Archivio del Tag ‘Palazzo Chigi’
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Magaldi: Draghi vuol fare una rivoluzione. Guai, se mente
Confermo: i contatti sono in corso. A noi, massoni progressisti, il “fratello” Mario Draghi continua a dire: datemi fiducia, e io emenderò tutto ciò che ho fatto nel passato e sarò l’artefice di un cambiamento epocale, per l’Italia e per l’Europa. Draghi ha detto e ridetto, giurato e spergiurato che questa è la sua intenzione. Come ricorda Marco Moiso, Draghi si è espresso in questi termini anche pubblicamente. E’ stato uno dei falchi della gestione neoliberista della moneta europea, ma ultimamente ha riconosciuto la difficoltà della Bce nel contribuire a rilanciare l’economia reale, visto che ha immesso capitali quasi solo nell’economia finanziaria. Per questo ha parlato della necessità di legare la Bce a un potere politico, eventualmente il Parlamento Europeo. Ha parlato di eurobond, e persino dell’opportunità di cominciare a considerare modelli economico-monetari radicalmente differenti, addirittura la Modern Money Theory. A noi, esponenti dei circuiti massonici progressisti, Draghi ha dichiarato espressamente di voler essere lui, come “pentito”, uno degli artefici di un cambiamento totale del modello di governance in Europa e in Italia.Lo affermo in modo solenne: misureremo la sua traiettoria dopo passo, senza fare sconto alcuno. Se non facesse quello che ci ha promesso, sarà letteralmente sommerso dagli scheletri che, dai suoi armadi, danzeranno in modo macabro davanti alla sua figura, fino a costringerlo a correre a gambe levate. Ci metto la firma: ve lo assicuro, che in quel caso ci sarebbe un esito di questo tipo. Quindi: guai, a Mario Draghi, se intende prendere in giro la pubblica opinione e gli stessi “fratelli” progressisti, rispetto ai quali ha detto: io sono pronto a fare questo tipo di lavoro, e altri sono con me. Le reti massoniche progressiste possono costringere Draghi a ritirarsi, come già avvenne con Napolitano, che si dimise anche e soprattutto a seguito della pubblicazione del mio libro “Massoni” e dell’interrogazione parlamentare che ne seguì, da parte del Movimento 5 Stelle (in quel caso, della senatrice Laura Bottici). A seguito di quella interrogazione si mise in moto il processo che portò alle dimissioni di Napolitano, che non ha mai retto il confronto con quello che nel libro “Massoni” viene detto, rispetto a lui.Furono determinanti le nostre analisi sul ruolo di Napolitano nella crisi che portò all’incarico a Mario Monti e a una gestione della governance italiana all’insegna dell’austerità. Di Napolitano ha pesantissime responsabilità nell’aver capolvolto in modo spregiudicato le sue idee sull’Europa: qualche decennio prima, quando era un dirigente del Pci, le sue idee erano limpidamente critiche e lucide, nel valutare l’impossibilità democratica della costruzione europea che si andava facendo, e il suo carattere antipopolare. Poi divenne ministro dell’interno, nonché il “comunista preferito” dal massone Kissinger, trasformandosi nel difensore arcigno di qualunque Europa, anche di quella austera, creando quel danno enorme al popolo italiano che è stato il governo Monti, con l’approvazione del pareggio di bilancio in Costituzione. Ebbene, Draghi ha fatto anche peggio di Napolitano, con le privatizzazioni gestite all’epoca in cui era direttore generale del Tesoro. Altro che Britannnia: quella è roba per i gonzi. Sul Britannia non s’è deciso nulla.Il famoso party sul panfilo inglese assomiglia alle riunioni del Bilderberg, dove si beve Champagne di marca, si fa lobbying, ci si mostra camerieri e maggiordomi, ma le decisioni vengono prese altrove, prima e dopo. Il Britannia è stato questo: una cosa che poi servisse ai complottisti per rendersi ridicoli, nel pensare che un progetto come quello di destrutturazione, deindustrializzazione, privatizzazione e predazione dell’Italia lo si possa fare salendo su una nave. Queste cose si strutturano negli anni, si ribadiscono in mille altri contesti. Mario Draghi può essere raccontato come colui che, in continuità negli anni, dal 1992 al 2001, ha gestito le privatizzazioni dal ministero del Tesoro. Quasi tutti, ormai, sanno che sono state uno scempio di asset e beni pubblici. E il principale artefice di questo scempio è stato proprio Mario Draghi, che viene presentato oggi come il salvatore dell’euro.Ora, se questa nostra contro-narrazione la facciamo tutti i giorni, con strumenti di crescente intensità, il povero Mario Draghi dovrà fare le valigie, da qualunque scranno, se non dovesse rispettare gli impegni che ha preso. E se sarà tanto masochista da rimanere, peggio per lui. Quello che intanto possiamo fare, invece, è certificare se Draghi sarà sincero, nell’assumere i panni dell’antagonista di se stesso rispetto al passato, cioè del “pentito” che inaugura un nuovo corso – proprio lui, perché sa benissimo quello che va fatto, e contro chi va fatto. E noi allora non gli faremo la guerra quotidiana che altrimenti gli faremmo. E naturalmente gli daremo anche degli aiuti, che adesso (vista la delicatezza della questione) non posso specificare: farei un regalo ai nostri avversari, se dicessi adesso cosa potremmo fare, di “chirurgico”, in favore di Mario Draghi. I prossimi passi? Sarebbe sciocco, da parte sua, se cercasse di fare il presidente del Consiglio. E non gli sarà facile diventare presidente della Repubblica, dopo Mattarella, perché su Draghi terremo comunque i riflettori puntati, già a partire dall’imminente uscita del secondo volume della serie “Massoni”.Nel libro, che si intitolerà “Globalizzazione, esoterismo e massoneria”, Draghi avrà un posto d’onore, a ricordarne tutte le nefandezze, senza sconto alcuno. Oggi Draghi è il personaggio italiano più potente: al mondo non c’è nessun altro italiano che abbia un curriculum di potenza come il suo. Il potere comunque è sempre fluido: chiunque, domani, potrebbe essere messo da parte. E nelle lotte interne della politica italiana (sempre più complesse, ambigue e oscure) non sarà facile, nemmeno per Draghi, ascendere al Quirinale. Insomma, vedremo. Noi siamo disposti a dargli una mano, se intente mantenere le promesse. Ma c’è poi un altro signore, con cui dobbiamo fare i conti, e stavolta senza l’apertura di credito che concediamo a Draghi (se dimostrerà di rispettare la parola data e gli impegni che dice di voler prendere). Questo signore è Romano Prodi: a differenza di Draghi, non ha fatto nessun atto di pentitismo. Ed è responsabile quanto Draghi delle cattive privatizzazioni italiane e dello scempio del sistema-Italia nel rapporto contrattuale di ingresso nell’Unione Europea e nell’Eurozona.L’opzione di Prodi è alternativa a quella di Draghi. Prodi punta al Quirinale, è la sua ultima occasione. E anche per questo, insieme ad altri, Prodi ha incoraggiato la nascita del movimento delle Sardine, il cui profilo autoritario è ben rilevato da Barbara Spinelli sul “Fatto Quotidiano”, laddove da parte delle Sardine si equipara la violenza verbale (le opinioni) a quella fisica (i fatti), senza più fare la necessaria distinzione tra idee e fatti che è invece fondamentale, in ogni Stato di diritto. Penso che i partigiani democratici, quelli che hanno cantato Bella Ciao in montagna rischiando la pelle, oggi scenderebbero idealmente da quelle montagne e prenderebbero a calci nel sedere questi giovinastri infantili: oggi, inneggiare all’antifascismo e ignorare i pericoli reali (che vengono da tutt’altra parte) mi sembra un atto di mancanza di rispetto verso chi la Resistenza l’ha fatta davvero.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate nel corso della trasmissione web-streaming su YouTube “Massoneria on air” del 19 dicembre 2019, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”, con la partecipazione di Paolo Franceschetti e Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt di cui Magaldi è il leader. Il citato volume “Massoni”, edito da Chiarelettere, uscì a fine 2014. In quelle pagine, Magaldi disegna – in modo esclusivo – la mappa occulta del potere massonico mondiale, affidato a una quarantina di superlogge. Napolitano è indicato come appartenente alla “Three Eyes”, il cenacolo supermassonico reazionario dominanto da figure come quella di Kissinger, mentre Draghi è presentato come membro di 5 diverse Ur-Lodges, tutte di stampo “neoaristocratico” e oligarchico: oltre alla stessa “Three Eyes” sono elencate la “Pan-Europa”, la “Compass Star-Rose / Rosa-Stella Ventorum” e la “Der Ring”).Confermo: i contatti sono in corso. A noi, massoni progressisti, il “fratello” Mario Draghi continua a dire: datemi fiducia, e io emenderò tutto ciò che ho fatto nel passato e sarò l’artefice di un cambiamento epocale, per l’Italia e per l’Europa. Draghi ha detto e ridetto, giurato e spergiurato che questa è la sua intenzione. Come ricorda Marco Moiso, Draghi si è espresso in questi termini anche pubblicamente. E’ stato uno dei falchi della gestione neoliberista della moneta europea, ma ultimamente ha riconosciuto la difficoltà della Bce nel contribuire a rilanciare l’economia reale, visto che ha immesso capitali quasi solo nell’economia finanziaria. Per questo ha parlato della necessità di legare la Bce a un potere politico, eventualmente il Parlamento Europeo. Ha parlato di eurobond, e persino dell’opportunità di cominciare a considerare modelli economico-monetari radicalmente differenti, addirittura la Modern Money Theory. A noi, esponenti dei circuiti massonici progressisti, Draghi ha dichiarato espressamente di voler essere lui, come “pentito”, uno degli artefici di un cambiamento totale del modello di governance in Europa e in Italia.
