Archivio del Tag ‘paura’
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Macchina del fango, contro Trump la grande stampa Usa
Provate ad immaginare se i tre più importanti quotidiani italiani – “Corriere”, “Stampa” e “Repubblica” – decidessero tutti insieme di scatenare una campagna mediatica di discredito contro un singolo personaggio politico: persino i morti si accorgerebbero che c’è qualcosa di poco “giornalistico” in un’operazione del genere. Ebbene, è proprio quello che sta succedendo negli Stati Uniti in questi giorni: i tre più importanti quotidiani americani, e cioè il “New York Times”, il “Washington Post” e il “Los Angeles Times”, hanno deciso di sparare ad alzo zero contro Donald Trump. Già da tempo il “Los Angeles Times” usciva con articoli apertamente denigratori contro il magnate americano, definendolo ripetutamente un ciarlatano, un buffone senza credibilità, oppure addirittura una star da soap-opera. Adesso si sono aggiunti il “New York Times” e il “Washington Post”, che in un’azione chiaramente concertata stanno cercando di distruggere la credibilità dell’uomo che nell’arco di pochi mesi ha completamente stravolto le regole delle elezioni presidenziali.Il “Washington Post” ha pubblicato un paginone nel quale raccoglie tutte le presunte bugie e false affermazioni pronunciate da Trump negli ultimi mesi. Naturalmente, pur di aumentare il volume delle presunte “bugie”, il “Washington Post” non si fa scrupoli nell’elencare anche delle semplici opinioni di Donald Trump, che fa passare come “falsità” solo perché non sono supportate dai fatti (“unsupported claim”). Il “New York Times” è andato addirittura oltre, mettendo insieme una squadra di 20 giornalisti che sono stati incaricati di scavare nel passato di Trump, pur di far saltare fuori qualcosa di spiacevole sul suo conto. Ne è uscita una lista con dozzine di donne che sostengono di aver avuto con Trump un rapporto “ambiguo”, dove lui le avrebbe “usate” e contemporaneamente “denigrate” per il solo fatto di essere donne. Naturalmente, a nessuno del “New York Times” è venuto in mente che in certi casi possa essere la donna stessa a cercare questi rapporti “ambigui”, per ottenerne un chiaro vantaggio personale. Si chiama dare per avere. Berlusconi docet. Insomma, lo sbilanciamento contro Trump da parte delle testate più importanti è talmente evidente che porta a fare una riflessione: come mai in media di sistema temono così tanto un personaggio come Trump?Lo detestano semplicemente perchè è razzista e maschilista, o c’è sotto qualcosa di ben più grosso? (Di certo una presidenza Trump metterebbe un grosso freno alla politica imperialista espansionistica di Usa e Israele in Medio Oriente, tanto per dirne una). Ma la cosa più divertente è che i direttori di tutte queste testate si sono dimenticati di una cosa fondamentale: chi vota Donald Trump non legge certo né il “Los Angeles Times”, né il “New York Times” o il “Washington Post”. All’elettore razzista e xenofobo dell’Alabama non può fregar di meno di come Trump tratti le donne, e gliene frega ancor di meno del fatto che racconti bugie, visto che queste bugie coincidono regolarmente con quello che l’elettore repubblicano vuole sentirsi raccontare. Abbiamo quindi una totale spaccatura, sia a livello mediatico che a livello popolare, fra l’“intellighenzia” americana (localizzata sulle coste dell’Atlantico e del Pacifico) e il cuore profondo degli Stati Uniti, localizzato nel grande Mid-West, che ancora batte per veder sventolare in cima al Campidoglio la bandiera dei confederati. In America la Guerra Civile non è ancora finita. Quella di novembre sarà certamente una elezione che va ben oltre la semplice scelta fra un candidato democratico e uno repubblicano.(“Massimo Mazzucco, “La macchina del fango contro Donald Trump”, da “Luogo Comune” del 15 maggio 2016).Provate ad immaginare se i tre più importanti quotidiani italiani – “Corriere”, “Stampa” e “Repubblica” – decidessero tutti insieme di scatenare una campagna mediatica di discredito contro un singolo personaggio politico: persino i morti si accorgerebbero che c’è qualcosa di poco “giornalistico” in un’operazione del genere. Ebbene, è proprio quello che sta succedendo negli Stati Uniti in questi giorni: i tre più importanti quotidiani americani, e cioè il “New York Times”, il “Washington Post” e il “Los Angeles Times”, hanno deciso di sparare ad alzo zero contro Donald Trump. Già da tempo il “Los Angeles Times” usciva con articoli apertamente denigratori contro il magnate americano, definendolo ripetutamente un ciarlatano, un buffone senza credibilità, oppure addirittura una star da soap-opera. Adesso si sono aggiunti il “New York Times” e il “Washington Post”, che in un’azione chiaramente concertata stanno cercando di distruggere la credibilità dell’uomo che nell’arco di pochi mesi ha completamente stravolto le regole delle elezioni presidenziali.
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Renzi senza vergogna, le mance come metodo di governo
Renzi ha deciso di portare a 160 i bonus per le famiglie sotto reddito e a 240 per quelle che hanno ameno due figli. Chiunque capisce che si tratta di una manovra per riconquistare i consensi nel mondo cattolico-tradizionalista dopo il trauma per le unioni civili, a seguito del quale i gruppi del Family Day hanno minacciato il No al referendum di settembre. Un modo per dire “sì, ho votato le unioni civili, ma l’ho dovuto fare perché me lo ha chiesto l’Europa, poi avevo pressioni nel partito, però, guardate, sono l’unico governo che pensa alla famiglia e incoraggia a far figli”. Manca solo il “premio di prolificità”. La manovra sembra troppo scoperta per poter funzionare. I cattolici, poi, non sono facili da prendere in giro. Il commento alla cosa in sé potrebbe finire qui, ma l’episodio ci dice più cose di quanto non sembri a primo colpo d’occhio e che meritano qualche riflessione sul “Renzi-pensiero”. In primo luogo ciò è molto illuminante sulla concezione renziana della democrazia: questo è il governo delle mance (bonus, voucher ecc., che pensa così di raccogliere il consenso).Mutatis mutandis, siamo in pieno laurismo. Per i più giovani che non l’hanno mai conosciuto, ricordo il “Comandante Achille Lauro”, leader monarchico napoletano, che distribuiva pacchi di pasta e scarpe agli elettori, ma solo scarpe sinistre e mezzi biglietti da mille lire prima del voto, quelle destre e l’altra metà dei biglietti da mille sarebbero stati dati solo dopo, se fosse riuscito eletto. Peccato che non abbiano ancora inventato i mezzi bonus o i mezzi voucher. In secondo luogo, ci fa capire la concezione economica renziana: c’è poca domanda interna? E lui distribuisce bonus, guardandosi bene da una politica fiscale organicamente diversa o di garanzie salariali. I ragazzi fanno lavoro nero? Lui non cerca di eliminarlo, ma di renderlo un po’ più sopportabile, distribuendo voucher. Ci sono problemi per l’industria libraria e culturale? Ecco il buono da 500 euro per l’acquisto di libri e film. Insomma, le mance come metodo di governo: provvedimenti temporanei e ad hoc, mai interventi strutturali.E questo ci informa anche sulle sue concezioni sociali. Infatti, gli interventi strutturali poi generano diritti e garanzie, ma questo non produce consensi o forse lo fa per un momento e poi, acquisito il diritto, la gente vota come vuole. E questo non va bene, è meglio che la gente resti legata al bisogno. E dunque, niente diritti ma mance volta per volta. Mi chiedo come facciano gli ex militanti del Pci a non vergognarsi di stare in un partito che fa questa politica. La mossa di Renzi, però ci dice anche cose più contingenti. Ad esempio il segnale “familista” ai cattolici significa “vi ho fatti soffrire lo so, ma ora vi dimostro che abbiamo il valore comune della famiglia. Il che contiene un sotto-messaggio in codice: facciamo un accordo, voi votate Sì e del problema delle adozioni non se ne parla sino a fine legislatura”. E ci dice anche un’altra cosa: che la minaccia di votare No dei cattolici ha molto spaventato il fiorentino. Dunque, anche lui non è convinto di vincere il referendum con tanta facilità. E ha ragione, ma ne riparleremo.(Aldo Giannuli, “Renzi: le mance come metodo di governo”, dal blog di Giannuli del 16 maggio 2016).Renzi ha deciso di portare a 160 i bonus per le famiglie sotto reddito e a 240 per quelle che hanno ameno due figli. Chiunque capisce che si tratta di una manovra per riconquistare i consensi nel mondo cattolico-tradizionalista dopo il trauma per le unioni civili, a seguito del quale i gruppi del Family Day hanno minacciato il No al referendum di settembre. Un modo per dire “sì, ho votato le unioni civili, ma l’ho dovuto fare perché me lo ha chiesto l’Europa, poi avevo pressioni nel partito, però, guardate, sono l’unico governo che pensa alla famiglia e incoraggia a far figli”. Manca solo il “premio di prolificità”. La manovra sembra troppo scoperta per poter funzionare. I cattolici, poi, non sono facili da prendere in giro. Il commento alla cosa in sé potrebbe finire qui, ma l’episodio ci dice più cose di quanto non sembri a primo colpo d’occhio e che meritano qualche riflessione sul “Renzi-pensiero”. In primo luogo ciò è molto illuminante sulla concezione renziana della democrazia: questo è il governo delle mance (bonus, voucher ecc., che pensa così di raccogliere il consenso).
