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Svuota-Italia, ultimo atto: le riforme neofasciste di Renzi
La strategia applicata all’Italia dall’Europa produce scarsità monetaria, perdita di competitività, deindustrializzazione, disoccupazione, indebitamento. Il suo scopo è privare il paese di liquidità e di capacità industriale riempiendolo di debiti e disoccupati, in modo che i capitali stranieri, costituiti da masse di moneta contabile creata dalle banche estere a costo zero, possano arrivare, invocati come salvatori dalla disoccupazione e dalla scarsità monetarie così prodotte, e rilevare tutto sottocosto, cioè le aziende e gli immobili, la ricchezza reale prodotto dal lavoro reale, e possano per tale via impadronirsi del paese. Questo sta già avvenendo: Italcementi è l’ultimo esempio. Per conseguire questo obiettivo è stato adoperato l’euro, moneta forte, perciò adatta ad ostacolare le esportazioni italiane e favorire quelle tedesche. All’euro si aggiungono le cosiddette regole di austerità, nonché la politica di saldi primari attivi di bilancio pubblico – cioè per vent’anni lo Stato ha prelevato con le tasse 100 e restituito con la spesa pubblica 90 (cifre esemplificative), in modo di prosciugare la liquidità del paese.Molto importante è stata la politica fiscale di Monti, diretta a distruggere il valore degli immobili come garanzia con cui le aziende e le famiglie italiane ottenevano liquidità dalle banche, le quali ora praticamente non accettano quasi più il mattone per dare credito ad esse. In questo modo si è arreso il paese, molto più povero e dipendente dal potere bancario straniero. Inoltre, colpire il settore immobiliare è servito per colpire il risparmio degli italiani e l’industria edilizia come volano di occupazione e crescita. Incominciando con il governo Monti, imposto da Berlino attraverso Napolitano, e continuando con Letta e Renzi, che Napolitano ha sostenuto politicamente allargando notevolmente il suo ruolo prescritto dalla Costituzione, l’Italia è stata preparata per l’occupazione finanziaria straniera. Al fine di sviare l’attenzione da questa strategia generale e impalpabile, agli italiani viene anche offerto un nemico tangibile e immediato con cui prendersela, ossia gli immigrati o invasori.Per completare l’occupazione finanziaria straniera bisognerà spingere il paese a più elevati livelli di sofferenza e paura, per raggiungere i quali basterà, ad esempio, togliere i puntelli del quantitative easing; quindi è urgente creare le strutture giuridiche con cui il governo possa controllare la popolazione e reprimere possibili sollevamenti popolari contro il regime e i suoi piani. Questa è la ragione dell’urgenza di attuare la riforma fascista dello Stato (elezioni, Senato, Rai, bail in…) che il governo Renzi sta realizzando, e che altrimenti non avrebbe ragion d’essere, dato che si tratta di riforme a basso o nullo impatto sull’economia. E che aumentano, anziché diminuire, il potere della partitocrazia parassitaria e inefficiente, anzi, della parte peggiore di essa, cioè degli amministratori regionali, che diventano la base per il Senato renziano. Il presidente Mattarella, ovviamente, essendo stato nominato da Renzi, lo lascia andare avanti.La riforma neofascista del Partito Democratico consiste, essenzialmente, nel concentrare i poteri dello Stato nelle mani del primo ministro, eliminando in pratica gli organi di controllo e di bilanciamento, e creando un Parlamento di nominati, cioè limitando radicalmente la possibilità del popolo di scegliere i propri rappresentanti, che vengono legati alle mani del primo ministro con rapporti di dipendenza e interesse poltronale. Belpaese, brutta fine. Onorevoli e senatori formalmente rappresentano il popolo, ma votano qualsiasi cosa voglia il premier, altrimenti il premier non li ricandida o rinomina e non li lascia mangiare: un perfetto sistema di voto di scambio legalizzato. Belpaese, brutta fine. Questo è il piano per l’Italia, che ha già perduto circa un quarto della sua forza industriale. Il piano per l’Europa, portato avanti da Washington e dai banchieri privati che possiedono la Fed, attraverso il vassallo tedesco appoggiato e coperto moralmente da Parigi, mira invece a impedire che l’Europa si unisca, che diventi una potenza economica e tecnologica effettivamente concorrente rispetto agli Stati Uniti, e che abbia una moneta propria e funzionante, concorrente col dollaro.Strumento perfetto per questi scopi è risultato l’euro, che sta creando disunione, divergenze, instabilità e recessione nell’ambito europeo. Esso sta creando addirittura i presupposti affinché ancora una volta gli Usa siano legittimati a intervenire, non necessariamente in modo materiale, per salvare i paesi minacciati dalla sopraffazione tedesca, recuperando così la loro oggi vacillante supremazia sull’Occidente. Mentre collabora a questo piano, la Germania riceve evidenti benefici a spese dei paesi deboli, così come i governanti collaborazionisti (italiani e non solo italiani) li ricevono a spese dei loro popoli. E l’euro, finché serve a questo piano, viene mantenuto e dichiarato irreversibile, assieme alle sue regole, nonostante i danni che l’uno e le altre causano, e i loro evidenti difetti strutturali. Tutto quadra e corrisponde ai fatti osservabili.(Marco Della Luna, “Renzicratura: partito democratico, riforme neofasciste”, dal blog di Della Luna del 6 agosto 2015).La strategia applicata all’Italia dall’Europa produce scarsità monetaria, perdita di competitività, deindustrializzazione, disoccupazione, indebitamento. Il suo scopo è privare il paese di liquidità e di capacità industriale riempiendolo di debiti e disoccupati, in modo che i capitali stranieri, costituiti da masse di moneta contabile creata dalle banche estere a costo zero, possano arrivare, invocati come salvatori dalla disoccupazione e dalla scarsità monetarie così prodotte, e rilevare tutto sottocosto, cioè le aziende e gli immobili, la ricchezza reale prodotto dal lavoro reale, e possano per tale via impadronirsi del paese. Questo sta già avvenendo: Italcementi è l’ultimo esempio. Per conseguire questo obiettivo è stato adoperato l’euro, moneta forte, perciò adatta ad ostacolare le esportazioni italiane e favorire quelle tedesche. All’euro si aggiungono le cosiddette regole di austerità, nonché la politica di saldi primari attivi di bilancio pubblico – cioè per vent’anni lo Stato ha prelevato con le tasse 100 e restituito con la spesa pubblica 90 (cifre esemplificative), in modo di prosciugare la liquidità del paese.
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Il piano segreto di Stanlio & Ollio per (non) salvare i greci
«Se penso che questo è il governo della sinistra radicale, che dovrebbe dare lezioni di democrazia, di un nuovo rapporto fra masse e potere, non so se ridere o piangere». Così il politologo Aldo Giannuli liquida il fantomatico “Piano-B” di cui ora chiacchiera l’ex ministro greco Yanis Varoufakis: Tsipras ne era al corrente, anzi l’ha espressamente autorizzato, poi ha revocato l’ok fino alle dimissioni del ministro. Ma in ogni caso la Grecia non si è mai attrezzata per uscire dall’euro. E i greci, pur chiamati al referendum contro l’ultima stretta mortale di austerity pretesa dalla Germania, non sono mai stati informati dell’ipotetico “Piano-B”, al punto da lasciar configurare, oggi, l’accusa di alto tradimento a carico di Varoufakis – risvolto peraltro grottesco, in una situazione di catastrofe sociale come quella ellenica: «Deferire per questo Varoufakis all’Alta corte? Ma se non sono stati processati nemmeno quelli che hanno falsificato i bilanci dello Stato per un decennio! Siamo seri».In una conversazione privata durante una conferenza presso l’Omfif (Official Monetary and Financial Institutions Forum), Varoufakis ha detto che quel piano segreto sarebbe servito nel caso i negoziati fossero falliti, per realizzare una nuova moneta greca. L’ex ministro ha spiegato di essere stato autorizzato da Tsipras sin da prima delle elezioni e di aver «lavorato sotto traccia» con un piccolo team guidato dall’economista statunitense James Galbraith, figlio del celebre John Kenneth Galbraith. Il piano supervisionato da Jamie Galbraith prevedeva di dare un codice bancario e fiscale ad ogni contribuente e società per gestire il passaggio alla nuova valuta; poi, in caso di chiusura delle banche, sarebbe scattato un meccanismo di pagamento-ombra, basato sul sito dell’agenzia delle entrate greco che avrebbe permesso, attraverso un pin fornito a chi doveva del denaro, tanto lo Stato che i privati, di trasferire le somme in “formato digitale”, nominalmente in euro. Poi il sistema sarebbe stato esteso agli smartphone con un’app e al momento opportuno sarebbe stato convertito nella nuova dracma, accennando poi anche alla possibilità di arrestare il governatore della banca centrale greca se si fosse opposto.Era una conversazione privata, puntualizza Giannuli nel suo blog, ma poi lo stesso Varoufakis avrebbe autorizzato la messa in rete della registrazione. Sempre l’ex ministro ha poi aggiunto che la difficoltà di tradurre in realtà il piano sarebbe scattata nel momento della realizzazione, che richiedeva una seconda autorizzazione da parte di Alexis Tsipras e che invece non è mai arrivata. Galbraith, poi, ha confermato di aver preso parte al gruppo di lavoro segreto da febbraio ai primi di luglio. Nemmeno 24 ore dopo la messa in rete della conversazione, è scattata la richiesta di deferimento di Varoufakis all’Alta Corte di giustizia per alto tradimento. «La questione, intrecciando aspetti economici, politici, finanziari, costituzionali, penali, è complessa», premette Giannmuli. «Per di più, ha molti punti oscuri e suscita non poche perplessità». Che possibilità di successo avrebbe potuto avere il “Piano-B” di Varoufakis e Galbraith? «A quanto pare, per poterlo attuare si sarebbe dovuti passare attraverso una manovra di hackeraggio per accedere alle posizioni dei singoli cittadini. Il punto non è chiaro, ma fa alzare più di un sopracciglio per l’evidente illegalità della cosa».E poi: come se la sarebbero cavata i possessori di smartphone, magari pensionati? Sarebbero incorsi in manipolazioni, magari gestite dalla malavita? Ma il punto più delicato è un altro: «I greci avrebbero accettato questa moneta?». Senza una accurata preparazione verso il ritorno alla dracma, sarebbe alto il rischio di panico, con impennata dei prezzi, fino al posssibile rifiuto – da parte dei fornitori esteri – di accettare la dracma (in rapida svalutazione) come moneta per i pagamenti; una crisi destinata ad aggravarsi con l’esaurimento delle riserve di merci disponibili. Insomma, ragiona Giannuli, lo Stato sarebbe stato costretto a convertire la sua moneta virtuale in vere dracme. Quindi, il tentativo di Varoufakis «si sarebbe rivelato solo una breve perdita di tempo». Poi ci sono i problemi di ordine politico-istituzionale, e il primo interrogativo è: «Si può cambiare il sistema monetario di un paese con un colpo di mano e senza autorizzazione preventiva del Parlamento?». Qui, continua Giannuli, «c’è anche la slealtà di fondo di Syriza verso l’elettorato, cui era stato promesso il mantenimento dell’euro e la fine dell’austerità. Si può anche pensare che quella fosse la speranza (ahimè quanto infondata) di Tsipras, e che l’altro fosse il piano di riserva; ma è lecito nascondere all’elettorato, non dico il piano nei suoi particolari, ma quantomeno la possibilità di un ritorno alla moneta nazionale?».Alcuni “furbi” diranno che così Syriza avrebbe perso le elezioni? «Può darsi, ma mentire coscientemente all’elettorato è un gesto moralmente più basso che prendere tangenti». C’è chi è sensibile a questi argomenti, e chi invece ritiene questi scrupoli superati: «Tutto dipende da quale sia la concezione che si ha della democrazia: non capisco perché poi la stessissima cosa venga rimproverata a Renzi o Berlusconi». Inoltre, «nascondere il “Piano-B” e dichiarare la volontà di restare nell’euro a tutti i costi, non ammettendo neanche per un momento l’ipotesi di poterne uscire, ha indebolito la Grecia al tavolo negoziale». E inoltre, fino a che punto il team di Varoufakis e Galbraith ha davvero lavorato “sotto traccia”? «Non è certissimo che un qualche servizio segreto (europeo o americano conta poco) abbia avuto sentore di quelle manovre e sia riuscito a scoprirle, ma è realistico prendere in considerazione che ciò possa essere accaduto. Per cui, magari, il risultato è stato quello (peraltro per nulla insolito) un arcana imperii efficace solo verso i cittadini ma non verso i nemici». In ogni caso, l’impressione è pessima: «Una modesta furbata, in sostanza molto ingenua».Al contrario, sostiene Giannuli, «ad un paese come la Grecia sarebbe convenuto di gran lunga giocare a carte scoperte, da un lato chiamando la solidarietà dei popoli europei e degli Stati in condizioni analoghe, e dall’altro giocando sui prezzi che la zona euro avrebbe dovuto pagare per una sua uscita». Obiettivo, «cercare di arrivare ad un’uscita concordata, con minor danno di tutti, Grecia ed Eurozona». Ma per una scelta così lineare, probabilmente, occorrevano ben altri leader: a quanto pare, Tispras era al corrente della cosa da almeno 5 mesi e la approvava. La decisione di andare al referendum «si spiega perfettamente in questa logica, anche se, nella breve campagna referendaria, sia lui che il suo ministro hanno continuato a giurare che non esisteva alternativa all’euro». Poi, nonostante la clamorosa vittoria referenderaria, in due giorni è cambiato tutto: «Mentre a Bruxelles, Francoforte e Berlino si iniziava a fare il conto dei danni del terremoto, Atene si è ripresentata al tavolo delle trattative, ma con una faccia nuova, perché Varoufakis era stato dimissionato. Perché?».Cos’è successo in quelle 48 ore da indurre Tsipras a questa clamorosa svolta a 180 gradi? Perché questa improvvisa, teorica rottura fra i due? E, di conseguenza, perché oggi Varoufakis sente il bisogno di dire candidamente di questo piano che lo mette nei guai? Con un certo ritardo, Tispras ha confermato di aver dato ordine di apprestarlo, ma di non aver mai pensato all’uscita dall’euro. Per cui: o il piano era destinato a scattare se la Grecia fosse stata esclusa dall’euro contro la sua volontà, o serviva solo come deterrente nei confronti degli interlocutori. «Ma un piano segreto, se è davvero tale, non serve come deterrente». Quindi resta solo la prima ipotesi (il ripiego d’emergenza, dopo l’esclusione dal circuito Bce). Ipotesi «evidentemente non condivisa da Varoufakis, che invece sarebbe voluto passare all’attuazione del piano subito dopo il referendum e prima dell’espulsione di Atene dall’Eurozona». Di qui la rottura fra i due e le dimissioni. «Questo però fa capire quanto superficiale fosse l’intesa fra i due: a questo punto, più che una coppia di statisti, sembrano Stanlio ed Ollio».Niente, nella Grecia di Syriza, è davvero convincente: «Riesce davvero poco credibile un deferimento all’Alta corte del ministro senza che lo segua a ruota il presidente del Consiglio: se il reato non c’è perché non si è passati dal progetto all’atto, allora anche Varoufakis non è imputabile; ma se il reato sussiste anche solo per aver ipotizzato il “Piano-B”, allora sul banco degli imputati Varoufakis non può restare solo». Acque torbide: «L’impressione è che a nessuno convenga rimestare troppo in questa storia perché di scheletri nell’armadio ce n’è più d’uno. E non solo ad Atene: credete che Berlino non abbia preparato un suo “Piano-B” in caso di collasso dell’euro o anche solo in caso di uscita di altri? E Parigi, Madrid, l’Aia? Roma no, sono convinto che l’Italia sia l’unica a non averlo fatto». Ad Atene, poi, dilettanti allo sbaraglio: Tispras era giù incline a non uscire dall’euro, «ma è credibile che sin dall’inizio pensasse di fare un referendum-sceneggiata per poi calarsi le braghi in quel modo in 48 ore?».Il fatto che il martedì successivo il neo-ministro delle finanze si sia presentato a Bruxelles senza nessuna proposta «fa capire che non c’era nulla di pronto e che, quindi, la cosa è precipitata in poche ore, prendendo una strada diversa da quella pensata quando il referendum è stato convocato: perché?». La verità, conclude Giannuli, è che se si inizia a scavare su questa storia nessuno, né la Grecia né gli altri, ha da guadagnarci. E pertanto, «sono convinto che la cosa verrà sbrigativamente messa a tacere al massimo con un dibattito parlamentare molto formale». La cosa più triste è proprio l’eclissi di Syriza: fine ingloriosa per l’unico governo di sinistra insediato in Europa. Per giunta, guidato da un leader come Tsipras, presentato in Italia in veste di nuovo alfiere dei diritti, capace di guidare una riscossa anti-austerity pur restando nella moneta unica – un ossimoro palese: nell’euro non esiste benessere possibile, la moneta della Bce è un “mostro” finanziario unico al mondo, destinato esclusivamente a produrre crisi per creare enormi vantaggi speculativi all’élite finanziaria a scapito degli Stati e delle comunità nazionali, famiglie e aziende.«Se penso che questo è il governo della sinistra radicale, che dovrebbe dare lezioni di democrazia, di un nuovo rapporto fra masse e potere, non so se ridere o piangere». Così il politologo Aldo Giannuli liquida il fantomatico “Piano-B” di cui ora chiacchiera l’ex ministro greco Yanis Varoufakis: Tsipras ne era al corrente, anzi l’ha espressamente autorizzato, poi ha revocato l’ok fino alle dimissioni del ministro. Ma in ogni caso la Grecia non si è mai attrezzata per uscire dall’euro. E i greci, pur chiamati al referendum contro l’ultima stretta mortale di austerity pretesa dalla Germania, non sono mai stati informati dell’ipotetico “Piano-B”, al punto da lasciar configurare, oggi, l’accusa di alto tradimento a carico di Varoufakis – risvolto peraltro grottesco, in una situazione di catastrofe sociale come quella ellenica: «Deferire per questo Varoufakis all’Alta corte? Ma se non sono stati processati nemmeno quelli che hanno falsificato i bilanci dello Stato per un decennio! Siamo seri».
