbagliato, il principio di sovranità: e se la sovranità non appartiene al popolo, chi sarà sovrano al posto del popolo? L’economia, ovvio. E perché le Sardine non lo rimarcano? Loro si intestano la lotta antifascista dei partigiani: grazie ai nostri padri e nonni, dicono ai populisti, avete il diritto di parola (ma non quello di essere ascoltati, aggiungono). Oggi, quando Tremonti parla di fascismo bianco del mondo finanziario a guida tedesca, alle Sardine non viene in mente che ci possa essere un altro punto di vista, diverso dal loro e altrettanto legittimo? E il filone partigiano sarebbe una tradizione unilaterale, esclusivamente appannaggio di una sola parte? Non è così, ragazzi. C’è chi, proprio in quanto ex partigiano, nel vedere una dominazione sovranazionale espressa dal governo tedesco magari si spaventa, ricollegandosi a una memoria dolorosa.
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La truffa 5 Stelle: il cancro che ha impedito il cambiamento
Quest’anno il Movimento 5 Stelle ha celebrato il decimo anniversario della sua nascita suicidandosi. Per andare al governo, s’è svenduto a tutti i Mattei che accusava d’avere distrutto il paese, portando Salvini al 33% dei votanti, e resuscitando Renzi. Ha dato via libera a tutte le rovinose Grandi Opere che prometteva di bloccare. Ha obbedito a tutti i diktat Ue, Usa, Nato, Bce, come il più diligente dei droni. Ha occupato tutte le poltrone, poltroncine, seggiole, seggiolini e sgabelli che è riuscito a raggiungere. Ha rifinanziato i lager libici. Ha illuso i riders, i truffati dalle banche, i terremotati, i lavoratori di centinaia di crisi aziendali, per poi abbandonarli. Ed ha ovviamente perduto tre quarti dei voti, riducendosi a cercare di ritirare la propria lista dalle elezioni regionali per eccesso di ribasso, come si fa coi titoli fallimentari in borsa. Un vero e proprio record.Ministro del lavoro, ministro dello sviluppo economico, ministro degli esteri, vicepremier, capo politico del M5S, anche la carriera di Luigi Di Maio è da record: in 18 mesi ha ricoperto ben cinque alte cariche, senza mai esercitarne davvero nessuna, perché totalmente privo delle capacità e delle competenze necessarie. Era più qualificato il cavallo senatore di Caligola. Al momento, Gigi il Fenomeno è commissariato da Grillo, che lo trattiene per un orecchio dallo scappare a iscriversi alla Lega insieme ai suoi “fedelissimi”. Incapaci, strafottenti, voltagabbana, quelli della banda di Maiana condividono tutte le principali caratteristiche del loro capo corrente, e sono fra i peggiori parassiti che la politica italiana abbia mai prodotto, il che è tutto dire. Con loro, il Movimento 5 Stelle è diventato l’infestazione che prometteva di debellare. La malattia di cui si fingeva la cura.Grillo cerca adesso pateticamente di salvarne i resti riciclandoli come minions del Pd, come d’alemiana “costola della sinistra”. Il Movimento 5 Stelle non è di sinistra. E non è neanche equidistante, trasversale, ortogonale, post-ideologico, o qualche altra stronzata del genere. Il Movimento 5 Stelle è di destra. Il qualunquismo è di destra. Ed è una truffa. Un buco nero che ha inghiottito e neutralizzato più d’un decennio di proteste e speranze che altrimenti avrebbero potuto fare la differenza. Dieci anni nei quali l’Italia sarebbe potuta cambiare davvero. Un’arma di distrazione di massa, che invece di realizzare il cambiamento promesso l’ha di fatto impedito. Il Movimento 5 Stelle è di destra, ed è una truffa. Quindi è l’alleato ideale del Pd.(Alessandra Daniele, “Decàde”, da “Carmilla” del 1° dicembre 2019).Quest’anno il Movimento 5 Stelle ha celebrato il decimo anniversario della sua nascita suicidandosi. Per andare al governo, s’è svenduto a tutti i Mattei che accusava d’avere distrutto il paese, portando Salvini al 33% dei votanti, e resuscitando Renzi. Ha dato via libera a tutte le rovinose Grandi Opere che prometteva di bloccare. Ha obbedito a tutti i diktat Ue, Usa, Nato, Bce, come il più diligente dei droni. Ha occupato tutte le poltrone, poltroncine, seggiole, seggiolini e sgabelli che è riuscito a raggiungere. Ha rifinanziato i lager libici. Ha illuso i riders, i truffati dalle banche, i terremotati, i lavoratori di centinaia di crisi aziendali, per poi abbandonarli. Ed ha ovviamente perduto tre quarti dei voti, riducendosi a cercare di ritirare la propria lista dalle elezioni regionali per eccesso di ribasso, come si fa coi titoli fallimentari in borsa. Un vero e proprio record.