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Guai agli inglesi: col Brexit, finiranno tra i nemici degli Usa
Guai se gli inglesi voterranno il Brexit: devono restare al guinzaglio dell’Ue, cioè di Washington. Guinzaglio corto, rappresaglie contro chi “sgarra” e rotta di collisione contro le potenze mondiali che aspirano a una piena autonomia: «La mia previsione è che la Russia e la Cina saranno presto di fronte a una decisione sgradita: accettare l’egemonia americana o andare in guerra», afferma Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan nonché editore associato del “Wall Street Journal”. Impossibile non citare il britannico Ambrose Evans-Pritchard, che sul “Telegraph” ricorda come la Cia, negli anni ‘50 e ‘60, abbia direttamente finanziato gli attori che avrebbero creato l’Unione Europea. Motivo: è più facile controllare un solo governo, quello di Bruxelles, piuttosto che molti Stati separati. Washington ha fatto «un investimento a lungo termine nell’orchestrare l’Unione Europea», ed è per questo che Obama è appena andato a Londra «per raccontare al sua cagnolino, il primo ministro britannico, che non ci potrebbe essere alcuna uscita britannica dall’Ue».Come altre nazioni europee, scrive Craig Robers su “Information Clearing House”, i britannici non sono mai stati autorizzati a votare per scegliere di essere pienamente sovrani o sottoposti all’Unione Europea. «La natura oppressiva di leggi comunitarie irresponsabili e l’esigenza dell’Ue di accettare un massiccio numero di immigrati del terzo mondo hanno creato una grande richiesta per un voto britannico per decidere se rimanere un paese sovrano o di sciogliere il vincolo e rispedire a Bruxelles e le sue disposizioni dittatoriali». In vista del fatidico 23 giugno, la posizione degli Usa è che «al popolo britannico non deve essere consentito di decidere contro l’Ue, in quanto una tale decisione non è nell’interesse di Washington». Il lavoro di Cameron, dunque, è quello di «spaventare gli inglesi con presunte gravi conseguenze dell’“andare da soli”». Lo slogan: la “piccola Inghilterra” non può stare in piedi da sola. Al popolo britannico viene detto che l’isolamento segnerà la sua fine, e il paese diventerà uno stagno archiviato dal progresso. Tutto accadrà altrove, loro saranno lasciati fuori. Ma attenzione: «Se la campagna di paura non riesce e il voto britannico sarà per uscire dalla Ue – dice Craig Roberts – la questione aperta è se Washington permetterà al governo britannico di accettare l’esito democratico». In alternativa, il governo inglese potrebbe truccare le carte, raccontando di aver negoziato concessioni straordinarie.Una cosa è certa: Washington non permetterà agli inglesi di decidere liberamente: «Non devono essere autorizzati a prendere decisioni che non rispettano l’interesse di Washington». E’ lo stesso schema “egocentrico” grazie al quale gli Usa stanno trasformando in “minaccia” la Russia di Putin: flotte da guerra nel Baltico e nel Mar Nero, nonché basi missilistiche in Polonia vicino ai confini russi, con la volontà di incorporare Georgia e Ucraina in patti di difesa anti-russi. «Quando Washington, i suoi generali e i vassalli europei dichiarano che la Russia è una minaccia, significa che la Russia ha una politica estera indipendente e agisce nel suo proprio interesse, piuttosto che in quello di Washington». La Russia diventa una “minaccia”, perché ha dimostrato la capacità di bloccare l’invasione filo-americana della Siria e il bombardamento dell’Iran. Nel mirino di Washington anche piccoli paesi come Iraq, Libia e Yemen. Motivo: «Avevano politica estera ed economica indipendenti, non avendo accettato l’egemonia statunitense». Persino il Venezuela, per Obama, è diventato «una minaccia inusuale e straordinaria alla sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti», quando il governo di Caracas «ha messo gli interessi del popolo venezuelano davanti a quelli delle società americane».Analogamente, la Russia è diventata “una minaccia” quando Mosca ha neutralizzato le aggressioni di Washingon ai danni di Teheran e Damasco, e quando ha impedito agli Usa di appropriarsi della base navale della Crimea dopo il golpe neonazista in Ucraina promosso dalla Cia. «E’ assolutamente certo che la Russia non ha formulato minacce di alcun tipo contro i paesi baltici, la Polonia, la Romania, l’Europa o gli Stati Uniti», scrive Craig Roberts. Così come è certo che la Russia «non ha invaso l’Ucraina». Se l’avesso fatto, oggi «l’Ucraina non sarebbe più lì: sarebbe tornata una provincia russa». E in effetti, anche se i media occidentali si guardano bene dall’ammetterlo, «l’Ucraina appartiene alla Russia più di quanto le Hawaii appartengano agli Stati Uniti». Quanto alla Siria, quel paese «esiste ancora», solo «perché è sotto la protezione russa». Se davvero Cina e Russia fossero “una minaccia”, di certo non permettebbero la proprietà straniera («cioè riconducibile alla Cia») di molti dei loro media: è americana la proprietà del 20% dei media russi, mentre in Cina operano 7.000 Ong finanziate direttamente dagli Usa.«Solo il mese scorso il governo cinese si è finalmente mosso, seppure molto tardivamente, per introdurre alcune restrizioni su questi agenti stranieri che stanno lavorando per destabilizzare il paese», scrive Roberts. «Ma i membri di queste organizzazioni “a tradimento” non sono stati arrestati, sono stati semplicemente messi sotto sorveglianza della polizia. Una restrizione quasi inutile, dato che Washington può fornire montagne di denaro con cui corrompere la polizia cinese: Russia e Cina pensano forse che i loro poliziotti siano meno sensibili alle tangenti rispetto alla polizia americana e del Messico». Parla da sola la sconfitta storica della guerra ai narcos: la “guerra alla droga” è una miniera d’oro per gli agenti messicani e statunitensi, «sotto forma di mezzette». Altro che libertà: «Negli Stati Uniti, gli osservatori di verità sono perseguitati e imprigionati, o vengono liquidati come “teorici della cospirazione”, “anti-semiti” o “estremisti domestici”. Una distopia peggiore di quella descritta da Orwell. Per paura dei media occidentali, Mosca e Pechino «permettono a Washington di operare nei loro media, nelle loro università, nei loro sistemi finanziari, mentre i “buoni” delle Ong si infiltrano in ogni aspetto della loro società». Secondo Craig Roberts, russi e cinesi sono davanti a un bivio terribile: piegarsi allo Zio Sam o prepararsi alla Terza Guerra Mondiale.Guai se gli inglesi voteranno il Brexit: devono restare al guinzaglio dell’Ue, cioè di Washington. Guinzaglio corto, rappresaglie contro chi “sgarra” e rotta di collisione contro le potenze mondiali che aspirano a una piena autonomia: «La mia previsione è che la Russia e la Cina saranno presto di fronte a una decisione sgradita: accettare l’egemonia americana o andare in guerra», afferma Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan nonché editore associato del “Wall Street Journal”. Impossibile non citare il britannico Ambrose Evans-Pritchard, che sul “Telegraph” ricorda come la Cia, negli anni ‘50 e ‘60, abbia direttamente finanziato gli attori che avrebbero creato l’Unione Europea. Motivo: è più facile controllare un solo governo, quello di Bruxelles, piuttosto che molti Stati separati. Washington ha fatto «un investimento a lungo termine nell’orchestrare l’Unione Europea», ed è per questo che Obama è appena andato a Londra «per raccontare al sua cagnolino, il primo ministro britannico, che non ci potrebbe essere alcuna uscita britannica dall’Ue».
