Archivio del Tag ‘Paolo Franceschetti’
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Il vero Mostro di Firenze: oscurare le troppe stragi di Stato
«Non più delitti attribuibili a un gruppo di sbandati dediti all’alcol e alla prostituzione hard discount, quali erano i “compagni di merende” di Pacciani &. C, ma una tragedia legata addirittura a una sciagurata “pista nera”», ovvero: «Delitti studiati a tavolino in ambienti eversivi per distrarre da ciò che succedeva nel paese, con le vittime che non sarebbero state scelte a caso, ma mirate». Scrive Stefano Cecchi sulla “Nazione”: a 49 anni dal primo duplice delitto, dopo 16 morti e una storia processuale infinita e straziante, «l’Italia scopre che la storia mandata in archivio come “Il Mostro di Firenze” potrebbe avere un altro movente, addirittura apocalittico». La magistratura ha riaperto il caso, a sorpresa, mettendo nel mirino un uomo di 86 anni, ex legionario Giampiero Vigilanti, ora residente a Prato ma nel 1951 a Vicchio, nel Mugello, dove Pacciani – che conosceva – uccise l’ex rivale sorpreso con la sua ragazza. «Abile a sparare, appassionato di armi e frequentatore di poligoni», lo descrive la “Nazione”. «Legato agli ambienti dell’estrema destra e anche a quelli dei servizi segreti», negli anni della P2 e di Gladio. «Adesso è ufficialmente sospettato di aver avuto un ruolo negli omicidi del Mostro di Firenze».Trentadue anni dopo il delitto degli Scopeti, quello dell’ultima delle otto coppiette trucidate con la solita, introvabile Beretta calibro 22, c’è almeno un altro indagato per la storia che ha fatto conoscere al mondo il lato più oscuro del capoluogo toscano, continua il quotidiano di Firenze. I più attenti si ricorderanno di Vigilanti, classe 1930, perché lambito dalle indagini che poi virarono su Pacciani e i “compagni di merende”. «Da diversi mesi, Vigilanti, ora residente a Prato, è sotto torchio. L’ex legionario, alto e forte anche oggi che ha 86 anni, è stato accompagnato nei luoghi dei delitti. Dice e non dice. Sembra però sapere. Molto, tanto che dalle sue parole, i carabinieri sono arrivati a perquisire anche un medico che vive in Mugello il cui grado di coinvolgimento è ancora da chiarire». Una silenziosa svolta nell’indagine, tenuta ostinatamente aperta dal procuratore Paolo Canessa con l’aiuto del collega Luca Turco, che apre anche una inedita e clamorosa “pista nera”: delitti studiati a tavolino o cavalcati in ambienti eversivi per distrarre magistrati e opinione pubblica da ciò che accadeva nell’Italia della strategia della tensione.Il primo a indicare questa strada, a suon di esposti – aggiunge la “Nazione” – è stato il legale della coppia di francesi uccisa nel 1985 agli Scopeti, l’avvocato Vieri Adriani. «Ci sono sinistre vicinanze tra stragi e misteri di quel difficile periodo storico e i delitti del “mostro». Il 4 agosto ’74 esplode la bomba sull’Italicus, il 14 settembre il mostro uccide a Sagginale Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore. Prima che il 6 giugno ’81 a Mosciano venissero massacrati Carmela Di Nuccio e Giovanni Foggi, imperversava la storia della loggia di Licio Gelli e c’era stato l’attentato al Papa, senza dimenticare la bomba a Bologna dell’80. Il 23 ottobre ’81, il giorno dopo l’uccisione a Calenzano di Susanna Cambi e Stefano Baldi, c’era uno sciopero generale. Il giorno prima che Antonella Migliorini e Paolo Mainardi morissero sotto i colpi della calibro 22, era stato ritrovato impiccato sotto il ponte dei frati neri a Londra il banchiere Roberto Calvi. Il 9 settembre ’83 vengono ritrovati i cadaveri dei tedeschi Uwe Rusch e Horst Meyer: il 10 agosto precedente era evaso Licio Gelli dal carcere svizzero. E, secondo la nuova chiave di lettura, non sarebbero casuali le vittime.La Pettini era la figlia di un partigiano di Vicchio. «Il giorno del delitto – ricorda il giornale di Firenze – ricorreva il trentennale della liberazione del Paese e alcuni dettagli fanno pensare a una esecuzione in stile nazifascista: i vestiti dei due fidanzati vennero ritrovati piegati fuori dalla macchina, come se fosse stato dato loro un ordine sotto il tiro dell’arma». E Vigilanti? «L’ex legionario conosceva Pacciani, di cinque anni più anziano di lui, e come lui viveva a Vicchio nel 1951, quando il contadino uccise il rivale sorpreso ad amoreggiare con la fidanzata». Dopo un primo tentativo alla fine degli anni ’40, Vigilanti si arruolò nella Legione Straniera subito dopo la condanna di Pacciani, nel 1952. Un’altra coincidenza? «L’ex legionario, che rientrò in Italia nel 1960, ha conosciuto anche i ‘sardi’», prime vittime del “mostro”, «perché ha abitato nella stessa strada di Salvatore Vinci, a Vaiano». A Vigilanti, gli investigatori si erano avvicinati già nel 1985: gli trovarono in casa articoli della “Nazione” sul delitto di Sagginale del ’74, una pagina sulla strage dell’Italicus, i ritagli dell’elezione del presidente Cossiga. La polizia tornò a casa dell’ex legionario per caso, nel ’94, a causa di una denuncia di un vicino, con cui aveva avuto una lite. «Quella volta, spuntarono 180 proiettili Winchester serie H: gli stessi del mostro, fuori produzione, all’epoca, da almeno una dozzina d’anni».Secondo il blog “Maestro di Dietrologia”, gli omicidi “mediatici” del Mostro di Firenze sarebbero stati «un singolo episodio all’interno di una più vasta strategia della tensione», che secondo il blog perdura tuttora e include «tutto il palinsesto degli omicidi mediatici degli ultimi anni, da Meredith a Cogne, Erba, Elisa Claps, Melania Rea, da Yara a Sarah Scazzi, fino Marco Prato compreso». Il mainstream deride i “complottisti”? «Da oggi la controinformazione avrà una legittimazione maggiore», se le indagini di Firenze sulla “vera storia” del Mostro accerteranno le verità ipotizzate. «Strategia della tensione di omicidi mediatici – aggiunge “Maestro di Dietrologia” – ai quali corrispondevano sempre “step” strutturali di eventi transnazionali, nazionali e economico-politici, esoterici, gestiti da avanguardie di reparti come Gladio, P2, Rosa dei Venti, ovviamente dall’estrema destra». Organizzazioni la cui unica missione è stata quella di «contemplare stragi, omicidi e terrore, essendo da sempre lo strumento principe del padronato turbo-capitalista e neo-aristocratico», ruolo che oggi a livello globale è interpretato «dalla fantomatica Isis, avanguardia sionista di Ur-Lodges reazionarie occidentali che utilizzano “candidati manciuriani” fondamentalisti islamici come carne da macello e reparti di contractor per le operazioni più complesse».Come narra lo Giuseppe Genna nel capolavoro “Nel nome di Ishmael”, romanzo «che descrive in maniera sublime la realtà occulta del potere», a determinati omicidi “mediatici” (con relativi capri espiatori) corrispondono «messaggi operativi in codice, che appartengono a linguaggi militar-esoterici». Gli stessi studi, aggiunge “Maestro di Dietrologia”, sono stati condotti negli ultimi vent’anni dal ricercatore Giuseppe Cosco, dalla giornalista Gabriella Carlizzi e poi dall’avvocato Paolo Franceschetti, «che ha avuto il merito di ampliare certi concetti, espandendoli a diversi omicidi mediatici e raffigurando una strategia operativa che agisce anche a livello internazionale». Sono gli stessi paradigmi che evocava il regista Elio Petri, con personaggi come il poliziotto-killer di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, fino al Pasolini dell’atroce “Salò”, che mette in scena la mattanza “sacrificale” organizzata da vertici politici, militari, giudiziari e aristocratici. Narrazioni allucinanti, che suggeriscono «come il potere costituito faccia omicidi anche apparentemente casuali per “dialogare” in codice, addirittura multi-omicidi che serviranno a comporre “frasi” che potranno essere usate militarmente come “start” di operazioni». Massacri che verranno poi regolarmente attribuiti «a poveri cristi, i quali diventeranno i soliti capri espiatori». Morale: i nomi dei veri colpevoli «ce li possiamo scordare», ma almeno possiamo intravedere «quali mondi stanno dietro a certi delitti».«Non più delitti attribuibili a un gruppo di sbandati dediti all’alcol e alla prostituzione hard discount, quali erano i “compagni di merende” di Pacciani &. C, ma una tragedia legata addirittura a una sciagurata “pista nera”», ovvero: «Delitti studiati a tavolino in ambienti eversivi per distrarre da ciò che succedeva nel paese, con le vittime che non sarebbero state scelte a caso, ma mirate». Scrive Stefano Cecchi sulla “Nazione”: a 49 anni dal primo duplice delitto, dopo 16 morti e una storia processuale infinita e straziante, «l’Italia scopre che la storia mandata in archivio come “Il Mostro di Firenze” potrebbe avere un altro movente, addirittura apocalittico». La magistratura ha riaperto il caso, a sorpresa, mettendo nel mirino un uomo di 86 anni, l’ex legionario Giampiero Vigilanti, ora residente a Prato ma nel 1951 a Vicchio, nel Mugello, dove Pacciani – che conosceva – uccise l’ex rivale sorpreso con la sua ragazza. «Abile a sparare, appassionato di armi e frequentatore di poligoni», lo descrive la “Nazione”. «Legato agli ambienti dell’estrema destra e anche a quelli dei servizi segreti», negli anni della P2 e di Gladio. «Adesso è ufficialmente sospettato di aver avuto un ruolo negli omicidi del Mostro di Firenze».
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Franceschetti: spaccio buddismo, e ho visto gente rifiorire
A chi mi domanda perché ho scritto un libro sulle religioni che le accomuna tutte, considerandole in sostanza vie diverse per arrivare ad un’unica meta (come dice il Corano, e come insegnano maestri come Yogananda, Osho, e molti altri), per poi praticare il buddismo di Nichiren, e a chi mi chiede perché pratico il buddismo nonostante nel mio blog consigliamo anche i corsi di Fausto Carotenuto o Ambra Guerrucci, rispondo che nessun’altra religione offre un metodo rapido e facile, alla portata di tutti, per iniziare un cammino spirituale. Si sente sempre dire che il cammino spirituale è difficile, doloroso, richiede intenso lavoro su se stessi e anni e anni di meditazione, introspezione, pratica, studio, ed è vero; ma in controtendenza rispetto a tutti, io ho sempre cercato una strada più facile, uno strumento semplice, da cui iniziare senza particolari complicazioni. Incontrai il buddismo iniziando a recitare il “Nam myoho renge kyo” per caso, per una promessa fatta ad una persona incontrata per caso (il cui nome, per una curiosa coincidenza, è Kyo Nam) e la mia vita da lì ha subito una trasformazione.Giorni fa in un autogrill un venditore ambulante mi ha visto il ciondolo col Buddha e mi ha chiesto perché ero buddista. «Perché il buddismo è una via per la felicità, qui e ora, non in altre vite o fra decenni», ho risposto. «Quello che servirebbe a me, con questo lavoro e con 8 anni di galera per rapina alle spalle», mi ha risposto. Gli ho regalato il libro “Felicità in questo mondo” e gli ho scritto su un biglietto la frase da ripetere, poi lo abbiamo recitato insieme per qualche minuto, e infine sono ripartito dicendogli: «Ecco… Recita questa frase per due ore al giorno. Se la tua vita cambia, se ti senti meglio, continui; altrimenti lasci. Non hai nulla da perdere». Ecco. Il buddismo di Nichiren è l’unica strada che permette di iniziare un percorso spirituale partendo da dieci minuti di colloquio e dalla volontà di provare una pratica. Poi, da lì, la persona deciderà se continuare o no, se iniziare a studiare o no, se prendere altre strade che riterrà più efficaci.Due anni fa mi telefonò una ragazza cieca che, avendo letto un mio articolo sulla magia, e non sapendo che all’epoca facevo l’avvocato, non il mago, voleva una pozione d’amore perché il suo fidanzato venisse a vivere con lei. Le spiegai il perché i riti magici possono essere pericolosi, e perché invece la strada migliore per cambiare la propria vita era il cambiamento di se stessi. Le insegnai il Daimoku, le inviai via mail il libro “Felicità in questo mondo” e il mio libro in pdf “Alla ricerca di Dio, dalle religioni ai maestri contemporanei”. Oggi la sento ancora, ed è felice. Oppure penso ad Elisabetta P., una lettrice che un giorno mi scrisse per scherzo un saluto alle due di notte, e io le domandai che ci faceva, alzata. «Soffro di insonnia», mi rispose. «Invece di fare stalking ad uno sconosciuto – le risposi – recita questo mantra».Le inviai il “Nam myoho renge kyo” e pochi giorni fa, dopo anni di conoscenza virtuale, l’ho conosciuta ad una mia conferenza sul buddismo. Non conosco nessun altro percorso spirituale, a cui si possa essere “iniziati” con un colloquio di dieci minuti avuto con un incontro per caso in strada, con una telefonata capitata per errore, o con un incontro casuale, come successe a me. Per questo amo il buddismo di Nichiren e lo pratico, pur praticando anche lo yoga, e seguendo altri insegnamenti spirituali, come quelli di Fausto e Ambra, che hanno completato, arricchito e rafforzato quello che è il mio strumento principale.(Paolo Franceschetti, “Il buddismo come via per la felicità”, dal blog di Franceschetti del 10 aprile 2017).A chi mi domanda perché ho scritto un libro sulle religioni che le accomuna tutte, considerandole in sostanza vie diverse per arrivare ad un’unica meta (come dice il Corano, e come insegnano maestri come Yogananda, Osho, e molti altri), per poi praticare il buddismo di Nichiren, e a chi mi chiede perché pratico il buddismo nonostante nel mio blog consigliamo anche i corsi di Fausto Carotenuto o Ambra Guerrucci, rispondo che nessun’altra religione offre un metodo rapido e facile, alla portata di tutti, per iniziare un cammino spirituale. Si sente sempre dire che il cammino spirituale è difficile, doloroso, richiede intenso lavoro su se stessi e anni e anni di meditazione, introspezione, pratica, studio, ed è vero; ma in controtendenza rispetto a tutti, io ho sempre cercato una strada più facile, uno strumento semplice, da cui iniziare senza particolari complicazioni. Incontrai il buddismo iniziando a recitare il “Nam myoho renge kyo” per caso, per una promessa fatta ad una persona incontrata per caso (il cui nome, per una curiosa coincidenza, è Kyo Nam) e la mia vita da lì ha subito una trasformazione.
