Archivio del Tag ‘Pd’
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Se Milano licenzia finalmente gli impresari della paura
Circa un anno fa i riflettori mediatici si accesero sui fatti di via Padova, a Milano. Vi ricordate? Un ragazzo di 20 anni, egiziano e clandestino, morto accoltellato per strada. Non mi soffermo sulla tragedia infinita di un ragazzo morto – non un egiziano: un ragazzo morto, un ragazzo di Milano – perché sulle tragedie non si specula. Si sta zitti, si rispettano i morti e, soprattutto, si deve avere la consapevolezza che drammatici fatti di cronaca possono avvenire ovunque. Mi soffermo invece sulle reazioni della politica meneghina: «Fuori i clandestini», gridò l’indomito leghista Salvini. «Basta con il buonismo della sinistra», affermò il Vicesindaco della Paura De Corato, dimenticandosi che a Milano sono circa 20 anni che la sinistra non tocca boccino.
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Giulietto Chiesa: salviamoci, rottamiamo destra e sinistra
Matteo Renzi? «E’ lui un rottame, e non lo sa. Ripropone il vecchio sistema destra-sinistra lasciando fuori un’enorme parte di italiani: né di destra né di sinistra, ma soli con se stessi». Parola di Giulietto Chiesa, alle prese con l’ennesima svolta della sua tumultuosa carriera. Si chiama “Uniti e diversi” e raduna personalità eterogenee, da Massimo Fini a Maurizio Pallante. Obiettivo: decrescere, frenare la follia dei consumi, abbandonare l’aggressività sociale del mercato e puntare sulla solidarietà, perché la globalizzazione è fallita e l’Occidente balbetta, tra esodi e guerre, all’alba della Grande Crisi. Cittadini, democrazia, politica: dobbiamo salvarci. E la prima cosa da rottamare, assicura, sono «partiti morti» e categorie antiche, come destra e sinistra.
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L’Italia sempre più incerta verso il voto sulla Libia
Come in un formicaio impazzito, i partiti di ora in ora cambiano incessantemente posizione sulla guerra libica. Smarcamenti e riposizionamenti studiati allo scopo di approdare nel modo più indolore ad un appuntamento a suo modo solenne: la discussione in Parlamento (con tanto di voto) sulla partecipazione militare italiana alla missione di guerra, un dibattito che dovrebbe svolgersi entro le prossime 48 ore e che rappresenterà uno spartiacque, uno di quegli eventi destinati ad entrare se non nei libri di storia, quantomeno nella memoria degli italiani elettori.
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Cremaschi: sciopero a oltranza fino alla resa di Berlusconi
Dieci milioni di firme, porta a porta, per chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi, rinviato a giudizio per concussione e prostituzione minorile dal tribunale di Milano. E’ l’obiettivo del Pd, che si prepara a una campagna a tappeto dopo il clamoroso successo di “Se non ora, quando?”, la manifestazione per la dignità femminile con un milione di donne nelle piazze italiane. E mentre Bersani intensifica i contatti sotterranei con la Lega, cui offre di varare il federalismo fiscale se Bossi molla il Cavaliere, a spingere per la mobilitazione di piazza è Giorgio Cremaschi: il dirigente della Fiom chiede uno sciopero generale a oltranza, fino alle dimissioni del premier.
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Tutti contro Silvio? Per paura di Vendola, il Pd si suicida
Il 30 gennaio 2011 a Cagliari si sono svolte le primarie del centrosinistra per scegliere il candidato sindaco. Era in pole position un senatore del Pd, Antonello Cabras, che ha ottenuto un miserrimo 34% dei voti espressi. Ha vinto il consigliere regionale Massimo Zedda, 35enne di Sel, che ha preso il 47%. Briciole agli altri tre candidati. Anche se ha fatto una campagna di efficacia ed efficienza vendoliana, Zedda non ha particolare carisma. Tuttavia, per quanto rimane dell’elettorato Pd, i suoi “dirigenti” sono ormai da non toccare neanche con una canna da pesca. Ovunque il Pd si presenti al giudizio del campione più attivo del suo elettorato, viene avvilito, e se vince, come a Napoli, combina disastri.
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Dieci milioni di firme? Meglio se fossero voti
Nelle moderne società dominate dai media le principali battaglie di potere si presentano come battaglie culturali e la politica si trasforma in un teatro. Berlusconi ha capito bene questa lezione dei moderni studiosi dell’età dell’informazione e sta trasformando questa drammatica vicenda in un nuovo atto della commedia “noi contro di loro”. Siamo sommersi da messaggi per favorire la nascita di una comunità difensiva identificata con il premier. Giornali e tv amiche tentano di convincere l’elettorato di essere al centro di uno scontro in cui a Berlusconi tocca la parte di Davide contro il Golia rappresentato dai magistrati di sinistra.