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Inferno di fuoco nel Canada devastato dalle trivellazioni
Fort Mc Murray, Canada. L’epicentro delle estrazioni di bitume del paese. La capitale delle Tar Sands dello stato dell’Alberta. La località con maggiore concentrazione di raffinerie e di impianti emissivi di CO2. Fort Mc Murray è vittima del suo stesso trivellare. La città è infatti sommersa da fiamme devastanti che hanno lasciato dietro ceneri, devastazione e paura, dovute principalmente ai cambiamenti climatici. È il cerchio che si chiude. In questo inizio di maggio 2016 a Fort Mc Murray le temperature sono più elevate del normale, la vegetazione è secca, non piove da tanto, e così il numero di incendi aumenta a dismisura. Sono 330 per quest’anno, il doppio del normale. In più, la stagione calda in cui aspettarsi incendi si è allungata di molto, dal 1° maggio di ogni anno, come era nel 1979, al 1° marzo, come è stato quest’anno. Già nel 2015 ci fu una lunga e inaspettata siccità. Lo Stato dovette dichiarare lo stato di “emergenza agricola” perché mancava l’acqua per le irrigazioni.Anche l’inverno in Alberta è stato caldo come non mai, con basse precipitazioni nevose. Al tutto va ad aggiungersi la perturbazione El Nino che ha accentuato l’aridità. Ai primi di maggio la temperatura è stata anche di 33 gradi centigradi, mentre in media è di 14 gradi centigradi. Il professor Mike Flannigan, dell’Università dell’Alberta, conferma che in larga parte gli incendi sono dovuti ai cambiamenti climatici. «This is consistent with what we expect from human-caused climate change affecting our fire regime», ha detto. E non sono falò di poca durata, è una settimana e più che la situazione è fuori controllo. La città di Fort McMurray ha quasi 90.000 abitanti, una superficie di circa 850 chilometri quadrati ed è stata interamente evacutata. La maggior parte dei residenti ha trovato riparo ad Edmonton, la capitale dello stato. Le fiamme si sono propagate in fretta e la gente non ha avuto il tempo di prepararsi per abbandonare la città.A un certo punto anche l’autostrada era avvolta da fiammate, giunte anche ad ottanta metri di altezza. Alcune persone sono state portate via in elicottero. Si teme adesso che le fiamme possano anche arrivare all’infrastruttura petrolifera alla periferita della città. Intanto sono andate distrutte 1.600 case. Interi quartieri sono stati rasi al suolo. La foresta arde. Il cielo è arancione, nero, grigio. Non più azzurro. L’aeroporto è stato messo in salvo solo grazie a una massiccia presenza di vigili del fuoco. Il fuoco ha divorato più di mille chilometri quadrati. I residenti parlano di scene di guerra. Le autorità sanno però che senza l’aiuto di madre natura, le fiamme saranno inarrestabili: semplicemente l’estensione territoriale dell’incendio è troppo grande e i venti troppo forti. Le fiamme continuano a mangiare tutto ciò che trovano, anzi sono riuscite a saltare fiumi, strade e altre barriere. Se non arriva la pioggia ci sarà ben poco da fare: i centocinquanta elicotteri e velivoli usati finora sono assolutamente insufficienti.Non piove da due mesi a Fort Mc Murray. Secondo le autorità ci vorranno mesi per completamente estinguere il fuoco. Intanto la Nasa parla di un marzo 2016 di caldo record, dopo un 2014, un 2015 e un gennaio e febbraio 2016 da caldo record. Che dire. È evidente che è tutto parte della stessa narrativa. Quello che succede a Fort Mc Murray è soltanto l’antipasto di quello che ci aspetta: eventi naturali che diventano estremi a causa dei cambiamenti climatici dovuti principalmente all’uso di fonti fossili. In questo caso sono incendi, ma sono stati e saranno uragani, allagamenti, piogge torrenziali, scioglimenti di ghiacciai. È la natura che segue le sue leggi. Noi le diamo le condizioni iniziali, lei fa quello che deve fare. È solo che qui è ironico perché questa devastazione accade proprio nel cuore del problema: nella culla del petrolio canadese.(Maria Rita D’Orsogna, “L’inferno di Fort Mc Murray”, da “Comune-Info” del 10 maggio 2016).Fort Mc Murray, Canada. L’epicentro delle estrazioni di bitume del paese. La capitale delle Tar Sands dello stato dell’Alberta. La località con maggiore concentrazione di raffinerie e di impianti emissivi di CO2. Fort Mc Murray è vittima del suo stesso trivellare. La città è infatti sommersa da fiamme devastanti che hanno lasciato dietro ceneri, devastazione e paura, dovute principalmente ai cambiamenti climatici. È il cerchio che si chiude. In questo inizio di maggio 2016 a Fort Mc Murray le temperature sono più elevate del normale, la vegetazione è secca, non piove da tanto, e così il numero di incendi aumenta a dismisura. Sono 330 per quest’anno, il doppio del normale. In più, la stagione calda in cui aspettarsi incendi si è allungata di molto, dal 1° maggio di ogni anno, come era nel 1979, al 1° marzo, come è stato quest’anno. Già nel 2015 ci fu una lunga e inaspettata siccità. Lo Stato dovette dichiarare lo stato di “emergenza agricola” perché mancava l’acqua per le irrigazioni.
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Gli italiani muoiono prima, nell’Italia di Renzi (e dell’euro)
«Dieci milioni di anni rubati a tutta la popolazione del nostro paese, è il più grande furto di vita dalla fine della guerra. Gli assassini sono tra noi: o li fermiamo o continueranno la loro opera», afferma Giorgio Cremaschi, sfogliando il report 2015 di “Osservasalute”, secondo cui – per la prima volta dal dopoguerra – la popolazione italiana subirà un calo nell’aspettativa di vita. Nel 2014 essa era di 80,3 mesi, l’anno dopo è scesa a 80,1 mesi. «Due mesi in meno a persona, che moltiplicati per i sessanta milioni di italiani fanno 120 milioni». Il calo dell’aspettativa di vita «è il più semplice e brutale segno del fallimento di un sistema», scrive Cremaschi su “Micromega”. «Se questo sistema ci fa morire prima vuol dire che sta andando contro gli interessi naturali di fondo della specie umana. Una specie che ha raggiunto con la scienza, la tecnica, le conoscenze economiche e sociali, gli strumenti per vivere di più, e che improvvisamente si trova di fronte all’inversione di un percorso di secoli». Secondo gli autori della ricerca, negli ultimi 15 anni abbiamo consumato tutti i progressi dei 40 anni precedenti. «Guarda caso abbiamo l’euro e le politiche che lo sostengono proprio da 15 anni».Quello dell’Italia ovviamente non è un caso isolato: quando è crollata l’Unione Sovietica e in quel paese si è abbattuto il saccheggio liberista, l’aspettativa di vita è crollata, e ancora oggi, nonostante anni di recupero, non ha ripreso i livelli perduti. Peggio ancora se uno si affaccia sulla catastrofe della Grecia. «Il furto di vita che stiamo subendo ha una sola semplice causa: le politiche liberiste di taglio dei servizi pubblici, a partire da quello sanitario, e di aumento della disoccupazione», sostiene Cremaschi. «Sono le politiche liberiste la causa criminale della riduzione della vita umana. Sono i patti di stabilità, le politiche di rigore, il pareggio di bilancio come obbligo costituzionale, sono quelle banalità sui costi dello stato sociale che ogni giorno entrano nelle nostre teste come verità naturali, sono tutte le normali e corrette regole di una oculata gestione economica secondo i dettati di Maastricht, che uccidono», a cominciare dai più poveri, «sempre più esposti a disagi e malattie, impossibilitati a pagarsi cure e soprattutto prevenzione dei mali».Quei 10 milioni di anni di vita “rubati”, continua l’ex dirigente Fiom, non saranno sottratti a tutti, ma solo alla parte più povera della società, «che si ammalerà di più e morirà prima: già oggi l’Istat non riesce a far quadrare i conti per alcune decine di migliaia di morti in più, che non sono spiegabili in alcun modo se non con un improvviso drammatico peggioramento delle condizioni di vita». I ricchi, naturalmente, resteranno al riparo: «Nel medioevo la vita media era 40 anni, ma i nobili vivevano quasi come noi oggi e per i servi della gleba 30 anni erano già tanti. Lì stiamo tornando. Questa è la diseguaglianza sociale quando diventa biologia». Di fronte a questa “strage da capitalismo”, secondo Cremaschi ci sono solo due vie: e la prima è quella che la nostra società sta già percorrendo, «cioè quella di abituarsi e adattarsi ad essa. È la banalizzazione del male che ci circonda, che produce assuefazione mentre alimenta improvvisi e sempre più frequenti scatti di ferocia».La seconda via? Cambiare completamente: «Buttare a mare tutte, ma proprio tutte, le politiche economiche di questi ultimi trenta anni, dichiarandole contrarie agli interessi vitali della specie umana». E quindi: «Rovesciare le classi dirigenti che le hanno amministrate e che se ne sono servite per il proprio potere e riaffermare l’eguaglianza sociale come primo bene comune». E ancora: «Spazzar via, con la stessa forza con cui si distrusse il culto della magia medioevale, le credenze, i tabù, le ciarlatanerie del pensiero unico liberista. Non bisogna più credere a nulla di ciò che viene presentato come vero dal potere, e cominciare a seguire solo ciò che oggi il potere condanna come irrealistico». E farlo senza esitazioni: «Non bisogna avere paura di chiamare rivoluzione tutto questo», perché i “killer” sono già tra noi, con le loro infami “riforme”.«Dieci milioni di anni rubati a tutta la popolazione del nostro paese, è il più grande furto di vita dalla fine della guerra. Gli assassini sono tra noi: o li fermiamo o continueranno la loro opera», afferma Giorgio Cremaschi, sfogliando il report 2015 di “Osservasalute”, secondo cui – per la prima volta dal dopoguerra – la popolazione italiana subirà un calo nell’aspettativa di vita. Nel 2014 essa era di 80,3 mesi, l’anno dopo è scesa a 80,1 mesi. «Due mesi in meno a persona, che moltiplicati per i sessanta milioni di italiani fanno 120 milioni». Il calo dell’aspettativa di vita «è il più semplice e brutale segno del fallimento di un sistema», scrive Cremaschi su “Micromega”. «Se questo sistema ci fa morire prima vuol dire che sta andando contro gli interessi naturali di fondo della specie umana. Una specie che ha raggiunto con la scienza, la tecnica, le conoscenze economiche e sociali, gli strumenti per vivere di più, e che improvvisamente si trova di fronte all’inversione di un percorso di secoli». Secondo gli autori della ricerca, negli ultimi 15 anni abbiamo consumato tutti i progressi dei 40 anni precedenti. «Guarda caso abbiamo l’euro e le politiche che lo sostengono proprio da 15 anni».