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Brexit, Carpeoro: siamo perduti, perché l’Europa non esiste
La Brexit è voluta soprattutto dagli Stati Uniti, che fin dall’inizio sono stati contro l’Europa: si sono resi conto che l’Europa poteva essere un interlocutore indipendente, autonomo, e questo gli Usa non lo vogliono. Per loro, il soggetto più affidabile (sotto il profilo della ancillarità) è la Gran Bretagna, e così se la sono recuperata. C’è poco da esultare, perché comunque la Brexit è una ferita a una speranza: quella di fare dei veri Stati Uniti d’Europa che non siano questa Europa (che fa pena) e che realizzino un’aggregazione storica e culturale di un mondo. Alla gente non importa? La gente ragiona di pancia: per chi è cristiano, è la gente che ha deciso che dovesse essere crocifisso Gesù, e non Barabba. Spesso, la gente si schiera dalla parte sbagliata. La prospettiva europea è ineludibile, a mio parere, perché quello dell’Europa è un mondo che si è evoluto secondo accavallamenti di culture diverse, che necessita dell’integrazione e della formattazione, poi, di un progetto unico. Il mondo dell’Europa prevede una serie di componenti: la penisola greca, l’Italia, la penisola ispanica, la Francia, poi il perfezionamento del contatto con i popoli britannici, e poi le popolazioni del Nord. Ed è mancata la fase finale, la sintesi culturale: cioè il mettere assieme tutte queste voci e farne un’armonia, una musica.
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Il Mes e i Miserabili: come siamo caduti in basso, e perché
Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari leghisti e un emissario del grillino Fraccaro.«Non firmiamo niente», conclusero, dopo aver solo potuto guardare da lontano quelle 40 pagine, scritte in inglese, senza la possibilità di fotocopiarle. Alla faccia della sovranità parlamentare. L’ha ripetuto, Borghi, nella diretta web-streaming su ByoBlu con Claudio Messora e Francesco Toscano, poche ore dopo l’infuocata assise delle Camere: la bozza di revisione del micidiale Mes, i cui funzionari si pongono al di sopra di qualsiasi legge, non punibili in nessun caso, ha seguito la stessa procedura clandestina del Ttip, il trattato-fantasma concepito per scavalcare i governi e lasciare alle multinazionali l’ultima parola sui contenziosi con gli Stati. Qui è ancora peggio, rincara Borghi: almeno, l’accesso formale al testo del Ttip (sempre in inglese, non fotografabile neppure con lo smartphone) era previsto dall’agenda. Invece, quei 40 fogli del Mes-2 sarebbero stati esibiti la scorsa estate solo per gentile concessione di Conte, in imbarazzo con i suoi azionisti di riferimento, Lega e 5 Stelle. Uno strappo alla regola: in base al rigido protocollo, le informazioni riservatissime sul rinnovato Meccanismo Europeo di Stabilità, in teoria, si sarebbero dovute limitare unicamente al premier, assistito d’ufficio dal solo ministro dell’economia (all’epoca, Giovanni Tria).Citato da Salvini nella sua requisitoria in aula contro Conte, l’esperto Guido Salerno Aletta, di “Milano Finanza”, conferma l’allarme già lanciato da Antonio Patuelli dell’Abi e, ancor più autorevolmente, dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. E cioè: se l’Italia fosse costretta a ricorrere al Mes, il nuovo Fondo potrebbe chiedere in cambio pesantissime “condizionalità”, inclusa la “ristrutturazione” del debito. Tradotto: le banche, detentrici dei titoli di Stato, potrebbero attingere direttamente ai conti correnti degli italiani. In alternativa, il governo dovrebbe imporre una patrimoniale. Lo conferma, sempre a “ByoBlu”, un tecnocrate come Carlo Cottarelli: per l’Italia il rischio è serio, visto l’attuale sistema di finanziamento (titoli di Stato, con moneta non sovrana) e un debito che galleggia oltre il 130% del prodotto interno lordo. Il documento, infatti, prevede che tutto vada liscio solo per i paesi con un debito non superiore al 60% del Pil, in linea con la “teologia” di Maastricht. Problema: le regole del rigore, pensate trent’anni fa per un’Europa in crescita, si sono scontrate con la realtà della stagnazione, riuscendo solo ad aggravare la crisi e condannare intere economie. E oggi, nel 2019, ancora si insiste con una ricetta perversa e socialmente devastante, votata alla rovina generale?