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Dopo 40 anni, ora “Repubblica” è finita agli Agnelli-Elkann
Lunedì sera è diventata ufficiale l’acquisizione della maggioranza relativa del gruppo editoriale Gedi da parte di Exor, la più grande società italiana per fatturato, di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann. Se ne parlava da settimane – e pure da qualche anno, come vedremo – ma è la più grossa storia capitata ai giornali italiani in questo millennio, per molte ragioni. La prima ragione, la più “fine-di-un’era”, è che il quotidiano “Repubblica” non è più della famiglia De Benedetti. “Repubblica” fu creata nel 1976 da un gruppo di giornalisti e investitori, e inserita dentro un gruppo editoriale in cui stava il settimanale “L’Espresso”, allora molto venduto e importante, e ne prendeva il nome. Nel 1979 l’imprenditore Carlo De Benedetti entrò nella società e negli anni successivi estese la sua partecipazione, e il suo ruolo crebbe fino a farlo diventare l’editore del gruppo, che nel tempo acquisì molti quotidiani locali storici ne creò altri, e comprò anche le due importanti radio, “Deejay” e “Capital”. Carlo De Benedetti, che i giornali hanno sempre chiamato “l’ingegnere”, divenne per molti anni un protagonista della scena editoriale e politica italiana, con una grande passione per il ruolo esercitato e per il potere acquisito da “Repubblica” e dal gruppo nella vita pubblica.Solo per dire della sua esposizione più famosa e citata nella politica, al tempo della ideazione del Partito Democratico circolò molto una sua frase per cui ne avrebbe preso “la tessera numero uno”. Sotto la proprietà di Carlo De Benedetti, “Repubblica” ebbe due importantissimi direttori, rimasti in carica per ben vent’anni ciascuno, fino al 2016: Eugenio Scalfari prima ed Ezio Mauro dopo. Ma dall’inizio del 2016 la storia del quotidiano ha preso una velocità completamente diversa: dopo questi lunghi periodi di continuità, nel 2016 fu appunto nominato un nuovo direttore, Mario Calabresi (allora direttore della “Stampa”, e prima già a lungo a “Repubblica”), e due mesi dopo fu annunciata una storica fusione con il gruppo editoriale della famiglia Agnelli che pubblicava la “Stampa”, il terzo quotidiano italiano. Già nel 2019 Calabresi era stato di fatto licenziato, e Carlo Verdelli (già vicedirettore al “Corriere della Sera”, poi direttore di “Vanity Fair” e della “Gazzetta dello Sport”) nominato al suo posto. E dopo solo nove mesi, lunedì, la cessione della maggioranza del gruppo alla famiglia Agnelli. Cosa è successo in questi tre anni, anzi sei?Nel 2013 Carlo De Benedetti – che stava compiendo 79 anni – aveva ceduto la proprietà del gruppo Espresso ai tre figli, annunciando di volersi ritirare dal ruolo di editore. L’operazione era stata seguita con curiosità dal mondo dell’editoria giornalistica, perché nessuno dei tre figli Rodolfo, Marco ed Edoardo si era mai mostrato interessato a quel ramo delle attività di famiglia, né aveva la passione per la scena giornalistico-politica che aveva avuto del padre. Edoardo fa il cardiologo, Rodolfo e Marco si occupano di altre aziende di famiglia: Rodolfo soprattutto con ruoli importanti negli affari finanziari e un più volte manifestato disinteresse per il tormentato business dei giornali. Anche per questo, quando nel 2016 c’era stata la clamorosa fusione con il gruppo editoriale della “Stampa” (che comprendeva anche il quotidiano “Secolo XIX” di Genova), in molti si erano domandati se fosse stata «”Repubblica” ad avere comprato la “Stampa”, o la “Stampa” ad avere comprato “Repubblica”», ovvero chi avrebbe preso il comando della nuova società tra Rodolfo De Benedetti e John Elkann: malgrado il gruppo Espresso fosse il più grande, e ufficialmente le quote maggiori fossero della famiglia De Benedetti, le curiosità per l’editoria giornalistica di John Elkann – capo delle aziende della famiglia Agnelli – sembravano più convinte e motivate (Elkann aveva contestualmente lasciato una vecchia presenza nell’azionariato della società editrice del “Corriere della Sera”).La nuova società, però – ribattezzata Gedi – veniva in effetti gestita da Rodolfo e Marco De Benedetti, e anche le scelte successive sembravano privilegiare la testata maggiore – “Repubblica” – rispetto alla “Stampa”, che dopo un iniziale ruolo di “secondo quotidiano nazionale del gruppo” pareva essere stato destinato a quello di “primo quotidiano locale del gruppo”. Nel frattempo era cambiata l’Italia: la scelta di un nuovo direttore di 46 anni (“giovane”, per le abitudini dei grandi quotidiani italiani) come Mario Calabresi era il risultato di una lettura del cambiamento italiano in cui il tempo della grande contrapposizione manichea tra berlusconismo e antiberlusconismo era finito, e in cui i recenti successi di Matteo Renzi sembravano confermare che il paese si stesse muovendo verso divisioni più sfumate e articolate, verso complessità maggiori, e verso una maggiore modernità e un rinnovamento generazionale. Mario Calabresi, capace di rapporti più trasversali e analisi meno schematiche, oltre che nato