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Stiglitz: inglesi, scappate dall’Ue e non firmate il tossico Ttip
Per la Gran Bretagna sarebbe meglio lasciare l’Unione Europea, se il Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti entrerà in vigore: lo ha dichiarato l’economista premio Nobel Joseph Stiglitz. Lo riferisce il sito di “Russia Today”, citando l’intervento di Stiglitz a un recente seminario organizzato a Londra da John McDonnell, “cancelliere-ombra” del Labour Party. «Penso che le restrizioni imposte dal Ttip sarebbero talmente di ostacolo all’attività del governo, che questo mi farebbe riflettere nuovamente se davvero l’adesione all’Ue sia stata una buona idea», ha detto Stiglitz, secondo cui il Trattato Transatlantico rappresenta «una generale riscrittura delle regole in assenza di discussione pubblica», per cui «i pericoli per la nostra società sono molto significativi». Il Ttip creerà la più grande zona di libero scambio al mondo, abbattendo tariffe doganali: mentre chi lo propone sostiene che l’accordo incoraggerà gli investimenti e creerà posti di lavoro, i suoi critici mettono in guardia sul fatto che consentirà alle aziende di fare causa ai governi stranieri che minacciano i loro profitti.Punto centrale dell’accordo commerciale Usa-Ue, scrive “Voci dall’Estero”, è infatti la “Clausola di risoluzione delle controversie tra investitore e Stato” (Isds), che darebbe alle aziende il potere di citare in giudizio i governi quando i politici introducono norme che potrebbero far diminuire i loro profitti. «I dettagli di queste clausole sono spesso avvolti nel segreto, e messi a punto in sessioni clandestine». Zero trasparenza: il Ttip interferisce con il diritto dei governi sovrani di governare nell’interesse pubblico, e potrebbe legare le mani a chi deve stabilire le regole. Dati delle Nazioni Unite rivelano che le imprese statunitensi hanno già rastrellato miliardi di dollari facendo causa ai governi nazionali, fino ad oggi: «Solo a partire dal 2000, le aziende americane hanno fatto causa agli Stati in base ad accordi di libero scambio in 130 distinte occasioni». La Philip Morris ha citato in giudizio l’Australia e l’Uruguay perché avevano fatto inserire avvertenze sui rischi per la salute sui pacchetti di sigarette. «Ogni volta che fate approvare un regolamento contro l’amianto o qualsiasi altra cosa, potete essere citati in giudizio», avverte Stiglitz.Non è detto però che, fuori dall’Ue, la Gran Bretagna sia al riparo dal Ttip: lo sostiene Nick Dearden, direttore del think-tank inglese “Global Justice Now”. «Non c’è dubbio che questo accordo commerciale tossico cucinato a Bruxelles stia spingendo molti a ritenere che il Regno Unito starebbe meglio fuori dall’Ue, ma niente suggerisce che la Brexit impedirebbe a qualcosa di peggio di prendere il suo posto». Cameron, ricorda Dearden, è stato uno dei più grandi sostenitori del Ttip e il Regno Unito «ha firmato una serie di spietati accordi commerciali bilaterali di libero mercato che contengono “Isds” con molti altri paesi – quindi è perfettamente possibile che nel Regno Unito ci sarebbe una spinta a creare un equivalente del Ttip tra Regno Unito e Stati Uniti, perfino peggiore». Finora, in Europa, milioni di persone si sono mobilitate contro il trattato, «per sfidare la presa di potere da parte delle aziende legata al Ttip». A spaventare i cittadini, gli obiettivi principali del trattato: e cioè privatizzare sanità pubblica, istruzione e fornitura di acqua in tutta Europa.Gli attivisti, continua “Voci dall’Estero”, sono preoccupati anche del programma di “convergenza normativa” del Ttip, che cercherà di rendere le norme Ue in materia di sicurezza alimentare più simili a quelle osservate negli Stati Uniti. «Dato che le normative statunitensi sono generalmente meno rigide rispetto alle loro equivalenti europee», si teme che vengano allentati gli standard di sicurezza e qualità alimentare in Europa: «Il mercato europeo potrebbe essere invaso da prodotti geneticamente modificati e cibi pieni di ormoni e pesticidi». Intanto, mentre i negoziati sul Ttip continuano a svolgersi (scandalosamente) a porte chiuse, si pensa che la City di Londra stia muovendosi per “ammorbidire” i regolamenti bancari in vigore negli Stati Uniti, che dopo il 2008 sono più severi di quelli osservati in Gran Bretagna. «Gli attivisti per la finanza etica temono che il Ttip rottamerà queste misure e restrizioni, restituendo così il potere ai banchieri». Paura anche per la perdita di posti di lavoro: «L’anno scorso, Bruxelles ha ammesso che il Ttip potrebbe causare notevoli livelli di disoccupazione. E ha dato consigli ai membri dell’Ue su come affrontare un aumento dei livelli di disoccupazione dopo l’entrata in vigore del Ttip».Per la Gran Bretagna sarebbe meglio lasciare l’Unione Europea, se il Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti entrerà in vigore: lo ha dichiarato l’economista premio Nobel Joseph Stiglitz. Lo riferisce il sito di “Russia Today”, citando l’intervento di Stiglitz a un recente seminario organizzato a Londra da John McDonnell, “cancelliere-ombra” del Labour Party. «Penso che le restrizioni imposte dal Ttip sarebbero talmente di ostacolo all’attività del governo, che questo mi farebbe riflettere nuovamente se davvero l’adesione all’Ue sia stata una buona idea», ha detto Stiglitz, secondo cui il Trattato Transatlantico rappresenta «una generale riscrittura delle regole in assenza di discussione pubblica», per cui «i pericoli per la nostra società sono molto significativi». Il Ttip creerà la più grande zona di libero scambio al mondo, abbattendo tariffe doganali: mentre chi lo propone sostiene che l’accordo incoraggerà gli investimenti e creerà posti di lavoro, i suoi critici mettono in guardia sul fatto che consentirà alle aziende di fare causa ai governi stranieri che minacciano i loro profitti.
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Corbyn getta la maschera: resta a Bruxelles, con Cameron
«La scelta di Jeremy Corbyn, leader del partito laburista inglese, di sostenere insieme al premier conservatore David Cameron le ragioni della permanenza del Regno Unito all’interno della Ue getta una definitiva ombra di discredito su tutte le forze di “sinistra alternativa” che prendono quota in ogni angolo del Vecchio Continente». Dopo il bluff di Tsipras, «le cui miserabili piroette sono state giustificate oltre il limite della decenza pure dal leader di “Podemos” Pablo Iglesias», secondo Francesco Maria Toscano «è ora arrivato il turno del vecchio Jeremy di baciare l’anello dei massoni mondialisti, fautori di un processo federativo progressivo e illimitato che dovrebbe infine condurre alla creazione del tanto sospirato “governo globale” in salsa gnostica». Dopo l’iniziale entusiasmo, dovuto alle forti accuse mosse contro le politiche di austerità, Corbyn «ha vaporizzato in un attimo un potenziale di credibilità faticosamente conquistato sul campo. Dal leader della sinistra inglese, la classica retorica riformista: «Solo stando dentro la Ue potremo riuscire a migliorare le cose che non vanno e a garantire gli interessi della classe lavoratrice».Fra tutti gli argomenti possibili, scrive Toscano sul blog “Il Moralista”, il leader del Labour Party ha ripiegato sul peggiore: «Come fa Corbyn a non capire che la libera circolazione di uomini e capitali favorisce i plutocrati e condanna i lavoratori alla fame?». Come ricorda Luciano Gallino, «i lavoratori occidentali hanno visto precipitare il loro tenore di vita nella misura in cui sono stati messi in maniera fraudolenta nella condizione di dover competere con un numero enorme di cittadini provenienti da paesi abituati a sfruttare indegnamente manodopera a basso costo». Se Corbyn fosse meno “distratto”, aggiunge Toscano, «si sarebbe accorto che la Ue è nemica giurata dei deboli e dei lavoratori, trattati come merce da sacrificare sull’altare di una competitività esasperata che avvelena la vita di generazioni intere». I “nazisti tecnocratici” che comandano la Ue chiedono a tutti i paesi membri di attuare le famose “riforme strutturali”, cioè continui attacchi ai diritti del lavoratori faticosamente conquistati nel corso del Novecento.«Quale “Europa” protegge i diritti?», si domanda Toscano: «Quella che ordina a Renzi e Hollande di approvare il Jobs Act, per esempio? O quella che spinge affinché ritorni in auge un modello di contrattazione decentrata buona per costringere il singolo lavoratore a trattare con il singolo imprenditore senza poter contare sul sostegno dell’intera categoria sindacale di riferimento all’occorrenza disarticolata e paralizzata?». Per Toscano, lo stesso Corbyn – che pure nel 1975 aveva votato contro l’ingresso della Gran Bretagna nella Ue – non ha saputo resistere alle pressioni dei “soliti noti”. Oggi, con la sua scelta, Corbyn ha dimostrato una volta di più come «l’unica dicotomia oggi esistente non riguardi il confronto fra “destra” e “sinistra”, ma fra “popolo” ed “élite”». E la grande paura dell’oligarchia si chiama proprio Brexit: secondo recenti sondaggi, gli inglesi sarebbero decisi a farla finita con Bruxelles. Come non capirli: «La Ue è un consesso non riformabile, autoritario e violento. Nessun uomo in buona fede, dopo l’annullamento del referendum greco del 5 luglio del 2015, può ancora negarne la natura ferocemente antidemocratica». Le sinistre di mezzo mondo, invece, “moderate” o “radicali”, continuano – ora anche attraverso Corbyn – a «fare la guardia al “bidone”, consigliando ai poveri e ai disperati di sopportare i colpi mortali incassati oggi nel nome della grande integrazione che vedrà la luce domani. Una versione riveduta e corretta del famoso “sol dell’avvenire” di epoca sovietica che in molti stanno ancora pazientemente aspettando».«La scelta di Jeremy Corbyn, leader del partito laburista inglese, di sostenere insieme al premier conservatore David Cameron le ragioni della permanenza del Regno Unito all’interno della Ue getta una definitiva ombra di discredito su tutte le forze di “sinistra alternativa” che prendono quota in ogni angolo del Vecchio Continente». Dopo il bluff di Tsipras, «le cui miserabili piroette sono state giustificate oltre il limite della decenza pure dal leader di “Podemos” Pablo Iglesias», secondo Francesco Maria Toscano «è ora arrivato il turno del vecchio Jeremy di baciare l’anello dei massoni mondialisti, fautori di un processo federativo progressivo e illimitato che dovrebbe infine condurre alla creazione del tanto sospirato “governo globale” in salsa gnostica». Dopo l’iniziale entusiasmo, dovuto alle forti accuse mosse contro le politiche di austerità, Corbyn «ha vaporizzato in un attimo un potenziale di credibilità faticosamente conquistato sul campo. Dal leader della sinistra inglese, la classica retorica riformista: «Solo stando dentro la Ue potremo riuscire a migliorare le cose che non vanno e a garantire gli interessi della classe lavoratrice».