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Giulietto Chiesa: è arrivata la bufera, a lungo annunciata
Alcuni mesi orsono, il giornalista e uomo politico Giulietto Chiesa ha pubblicato per i tipi di Piemme Edizioni il volume “E’ arrivata la bufera”. Quest’opera contiene la riproposizione del saggio intitolato “Invece della Catastrofe”, oltre ad un lungo articolo dedicato ai fatti parigini di inizio gennaio 2015, ovvero la strage presso la sede della redazione del periodico satirico Charlie Hebdo. A distanza di un anno e mezzo dalla prima pubblicazione, “Invece della catastrofe” torna dunque a proporsi quale indispensabile strumento cognitivo della modernità. Va colta prima di tutto una peculiarità di questo scritto: esso è inchiesta giornalistica, analisi, e proposta politica, che si pone l’obiettivo di abbracciare e racchiudere nel proprio sguardo partecipe la realtà nella sua globalità. A differenza di altri pur brillanti scritti di questi anni, il libro di Chiesa coglie nel loro stretto legame fenomeni quali il profilarsi di una crisi irreversibile dell’eco-sistema, l’agonia degli stati-nazione sotto la scure del debito di proprietà delle banche, il mutamento antropologico dell’uomo occidentale avulso, disancorato dalla realtà e schiavo dei moderni mezzi di comunicazione, lo spirare di nuovi venti di guerra da ovest, da quegli Stati Uniti d’America che non sanno accettare la perdita del ruolo di superpotenza in un nuovo mondo multi-polare.
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Germania, il boia che fa la vittima (e mente ai tedeschi)
Uno dei più frequenti e stupefacenti fenomeni della storia umana è la prevaricazione esercitata sentendosi vittime: «Vittime si sentono gli israeliani che rinchiudono i palestinesi in una prigione a cielo aperto, vittime del terrorismo palestinese, vittime dell’insicurezza, vittime dell’ostilità araba. Vittime si sentono i razzisti italiani che rinchiudono i richiedenti asilo in lager inumani: vittime dell’invasione di immigrati clandestini, di rifugiati che minaccerebbero la loro sicurezza, le loro vite, il loro benessere». Vittime, scrive Marco d’Eramo, si sentono i tedeschi delle “sanguisughe greche” che stanno succhiando il benessere così duramente conquistato. «Perché non c’è dubbio che a leggere gli economisti tedeschi, la crisi greca sembra una truffa fraudolenta attuata da fannulloni, incapaci, disonesti meridionali che vanificano l’alacre, parca, industriosa morigeratezza dei paesi dell’Europa del nord».E’ quasi surreale la rabbia che traspira dai media tedeschi nei confronti di Atene, scrive d’Eramo su “Micromega”: «In un paese che è costretto a vendersi tutto, persino le isole, leggere che sono i greci che stanno derubando i tedeschi sembra di sognare a occhi aperti». Il vittimismo tedesco? «E’ forse l’aspetto più preoccupante nell’attuale vicenda europea». Dopo 70 anni si ripropone in Europa una questione che sembrava essere stata risolta per sempre: «Forse gli storici ricorderanno il luglio 2015 non solo come il mese in cui fu affossato il progetto europeo, ma soprattutto come il momento in cui riemerse con forza la questione tedesca, dove l’aggettivo “tedesco” non riguarda i singoli cittadini della Germania, ma designa lo Stato e il governo politico ed economico tedesco, la classe dominante tedesca». Grazie alle loro dimensioni schiaccianti, gli Stati Uniti «avevano costretto sia le élites francesi, sia quelle tedesche a rendersi conto di “non fare il peso”, di essere gattini in un mondo di elefanti, e avevano così liberato noi europei dall’insopportabile prospettiva di altri tre secoli di guerre franco-tedesche».D’Eramo ricorda che la Germania unita è una costruzione statale recentissima nel panorama europeo, persino più giovane della stessa Italia unita. E fin dalla sua riunificazione, nel 1866, la Germania ha posto all’Europa un “problema tedesco”: in 79 anni, prima di essere ridivisa di nuovo, aveva scatenato due guerre europee (con l’Austria nel 1866 e con la Francia nel 1870) e due guerre mondiali (nel 1914 e nel 1939): una media di una guerra ogni 19 anni; solo lo Stato d’Israele (anch’esso una creazione recentissima) si sta dando da fare per battere questo record, con cinque guerre e varie guerricciole in 66 anni: a confronto, gli Usa stanno a 11-12 guerre in 241 anni, un conflitto ogni ventennio. Che la Germania rappresentasse ben altro problema, lo riassume la battuta attribuita allo scrittore francese François Mauriac: «Amo talmente tanto la Germania che sono felice che ce ne siano due».Quasi a confermare le parole di Mauriac, aggiunge d’Eramo, appena dopo la riunificazione nel 1989, alcuni segnali avevano suscitato inquietudine: il ruolo della nuova Germania unita nel favorire la dissoluzione della Jugoslavia e quindi nel suscitare il susseguente conflitto e la fretta nell’annettere all’Unione Europea i paesi dell’Est. «Una fretta che ha provocato non pochi scompensi e problemi di dissonanza politica», nonché «una certa megalomania imperiale nei piani di ricostruzione di Berlino capitale», segnali spesso scambiati per «prodotti da un’euforia che si sperava transitoria». Inutile sperare nella memoria collettiva, continua d’Eramo: nonostante Hiroshima e Nagasaki, più della metà dei giovani nipponici ignora che vi sia mai stato un conflitto tra Giappone e Stati Uniti. E il modo in cui gli stessi italiani trattano gli immigrati «è totalmente immemore delle umiliazioni, discriminazioni, persino dei linciaggi subiti dagli immigrati italiani nell’ultimo secolo e mezzo (e sono stati complessivamente decine di milioni)». Per non parlare del modo in cui «gli israeliani abusano del proprio potere militare», un fatto letteralmente «incompatibile con la memoria delle angherie subite per millenni dal popolo ebraico».Perciò quando si parla di questione tedesca, «non è in gioco un ipotetico, improbabile carattere etnico collettivo di supposta “teutonica” arroganza autoritaria, bensì di un atteggiamento proprio della classe dominante che sembra discendere in linea diretta dagli Junker prussiani perché, come loro, accompagna con una violenta svolta conservatrice ogni sua spinta espansionistica». Tralasciando il paragone con il Terzo Reich, «perché proprio l’enormità delle devastazioni prodotte dal nazismo, e dunque proprio l’improponibilità del confronto, in un certo senso “assolve” la Germania attuale da ogni responsabilità», è più utile ricordare la Germania bismarkiana e guglielmina, «innanzitutto perché proprio quell’esperienza ha plasmato la nascita dell’euro». Una moneta unica europea (prima lo Sme, poi l’Ecu, infine l’euro) «fu la condizione che il presidente francese François Mitterrand impose per acconsentire alla riunificazione tedesca, come strumento per imbrigliare lo strapotere prevedibile di una Germania unita».L’euro, continua d’Eramo, fu quindi vissuto dalla classe dominante tedesca come l’ultimo diktat esercitato dalle potenze vincitrici mezzo secolo dopo la disfatta della Seconda Guerra Mondiale. Ancora tre anni fa, l’ex socialdemocratico ed ex membro del direttorio della Deutsche Bundesbank, Thilo Sarrazin, scriveva un libro dal titolo significativo: “L’Europa non ha bisogno dell’euro: come i nostri pii desideri politici ci hanno condotto alla crisi”. Sarrazin scriveva esplicitamente che la Germania si è lasciata trascinare «nell’euro e nell’unità europea a causa del senso di colpa per la seconda guerra mondiale» (in tedesco, “colpa” e “debito” sono espressi dallo stesso vocabolo: “die Schuld”). «I fautori (dell’euro e degli eurobonds) sono spinti dal riflesso squisitamente tedesco per cui la penitenza per l’Olocausto e la guerra mondiale è davvero conclusa solo quando noi affidiamo tutti i nostri averi e il nostro denaro in mani europee», scriveva Sarrazin. Quindi, osserva d’Eramo, «viene descritto come strumento dell’oppressione e umiliazione subite dai tedeschi quell’euro che in realtà si è rivelato per la Germania il suo più importante strumento di dominio, controllo e sopraffazione».È l’euro, infatti, che ha permesso la metamorfosi del progetto europeo «dal perseguimento di una Germania europea all’instaurazione (destinata al fallimento) di un’Europa tedesca». Intanto, perché «nel XX secolo il progetto di unificazione europea ha preso a ricalcare in modo sempre più pedissequo il processo di unificazione tedesca nel XIX secolo: primo passo un’unione doganale col mercato comune europeo, sulle orme dello Zollverein del 1834 tra 38 stati della Confederazione tedesca, ognuno con diritto di veto». Poi, una nuova unione doganale come quella stabilita nel 1866 (dopo la guerra austro-prussiana), ma in cui i singoli Stati membri non avevano più diritto di veto, e con un nucleo forte costituito dai 22 paesi della Confederazione tedesca del nord che si erano dotati di un Parlamento comune con però poteri limitatissimi rispetto al Consiglio federale che rappresentava gli Stati. «Per continuare il paragone, il Consiglio federale era l’equivalente della Commissione Europea, mentre il Reichstag corrispondeva all’Europarlamento e la distinzione tra Confederazione tedesca del nord e area-Zollverein corrispondeva all’Europa a due velocità, con l’Eurozona dei 17 rispetto all’Unione europea dei 27 membri».La similitudine finisce qui perché, dopo soli cinque anni, nel 1871 la Confederazione tedesca fu assorbita dalla Prussia e inglobata nell’impero tedesco. «Ma in realtà non finisce qui – sottolinea d’Eramo – perché in Europa la Germania vede se stessa sempre più nella funzione e nello status che aveva avuto la Prussia nell’unificazione della Germania». Naturalmente la deriva antidemocratica e autoritaria del progetto euro non può essere ascritta alla sola Germania: «La sua data d’inizio va cercata nel referendum sulla Costituzione europea bocciato nel 2005 dai francesi e dagli olandesi. Fu a partire da allora che si allontanò la prospettiva di un’unione politica e quindi di un possibile controllo democratico sulle scelte di Bruxelles». Ovvio, poi, che ciascuno cerchi di sfruttare a proprio vantaggio le circostanze: così, la crisi economica è stata vista «come un’opportunità (e usata come tale) per perseguire i propri scopi politici e finanziari». I poteri finanziari di tutto il pianeta «hanno sfruttato (con successo) la crisi per sottrarre ai lavoratori conquiste che avevano richiesto secoli di lotta per essere ottenute».La stessa Cina ha sfruttato la recessione atlantica per affermare definitivamente il proprio status di officina del mondo. E la Germania «ha usato la crisi per sottrarre alla Francia una bella fetta di sovranità nazionale, con l’ironico risultato che l’euro pensato per imbrigliare Berlino ha finito per imprigionare Parigi», al punto che «in questo scontro, la Grecia è solo un birillo sul tavolo da biliardo». Dalla riunificazione in poi, «la classe dominante tedesca ha pensato sempre meno in termini di Europa e sempre più in termini di Germania». Tanto che, a tutt’oggi, come scrive sul “Financial Times” Wolfgang Münchau, l’euro ha funzionato bene praticamente per la sola Germania (in misura minore per l’Austria e l’Olanda, anche se adesso l’Olanda è in crisi). Ma l’euro è stato disastroso per l’Italia e sta rivelandosi letale per la stessa Francia; intanto la Finlandia è in piena recessione, Spagna e Portogallo sono più poveri di sette anni fa, mentre della Grecia non è nemmeno il caso di parlare. Eppure, «ancora una volta la narrazione prevalente in Germania è il contrario della realtà: l’euro viene visto come un regime di cui Berlino deve sopportare tutti i costi, da buona formica nordica che paga per tutte le cicale meridionali».La verità è opposta: è proprio l’euro ad aver garantito «la possibilità di esportate i prodotti tedeschi nell’Eurozona: un ritorno al marco, e la sua conseguente rivalutazione, farebbero immediatamente crollare le esportazioni tedesche nel mondo». Ed è questa, insiste d’Eramo, la maggiore responsabilità storica delle élites tedesche: «Quella di aver consentito, incoraggiato e infine imposto alla stragrande maggioranza della popolazione tedesca una visione della storia che niente ha a che vedere con la realtà e che favorisce tutti gli stereotipi più nazionalisti, xenofobi e persino razzisti». Per cui «assistiamo a una commedia del potere, al gioco delle parti di una classe dominante che si dice costretta a esigere dalla Grecia insane misure di austerità, perché altrimenti perderebbe i favori di un’opinione pubblica che questa stessa classe dominante ha plasmato nello stampo più reazionario; che è costretta a esercitare una dittatura del capitalismo per ragioni democratiche, perché altrimenti perderebbe il consenso popolare». Il risultato è «l’evoluzione della Spd tedesca che, dopo aver cacciato Sarrazin, adotta oggi con il socialdemocratico vicepremier Sigmar Gabriel tutta la visione del mondo di Sarrazin, con tutte le sue conseguenze politiche».Quanto sia distante la narrazione che la Germania racconta a se stessa della crisi greca e della gestione da parte della Troika, secondo d’Eramo risulta lampante dalla folle vicenda dei panettieri greci, costretti a cambiare il sistema di vendita del pane. «A prima vista può sembrare ridicolo che in un disastro economico come quello greco, i paesi creditori si ostinino a esigere misure urgenti come la liberalizzazione della vendita del pane non solo presso i fornai ma perché no anche nei saloni di bellezza, e che considerino l’equiparazione dell’Iva sul pane nelle panetterie e nei supermercati (che finora pagavano di più per salvaguardare il piccolo commercio). Ma il ridicolo si trasforma in grottesco quando la Troika impone in modo ultimativo il diktat sul peso delle pagnotte: finora nei negozi greci si vendevano forme o da un chilo o da mezzo. Ora sarà obbligatorio venderne in pezzature diverse e graduali». Ma che gliene può fregare ai creditori del peso della pagnotta greca? Quattro anni fa, d’Eramo aveva iniziato un editoriale del “Manifesto” con una frase che gli provocò indignate reazioni da parte dei suoi amici tedeschi: “Dove non era giunta la Wehrmacht, è arrivata la Bundesbank” (si riferiva per esempio a Lisbona e a Madrid). «Rispetto ad allora, c’è da aggiungere che neanche i generali prussiani si sarebbero mai sognati di legiferare sulla pezzatura delle pagnotte in terra d’occupazione».Uno dei più frequenti e stupefacenti fenomeni della storia umana è la prevaricazione esercitata sentendosi vittime: «Vittime si sentono gli israeliani che rinchiudono i palestinesi in una prigione a cielo aperto, vittime del terrorismo palestinese, vittime dell’insicurezza, vittime dell’ostilità araba. Vittime si sentono i razzisti italiani che rinchiudono i richiedenti asilo in lager inumani: vittime dell’invasione di immigrati clandestini, di rifugiati che minaccerebbero la loro sicurezza, le loro vite, il loro benessere». Vittime, scrive Marco d’Eramo, si sentono i tedeschi delle “sanguisughe greche” che stanno succhiando il benessere così duramente conquistato. «Perché non c’è dubbio che a leggere gli economisti tedeschi, la crisi greca sembra una truffa fraudolenta attuata da fannulloni, incapaci, disonesti meridionali che vanificano l’alacre, parca, industriosa morigeratezza dei paesi dell’Europa del nord».