negli anni Settanta, era parso l’uomo giusto per confermare “Repubblica” dentro i tempi, ribaltandone l’approccio tenuto nell’era precedente.Un giornale più contemporaneo, anche nel disegno e nei temi, con una nuova inventiva sui progetti digitali, e che addirittura arrivò a un’occasione importantissima e divisiva come il referendum costituzionale scegliendo di non dare una linea esatta ai suoi lettori, e offrendo spazio a entrambe le posizioni. Ma l’analisi del cambiamento si rivelò rapidamente sbagliata (un po’ da tutti): quel periodo di innovazione e costruzione di una nuova sinistra di successo si è esaurito – come si sa – molto rapidamente, e quello che lo ha sostituito sono di nuovo tempi di “resistenza” a sinistra, di indicazione del nemico, di contrapposizioni violente. Da questa constatazione di errata direzione è venuto l’allontanamento drastico di Calabresi all’inizio del 2019, con modi e atteggiamenti oggettivamente sgradevoli da parte dell’editore, e confermati anche da Carlo De Benedetti, che intanto aveva cominciato a rifarsi vivo pubblicamente per criticare la piega presa dal giornale. Al suo posto è stato nominato Carlo Verdelli, 62 anni, molto stimato per la sua capacità di guidare i progetti giornalistici più diversi e di conoscere i sentimenti e desideri dei lettori.Il quale Verdelli – più in sintonia coi tempi – ha immediatamente restaurato e reinventato gli approcci tradizionali di “Repubblica”, con posizioni molto più aggressive e urlate, una campagna promozionale dal titolo “Alza la voce” e titoli più forti e grandi anche come dimensioni (anche qui, però, dopo pochi mesi il cambio di governo ha messo in difficoltà la linea di opposizione bellicosa del giornale alla maggioranza Lega-M5S). Sullo sfondo di tutto questo, non si può ignorare la crisi economica complessiva e mondiale dei giornali e dei quotidiani, e le difficoltà dei gruppi editoriali a limitare le perdite e ricostruire modelli di business nuovi: e quindi il declino economico anche del gruppo Gedi, e l’enorme difficoltà di qualunque nuovo orientamento o progetto a ottenere risultati migliori sotto questi aspetti. In questo quadro già complicato e spaesato, lo scorso settembre Carlo De Benedetti – che nel frattempo aveva esibito pubblicamente la sua delusione per le difficoltà del suo ex giornale – ha improvvisamente presentato un’offerta per riacquistare dai figli le loro quote del gruppo, sostenendo con sprezzo che non fossero capaci di gestirlo, che non ne avessero alcun interesse, e che lo stessero portando al fallimento.L’offerta, bassa e giudicata irricevibile da qualunque esperto, veniva motivata da De Benedetti appunto col basso valore a cui il gruppo sarebbe stato portato dalla gestione dei figli. I quali avevano reagito con maggiore sobrietà ma altrettanta irritazione, dicendosi addolorati di un simile atto di disistima e avversità e rifiutando la proposta. Ma era chiaro che la situazione non poteva andare avanti senza altri sconvolgimenti. E lo sconvolgimento ha cominciato a circolare come probabile nelle redazioni da qualche settimana, ed è diventato ufficiale lunedì sera. “Repubblica”, dopo quarant’anni, non è più della famiglia De Benedetti; la famiglia Agnelli si è ripresa il suo quotidiano storico, la “Stampa”; e malgrado il percorso tortuoso, è finita che è «la “Stampa” ad avere comprato “Repubblica”». Ancora ne succederanno, perché le difficoltà di un grande gruppo mediatico rimarranno e dovranno essere affrontate con idee e denaro, e non è detto che bastino le une o l’altro. Ma il 2 dicembre è stato un giorno che si ricorderà nella storia dei giornali italiani. La fine di un’era, davvero, come dicono i quotidiani.(”La storia più grossa in mezzo secolo di giornali italiani”, da “Il Post” del 3 dicembre 2019).Lunedì sera è diventata ufficiale l’acquisizione della maggioranza relativa del gruppo editoriale Gedi da parte di Exor, la più grande società italiana per fatturato, di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann. Se ne parlava da settimane – e pure da qualche anno, come vedremo – ma è la più grossa storia capitata ai giornali italiani in questo millennio, per molte ragioni. La prima ragione, la più “fine-di-un’era”, è che il quotidiano “Repubblica” non è più della famiglia De Benedetti. “Repubblica” fu creata nel 1976 da un gruppo di giornalisti e investitori, e inserita dentro un gruppo editoriale in cui stava il settimanale “L’Espresso”, allora molto venduto e importante, e ne prendeva il nome. Nel 1979 l’imprenditore Carlo De Benedetti entrò nella società e negli anni successivi estese la sua partecipazione, e il suo ruolo crebbe fino a farlo diventare l’editore del gruppo, che nel tempo acquisì molti quotidiani locali storici ne creò altri, e comprò anche le due importanti radio, “Deejay” e “Capital”. Carlo De Benedetti, che i giornali hanno sempre chiamato “l’ingegnere”, divenne per molti anni un protagonista della scena editoriale e politica italiana, con una grande passione per il ruolo esercitato e per il potere acquisito da “Repubblica” e dal gruppo nella vita pubblica.