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I doni di Draghi, un mago nero (più pericoloso di Schaeuble)
“Timeo Danaos et dona ferentes” (temo i Greci anche quando portano doni). Con queste parole un lungimirante Laocoonte tentava invano di convincere i Troiani a non fare entrare il famoso “cavallo di Troia” all’interno della città (Virgilio, Eneide, libro II, 49). Come andò a finire la faccenda è storia abbastanza nota. Allo stesso modo, e fatte le dovute proporzioni (Draghi è molto più feroce e cinico dei Greci di allora), gli uomini che conservano un po’ di sale in zucca dovrebbero guardare con estremo sospetto alle recenti mosse del banchiere centrale europeo, improvvisamente accortosi del perdurare di una crisi che ha già “distrutto intere generazioni”. Dopo avere egregiamente avallato la fase del “solve”, ovvero dopo avere promosso, pianificato, diretto e realizzato uno sterminio su larga scala mascherato da “crisi economica”, il mago nero Mario Draghi sente che è quasi giunta l’ora del “coagula”, ovvero della cristallizzazione di un nuovo equilibrio che, una volta raggiunti i risultati voluti in premessa, pacifichi un Vecchio Continente attraversato da crescenti tensioni e insofferenze.La bravura del “mago” non consiste tanto nell’evocare “spiriti” di paura, di ribellione, di odio, di risentimento o di riconoscenza; quanto nel dominarli sempre per scongiurare il rischio di emulare le tristi gesta del famoso dott. Frankenstein. Detta in termini più semplici. Il veleno dell’austerità, la soppressione della democrazia sostanziale e l’aumento di paure e povertà in tutta Europa (fase del “solve”) sono fenomeni – nell’ottica dei padroni occulti – funzionali al consolidamento di un Superstato europeo dominato riservatamente da una invisibile élite del denaro, tappa decisiva per la successiva e finale implementazione di un governo mondiale – calibrato su base federale – in grado di trasferire su un piano politico e materiale quel modello sincretista già trionfante su un piano eminentemente religioso e spirituale. Alla crisi, “solve”, si risponde con più Europa, “coagula”. Questo tipo di pietanze, cucinate dentro “laboratori riservati”, vengono poi portate sulla tavola dei profani da maggiordomi d’élite alla Eugenio Scalfari, non a caso lesto nel chiedere la rapida istituzione di un ministro dell’economia per l’intera eurozona (votato solo da Scalfari, magari).La bravura del mago, come dicevamo, consiste nel dosare gli elementi. In questa fase, mentre cioè il riemergere dei nazionalismi mette in discussione dalle fondamenta l’architettura comunitaria, Draghi sa di dover addolcire la retorica dei “sacrifici amari ma indispensabili” per non correre il rischio di spezzare la corda dopo averla tirata troppo. L’ostinazione invece con la quale Schaeuble e quelli come lui insistono nel mostrarsi feroci fino in fondo, nasconde a mio avviso il perseguimento – per ora sotterraneo – di un obiettivo dissimulato e diverso, palesato però ingenuamente dallo stesso Schaeuble che, nel fare finta di rivolgersi retoricamente a Draghi, si è lasciato sfuggire una excusatio non petita che parla direttamente alla sua lurida coscienza: «Il signor Draghi sarà contento di avere favorito l’exploit del partito Alternative fur Deutschland con le sue scellerate politiche monetarie», ha dichiarato di recente il “falco” (in questo caso più simile ad un asino) del governo Merkel.Non ci vuole un indovino per capire come Schaeuble, prigioniero di una sindrome proiettiva che tradisce un intimo sentimento di timore, attribuisca a Draghi “colpe” (o “meriti” a seconda dei punti di vista) che sono tutte sue. Tutti sanno come esista un rapporto di causa ed affetto tra le politiche di austerità – imposte dall’Ecofin capeggiato da Schaeuble – e il rafforzamento ovunque in Europa di partiti dichiaratamente antieuropeisti. Il Qe varato da Draghi non incide affatto su simili dinamiche politiche, limitandosi a riempire le tasche di quei grandi banchieri che l’ex direttore generale del Tesoro italiano – dimostrando invero una certa coerenza – serve da sempre con riconosciuto zelo, scrupolo e obbedienza. A questo punto chiediamoci: vista dalla visuale di tutti quelli che sperano di potersi un giorno liberare dalla dittatura invisibile e luciferina che opprime e violenta i nostri tempi, quale condotta è potenzialmente più pericolosa? Quella di Draghi o quella di Schaeuble? Io vi dico mille volte quella di Draghi, punta di diamante di un progetto lucido che può infine trionfare solo alternando con sapienza schiaffi (molti) e carezze (poche e solo quando non si può farne a meno). Schaeuble, invece – oramai è chiaro – non avendo il coraggio né la forza di combattere apertis verbis il meraviglioso “fogno europeo” (copyright Alberto Bagnai), prova a farlo fallire in via indiretta, esacerbando cioè un odio fra le nazioni per mezzo delle politiche del rigore; odio che dovrebbe infine generare un nuovo “caos” (dettato dal crescere esponenziale dei diversi nazionalismi in tutti i paesi dell’area euro) dal quale fare nascere un definitivo e diverso “ordine”, che, nella mente di Schaeuble e compari non dovrà somigliare affatto a quello immaginato da Draghi e rispettivi danti causa.Al punto in cui siamo, in sintesi, è meglio che le tensioni divampino fino ad esplodere completamente, consentendo agli eventi di prendere una direzione molto diversa rispetto a quella vagheggiata dal principio da “maghi neri” alla Mario Draghi, retrocessi infine al ruolo ridicolo di “apprendisti stregoni” agli occhi del mondo intero. Naturalmente questo tipo di ragionamento non rivaluta per nulla la figura di Wolfang Schaeuble, che era e resta materia d’inferno. Ma come si evince dalla lettura del “libro di Giobbe”, la benevolenza di Dio può trionfare anche per mezzo dell’opera del male. L’importante è mantenere sempre la forza e la lucidità di sapere che il “male” va tenuto costantemente in una posizione “strumentale” e “servente”, per mezzo di quella saldezza d’animo e atarassia della mente che rappresentano i doni più importanti con i quali lo “spirito” assiste e gratifica chi opera nel mondo mosso da un amore autentico, incondizionato, disinteressato e celeste.(Francesco Maria Toscano, “Mario Draghi è molto più pericoloso di Wolfgang Schaeuble”, dal blog “Il Moralista” del 21 aprile 2016).“Timeo Danaos et dona ferentes” (temo i Greci anche quando portano doni). Con queste parole un lungimirante Laocoonte tentava invano di convincere i Troiani a non fare entrare il famoso “cavallo di Troia” all’interno della città (Virgilio, Eneide, libro II, 49). Come andò a finire la faccenda è storia abbastanza nota. Allo stesso modo, e fatte le dovute proporzioni (Draghi è molto più feroce e cinico dei Greci di allora), gli uomini che conservano un po’ di sale in zucca dovrebbero guardare con estremo sospetto alle recenti mosse del banchiere centrale europeo, improvvisamente accortosi del perdurare di una crisi che ha già “distrutto intere generazioni”. Dopo avere egregiamente avallato la fase del “solve”, ovvero dopo avere promosso, pianificato, diretto e realizzato uno sterminio su larga scala mascherato da “crisi economica”, il mago nero Mario Draghi sente che è quasi giunta l’ora del “coagula”, ovvero della cristallizzazione di un nuovo equilibrio che, una volta raggiunti i risultati voluti in premessa, pacifichi un Vecchio Continente attraversato da crescenti tensioni e insofferenze.