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Chi ha ucciso Olof Palme? Un atto di guerra, contro tutti noi
«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.Ieri, prima di Al-Qaeda e dell’Isis, c’erano altre sigle in circolazione: Gladio, Stay Behind. Accusate di aver organizzato attentati come quello costato la vita all’uomo simbolo dell’Europa democratica e ostile alla guerra, Olof Palme. «Tell our friend the Swedish palm will be felled». Firmato: Licio Gelli. Messaggio ricevuto il 25 febbraio 1986 da Philip Guarino, esponente repubblicano Usa vicinissimo a George Bush senior e stretto collaboratore di Michael Ledeen, «storico e giornalista le cui vicende sono torbidamente intrecciate con l’intelligence americana», scrive Carpeoro. «Legatissimo alla Cia e appartenente alle logge massoniche di stretta emanazione Nato», negli anni ‘80 Ledeen è stato consulente strategico per i servizi statunitensi sotto Reagan e Bush. «Su posizioni neoconservatrici e reazionarie da sempre», Ledeen è stato consulente del Sismi quando il servizio era diretto dal generale Giuseppe Santovito, affiliato alla P2.Fu sponsor di Craxi e consulente di Cossiga, «per tutelare la Gladio», anche come “esperto” durante il sequestro Moro. Il faccendiere Francesco Pazienza ne indicò il ruolo anche nel depistaggio delle indagini sull’attentato a Wojtyla: fu lui, disse Pazienza, a “inventare” la fantomatica “pista bulgara”. Il nome di Ledeen, sostiene Carpeoro, è collegabile – tramite Licio Gelli – anche al giallo, tuttora irrisolto, della morte di Olof Palme, che segnò l’inizio della fine della grande stagione del benessere europeo. Nel profetico romanzo “Nel nome di Ishmael”, lo scrittore italiano Giuseppe Genna include l’assassinio di Palme tra gli oscuri misfatti della “Rete Ishmael”, dove gli omicidi eccellenti vengono sempre fatti precedere dalla raccapricciante uccisione – rituale – di un bambino, a scopro propriziatorio. E’ un mondo, quello di “Ishmael”, che ricorda sinistramente quello degli attentati di oggi, intrisi di simbologie: la data-cardine dell’epopea dei Templari ricorre nella strage del Bataclan, come il 14 luglio – la Presa della Bastiglia, cara alla massoneria illuminista – nella mattanza di Nizza.Olof Palme viene “abbattuto” il 27 febbraio: nell’anno 380 coincide con l’Editto di Tessalonica, in cui l’Impero Romano proclama religione di Stato il cristianesimo, gettando così le basi per un altro “impero”, il più longevo della storia. E sempre il 27 febbraio, ma del 1933, i nazisti incendiano il Reichstag per dare inizio al Terzo Reich. E se l’esoterismo (deviato) ha a che fare con Palme, vale ricordare che ancora un 27 febbraio, quello del 1593, viene incarcerato Giordano Bruno. Un caso, quella data, per la fine di Olof Palme? Era pur sempre il capo della P2 l’italiano Licio Gelli che, dal Sudamerica, recapitò quell’enigmatico messaggio a Washington, all’indirizzo di Guarino, sua vecchia conoscenza: «Alcuni anni prima – scrive Enrico Fedrighini sul “Fatto Quotidiano” – avevano entrambi sottoscritto un affidavit a favore di un finanziere, Michele Sindona». Era pericoloso, Olof Palme? Assolutamente sì: lo dice l’elenco dei suoi potentissimi nemici. Al premier svedese guardavano le sinistre europee: dopo aver «spogliato la monarchia svedese degli ultimi poteri formali di cui godeva», Palme aveva varato clamorose riforme sociali che avevano portato a un aumento del potere dei sindacati all’interno delle aziende, ricorda “Il Post”. «Ma fu grazie alla politica estera che Palme divenne famoso in tutto il mondo». Si scagliò contro la guerra Usa in Vietnam, «paragonando i massicci bombardamenti sul Vietnam del Nord ai massacri dei nazisti», dichiarazione che «spinse il governo degli Stati Uniti a ritirare il suo ambasciatore in Svezia».Olof Palme, continua il “Post”, fu ugualmente critico nei confronti dell’Unione Sovietica: attaccò la repressione della Primavera di Praga nel 1968 e poi l’invasione dell’Afghanistan nel 1979. Criticò il regime di Augusto Pinochet in Cile, l’apartheid in Sudafrica, la dittatura di Francisco Franco in Spagna, la corsa agli armamenti nucleari e le disuguaglianze globali. L’Onu aveva affidato a Olof Palme il delicato incarico di arbitrato internazionale fra Iraq e Iran, in guerra da sei anni. «Una guerra sanguinosa, sporca, un crocevia di traffico d’armi e operazioni coperte: l’Iran stava ricevendo segretamente forniture di armi attraverso una rete formata da pezzi dell’apparato politico-militare Usa; i proventi servivano anche a finanziare l’opposizione dei Contras in Nicaragua», ricorda Fedrighini sul “Fatto”. Palme scoprì «qualcosa di ancora più grave, di più spaventoso». Ovvero: la rete che forniva armi all’Iran sembrava agire con strutture operative ramificate all’interno di diversi paesi dell’Europa occidentale, anche nella civilissima Scandinavia. Scoperte che Palme avrebbe fatto il giorno stesso della sua morte, a colloquio con l’ambasciatore iracheno.La sera andò al cinema, con la moglie, dopo aver licenziato la scorta. Fu colpito mentre si allontanava a piedi dopo la proiezione. Dal buio sbucò «un uomo con un soprabito scuro», armato di Smith & Wesson 357 Magnum. Due colpi, alla schiena. Le indagini delle autorità svedesi non portarono a nulla. Lo scrittore svedese Stieg Larsson, autore di “Uomini che odiano le donne”, aveva condotto indagini riservate sul caso, accumulando 15 scatoloni di dossier, inutilmente consegnati alla polizia e alla Säpo, il servizio segreto reale, «nella vana speranza che facessero luce sulla tragedia», scrive “Repubblica”. «Larsson lanciò un’accusa precisa: i colpevoli erano i servizi segreti del Sudafrica razzista. Ma non fu ascoltato». Lo ha rivelato lo “Svenska Dagbladet”, il primo quotidiano svedese, poco dopo la morte del romanziere, deceduto nel 2004 per un infarto. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, anche Stieg Larsson «è stato probabilmente giustiziato». Lo suggeriscono troppe “coincidenze”, a partire dalla data della morte, 9.11.2004, il cui «valore numerico-rituale» è 8, cioè “giustizia”. Lo scrittore «muore come il personaggio del suo terzo libro, “La ragazza che giocava con il fuoco”: muore cioè di infarto, nella redazione del suo giornale».Per Franceschetti, sono circostanze che richiamano «la legge del contrappasso, utilizzata dall’organizzazione che si chiama Rosa Rossa», e che – sempre secondo Franceschetti – adotta, per le sue esecuzioni “eccellenti”, proprio la procedura in base alla quale Dante Alighieri organizza l’Inferno nella Divina Commedia: punizioni simboliche, commisurate alle azioni compiute durante la vita. Nulla che, in ogni caso, abbia potuto contribuire a far luce sull’omicidio Palme, per il quale venne condannato in primo grado nel 1988 un pregiudicato, Christer Patterson, prosciolto poi in appello del 1989 per mancanza di prove. Ma anche Patterson, come Stieg Larsson, non sopravivisse: «Il 15 settembre 2004, Patterson contatta Marten Palme», il figlio dello statista ucciso. «Desidera incontrarlo, ha qualcosa di importante da confidargli sulla morte del padre», racconta sempre Fedrighini sul “Fatto”. «Il giorno dopo, Patterson viene ricoverato in coma al Karolinska University Hospital con gravi ematomi alla testa. Muore il 29 settembre per emorragia cerebrale, senza mai aver ripreso conoscenza».Chi tocca muore: non era rimasta senza spiacevoli conseguenze neppure la divulgazione, nell’aprile 1990, ad opera del quotidiano svedese “Dagens Nyheter”, del telegramma inviato da Licio Gelli a Guarino nel 1986, tre giorni prima dell’omicidio Palme. Contattando i colleghi svedesi, ricorda Fedrighini, un giornalista del Tg1, Ennio Remondino, rintracciò e intervistò le fonti, due agenti della Cia, che confermarono la notizia del telegramma, «rivelando anche l’esistenza di una struttura segreta operante in diversi paesi dell’Europa occidentale, denominata Stay Behind (nella versione italiana, Gladio), coinvolta da decenni in traffici d’armi ed azioni finalizzate a “stabilizzare per destabilizzare”». L’intervista con uno dei due, Dick Brenneke, venne trasmessa dal Tg1 nell’estate del 1990, provocando «la reazione furibonda di Cossiga, il licenziamento in tronco del direttore del Tg1 Nuccio Fava e il trasferimento di Remondino all’estero come inviato sui principali fronti di guerra».Dopo oltre un quarto di secolo, il buio è sempre fitto: «L’arma del delitto non è mai stata trovata, e l’omicidio di Olof Palme è un caso ancora aperto». Per Gianfranco Carpeoro, il killer politico di Palme è già noto, si chiama “sovragestione” ed è tuttora in azione, in Europa, fra attentati e stragi. Carpeoro si sofferma in particolare sul possibile ruolo di Michael Ledeen, deus ex machina di tante operazioni coperte che hanno segnato la nostra storia recente, al punto che a metà degli anni ‘80 l’ammiraglio Fulvio Martini, allora capo del Sismi, lo fece allontanare dall’Italia come “persona non grata”. «Ledeen è membro dell’American Enterprise Institute», organismo che, «dopo l’11 Settembre, si è reso leader di un’enorme operazione di lobbismo per dirigere la politica estera Usa verso l’attuale e rovinosa “guerra al terrorismo globale”, sponsorizzando intensamente l’invasione dell’Afghanistan, l’occupazione dell’Iraq, e tentando ripetutamente di provocare l’aggressione dell’Iran». Fonti americane lo segnalano oggi nel team-ombra di Trump, impegnato a sabotare gli accordi sul nucleare con Teheran.Consulente di vari ministri israeliani, continua Carpeoro, «Ledeen è stato anche tra i capi del Jewish Institute for National Security Affairs (Jinsa), al cupola semi-segreta collegata al B’nai Brith, la superloggia massonica ebraica che sovragestisce le relazioni inconfessabili tra l’esercito israeliano, alcuni settori del Pentagono e l’apparato militare industriale americano». Ledeen, continua Carpeoro, riuscì anche a sabotare i rapporti fra Italia e Usa durante il sequestro dell’Achille Lauro, traducendo in diretta – in modo infedele – le parole che Ronald Reagan rivolse a Bettino Craxi. Il suo nome, poi, riaffiora durante lo scandalo Nigergate: come svelato dai giornalisti italiani Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, Ledeen avrebbe scelto il Sismi «per trasmettere alla Cia falsi documenti a riprova dell’importazione di uranio dal Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein», poi utilizzati da Bush come “prova” dell’armamento “nucleare” di Saddam, alibi perfetto per scatenare la Seconda Guerra del Golfo, l’invasione dell’Iraq e l’uccisione dello stesso Saddam, in possesso di segreti troppo scomodi per la Casa Bianca.Nel film “L’avvocato del diavolo”, Al Pacino (il diavolo) rimprovera il suo allievo, Keanu Reeves: «Sei troppo appariscente», gli dice: «Guarda me, invece: nessuno mi nota, nessuno mi vede arrivare». A pochissimi, in Italia, il nome Michel Ledeen dice qualcosa, nonostante abbia avuto un ruolo in moltissime pagine della nostra storia, fino a Di Pietro (in contatto con Ledeen all’epoca di Mani Pulite) e ora «con Beppe Grillo» e con lo stesso Matteo Renzi, «attraverso Marco Carrai». Per Gioele Magaldi, Ledeen milita nella Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, fondata dal clan Bush, con al seguito personaggi come Blair, Sarkozy, Erdogan. La “Hathor” avrebbe avuto un ruolo nell’11 Settembre, nella creazione di Al-Qaeda e poi in quella dell’Isis, avendo affiliato lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi. Nuovo ordine mondiale, da mantenere ad ogni costo scatenando il caos attraverso la guerra e il terrorismo? Carpeoro la chiama, semplicemente, “sovragestione”. Spiga che le sue “menti” si richiamano alla teoria della “sinarchia” del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: l’élite illuminata ha il diritto divino di imporsi sul popolo, anche con la violenza, uccidendo i paladini dei diritti democratici. Come sarebbe, oggi, l’Europa, con uomini come Olof Palme? Quattro anni prima di essere trucidato, Palme aveva varato il rivoluzionario Piano Meidner: un nuovo modello di partecipazione, che coinvolgeva i lavoratori nella gestione delle imprese, condividendone anche gli utili. Olof Palme “doveva” morire. E con lui, noi europei.«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.