“Non venitemi a dire che non lo sapevate”, è la fragile autodifesa di Conte, che tenta di coinvolgere Salvini e Di Maio, entrambi vicepremier all’epoca dell’incubazione del Mes-2. Vero a metà, a quanto pare: da un lato, il capo della Lega e il portavoce dei 5 Stelle non hanno mai rigettato, a prescindere, la prospettiva dell’ex Fondo salva-Stati. Dall’altro, però, si erano riservati di analizzarlo in modo approfondito. Salvo scoprire, oggi, che il Mes avrebbe viaggiato in clandestinità: un piatto avvelenato, da servire ai Parlamenti solo a cose fatte. E qui, Conte traballa. Accusato frontalmente da Salvini e Giorgia Meloni, è isolato dalla freddezza di Di Maio: i 5 Stelle potrebbero ribellarsi e staccare la spina al governo, pur di bloccare il fondo “ammazza-Stati”? Se il Pd e i renziani fanno quadrato attorno all’attuale titolare dell’economia, cioè il tecnocrate Roberto Gualtieri (creatura di Buxelles), dalla sinistra si sfila “Liberi e Uguali”: per Stefano Fassina, già viceministro di Enrico Letta, l’Italia deve rispedire al mittente, rifiutandosi di approvarlo, questo pericoloso congegno a orologeria.Conte avrebbe già dato il suo ok, all’insaputa di tutti? Malissimo: proprio su questo sembra giocarsi la sopravvivenza del professor-avvocato a Palazzo Chigi, incalzato dalla Lega che si prepara alla mobilitazione popolare, a suon di firme, prima ancora di valutare una mozione di sfiducia, nel caso in cui una frangia dei 300 parlamentari grillini prendesse le distanze da quello che, sulla carta, si presenta come il più insidioso attentato alle tasche degli italiani. Mesi fa, un ex analista dell’intelligence come Fausto Carotenuto aveva confessato: «Temo il Conte-bis, la sua debolezza politica ne farà lo strumento perfetto per l’élite europea intenzionata a farci del male». Oggi, di fronte alla rissa parlamentare sull’ipotetico Fondo Monetario Europeo, un osservatore privilegiato come Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, allarga decisamente l’orizzonte: ma ci rendiamo conto, dice, di cosa stiamo parlando? Lo capiamo, per quale motivo siamo finiti così in basso? Vogliamo deciderci a vederlo, il problema? Alzi la mano chi sa spiegarsi, precisamente, per quale motivo la moneta (europea) è diventata qualcosa da mendicare, da prendere in prestito a caro prezzo, lasciando in pegno interi paesi (e ora, magari, anche il patrimonio di milioni di cittadini).Chiarisce l’economista Nino Galloni, che del Movimento Roosevelt è vicepresidente: ci rendiamo conto che l’Italia ha sì un enorme debito pubblico, ma in compenso vanta un debito privato irrisorio e un ingentissimo patrimonio fatto di risparmi, di capitali e immobili, a garanzia del sistema economico nazionale? E perché allora il rating delle agenzie, adottato da Bruxelles come unico parametro, considera solo il debito contabile dello Stato? Chiedetelo a Prodi, taglia corto un altro “rooseveltiano” come Gianfranco Carpeoro: fu il professore di Bologna, osannato come salvatore della patria dopo aver sfasciato l’Iri che sorreggeva l’industria italiana, a genuflettersi ai signori dell’euro, rinunciando a far pesare il valore reale dell’Italia. Quanto agli eurocrati, un grande imprenditore come Fabio Zoffi, che opera in Germania, ha avuto il coraggio di sbugiardare i guardiani dell’austerity altrui: al “Giornale” ha ricordato che Berlino, mediante svariati artifici contabili, omette enormi cifre nel computo del deficit. Il debito tedesco (quello reale) sarebbe il doppio di quello italiano. Attenzione, avverte Zoffi: proprio grazie al super-debito, sia pure occulto, la Germania funziona meglio dell’Italia. Ergo: anziché tagliare la spesa, perché non allargarla? Il famoso tetto del 3% non è certo una legge economica: è solo un diktat politico-ideologico, che ha finora depresso l’economia.Né si creda che sia intelligente prendersela col signor Franz, dice da parte sua il comunista Marco Rizzo, consultato sempre da Messora: il popolo tedesco non ha idea di quello che combina, alle sue spalle, l’élite che lo governa. Vale per tutti gli altri, inclusi i francesi. La soluzione? Sincronizzare i popoli, coalizzarli contro questa oligarchia che ha privatizzato la moneta. Da tutt’altro versante, quello social-liberale, Gioele Magaldi (in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”), punta il dito contro lo scandaloso dumping fiscale, su cui nessuno fiata: «Che Europa è mai questa, dove si consente che in paesi come l’Olanda e il Lussemburgo sia più conveniente pagare le tasse?». Risultato: l’emorragia di entrate fiscali (Fiat docet), grazie alla fuga delle grandi aziende. Su questo, niente da ridire? Meglio la piccola crociata, vagamente infame, contro l’idraulico che lavora in nero? E i media che fanno, continuano a dormire? Marco Travaglio, addirittura, s’è messo ad incensare Conte: «Saprebbe indicare, Travaglio, un solo illuminante atto di governo che abbia contraddistinto il premier, da quando è a Palazzo Chigi, con l’unica evidente intenzione di restarvi il più a lungo possibile, non importa come, obbedendo ai politici che contano in Europa, anche a scapito degli italiani?».Mai stato tenero, Magaldi, nemmeno con Lega e 5 Stelle. L’accusa: dovevano almeno avviare il cambiamento promesso. «Invece si sono limitati alle chiacchiere: esattamente come Renzi, proprio per questo scaricato a suo tempo dagli elettori». Renzi s’era rimesso in pista, ma ora è stato speronato dalle inchieste sul finanziamento della fondazione Open. «Giusto che la magistratura indaghi, ma senza far politica su questo: ipocrita pensare che i partiti