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Il Mes e i Miserabili: come siamo caduti in basso, e perché
Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari leghisti e un emissario del grillino Fraccaro.«Non firmiamo niente», conclusero, dopo aver solo potuto guardare da lontano quelle 40 pagine, scritte in inglese, senza la possibilità di fotocopiarle. Alla faccia della sovranità parlamentare. L’ha ripetuto, Borghi, nella diretta web-streaming su ByoBlu con Claudio Messora e Francesco Toscano, poche ore dopo l’infuocata assise delle Camere: la bozza di revisione del micidiale Mes, i cui funzionari si pongono al di sopra di qualsiasi legge, non punibili in nessun caso, ha seguito la stessa procedura clandestina del Ttip, il trattato-fantasma concepito per scavalcare i governi e lasciare alle multinazionali l’ultima parola sui contenziosi con gli Stati. Qui è ancora peggio, rincara Borghi: almeno, l’accesso formale al testo del Ttip (sempre in inglese, non fotografabile neppure con lo smartphone) era previsto dall’agenda. Invece, quei 40 fogli del Mes-2 sarebbero stati esibiti la scorsa estate solo per gentile concessione di Conte, in imbarazzo con i suoi azionisti di riferimento, Lega e 5 Stelle. Uno strappo alla regola: in base al rigido protocollo, le informazioni riservatissime sul rinnovato Meccanismo Europeo di Stabilità, in teoria, si sarebbero dovute limitare unicamente al premier, assistito d’ufficio dal solo ministro dell’economia (all’epoca, Giovanni Tria).Citato da Salvini nella sua requisitoria in aula contro Conte, l’esperto Guido Salerno Aletta, di “Milano Finanza”, conferma l’allarme già lanciato da Antonio Patuelli dell’Abi e, ancor più autorevolmente, dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. E cioè: se l’Italia fosse costretta a ricorrere al Mes, il nuovo Fondo potrebbe chiedere in cambio pesantissime “condizionalità”, inclusa la “ristrutturazione” del debito. Tradotto: le banche, detentrici dei titoli di Stato, potrebbero attingere direttamente ai conti correnti degli italiani. In alternativa, il governo dovrebbe imporre una patrimoniale. Lo conferma, sempre a “ByoBlu”, un tecnocrate come Carlo Cottarelli: per l’Italia il rischio è serio, visto l’attuale sistema di finanziamento (titoli di Stato, con moneta non sovrana) e un debito che galleggia oltre il 130% del prodotto interno lordo. Il documento, infatti, prevede che tutto vada liscio solo per i paesi con un debito non superiore al 60% del Pil, in linea con la “teologia” di Maastricht. Problema: le regole del rigore, pensate trent’anni fa per un’Europa in crescita, si sono scontrate con la realtà della stagnazione, riuscendo solo ad aggravare la crisi e condannare intere economie. E oggi, nel 2019, ancora si insiste con una ricetta perversa e socialmente devastante, votata alla rovina generale?“Non venitemi a dire che non lo sapevate”, è la fragile autodifesa di Conte, che tenta di coinvolgere Salvini e Di Maio, entrambi vicepremier all’epoca dell’incubazione del Mes-2. Vero a metà, a quanto pare: da un lato, il capo della Lega e il portavoce dei 5 Stelle non hanno mai rigettato, a prescindere, la prospettiva dell’ex Fondo salva-Stati. Dall’altro, però, si erano riservati di analizzarlo in modo approfondito. Salvo scoprire, oggi, che il Mes avrebbe viaggiato in clandestinità: un piatto avvelenato, da servire ai Parlamenti solo a cose fatte. E qui, Conte traballa. Accusato frontalmente da Salvini e Giorgia Meloni, è isolato dalla freddezza di Di Maio: i 5 Stelle potrebbero ribellarsi e staccare la spina al governo, pur di bloccare il fondo “ammazza-Stati”? Se il Pd e i renziani fanno quadrato attorno all’attuale titolare dell’economia, cioè il tecnocrate Roberto Gualtieri (creatura di Buxelles), dalla sinistra si sfila “Liberi e Uguali”: per Stefano Fassina, già viceministro di Enrico Letta, l’Italia deve rispedire al mittente, rifiutandosi di approvarlo, questo pericoloso congegno a orologeria.Conte avrebbe già dato il suo ok, all’insaputa di tutti? Malissimo: proprio su questo sembra giocarsi la sopravvivenza del