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La svolta di Grillo: basta euro, moneta sovrana o morte
«Il teatrino dell’euro proseguirà fino a quando lo vorranno gli americani, e cioè fino alla definitiva approvazione del Ttip con cui gli Usa assoggetteranno l’Europa in modo non dissimile da come l’euro ha assoggettato la periferia alla Germania». Otto anni dopo il crack di Wall Street, e a quattro anni di distanza dal funesto avvento di Monti, Beppe Grillo oltrepassa il Rubicone individuando finalmente il “nemico”, quello vero, cioè non la “casta dei ladri, della mafia e degli evasori” con cui il Movimento 5 Stelle ha finora intrattenuto il pubblico italiano. Il nemico è l’euro, l’Unione Europea che lo impone. Ma Bruxelles da sola non conta nulla. E nemmeno la Germania, che è solo il kapò del nuovo ordine europeo fondato sulla crisi, sulla paura e sulla rassegnazione punitiva. Il cervello della piovra è oltre oceano, dietro la maschera di quell’Obama che tanto preme, in ossequio ai suoi padroni, per imporre al vecchio continente la catastrofe del Trattato Transatlantico, grazie al quale gli Stati non saranno più liberi neppure di tutelare la salute dei loro cittadini: se la vedranno con tribunali di parte e avvocati d’affari, col potere di imporre micidiali sanzioni, nel caso avessero la malaugurata idea di proibire business velenosi e ostacolare industrie pericolose.Solo dopo lo schianto clamoroso della Grecia di Tispras, Beppe Grillo alza la testa, avendo a lungo ignorato ogni appello a costruire un’alternativa politica basata necessariamente su un’alternativa economica, partendo quindi dalla denuncia dell’euro come abominio monetario, puro strumento di dominazione congegnato da un’élite oligarchica che tutto privatizza, cominciando dalla moneta, per togliere allo Stato (e alla comunità pubblica dei cittadini) ogni residua ragion d’essere. In un post sul suo blog, il leader del M5S rompe gli indugi con un’analisi senza precedenti: dall’euro bisogna uscire di corsa, perché dentro la moneta unica europea non esiste possibilità di salvezza. Lo pensa anche Nigel Farage, il leader dell’Ukip, pronto a guidare la campagna referendaria del 2017 per spingere la Gran Bretagna fuori dall’Ue. Un altro referendum sarà indetto in Austria, sempre per chiedere l’uscita del paese dall’Unione Europea. Per non parlare della Francia, dove il Front National di Marine Le Pen minaccia l’uscita dall’Ue se a Parigi non sarà accordata l’uscita “morbida” dall’euro.Non da oggi, un economista di sinistra come Emiliano Brancaccio accusa l’Italia: non è stata mai neppure ventilata la minaccia di uscire dal mercato comune europeo, argomento che sarebbe fortissimo per costringere Germania e Ue ad accettare una revisione radicale dei terrificanti trattati europei. Se “Syriza” in Grecia e “Podemos” in Spagna continuano a fantasticare sulla possibilità di vivere nel benessere pur restando nell’Eurozona, in tutti questi anni il Movimento 5 Stelle è rimasto in silenzio, limitandosi a proporre il “reddito di cittadinanza” contro il rigore sociale imposto da Bruxelles e poi un referendum consultivo sulla moneta unica. Ora, di colpo, Grillo cambia marcia. Il premier greco? «Rifiutare a priori l’Euroexit è stata la sua condanna a morte: convinto, come il Pd, che si potesse spezzare il connubio “euro & austerità”, Tsipras ha finito per consegnare il suo paese, vassallo, nelle mani della Germania. Pensare di opporsi all’euro solo dall’interno presentandosi senza un esplicito piano-B di uscita ha infatti finito per privare la Grecia di ogni potere negoziale al tavolo dell’euro-debito».Aggiunge Grillo: solo Vendola, il Pd e i media ispirati da Scalfari e «dai nostalgici del manifesto di Ventotene», cioè il miraggio degli Stati Uniti d’Europa, «potevano credere ad un euro senza austerità». E oggi «sono costretti a continuare a far finta di crederci, pur di non dover ammettere l’opportunità di una uscita dopo sette anni di disastri economici». Lo stesso Grillo non brilla per tempismo: oggi, nel 2015, abbraccia le tesi sovraniste enunciate da Paolo Barnard a partire dal 2010. E lo fa dopo aver rifiutato – durante la nera stagione di Monti e Fornero – la consulenza di Warren Mosler e del team di ecomomisti della Modern Money Theory, gli stessi che permisero all’Argentina di liberarsi del cambio fisso col dollaro, che (esattamente come l’euro) condannava l’economia del paese. Ora, Grillo riconosce che «la conseguenza di questa catastrofe politica è davanti agli occhi di tutti». Ovvero: «Nazismo esplicito da parte di chi ha ridotto la periferia d’Europa a suo protettorato attraverso il debito, con ricorsi storici allarmanti». E poi: «Mutismo o esplicito supporto alla Germania da parte degli altri paesi europei vuoi per opportunismo (nord) o per subalternità (periferia)». E ancora: «Mercati finanziari che celebrano con nuovi massimi la fine della democrazia».La Grecia è tristemente eloquente: «Esproprio del patrimonio nazionale attraverso l’ipoteca di 50 miliardi di euro sui beni greci finiti nel fondo voluto da “Adolf” Schaeuble per passare all’incasso dei suoi crediti di guerra». Nessuna sorpresa: era tutto «studiato, previsto, pianificato nei minimi dettagli», perché «la Germania è sistematica nella sua strategia: prima crea un nuovo precedente e poi lo utilizza nella battaglia successiva imponendo decisioni via via più invasive della democrazia grazie al ‘chi tace acconsente’». Irlanda, Spagna e Portogallo «dovevano dimostrare che il rigore paga, sia in termini di riforme (tassazione per pagare gli interessi sul debito e svalutazione interna attraverso la compressione dei diritti dei lavoratori) che in termini di interessi sul debito riportati a casa e pagati col sangue dei paesi debitori». Per non parlare di Cipro, che «ha dimostrato che i depositi bancari, se serve, si possono attaccare, attingendo così non solo alle tasse sul reddito in nome dell’austerità, ma direttamente al patrimonio privato dei cittadini per ripagare il debito contratto».Con la Grecia, aggiunge il blog di Grillo, l’asticella è stata posta ancora più in alto, al punto di confiscare direttamente il patrimonio pubblico in un fondo la cui sede giuridica Schaeuble voleva inizialmente trasferire addirittura fuori dalla Grecia. «E’ l’Italia il destinatario finale di questi precedenti seminati lungo il percorso dell’euro-debito in nome della presunta irreversibilità dell’euro». E’ inutile far finta di non vederlo, aggiunge Grillo: «La Grecia offre dunque una nuova lezione per l’Italia, da cui faremmo bene ad imparare se vogliamo farci trovare pronti quando arriverà il nostro turno di debitori». Renzi? In questa fase storica è «una minaccia nazionale», perché è «un premier che argomenta bene contro l’austerity, ma che resta negazionista nei fatti sulla Euroexit, a digiuno di economia monetaria e con una strategia politica improvvisata». In altre parole: quello che è valso oggi per Tsipras «varrà domani per Renzi». Attenzione: «Un piano-B di uscita è essenziale per l’Italia, chiunque sia al governo», conclude Grillo. «Con un enorme debito pubblico e una economia manufatturiera orientata all’export è da irresponsabili non farsi trovare pronti ad una eventuale uscita, non necessariamente forzata da noi, ma eventualmente subita da decisioni altrui, visto che nessuno può prevedere il corso degli eventi».Ed è bene «non contare sugli altri», perché «quando arriverà il momento saremo soli». Proprio com’è successo a Tsipras, «che ha sbagliato i suoi conti sperando di trovare sostegno strada facendo dai cugini periferici, che invece si nascondevano nell’ombra del ‘questa volta non tocca a noi’». Secondo Grillo, il referendum proposto dal M5S tramite una legge di iniziativa popolare è «uno strumento essenziale», dal momento che «potrà servire a spiazzare l’avversario e a dare legittimità democratica all’Euroexit». Il leader dei 5 Stelle propone di «usare il nostro enorme debito come minaccia». Lo considera «un vantaggio che ci consente di attaccare al tavolo di ogni negoziazione futura», e non «uno spauracchio da subire per abbozzare alle richieste dei creditori». Questo, aggiunge Grillo, vuol dire «non consentire alcuna ingerenza tedesca nel nostro legittimo diritto di ridenominare il nostro debito in un’altra valuta, se e quando arriverà il momento». Grillo pensa sia anche necessario rafforzare, sa subito, gli istituti di credito italiani, perché «la minaccia di fallimento delle banche e la chiusura dei rubinetti della liquidità è ciò che alla fine ha fatto capitolare Tsipras».Grillo raccomanda addirittura di «prepararsi alla nazionalizzazione delle banche», oltre che «al passaggio ad un’altra moneta». Lo ritiene «il modo per non perdere la prima battaglia che dovremo affrontare quando arriverà il momento di staccarci dal bocchettone della Bce». Ogni piano-B, aggiunge, dovrà quindi prevedere l’introduzione di una moneta parallela, che all’evenienza potrà essere adottata per avviare il processo di uscita in maniera soft. Ancora più insolita l’analisi geopolitica di Grillo, che chiede di «tenere un occhio a Francoforte e l’altro a Washington», accusando direttamente l’élite statunitense di voler tenere in vita l’euro fino all’approvazione europea del Ttip, il trattato con gli Usa ridurranno in schiavitù l’Europa, così come ha finora fatto la Germania con l’arma della moneta unica creata su misura per Berlino. «L’euro e’ ormai una guerra esplicita tra creditori e debitori», chiosa Grillo, ormai allineato – meglio tardi che mai – alla lucida e solitaria denuncia di Barnard, rimasto inascoltato per molti anni.«E’ inutile che il nostro governo si sforzi di apparire schierato dalla parte virtuosa dei vincitori euristi e riformisti: l’euro – insiste il leader del Movimento 5 Stelle – non si può riformare dal suo interno e va invece combattuto dall’esterno, abbandonando questa camicia di forza anti-democratica». Il nostro debito è stato gonfiato dal ricorso alla finanza privata dopo il divorzio fra Tesoro e Bankitalia e poi è definitivamente esploso, restando fuori controllo, con l’adozione rovinosa della moneta “straniera”. La nostra assenza di crescita unita alla deflazione ci collocano a pieno titolo nella categoria degli sconfitti del debito? «Faremmo dunque bene a prepararci, con un governo esplicitamente anti-euro, all’assalto finale del patrimonio degli italiani», conclude Grillo. Patrimonio di famiglie e aziende ormai «sempre più a rischio, se non ci riprendiamo la nostra sovranità monetaria».«Il teatrino dell’euro proseguirà fino a quando lo vorranno gli americani, e cioè fino alla definitiva approvazione del Ttip con cui gli Usa assoggetteranno l’Europa in modo non dissimile da come l’euro ha assoggettato la periferia alla Germania». Otto anni dopo il crack di Wall Street, e a quattro anni di distanza dal funesto avvento di Monti, Beppe Grillo oltrepassa il Rubicone individuando finalmente il “nemico”, quello vero, cioè non la “casta dei ladri, della mafia e degli evasori” con cui il Movimento 5 Stelle ha finora intrattenuto il pubblico italiano. Il nemico è l’euro, l’Unione Europea che lo impone. Ma Bruxelles da sola non conta nulla. E nemmeno la Germania, che è solo il kapò del nuovo ordine europeo fondato sulla crisi, sulla paura e sulla rassegnazione punitiva. Il cervello della piovra è oltre oceano, dietro la maschera di quell’Obama che tanto preme, in ossequio ai suoi padroni, per imporre al vecchio continente la catastrofe del Trattato Transatlantico, grazie al quale gli Stati non saranno più liberi neppure di tutelare la salute dei loro cittadini: se la vedranno con tribunali di parte e avvocati d’affari, col potere di imporre micidiali sanzioni, nel caso avessero la malaugurata idea di proibire business velenosi e ostacolare industrie pericolose.