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Città deserte e nuove cattedrali, l’architettura della paura
Nel giorno di Pasqua ho fatto due passi ed ho attraversato il nuovo Portello, fermandomi a guardare bene la piazza dove sorge “Casa Milan” che ho attraversato di corsa molte altre volte: un quadro del De Chirico metafisico di “Piazze d’Italia”. Un deserto in cui non si vedeva un passante. Ed anche le vie intorno (comprese quelle dell’altra parte del Portello) ripetono lo stesso copione: niente figure umane, panchine vuote, non esiste passeggio se non per poche persone nel parco che porta alla montagnola. C’è una netta separazione fra la zona commerciale (una quarantina di negozi ed un paio di bar che “girano” intorno all’ipermercato, in uno spiazzo che è l’unico dove si affollano i passanti) e la zona “residenziale”, nei cui viali non ci sono assolutamente negozi ma solo palazzi di 10-15 piani, recintati da robuste cancellate, con portinerie presidiate da vigilantes ed ai cui garage si accede direttamente dall’esterno, con saracinesche telecomandate).Non si tratta solo di questa zona: quartierini del genere li ho visti in altre zone di Milano ed in altre città italiane e, navigando in internet, se ne vedono in molte altre città europee ed americane: è una tendenza precisa dell’architettura che intende garantire la “sicurezza” dei cittadini (ovviamente di quelli che hanno il denaro per permettersi una casa in questi complessi abitativi). L’abitante accede direttamente in auto nel garage videosorvegliato e, con l’ascensore, raggiunge direttamente il suo appartamento senza rischiare alcun incontro sgradito o pericoloso. Se vuol fare due passi ha il piccolo parco recintato e sorvegliato intorno al suo palazzo ed, ovviamente, non è incoraggiato a fare due passi per i viali che dividono i vari complessi abitativi, perché non c’è nulla oltre loro, non un negozio, non una vetrina, non un essere umano che passeggi. Quando, poi, vuol fare la spesa, non ha che da uscire in auto, accedere dalla strada al parcheggio del centro commerciale, ugualmente videosorvegliato e con vigilantes, salire con le scale mobili o il tapis roulant sino alla zona commerciale dove troverà i negozi ed un po’ di gente, nello spazio rigorosamente privato dove ci sono i tavolini di un paio di caffè.Anche qui il rischio di fare incontri pericolosi è risotto al minimo, quando anche tutti i posti di lavoro, gli asili nido e le scuole saranno muniti di parcheggio sotterraneo videosorvegliato e con vigilantes, con ascensore. La vita del nostro amico sarà solo un passaggio in auto da un luogo protetto all’altro. Evviva: è il trionfo della sicurezza! Unica cosa: peccato che descriva un modello di vita tanto simile ad una autoreclusione. D’altro canto, i grattacieli sempre più alti, con decine di piani e migliaia di appartamenti, si ispirano allo stesso principio securitario, con in più la funzione di “stupire”: i grattacieli sono le cattedrali del presente, le opere destinate a celebrare la potenza e lo sfarzo delle nuove signorie. Queste nuove cattedrali celebrano la diseguaglianza sociale, sono isole assediate di ricchezza nel mare della povertà , basti pensare al Brasile con i suo “ninos de la rua” che assediano i grandi complessi residenziali presidiati da guardie armate. Tutto questo esige la fine dell’auto-percezione del popolo ridotto a mero insieme di consumatori, nella migliore delle ipotesi, o a turba miserabile e brigantesca nella peggiore.Qui nella ancora opulenta (ma per quanto?) società europea quel che residua della socialità extradomestica è la piazza commerciale o (quel che fa lo stesso) quella del grande evento (concerto, partita o altro evento sportivo). Quello che muore è la piazza sociale, quella del mercatino rionale (destinato ad essere soppiantato dalla grande distribuzione, quella del parco libero, della strada, ma soprattutto scompare la “piazza politica”, quella dove il popolo si riconosce come tale, nelle sezioni di partito, nei cortei, nelle manifestazioni, ed anche nei disordini di piazza che ne esprimano la protesta. Alla perdita del luogo identitario del popolo-soggetto politico, viene offerto il surrogato della piazza virtuale, che, però, talvolta può funzionare come innesco di quella reale (vedi le primavere arabe). A scongiurare il rischio di nuove rivolte è diretta questa martellante campagna contro le idee di classe e di nazione, cioè le principali identità collettive e per l’atomizzazione individualistica del corpo sociale. Un progetto ben servito da queste tendenze dell’architettura.(Aldo Giannuli, “Architettura, la scomparsa della piazza e le nuove cattedrali”, dal blog di Giannuli del 6 aprile 2016).Nel giorno di Pasqua ho fatto due passi ed ho attraversato il nuovo Portello, fermandomi a guardare bene la piazza dove sorge “Casa Milan” che ho attraversato di corsa molte altre volte: un quadro del De Chirico metafisico di “Piazze d’Italia”. Un deserto in cui non si vedeva un passante. Ed anche le vie intorno (comprese quelle dell’altra parte del Portello) ripetono lo stesso copione: niente figure umane, panchine vuote, non esiste passeggio se non per poche persone nel parco che porta alla montagnola. C’è una netta separazione fra la zona commerciale (una quarantina di negozi ed un paio di bar che “girano” intorno all’ipermercato, in uno spiazzo che è l’unico dove si affollano i passanti) e la zona “residenziale”, nei cui viali non ci sono assolutamente negozi ma solo palazzi di 10-15 piani, recintati da robuste cancellate, con portinerie presidiate da vigilantes ed ai cui garage si accede direttamente dall’esterno, con saracinesche telecomandate).
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No all’Ucraina nell’Ue, dall’Olanda uno schiaffo a Bruxelles
Ancora una volta l’Olanda, anzi il popolo olandese, ha detto di no all’Unione Europea. Lo disse in occasione della Costituzione europea e l’ha ripetuto ieri, opponendosi all’accordo di associazione tra Unione Europa ed Ucraina. L’argomento è tecnico e non stupisce che si stato dibattuto poco sui media internazionali, ma politicamente ha un peso notevole, perché rappresenta la scorciatoia per far entrare Kiev nella Ue, sottraendola così definitivamente all’influenza della Russia. Gli olandesi si sono opposti a questo disegno e con percentuali che non lasciano adito a dubbi: il 61,1% ha votato no. E siccome è poco probabile che raffinate disquisizioni di geostrategia, pro o contro il Cremlino, abbiano avuto un ruolo determinante nella campagna, il risultato va interpretato come un forte segnale di protesta contro l’Unione Europa e contro l’ulteriore apertura dei suoi confini. Un voto di sfiducia verso le istituzioni europee (Commissione Europea ma anche Banca centrale europea) e le loro politiche economiche, incentrate su un’austerity insensata che ha finito per erodere il benessere anche di un paese come l’Olanda, che un tempo risplendeva di benessere e che da qualche tempo mostra segnali di cedimento.Nulla di paragonabile alla Grecia o al Portogallo, sia chiaro, e nemmeno alla Spagna e all’Italia. Ma gli olandesi non stanno più bene come una volta e sentono di non poter più determinare liberamente il proprio destino, che invece dipende da un’entità impalpabile eppure estremamente invasiva e priva del necessario consenso popolare. Gli olandesi non si sentono a loro agio, temono per il proprio futuro e non si fidano di questa Europa. Per questo hanno votato no in modo tanto chiaro, sempre che la loro volontà non venga ignorata, come è avvenuto in passato ogni volta che un popolo ha bocciato un progetto europeo. Il voto di ieri ha superato il quorum, fissato al 30%, ma tecnicamente non era vincolante per il governo olandese, che potrebbe anche decidere di ignorarne l’esito; potrebbe, insomma, decidere di suicidarsi politicamente per “salvare l’Europa”. Oppure è possibile che Bruxelles escogiti qualche stratagemma per far approvare comunque l’intesa, magari solo attraverso una semplice cosmesi o cambiando nome all’accordo, come era avvenuto in occasione del voto sulla Costituzione europea, riproposta quasi tale e quale sotto le vesti del Trattato di Lisbona. Insomma, aggirando la volontà degli olandesi. Sempre che ce ne sia il tempo.I fronti caldi si moltiplicano e il volto dell’Unione europea appare improvvisamente invecchiato. La vicenda dei migranti sta esasperando le popolazioni in tutta Europa, la Polonia e l’Ungheria si sono già ribellate, i paesi scandinavi in parte, mentre l’economia continentale non decolla, la disoccupazione non migliora e il benessere degli europei, zavorrati da tasse insensate, continua a erodersi. Se poi il referendum del 23 giugno in Gran Bretagna dovesse concludersi con l’uscita dalla Ue, il quadro europeo potrebbe cambiare drasticamente e molto più velocemente di quanto immaginino quei commentatori che in queste ore liquidano come un fatto marginale e di scarso interesse, il voto in Olanda. Un voto che invece rappresenta un sonoro e forse profetico schiaffo a Bruxelles.(Marcello Foa, “Dall’Olanda un sonoro schiaffo all’Ue, è l’inizio di una nuova era?”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 7 aprile 2016).Ancora una volta l’Olanda, anzi il popolo olandese, ha detto di no all’Unione Europea. Lo disse in occasione della Costituzione europea e l’ha ripetuto ieri, opponendosi all’accordo di associazione tra Unione Europa ed Ucraina. L’argomento è tecnico e non stupisce che si stato dibattuto poco sui media internazionali, ma politicamente ha un peso notevole, perché rappresenta la scorciatoia per far entrare Kiev nella Ue, sottraendola così definitivamente all’influenza della Russia. Gli olandesi si sono opposti a questo disegno e con percentuali che non lasciano adito a dubbi: il 61,1% ha votato no. E siccome è poco probabile che raffinate disquisizioni di geostrategia, pro o contro il Cremlino, abbiano avuto un ruolo determinante nella campagna, il risultato va interpretato come un forte segnale di protesta contro l’Unione Europa e contro l’ulteriore apertura dei suoi confini. Un voto di sfiducia verso le istituzioni europee (Commissione Europea ma anche Banca centrale europea) e le loro politiche economiche, incentrate su un’austerity insensata che ha finito per erodere il benessere anche di un paese come l’Olanda, che un tempo risplendeva di benessere e che da qualche tempo mostra segnali di cedimento.