professor-avvocato a Palazzo Chigi, incalzato dalla Lega che si prepara alla mobilitazione popolare, a suon di firme, prima ancora di valutare una mozione di sfiducia, nel caso in cui una frangia dei 300 parlamentari grillini prendesse le distanze da quello che, sulla carta, si presenta come il più insidioso attentato alle tasche degli italiani. Mesi fa, un ex analista dell’intelligence come Fausto Carotenuto aveva confessato: «Temo il Conte-bis, la sua debolezza politica ne farà lo strumento perfetto per l’élite europea intenzionata a farci del male». Oggi, di fronte alla rissa parlamentare sull’ipotetico Fondo Monetario Europeo, un osservatore privilegiato come Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, allarga decisamente l’orizzonte: ma ci rendiamo conto, dice, di cosa stiamo parlando? Lo capiamo, per quale motivo siamo finiti così in basso? Vogliamo deciderci a vederlo, il problema? Alzi la mano chi sa spiegarsi, precisamente, per quale motivo la moneta (europea) è diventata qualcosa da mendicare, da prendere in prestito a caro prezzo, lasciando in pegno interi paesi (e ora, magari, anche il patrimonio di milioni di cittadini).Chiarisce l’economista Nino Galloni, che del Movimento Roosevelt è vicepresidente: ci rendiamo conto che l’Italia ha sì un enorme debito pubblico, ma in compenso vanta un debito privato irrisorio e un ingentissimo patrimonio fatto di risparmi, di capitali e immobili, a garanzia del sistema economico nazionale? E perché allora il rating delle agenzie, adottato da Bruxelles come unico parametro, considera solo il debito contabile dello Stato? Chiedetelo a Prodi, taglia corto un altro “rooseveltiano” come Gianfranco Carpeoro: fu il professore di Bologna, osannato come salvatore della patria dopo aver sfasciato l’Iri che sorreggeva l’industria italiana, a genuflettersi ai signori dell’euro, rinunciando a far pesare il valore reale dell’Italia. Quanto agli eurocrati, un grande imprenditore come Fabio Zoffi, che opera in Germania, ha avuto il coraggio di sbugiardare i guardiani dell’austerity altrui: al “Giornale” ha ricordato che Berlino, mediante svariati artifici contabili, omette enormi cifre nel computo del deficit. Il debito tedesco (quello reale) sarebbe il doppio di quello italiano. Attenzione, avverte Zoffi: proprio grazie al super-debito, sia pure occulto, la Germania funziona meglio dell’Italia. Ergo: anziché tagliare la spesa, perché non allargarla? Il famoso tetto del 3% non è certo una legge economica: è solo un diktat politico-ideologico, che ha finora depresso l’economia.Né si creda che sia intelligente prendersela col signor Franz, dice da parte sua il comunista Marco Rizzo, consultato sempre da Messora: il popolo tedesco non ha idea di quello che combina, alle sue spalle, l’élite che lo governa. Vale per tutti gli altri, inclusi i francesi. La soluzione? Sincronizzare i popoli, coalizzarli contro questa oligarchia che ha privatizzato la moneta. Da tutt’altro versante, quello social-liberale, Gioele Magaldi (in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”), punta il dito contro lo scandaloso dumping fiscale, su cui nessuno fiata: «Che Europa è mai questa, dove si consente che in paesi come l’Olanda e il Lussemburgo sia più conveniente pagare le tasse?». Risultato: l’emorragia di entrate fiscali (Fiat docet), grazie alla fuga delle grandi aziende. Su questo, niente da ridire? Meglio la piccola crociata, vagamente infame, contro l’idraulico che lavora in nero? E i media che fanno, continuano a dormire? Marco Travaglio, addirittura, s’è messo ad incensare Conte: «Saprebbe indicare, Travaglio, un solo illuminante atto di governo che abbia contraddistinto il premier, da quando è a Palazzo Chigi, con l’unica evidente intenzione di restarvi il più a lungo possibile, non importa come, obbedendo ai politici che contano in Europa, anche a scapito degli italiani?».Mai stato tenero, Magaldi, nemmeno con Lega e 5 Stelle. L’accusa: dovevano almeno avviare il cambiamento promesso. «Invece si sono limitati alle chiacchiere: esattamente come Renzi, proprio per questo scaricato a suo