vivano d’aria. Ma sopprattutto: Renzi va bocciato politicamente, perché per l’Italia non ha fatto nulla». Oggi, il mostro ha le sembianze del Mes. E prima ancora: Trattato di Maastricht e Trattato di Lisbona, Fiscal Compact, pareggio di bilancio in Costituzione. «Io sono ultra-europeista», dice Magaldi, «ma intendiamoci: un’Unione Europea non è mai esistita». Chi l’ha detto, ad esempio, che a decidere tutto sia la Bce, non controllata da politici, a loro volta tenuti a rispondere agli elettori? Ora siamo all’apice dell’aberrazione: anziché un ente prestatore di ultima istanza, deputato a finanziare gli Stati in modo virtualmente illimitato, si darebbe vita allo strozzinaggio istituzionale di un organismo ancora meno democratico, super-bancario, abilitato a ricattare popoli scavalcando definitivamente i governi.Al di là di come andrà a finire la miserabile vicenda Mes, incluso lo scaricabarile tra politici, Magaldi sintetizza: tutta quella robaccia va stracciata e riscritta da zero. E’ che ora di svegliarsi, tutti, ma per davvero. Le piccole Sardine? Si decidano: chiedano conto della situazione a chi comanda davvero, in Italia. I sovranisti? Vicolo cieco: a che serve trincerarsi entro i confini, quando è Bruxelles che detiene le leve strategiche, le regole che condizionano l’economia? Vale anche per i rossobruni di Vox Italia: l’oligarchia non ha nulla da temere, da chi rifiuta la battaglia continentale. La risposta? Democrazia, da imporre ai gerarchi dell’Ue. In pillole: «L’Italia sta crollando: viadotti che cadono, scuole a pezzi. Disoccupazione, tasse altissime, aziende che non vengono pagate. Servono 200 miliardi, per rimettere in corsa il paese». E si pensa di elemosinarli al Mes, mettendosi al collo il cappio degli usurai? Non è questione di virgole o di percentuali, insiste Magaldi: c’è da far saltare tutto. Cambiare le regole, da cima a fondo. Primo: «Un’Europa democratica, con la sua Costituzione, e un governo federale finalmente eletto dal Parlamento Europeo». Secondo: «Una banca centrale che emetta eurobond, e sostenga in modo illimitato i debiti pubblici, mettendo fine al ricatto dello spread». O così, o moriremo: malati di Mes, o si qualsiasi altro morbo letale fabbricato in provetta, nei laboratori segreti che hanno sabotato la democrazia per dare vita a questo morto vivente, questo zombie travestito da Sacro Romano Impero, senza più cittadini ma soltanto sudditi.Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari (di cui due leghisti) e un emissario del grillino Fraccaro.
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Frittura di Sardine Ue, fascismi immaginari e ebeti veri
Oggi, i partigiani comunisti che contribuirono a liberare l’Emilia Romagna prenderebbero volentieri a calci nel sedere gli amici delle Sardine, o meglio: il governo di yesmen contro cui si agita Salvini, la bestia nera dei ragazzi-pesce. Lo afferma lo storico Alessandro Guardamagna, in un intervento su “Come Don Chisciotte”. Tema: la patetica propaganda contro “il fascismo”, che non vede il fascismo vero del 2019, quello di Erdogan che tiranneggia i turchi, vessa i profughi e inonda l’Europa di foreign fighters dell’Isis, dopo averli armati e protetti. Temi non pervenuti, però, nell’agenda elettorale delle Sardine, sordomute anche di fronte alla tagliola del Mes, cioè l’agguato – firmato Conte e Gualtieri, i due maggiordomi di turno – contro ogni possibile politica autonoma in Italia (che sia di stampo salviniano o antisalviniano, non importa: se è il Mes a dirti quanto spendere, e per cosa, tu questa Italia non la governi più). Il problema? «Fascismi, sardine e ebeti», riassume Guardamagna. Quanti ebeti? Tantissimi. E vedi che combinazione: l’onda ittica “venuta dal nulla” diventa quasi una marea, proprio mentre Grillo strattona Di Maio suicidando i 5 Stelle, e la mannaia giudiziaria si abbatte sul malcapitato Renzi. Dietro le quinte, giochi paralleli (e in ombra) tra Palazzo Chigi e Quirinale: in panchina si scaldano Draghi e Prodi, i due maggiori devastatori del nostro paese negli ultimi decenni.Non si allarma, la Sardina, se l’orizzonte è ingombro di macerie vecchie di trent’anni, sempre le stesse, provocate dalle dismissioni e dalle privatizzazioni che hanno disarticolato il sistema produttivo, scatenando l’emorragia proprio dei giovani, la cosiddetta fuga dei cervelli. Prodi all’Iri e Draghi al Tesoro: un tandem micidiale, che ha sprofondato l’Italia in zona retrocessione. Ma la Sardina non lo sa, e i suoi zietti più attempati fingono di non saperlo: per loro, già reduci da Girotondi e Popolo Viola, la cancrena si chiamava Berlusconi. Che avrà mai fatto, l’imbarazzante Cavaliere? Niente, letteralmente. E’ questa la sua colpa storica, in soldoni: non ha realizzato nessuna riforma, facendo perdere tempo prezioso al paese. I suoi detrattori, in compenso, avevano già provveduto a sabotare il futuro, mettendo al collo dell’Italia il cappio di Maastricht. Alla