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Barnard: infame bugiardo, Varoufakis ha tradito la Grecia
E’ stato osceno per me assistere alla sceneggiata dell’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis che di fronte ai media internazionali salta in sella alla sua moto e, da eroe spartano dissidente combattente del Popolo greco, lascia il suo governo in un tripudio di “eroe!”, “coraggioso!”, “grande vero politico!” da parte di tutta la stampa internazionale, bloggers e fessi assortiti, i quali tutto dicono e scrivono ma nulla sanno di cosa veramente successe. Yanis è un falsario, di proporzioni disgustose. Lui e Tsipras hanno giocato le parti da film poliziesco di Hollywood con una maestria eccezionale: il ‘bad cop’ & il ‘good cop’, cioè il poliziotto cattivo (Tsipras che si vende alla Troika) e quello buono (Varoufakis che brandendo la dignità greca sbatte la porta in faccia alla Troika). Ma entrambi sono in realtà nello stesso team, e il team si chiama: Grecia nell’Eurozona a tutti i costi. Sangue nelle strade? Olocausto di un popolo? Non importa. Lasciare l’Inferno dell’euro non si considera neppure. In metafora: si rimane ad Auschwitz, con Tsipras che accetta i forni crematori con un piccolo sconto, mentre Varoufakis li rifiuta categorico e opta per la fucilazione di massa. Ma sempre dentro Auschwitz si sta.Ecco, queste sono le proporzioni esatte della vergogna storica dei due falsari. I rari squittii di Yanis sull’uscita dall’euro erano tutti falsi, e più sotto leggerete perché. Per capire dove inizia l’infamia di Varoufakis e dove finisce, bastano due affermazioni: Sì a Lazard – No a Warren Mosler. E ora la storia. Il 25 gennaio 2015 Syriza vince le elezioni greche, imponendosi come primo partito e ottenendo il 36,3% dei voti. Immediatamente dopo, il neo ministro delle finanze Yanis Varoufakis annuncia che Atene di nuovo assume l’agenzia globale di consulenze finanziarie Lazard per assistere il suo governo nei negoziati coi creditori della Grecia già ridotta a una Dresda sociale. Eccovi Lazard. Il braccio armato di Lazard, quello che fa milioni di dollari con consulenze ai governi indebitati, si trova a Parigi, ed è guidato da un certo Matthieu Pigasse. Pigasse è un devoto socialista francese della scuola ultra-neoliberista e pro mercato di François Mitterrand, che fu amico personale di un altro falco di destra finanziaria, l’ex presidente Sarkozy, mentre oggi va a braccetto strettissimo con l’attuale presidente Hollande, uno dei maggiori CREDITORI creditori della Grecia. Conflitto d’interessi?Certo, infatti dovete sapere che prima di Varoufakis un altro governo greco aveva assunto Lazard, nel 2012, in occasione del mega ‘salvataggio’ (traduzione=ghigliottina) della Grecia da parte della Troika. Fu in quella occasione che accadde una cosa che già avrebbe dovuto dissuadere Varoufakis dall’ingaggiarsi di nuovo con Lazard: l’International Financing Review rivelò allora che quando Lazard propose alla Troika qualcosa che suonava vagamente pro popolo greco, l’allora presidente francese Sarkozy chiamò il Chairman di Lazard e gli abbaiò: «Ricordati che la Francia è un tuo cliente 50 volte più grosso della Grecia! Calma i toni, bimbo!». Lazard chinò la testa all’istante e ritirò la proposta. Eh? Varoufakis? Ti giunge nuova? No, falsario. Lazard nel 2011 aveva fatto una bella frittata in Spagna, naturalmente pagata dagli spagnoli della strada, quando fu consigliere della strafallita banca Bankia, col risultato che appena dopo un anno Madrid dovette salvare Bankia con 22.5 miliardi di euro di soldi pubblici. Lazard tocca la Gran Bretagna e fa un altro disastro per la gente comune: viene ingaggiata dal premier David Cameron per la privatizzazione delle poste inglesi, che avvenne con un prezzo per azione talmente stracciato che i contribuenti persero miliardi di sterline. Eh? Varoufakis? Ti giunge nuova? No, falsario.Ma Lazard è anche quella dove lavorava Gerd Häusler, un direttore Senior del Institute of International Finance di Washington (Iif), il Re della speculazione sui derivati, ma soprattutto, e parlo del Iif, il difensore supremo di tutti i creditori privati della Grecia. Ma capite di cosa è composto il Dna di Lazard? E non facciamoci mancare nulla: in Lazard c’è passato anche Mark Walker, un bel campione della banca Rothschild che poi ha fatto i suoi danni sia in Grecia che a Cipro… e Varoufakis se li prende a consulenti. E Varoufakis crede che Lazard combatterà ‘a la Lord Byron’ per la Grecia e… che Lazard si farà nemici i tedeschi? la Merkel? la Deutsche Bank cresciuta dal Conte Dracula della speculazione Josef Ackermann, anche lui dentro fino al collo nel Iif? Cioè: TUTTI POTENZIALI FUTURI CLIENTI DI LAZARD tutti potenziali futuri clienti di Lazard ma con un valore di acquisto (cioè parcelle) che per Lazard è mille volte superiore alla Grecia? Credevi che Lazard si dimenticasse di questo nei negoziati, Yanis, falsario? E tu tutte queste cose le sai.Ma Cristo!, se sei devastato dalla Peste Nera non chiami i Monatti a farti da consulenti. Cioè: se chi ti sta annientando è 1) un mondo della finanza impazzito, spietato (che deve essere distrutto per il bene del pianeta) e 2) mega governi nazistoidi e totalmente pro-finanza, NON CHIAMI non chiami ad aiutarti un frullato di Wall Street che vive a braccetto e A BUSTA PAGA a busta paga di quei mega governi. Ma il gioco è ancora più perverso. Lazard, come già detto, aveva lavorato con Atene alla mega ristrutturazione del suo debito nel 2011-12, con un risultato che fu da tutti gli ‘esperti’ considerato storico. Lazard convinse infatti i creditori PRIVATI privati della Grecia a perdonargli il 75% del debito privato, che allora era di 206 miliardi. Un record mondiale. Per questo servizio Lazard intascò una parcella di 25 milioni di euro.Ma attenzione: come sempre il ‘salvataggio’ della Grecia venne con condizioni di Austerità economiche atroci, che dal 2012 a oggi ha cacciato un quarto della popolazione dal lavoro, devastato ogni parametro economico del Paese (crescita, Pil, tassi sui titoli ecc.), aumentato la mortalità infantile del 40% e altri orrori noti. Bene. Risultato? Che oggi la Grecia non solo è stata schiacciata come uno scarafaggio dalla Troika, ma quei privati che allora accettarono le perdite chieste da Lazard, oggi se le riprendono con mega interessi comprandosi una Grecia super svalutata a pezzetti ultra scontati, esattamente come si svuota un negozio in chiusura fallimentare, pagando una camicia da 60 euro solo 5. Ecco il trucco. Lazard sa queste cose a memoria e Varoufakis anche! E tu Yanis te li riprendi? Delinquente è dirti pochissimo.Poi… parte seconda. Yanis lungo tutta questa tragedia si accompagna a Lazard sull’assunto sacro e intoccabile, vera unica Bibbia di tutta la storia, che di uscire dall’Eurozona, stracciare i Trattati economicidi della Ue, e riprendersi la sovranità monetaria, è assolutamente escluso. Mentre era e rimane l’unica salvezza di quel paese. Oggi Varoufakis in interviste cosiddette esclusive ci confessa che a un certo punto dei negoziati la sua sensazione fu “che era tutta una trappola già pronta”. Ma dai Yanis? Ehhh!!! Io il 25 febbraio 2015 scrissi questo articolo: “Mesi prima del gennaio 2015, era deciso che la Grecia era fottuta. Tsipras dormiva”. Leggetelo su paolobarnard.info. Draghi della Bce aveva già deciso nel 2014 che la Grecia era a priori tagliata fuori da qualsiasi aiuto da parte della portaerei nucleare dell’euro, la Banca Centrale Europea appunto, che ha un potere infinito di emissione e salvataggio su diversi piani e che poteva salvare la Grecia in un quarto d’ora. Era tutto già deciso un anno fa quasi, ma Yanis poverino se ne accorge nella primavera di quest’anno, lui, un ministro delle finanze. Buffone bugiardo.Ma qui arriviamo al fondo del pozzo nero delle menzogne e omissioni di Yanis Varoufakis.Lui stesso, in un’intervista al “New Statesman”, rivela che per un attimo appena dopo le elezioni “avevamo pensato all’uscita dalla moneta unica”, con un piccolo team di consiglieri greci. Ma prosegue Yanis: “Però non ero sicuro di farcela. Perché gestire il collasso della moneta unica richiede un grado di competenza immane, e non sono sicuro che noi qui in Grecia l’abbiamo… SENZA L’AIUTO DI ESPERTI STRANIERI senza l’aiuto di esperti stranieri”. Era l’alba del 9 febbraio scorso, le 02,01 del mattino. Io scrivo a Varoufakis esattamente queste righe: “Yanis, chiama Mosler adesso! Paolo Barnard”. L’economista americano Warren Mosler è il maggior esperto al mondo di sovranità monetaria, di banche centrali, di gestione di crisi, e soprattutto è il massimo genio della ricostruzione economica per l’Interesse Pubblico. Era pronto a partire per Atene il giorno dopo col suo team di collaboratori come Pavlina Tcherneva, Stephanie Kelton, Mathew Forstater e altri accademici. Potevano letteralmente salvare la Grecia con la totale uscita dall’inferno dell’Eurozona.Passano 14 minuti e ricevo da Varoufakis: “Hai un suo numero?”. Chiamo Mosler, che cade dalle nuvole, controllo il numero e lo mando a Yanis Varoufakis. Dopo 21 minuti Warren Mosler mi chiama dagli States. Si sono parlati al telefono, alle 2,30 del mattino europee, Warren ha 2 ore per mandare a Yanis un piano salva Grecia. Lo fa, e me lo manda in copia. E’ fantastico. Io scendo nel bagno del pub e urlo, urlo e sbatto la testa contro le porte, e urlo ancora… Non ci posso credere, siamo a un millimetro dalla salvezza della Grecia e dalla fine del crimine contro l’umanità chiamato Eurozona. Se Varoufakis e Tsipras ingaggiano Warren Mosler & Team, vi garantisco, l’Europa di Junker, Lagarde, Merkel, e degli altri porci sarà asfaltata al muro, letteralmente da scrostare con una squadra di muratori. Passano 48 ore. Alle prime ore dei due giorni successivi la stampa mondiale annuncia: Tsipras e Varoufakis hanno incaricato l’economista americano Jamie Galbraith come consulente nei negoziati con la Troika. Non una parola di Molser, che Yanis Varoufakis conosce benissimo e da cui è stato praticamente a lezione parecchi anni fa. Scrivo a Warren. Ho un senso di disperazione che mi sta squartando, voi non capite, e glielo scrivo. Warren Mosler mi risponde: “Io pure”.Jamie Galbraith era senza dubbio un noto economista, ma non sapeva praticamente nulla di ciò che occorreva alla Grecia per fuggire dall’Olocausto cui ora è sottoposta. Per chi non è ferrato dell’economia di Warren Mosler, vi dico appena una cosa: l’applicazione anche solo di una piccola dose delle sue ricette economiche, ripeto solo una piccola dose e per poco tempo, in Argentina, portarono quel Paese dal default del 2001 a una crescita del 7% (!!) in soli 3 anni, nonostante il totale isolamento internazionale e la guerra feroce delle banche Usa. Scrissi poi una mail oltre la disperazione a Yanis: “Associa Warren a Galbraith, è l’ultima speranza per i greci”. No risposta. Il 15 di questo mese scrivo a Warren Mosler chiedendogli se almeno Varoufakis gli avesse poi scritto o detto due parole: “No, mai più sentito”, lapidario Mosler.Ora a te signor Yanis Varoufakis, il bugiardo, falsario amico di Lazard Wall St. & soci, e colui che ha gettato al vento la salvezza di un intero popolo che solo un grande Team come quello di Warren Mosler poteva salvare. E’ ignobile che tu oggi persino sorrida, per la tua coscienza putrefatta, non per altro. Non certo per i creduloni (in Italia guidati dal fesso austero prof. Rinaldi) che in giro per il mondo ti hanno applaudito come il neo Lord Byron ellenico. Falsario ignobile, troppo vile per veramente ricacciare i padroni stranieri dal tuo paese. La Grecia è morta ed è ora insalvabile. Le lacrime e gli strepiti non servono a nulla.(Paolo Barnard, “Yanis Varoufakis: la vergogna, il falsario”, dal blog di Barnard del 20 luglio 2015).E’ stato osceno per me assistere alla sceneggiata dell’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis che di fronte ai media internazionali salta in sella alla sua moto e, da eroe spartano dissidente combattente del Popolo greco, lascia il suo governo in un tripudio di “eroe!”, “coraggioso!”, “grande vero politico!” da parte di tutta la stampa internazionale, bloggers e fessi assortiti, i quali tutto dicono e scrivono ma nulla sanno di cosa veramente successe. Yanis è un falsario, di proporzioni disgustose. Lui e Tsipras hanno giocato le parti da film poliziesco di Hollywood con una maestria eccezionale: il ‘bad cop’ & il ‘good cop’, cioè il poliziotto cattivo (Tsipras che si vende alla Troika) e quello buono (Varoufakis che brandendo la dignità greca sbatte la porta in faccia alla Troika). Ma entrambi sono in realtà nello stesso team, e il team si chiama: Grecia nell’Eurozona a tutti i costi. Sangue nelle strade? Olocausto di un popolo? Non importa. Lasciare l’Inferno dell’euro non si considera neppure. In metafora: si rimane ad Auschwitz, con Tsipras che accetta i forni crematori con un piccolo sconto, mentre Varoufakis li rifiuta categorico e opta per la fucilazione di massa. Ma sempre dentro Auschwitz si sta.