tempo dagli elettori». Renzi s’era rimesso in pista, ma ora è stato speronato dalle inchieste sul finanziamento della fondazione Open. «Giusto che la magistratura indaghi, ma senza far politica su questo: ipocrita pensare che i partiti vivano d’aria. Ma sopprattutto: Renzi va bocciato politicamente, perché per l’Italia non ha fatto nulla». Oggi, il mostro ha le sembianze del Mes. E prima ancora: Trattato di Maastricht e Trattato di Lisbona, Fiscal Compact, pareggio di bilancio in Costituzione. «Io sono ultra-europeista», dice Magaldi, «ma intendiamoci: un’Unione Europea non è mai esistita». Chi l’ha detto, ad esempio, che a decidere tutto sia la Bce, non controllata da politici, a loro volta tenuti a rispondere agli elettori? Ora siamo all’apice dell’aberrazione: anziché un ente prestatore di ultima istanza, deputato a finanziare gli Stati in modo virtualmente illimitato, si darebbe vita allo strozzinaggio istituzionale di un organismo ancora meno democratico, super-bancario, abilitato a ricattare popoli scavalcando definitivamente i governi.Al di là di come andrà a finire la miserabile vicenda Mes, incluso lo scaricabarile tra politici, Magaldi sintetizza: tutta quella robaccia va stracciata e riscritta da zero. E’ che ora di svegliarsi, tutti, ma per davvero. Le piccole Sardine? Si decidano: chiedano conto della situazione a chi comanda davvero, in Italia. I sovranisti? Vicolo cieco: a che serve trincerarsi entro i confini, quando è Bruxelles che detiene le leve strategiche, le regole che condizionano l’economia? Vale anche per i rossobruni di Vox Italia: l’oligarchia non ha nulla da temere, da chi rifiuta la battaglia continentale. La risposta? Democrazia, da imporre ai gerarchi dell’Ue. In pillole: «L’Italia sta crollando: viadotti che cadono, scuole a pezzi. Disoccupazione, tasse altissime, aziende che non vengono pagate. Servono 200 miliardi, per rimettere in corsa il paese». E si pensa di elemosinarli al Mes, mettendosi al collo il cappio degli usurai? Non è questione di virgole o di percentuali, insiste Magaldi: c’è da far saltare tutto. Cambiare le regole, da cima a fondo. Primo: «Un’Europa democratica, con la sua Costituzione, e un governo federale finalmente eletto dal Parlamento Europeo». Secondo: «Una banca centrale che emetta eurobond, e sostenga in modo illimitato i debiti pubblici, mettendo fine al ricatto dello spread». O così, o moriremo: malati di Mes, o si qualsiasi altro morbo letale fabbricato in provetta, nei laboratori segreti che hanno sabotato la democrazia per dare vita a questo morto vivente, questo zombie travestito da Sacro Romano Impero, senza più cittadini ma soltanto sudditi.Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari (di cui due leghisti) e un emissario del grillino Fraccaro.
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Mes, paghiamo noi per la Germania: Conte è come Monti
Ho ascoltato l’intervento di Giuseppe Conte in Parlamento e l’ho trovato sciagurato in quanto rappresenta un’orgia montiana! In poche veritiere parole vi spiego come avviene una crisi finanziaria e lo farò come se parlassi a mia zia di 90 anni. Un grosso colosso finanziario, ad esempio Deutsche Bank, è carico di titoli tossici per un ammontare pari a 3 volte il Pil dell’intera Europa. Ad un certo punto alcuni debitori privati non riescono a restituire i crediti a questa banca, ed è per questo che sono definiti “tossici” (non essendo coperti da adeguato riscontro reale); per non fallire la banca si rifà sugli Stati, visto che è creditrice pure verso di essi (gli Stati hanno politici servizievoli, pagano tutto e puntuale), per la precisione verso gli Stati di cui detiene Btp, Bot, ecc, che rappresentano il debito pubblico (dei paesi in questione). A questo punto lo spread sale, perché i paesi non possono avere nell’immediato simili quantità di liquidi, e la colpa di tutto ricade su questi ultimi. Non sulla Germania, quindi… indovinate un po’ quale paese in particolare finirà sotto accusa? Altro che Mes, che integra e che non ha nel mirino nessun paese in particolare, caro premier (studi la sostanza, non