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La legge anti-vegana e il cibo-spazzatura di troppi minori
Vegetariani clandestini: chi preferisce il cibo sano a quello cancerogeno dovrà cominciare a nascondersi? Nel mirino i gentori, quelli più informati, che infatti nutrono i propri figli con molta frutta e verdura, cereali e legumi, evitando zuccheri, farine raffinate e bibite gassate, oltre naturalmente alla carne, indicata anche dall’Oms come fonte di rischio-tumore. Paolo Franceschetti punta il dito contro una recentissima proposta di legge in materia di regime alimentare, subito bollata come “legge anti-vegana” perché rende penalmente perseguibile quel genitore che “impone o adotta nei confronti di un minore degli anni 16”, sottoposto alla sua responsabilità, “una dieta alimentare priva di elementi essenziali per la crescita sana ed equilibrata del minore stesso”. A parte il fatto che in teoria «è vegana anche una dieta composta di sola Coca Cola e patatine fritte» e che in genere «il “bambino che mangia di tutto” ingurgita anche Coca Cola, panini da McDonald’s, latte e biscotti a colazione, pizze magari surgelate», bisogna sapere che «nessun genitore conosce la tabella degli alimenti», selezionando la baby-dieta. «Al contrario: i bambini mangiano di tutto, sì, ma anche una quantità di schifezze industriali senza precedenti nella storia dell’umanità», col pieno consenso «del 99% dei genitori al mondo».Per Franceschetti, a lungo avvocato, la legge in realtà è «figlia di quella diffusa sottocultura giuridica – o mania, se preferiamo – di voler legiferare anche nelle materie più impensate, per pretendere di regolare anche ciò che non è possibile regolare (come alcune leggi americane che regolano quale tipo di rapporto sessuale è ammesso tra coniugi)». L’allora ministro della salute Girolamo Sirchia, ad esempio, voleva proporre di “dimezzare le porzioni dei ristoranti” e “imporre lattine di bibite solo da 250 ml” per combattere l’obesità.Tutto inutile, naturalmente. Ora, il testo della nuova disposizione «non colpisce i “vegani”; colpisce in realtà chiunque adotta una dieta carente di alcuni elementi essenziali rendendo potenzialmente criminali il 90% dei genitori italiani». In sostanza, continua Franceschetti, «la legge va a punire anche i genitori onnivori; anzi, soprattutto quelli», non certo i genitori vegani, molto ben informati sugli equilibri nutrizionali. La dieta di un bambino onnivoro medio, invece, «è fatta da colazione con latte e biscotti, primo secondo e contorno, a pranzo e cena, e spesso pure dolci e merendine a metà giornata».In altre parole, «la dieta di un bambino vegano sarà pure carente di ferro, zinco e vitamina B12 come dicono alcuni nutrizionisti male informati, ma la dieta di un bambino onnivoro medio è carente di quasi tutto e in compenso abbondante di zuccheri raffinati e grassi, molti dei quali addirittura idrogenati», sintetizza Franceschetti. «La legge, quindi, lungi dal colpire i genitori vegani, potenzialmente può innescare lotte e denunce per i genitori che portano i propri figli troppo spesso al McDonald’s, o per quelli che per merenda gli danno sempre e comunque (non frutta, o alimenti sani ma) merendine, biscotti, gelati, panini industriali». E quando verrà riscontrata una carenza, «chi potrà mai stabilire che tale carenza sia dovuta all’alimentazione, e non invece ad una predisposizione del bambino a mal assimilare certe sostanze?». Da parte dei genitori vegani, aggiunge Franceschetti, basterà dire: “Mio figlio fa una dieta varia e sana, mangia molta frutta, molta verdura, legumi, cereali, cercando di tenere basso il numero di zuccheri raffinati e di grassi idrogenati”. «In questo modo si chiuderà la polemica, nessuno avrà nulla da ridire, e si eviterà di impattare contro un sistema ancora troppo ignorante per poter capire l’importanza della dieta ai fini della crescita».Tutt’al più, qualche onnivoro agguerrito e smaliziato, sentendo questo elenco, farà la fatidica domanda: “E la carne? La carne è importante per il ferro”. Al che, il genitore vegano potrà rispondere: “Certo che la mangia, cerco di limitarla e di dargli solo carne di allevamenti scelti, non quella comprata al supermercato piena di estrogeni e nutrita con alimenti innaturali, per questo evito che mangi carne alla mensa scolastica”. «E l’onnivoro demente sarà ridotto al silenzio». Il problema sono i termini, ribadisce il giurista. «Vegano è termine che si presta a distorsioni e strumentalizzazione, anche grazie a molti attivisti vegani il cui fondamentalismo e la cui ottusità ha contribuito a danneggiare il veganismo vero e consapevole più di qualsiasi altra cosa; meglio utilizzare il termine “dieta sana e naturale” termine contro cui nessuno potrà obiettare nulla, specie gli onnivori che, nel 90% dei casi non hanno una dieta né sana né naturale».Vegetariani clandestini: chi preferisce il cibo sano a quello cancerogeno dovrà cominciare a nascondersi? Nel mirino i gentori, quelli più informati, che infatti nutrono i propri figli con molta frutta e verdura, cereali e legumi, evitando zuccheri, farine raffinate e bibite gassate, oltre naturalmente alla carne, indicata anche dall’Oms come fonte di rischio-tumore. Paolo Franceschetti punta il dito contro una recentissima proposta di legge in materia di regime alimentare, subito bollata come “legge anti-vegana” perché rende penalmente perseguibile quel genitore che “impone o adotta nei confronti di un minore degli anni 16”, sottoposto alla sua responsabilità, “una dieta alimentare priva di elementi essenziali per la crescita sana ed equilibrata del minore stesso”. A parte il fatto che in teoria «è vegana anche una dieta composta di sola Coca Cola e patatine fritte» e che in genere «il “bambino che mangia di tutto” ingurgita anche Coca Cola, panini da McDonald’s, latte e biscotti a colazione, pizze magari surgelate», bisogna sapere che «nessun genitore conosce la tabella degli alimenti», selezionando la baby-dieta. «Al contrario: i bambini mangiano di tutto, sì, ma anche una quantità di schifezze industriali senza precedenti nella storia dell’umanità», col pieno consenso «del 99% dei genitori al mondo».
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Dante e i Templari fiorentini, fino a John Fitzgerald Kennedy
In un libro edito da Aurora Boreale, “Firenze, città santa dei Templari”, Luca Monti scrive che Dante Alighieri fu il Gran Maestro segreto dei Templari dopo Jacques De Molay. «La storia dei Templari è molto diversa da quella che viene descritta dagli storici tradizionali», spiega Monti, intervistato da Paolo Franceschetti. «Quando io mi occupo della storia non me ne occupo con gli strumenti tradizionali, cioè con i libri e i materiali scritti da storici, perché questi sono materiali scritti da uomini, quindi con criteri limitati; io parto invece dai simboli, che sono universali a tutte le latitudini. Da questo punto di vista i simboli usati dai Templari ci dicono molto, e ci dice molto anche il modo in cui Dante scriveva, che era di tipo esoterico. Già questo quindi offre le prime basi di partenza per l’interpretazione della Divina Commedia e ci dà delle precise indicazioni sul suo valore». Tutto, aggiunge Monti è basato su determinati numeri: 3 cantiche, e 3 è il numero della perfezione; 33 canti, e 33 è il massimo grado della massoneria, il massimo grado sapienziale. Ricorre spesso il numero 13: Dante mette nelle varie cantiche diversi gruppi di 13; 13 i dannati a cui Dante chiede il nome, 13 quelli cui non chiede il nome, 13 i dannati che si fanno riconoscere senza che venga loro chiesto il nome, eccetera.«Abbiamo poi indizi che dicono che Dante era un templare», prosegue Monti, nell’intervista pubblicata sul blog di Franceschetti. Esiste una moneta conservata in un museo di Vienna, in cui viene attribuito a Dante il grado di Cavaliere Kadosh, uno dei cavalierati più segreti all’interno dei Templari. «Attorno a sé lui aveva creato un circolo che ufficialmente si occupava di poesie d’amore, ma in realtà era un circolo segreto di matrice esoterica. L’ultima guida di Dante poi è San Bernardo, che è il creatore della regola templare». I manoscritti originali di Dante, ufficialmente, non esistono, osserva Franceschetti: non abbiamo una sua firma autografa, un suo manoscritto, nulla. Esiste qualcuno che li ha? «Per quello che posso immaginare sì, ci sono – risponde Monti – ma non sono consultabili e credo siano negli Stati Uniti, custoditi dai Templari di oggi. C’è ad esempio un certo Filippo Mazzei che è stato uno dei firmatari della Costituzione americana ed era un fiorentino di una famiglia templare molto importante. I legami quindi tra Templari e Usa sono molto stretti, perché a partire dal 1200 ormai l’Europa divenne scomoda per i Templari e quello che potevano fu portato negli Usa».Questi documenti, continua Monti, «non vengono divulgati perché da secoli ci sono battaglie all’interno del movimento templare tra coloro che sono chiamati “passatisti”, che hanno una visione pura del mondo iniziatico, e i “modernisti”, che sono la componente più nera». Nella Divina Commedia non esiste un solo cenno alla moglie di Dante, Gemma Donati, e così pure nelle altre opere. Corso Donati, Forese Donati e Piccarda Donati sono parenti di Gemma e vengono nominati, aggiunge Franceschetti – ma perché mai la moglie? Cosa ci hanno taciuto del personaggio di Dante? E’ possibile che sia un’opera collettiva e Dante sia un personaggio romanzato? «No, credo proprio di no. Credo sia tutta farina del sacco di una persona», dice Monti. «Dante divenne maestro templare controvoglia. Il vero maestro doveva essere Brunetto Latini, ma non se la sentì e per questo fu posto all’Inferno, per punirlo simbolicamente del suo rifiuto. Quanto a Gemma, potrebbe simboleggiare la “gemma gnostica” e non essere un personaggio vero e proprio. Probabile fosse quindi uno pseudonimo».E Dante cosa faceva nei periodi bui della sua biografia? «Si dedicò a ripristinare l’Ordine templare che ormai era quasi finito», racconta Luca Monti. «Non è escluso che sia stato in Medio Oriente per incontrare i Sufi, con cui ebbe rapporti molto stretti. Lo stesso Federico II provò a mettere insieme la cavalleria cristiana e islamica e addirittura quella mongola; lui infatti temporeggiava nell’intraprendere la crociata voluta dal Papa di allora, perché cercava questo accordo tra Islam e Cristianesimo esoterico». Altra domanda: Castel Del Monte, in Puglia, era il luogo dove fu custodito il Graal dai Templari? «E’ plausibile. Occorre vedere quale Graal, perché ce n’erano tre. Il contenitore del sangue di Cristo, il balsamario e quello dell’ultima cena». E che dire di due personaggi fondamentali della Divina Commedia, San Bernardo e Beatrice? «Beatrice è l’obiettivo cui devono tendere i Templari, perché simbolicamente rappresenta la gnosi, la “sofìa”, la conoscenza suprema. Per questo la troviamo nel Paradiso, perché non deve essere contaminata da energie basse». Quanto a San