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Giulietto Chiesa: via dall’Unione Europea, è un branco di lupi
Di fronte allo spettacolo di barbarie offerto dalla Germania nell’accanirsi contro Atene, nell’ambito della più grave crisi nella storia dell’Ue, anche Giulietto Chiesa – diffidente verso i No-Euro e a lungo incline a concepire una prospettiva politica di revisione democratica dell’Unione Europea – si arrende all’evidenza: Bruxelles non è solo una gang di tecnocrati prezzolati e “maggiordomi” dei poteri forti, messi lì per spremere paesi e popoli in nome del dominio del business finanziario. E’ anche una cosca spietata e sanguinaria, apertamente anti-europea, pronta a calpestare la stessa possibilità di sopravvivenza dei greci. «L’Unione Europea è un’associazione a delinquere», disse senza mezzi termini Marshall Auerback, economista del Levi Institute di New York, di fronte al “golpe dello spread” che a fine 2011 portò all’insediamento di Mario Monti in Italia, l’uomo scelto dalla finanza per imporre il celebre diktat della Bce (Draghi e Trichet) con brutali “riforme” come quella della Fornero sulle pensioni. Nemmeno quattro anni dopo, l’aggravarsi della crisi europea – complicata dalle inaudite tensioni belliche con la Russia in Ucraina – sta determinando contraccolpi politici, psicologici, culturali: questa «non è più Europa», si sente ripetere da più parti.In realtà, questa “non è mai stata Europa”, replicano i critici dell’europeismo franco-tedesco. Secondo Paolo Barnard, autore de “Il più grande crimine” (saggio che illumina, con anni di anticipo rispetto alla catastrofe odierna, la genesi dell’euro come strumento di dominio dell’élite finanziaria a spese degli Stati e dei popoli) l’Unione Europea non è mai stata altro che questo: pura confisca di democrazia, senza contropartite di alcun genere. Confisca istituzionalizzata mediante organismi non elettivi, espressione diretta del “vero potere” neoliberista nemico del welfare e persino dello Stato di diritto. Un regime ideologico che in Europa si è alimentato anche con teorie risalenti all’800, l’economia neoclassica (pagare i lavoratori il meno possibile) e il tragico mercantilismo tedesco (la vocazione all’export, che comprime i salari e deprime la domanda interna). La fobia teutonica dell’inflazione, di hitleriana memoria, si è saldata con la demonizzazione del debito pubblico, motore naturale dell’economia espansiva (se il debito è denominato in moneta nazionale). E’ semplicemente sconcertante, sostiene il politologo Aldo Giannuli, che la sinistra europea non si sia mai accorta del “mostro” cresciuto a Bruxelles; ovvio, quindi, che oggi non abbia proposte, perché qualsiasi vera alternativa democratica comporterebbe innanzitutto la denuncia dell’Ue e del suo braccio secolare, l’euro, come strumenti di pura dominazione antipopolare.Peggio ancora: proprio la sinistra ufficiale – da Mitterrand in poi – ha conferito il massimo supporto al progetto europeista, ben sapendo che la “disciplina di bilancio” indotta fisiologicamente da una non-moneta come l’euro avrebbe causato tagli devastanti alla spesa sociale e abrogazione di diritti e storiche conquiste. Quello che accade oggi in Grecia, dunque, non è che una logica conseguenza, il modus operandi “naturale” di un impianto oligarchico di potere, che non guarda in faccia a nessuno. Proprio la ferocia dimostrata contro Atene, per giunta “colpevole” di aver osato sfidare il regime di Bruxelles con un referendum, finisce per scuotere anche chi aveva sperato in una residua quota di ragionevolezza, se non altro per evitare di consegnare il continente a una pericolosa deriva incarnata da populismi ultra-nazionalisti, spesso xenofobi e neofascisti. «Sono in molti a dire apertamente che ciò che si è consumato a Bruxelles il 13 luglio 2015 è stato un “colpo di Stato”», scrive Chiesa su “Sputnik News”. Un golpe, «realizzato con strumenti finanziari, con un ricatto dei forti contro i deboli, che implica e si regge su un atto di forza, su un’imposizione illegittima».Per il giornalista, autore del profetico libro-denuncia “La guerra infinita” che illustrò con anni di anticipo il piano egemonico dei neocon statunitensi e le “guerre americane” puntualmente condotte negli ultimi anni, la crisi fra Berlino e Atene «è l’inizio della fine dell’Europa come entità che si proponeva di essere unitaria e si rivela ora un’accozzaglia di egoismi, che non è nemmeno possibile definire “nazionali”, poiché sono stati dettati dalla frenesia del guadagno delle élites bancarie internazionali». Questa è ormai «un’Europa senza solidarietà e divisa, spaccata. Con la Germania (ma che dico?, con una parte della Germania; ma che dico?, con un partito tedesco – la Cdu-Csu – guidato da un ministro delle finanze, Wolfgang Schäuble, che combatte contro la premier del suo partito Angela Merkel) che si trascina dietro sei Stati dell’est, tutti antieuropei in sostanza, e che pretende di fare la lezione a tutta la restante Europa, per costringerla ad accettare il modello tedesco». Giulietto Chiesa cita l’ex ministro greco Yanis Varoufakis: la vera posta in gioco non è Atene ma Parigi, perché il piano degli oligarchi tedeschi consiste nel «mettere il timore di Dio nei francesi, costringendo la Grecia a uscire dall’euro».Dunque, conclude Chiesa, «la Grecia è stata usata, anche (non solo come la vittima sacrificale da esibire sulle piazze d’Europa, come l’avvertimento, come la gogna che attende tutti coloro che osassero ribellarsi in futuro), come una mazza ferrata per imporre la volontà dei banchieri tedeschi a tutti gli altri paesi». Quella di Bruxelles, allora, è «un’Europa che si comporta come un branco di lupi». Sicché, «questa Europa finisce, insieme alla Grecia indipendente e sovrana». Una constatazione che «dovrebbe aprire una riflessione a tutte le forze europee, democratiche e che vogliono conservare le loro sovranità nazionali, sulla “questione tedesca”». Attenzione: «Per la terza volta, nella sua storia moderna, la Germania mette e repentaglio la pace nel continente. Un’Europa senza Germania è sempre stata impensabile. Ma una Germania che non è in grado di moderare la sua pulsione al dominio diventa il nemico di ogni idea europea comune».Per quanto concerne la Grecia, la soluzione imposta a Tsipras, «mostruosa sotto ogni profilo», non è che «una tappa verso un disastro, non solo economico: è l’esistenza stessa della democrazia che è stata annientata», costringendo i greci ad accettare un piano economico peggiore di quello che, col referendum, avevano rifiutato. «Perfino la proprietà privata, dei singoli e dello Stato, è stata cancellata. Con totale impudenza, quella del vae victis – continua Giulietto Chiesa – la Germania ha preteso il controllo diretto di 50 miliardi di euro di proprietà greche attraverso il Kfw (Kreditanstalt Fur Wiederanfbau, Istituto di Credito per la Ricostruzione), che altro non è che una banca tedesca (80% dello Stato e 20% dei laender) e il cui presidente è Wolfgang Schäuble».Peraltro, proprio la Kfw (la “Cdp” tedesca) è lo strumento col quale la Germania ha regolarmente aggirato le restrizioni sull’euro, acquisendo moneta praticamente a costo zero per finanziare il governo – la Kwf è giudiricamente privata, ma di fatto chi comanda è lo Stato. Nessuno, però, si è mai permesso di far osservare ai tedeschi che stavano barando: hanno imposto il costo dell’euro a tutta l’Eurozona (moneta che ogni paese può ottenere solo con l’emissione di titoli di Stato, attraverso il sistema bancario privato), mentre Berlino, sottobanco, ha trovato il modo di finanziarsi impunemente in modo assai più economico. Inutile, quindi, aspettarsi che simili oligarchi potessero fare la benché minima concessione sulla indispensabile ristrutturazione del debito greco, «che è un debito illegale e estorto con l’inganno e con la complicità dell’Europa e della Germania», ricorda Giulietto Chiesa. «Non c’è più nemmeno l’ombra dell’economia di mercato: questa è rapina e violenza allo stato brado».Paul Krugman, Premio Nobel per l’economia, ha spesso tuonato contro i “maghi” dell’austeriy europea, che impongono solo e sempre ricette disastrose. Sbagliano? No, lo fanno apposta: retrocedere i popoli, ex consumatori ormai inutili, fa parte del piano. Diverranno lavoratori-schiavi, senza più diritti sindacali e con salari da Bangladesh, alla periferia meridionale del Quarto Reich. Giulietto Chiesa cita ancora il greco Varoufakis, che bene esprime il panico di Syriza di fronte all’ipotesi Grexit: l’ex ministro, che oggi accusa Tsipras di non aver osato tener duro di fronte al “waterboarding” cui è stato sottoposto a Bruxelles, sostenendo che si poteva reggere molto meglio il braccio di ferro e spuntare condizioni migliori per restare nell’Eurozona, cita l’Iraq (paese bombardato, invaso, raso al suolo) come esempio per spiegare le enormi difficoltà nel rimettere in piedi una moneta partendo da zero (missione impossibile, in quel caso, senza l’aiuto Usa). In più, lo stesso Varoufakis evita di citare – come invece fa Krugman – il caso eclatante dell’Argentina, la cui prodigiosa rinascita è iniziata proprio con l’abbandono del legame col dollaro (cambi bloccati, come nel caso dell’euro) tornando pienamente sovrana, “da zero”, dei propri pesos.Se è quindi chiaro che nessun Varoufakis avrebbe mai potuto – con quelle argomentazioni – impensierire neppure lontamente la Bce e la Commissione Europea (oltre a non aver messo a punto un vero piano-B, il governo di Syriza non ha nemmeno pensato a reclutare un adeguato team di economisti, per esempio quelli, americani e democratici, di cui si servì Nestor Kirchner per la rianimazione-record della sua Argentina), resta di fronte agli occhi di tutti lo spettacolo dell’orrore che Berlino e Bruxelles hanno esibito, a prescindere dall’impresentabilità di Syriza – spettacolo che non mancherà di suscitare ripercussioni drastiche, a partire dalla Francia di Marine Le Pen, l’unico leader europeo a chiedere a gran voce, e non da oggi, l’uscita di Parigi dall’Unione Europea, prospettiva che ormai sfiora l’Austria e nel 2017 chiamerà al voto anche la Gran Bretagna. L’incubo Grexit – espulsione disordinata, non preparata come invece nel caso argentino – comporterebbe «conseguenze sociali e politiche sconvolgenti: sicuramente provocazioni, disperazione, disordini, sangue», scrive Giulietto Chiesa. «Questa è l’Europa, oggi. Bisogna prepararsi a uscirne, per tempo».Di fronte allo spettacolo di barbarie offerto dalla Germania nell’accanirsi contro Atene, nell’ambito della più grave crisi nella storia dell’Ue, anche Giulietto Chiesa – diffidente verso i No-Euro e a lungo incline a concepire una prospettiva politica di revisione democratica dell’Unione Europea – si arrende all’evidenza: Bruxelles non è solo una gang di tecnocrati prezzolati e “maggiordomi” dei poteri forti, messi lì per spremere paesi e popoli in nome del dominio del business finanziario. E’ anche una cosca spietata e sanguinaria, apertamente anti-europea, pronta a calpestare la stessa possibilità di sopravvivenza dei greci. «L’Unione Europea è un’associazione a delinquere», disse senza mezzi termini Marshall Auerback, economista del Levi Institute di New York, di fronte al “golpe dello spread” che a fine 2011 portò all’insediamento di Mario Monti in Italia, l’uomo scelto dalla finanza, con la collaborazione di Napolitano, per imporre il celebre diktat della Bce (Draghi e Trichet) con brutali “riforme” come quella della Fornero sulle pensioni. Nemmeno quattro anni dopo, l’aggravarsi della crisi europea – complicata dalle inaudite tensioni belliche con la Russia in Ucraina – sta determinando contraccolpi politici, psicologici, culturali: questa «non è più Europa», si sente ripetere da più parti.
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Macché Grecia, Deutsche Bank esposta per 70.000 miliardi
Il problema non sono i soldi, sono gli “schiavi”: i greci, e con loro tutti noi “prigionieri” dell’Eurozona. La crisi ellenica assume i caratteri di una tragica farsa, con Tsipras che indice il referendum e il giorno dopo annulla il “no” proponendo lui stesso le misure-capestro della Troika? «La cosa che mi fa ridere è che tutta ’sta mucchia di cefali con l’insegnante di sostegno che sono praticamente tutti quelli che parlano della Grecia, vi fanno credere che il problema sono i debiti della Grecia verso creditori come Germania, Italia, Bce», scrive Paolo Barnard, proponendo di dare un’occhiata ai numeri: «La Grecia deve alla Germania 56 miliardi di euro, che sono 1/62esimo del Pil tedesco. E il ministro delle finanze tedesco Schaeuble fa un putiferio, come se perdere quegli spiccioli rovinasse la Germania. Però sta zitto, muto, bocca cucita, sul fatto che la sola Deutsche Bank ha il culo esposto a scommesse sui derivati per… SETTANTAMILA miliardi di euro. Basta che ne perda una frazione e la sberla che si beccano i tedeschi sarebbe 200 volte il debito Grecia-Germania». E allora non è questione di soldi, insiste Barnard: la posta in gioco è «non permettere alla Grecia di rompere il Tritaumani che Parigi e Berlino inventarono per rederci schiavi: la moneta unica».Cifre che sfuggono, regolarmente, alle analisi sui media mainstream. «L’eroe di cartone Yanis Varoufakis – continua Barnard – fu dimesso da ministro delle finanze greche (fonte “Financial Times”) quasi due mesi fa a una riunione dell’Ecofin a Riga, il 24 aprile. Fu un incontro simpatico, dove gli fu detto che era “un principiante, un cretino, un povero scemo, e che avrebbe vissuto poco”». Barnard, autore de “Il più grande crimine” (saggio-profezia sulla catastrofe dell’Eurozona) ricorda che lo stesso Varoufakis non ascoltò il suo consiglio (“chiama Warren Mosler della Me-Mmt a dirigere la Greekexit”), preferendo ricorrere all’economista Jamie Galbraith, troppo “vicino” alle grandi agenzie finanziarie mondiali per poter scommettere davvero sul ripristino della sovranità monetaria, traguardo verso il quale, invece, Mosler ha approntato tappe precise (un paracadute sociale, per uscire senza troppi scossoni dall’euro e rimettere in moto l’economia proprio grazie alla moneta nazionale). Varoufakis? E’ inutile che oggi faccia l’eroe, dice Barnard: è stato “licenziato” a Riga da Peter Kazimir, ministro delle finanze slovacco presente all’incontro, perché «non aveva una cazzo di idea su come salvare la sua gente. Io gliel’avevo data». Il mediatico Yanis? «Ignorante, economista da Topolino».«Come ho già scritto duemila volte, la storia della Grecia è una farsa», sostiene Barnard. La “notizia dell’anno” è un’altra: «Il dinosauro cinese è impazzito, è fuori controllo», e soprattutto «è vivo e mostriosamente pericoloso». Motivo: «Pechino ha voluto negli ultimi 10 anni seguire i consigli dei Chicago Boys, cioè vai con la tua atomica a tutta potenza sull’export (lo stesso che vorrebbero i “cago boys” italiani per l’Italia, cioè Borghi, Bagnai, Rinaldi), ma ora il gioco dell’export cinese, come sempre fu previsto dalla Mosler Economics, si è rotto. Con bassa crescita, crollo dei salari reali e della domanda interna (tutti tipici dell’export), la Cina sta soffrendo il più colossale, cataclismatico e micidiale assets-run della storia umana». Ovvero: «Gli investitori stanno svendendo tutto ciò che hanno comprato di cinese alla velocità del lampo, dai Corporate Bonds alle azioni, soprattutto azioni, titoli di Stato, riso cantonese, bastoncini, grappa alla rosa, ciabattine». Le perdite complessive per la Cina «sono arrivate in meno di due mesi a tremila miliardi di dollari solo in azioni! Immaginate il resto». Cina, dunque, non Grecia: «Quando il dinosauro cinese impazzisce e non mangia più come e quanto prima, noi non gli vendiamo più come prima, il petrolio crolla in prezzo, i minerali pure». Tuto questo, mentre la Grecia di Tsipras sembra consegnarsi definitivamente al suicidio a rate progettato dalla Troika.Il problema non sono i soldi, sono gli “schiavi”: i greci, e con loro tutti noi “prigionieri” dell’Eurozona. La crisi ellenica assume i caratteri di una tragica farsa, con Tsipras che indice il referendum e il giorno dopo annulla il “no” proponendo lui stesso le misure-capestro della Troika? «La cosa che mi fa ridere è che tutta ’sta mucchia di cefali con l’insegnante di sostegno che sono praticamente tutti quelli che parlano della Grecia, vi fanno credere che il problema sono i debiti della Grecia verso creditori come Germania, Italia, Bce», scrive Paolo Barnard, proponendo di dare un’occhiata ai numeri: «La Grecia deve alla Germania 56 miliardi di euro, che sono 1/62esimo del Pil tedesco. E il ministro delle finanze tedesco Schaeuble fa un putiferio, come se perdere quegli spiccioli rovinassero la Germania. Però sta zitto, muto, bocca cucita, sul fatto che la sola Deutsche Bank ha il culo esposto a scommesse sui derivati per… settantamila miliardi di euro. Basta che ne perda una frazione e la sberla che si beccano i tedeschi sarebbe 200 volte il debito Grecia-Germania». E allora non è questione di soldi, insiste Barnard: la posta in gioco è «non permettere alla Grecia di rompere il Tritaumani che Parigi e Berlino inventarono per rederci schiavi: la moneta unica».