si fermi come Don Abbondio ai cavilli, al “Latinorum”)!Ricordo che quando l’inglese Lehman Brothers fallì, la Banca d’Inghilterra, teoricamente più esposta, ripianò tutte le sofferenze emettendo moneta e superando così, senza troppi contraccolpi sociali, questa emergenza. Invece del Mes deve essere la Bce a garantire! E’ l’ora di smetterla di mettere di mezzo gli italiani in nome del neoliberismo turbofinanziario. Al contrario degli inglesi, “l’Europa dei popoli” socializzò le perdite, cioè le fece pagare ai cittadini (leggasi suicidi, tagli, licenziamenti, tasse), cosa che fece scandalizzare Beppe Grillo, all’epoca non ancora fulminato sulla via della casa di Bibbona (insieme al figlio indagato). All’epoca i politici nascosero la “soluzione inglese” e congiuntamente, con gli stessi toni autorevoli attuali di Conte, dalle parti del Pd e dintorni, ci dissero che non potevamo emettere moneta perché si sarebbe fatta viva l’inflazione. Il sottoscritto (e in formato deluxe Alberto Bagnai) si dette da fare per diffondere questa stortura. Niente da fare. Successivamente, per salvare l’euro (non per salvare noi cittadini, sia chiaro) Draghi sentenziò «whatever it takes», e finalmente azionò il bazooka della Bce emettendo una enorme quantità (bolla) di denaro, direttamente e rigorosamente nelle casseforti delle banche private di mezzo mondo.Tutto ciò non provocò nessuno scompenso inflattivo: ma si sapeva; bastava studiare, per dirla alla Giuseppe Conte oggi in Parlamento, perché questa versione (allo stesso modo delle ragioni del Mes) era una burla, visto che la moneta è endogena (solo se circola si genera inflazione, cioè se si crea lavoro e/o alzando i salari). Una burla costata carissima, e adesso ci risiamo! Gli attori sono gli stessi, con il M5S al posto di Scelta Civica. Il Mes non è altro che un sistema per socializzare le perdite, cioè per far ripagare alla gente la prossima crisi; eppure, anche oggi in Parlamento, con un linguaggio simile al politichese della Prima Repubblica, viene descritto come meccanismo virtuoso (sic!) e inclusivo (straSic!). Le banche non hanno imparato niente dal 2007 perché non conoscono il rischio di impresa! Continuano a giocare i soldi “ai cavalli” perché conviene loro, se va bene ottengono enormi profitti speculativi (che paghiamo noi cittadini, indirettamente); quando perdono, poi, paga pantalone (noi cittadini, direttamente col Mes). Orgia neoliberista, quindi. Secondo il premier, il Mes renderebbe stabile l’Unione Monetaria e si incamminerebbe verso la condivisione dei rischi ma, in conclusione, è una ingiusta forma di drenaggio di liquidità dalle tasche dei contribuenti a quelle delle banche. Questo è bene saperlo; e questo era bene chiarire, a prescindere dalle proprie opinioni in merito.(Marco Giannini, Libreidee, 2 dicembre 2019).Ho ascoltato l’intervento di Giuseppe Conte in Parlamento e l’ho trovato sciagurato in quanto rappresenta un’orgia montiana! In poche veritiere parole vi spiego come avviene una crisi finanziaria e lo farò come se parlassi a mia zia di 90 anni. Un grosso colosso finanziario, ad esempio Deutsche Bank, è carico di titoli tossici per un ammontare pari a 3 volte il Pil dell’intera Europa. Ad un certo punto alcuni debitori privati non riescono a restituire i crediti a questa banca, ed è per questo che sono definiti “tossici” (non essendo coperti da adeguato riscontro reale); per non fallire la banca si rifà sugli Stati, visto che è creditrice pure verso di essi (gli Stati hanno politici servizievoli, pagano tutto e puntuale), per la precisione verso gli Stati di cui detiene Btp, Bot, ecc, che rappresentano il debito pubblico (dei paesi in questione). A questo punto lo spread sale, perché i paesi non possono avere nell’immediato simili quantità di liquidi, e la colpa di tutto ricade su questi ultimi. Non sulla Germania, quindi… indovinate un po’ quale paese in particolare finirà sotto accusa? Altro che Mes, che integra e che non ha nel mirino nessun paese in particolare, caro premier (studi la sostanza, non si fermi come Don Abbondio ai cavilli, al “Latinorum”)!