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Tutti a casa, aspettando che finiscano di sfasciare il mondo
Cosa sta succedendo? Ovvero: che portata hanno le trasformazioni epocali che sta vivendo attualmente il mondo, a cominciare dall’Occidente? Gli sconvolgimenti planetari in corso – crisi, migrazioni, guerre – sono a dir poco spettacolari e, in apparenza, senza soluzione. Una costante riguarda l’informazione: il sistema mainstream, divenuto totalizzante, evita accuratamente di riferire le notizie principali e le spiegazioni sulle cause degli eventi che determinano le rilevantissime modificazioni nella vita sociale ed economica di oggi, quindi l’avvenire delle prossime generazioni. L’enormità degli avvenimenti suscita clamore sul web e nei blog, ma coglie impreparati molti degli osservatori ufficiali, intellettuali, economisti, scrittori, accademici. La situazione economica in Europa si è fatta catastrofica. Per la prima volta, dopo 70 anni di sviluppo ininterrotto, i figli crescono sapendo che avranno una vita meno facile di quella dei loro genitori. Il livello di disoccupazione è desolante, e non si vedono vie d’uscita: non ci sono alternative sul tappeto.La “buona politica” di cui si avverte disperatamente il bisogno, semplicemente, non esiste: tutto il personale politico in campo, nonostante movimenti anche recenti, è sostanzialmente allineato al dogmatismo del mainstream neoliberale e neo-feudale, che – dopo le violente campagne anti-casta degli anni e decenni scorsi – predica l’erosione dell’interesse pubblico e la sparizione progressiva dello Stato come soggetto strategico, sociale ed economico. In Eurozona, il miglior governo che venisse eletto sarebbe di fatto impotente, costretto a limitare la propria spesa strategica al 3% del Pil. Impossibile utilizzare, come in passato, la leva monetaria: in un paese come l’Italia, il debito pubblico ha permesso di realizzare colossali investimenti sociali e infrastrutturali che hanno determinato il boom economico degli anni ‘60 e poi i mini-boom degli anni ‘80 e ‘90. Oggi, senza più sovranità statale, fiscale, economica, finanziaria e monetaria, questo scenario non è più ripetibile.A livello geopolitico, la situazione sta assumendo caratteristiche da incubo. Un crescendo di instabilità e orrori, a partire dal collasso dell’Urss: Jugoslavia, Somalia, Cecenia; poi, dopo l’11 Settembre, la drammatica accelerazione degli ultimi 15 anni, con le guerre in Iraq, Afghanistan, Libia, Yemen, Ucraina, Siria. In tutti questi teatri, gli Usa sono passati all’offensiva, allo scopo di destabilizzare interi continenti, prima che la Cina potesse assumere una leadership pericolosa per il monopolio americano, anche l’attraverso l’asse con la Russia di Putin. L’Europa è travolta dalla tempesta profughi e terremotata dal terrorismo pilotato dall’intelligence occidentale, utilizzando la falsa bandiera dell’Isis, che ha preso il posto di Al-Qaeda. Uno dei principali obiettivi è proprio l’Europa: prima lo scandalo Volkwagen, poi il caso Bnp-Paribas, quindi l’attacco al segreto bancario svizzero, ora la vicenda Panama. Sul tappeto resta il trattato segreto Ttip, che trasferirà potere giuridico direttamente alle multinazionali, scavalcando leggi e Stati. Il trattato resta segreto, e nessuno ne parla. Il governo dell’Ue non tenta neppure di inscenare la ritualità di una democrazia formale.Il terrorismo è l’altra grande leva dell’operazione eversiva in corso. Sorretto da settori della Cia e del Pentagono, Daesh è finanziato da Arabia Saudita, Qatar, Turchia e altri paesi del Golfo. Proprio le stragi di Parigi, Charlie Hebdo e 13 novembre, e ora quella di Bruxelles, hanno spinto alcuni esponenti della massoneria ad effettuare denunce clamorose, rimaste escluse dal mainstream ma circolate sul web. La tesi riguarda l’ispirazione massonica degli attentati e il loro contenuto simbolico nascosto utilizzato come “firma”, a partire dallo stesso acronimo Isis, che corrisponde alla dea Iside, il cui secondo nome è Hathor – e Hathor Pentalpha, secondo Gioele Magaldi, è il nome della famigerata superloggia fondata dai Bush negli anni ‘80, cui avrebbero aderito Blair, Sarkozy e lo stesso Erdogan, cioè gli uomini che hanno promosso le guerre in Iraq, in Libia e in Siria, dopo aver ideato gli attentati dell’11 Settembre.Un’intera narrazione sta crollando, giorno per giorno, sotto i colpi delle rivelazioni che illuminano i retroscena della cronaca: il mainstream continua a proporla, l’informazione ufficiale, ma non riscuote più la fiducia della maggioranza dei cittadini, sempre più scettici, tentati dall’astensionismo (convinti che votare sia ormai inutile) e in ogni caso diffidenti di fronte alle notizie sfornate a ciclo continuo. In parallelo, si assiste a clamorose rivelazioni in serie: prima Julian Assange e Wikileaks, poi lo scandalo dello spionaggio di massa targato Nsa, denunciato da Edward Snowden. Sul piano culturale, in Italia e non solo, è parallelo il percorso di uno studioso isolato come Mauro Biglino, che propone la (sconcertante) traduzione letterale della Bibbia: lo Jahwè dell’Antico Testamento non è affatto una divinità, ma un feroce guerriero venuto da non si sa dove e impegnato – insieme ad alcuni “colleghi” – a instaurare un dominio di tipo coloniale in Palestina, peraltro sul Sapiens che, secondo la Genesi, sarebbe stato creato in laboratorio, mediante clonazione genetica. La teologia della creazione? Pura fantasia, di cui nella Bibbia non c’è traccia.Secondo l’ex avvocato Paolo Franceschetti, autore di contro-indagini clamorose su alcuni misteri della cronaca italiana, dalle Bestie di Satana al Mostro di Firenze (l’intuizione della spaventosa realtà dei delitti rituali compiuti da sette occulte, affollate da potentissimi insospettabili) il bicchiere mezzo pieno consiste nel fatto che, se certi orrori si sono sempre verificati, oggi finalmente se ne comincia a parlare. Un altro osservatore come Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti italiani, sostiene che la crescente violenza cui stiamo assistendo corrisponda all’inquietudine dell’élite al potere, che sa di aver perso il consenso di almeno il 20-30% della popolazione e quindi preme sull’acceleratore della paura per condizionare la parte restante, quella che ancora è facilmente manipolabile. Lo afferma anche un massone come Gianfranco Carpeoro, grande esperto di codici esoterici e simbolici: la strategia della tensione come arma estrema, da parte di chi pensa di non avere più altri strumenti per condizionare le masse.L’arma più antica – il terrore – per tentare di portare a compimento il grande disegno emerso negli ultimi decenni, ben illustrato da Paolo Barnard nel saggio “Il più grande crimine”: la riduzione in schiavitù del cittadino occidentale, affrancatosi dal feudalesimo con la Rivoluzione Francese, per farlo retrocedere al rango di suddito, senza più uno Stato democratico che lo tuteli. Il progetto della globalizzazione neoliberista è semplice, aggiunge Carpeoro: allineare tutti noi al livello degli abitanti del terzo mondo, cioè lavoratori pre-moderni e senza diritti. Il piano procede inesorabilmente: con le crisi finanziarie, le guerre, le bombe, le menzogne quotidiane sfornate dal “pensiero magico”, la suprema manipolazione cui ricorre il massimo potere, sempre impegnato a costruire nemici artificiali che il popolo dovrà odiare, evitando di farsi le domande giuste. Che può fare, il cittadino comune? Ricordarsi di esistere, risponde Erri De Luca: per esempio, la partecipazione al referendum contro le trivellazioni è un grido contro “l’anestesia delle coscienze”. Sapendo però che di ben altra “rianimazione” ci sarebbe bisogno, in un paese che ancora accetta l’euro, considera una sciagura il debito sovrano e pensa che, dopo Bruxelles, sarà bene avere meno libertà in cambio di più sicurezza.Cosa sta succedendo? Ovvero: che portata hanno le trasformazioni epocali che sta vivendo attualmente il mondo, a cominciare dall’Occidente? Gli sconvolgimenti planetari in corso – crisi, migrazioni, guerre – sono a dir poco spettacolari e, in apparenza, senza soluzione. Una costante riguarda l’informazione: il sistema mainstream, divenuto totalizzante, evita accuratamente di riferire le notizie principali e le spiegazioni sulle cause degli eventi che determinano le rilevantissime modificazioni nella vita sociale ed economica di oggi, quindi l’avvenire delle prossime generazioni. L’enormità degli avvenimenti suscita clamore sul web e nei blog, ma coglie impreparati molti degli osservatori ufficiali, intellettuali, economisti, scrittori, accademici. La situazione economica in Europa si è fatta catastrofica. Per la prima volta, dopo 70 anni di sviluppo ininterrotto, i figli crescono sapendo che avranno una vita meno facile di quella dei loro genitori. Il livello di disoccupazione è desolante, e non si vedono vie d’uscita: non ci sono alternative sul tappeto.