fine l’han disarcionato, il Cavaliere, ma per mettere al suo posto quanto di peggio si potesse immaginare: Mario Monti e la sua banda di becchini, inclusa Elsa Fornero. Ma vaglielo a spiegare, alle Sardine. Puntano a testa bassa l’Uomo Nero del momento, solo quello: l’orrido Salvini. Aveva 8 anni, il capo della Lega, quando tutto cominciò: frequentava la terza elementare, mentre Ciampi staccava la spina di Bankitalia, condannando la nazione a far esplodere il debito, da allora sostenuto da “investitori” privati.Si chiama capestro: non dice niente, questa storia, alle Sardine? Non dice niente, alle loro orecchie, il favore sospetto di cui gode la loro rivoluzione colorata presso i censori del regime che controllano stampa e televisione? La puzza di bruciato fa capire che a vincere è il banco, anche stavolta. Se sei una Sardina detesti Salvini, se sei leghista ce l’hai con le Sardine. E se invece sei un semplice italiano, spettatore desolato da questo menù? Storia di ieri: l’élite neoliberale “compra” il centrosinistra per smantellare il Belpaese, e riesce persino a convincere l’elettorato di sinistra (quantomeno, gli “ebeti” di cui parla Guardamagna) che la colpa fosse del puzzone Berlusconi. Con Monti, giù la maschera: pareggio di bilancio e Fiscal Compact, fine della ricreazione. Obiettivo: prosciugare il patrimonio (case, risparmi) dopo aver impedito allo Stato di continuare ad assistere l’economia. Esplode la disoccupazione. E piange anche D’Alema, il principe dei privatizzatori: che strano, i giovani rinunciano a sposarsi e a metter su famiglia. Serviva a quel punto un bravo attore, capace di farci parlar d’altro: ed ecco Renzi. Breve stagione, inevitabilmente (zero idee su come risolvere la crisi). E dunque avanti il prossimo: largo ai grillini, altro evidente bluff. Poi, alle loro spalle, sgusciando fuori dall’obsoleto centrodestra, compare Salvini. Brutto e cattivo, proprio come Berlusconi: ha tutti i requisiti per calamitare l’ostilità degli “ebeti”.Il non-governo provvisoriamente in carica, da sua eminenza Conte in giù, balbetta la solita frittura di Bruxelles (italiani, rassegnatevi all’austerity), con il puntello dei grillini abbarbicati alle poltrone, spaventati dall’idea delle elezioni che li annullerebbero. E mentre i dominus dietro le quinte fanno i loro calcoli, avendo già allertato Prodi e Draghi, la Sardina – nel suo piccolo – si entusiasma nelle piazze, con l’ennesima scenetta all’italiana: molto rumor per nulla, non uno slogan che interpelli chi comanda. A quanto pare, si avvicina l’ora di Salvini? Il leader della Lega, criminalizzato come un fuorilegge col solito sistema (non è degno, non è umano, non è presentabile, non è neppure una persona, è un mostro, è uno xenofobo nazista da impiccare per i piedi) dovrà giocarsi una partita scomodissima. Squalificato e messo fuori gioco da qualche colpo di palazzo, grazie alla furia propedeutica dell’isterismo ittico? O al contrario, costretto – ma per davvero, per la prima volta – a fare i conti con l’Europa, come promesso dai suoi economisti “di sinistra”, come Bagnai, gli unici reclutati da un partito presente in Parlamento? Di che stoffa è, Matteo Salvini? Tralasciando le Sardine, che una risposta già ce l’hanno in tasca, sarà curioso vedere cosa ne penseranno gli italiani, gli altri, a cominciare da quelli che in Emilia non hanno ancora scelto se votare, e chi.(Giorgio Cattaneo, “Sardine, fascismi immaginari e ebeti veri”, dal blog del Movimento Roosevelt del 28 novembre 2019).Oggi, i partigiani comunisti che contribuirono a liberare l’Emilia Romagna prenderebbero volentieri a calci nel sedere gli amici delle Sardine, o meglio: il governo di yesmen contro cui si agita Salvini, la bestia nera dei ragazzi-pesce. Lo afferma lo storico Alessandro Guardamagna, in un intervento su “Come Don Chisciotte“. Tema: la patetica propaganda contro “il fascismo”, che non vede il fascismo vero del 2019, quello di Erdogan che tiranneggia i turchi, vessa i profughi e inonda l’Europa di foreign fighters dell’Isis, dopo averli armati e protetti. Temi non pervenuti, però, nell’agenda elettorale delle Sardine, sordomute anche di fronte alla tagliola del Mes, cioè l’agguato – firmato Conte e Gualtieri, i due maggiordomi di turno – contro ogni possibile politica autonoma in Italia (che sia di stampo salviniano o antisalviniano, non importa: se è il Mes a dirti quanto spendere, e per cosa, tu questa Italia non la governi più). Il problema? «Fascismi, sardine e ebeti», riassume Guardamagna. Quanti ebeti? Tantissimi. E vedi che combinazione: l’onda ittica “venuta dal nulla” diventa quasi una marea, proprio mentre Grillo strattona Di Maio suicidando i 5 Stelle, e la mannaia giudiziaria si abbatte sul malcapitato Renzi. Dietro le quinte, giochi paralleli (e in ombra) tra Palazzo Chigi e Quirinale: in panchina si scaldano Draghi e Prodi, i due maggiori devastatori del nostro paese negli ultimi decenni.
