Archivio del Tag ‘Paolo Borsellino’
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Politici, mafia e imprese: la super-cricca dell’alta velocità
Mentre si stava realizzando la linea dell’alta velocità tra Napoli e Roma, cominciavano a scoppiare una serie di bombe messe dalla criminalità organizzata lungo il percorso. E quindi chiamai i capi della criminalpol, dei carabinieri, della guardia di finanza e della polizia, per dare loro un incarico: accertare quali imprese erano impegnate nell’alta velocità e se, dietro queste, c’erano imprese della mafia e della camorra. Alla fine di questa lunga indagine, durata due anni, mi venne prospettato quest’imbroglio dell’alta velocità. Un grande imbroglio, descrittomi in rapporti molto dettagliati, nei quali si diceva che il governo – non si sa perché – aveva misteriosamente scelto tre general contractor, che poi erano degli enti che si prendevano i soldi senza fare nulla: l’Iri, l’Eni e la Fiat.
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Falcone e Borsellino, lo Stato che oscura la verità
Sono trascorsi diciotto anni dalla strage di via D’Amelio. Diciotto anni da quella di Capaci. Diciassette dalle bombe di Milano, Firenze e Roma. E ancora oggi non conosciamo la verità su quanto accaduto in quegli anni. Così come non sappiamo la verità sulle morti di Antonino Agostino ed Emanuele Piazza, o perché Vincenzo Scarantino si sia autoaccusato di aver procurato l’autobomba che ha ucciso Paolo Borsellino e la sua scorta. La lista dei misteri potrebbe continuare ancora e a lungo. Di sicuro, sappiamo che lo Stato che commemora non è ancora riuscito a garantire la giustizia per i suoi giudici, i suoi poliziotti, i suoi cittadini assassinati. E sappiamo anche che c’è uno Stato che ha agito perché non si arrivasse alla verità sulle stragi di mafia
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Camilleri: Provenzano, Dell’Utri e la vera trattativa
La trattativa Stato-mafia ci fu, ma non risale all’epoca del “papello” con cui Totò Riina dettò a Vito Ciancimino le condizioni di Cosa Nostra, nell’intervallo tra le due stragi del ’92 costate la vita a Falcone e Borsellino. Al contrario, il “papello” servì a mettere fuori gioco lo stragista Riina per poter poi avviare, solo dopo il suo arresto, la trattativa vera: fra Provenzano e la politica, una volta uscita finalmente dal terremoto di Tangentopoli che rendeva instabili i governi e irrealizzabili le leggi a favore della mafia. Lo sostiene il giallista Andrea Camilleri, presentando “Don Vito”, il libro-inchiesta su Vito Ciancimino scritto dal figlio, Massimo Ciancimino, col giornalista Francesco La Licata.
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Pisanu: Stato-mafia, la trattativa ci fu
Carcere duro, legge sui pentiti e confisca dei patrimoni mafiosi: per spuntare queste tre armi strategiche, Cosa Nostra all’inizio degli anni ’90 tentò di convincere lo Stato, con le maniere forti (la stagione delle bombe) ma anche con la diplomazia sotterranea: la trattativa segreta ci fu. Lo ha affermato il 30 giugno l’ex ministro Giuseppe Pisanu, Pdl, ora presidente della Commissione Antimafia. Tra governo italiano e cupola mafiosa «qualcosa del genere» di una trattativa «ci fu», ha scritto Pisanu nella sua relazione, «e Cosa Nostra la accompagnò con inaudite ostentazioni di forza». Obiettivo della trattativa: sabotare l’azione antimafia intrapresa dal pool palermitano di Falcone e Borsellino, sorretta da efficaci strumenti repressivi.
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Mafia, 7 anni a Dell’Utri: la Cupola e l’ascesa di Fininvest
Concorso esterno in associazione mafiosa: condannato anche in appello (7 anni di reclusione) il senatore Marcello Dell’Utri, “architetto” politico di Forza Italia. Secondo l’accusa, Dell’Utri avrebbe avuto rapporti con personaggi di spicco di Cosa Nostra come Stefano Bontate, Mimmo Teresi e Vittorio Mangano, poi finito come “stalliere” nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi. Rapporti che sarebbero serviti a Dell’Utri per assicurarsi la “protezione” mafiosa per operazioni finanziarie e imprenditoriali da lui gestite per sé e nell’interesse delle società di Berlusconi. In cambio, i boss avrebbero trovato la strada spianata verso i salotti buoni della finanza milanese e nazionale.
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Spatuzza senza protezione: «Un morto che cammina»
«Da oggi, Spatuzza è un morto che cammina». Così Antonio Di Pietro commenta la decisione del governo di non concedere la protezione definitiva al possibile pentito-chiave delle indagini sulle stragi di Falcone e Borsellino e sul processo Dell’Utri. Nonostante l’esplicita richiesta di tre Procure (Firenze, Palermo e Caltanissetta), il Viminale ha deciso che Gaspare Spatuzza avrà solo “ordinare misure di protezione” ma non sarà ammesso nel programma speciale che tutela i più importanti pentiti di mafia. «E’ la prima volta che si nega una protezione proposta da ben tre Procure», afferma il procuratore antimafia Nino Di Matteo.