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L’Italia crolla, ma le piazze si sfogano contro l’Uomo Nero
Addosso al puzzone, abbasso Salvini. Tutto qui. Piazze piene, per ridare fiato allo smarrito Conte-bis, all’impalpabile Pd zingarettiano, agli ex finto-rivoluzionari grillini. Giornali e televisioni sono preda dei debunker, dei disinformatori di professione, ma ai giovani sardinizzati questo non sembra dar fastidio. Quanti di loro, del resto, hanno fatto la òla a Greta Thunberg, sapendo con assoluta certezza che siamo noi, umani, a determinare le continue oscillazioni del clima di cui è fatta la storia del pianeta? Se quello attorno a Greta è una specie di cospirazionismo autorizzato e irreggimentato, restano in ordine sparso gli altri complottisti, i quali vedono davanti a sé un mostro praticamente invincibile, il Sistema. Che fortuna, per il Sistema, poter contare su un Salvini qualsiasi: non ci fosse, toccherebbe prendersela col governo. Si veda l’empia spudoratezza dei 5 Stelle, la loro inquietante disinvoltura nel mentire agli elettori. Non dovevano rimettere il cittadino al centro della politica? In chat con Massimo Mazzucco, un suo lettore (Aristide Capacchioni) aggiorna la fisionomia della vera “Trilaterale” provvisoriamente al comando: «I 5 Stelle – scrive – hanno messo il cittadino al centro del 5G, al centro dei vaccini e al centro dell’Europa».Tre temi da niente, si capisce: non a caso è proprio il terzo, sotto forma di Mes, a regalare notti insonni persino a un super-tecnocrate come Ignazio Visco, governatore di Bankitalia. Ma non c’è speranza che le attuali, ribollenti piazze “ittiche” accennino all’ultimo trattato-capestro, che imporrebbe allo Stato di ridurre il debito prosciugando i conti correnti. Crollano i viadotti, ma l’agenda del dicorso pubblico autorizzato non contempla l’ovvio, e cioè che lo Stato – gambizzato dal 1981 dal divorzio fra Tesoro e banca centrale – non ha più i soldi per provvedere alla manutenzione e alla sicurezza. Abbiamo cominciato a perdere, dice il saggista Gianfranco Carpeoro, da quando ci siamo messi a sbraitare contro qualcuno, anziché per qualcosa: e abbiamo perso tutti, regolarmente, sempre. Non l’abbiamo capito ancora che l’Uomo Nero, volente o nolente, finisce per essere lì apposta per distrarci? In Italia, poi, oggi siamo scesi tra gli scantinati del grottesco: il Moloch non è neppure al governo, sta nelle retrovie dell’opposizione. Ha esasperato milioni di persone la sua insistenza propagandistica e monotematica sugli sbarchi: come se il business dei migranti fosse il maggiore problema del paese.Una gara virtuosa, in ogni caso: compatti, gli avversari, nel tacciare d’infamia il capo della Lega – un bruto senza cuore, contrario all’istituto dell’accoglienza – sdoganando in questo l’idea che in fondo sia normale rendere eterna l’ingiustizia di chi è costretto a lasciare il proprio paese, minato dalle stesse oligarchie predatrici che poi, da questa parte del Mediterraneo, tendono la loro mano caritatevole (a spese del contribuente, si capisce). Chissà cosa si dissero, all’orecchio, Macron e Bergoglio nel giugno del 2018, quando il pontefice cattolico chiamò a sé, nel momento di massima tensione fra Parigi e Roma, proprio il politico francese che fece definire “vomitevole” la politica dell’Italia gialloverde. Quanto a Salvini, non è andato oltre l’1% dei propositi di risanamento del paese, di liberazione dal giogo dell’élite franco-tedesca che ha spolpato l’economia italiana. Eppure, quell’1% basta e avanza per riempire le piazze infervorate contro il Mostro. Per il 99% degli argomenti niente da fare, bisognerà aspettare che l’Italia finisca di crollare?(Giorgio Cattaneo, 2 dicembre 2019).Addosso al puzzone, abbasso Salvini. Tutto qui. Piazze piene, per ridare fiato allo smarrito Conte-bis, all’impalpabile Pd zingarettiano, agli ex finto-rivoluzionari grillini. Giornali e televisioni sono preda dei debunker, dei disinformatori di professione, ma ai giovani sardinizzati questo non sembra dar fastidio. Quanti di loro, del resto, hanno fatto la òla a Greta Thunberg, sapendo con assoluta certezza che siamo noi, umani, a determinare le continue oscillazioni del clima di cui è fatta la storia del pianeta? Se quello attorno a Greta è una specie di cospirazionismo autorizzato e irreggimentato, restano in ordine sparso gli altri complottisti, molti dei quali vedono davanti a sé un mostro praticamente invincibile, il Sistema. Che fortuna, per il Sistema, poter contare su un Salvini qualsiasi: non ci fosse, toccherebbe prendersela col governo. Si veda l’empia spudoratezza dei 5 Stelle, la loro inquietante disinvoltura nel mentire agli elettori. Non dovevano rimettere il cittadino al centro della politica? In chat con Massimo Mazzucco, un suo lettore (Aristide Capacchioni) aggiorna la fisionomia della vera “Trilaterale” provvisoriamente al comando: «I 5 Stelle – scrive – hanno messo il cittadino al centro del 5G, al centro dei vaccini e al centro dell’Europa».