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Sapelli: all’Italia servono l’Ilva e una Lega non più anti-Ue
Mai come in questo momento l’Italia ha bisogno della produzione di Taranto. Perché quegli acciai piani sono, qualitativamente, tra i migliori al mondo. Perché, in un paese fatto di piccole e medie imprese, coprono il 70% del fabbisogno nazionale a un prezzo inferiore rispetto all’oligopolio internazionale. E perché servono a costruire i rapporti con la Mesopotamia, ossia la Siria e l’Iraq ma anche la Libia, e per ricucirci un nuovo ruolo in Europa. Il problema più urgente sembra che per Mittal sia il cattivo affare di un’azienda che perde 2 milioni al giorno? E per il governo quello di arrivare a un compromesso (l’entrata di Cdp, l’accettazione di una parte degli esuberi)? Il governo non mi pare che sia all’altezza. Perché non ha le competenze, e perché nel suo stesso interno ha una forte componente antiindustriale, a sua volta divisa in un’ala esoterica dei 5 Stelle, che vede qualunque elemento d’industria come una connotazione del male, e in un’altra, non necessariamente ambientalista ma legata a certa concezione ideologica del capitalismo.Dati i suoi stabilimenti nel resto d’Europa, Mittal si è buttata su Ilva non per salvarla, ma per chiuderla? Finora, questo tipo di strategia, i grandi investitori tendono raramente a perseguirla. In molti casi, come General Electrics e Avio, si sono sempre mantenuti gli impianti produttivi. E, a dirla tutta, nel lungo periodo, non vedo in giro una sovracapacità produttiva dell’acciaio, anzi. E se ne ha bisogno anche per ragioni strategiche industriali verso l’Africa. Ma di cosa ci stupiamo ora, quando a Venezia assistiamo tranquillamente ogni giorno al transito delle grandi navi a due passi da piazza San Marco? È un atteggiamento italiano. Come il fatto che continuiamo a non avere la separazione delle carriere in magistratura, una giustizia che è quello che è, un apparato tecnocratico abnorme. Dovremmo finirla di fare gli ipocriti. Si parla tanto di investimenti in infrastrutture. Ma se si esclude un accenno alla “golden rule” (lo scorporo dal calcolo del deficit, appunto, degli investimenti pubblici), il governo, almeno sulla carta, ci sta mettendo meno di 1 miliardo. Si cresce, così? Paolo Savona, che è un tecnico inoppugnabile, parla di un alto numero di opere pubbliche già cantierizzate. Mi domando, dato che per esse i soldi sono già stati stanziati, perché non vadano avanti.Il ministro dell’economia Gualtieri conta molto sul decreto fiscale, sulle tasse ecologiche e sul fatto che l’Europa ci dia flessibilità per 12-14 miliardi. Troppo timido e ottimista? Gualtieri è persona molto competente, è uno storico che ha scritto una bella tesi sull’Europa e ha la fortuna di non essere un economista con la testa riempita di sciocchezze. Ma rischia di avere una spiccata visione della manovra influenzata da ideologie del passato, diciamo così. Cos’ho pensato quando si è tornato a parlare di Alitalia? Con Alitalia la situazione non è inedita. Eppure si era arrivati, fondamentalmente, ad un ottimo contratto. Ma i sindacati hanno fatto votare anche i non iscritti (ma come si fa?) e quel contratto è stato respinto. A questo punto bisognerebbe aprire un dibattito pubblico su domande fondamentali: interessa davvero conservare l’italianità? O meglio, un rilancio di proprietà straniera in cui solo la sede legale e produttiva rimangano in Italia? E le risposte non sono semplici, specie considerando che siamo il paese in cui l’alta velocità sulla tratta ferroviaria Milano-Roma ha, di fatto, distrutto la tratta aerea; o dove s’ è scelto di usare Malpensa invece di optare per l’aeroporto di Verona. E posso andare avanti…Una notte, nel 2018, mi proposero di fare il presidente del Consiglio. Semplicemente, un amico mi chiese di mettermi a disposizione per Palazzo Chigi. Siccome io sono piemontese, con un alto senso dello Stato, l’ho fatto. La prospettiva di impedire che Di Maio diventasse premier mi avrebbe spinto a fare qualunque cosa. Il governo reggerà fino alla legge di bilancio? Della manovra interessa a pochi. In realtà i partitelli appena nati, ma anche tutti gli altri, stanno aspettando le nomine degli enti pubblici (circa 500) per applicare lo spoil system e “bassaninizzare” la pubblica amministrazione. E la Lega? Penso che Lega abbia degli ottimi amministratori locali e lavori egregiamente sul territorio. Ma la sua vera strategia per fare la differenza è quella di liberarsi dei suoi estremismi e abbracciare l’Europa. Deve parlare con la Merkel e con quelli che lì contano. Io non concepisco l’idea di sovranismo se non nell’ottica filosofica di Jean Bodin («potere assoluto e perpetuo dello Stato» nell’ambito della tolleranza e della libertà religiosa).