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Martelli: patto con la mafia, per salvare politici
Nel 1992, lo Stato trattò con Cosa Nostra per salvare la vita ad almeno 7 politici, tra i quali ministri ed ex ministri, che i boss consideravano “traditori” per non aver “ammorbidito” (come promesso?) il maxi-processo di Palermo voluto da Falcone e Borsellino. E’ la possibile verità che emerge dalla deposizione dell’ex guardasigilli, Claudio Martelli, davanti ai giudici che stanno processando per favoreggiamento l’ex comandante dei Ros, il generale dei carabinieri Mario Mori. Fu lui a “convincere” Totò Riina, attraverso Vito Ciancimino, a rinunciare alla strategia delle rappresaglie inaugurata con l’assassinio di Salvo Lima?
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Val Susa, sotto attacco la protesta contro l’alta velocità
“Brucia più a voi che a noi”, recitava lo striscione con il quale i No-Tav di Bruzolo, reduci dal primo attentato incendiario del 16 gennaio, hanno preso parte alla “marcia dei 40.000” il 23 gennaio a Susa per dire no alla Torino-Lione, malgrado le trivellazioni preliminari imposte di notte sotto robusta scorta, e contro le quali si sono opposti, come “scudi umani”, alcune centinaia di militanti. E mentre da Torino il sindaco Sergio Chiamparino lanciava la campagna “Sì Tav”, in valle di Susa riprendevano gli attacchi incendiari contro i “presidi” dei manifestanti: l’ultimo, il 31 gennaio, ha distrutto quello di Bruzolo.
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Travaglio: caso Genchi, il thriller che fa tremare l’Italia
«In “Why Not” avevo trovato le stesse persone sulle quali indagavo per la strage di via D’Amelio. L’unica altra indagine della mia vita che non fu possibile finire». Inizia così il dialogo tra Gioacchino Genchi e Edoardo Montolli, su ciò che Berlusconi definì «il più grande scandalo della Repubblica», l’archivio Genchi. Un materiale così scottante da riscrivere gli ultimi vent’anni: da Tangentopoli alle scalate bancarie, dai grandi crac ai processi clamorosi, fino a Falcone e Borsellino, «con elementi nuovi che aprono enormi squarci nelle istituzioni». Non teoremi, ma fatti: «Indagini e amicizie impensabili, uno scioccante dietro le quinte».
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Caro Berlusconi, scrivere di mafia non è sputtanare l’Italia
La mafia? Non esiste. E’ un’invenzione letteraria. Il Padrino? Scarface? Letteratura cinematografica, come potrebbero testimoniare Bob De Niro, Marlon Brando e Al Pacino. Chissà cosa ne penserebbe Leonardo Sciascia, se fosse ancora vivo, dell’ultima sortita del premier, Silvio Berlusconi. Esasperato dalle indiscrizioni di stampa (smentite dai magistrati fiorentini) su presunte collusioni mafiose, il 28 novembre il Cavaliere s’è sfogato coi giovani del Pdl a Olbia: «Se trovo chi ha scritto “La Piovra”, lo strozzo». Secondo il premier, libri e film sulla mafia danneggiano l’immagine dell’Italia.
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Camilleri: rimpiango Sciascia e il suo coraggio della verità
«Saviano è riuscito a dimostrare che si può scrivere un libro – non un romanzo perché è una cosa diversa – e mostrare la camorra per quello che è. Ma è un caso isolato». Parola di Andrea Camilleri, intervistato da “Il Fatto Quotidiano” in occasione del ventesimo anniversario della scomparsa di Leonardo Sciascia, autore del bestseller “Il giorno della civetta”, da cui il celebre film che la La7 trasmette il 22 novembre in prima serata. «Quello è un libro che Sciascia non avrebbe dovuto scrivere», dice Camilleri, rammaricandosi della simpatia che suscita l’eroe negativo della storia, il boss mafioso “don” Mariano Arena.
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Intercettazioni, Ingroia: chi ha paura della verità
Le intercettazioni sono decisive per la lotta alla mafia: senza di esse, le prove sarebbero spesso soltanto indiziarie, affidate alle sole rivelazioni dei pentiti. La mafia le teme, perché sa che proprio dalle intercettazioni sono nate le vittorie dell’antimafia, e non solo. Alcuni “misteri” italiani, tra cui l’assassinio del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, potrebbero essere risolti grazie alla rilettura di registrazioni. Lo afferma da Palermo il procuratore aggiunto antimafia Antonio Ingroia, autore di un lungo intervento su “Il Fatto Quotidiano” che ricostruisce il ruolo strategico delle intercettazioni nella lotta al crimine in Italia.