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Giannuli: paura di agire, Syriza e Podemos come i riformisti
Nessuno si stupisca se, negli ultimi decenni, tocca sempre al centrosinistra fare il “lavoro sporco”, che – se gestito da destra – provocherebbe rivolte: non a caso, col Jobs Act, è stato il Pd renziano a rottamare lo Statuto dei Lavoratori, obbiettivo solo e sempre sognato dal “truce” Cavaliere, contro il quale si sarebbero scatenati sinistra e sindacati. Compressione dei salari, tagli alle pensioni, erosione costante e continua del welfare: è l’applicazione del vecchio “Tina” della Thatcher, “there is no alternative”. Chi può persuadere le masse popolari? Non il centrodestra, ma la sinistra ufficiale – dall’Italia fino alla Grecia di Tsipras. Il che non deve sorprendere: la socialdemocrazia ha rivelato, storicamente, di non essere in grado di gestire nessuna crisi grave, ma solo di limitare i danni “in tempo di pace”. Lo afferma Aldo Giannuli, storico e politologo dell’ateneo milanese. «Quel che resta della sinistra europea (salvo nicchie occasionali di aree radicali, peraltro, non sempre molto aggiornate) ormai si divide fra un’ala neoliberista appena mascherata che va sotto il nome di “Internazionale Socialista”, o socialdemocrazia, e una sinistra che si dice radicale (Sel, Rifondazione, Syriza, Linke e, per certi versi Podemos) ma che, in realtà, è una pallida sinistra socialdemocratica».Nel suo saggio “Il più grande crimine”, Paolo Barnard spiega che, senza la collaborazione organica dei dirigenti della sinistra europea – partiti e sindacati – l’élite neoliberista non sarebbe mai riuscita a imporre la gigantesca restaurazione sociale, di cui oggi stiamo pagando il prezzo, progettata da Wall Street già all’inizio degli anni ‘70 col Memorandum di Lewis Powell: stroncare la sinistra radicale e “comprare” i leader della sinistra moderata, in modo che spacciassero per “riforme” l’abrogazione progressiva dei diritti dei lavoratori, dopo decenni di storiche conquiste. Di lì, a seguire: il neoliberismo come pensiero unico, imposto dal Wto e dai trattati internazionali (Europa in primis), governato da potentissimi organismi lobbistici (Commissione Trilaterale, Bilderberg, Forum di Davos) e imposto, come dogma, a partire dalle università e dai media. Lo Stato è un’inutile orpello, solo il Mercato ha sempre ragione. E quindi, globalizzazione delle merci, dei capitali, della forza lavoro, con la finanziarizzazione dell’economia e la privatizzazione della finanza pubblica. Risultato: delocalizzazioni, disoccupazione, spirale di crisi senza vie d’uscita. E la sinistra dov’era? E’ stata “comprata”, dice Barbard: cooptata dal potere. Per la verità, aggiunge lo storico Giannuli, la sinistra riformista aveva già dato pessime prove, prima ancora dell’assalto finale del grande capitale finanziario.«Per capirlo – scrive Giannuli nel suo blog – è utile fare un passo indietro di quasi un secolo e mezzo». Al suo sorgere, ricorda il professore, il movimento socialista fu tutto rivoluzionario e antisistema (salvo gli inglesi, che sono sempre stati riformisti), tanto in Francia quanto in Italia, in Spagna e in Germania. «La svolta venne dopo il 1871, con la repressione della Comune di Parigi: un massacro di ferocia senza precedenti, con migliaia di comunardi fucilati o deportati. Lo shock fu molto forte e se, in seguito, questo spingerà le frange più di sinistra sulla strada dell’insurrezione armata ma preparata scientificamente (il leninismo, in primo luogo), nell’immediato la lezione venne vissuta piuttosto come un perentorio invito alla moderazione». La vittoria degli orientamenti riformisti, prima di tutto in Francia e Germania, poi in Italia e Spagna, venne fra gli anni ‘70 e i primi ‘90, proprio sulla base della riflessione sul tragico esito della Comune. «Parve che la via elettorale e riformista fosse una manifestazione di saggezza: scambiare la velocità del processo con la solidità dell’avanzata, e la sicurezza di non dover affrontare una repressione di quella gravità».Lo stesso Engels, nell’ultimo decennio della sua vita (Marx era morto nel 1883) fu molto cauto nel criticare questi orientamenti. Peraltro il clima culturale, dominato dall’evoluzionismo positivista, assecondava e sosteneva questo corso di cose: la storia aveva una sua direzione di marcia, dominata dalla legge fatale dell’evoluzione, che avrebbe spinto “naturalmente” il socialismo verso la vittoria. «Ne derivò una idea della lotta politica senza “salti”, come la natura; pertanto ogni rottura era rifiutata come un’avventura foriera di gravi pericoli. Sfortunatamente, non è vero che “natura non facit saltus”, e tantomeno la storia e la politica». Al contrario: «Esistono, quei salti, che dopo abbiamo imparato a chiamare “biforcazioni catastrofiche”, e la riprova venne subito con la crisi finanziaria del 1907, con la I guerra mondiale, con il fascismo, con la crisi del 1929… Tutti fenomeni che la socialdemocrazia non capì e non seppe affrontare: di fronte alla guerra si piegò anche a votare i crediti di guerra, poi di fronte alla crisi del dopoguerra non seppe lontanamente che fare».In Italia, il leader socialista Filippo Turati «non capì nulla del fascismo, e così i capi della socialdemocrazia tedesca di fronte al nazismo». La sconfitta del movimento operaio? «Fu equamente responsabilità delle impazienze del movimento comunista (per tutte ricordiamo l’insurrezione spartachista)», quella di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, «e delle “prudenze” della socialdemocrazia». Da allora, riassume Giannuli, «tutte le volte che un partito del movimento operaio si è trovato ad affrontare una lunga guerra di posizione è impercettibilmente scivolato in una sonnolenta routine riformista che lo ha reso incapace di riconoscere i momenti di crisi». Motivo: «Il riformismo, più o meno socialdemocratico, è pensiero politico adatto ai momenti ordinari della vita politica. Ma quando arrivano i momenti di crisi del sistema, la socialdemocrazia, essendo interna al sistema stesso, non riesce a rendersene conto e regolarmente finisce travolta più degli altri, non avendo, come i liberali, il sostegno dei poteri forti». In altre parole, «un socialdemocratico si riconosce da una cosa: che vuol fare la frittata, ma ha paura di rompere le uova. Il guaio è che quando arriva una crisi di sistema si solleva un’ondata di protesta popolare e, se a dirigerla non sei tu, lo farà un altro. Che è precisamente quello che sta accadendo».Giannuli è pessimista: «La crisi finanziaria, che è diventata crisi dell’economia reale e sta diventando crisi dell’ordine politico militare, ormai è iniziata da sette anni (forse direi otto), e le sinistre sedicenti anti-sistema (dal “Front de Gauche” alla Linke, dalla sinistra arcobaleno a “Izquierda unida”) che, in teoria avrebbero dovuto avvantaggiarsene, in realtà sono andate in crisi, hanno perso voti e in qualche caso (come l’Italia) sono proprio scomparse, mentre montano fenomeni populisti che ne coprono lo spazio». E quello che colpisce, continua Giannuli, è che militanti e dirigenti di questi partiti non si chiedano minimamente il perché dei loro insuccessi e dei successi altrui. «Hanno fatto eccezione sinora Syriza e Podemos, perché non sono stati percepiti partiti di sistema, ma aspettate che venga fuori la loro natura sostanzialmente socialdemocratica e vedrete». E il M5S? «E’ un movimento in bilico che fa un po’ eccezione, ma prima o poi dovrà misurarsi anche lui con le dinamiche della crisi». Morale: «A volte è l’essere troppo prudenti ad essere la posizione meno realistica».Nessuno si stupisca se, negli ultimi decenni, tocca sempre al centrosinistra fare il “lavoro sporco”, che – se gestito da destra – provocherebbe rivolte: non a caso, col Jobs Act, è stato il Pd renziano a rottamare lo Statuto dei Lavoratori, obbiettivo solo e sempre sognato dal “truce” Cavaliere, contro il quale si sarebbero scatenati sinistra e sindacati. Compressione dei salari, tagli alle pensioni, erosione costante e continua del welfare: è l’applicazione del vecchio “Tina” della Thatcher, “there is no alternative”. Chi può persuadere le masse popolari? Non il centrodestra, ma la sinistra ufficiale – dall’Italia fino alla Grecia di Tsipras. Il che non deve sorprendere: la socialdemocrazia ha rivelato, storicamente, di non essere in grado di gestire nessuna crisi grave, ma solo di limitare i danni “in tempo di pace”. Lo afferma Aldo Giannuli, storico e politologo dell’ateneo milanese. «Quel che resta della sinistra europea (salvo nicchie occasionali di aree radicali, peraltro, non sempre molto aggiornate) ormai si divide fra un’ala neoliberista appena mascherata che va sotto il nome di “Internazionale Socialista”, o socialdemocrazia, e una sinistra che si dice radicale (Sel, Rifondazione, Syriza, Linke e, per certi versi Podemos) ma che, in realtà, è una pallida sinistra socialdemocratica».