Bernardo, «non è solo chi ha scritto la regola, ma è colui che ha plasmato esotericamente i Templari». E i cavalieri del Tempio «non nascono certo per difendere i pellegrini in Terrasanta: in 9 infatti potevano fare ben poco». La loro vera missione: «Trovare degli oggetti esotericamente importanti». Nel tempio di Gerusalemme «cercarono l’Arca dell’Alleanza, la testa di San Giovanni Battista e molto altro».In chiave inziatica, aggiunge Franceschetti, com’è che l’esoterista Dante “vede” Inferno, Purgatorio e Paradiso? «Secondo me li ha visitati davvero», risponde Monti, «nel senso che con un “viaggio astrale” probabilmente lui ha effettuato questo percorso, e probabilmente è stato il “viaggio astrale” più interessante della storia dell’umanità», nientemeno. Con l’espressione “viaggio astrale” si può intendere “esperienza extracorporea”, nota anche con le sigle Obe o anche Oobe (dall’inglese “out of body experience”), che per Wikipedia sta a indicare «tutte quelle esperienze, la cui interpretazione rimane controversa, nelle quali una persona percepisce di “uscire” dal proprio corpo fisico, cioè di proiettare la propria coscienza oltre i confini corporei». Sempre per Wikipedia, circa una persona su dieci ritiene di aver avuto qualche volta nella vita una di queste esperienze. «Più stringatamente», il termine «sta a indicare quella sensazione che taluni provano come se stessero fluttuando all’esterno del proprio corpo e, in taluni casi, percependo la presenza del proprio corpo da un punto esterno ad esso».In genere – prosegue Franceschetti, cambiando argomento – gli iniziati condivisono tra loro il cosiddetto “segreto iniziatico”, e proprio per questo motivo «non parlano di Dante svelandone i principali segreti». Luca Monti invece perché ne parla? Non è vincolato al “segreto iniziatico”, pure essendo “Gran Priore del Sacro Ordine Equestre Ecumenico Templare”? «Personalmente – spiega l’autore del libro sul templarismo fiorentino – credo sia il momento di divulgare il più possibile, e che il “segreto iniziatico” debba essere molto ridimensionato». E aggiunge: «Credo anzi che la missione del vero iniziato, oggi, in cui i tempi sono molto cambiati, debba addirittura essere capovolta rispetto al passato, cioè essere quella di cercare di innalzare il livello sapienziale delle masse, per quanto possibile, buttando sempre più sassolini per permettere a chi vuole di fare delle ricerche». Sicché, Franceschetti ne approfitta: «Dante – dice – parla spesso di un “cinquecentodieci e quinque”, 515, che libererà l’umanità». Che cos’è? Cosa rappresenta? «E cosa rappresenta il 666? Teniamo conto che nella Divina Commedia le profezie dantesche sono tutte collocate, con precisione matematica, a 515 o 666 versi di distanza l’una dall’altra».«Io penso che questo 515 arriverà verso il 2020», risponde Monti. «Ma questo numero rappresenta anche la riunificazione; noi siamo tutti in potenza parti di Dio, particelle divine, e il 515 rappresenta la riunione di noi stessi col divino. Il 666 invece è il numero della Bestia dell’Apocalisse, ma ricordiamoci anche che l’Apocalisse è la Rivelazione». Altro quesito: se Dante fu il successore segreto di Jacques De Molay, l’ultimo leader dei Templari arso sul rogo, chi fu il successore di Dante? Sorpresa: per Luca Monti, il successore dell’Alighieri-templare fu «Gherarduccio dei Gherardini, antenato di John Fitzgerald Kennedy. Ecco perché questo legame tra Dante e i Templari». Sul tema, Monti sta scrivendo un libro, “Dal rogo all’ermellino”, ovvero «la trasformazione dei Templari dalla clandestinità all’affermazione di nuovi ordini». E i Catari, sterminati tra 1200 e 1300 dal Vaticano prima con la Crociata Albigese e poi con l’istituzione dell’Inquisizione, come incrociano la loro storia “eretica” con Dante e i Templari? «Catari e Templari sono fratelli – sostiene Monti – nel senso che condividevano una stessa visione gnostica della spiritualità; solo che i Templari non potevano esternarlo ufficialmente come i Catari, essendo formalmente riconosciuti dalla Chiesa». Ma non è tutto, perché «il legame spirituale dei Templari va oltre il Catarismo e oltre il Sufismo», basti pensare che «San Bernardo era un druido e anche quella è, quindi, una direzione spirituale da percorrere». Templari e Fedeli d’Amore? Stessa cosa, a Firenze: «I Fedeli d’Amore, quindi il gruppo di Cavalcanti e Brunetto Latini, erano i veritici templari, perché quello di “Fedele d’Amore” è il grado più alto dei Templari».(Il libro: Luca Monti, “Firenze, città santa dei Templari”, Aurora Boreale editore, 80 pagine, 12 euro).In un libro edito da Aurora Boreale, “Firenze, città santa dei Templari”, Luca Monti scrive che Dante Alighieri fu il Gran Maestro segreto dei Templari dopo Jacques De Molay. «La storia dei Templari è molto diversa da quella che viene descritta dagli storici tradizionali», spiega Monti, intervistato da Paolo Franceschetti. «Quando io mi occupo della storia non me ne occupo con gli strumenti tradizionali, cioè con i libri e i materiali scritti da storici, perché questi sono materiali scritti da uomini, quindi con criteri limitati; io parto invece dai simboli, che sono universali a tutte le latitudini. Da questo punto di vista i simboli usati dai Templari ci dicono molto, e ci dice molto anche il modo in cui Dante scriveva, che era di tipo esoterico. Già questo quindi offre le prime basi di partenza per l’interpretazione della Divina Commedia e ci dà delle precise indicazioni sul suo valore». Tutto, aggiunge Monti è basato su determinati numeri: 3 cantiche, e 3 è il numero della perfezione; 33 canti, e 33 è il massimo grado della massoneria, il massimo grado sapienziale. Ricorre spesso il numero 13: Dante mette nelle varie cantiche diversi gruppi di 13; 13 i dannati a cui Dante chiede il nome, 13 quelli cui non chiede il nome, 13 i dannati che si fanno riconoscere senza che venga loro chiesto il nome, eccetera.
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Il potere irride l’esoterismo? Ovvio: teme che ci sveli verità
Umberto Eco, per potersi interessare di simbologia in ambito universitario, ha dovuto cambiarle nome: l’ha dovuta chiamare semiotica, perché sennò il suo corso universitario non si sarebbe mai potuto tenere. L’unica università al mondo che aveva una facoltà di esoterismo era l’Università di Princeton, dove si è sviluppato un tema straordinario, la cosiddetta Gnosi di Princeton, con scienziati che hanno messo in discussione la rigidità della scienza moderna. Però è stata chiusa, ovviamente, per mancanza di fondi. Perché oggi c’è un circuito perverso – tra università e aziende, farmaceutiche e di vario tipo – per cui la ricerca dev’essere assolutamente finalizzata. Quindi, la scienza non ammette che esista la conoscenza. Da che mondo è mondo, le ricerche sull’esoterismo sono state sempre svolte dalle accademie platoniche, non dalle università aristoteliche. Purtroppo, fare ironia su iniziative di studio inerenti l’esoterismo significa ridurre il tutto al livello del Mago Otelma, e questo a chi conviene? A chi conviene che certe cose non si ricerchino e non si approfondiscano? Qualcuno se la faccia, questa domanda.L’esoterismo in realtà è una cosa seria. Studiare questa meta-storia, questo pensiero, la ricerca del retropensiero, è qualcosa di fondamentale: non viene svolto perché al potere non conviene che si svolga. Il potere – religioso, politico, di qualunque tipo – appena sente questi temi tende al dileggio, perché sono temi che hanno messo in discussione dogmi, posizioni e interessi nei secoli. Nei secoli si è spacciato Cartesio per un materialista, quando invece lui apre il discorso sul metodo dicendo che cerca Dio. Per secoli si è imbottita la testa della gente di un sacco di menzogne. Si è nascosto il fatto che Newton, prima di essere uno scienziato, era un alchimista. Per secoli sono state raccontate delle balle, alle persone. Fare dello spirito a buon mercato, su questi temi, significa diventare funzionali a un determinato schema di potere.La parola esoterismo viene da “esotèio”, che significa “cercare dietro”. Le viene data una connotazione magica? Neanche quella è negativa. Io mi sono sempre scagliato contro il pensiero magico. Che cos’è? E’ un meccanismo di potere, per il quale la gente viene convinta di poter alterare determinate cose. Ma i grandi che si sono occupati di magia intesa come conoscenza – perché la parola magia viene da “Mg”, sanscrito, che significa “conoscere” – hanno chiarito che si occupavano di “magia naturalis”, non di qualunque magia. “Magia naturalis”: che cos’era? Era la conoscenza delle leggi naturali che ti portava a poter spiegare (e a poter utilizzare) le cose della natura – le leggi della natura, i meccanismi naturali, le cose che non conosciamo. Ho detto spesso che il paranormale è il normale che noi non conosciamo. Esistono cose che non conosciamo, o no? E al potere conviene che le scopriamo? Nella storia è convenuto, al potere, che la gente capisse, sapesse?Di recente ho tenuto una conferenza sul cosiddetto “nazismo magico”, dove ho dato un po’ di spiegazioni; perché, in realtà, se tutti conoscono, fregature come il nazismo non se ne prendono più. Ma il potere, al contrario, le fregature vuole continuare a darle, non vuole che non se ne diano più. E quindi, tutto ciò che attiene all’esoterismo viene bandito e considerato in un certo modo. Vengono finanziati i Maghi Otelma del momento, in maniera che la gente associ queste cose al Mago Otelma, ai cartomanti. Ecco il problema. E di fronte a questo, secondo me, la reazione giusta, opportuna, non è quella che vedo che si dà.(Gianfranco Carpeoro, intervento a “Border Nights”, trasmissione web-radio del 28 giugno 2016 condotta da Fabio Frabetti con Paolo Franceschetti, con la partecipazione di Barbara Marchand, Stefania Nicoletti, Ambra Guerrucci e Fabiuccio Maggiore).Umberto Eco, per potersi interessare di simbologia in ambito universitario, ha dovuto cambiarle nome: l’ha dovuta chiamare semiotica, perché sennò il suo corso universitario non si sarebbe mai potuto tenere. L’unica università al mondo che aveva una facoltà di esoterismo era l’Università di Princeton, dove si è sviluppato un tema straordinario, la cosiddetta Gnosi di Princeton, con scienziati che hanno messo in discussione la rigidità della scienza moderna. Però è stata chiusa, ovviamente, per mancanza di fondi. Perché oggi c’è un circuito perverso – tra università e aziende, farmaceutiche e di vario tipo – per cui la ricerca dev’essere assolutamente finalizzata. Quindi, la scienza non ammette che esista la conoscenza. Da che mondo è mondo, le ricerche sull’esoterismo sono state sempre svolte dalle accademie platoniche, non dalle università aristoteliche. Purtroppo, fare ironia su iniziative di studio inerenti l’esoterismo significa ridurre il tutto al livello del Mago Otelma, e questo a chi conviene? A chi conviene che certe cose non si ricerchino e non si approfondiscano? Qualcuno se la faccia, questa domanda.