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Il Pd si decida: senza Marchionne non ci sarebbe più la Fiat
Se malauguratamente a Mirafiori vincesse il no, il governo dovrebbe convocare un tavolo per trovare un rimedio. Anche se sarebbe molto difficile farlo. Come ha ben spiegato Marchionne, le auto che vanno vendute sulla “piazza” internazionale hanno bisogno di essere prodotte con modalità e tempi coerenti con la domanda dei mercati. A Torino la gente è infastidita dal tentativo di politicizzare una questione sindacale, economica e sociale. E soprattutto la città sa che Marchionne è stato l’uomo che ha salvato il Gruppo Fiat e che, insieme agli enti locali, ha impedito la chiusura di Mirafiori. Nel 2003-2004 Mirafiori era praticamente chiusa. Al punto che c’erano già alcune proposte per riconvertire quell’area persino in un mastodontico parco divertimenti. Una specie di Gardaland di Torino, non so se mi spiego. Quanto a Marchionne, rimane l’uomo che ha preso quella macchina ingrippata che era diventata la Fiat e l’ha salvata.
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Rossi: scandaloso che i nostri applaudano Marchionne
La vicenda Fiat? Un’altra occasione persa dal Paese. E prima ancora dal Pd. Perché la Fiat ha avviato a Pomigliano una strategia che punta a dividere i sindacati. Mi rendo conto che esiste un problema reale sui livelli di produttività imposti dalla globalizzazione, come ho chiaro che la durezza della Fiom ha incentivato Sergio Marchionne su questa strada. Ma alla fine, se una migliore produttività non si coniuga con la democrazia, l’unico risultato è che i diritti regrediscono. Anche alla Volkswagen hanno chiuso un accordo che rilancia la produttività, ma lì i sacrifici sono stati distribuiti sui vari livelli, garantendo l’occupazione e investendo in innovazione.
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Grillo: rottamiamo Renzi e gli altri falsi rottamatori
«Il cadavere di Berlusconi è ancora caldo e già spuntano i pretendenti come i funghi dopo la pioggia». Beppe Grillo, le cui quotazioni elettorali continuano a salire, spara zero sul ribaltone in vista: «L’Italia è piena di leader in tour elettorale permanente, soprattutto in televisione: i loro sponsor, le lobby che li sostengono stanno scaldando i motori». Dal suo blog sulfureo, il tribuno genovese ne ha per tutti: che siano presidenti di Regione, della Camera, sindaci o parlamentari. Ce n’è anche per Matteo Renzi, che – sempre dal blog dei grillini – Matteo Incerti definisce “rottamatore rottamato”, accusando il giovane sindaco di Firenze di essere nient’altro che un mestierante della politica.
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Berlusconi al capolinea, ma i rivali sono divisi e confusi
Pensate davvero che esista il Partito democratico? Dopo la Prima Repubblica l’idea che si dovesse creare un sistema bipartitico ha portato alla creazione di due poli insostenibili: a destra ha generato la coalizione delle contraddizioni del Nord e del Sud, della destra liberale contro quella conservatrice e, nonostante, il successo elettorale, il governo ha dimostrato di non avere un programma preciso. Per questo sta cadendo a pezzi, che si parli di Casa o Popolo della Libertà. Dall’altra parte il Pd è una creazione artificiale e simmetrica basata sull’idea che il Paese debba avere un contraltare di sinistra a vocazione maggioritaria. Ma l’Italia non si esaurisce nel bipolarsimo.
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Berlusconi è finito? Tranquilli, “dopo” non cambierà niente
Silvio Berlusconi è finito. Lo si capisce ormai da molti segnali, tutti infausti per lui. L’ultima faccenduola, di Ruby, la minorenne, ha fatto tracimare il vaso. “Famiglia Cristiana” ha lanciato uno sferzante anatema. Cioè il mondo cattolico di base (anche se non ancora le gerarchie) lo ha scaricato. La signora Marcegaglia ha chiesto il ritorno alla «dignità delle istituzioni». Il che significa che anche il sindacato dei padroni ne ha piene le scatole di questa situazione incresciosa. Gianfranco Fini si è lasciato scappare addirittura la parola “ostruzionismo”. E se un presidente di una Camera diventa sostenitore del filibustering vuol dire che il “dolo” (pardon, il “lodo”) proprio non glielo regalerà.
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Marcegaglia e Bersani: Italia nel fango, senza governo
«Più che a Palazzo Chigi, Berlusconi dovrebbe stare all’osteria». Se Antonio Di Pietro usa la formula più netta per ribadire il concetto espresso dallo stesso Bersani («Berlusconi se ne vada, non può stare un minuto di più in un ruolo pubblico che ha indecorosamente tradito»), il caso-Ruby, l’ennesimo sexgate che coinvolge il premier agitando anche i cattolici – prima “Famiglia Cristiana” e ora anche “Avvenire” – mette il traballante governo in rotta in collisione anche con gli industriali: «Una nuova ondata di fango lambisce la credibilità delle istituzioni», protesta Emma Marcegaglia: «Il Paese è in preda alla paralisi e il governo non c’è».