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Rosacroce, la fratellanza del sapere emarginata dal potere
Innanzitutto, loro cominciano a chiamarsi Rosacroce da un certo punto in poi, ma esistevano anche prima. In quegli anni era normale che una confraternita di questo tipo fosse segreta; è oggi che questa segretezza lascia il tempo che trova – e anzi, tutto quello che è segreto, giustamente, desta sospetti. La confraternita dei Rosacroce – a mio avviso, secondo i miei studi – nasce da una precedente e più universale confraternita, che si chiamava Stirpe di David. Gioacchino da Fiore la chiama Radix Davidis. Questo nome, Radix Davidis, lo trovi un po’ dappertutto. Lo trovi, ad esempio, sul simbolo adottato dal diciassettesimo grado della massoneria, che – guarda che combinazione – è il grado precedente a quello di Rosacroce. Io mi sono chiesto a lungo questa Radix Davidis cosa fosse, finché ho scoperto che i presidenti degli Stati Uniti d’America giurano sulla Bibbia aperta in una certa pagina. Giurano lì, perché lì c’è la manifestazione di quello che avrebbe dovuto essere la Stirpe di David. Perché giurano sul Genesi, 49. Giacobbe prende i 12 figli, che poi sono i capi delle 12 tribù di Israele, e ne commenta quello che sarà il ruolo, gli attribuisce una funzione, o un giudizio.E, in particolare, a Giuda dedica questi versi: “Giuda, te loderanno i tuoi fratelli, la tua mano sarà sulla cervice dei tuoi nemici, davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone, o come una leonessa; chi oserà farlo alzare? Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, vinché verrà colui al quale esso appartiene, e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello, e a scelta vite il figlio della sua asina; lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto; lucidi ha gli occhi per il vino e bianchi i denti più del latte”. In questi versi ci sono i presupposti di quello che poi sarà il simbolismo dei Rosacroce. Da Giuda discenderà David; David prenderà il trono rispetto a Saul perché ristabilisce la regalità della tribù di Giuda su tutti gli ebrei. E quindi la Stirpe di David è anche la tribù di Giuda, tant’è vero che Matteo l’evangelista, per radicare Gesù Cristo in questa stirpe, e non in altre, fa tutto il genetliaco, fino ad arrivare ai genitori di Cristo, comprovando così che loro sono della tribù di Giuda. Uno dei tanti significati del famoso acrostico “Inri” è “Iesus Nazarenus Rex Judaeorum”.Seconda cosa da sottolineare, i colori dei Rosacroce sono il nostro tricolore: rosso, bianco e verde. Il nostro tricolore viene scelto come futura bandiera italiana e come simbolo dell’Ausonia, cioè dell’Italia, in una loggia rosicruciana milanese. Perché bianco, rosso e verde? Perché sono i colori che vengono enunciati in quel passo della Bibbia: la pianta della vite è verde, il vino è rosso, “bianchi i denti come il latte”. Sono i colori dei Rosacroce. Tant’è vero che Beatrice, nella “Divina Commedia” (Dante faceva parte di una setta pre-rosicruciana che si chiamava Fidelis in Amore) è vestitata di bianco, rosso e verde. Molto probabilmente, a livello simbolico, la regalità della Stirpe di Giuda, cioè della Radix Davidis, nasce per ricuperare una condizione perduta. A un certo punto della Bibbia, Abramo va a trovare Melchisedek, e nel momento in cui a va a trovare Melchisedek c’è il sacrificio del pane e del vino: la comunione, così come istituita da Gesù Cristo nel Vangelo, noi la troviamo molto prima. Melchisedek era un re-sacerdote, quindi un’emanazione della divinità, era tutt’uno con la divinità; con Abramo siamo alla venerazione della divinità. C’è stata la separazione dell’uomo da Dio; da quel momento, però, una serie di uomini si devono occupare di ripristinare questo stato: Davide, poi suo figlio Salomone. Il Tempio di Salomone è il simbolo del ricupero della condizione umana come emanazione del divino, non come venerazione del divino.Emergono tracce di questa tradizione in tutta una serie di personaggi, negli imperatori romani, nel popolo dei Visigoti, per esempio; nel personaggio di Galla Placidia, quindi nella dinastina dei Flavii. Questa dottrina e questa tradizione riemergono potentemente in Gioacchino da Fiore, che possiamo considerare quasi un loro rifondatore. In Inghilterra c’era stato Ruggero Bacone, un frate francescano che è poi quello che ha ispirato il personaggio del frate ne “Il nome della rosa” di Umberto Eco, che è un esempio tipico di dottrina e di cultura rosicruciana. Quindi, anche depositario di conoscenze incredibili: Ruggero Bacone è colui che nel “De optica”, praticamente, spiega come – 400 anni dopo – costruire un cannocchiale. Si mantiene il nome Radix Davidis fino a Giordano Bruno. In Italia si è chiamata anche Fidelis in Amore. Ne è stato esponente Dante, ma anche – un po’ inquieto e un po’ in opposizione con essa – Federico II. E ci sono stati i Templari. I Templari, quando nascono, nascono con lo stesso obiettivo di Abramo quando va a trovare Melchisedek. Perché il templare che cos’è? E’ un monaco-guerriero, quindi “re” e sacrerdote – è la riunificazione, no? I Templari nascono dopo la Prima Crociata, non prima – perché, avendo già riconquistato Gerusalemme, si poteva riportare questo “tesoro” nel tempio.Quindi, i Templari non nascono – come dicono tutti quanti – per cercare qualcosa, o per sottrarlo e custodirlo; nascono per riportarlo, per ricongiungere, per reintegrare il tempio. Per questo, “cavalieri del tempio”. Non nascono con la regola di San Bernardo, non nascono con una vocazione di potere che poi li perderà; nascono con la regola di Sant’Agostino. Dopo, cosa succede? Si omologano, anche loro, al potere dell’epoca, e adottano la regola di San Bernardo. Erano diventati uomini d’affari, e gli uomini d’affari creano le banche. A tal punto perdono il loro scopo primario, che finiscono per perdere Gerusalemme, per un motivo bieco: avevano instaurato a Gerusalemme la regola in base alla quale chiunque visitava Gerusalemme doveva pagare un obolo. Gerusalemme era sacra per tutti, non solo per i cristiani: era sacra per gli ebrei, per gli arabi. A un certo punto, tramite un loro bieco personaggio, che si chiamava Rinaldo di Chatilly, mettono in piedi un piano per conquistare la Mecca, in maniera da far pagare agli arabi l’obolo anche per visitare la Mecca. A quel punto gli arabi, che erano divisi, di fronte a un pericolo così forte si unificano e riconquistano Gerusalemme. Quindi, i Templari “muoiono” cent’anni prima di quando viene distrutto il loro ordine, perché perdono lo scopo: sono Templari senza tempio.Viene nominato l’ultimo gran maestro, De Molay, che invece apparteneva alla parte dei Templari non contaminata, che cerca di salvarli, ma purtroppo è tardi: il potere si è già coalizzato contro di loro, e Giacomo De Molay si chiamava Jacobus Burgundus De Molay, il che significava che era un burgundo, cioè un goto. Quindi, come vedete, la Radix Davidis cammina, viene preservata. Poi si estingue l’Ordine del Tempio, ma non si estingue il templarismo. Quindi, i Templari, con le loro conoscenze, vanno in Scozia, vanno a Kilwinning: la parte buona viene ricuperata e gestita dalla confraternita, e sceglie di dirottare tutte le proprie energie nel campo dell’arte. Allora trovare un Trecento, un Quattrocento e un Cinquecento dove i massimi rappresentanti della Radix Davidis sono nel mondo dell’arte. Trovate Leonardo, Botticelli, Raffaello, Tiziano. Pensavano che l’arte fosse il miglior modo per conservare quello che loro volevano conservare – messaggi, ad esempio. In particolare, invece, Leonardo viene utilizzato per depistaggio. Leonardo viene fabbricato, proprio: tenete presente che il nonno di Leonardo fa sparire i veri dati familiari.La famiglia di Leonardo piomba nella città di Vinci, ma non c’è nessun dato che dica da dove venga, come si chiami, dove stava prima. Dopodiché il nonno di Leonardo fa un’altra bella operazione: impone al figlio Piero di fare un figlio con una donna che a lui non piace, e che poi ripudierà per sempre, che oggi tutti gli studiosi dicono che era di provenienza mediorientale. Bastava guardare come la chiamava Leonardo per capire da dove venisse: Leonardo, la madre la chiama Catarina – non Caterina – e Catarina viene da Cataro, quindi probabilmente di provenienza mediorientale, quindi sempre di quella cosiddetta Radix Davidis. Leonardo è l’unico artista dei suoi tempi che ha sempre soldi in tasca, che non ha mai problemi economici, ma soprattutto che viene sempre gradito a qualunque potere – finché c’è il Moro è gradito al Moro, e quando arrivano i francesi è gradito ai francesi, che se lo portano in Francia. E in tutte le sue opere “pianta” tutta una serie di messaggi depistanti, che – se uno va a guardare – da Raffaello invece vengono corretti. Cioè, il messaggio depistante del Cenacolo, con l’identità della Maddalena con San Giovanni, viene rettificato da Raffaello in un quadro che si chiama “L’estasi di Santa Cecilia”, dove ci sono sia San Giovanni che la Maddalena. E San Giovanni sempre effeminato viene dipinto, ma perché aveva 17 anni.E’ questo, quindi, il ruolo di depistatore di Leonardo, che è servito poi per fabbricare tutta la letteratura su Rennes-Le-Chateau, che spinge tutti quanti a cercare il figlio di Gesù Cristo, sostanzialmente (perché poi questa è la verità, quindi il “Codice da Vinci”, eccetera: cioè, il mondo si divide tra quelli che mettono in dubbio il fatto che Gesù Cristo sia esistito e quelli che cercano il figlio; quelli che si occupano, invece, di quello che c’è stato in mezzo, a tutto questo, non esistono). Nel percorso parallelo, alchemico e artistico – di alchimisti che però erano proto-scienziati, come Michael Sendivogius, Rosacroce e alchimista, che è lo scopritore dell’ossigeno – arriviamo a Giordano Bruno. E’ lui il perno della rinascita rosicruciana; ricuperava tradizioni iniziatiche egizie, mitraiche, con una collocazione nell’ambito di una visione scientifica del mondo: il principale difensore di Galilei fu Giordano Bruno, che riorganizza la confraternita ribattezzandola Giordaniti. Fa questa riunione, in cui arrivano tutti i futuri Rosacroce – quindi: Simon Studion, Michele Mayer, Jacob Andreae (che è il nonno di quel Johan Valentin Andreae che è l’autore de “Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz”, il testo base dei Rosacroce).Nel momento in cui in qualche modo circola la notizia che Giordano Bruno ha deciso di portare i Giordaniti alla luce del sole, capisce che tutti i suoi sono in pericolo. E quindi, praticamente si consegna: perché quando lui è a Venezia, già in odore di scomunica, un nobile veneziano gli fa una specie di raccomandazione per andare a Roma; lui, con questa raccomandazione (che non conta nulla) va volontariamente a Roma e si fa imprigionare. E’ chiaro che è andato lì perché, facendosi imprigionare lui, salvava la vita a tutti gli altri – gli risparmiava un’ondata di persecuzioni. Nel 1600 Giordano Bruno viene giustiziano, e nel 1622 ricompaiono i manifesti rosicruciani a Parigi e viene adottato il nome Rosacroce. La rosa e la croce sono state accostate per la prima volta nel Paradiso della “Divina Commedia” di Alighieri. Da un punto di vista politico, la rosa (uno dei simboli di Lutero) simboleggiava una riunificazione del mondo cristiano. Un altro significato è che la rosa era il simbolo della sapienza orientale – attenzione: non la rosa rossa, la rosa gialla (la cosiddetta rosa Tea) – e la croce era il simbolo di quella che sarebbe stata la sapienza occidentale. Tutti questi accostamenti, possibili e immaginabili, sono tipicamente rosicruciani – l’attribuzione di un molteplice significato allo stesso simbolo, cioè la multifunzione.Nel momento in cui invece i Rosacroce si manifestarono, si avviarono grandi persecuzioni. L’imperatore, che aveva rappresentato la speranza dei Rosacroce, gli scatena contro una serie di guerre. A questo punto, succede che Valentin Andreae nega che esistano i Rosacroce. Dall’Inghilterra, Robert Fludd (un altro allievo di Giordano Bruno) scrive un’opera, “Silentium post clamores”, che è un messaggio preciso a tutti i confratelli: in realtà, siccome c’era stato molto chiasso, bisognava a essere invisibili, come dovevano essere i Rosacroce. Nel ‘700 avviene un’altra cosa molto importante. Le indicazioni rosicruciane, anche scientifiche, provocano tre conseguenze: la prima è la nascita dell’Illuminismo; il secondo punto è la morte della massoneria antica e la nascita della massoneria moderna. La massoneria antica aveva viaggiano in modo completamente collegato con i Rosacroce, la massoneria moderna no. L’ultimo gran maestro della massoneria antica si chiamava Christopher Wren, era un architetto inglese. Londra brucia; tra le altre cose, brucia anche il tempio della massoneria, con tutti i suoi archivi europei. Christopher Wren viene incaricato di fare il progetto per ricostruire Londra, e ricostruisce tutto meno che il tempio della massoneria (cioè: non rifà la massoneria).Nel 1717 si costituisce la cosiddetta massoneria moderna, quella speculativa, a Londra, con quattro logge che si riuniscono e fanno le cosiddette Costituzioni di Anderson. Ma si costituisce un qualcosa di diverso, tant’è vero che al suo interno ci sono ancora dei soggetti rosicruciani, ma sono soggetti che perderanno la loro battaglia. Il problema è che la massoneria moderna nasce come organizzazione diretta alla gestione del potere, punto. La massoneria antica non era così. E soprattutto, nasce una cultura scientifica che si mette a fare la guerra alla radice da cui è nat: i chimici fanno la guerra agli alchimisti, Newton viene buttato fuori dalla Royal Society perché accusato di alchimia, e il suo posto lo prende Robert Boyle, che è massone anche lui ma è questo nuovo massone. In Francia nasce un sentimento anti-cristiano nella massoneria, per cui non si giura più sulla Bibbia e non si parla più di Grande Architetto dell’Universo. Da questa cosa qui nasce poi la deviazione di cricche, che vorrebbero essere Rosacroce ma sono solo rosicruciane, in cricche addirittura sataniche, luciferine, prometeiche. Nascono la Societas Rosicruciana in Anglia, la Golden Dawn; nasce Crowley; nasce quella che Paolo Franceschetti chiama “La Rosa Rossa”: non so e poi si chiami veramente così, ma sicuramente all’80% Franceschetti ha ragione.Nel momento in cui viene emarginato completamente tutto un tipo di ricerca spirituale, esoterica e alchimistica, in nome dei “lumi della ragione”, l’unica parte che conviene al potere che sopravviva, di quella ricerca, è quella che rappresenta un buon motivo per diffamarla: al potere convengono i satanisti, convengono le logge deviate, conviene lo sputtanamento – conviene tutto questo, al potere, perché comporta la regressione della parte realmente pericolosa della ricerca spirituale (pericolosa per il potere, perché ne mette in discussione i fondamenti). E’ uno dei motivi per cui i Rosacroce a Yalta decidono di andare ad esaurimento, diciamo – infatti, da Yalta ad oggi non sono mai più emersi dei nuovi Rosacroce. Quando vedevano un artista, una persona particolare, di un certo livello, i Rosacroce tendevano ad accoglierlo, anche se non faceva parte geneticamente della Stirpe di David. Dalla riunione di Yalta, secondo i miei studi, i Rosacroce non hanno più accolto nessuno. Nel momento in cui ci fu Yalta, e poi la costituzione dell’Onu, all’interno del quale avevano degli esponenti, rivendicarono una serie di scelte, che non furono accolte: l’Onu doveva essere diverso, lo Stato di Palestina doveva essere fatto. Certo, c’erano le convenienze degli Stati nazionali, c’erano le lobby economiche che erano nate, c’era tutto un meccanismo di questo tipo: stava già nascendo quello che poi sarebbe diventato il Bilderberg, stavano già nascendo le organizzazioni. L’ultimo gran maestro è stato Salvador Dalì, e quando è morto non hanno fatto dei nuovi gran maestri. Sono andati ad estinguersi.(Gianfranco Carpeoro, “I RosaCroce”, intervista editata su YouTube il 23 settembre 2012. Avvocato, pubblicista e scrittore, massone e già “sovrano gran maestro” della Loggia di Piazza del Gesù, di rito scozzese, Carpeoro è uno studioso di Giordano Bruno nonché uno dei massimi esperti di simbologia).Innanzitutto, loro cominciano a chiamarsi Rosacroce da un certo punto in poi, ma esistevano anche prima. In quegli anni era normale che una confraternita di questo tipo fosse segreta; è oggi che questa segretezza lascia il tempo che trova – e anzi, tutto quello che è segreto, giustamente, desta sospetti. La confraternita dei Rosacroce – a mio avviso, secondo i miei studi – nasce da una precedente e più universale confraternita, che si chiamava Stirpe di David. Gioacchino da Fiore la chiama Radix Davidis. Questo nome, Radix Davidis, lo trovi un po’ dappertutto. Lo trovi, ad esempio, sul simbolo adottato dal diciassettesimo grado della massoneria, che – guarda che combinazione – è il grado precedente a quello di Rosacroce. Io mi sono chiesto a lungo questa Radix Davidis cosa fosse, finché ho scoperto che i presidenti degli Stati Uniti d’America giurano sulla Bibbia aperta in una certa pagina. Giurano lì, perché lì c’è la manifestazione di quello che avrebbe dovuto essere la Stirpe di David. Perché giurano sul Genesi, 49. Giacobbe prende i 12 figli, che poi sono i capi delle 12 tribù di Israele, e ne commenta quello che sarà il ruolo, gli attribuisce una funzione, o un giudizio.