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Uccido bambini e progetto attentati, nel nome di Ishmael
L’omicidio rituale di un bambino precede sempre l’ammazzamento eccellente: lo anticipa, come un oscuro presagio. Prima, c’è il ritrovamento del piccolo ucciso. Poche ore dopo, ecco l’attentato. E gli inquirenti onesti, quelli che intuiscono la verità, vengono depistati e poi, sabotati, rimossi, liquidati. «Bravo, vedo che ha capito come funziona, quel sistema». Parola di Francesco Cossiga. All’altro capo del telefono, lo sbigottito Giuseppe Genna, autentico talento letterario, autore del thriller politico “Nel nome di Ishmael”. Un libro sconvolgente. Uscì nel 2001, ma sembra scritto ieri, anzi oggi, in quest’Europa tramortita dal terrorismo opaco firmato Isis, dietro cui si nascondono “menti raffinatissime”, con propensione a “firmare” le loro stragi secondo precisi codici esoterici, come nel caso delle mattanze di Parigi e Bruxelles, ispirate alle date cruciali dell’epopea dei Templari, fondamentale nel pantheon massonico. Tutto questo, in un mondo dal quale spariscono misteriosamente, ogni anno, migliaia di bambini. Un abisso di orrore, che collega terrorismo e potere, servizi segreti e super-élite, logge e sètte, geopolitica e oscure pratiche, basate sul valore magico attribuito ai sacrifici umani, a partire da quelli dei bambini.L’infanticidio? Simboleggia morte e rinascita. Chi progetta un attentato, se ne “propizia” il successo alla vigilia, massacrando un neonato nel modo più atroce. E’ la legge di Ishmael, la piovra da incubo che il libro di Genna disvela, pagina dopo pagina. La trama è quella – potente, incalzante – del noir, giocato in modo perfetto sulla storia parallela di due poliziotti italiani, a quarant’anni di distanza l’uno dall’altro. Il primo è l’ispettore David Montorsi, che scopre un minuscolo cadavere in un campo da rubgy alla periferia di Milano poco prima che, nei cieli dell’Oltrepo Pavese, esploda in volo l’areo di Enrico Mattei, il patron dell’Eni: l’uomo che, da ex partigiano, aveva osato sfidare l’America, in piena guerra fredda. Il secondo è un altro detective della questura milanese, Guido Lopez, impegnato a proteggere l’anziano Kissinger al forum di Cernobbio, poco dopo aver scoperto – nello stesso campo da rugby – il cadavere di un altro minore, spaventosamente seviziato.Proprio tra i vip planetari convenuti per Cernobbio, Genna fotografa un’epoca: «Bush e Gorbaciov, gli eroi del disgelo. Quello che era successo da dieci anni dipendeva da loro. Muro di Berlino, crollo della Russia, riforma dell’economia mondiale. Erano stati loro. Dopo di loro sarebbe stato l’impero del male: l’impero di Ishmael». Il libro di Genna è stato scritto prima ancora del G8 di Genova e dell’11 Settembre, i due eventi-chiave che hanno aperto il baratro della crisi, con la “guerra infinita” in mezzo mondo, la catastrofe finanziaria e il manifestarsi dell’élite neo-feudale globalizzata che ha raso al suolo quarant’anni di diritti sociali, in Occidente. Tredici anni dopo il thriller “Ishmael”, nel monumentale saggio “Massoni”, Gioele Magaldi rivela che lo stesso Gorbaciov fu affiliato alla superloggia segreta “Golden Eurasia”, mentre Bush padre aveva fondato la “Hathor Pentalpha”, definita “loggia del sangue e della vendetta”, molto più estremista (e feroce) della storica “Three Eyes”, ispiratrice dell’ultra-destra economica anglosassone, per decenni dominata da uno dei personaggi centrali del libro di Genna, Henry Kissinger.I grandi globalizzatori? Anche spietati, certo. Ma non solo: attorno a loro, aggiunge Genna, c’è una nebulosa inquietante, profonda e buia, che caratterizza il Dna dei loro “mandanti” più reconditi, i veri “invisibili”, i super-potenti, quelli che restano al loro posto anche quando i loro politici sono tramontati. Il volto oscuro dell’élite: qualcosa di barbarico, anche. Una “chiesa” di dominatori sanguinari che – all’occorrenza – si procurano bambini da “sacrificare”. «Veramente profetico, Genna, per ammissione dello stesso Cossiga», racconta l’ex avvocato Paolo Franceschetti, indagatore dei peggiori misteri irrisolti della cronaca italiana, dal Mostro di Firenze alle Bestie di Satana fino alla strana uccisione del piccolo Samuele Lorenzi a Cogne. Un intreccio di poteri occulti, istituzioni infedeli e servizi deviati, attorno a cui fioriscono rituali magici e codici simbolici attorno a crimini che sembrano assurdi, senza un movente.E’ l’inferno che Genna chiama, semplicemente, “Ishmael”. Nel romanzo lo descrive come un vero e proprio cancro, inoculato dall’élite-ombra statunitense al tempo della sfida con l’Urss, scegliendo proprio l’Italia come fronte strategico da cui poi ingabbiare l’intera Europa. Per questo è così decisivo l’attentato a Mattei, fatto passare per incidente aereo. E sono pagine di altissima intensità quelle che Genna dedica al grande leader del riscatto italiano del dopoguerra. «Sappiamo di esserci, ma non ci siamo, a tutti gli effetti. L’Italia è questo qualcosa oltre il corpo e la mente, e la guerra che lui sta facendo è la costruzione di una salvezza», per proteggere il paese dal «regno arido, sormontato da potenze e da angeli oscuri», che è a tutti gli effetti l’America. «Bisogna salvare l’uomo, poiché l’uomo è pronto a divenire un americano e l’americano è pronto ad annullarsi. Annullata l’America, sarà annullata l’umanità. L’Italia, perciò, è l’idea della salvezza che è presente qui e sempre, ora, tra uomo e uomo, tra l’uomo e l’America».Contro questa salvezza combatte “Ishmael”, facendo esplodere l’aereo del ribelle italiano, il condottiero spericolato e sognatore. Ma poi, la piovra – che si insinua fin dentro le questure e la magistratura del Belpaese, sotto l’occhiuta regia di autentici mostri di cinismo come Kissinger – pian piano sfugge al controllo dei suoi stessi creatori fino a metterli in pericolo, verso l’instaurazione totalitaria del “tempo di Ishmael”, la nuova epoca – questa – in cui non ci sarà più alcuna certezza, cadranno leggi e autorità, tutto il pianeta sarà preda di un’oligarchia potentissima e invisibile, inafferrabile, sempre pronta – all’occorrenza – a usare il terrorismo e l’omicidio, spesso facendo precedere gli attentati da agghiaccianti ritrovamenti di bambini rapiti dai pedofili, quindi abusati e martoriati dai neo-satanisti dell’élite-fantasma.Una sequenza di morte, invariabilmente preceduta dal macabro rinvenimento della baby-vittima sacrificale. Nella “cronologia delle operazioni della rete Ishmael”, nell’appendice della fiction di Genna, trovano posto industriali, banchieri e tanti politici, uccisi o sfiorati dalla morte: il tedesco Adenauer e lo stesso De Gaulle, lo spagnolo Luis Carrero Blanco, e naturalmente Aldo Moro. Ci sono due Papi: Albino Luciani, morto, e Karol Wojtyla, ferito. E poi Roberto Calvi, Olof Palme, il craxiano Gabriele Cagliari. E ministri francesi, finanzieri di Stato tedeschi, la stessa Lady Diana. Cronometrico, nelle ore precedenti, il ritrovamento – non lontano – di un piccolo, a volte un neonato, ferocemente “sacrificato”. E’ la legge di Ishmael, scriveva Genna, quando ancora non era comparso un nome tanto simile, così ingannevolmente mediorientale: Isis.(Il libro: Giuseppe Genna, “Nel nome di Ishmael”, Mondadori, 486 pagine, euro 10,50).L’omicidio rituale di un bambino precede sempre l’ammazzamento eccellente: lo anticipa, come un oscuro presagio. Prima, c’è il ritrovamento del piccolo ucciso. Poche ore dopo, ecco l’attentato. E gli inquirenti onesti, quelli che intuiscono la verità, vengono depistati e poi sabotati, rimossi, liquidati. «Bravo, vedo che ha capito come funziona, quel sistema». Parola di Francesco Cossiga. All’altro capo del telefono, lo sbigottito Giuseppe Genna, autentico talento letterario, autore del thriller politico “Nel nome di Ishmael”. Un libro sconvolgente. Uscì nel 2001, ma sembra scritto ieri, anzi oggi, in quest’Europa tramortita dal terrorismo opaco firmato Isis, dietro cui si nascondono “menti raffinatissime”, con propensione a “firmare” le loro stragi secondo precisi codici esoterici, come nel caso delle mattanze di Parigi e Bruxelles, ispirate alle date cruciali dell’epopea dei Templari, fondamentale nel pantheon massonico. Tutto questo, in un mondo dal quale spariscono misteriosamente, ogni anno, migliaia di bambini. Un abisso di orrore, che collega terrorismo e potere, servizi segreti e super-élite, logge e sètte, geopolitica e oscure pratiche, basate sul valore magico attribuito ai sacrifici umani, a partire da quelli dei bambini.
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Tutti a casa, aspettando che finiscano di sfasciare il mondo
Cosa sta succedendo? Ovvero: che portata hanno le trasformazioni epocali che sta vivendo attualmente il mondo, a cominciare dall’Occidente? Gli sconvolgimenti planetari in corso – crisi, migrazioni, guerre – sono a dir poco spettacolari e, in apparenza, senza soluzione. Una costante riguarda l’informazione: il sistema mainstream, divenuto totalizzante, evita accuratamente di riferire le notizie principali e le spiegazioni sulle cause degli eventi che determinano le rilevantissime modificazioni nella vita sociale ed economica di oggi, quindi l’avvenire delle prossime generazioni. L’enormità degli avvenimenti suscita clamore sul web e nei blog, ma coglie impreparati molti degli osservatori ufficiali, intellettuali, economisti, scrittori, accademici. La situazione economica in Europa si è fatta catastrofica. Per la prima volta, dopo 70 anni di sviluppo ininterrotto, i figli crescono sapendo che avranno una vita meno facile di quella dei loro genitori. Il livello di disoccupazione è desolante, e non si vedono vie d’uscita: non ci sono alternative sul tappeto.La “buona politica” di cui si avverte disperatamente il bisogno, semplicemente, non esiste: tutto il personale politico in campo, nonostante movimenti anche recenti, è sostanzialmente allineato al dogmatismo del mainstream neoliberale e neo-feudale, che – dopo le violente campagne anti-casta degli anni e decenni scorsi – predica l’erosione dell’interesse pubblico e la sparizione progressiva dello Stato come soggetto strategico, sociale ed economico. In Eurozona, il miglior governo che venisse eletto sarebbe di fatto impotente, costretto a limitare la propria spesa strategica al 3% del Pil. Impossibile utilizzare, come in passato, la leva monetaria: in un paese come l’Italia, il debito pubblico ha permesso di realizzare colossali investimenti sociali e infrastrutturali che hanno determinato il boom economico degli anni ‘60 e poi i mini-boom degli anni ‘80 e ‘90. Oggi, senza più sovranità statale, fiscale, economica, finanziaria e monetaria, questo scenario non è più ripetibile.A livello geopolitico, la situazione sta assumendo caratteristiche da incubo. Un crescendo di instabilità e orrori, a partire dal collasso dell’Urss: Jugoslavia, Somalia, Cecenia; poi, dopo l’11 Settembre, la drammatica accelerazione degli ultimi 15 anni, con le guerre in Iraq, Afghanistan, Libia, Yemen, Ucraina, Siria. In tutti questi teatri, gli Usa sono passati all’offensiva, allo scopo di destabilizzare interi continenti, prima che la Cina potesse assumere una leadership pericolosa per il monopolio americano, anche l’attraverso l’asse con la Russia di Putin. L’Europa è travolta dalla tempesta profughi e terremotata dal terrorismo pilotato dall’intelligence occidentale, utilizzando la falsa bandiera dell’Isis, che ha preso il posto di Al-Qaeda. Uno dei principali obiettivi è proprio l’Europa: prima lo scandalo Volkwagen, poi il caso Bnp-Paribas, quindi l’attacco al segreto bancario svizzero, ora la vicenda Panama. Sul tappeto resta il trattato segreto Ttip, che trasferirà potere giuridico direttamente alle multinazionali, scavalcando leggi e Stati. Il trattato resta segreto, e nessuno ne parla. Il governo dell’Ue non tenta neppure di inscenare la ritualità di una democrazia formale.Il terrorismo è l’altra grande leva dell’operazione eversiva in corso. Sorretto da settori della Cia e del Pentagono, Daesh è finanziato da Arabia Saudita, Qatar, Turchia e altri paesi del Golfo. Proprio le stragi di Parigi, Charlie Hebdo e 13 novembre, e ora quella di Bruxelles, hanno spinto alcuni esponenti della massoneria ad effettuare denunce clamorose, rimaste escluse dal mainstream ma circolate sul web. La tesi riguarda l’ispirazione massonica degli attentati e il loro contenuto simbolico nascosto utilizzato come “firma”, a partire dallo stesso acronimo Isis, che corrisponde alla dea Iside, il cui secondo nome è Hathor – e Hathor Pentalpha, secondo Gioele Magaldi, è il nome della famigerata superloggia fondata dai Bush negli anni ‘80, cui avrebbero aderito Blair, Sarkozy e lo stesso Erdogan, cioè gli uomini che hanno promosso le guerre in Iraq, in Libia e in Siria, dopo aver ideato gli attentati dell’11 Settembre.Un’intera narrazione sta crollando, giorno per giorno, sotto i colpi delle rivelazioni che illuminano i retroscena della cronaca: il mainstream continua a proporla, l’informazione ufficiale, ma non riscuote più la fiducia della maggioranza dei cittadini, sempre più scettici, tentati dall’astensionismo (convinti che votare sia ormai inutile) e in ogni caso diffidenti di fronte alle notizie sfornate a ciclo continuo. In parallelo, si assiste a clamorose rivelazioni in serie: prima Julian Assange e Wikileaks, poi lo scandalo dello spionaggio di massa targato Nsa, denunciato da Edward Snowden. Sul piano culturale, in Italia e non solo, è parallelo il percorso di uno studioso isolato come Mauro Biglino, che propone la (sconcertante) traduzione letterale della Bibbia: lo Jahwè dell’Antico Testamento non è affatto una divinità, ma un feroce guerriero venuto da non si sa dove e impegnato – insieme ad alcuni “colleghi” – a instaurare un dominio di tipo coloniale in Palestina, peraltro sul Sapiens che, secondo la Genesi, sarebbe stato creato in laboratorio, mediante clonazione genetica. La teologia della creazione? Pura fantasia, di cui nella Bibbia non c’è traccia.Secondo l’ex avvocato Paolo Franceschetti, autore di contro-indagini clamorose su alcuni misteri della cronaca italiana, dalle Bestie di Satana al Mostro di Firenze (l’intuizione della spaventosa realtà dei delitti rituali compiuti da sette occulte, affollate da potentissimi insospettabili) il bicchiere mezzo pieno consiste nel fatto che, se certi orrori si sono sempre verificati, oggi finalmente se ne comincia a parlare. Un altro osservatore come Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti italiani, sostiene che la crescente violenza cui stiamo assistendo corrisponda all’inquietudine dell’élite al potere, che sa di aver perso il consenso di almeno il 20-30% della popolazione e quindi preme sull’acceleratore della paura per condizionare la parte restante, quella che ancora è facilmente manipolabile. Lo afferma anche un massone come Gianfranco Carpeoro, grande esperto di codici esoterici e simbolici: la strategia della tensione come arma estrema, da parte di chi pensa di non avere più altri strumenti per condizionare le masse.L’arma più antica – il terrore – per tentare di portare a compimento il grande disegno emerso negli ultimi decenni, ben illustrato da Paolo Barnard nel saggio “Il più grande crimine”: la riduzione in schiavitù del cittadino occidentale, affrancatosi dal feudalesimo con la Rivoluzione Francese, per farlo retrocedere al rango di suddito, senza più uno Stato democratico che lo tuteli. Il progetto della globalizzazione neoliberista è semplice, aggiunge Carpeoro: allineare tutti noi al livello degli abitanti del terzo mondo, cioè lavoratori pre-moderni e senza diritti. Il piano procede inesorabilmente: con le crisi finanziarie, le guerre, le bombe, le menzogne quotidiane sfornate dal “pensiero magico”, la suprema manipolazione cui ricorre il massimo potere, sempre impegnato a costruire nemici artificiali che il popolo dovrà odiare, evitando di farsi le domande giuste. Che può fare, il cittadino comune? Ricordarsi di esistere, risponde Erri De Luca: per esempio, la partecipazione al referendum contro le trivellazioni è un grido contro “l’anestesia delle coscienze”. Sapendo però che di ben altra “rianimazione” ci sarebbe bisogno, in un paese che ancora accetta l’euro, considera una sciagura il debito sovrano e pensa che, dopo Bruxelles, sarà bene avere meno libertà in cambio di più sicurezza.Cosa sta succedendo? Ovvero: che portata hanno le trasformazioni epocali che sta vivendo attualmente il mondo, a cominciare dall’Occidente? Gli sconvolgimenti planetari in corso – crisi, migrazioni, guerre – sono a dir poco spettacolari e, in apparenza, senza soluzione. Una costante riguarda l’informazione: il sistema mainstream, divenuto totalizzante, evita accuratamente di riferire le notizie principali e le spiegazioni sulle cause degli eventi che determinano le rilevantissime modificazioni nella vita sociale ed economica di oggi, quindi l’avvenire delle prossime generazioni. L’enormità degli avvenimenti suscita clamore sul web e nei blog, ma coglie impreparati molti degli osservatori ufficiali, intellettuali, economisti, scrittori, accademici. La situazione economica in Europa si è fatta catastrofica. Per la prima volta, dopo 70 anni di sviluppo ininterrotto, i figli crescono sapendo che avranno una vita meno facile di quella dei loro genitori. Il livello di disoccupazione è desolante, e non si vedono vie d’uscita: non ci sono alternative sul tappeto.