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Campo di stelle, la ragazza e la cavalla con un occhio solo
La cavalla si chiama Isotta Raminga. Ha un occhio solo, ma vede lontanissimo. Il suo sguardo si allunga su quasi duemila chilometri, dalle Alpi a Finisterre, dove ha fatto il bagno nell’Atlantico insieme alla sua inseparabile compagna, Paola Giacomini, esperta di trekking estremi. Ragazza e cavalla, sole. Sella e taccuino, per annotare le tappe di un pellegrinaggio dell’anima, scoprendo giorno per giorno la poesia dell’andare, lo sgomento dei cieli infiniti, la durezza della fatica, la magia degli incontri lungo il sentiero. Tutto intorno, la geografia più remota del sud-ovest europeo. Era il 2006, un milione di anni fa. In Sicilia l’antimafia arrestava Provenzano, mentre in Cile moriva Pinochet, uno degli ultimi ruderi del ‘900. Il nuovo millennio già si dava da fare: Jack Dorsay lanciava Twitter, Julian Assange fondava Wikileaks. E ancora all’appello mancavano Lehman Brothers e Fukushima, Mario Draghi e la Troika, la macelleria della Grecia, Monti e Fornero, la fine di Gheddafi, la carneficina della Siria, il losco carnevale di sangue firmato Isis. Se il mondo è impazzito, chi può leggerlo meglio di un cavallo con un occhio solo?«Insensato cercare di assomigliargli, altrettanto insensato chiedergli di assomigliare a noi», scrive Paola di Isotta Raminga. Un cavallo puoi sempre domarlo, ma «è meno scontato conquistarne l’anima: per raggiungerla, occorre concedergli lo spazio per esprimerla, donargli la propria». L’anima, la grande assente del nostro desolato mainstream, desertificato dall’economia di regime, geopolitica e bellica. Il sistema, dice l’ex avvocato Paolo Franceschetti, autore del saggio “Le religioni”, ha letteralmente cancellato la spiritualità dal nostro paesaggio quotidiano, perché ne ha paura: guai, se sospettiamo che la realtà non si esaurisca nella narrazione che ci viene imposta. La pensa così anche Fausto Carotenuto, già analista strategico dell’intelligence, oggi impegnato nel network “Coscienze in rete”: sopra ogni altra cosa, sostiene Carotenuto, il “main-power” teme che ognuno di noi riconquisti l’accesso alla sua dimensione spirituale, la porta della coscienza. A Paola e Isotta è accaduto tanti anni fa: duemila chilometri di meditazione quotidiana, nel silenzio dei grandi spazi. Qualcosa che ti costringe a fare i conti con la vita, senza finzioni.“Campo di Stelle”, singolare diario di viaggio – geografico e interiore – è un esempio di rarissimo nitore espressivo, straordinariamente intenso e coinvolgente: ti porta esattamente là, sul sentiero di Isotta, fra le trepidazioni dei passi alpini e pirenaici, le premure quotidiane per il cibo, la scelta di dove accamparsi per la notte, le incognite del viaggio, le sorprese di un’umanità inattesa. Partire soli, con un cavallo, silenzioso compagno di viaggio. L’animale «catalizza le emozioni, riconosce prima del cavaliere la sua serenità o le sue paure e inquietudini. Se si impara a conoscerlo, si può scoprire un’anima molto più potente del corpo che la contiene». Perché, prima ancora del peso del cavaliere, «sostiene il suo spirito, chiedendogli di vivere in pace e di pensare a una cosa per volta». E se il cavaliere decide inspiegabilmente di lasciare, all’improvviso, il più meraviglioso di tutti i luoghi raggiunti, solo perché è ora di riprendere il viaggio, il cavallo «si stupisce di queste faccende degli uomini che, a volte, non riescono ad accontentarsi di un bel prato e di una fresca fonte».Isotta Raminga è un esemplare arabo-avelignese, sauro, dalla criniera bionda. E’ speciale, «perché sa uscire incolume dalle situazioni più difficili», le fiuta in anticipo, «diventa seria e concentrata». Cessato il pericolo, «torna disincantata e noncurante, come se nulla fosse successo». A volte è distratta: «Quando si annoia dimentica l’attenzione e si fa male». L’occhio lo perse a causa di un calcio, rimediato da un altro cavallo. «La cicatrice dell’occhio che ho dovuto far asportare era appena guarita quando siamo partite», racconta Paola. «Il giorno della partenza, Isotta assomigliava ad un mostro. In Francia il primo impatto con le persone era di ribrezzo; mi chiedevano se avesse fatto la guerra. In un certo senso siamo tutti in guerra. C’è chi le ferite le mostra all’esterno e chi le riporta all’interno». “Campo di stelle” insegna che non esiste cicatrice che non possa rimarginare. Ma bisogna trovare il coraggio di lasciarsi alle spalle ogni certezza.«L’ultimo addio a qualcuno a cui volevo bene è stato a Briançon», scrive Paola, valicato il Monginevro. «Sto cominciando un’avventura desiderata, eppure un nodo mi stringe la gola». Poi, prevale l’incanto degli elementi: «La notte scorsa, poco sopra il Col des Ayes, il cielo ha buttato giù la prima neve». Giorni e notti, a passo lentissimo: la valle della Durance fino a Sisteron, la Provenza, appunti e incontri. Davide, un maniscalco: «Mi ha chiamata mentre passavo sulla strada, come se mi stesse aspettando». E Yves, «un uomo dai modi aristocratici e dall’aspetto selvatico», che vive «nell’umido fondovalle di queste colline profumate di lavanda», scappato da Parigi nel ‘58, quando aveva diciassette anni. «Tante persone stanno realizzando un’idea al limite dell’utopia, con un’armonia che, senza vedere, è difficile immaginare». A Forcalquier, una tribù ospitale: «Il pane viene cotto nel forno a legna una volta la settimana, la cucina è in comune e l’enorme refettorio anche. Mangio con loro, sparecchio e guardo le stelle». Curiosità: «Il ragazzo che si occupa dei cavalli mi chiede cosa mi spinge a partire il mattino seguente. Si chiede se, secondo me, esiste un posto migliore di quello per fermarsi».Acqua e cibo, cartine, la pista più adatta. I deserti pietrosi della Drome, la discesa in Camargue: «Tori, cavalli e fenicotteri oltre recinti di filo spinato». Quindi il Rodano e nuovi silenzi, quelli delle Cevennes. Notti di tregenda: tuoni e lampi, grandine. «Stavolta Isotta è sconsolata e io sono nera come il cielo». L’indomani ricomincia a piovere. «Urlo una bestemmia. Forte. Mi vergogno subito. Dalla casa di fronte si apre una finestra e una signora nigeriana con un sorriso gigante mi chiede, in italiano, se sono italiana». La donna scende in strada in vestaglia, con un ombrellino rosa: «In un attimo sono con lei e la sua pecora in un grande prato recintato con una tettoia, dove metto ad asciugare tutto». Ragazza e cavalla visitano «terre rosse e pietre nere», sostano accanto a una casa dalle cui finestre arriva la musica di un violoncello: «Una pace enorme inonda la terra, quando cala la notte e mi infilo nel sacco a pelo. Grilli e cicale rimbalzano la loro musica. Spengo la luce in ascolto e mi addormento». Altri chilometri, altre lingue: «È la prima notte in Spagna. L’aria è tersa e l’assenza di paesi e di luna fa splendere le stelle all’infinito. Non ho montato il telo».A Roncisvalle, compare una coppia straordinaria. Lei di Strasburgo, lui italiano. Si sono conosciuti in Madagascar. «L’amore è una faccenda tremenda che fa volare e precipitare con la stessa velocità e la stessa dolcezza, senza controllo né previsioni. Ciò che immagini possa funzionare scricchiola, ciò da cui ti aspetti un disastro è una meraviglia». Un saluto e la marcia riprende. Altra beata solitudine: «Immersa nella pozza di acqua limpida, i nodi della stanchezza si sciolgono». In mezzo alle montagne iberiche, a Beldorado, Paola rimedia una camicia bianca che le viene offerta: «Non ho detto di no. Dopo mesi di bivacchi e vita all’aria aperta, sempre vicino a un cavallo, il più possibile lontano dalla civilizzazione, si può diventare dei veri selvaggi». Infine, l’Atlantico: «L’ultimo tramonto d’Europa a questa data e a questa latitudine è verso le dieci e mezza di sera, molto tardi. Il progetto è di raggiungere il Capo di Finisterre per vedere il sole tuffarsi nell’oceano proprio in quel momento lì».Mesi di viaggio, dalla valle di Susa a Santiago de Compostela: «Quest’avventura l’abbiamo vissuta in due: una persona e una cavalla. Quando siamo partite, io sapevo che avremmo viaggiato a lungo. Lei si è accorta solamente che una mattina siamo andate da un’altra parte, e ci siamo fermate a dormire lontano. Il giorno dopo non siamo tornate indietro, abbiamo continuato a camminare verso ovest». Ogni giorno il ritmo era lo stesso, ma i posti sempre nuovi. «Ogni giorno si incontravano altri cavalli e altre persone. Ogni giorno c’erano fieno, orzo e acqua con sapori diversi». Partire, morire, rinascere. Il senso iniziatico do ogni vero viaggio: «Tutto quello che c’è tra oriente e occidente è solo cammino. Partendo è tutto da inventare e tornando diventa quello che riesci a scoprire». Pensieri e sensazioni, in perfetta simbiosi con la cavalla: «Isotta ha saputo tradurmeli mentre comprendeva i miei errori, insegnandomi un linguaggio». Poi dicono che gli animali non abbiano il dono della parola. «Da sola non sarei stata capace di vedere certe cose». L’occhio di Isotta, il cuore della terra: «È stato un pellegrinaggio, non è ancora finito».(Il libro: Paola Giacomini, “Campo di stelle. A Santiago a cavallo”, pagine …. disponibile su Amazon a 15 euro).La cavalla si chiama Isotta Raminga. Ha un occhio solo, ma vede lontanissimo. Il suo sguardo si allunga su quasi duemila chilometri, dalle Alpi a Finisterre, dove ha fatto il bagno nell’Atlantico insieme alla sua inseparabile compagna, Paola Giacomini, esperta di trekking estremi. Ragazza e cavalla, sole. Sella e taccuino, per annotare le tappe di un pellegrinaggio dell’anima, scoprendo giorno per giorno la poesia dell’andare, lo sgomento dei cieli infiniti, la durezza della fatica, la magia degli incontri lungo il sentiero. Tutto intorno, la geografia più remota del sud-ovest europeo. Era il 2006, un milione di anni fa. In Sicilia l’antimafia arrestava Provenzano, mentre in Cile moriva Pinochet, uno degli ultimi ruderi del ‘900. Il nuovo millennio già si dava da fare: Jack Dorsay lanciava Twitter, Julian Assange fondava Wikileaks. E ancora all’appello mancavano Lehman Brothers e Fukushima, Mario Draghi e la Troika, la macelleria della Grecia, Monti e Fornero, la fine di Gheddafi, la carneficina della Siria, il losco carnevale di sangue firmato Isis. Se il mondo è impazzito, chi può leggerlo meglio di un cavallo con un occhio solo?