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Orso: rabbia e odio esploderanno, al rogo servi e traditori
Più passa il tempo, più le osservazioni della realtà socio-politica italiana ed europea mediterranea mi spingono a trarre una sola conclusione: ci sarà una Rivoluzione, forse un dì ma non ora, e sarà inevitabilmente sanguinosa, con un tasso altissimo di violenza per regolare conti, sociali e politici, rimasti troppo a lungo in sospeso. Non so come e non so chi la farà, quella benedetta Rivoluzione, ma ci saranno grandi e catartici spargimenti di sangue, perché le abbiette falangi del collaborazionismo neoliberista avranno imperversato per interi lustri incontrastate, vessando e addirittura torturando le popolazioni. Rabbia e odio da troppo covano sotto le ceneri, senza trovare uno sfogo, mescolate a un senso diffuso di abbandono a se stessi, di concreta impotenza politica, d’impossibilità di determinare il proprio futuro. C’è la schizofrenia, suscitata ad arte dal sistema, di una realtà “reale” completamente divergente da quella virtuale dipinta dai media. Ci sono prigioni dai muri altissimi, conseguenza del ricatto economico, della paura di “fallire” individualmente e degli stili di vita truffaldini imposti in un habitat neocapitalistico.Il darwinismo sociale più feroce fa da contraltare ai risibili e vuoti diritti liberaldemocratici, mantenuti in vita propagandisticamente. La competizione pleistocenica fra dominati, per la pagnotta, che il dominio del mercato ha scatenato non porta alla civiltà, ma al suo esatto contrario. Darwinismo sociale senza welfare e competizione esasperata per una “pagnotta” sempre più misera sono il destino delle classi dominate, come in tanti, pur confusamente, dovrebbero aver intuito. Le “aspettative decrescenti” si sostituiscono prepotentemente, se permane in chi giudica un po’ di senso della realtà, a quelle crescenti di fine novecento, mentre procede il grande travaso di risorse dal lavoro (e dal piccolo capitale produttivo) al grande capitale finanziario. Nel nostro lembo d’Occidente, l’euro ha proprio questa specifica funzione di esproprio e impoverimento massivo. Grecia, Portogallo e persino Italia non dovrebbero più esistere, secondo la classe globale dominante che manovra la Troika, perché inutili alla creazione del valore finanziaria, azionaria e borsistica.Lo smottamento sociale continua, “ma il Re del Mondo ci tiene prigioniero il cuore” [“Il Re del Mondo”, Franco Battiato]. I mendicanti di Baudelaire, nel ventre della Parigi ottocentesca, avevano migliori prospettive dei nostri precari alla canna del gas. Distrutto il futuro e ottenebrate le menti, il neocapitalismo finanziario gestisce attraverso il mercato la politica, l’alimentazione, la biologia, la chimica, le nanotecnologie, la balistica, la teologia. Una superfetazione finanziaria, che esplode periodicamente in bolle e travolge i confini e le resistenze, rischia di annichilire il pianeta. La trasformazione dell’uomo è in pieno corso, ed è una diminuzione senza scampo. Magari fosse soltanto il passaggio da consumatore/produttore a precario/escluso, o la discesa in una nuova classe inferiore, nella parte più bassa della piramide sociale. “Sotto il mare sta cambiando la mia struttura e il mio corpo è sempre più uguale ai pesci. I miei capelli diventano alghe” [“Plancton”, Franco Battiato].E’ L’Italia che sconta la peggior manipolazione culturale-antropologica delle neoplebi precarie, sorta di futuri “schiavi autosussistenti” (che dovranno badare da soli alla propria sopravvivenza, pur essendo schiavi, senza alcun intervento del padrone) costretti a lavorare o semplicemente a campare con 400 euro il mese, o anche di meno. I segnali sono evidenti, perché è qui che si afferma senza contrasti la sinistra neoliberista più forte d’Europa (piddì), al soldo di Goldman Sachs e di Soros, non ci sono sommosse sociali, disordini di piazza, movimenti extraparlamentari apertamente contro, attivi e inquieti. C’è soltanto il nulla della dominazione neocapitalistica, condito con uno dei più alti tassi di corruzione del mondo (e le due cose sono collegate). Sarà l’Italia il banco di prova importante, in Occidente, del trionfo neocapitalista, perché non basterà la trasformazione in semi-Stato, espropriato di qualsivoglia sovranità e retto da infami collaborazionisti subpolitici (piddì). Si arriverà allo stadio finale, attraverso il commissariamento definitivo a cura della Troika e un esecutivo “ponte”, nominato ed esplicitamente straniero. Preludio alla dissoluzione finale delle istituzioni e al dominio dei “mercati & investitori”, esercitato in loro nome e per loro conto dagli organi sopranazionali della mondializzazione.I collaborazionisti subpolitici serviranno ancora all’inizio dello stadio finale, per ratificare in Parlamento le decisioni prese dalle élite. Questo sarà il misero ruolo, prima della sua scomparsa, della “sinistra più forte d’Europa” (piddì). Non “Romperemo l’asfalto con dei giardini colorati” [“Paranoia”, Franco Battiato], perché il riscatto sarà duro e difficile, soprattutto se il “risveglio” avverrà fuori tempo massimo. Dopo lustri d’inerzia della popolazione, torturata dai servi del grande capitale finanziario (sinistra neoliberista, piddì) e ingannata da gruppi parlamentari d’opposizione politicamente corretta (cinque stelle), dopo la latitanza di nuove élite rivoluzionarie disposte a rischiare per scardinare il sistema, la Rivoluzione in extremis (in punto di morte, letteralmente) se ci sarà non potrà che essere violentissima, costellata di roghi e di stragi di collaborazionisti, catartica come non mai, ma sommamente incerta negli esiti. Le masse straccione mosse dalla rabbia non saranno i mugik di Lenin, ma ci assomiglieranno un po’, complice la fame (quella vera) che farà capolino fra un po’, nell’Italia che si avvicinerà alla Grecia.Saranno, costoro, più feroci dei contadini poveri dell’Ottobre Rosso, nel remoto 1917, perché in una sola generazione avranno perso troppo – lavoro, reddito, futuro, dignità e diritti, cose che i contadini russi del ’17 non avevano e non si sognavano neppure. Non mi azzardo a prevedere quanti anni ci vorranno ancora (forse un lustro?) perché la corda sia ben tesa, tanto da rompersi. Non so quali gruppi e quali forze politico-sociali guideranno le masse inferocite, e con quali programmi alternativi (keynesiano dirigista-assistenziale, neocomunista?). Di certo non saranno quelli che vediamo oggi, alla guida di opposizioni finte e vigliacche – Landini, Civati, Vendola, Fassina, Cuperlo, in una la “sinistra radicale” – semplicemente inutili – il cinque stelle, Di Maio, Di Battista – o deboli perché prigioniere della liberaldemocrazia – nel nostro caso Salvini. Forse stanno aspettando, nell’ombra, ancora inconsapevoli del ruolo che affiderà loro la storia, o forse lasceranno l’opposizione debole, ingabbiata dal sistema, per seguire altre strade, più radicali e cruente. Dalle opposizioni finte e vigliacche e da quelle inutili, invece, non dovremo aspettarci niente di buono. Andranno rapidamente verso l’estinzione.(Eugenio Orso, “Una rivoluzione sanguinosa”, da “Pauper Class” del 7 giugno 2015).Più passa il tempo, più le osservazioni della realtà socio-politica italiana ed europea mediterranea mi spingono a trarre una sola conclusione: ci sarà una Rivoluzione, forse un dì ma non ora, e sarà inevitabilmente sanguinosa, con un tasso altissimo di violenza per regolare conti, sociali e politici, rimasti troppo a lungo in sospeso. Non so come e non so chi la farà, quella benedetta Rivoluzione, ma ci saranno grandi e catartici spargimenti di sangue, perché le abbiette falangi del collaborazionismo neoliberista avranno imperversato per interi lustri incontrastate, vessando e addirittura torturando le popolazioni. Rabbia e odio da troppo covano sotto le ceneri, senza trovare uno sfogo, mescolate a un senso diffuso di abbandono a se stessi, di concreta impotenza politica, d’impossibilità di determinare il proprio futuro. C’è la schizofrenia, suscitata ad arte dal sistema, di una realtà “reale” completamente divergente da quella virtuale dipinta dai media. Ci sono prigioni dai muri altissimi, conseguenza del ricatto economico, della paura di “fallire” individualmente e degli stili di vita truffaldini imposti in un habitat neocapitalistico.
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Perché l’America si limita a fingere di combattere l’Isis
“Charlie Hebdo”, la falsa morte di Bin Laden, l’aggressione alla Siria e poi all’Ucraina per colpire Putin che non vuole piegare la Russia al codice atlantico, mentre gli Usa cercano di stringere l’Europa nella morsa del Ttip, spaventati dalla Cina che ormai acquisisce la leadership mondiale dell’economia. Tutto chiaro: scenari e retroscena, geopolitica e moventi. Ma il mainstream continua a non prenderne atto, relegando la controinformazione (ormai dilagante) alla sfera del web. Ne abbiamo le prove, ripete il regista Massimo Mazzucco: l’unico terrorismo preoccupante è sempre e solo terrorismo di Stato, strategia della tensione, a partire dal crollo delle Torri Gemelle l’11 Settembre. «Non potrei mai dire chi e come le ha fatte crollare, con quale esplosivo, ma quello che è certo è che sono crollate per demolizione controllata, non certo perché colpite da due aerei di linea». Nel mainstream italiano, spicca una voce isolata e notevole, quella di Marcello Foa, che – dalle pagine del “Giornale” – continua a snocciolare pillole di verità destinate ai non addetti ai lavori. Per esempio, quelle sull’atroce Isis: nessuno ferma i tagliatori di teste perché sono stati messi lì apposta dagli Usa. Ecco il motivo per cui l’Isis non viene annientato.«Chi osserva con disincanto le vicende in Medio Oriente lo ha capito da tempo: l’America che negli anni Duemila ha lanciato una guerra feroce – e decisamente sproporzionata – ad Al Qaeda, ora appare molto svogliata contro una minaccia ben più concreta: quella dell’Isis». Foa non menziona il Pnac, il progetto per il “Nuovo Secolo Americano” che già prima del 2000 annunciava la “guerra infinita” innescata dal terrorismo fatto in casa, con l’obiettivo finale di arginare la Cina entro il 2017. Preferisce limitarsi a osservazioni contingenti, collegando eventi che i media tendono a non collegare mai. «Come ho documentato da tempo – scrive – l’Isis un paio di anni fa è stato usato, armato e finanziato da Arabia Saudita, Emirati Arabi e dagli stessi Stati Uniti nel tentativo di abbattere il regime di Assad. Grazie anche a quei finanziamenti l’Isis si è ampliato, si è rafforzato ed è partito alla conquista di larghe parti dell’Iraq e ha infiltrato i suoi jihadisti in altri paesi, fino alla Libia». Risultato: «L’Isis, come purtroppo ben sappiamo, sta destabilizzando tutta la regione». Ma gli Stati Uniti si guardano bene dal fermarlo.Per molti osservatori internazionali, da Pepe Escobar a Thierry Meyssan, l’Isis è un mostro fabbricato in provetta nei laboratori della Cia e del Pentagono, con la collaborazione di Israele. E’ ancora Mazzucco a ricordare il ruolo di Tel Aviv nel cosiddetto terrorismo islamico: «Alla vigilia della strage di “Charlie Hebdo” fu lo stesso Netanyahu ad avvertire i francesi che, se avessero firmato la dichiarazione a sostegno della nascita dello Stato di Palestina, avrebbero avuto guai, in casa, coi fondamentalisti». E perché mai gli arabi dovrebbero prendersela con chi aiuta i palestinesi? Il ragionamento, ovviamente, non regge. A meno che non lo si capovolga: il problema non sono “gli islamici”, ma chi manovra i fondamentalisti per i propri scopi politici. Come Netanyahu, in prima fila a Parigi alla grottesca parata dei potenti in occasione dei solenni funerali delle vittime di “Charlie Hebdo”. «E’ uno schema banale, che si ripete alla noia, eppure i media fingono di ignorarlo perché sono funzionali a quello stesso sistema», accusa Mazzucco, intervistato da “Border Nights”. Il copione è invariato, cambiano solo gli attori.Le comparse dell’Isis, denuncia Gioele Magaldi nel bestseller “Massoni”, sono state accuratamente selezionate da manovalanza occidentale, coordinata dalla cupola massonica del massimo potere concentrata nella Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, la superloggia segreta dei Bush che ha reclutato anche leader europei come Blair, Aznar e Sarkozy, oltre al turco Erdogan. Nella “Hathor Pentalpha”, che Magaldi definisce “loggia del sangue e della vendetta”, nata da George Bush padre dopo la sconfitta subita da Reagan alle presidenziali del 1980, sarebbero confkuiti i campioni del vertice neocon americano, da Dick Cheney e Paul Wolfowitz, il falco Donald Rumsfeld, profeti della globalizzazione neoliberista come Samuel Huntington e decine di satelliti regionali, tra cui anche l’ex presidente del Senato italiano Marcello Pera e l’ex ministro della difesa Antonio Martino. Per Magaldi, la “Hathor Pentalpha” ha diretto l’operazione 11 Settembre, in collaborazione con un certo Bin Laden. E poi ha creato il nuovo orrore, quello dell’Isis, non a caso battezzato con il nome della dea egizia, di cui “Hathor” è il secondo nome. Una “firma” piuttosto esplicita, ideata da ambienti esoterici sempre molto attenti ai nomi, alle date, ai numeri che compongono il contenuto simbolico a cui viene attribuito anche un preciso significato propiziatorio.Marcello Foa resta a debita distanza dalle recenti dietrologie, costantemente oscurate dai grandi media, ma non rinuncia a lanciare avvertimenti. L’Isis? «L’America ufficialmente dice di volerlo combattere. E gli alleati arabi, ufficialmente, non sostengono più i miliziani del nuovo Califfato. Ma qualcosa non torna: sarebbero bastate alcune giornate di bombardamenti intesi sulle milizie Isis – stile quelli condotti sulla Libia – per letteralmente annientare l’Isis. Invece, l’America ha dato sì avvio ai bombardamenti, ma con il freno tirato; limitandosi a bombardamenti simbolici. E l’Isis infatti ha continuano ad espandere la sua influenza». Ora, continua Foa, il sospetto degli analisti trova conferma nelle denunce dei piloti americani, che affermano di essere frenati da regole di ingaggio assurde. Foa cita fonti giornalistiche: «Ci sono stati momenti in cui avevo gruppi dell’Isis nel mirino ma non avevo l’autorizzazione a colpire», ha detto a “Fox News” il pilota di un F-18. Può passare anche un’ora, prima che il pilota possa bombardare. Perché? Lo spiegano Mazzucco, Meyssa, Escobar e tutti gli altri. Foa preferisce formulare la domanda: «Perché l’America non vuole distruggere l’Isis? E perché i paesi europei, pur essendo direttamente esposti alla minaccia jihadista, lasciano fare?».“Charlie Hebdo”, la falsa morte di Bin Laden, l’aggressione alla Siria e poi all’Ucraina per colpire Putin che non vuole piegare la Russia al codice atlantico, mentre gli Usa cercano di stringere l’Europa nella morsa del Ttip, spaventati dalla Cina che ormai acquisisce la leadership mondiale dell’economia. Tutto chiaro: scenari e retroscena, geopolitica e moventi. Ma il mainstream continua a non prenderne atto, relegando la controinformazione (ormai dilagante) alla sfera del web. Ne abbiamo le prove, ripete il regista Massimo Mazzucco: l’unico terrorismo preoccupante è sempre e solo terrorismo di Stato, strategia della tensione, a partire dal crollo delle Torri Gemelle l’11 Settembre. «Non potrei mai dire chi e come le ha fatte crollare, con quale esplosivo, ma quello che è certo è che sono crollate per demolizione controllata, non certo perché colpite da due aerei di linea». Nel mainstream italiano, spicca una voce isolata e notevole, quella di Marcello Foa, che – dalle pagine del “Giornale” – continua a snocciolare pillole di verità destinate ai non addetti ai lavori. Per esempio, quelle sull’atroce Isis: nessuno ferma i tagliatori di teste perché sono stati messi lì apposta dagli Usa. Ecco il motivo per cui l’Isis non viene annientato.