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Campo di stelle, la ragazza e la cavalla con un occhio solo
La cavalla si chiama Isotta Raminga. Ha un occhio solo, ma vede lontanissimo. Il suo sguardo si allunga su quasi duemila chilometri, dalle Alpi a Finisterre, dove ha fatto il bagno nell’Atlantico insieme alla sua inseparabile compagna, Paola Giacomini, esperta di trekking estremi. Ragazza e cavalla, sole. Sella e taccuino, per annotare le tappe di un pellegrinaggio dell’anima, scoprendo giorno per giorno la poesia dell’andare, lo sgomento dei cieli infiniti, la durezza della fatica, la magia degli incontri lungo il sentiero. Tutto intorno, la geografia più remota del sud-ovest europeo. Era il 2006, un milione di anni fa. In Sicilia l’antimafia arrestava Provenzano, mentre in Cile moriva Pinochet, uno degli ultimi ruderi del ‘900. Il nuovo millennio già si dava da fare: Jack Dorsay lanciava Twitter, Julian Assange fondava Wikileaks. E ancora all’appello mancavano Lehman Brothers e Fukushima, Mario Draghi e la Troika, la macelleria della Grecia, Monti e Fornero, la fine di Gheddafi, la carneficina della Siria, il losco carnevale di sangue firmato Isis. Se il mondo è impazzito, chi può leggerlo meglio di un cavallo con un occhio solo?«Insensato cercare di assomigliargli, altrettanto insensato chiedergli di assomigliare a noi», scrive Paola di Isotta Raminga. Un cavallo puoi sempre domarlo, ma «è meno scontato conquistarne l’anima: per raggiungerla, occorre concedergli lo spazio per esprimerla, donargli la propria». L’anima, la grande assente del nostro desolato mainstream, desertificato dall’economia di regime, geopolitica e bellica. Il sistema, dice l’ex avvocato Paolo Franceschetti, autore del saggio “Le religioni”, ha letteralmente cancellato la spiritualità dal nostro paesaggio quotidiano, perché ne ha paura: guai, se sospettiamo che la realtà non si esaurisca nella narrazione che ci viene imposta. La pensa così anche Fausto Carotenuto, già analista strategico dell’intelligence, oggi impegnato nel network “Coscienze in rete”: sopra ogni altra cosa, sostiene Carotenuto, il “main-power” teme che ognuno di noi riconquisti l’accesso alla sua dimensione spirituale, la porta della coscienza. A Paola e Isotta è accaduto tanti anni fa: duemila chilometri di meditazione quotidiana, nel silenzio dei grandi spazi. Qualcosa che ti costringe a fare i conti con la vita, senza finzioni.“Campo di Stelle”, singolare diario di viaggio – geografico e interiore – è un esempio di rarissimo nitore espressivo, straordinariamente intenso e coinvolgente: ti porta esattamente là, sul sentiero di Isotta, fra le trepidazioni dei passi alpini e pirenaici, le premure quotidiane per il cibo, la scelta di dove accamparsi per la notte, le incognite del viaggio, le sorprese di un’umanità inattesa. Partire soli, con un cavallo, silenzioso compagno di viaggio. L’animale «catalizza le emozioni, riconosce prima del cavaliere la sua serenità o le sue paure e inquietudini. Se si impara a conoscerlo, si può scoprire un’anima molto più potente del corpo che la contiene». Perché, prima ancora del peso del cavaliere, «sostiene il suo spirito, chiedendogli di vivere in pace e di pensare a una cosa per volta». E se il cavaliere decide inspiegabilmente di lasciare, all’improvviso, il più meraviglioso di tutti i luoghi raggiunti, solo perché è ora di riprendere il viaggio, il cavallo «si stupisce di queste faccende degli uomini che, a volte, non riescono ad accontentarsi di un bel prato e di una fresca fonte».Isotta Raminga è un esemplare arabo-avelignese, sauro, dalla criniera bionda. E’ speciale, «perché sa uscire incolume dalle situazioni più difficili», le fiuta in anticipo, «diventa seria e concentrata». Cessato il pericolo, «torna disincantata e noncurante, come se nulla fosse successo». A volte è distratta: «Quando si annoia dimentica l’attenzione e si fa male». L’occhio lo perse a causa di un calcio, rimediato da un altro cavallo. «La cicatrice dell’occhio che ho dovuto far asportare era appena guarita quando siamo partite», racconta Paola. «Il giorno della partenza, Isotta assomigliava ad un mostro. In Francia il primo impatto con le persone era di ribrezzo; mi chiedevano se avesse fatto la guerra. In un certo senso siamo tutti in guerra. C’è chi le ferite le mostra all’esterno e chi le riporta all’interno». “Campo di stelle” insegna che non esiste cicatrice che non possa rimarginare. Ma bisogna trovare il coraggio di lasciarsi alle spalle ogni certezza.«L’ultimo addio a qualcuno a cui volevo bene è stato a Briançon», scrive Paola, valicato il Monginevro. «Sto cominciando un’avventura desiderata, eppure un nodo mi stringe la gola». Poi, prevale l’incanto degli elementi: «La notte scorsa, poco sopra il Col des Ayes, il cielo ha buttato giù la prima neve». Giorni e notti, a passo lentissimo: la valle della Durance fino a Sisteron, la Provenza, appunti e incontri. Davide, un maniscalco: «Mi ha chiamata mentre passavo sulla strada, come se mi stesse aspettando». E Yves, «un uomo dai modi aristocratici e dall’aspetto selvatico», che vive «nell’umido fondovalle di queste colline profumate di lavanda», scappato da Parigi nel ‘58, quando aveva diciassette anni. «Tante persone stanno realizzando un’idea al limite dell’utopia, con un’armonia che, senza vedere, è difficile immaginare». A Forcalquier, una tribù ospitale: «Il pane viene cotto nel forno a legna una volta la settimana, la cucina è in comune e l’enorme refettorio anche. Mangio con loro, sparecchio e guardo le stelle». Curiosità: «Il ragazzo che si occupa dei cavalli mi chiede cosa mi spinge a partire il mattino seguente. Si chiede se, secondo me, esiste un posto migliore di quello per fermarsi».Acqua e cibo, cartine, la pista più adatta. I deserti pietrosi della Drome, la discesa in Camargue: «Tori, cavalli e fenicotteri oltre recinti di filo spinato». Quindi il Rodano e nuovi silenzi, quelli delle Cevennes. Notti di tregenda: tuoni e lampi, grandine. «Stavolta Isotta è sconsolata e io sono nera come il cielo». L’indomani ricomincia a piovere. «Urlo una bestemmia. Forte. Mi vergogno subito. Dalla casa di fronte si apre una finestra e una signora nigeriana con un sorriso gigante mi chiede, in italiano, se sono italiana». La donna scende in strada in vestaglia, con un ombrellino rosa: «In un attimo sono con lei e la sua pecora in un grande prato recintato con una tettoia, dove metto ad asciugare tutto». Ragazza e cavalla visitano «terre rosse e pietre nere», sostano accanto a una casa dalle cui finestre arriva la musica di un violoncello: «Una pace enorme inonda la terra, quando cala la notte e mi infilo nel sacco a pelo. Grilli e cicale rimbalzano la loro musica. Spengo la luce in ascolto e mi addormento». Altri chilometri, altre lingue: «È la prima notte in Spagna. L’aria è tersa e l’assenza di paesi e di luna fa splendere le stelle all’infinito. Non ho montato il telo».A Roncisvalle, compare una coppia straordinaria. Lei di Strasburgo, lui italiano. Si sono conosciuti in Madagascar. «L’amore è una faccenda tremenda che fa volare e precipitare con la stessa velocità e la stessa dolcezza, senza controllo né previsioni. Ciò che immagini possa funzionare scricchiola, ciò da cui ti aspetti un disastro è una meraviglia». Un saluto e la marcia riprende. Altra beata solitudine: «Immersa nella pozza di acqua limpida, i nodi della stanchezza si sciolgono». In mezzo alle montagne iberiche, a Beldorado, Paola rimedia una camicia bianca che le viene offerta: «Non ho detto di no. Dopo mesi di bivacchi e vita all’aria aperta, sempre vicino a un cavallo, il più possibile lontano dalla civilizzazione, si può diventare dei veri selvaggi». Infine, l’Atlantico: «L’ultimo tramonto d’Europa a questa data e a questa latitudine è verso le dieci e mezza di sera, molto tardi. Il progetto è di raggiungere il Capo di Finisterre per vedere il sole tuffarsi nell’oceano proprio in quel momento lì».Mesi di viaggio, dalla valle di Susa a Santiago de Compostela: «Quest’avventura l’abbiamo vissuta in due: una persona e una cavalla. Quando siamo partite, io sapevo che avremmo viaggiato a lungo. Lei si è accorta solamente che una mattina siamo andate da un’altra parte, e ci siamo fermate a dormire lontano. Il giorno dopo non siamo tornate indietro, abbiamo continuato a camminare verso ovest». Ogni giorno il ritmo era lo stesso, ma i posti sempre nuovi. «Ogni giorno si incontravano altri cavalli e altre persone. Ogni giorno c’erano fieno, orzo e acqua con sapori diversi». Partire, morire, rinascere. Il senso iniziatico do ogni vero viaggio: «Tutto quello che c’è tra oriente e occidente è solo cammino. Partendo è tutto da inventare e tornando diventa quello che riesci a scoprire». Pensieri e sensazioni, in perfetta simbiosi con la cavalla: «Isotta ha saputo tradurmeli mentre comprendeva i miei errori, insegnandomi un linguaggio». Poi dicono che gli animali non abbiano il dono della parola. «Da sola non sarei stata capace di vedere certe cose». L’occhio di Isotta, il cuore della terra: «È stato un pellegrinaggio, non è ancora finito».(Il libro: Paola Giacomini, “Campo di stelle. A Santiago a cavallo”, pagine …. disponibile su Amazon a 15 euro).La cavalla si chiama Isotta Raminga. Ha un occhio solo, ma vede lontanissimo. Il suo sguardo si allunga su quasi duemila chilometri, dalle Alpi a Finisterre, dove ha fatto il bagno nell’Atlantico insieme alla sua inseparabile compagna, Paola Giacomini, esperta di trekking estremi. Ragazza e cavalla, sole. Sella e taccuino, per annotare le tappe di un pellegrinaggio dell’anima, scoprendo giorno per giorno la poesia dell’andare, lo sgomento dei cieli infiniti, la durezza della fatica, la magia degli incontri lungo il sentiero. Tutto intorno, la geografia più remota del sud-ovest europeo. Era il 2006, un milione di anni fa. In Sicilia l’antimafia arrestava Provenzano, mentre in Cile moriva Pinochet, uno degli ultimi ruderi del ‘900. Il nuovo millennio già si dava da fare: Jack Dorsay lanciava Twitter, Julian Assange fondava Wikileaks. E ancora all’appello mancavano Lehman Brothers e Fukushima, Mario Draghi e la Troika, la macelleria della Grecia, Monti e Fornero, la fine di Gheddafi, la carneficina della Siria, il losco carnevale di sangue firmato Isis. Se il mondo è impazzito, chi può leggerlo meglio di un cavallo con un occhio solo?
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Carpeoro: l’élite ricorre alle bombe perché adesso ha paura
Siamo in pericolo, e lo saremo sempre di più. Motivo: l’élite planetaria, quella che oggi ricorre anche al terrorismo stragista, sta cominciando ad avere paura. Teme, per la prima volta, di perdere il potere assoluto che ha esercitato, negli ultimi decenni, in modo incontrastato. A inquietare le super-oligarchie mondiali non è solo il progressivo risveglio democratico di una parte dell’opinione pubblica, sempre più scettica di fronte alla narrazione ufficiale degli eventi. Pesa, soprattutto, la clamorosa diserzione di una parte consistente di quello stesso vertice di potere, spaventato dalle rovinose conseguenze, su scala mondiale, della “dittatura” neoliberista, il cui obiettivo è chiaro: confiscarci ogni diritto e retrocedere tutti noi a livelli di sfruttamento da terzo mondo. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, giornalista e scrittore, acuto osservatore dei retroscena internazionali anche in virtù della sua lunga militanza nella massoneria indipendente. Già avvocato, eminente studioso della cultura simbolica esoterica, Carpeoro è oggi schierato con Gioele Magaldi nella denuncia degli abusi sempre più devastanti che costellano la deriva autoritaria della leadership globale. Qualcuno, lassù, ha cominciato a sfilarsi. E il massimo potere si è spaventato a morte, al punto da pianificare stragi, affidate alla manovalanza dell’Isis.Questa la sintesi della posizione di Carpeoro, espressa durante un lungo intervento alla trasmissione web-radio “Border Nights” del 29 marzo, condotta da Fabio Frabetti con la partecipazione di Paolo Franceschetti, indagatore di molti misteri irrisolti della cronaca italiana. Sul tappeto, l’analisi della situazione internazionale all’indomani dell’ultima ondata di attentati terroristici, da Bruxelles al Pakistan. «E’ evidente che il problema non è l’Isis, ma chi lo manovra», premette Carpeoro, che peraltro denuncia come “deliranti” le tante fantasie complottiste che inondano il web: «Assurdo perdere tempo a domandarsi se è autentico o meno il video di un attentato trasmesso in televisione: i morti sono reali, e nessuno si sforza di capire cosa c’è dietro all’organizzazione stragistica». Certo la colpa non è dell’Islam: «Per secoli, i musulmani hanno protetto ogni minoranza perseguitata, compresi gli ebrei». Siamo noi, colonialisti occidentali, che nell’ultimo scorcio storico abbiamo represso e depresso i popoli arabi, “coltivando” deliberatamente la disperazione di massa che oggi può produrre anche il fenomeno dei kamikaze. Ma bisogna sapere che si tratta di dinamiche accuratamente pilotate: non dal Califfo, ma da chi detiene il potere reale, economico e finanziario, in Occidente.Nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi denuncia apertamente – per la prima volta – il ruolo criminoso di alcune superlogge segrete del vertice occulto internazionale, come ha “Hathor Pentalpha” creata dai Bush, cui avrebbero aderito anche personaggi come Blair, Sarkozy e lo stesso Erdogan. Una macchina perfetta per attuare la strategia della tensione a livello geopolitico, dall’11 Settembre fino alla creazione dell’Isis per destabilizzare il Medio Oriente e imporre ovunque la logica della guerra. Dal canto suo, Carpeoro cita spesso un grande intellettuale come Francesco Saba Sardi, che nel saggio “Dominio” condanna la natura oppressiva del potere sorto all’epoca della prima civilizzazione: con la scoperta dell’agricoltura nasce la guerra per il possesso della terra, quindi lo sfruttamento del lavoro e l’istituzione religiosa per la manipolazione psicologica di soldati e lavoratori. Carpeoro segnala il progressivo e fatale deterioramento delle condizioni sociali, imposto da un potere che ricorre ad un pensiero di tipo “magico”: fa’ quello che ti dico e avrai un premio, l’importante è non ti chieda mai il vero perché delle cose.«Per sua natura, il potere tende sempre a degradarsi col passare del tempo: un vecchio boss mafioso non avrebbe mai seppellito scorie tossiche nel prato dove giocano i suoi figli». Un ragionamento che prende in prestito da Noam Chomsky una celebre riflessione sulla comunicazione mainstream, ispirata dal potere: il pubblico viene “astratto” dalla percezione del reale e rinchiuso in un “cerchio magico”, in cui vigono le regole del “mago”, il persuasore di massa, il cui obiettivo è sempre la manipolazione, quindi la neutralizzazione della coscienza critica di chi ascolta. «A questo scopo, viene regolarmente fabbricato un nemico da detestare». Quando questo nemico tramonta – esempio, Al-Qaeda – c’è già pronto il nuovo nemico, l’Isis. «L’importante è che noi odiamo il nemico di turno, senza collegare le cose e senza mai domandarci chi vi sta dietro, a chi serve tutto il male che viene creato a suon di bombe». E’ la legge della paura, per paralizzare la società: strategia della tensione, appunto.«L’intensità del terrorismo sta crescendo – sottolinea Carpeoro – perché, evidentemente, chi lo organizza pensa di non avere più altre chances per dominarci». A preoccupare i registi occulti del terrore, sempre secondo Carpeoro, sono le importanti defezioni che ormai si registrano in tutto l’Occidente, dall’Europa agli Usa, anche nel mondo massonico e finanziario, ma non solo: «Alle primarie americane un “socialista” dichiarato come Bernie Sanders si è imposto nello Stato di Washington: un segnale inequivocabile». Qualcosa si è incrinato, nell’élite di potere, e i vecchi “dominus” non si sentono più così al sicuro: temono di perdere l’attuale onnipotenza, che consente loro – attraverso la finanza – di fare e disfare popoli, guerre, crisi, esodi (e affari colossali, nell’impunità più assoluta). Ed ecco allora il crescere dell’instabilità, il ricorso sistematico al terrore. I grandi assenti? Manco a dirlo, siamo noi: serve una contro-politica, per imporre un nuovo sistema di valori, capace di farci uscire dal delirio crisi-guerra. Se scoppiano più bombe, dice Carpeoro, è perché chi comanda ha paura che si possa arrivare a un rovesciamento dell’attuale governance. Problema: «Ci vorrà molto tempo, e intanto la situazione peggiorerà ancora. Non possiamo restare a guardare, bisognerà pur fare qualcosa». E cioè: spingere la società a risvegliarsi, per rompere l’assedio dell’orrore, ormai sistematico e quotidiano.Siamo in pericolo, e lo saremo sempre di più. Motivo: l’élite planetaria, quella che oggi ricorre anche al terrorismo stragista, sta cominciando ad avere paura. Teme, per la prima volta, di perdere il potere assoluto che ha esercitato, negli ultimi decenni, in modo incontrastato. A inquietare le super-oligarchie mondiali non è solo il progressivo risveglio democratico di una parte dell’opinione pubblica, sempre più scettica di fronte alla narrazione ufficiale degli eventi. Pesa, soprattutto, la clamorosa diserzione di una parte consistente di quello stesso vertice di potere, spaventato dalle rovinose conseguenze, su scala mondiale, della “dittatura” neoliberista, il cui obiettivo è chiaro: confiscarci ogni diritto e retrocedere tutti noi a livelli di sfruttamento da terzo mondo. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, giornalista e scrittore, acuto osservatore dei retroscena internazionali anche in virtù della sua lunga militanza nella massoneria indipendente. Già avvocato, eminente studioso della cultura simbolica esoterica, Carpeoro è oggi schierato con Gioele Magaldi nella denuncia degli abusi sempre più devastanti che costellano la deriva autoritaria della leadership globale. Qualcuno, lassù, ha cominciato a sfilarsi. E il massimo potere si è spaventato a morte, al punto da pianificare stragi, affidate alla manovalanza dell’Isis.
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Verità indicibili, le grandi intuizioni di Giuseppe Cosco
Chiunque – come me – abbia iniziato a navigare in Internet all’inizio del millennio, si sarà certamente imbattuto in qualche articolo di Giuseppe Cosco. Chi invece è arrivato in rete più tardi, molto probabilmente non conosce nemmeno il suo nome, perché nel frattempo il suo lavoro è stato superato e soppiantato da quello di molti altri ricercatori. Ma Giuseppe Cosco rimane un antesignano in senso assoluto. In rete è stato il primo, ad esempio, a parlare dei Templari oppure dei Rosacroce, di rituali satanici, di Skull&Bones e di Nwo, oppure di pedofilia. Oggi chiunque si metta a navigare in rete scopre, entro 20 minuti al massimo, il simbolismo esoterico che si cela nell’occhio incastonato nella piramide che compare sul dollaro americano. Ma il primo a parlarne fu proprio Giuseppe Cosco, quasi 20 anni fa. Cosco era anche interessato al campo della medicina alternativa. I suoi articoli spaziavano da “La medicina a misura d’uomo di Paracelso” fino a “Tutto quello che non vi hanno detto sull’Aids”, dai rapporti fra “Stress e cancro” fino alla (oggi ben nota) terapia anticancro a base di ascorbato di potassio del dottor Pantellini.Giuseppe Cosco fu anche il primo in assoluto ad intervistare e mettere in rete le informazioni su un oncologo molto particolare, che sosteneva di poter curare il cancro con il bicarbonato di sodio: tale Tullio Simoncini. Ho fatto due chiacchiere su Giuseppe Cosco sia con il figlio Alfredo, sia con Paolo Franceschetti, che naturalmente è un ottimo conoscitore del lavoro di Cosco. «A quel che mi risulta – dice Franceschetti – Cosco fu il primo a suggerire uno scenario con sfondo rituale per il grande mistero del Mostro di Firenze. Lui si è occupato di moltissimi argomenti dei quali oggi mi occupo io, e aveva già presentato, a livello intuitivo, molti collegamenti oscuri che oggi possono essere supportati da una ricerca ben documentata». Ed è proprio su questo argomento che ho posto al figlio la domanda: «Ma come faceva tuo padre a mettere insieme i vari pezzi di questo puzzle, quando ancora in rete non esisteva praticamente nulla al riguardo, ed era impossibile fare delle ricerche in merito?».«Mio padre lavorava in modo intuitivo – ha risposto Alfredo – e aveva la grande capacità di ricordare e di mettere insieme dei particolari apparentemente insignificanti, che trovava nei posti più disparati. Ad esempio, gli capitava di leggere una notizia su un quotidiano, e riusciva a ricollegarla a qualcosa che magari aveva letto in un libro, oppure ascoltato in una trasmissione televisiva, cinque anni prima». Infatti, se gli articoli di Cosco hanno una caratteristica in comune, è proprio quella di fare affermazioni che non sono quasi mai supportate da riferimenti verificabili: questo proprio perché la rete, come la intendiamo noi oggi, in quegli anni non esisteva ancora. Ed è questo che rende ancora più interessante il suo lavoro, a conferma che spesso l’intuizione è proprio la qualità principale che ci permette di giungere a conclusioni apparentemente irrazionali.Giuseppe Cosco era anche un esperto di grafologia, e come tale collaborava spesso con la magistratura di Catanzaro (la città in cui viveva), fornendo un importante contributo nelle varie indagini criminali. Ed è proprio in un tribunale di Catanzaro, durante un’udienza dove stava presentando una perizia grafologica, che Giuseppe Cosco si è improvvisamente accasciato, in un giorno del 2002, apparentemente colpito da un infarto. Paolo Franceschetti ha avanzato dei dubbi su questa morte improvvisa, che egli ha definito «quantomeno sospetta». Lo stesso figlio di Cosco, Alfredo, dice che le cause della morte sono state stabilite in modo superficiale e generico, anche se non ritiene che esistano elementi sufficienti per parlare con certezza di una eliminazione intenzionale.«Al giorno d’oggi – dice Franceschetti – sarebbe perfettamente inutile eliminare un personaggio del genere, che dice cose che sono comunque conosciute e diffuse dappertutto. Ma 15 anni fa Giuseppe Cosco era l’unico a sostenere queste tesi, ed è quindi assolutamente plausibile che qualcuno abbia voluto levarlo di mezzo, prima che arrivasse a rivelare i veri segreti della casta degli intoccabili». Di certo possiamo dire una cosa: che Giuseppe Cosco sia morto per cause naturali, oppure che sia stato eliminato, nessuno potrà mai cancellare il percorso e la memoria di un uomo che ha aperto per tutti noi un sentiero completamente nuovo: quello della ricerca e dell’indagine indipendente sulla rete. Un sentiero che oggi, grazie anche al contributo di personaggi come Giuseppe Cosco, sta diventando una vera e propria autostrada.(Massimo Mazzucco, “Un ricordo di Giuseppe Cosco”, da “Luogo Comune” del 20 gennaio 2016).Chiunque – come me – abbia iniziato a navigare in Internet all’inizio del millennio, si sarà certamente imbattuto in qualche articolo di Giuseppe Cosco. Chi invece è arrivato in rete più tardi, molto probabilmente non conosce nemmeno il suo nome, perché nel frattempo il suo lavoro è stato superato e soppiantato da quello di molti altri ricercatori. Ma Giuseppe Cosco rimane un antesignano in senso assoluto. In rete è stato il primo, ad esempio, a parlare dei Templari oppure dei Rosacroce, di rituali satanici, di Skull&Bones e di Nwo, oppure di pedofilia. Oggi chiunque si metta a navigare in rete scopre, entro 20 minuti al massimo, il simbolismo esoterico che si cela nell’occhio incastonato nella piramide che compare sul dollaro americano. Ma il primo a parlarne fu proprio Giuseppe Cosco, quasi 20 anni fa. Cosco era anche interessato al campo della medicina alternativa. I suoi articoli spaziavano da “La medicina a misura d’uomo di Paracelso” fino a “Tutto quello che non vi hanno detto sull’Aids”, dai rapporti fra “Stress e cancro” fino alla (oggi ben nota) terapia anticancro a base di ascorbato di potassio del dottor Pantellini.
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La gente non vuol capire (ma più che Vespa, poté Travaglio)
La gente non vuole capire. Anche quando porti delle prove documentali precise, anche quando inviti a leggere libri scritti da autori accreditati, la gente non ne vuole sapere lo stesso. Quando ad un certo punto il sistema mi è stato chiaro, ogni tanto mi sono imbattuto, nelle mie ricerche, in alcune verità contrarie a quelle ufficiali. Per almeno tre volte mi è capitato di vedere che delitti palesi e di gente famosa, fatti passare per incidenti e suicidi, non erano tali. La prima cosa che fareste voi quale sarebbe? Io ho chiamato i diretti interessati, i familiari delle vittime. La reazione di rifiuto di costoro, che pure, a loro dire, cercano la verità, mi ha fatto capire che il problema non è solo culturale e processuale. E’ psicologico e sociologico. Perché accettare la realtà è duro e, anche se uno si lamenta delle ingiustizie subite dallo Stato, degli inquinamenti delle indagini, dei depistaggi, è molto più facile accettare la realtà ufficiale e sperare che un giorno tutto torni alla normalità.In questo senso è un esempio mio padre. Pur avendo vissuto accanto a me determinati avvenimenti, pur avendo ricevuto minacce di vario tipo che gli hanno fatto perdere il sonno e la tranquillità per sempre, non accetta l’idea della Rosa Rossa. I miei incidenti sono casuali, nessuno ha mai tentato i uccidermi, quella notte del 2 gennaio in un albergo di Modena, e mi sono semplicemente suggestionato. E così può continuare a votare quelle stesse persone che sono i mandanti delle minacce da lui subite. E se un giorno mi uccideranno, a parte il comprensibile sollievo per la fine di un incubo che incombe nella loro vita, il mio sarà stato senz’altro un incidente. E continuerà a votare le stesse persone. In tal modo sarà ristabilito lo status quo. E finalmente la sua mente troverà pace. Con la mia famiglia non ho più molti rapporti. In particolare con mio padre non ci parliamo più perché ritiene che io sia il problema. Non il sistema io cui viviamo, e la necessità di non voltarsi dall’altra parte. Io.Come meravigliarsi allora se qualcuno legge i miei articoli e poi passa agli insulti, alle derisioni? Invece di porsi il problema e studiare e approfondire, meglio pensare che il problema sia io. E’ più comodo. Si perde meno tempo e non si deve ribaltare convinzioni che oramai sono acquisite da anni. E quando qualche magistrato coraggioso fa un’inchiesta coraggiosa… meglio mandare via lui, piuttosto che parlare dei problemi da questo sollevati. Il problema è chi indaga, mica l’indagato. Il meccanismo è lo stesso in tutti i campi. In conclusione, l’anticomplottista è quella persona intelligente e razionale che ritiene che non siano mai stati individuati i responsabili delle stragi perché i mandanti sono davvero bravi ad occultarsi e a non farsi scoprire (e i nostri poliziotti e magistrati sono dei deficienti). Ritiene che la mafia non può essere sconfitta perché i meridionali sono omertosi. E poi la mafia ha ancora un forte consenso sociale nelle campagne e nei paesi.Ritiene che la politica demenziale della sinistra di questi ultimi decenni è dovuta a scarsa coesione interna, dissidi, ecc. Ritiene che i giornali siano assolutamente uniformati quanto a qualità e quantità di notizie, e quanto alla ripetitività di esse, perché succedono sempre le stesse cose. Ritiene che la Chiesa non prenda posizione contro la guerra, non condanni i guerrafondai, nello Ior nasconda i soldi della mafia mondiale, perché il messaggio di Cristo impone di amare prima di tutto il delinquente e la prostituta; la parabola del figliuol prodigo non dice forse che per il figlio perduto si allestisce il banchetto col vitello grasso? E lei infatti la parabola l’ha presa alla lettera. Ecco perché ad esempio Paolo VI diede delle importanti cariche vaticane a Gelli e Ortolani, gli ideatori della P2. Erano le pecorelle smarrite. Erano i figli perduti e poi ritrovati e quindi gli ha allestito un bel banchetto con le casse dello Ior.Ritiene sia un caso se molti membri che erano nella lista della P2 ora ricoprono cariche importanti, da Berlusconi a Maurizio Costanzo. Ritiene che l’11 Settembre è stato organizzato da uno che vive in una caverna; poi gli aerei hanno centrato il bersaglio, e per puro caso le torri sono venute giù interamente. Dopodichè Bush, avendo a cuore la sua gente, ha deciso di attaccare l’Iraq perché era uno Stato-canaglia, sperando in tal modo di risolvere il problema terroristico, non avvedendosi della leggerissima contraddizione tra il voler combattere il terrorismo (cioè un fenomeno interno) con lo scatenare una guerra (cioè un fenomeno esterno); si sa che le guerre in genere aumentano gli odi e i dissidi, ma si vede che i suoi analisti non arrivano a un simile livello di profondità.Ritiene che la Banca d’Italia è privatizzata e la Bce è fuori dal controllo dei governi perché si sa, il privato è più efficiente del pubblico. Stesso discorso vale per la privatizzazione dell’acqua, del servizio delle esattorie degli enti locali… Meglio darli ai privati. Siamo in un’epoca liberale, che diamine, e basta con questo centralismo statale di tipo comunista! Ritiene che non si facciano leggi serie di riforma dei codici perché i parlamentari non hanno tempo. Sono troppo impegnati a combattere la mafia, il terrorismo, la situazione economica attuale… hanno altre priorità, loro. Le riforme possono aspettare. In realtà l’anticomplottista è due tipi. C’è l’ignorante che non ha mai letto un atto giudiziario, che non ha mai approfondito la cultura massonica, e quindi segue le vicende politiche solo sui giornali ritenendo magari che leggere due o tre quotidiani sia sufficiente per essere informato veramente. E quindi il suo anticomplottismo è sintomo unicamente di chiusura mentale e ignoranza ma non di malafede.E poi c’è l’anticomplottista colto, il giornalista che scrive libri e ci informa su tutte le vicende della vita italiana, lo scrittore. Questo anticomplottista in genere non è deficiente. E’ intelligente, spesso anche tanto, ma è solo in malafede e fa parte del sistema. E il sistema presuppone che chi ne fa parte debba negare i fenomeni che abbiamo elencato. Il complottista invece è quella persona che vede una regia unica dietro tutti questi fatti, una precisa volontà di non perseguire i reati dei colletti bianchi, ma di vessare la povera gente, gli extracomunitari, la gente che non ce la fa ad arrivare a fine mese. Il complottista arriva addirittura – orrore orrore – a ipotizzare un accordo tra Chiesa Cattolica e poteri massonici…. Davvero una cosa inconcepibile, eretica. Il complottista è quello che crede alle scie chimiche, alla massoneria rosacrociana come regia unica delle mafie e delle varie criminalità mondiali, all’esistenza di un’organizzazione chiamata Rosa Rossa dietro a molti dei delitti che la stampa ci propina come delitti comuni. Talvolta, si sa, alcuni complottisti sfociano nel paranoico, credono agli Ufo, e pure ai rettiliani di Icke.Ma se la scelta è questa… allora preferisco essere paranoico. Meglio paranoico che deficiente. E sono orgoglioso di essere un complottista. Il giorno che andrò in giro a dire le stesse cose che dice Icke non mi preoccuperò più di tanto. Al massimo mi curo con qualche pastiglia di Serenase (un antidelirante). Mi preoccuperei invece se cominciassi a dire le cose che dicono Vespa, Gawronski, Facci, Giordano, Ferrara, ecc. Perchè per questi casi non c’è cura: Sono troppo gravi, e alcuni di loro, forse, sono pure in buona fede. Ma se comincerò a parlare come Travaglio o Santoro, per cortesia uccidetemi. Perché vorrà dire che mi hanno comprato, o mi hanno fatto il lavaggio del cervello col programma Mk-Ultra (che ovviamente a quel punto dirò di non conoscere).Termino il post con una frase tratta da un blog che lessi tempo fa. Il blog è “Tra cielo e terra” di Santaruina. Quello che ho scoperto in questi anni è che il “complottismo” per come lo si intende generalmente, è fenomeno alquanto raro. Vi sono invece numerose persone che ad un certo momento della loro vita scoprono, qual novità, che i governi mentono, scoprono che la storia che si insegna a scuola omette alcuni particolari alquanto importanti, che gli eventi spesso si svolgono in modi molto più complessi di come potrebbe apparire ad uno sguardo superficiale. E’ una questione di ricerca, perché, per quanto possa sembrare strano, documenti e fonti autorevoli che svelano la faccia occulta della storia esistono, sono a disposizione. Basta cercarli.(Paolo Franceschetti, estratto da “Complottismo e anticomplottismo. Icke contro Fede. Con Travaglio in mezzo”, dal blog di Franceschetti del 9 gennaio 2009).La gente non vuole capire. Anche quando porti delle prove documentali precise, anche quando inviti a leggere libri scritti da autori accreditati, la gente non ne vuole sapere lo stesso. Quando ad un certo punto il sistema mi è stato chiaro, ogni tanto mi sono imbattuto, nelle mie ricerche, in alcune verità contrarie a quelle ufficiali. Per almeno tre volte mi è capitato di vedere che delitti palesi e di gente famosa, fatti passare per incidenti e suicidi, non erano tali. La prima cosa che fareste voi quale sarebbe? Io ho chiamato i diretti interessati, i familiari delle vittime. La reazione di rifiuto di costoro, che pure, a loro dire, cercano la verità, mi ha fatto capire che il problema non è solo culturale e processuale. E’ psicologico e sociologico. Perché accettare la realtà è duro e, anche se uno si lamenta delle ingiustizie subite dallo Stato, degli inquinamenti delle indagini, dei depistaggi, è molto più facile accettare la realtà ufficiale e sperare che un giorno tutto torni alla normalità.