(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate nell’ambito dell’intervista “La profezia sull’Ilva: salvarla è vitale, ma il governo non è all’altezza”, realizzata da Francesco Specchia per “Libero” il 19 novembre 2019).Mai come in questo momento l’Italia ha bisogno della produzione di Taranto. Perché quegli acciai piani sono, qualitativamente, tra i migliori al mondo. Perché, in un paese fatto di piccole e medie imprese, coprono il 70% del fabbisogno nazionale a un prezzo inferiore rispetto all’oligopolio internazionale. E perché servono a costruire i rapporti con la Mesopotamia, ossia la Siria e l’Iraq ma anche la Libia, e per ricucirci un nuovo ruolo in Europa. Il problema più urgente sembra che per Mittal sia il cattivo affare di un’azienda che perde 2 milioni al giorno? E per il governo quello di arrivare a un compromesso (l’entrata di Cdp, l’accettazione di una parte degli esuberi)? Il governo non mi pare che sia all’altezza. Perché non ha le competenze, e perché nel suo stesso interno ha una forte componente antiindustriale, a sua volta divisa in un’ala esoterica dei 5 Stelle, che vede qualunque elemento d’industria come una connotazione del male, e in un’altra, non necessariamente ambientalista ma legata a certa concezione ideologica del capitalismo.
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Macché nozze, gli Agnelli hanno venduto la Fiat alla Francia
«Ma quali nozze? Quello tra Peugeot-Psa e Fca non è un matrimonio, ma una compravendita. I francesi hanno acquistato un’azienda americana perché interessati al marchio Jeep-Ram e gli azionisti di Fiat-Chrysler hanno ricevuto una barca di soldi. Però nessuno si stupisca quando il ceo del nuovo gruppo, Carlos Tavares, dovendo fare tagli privilegerà gli impianti d’Oltralpe e quelli tedeschi: il suo azionista si chiama Emmanuel Macron e con la cancelliera Angela Merkel per Opel ha un accordo che blocca ogni licenziamento e che durerà almeno fino al 2023. Il quartier generale sarà a Parigi, la sede fiscale ad Amsterdam. E l’Italia? E Torino? Ne escono sconfitte stupidamente, continuando a fare finta che la Fiat Auto non sia morta, invece lo è dal 2009. A Torino è rimasta una targa e quattro stabilimenti-cacciavite». Così parla Riccardo Ruggeri, ex top manager di corso Marconi e acuto saggista, intervistato da Stefano Rizzi per “Lo Spiffero”, giornale online diretto dal torinese Bruno Babando. «A Torino – ricorda Rizzi – Riccardo Ruggeri è nato 84 anni fa, infanzia in una portineria di 15 metri quadrati dove i genitori abitavano con i nonni e lui dormiva su una brandina in cucina». Figlio e nipote di operai, Ruggeri cominciò proprio come operaio a Mirafiori, per poi diventare impiegato e infine dirigente, al vertice del colosso New Holland: per anni è stato «uno dei top manager più vicini all’Avvocato».Consulente di livello internazionale, ma anche voce dura e spesso fuori dal coro, capace di analisi affilate. Qualcuno, annota Rizzi, gli dato pure del populista, quando ha «imbroccato con buon anticipo lo scenario che si sarebbe verificato con quel matrimonio, che tale non è». Aggiunge il giornalista: Ruggeri «sa che a molti non piace che qualcuno scriva quel che poi si avvera, ma lui lo fa lo stesso da almeno dieci anni». Come mai, dunque, la Fiat sarebbe “morta” un decennio fa? «Bisogna partire proprio da lì, per capire quelle che con un’altra finzione continuano ad essere definite nozze tra Peugeot e Fca», premette Ruggeri. «Intanto non è vero che Fiat fosse tecnicamente finita quando arrivò Sergio Marchionne nel 2004», aggiunge l’ex manager. Il fattaccio «succede invece nel 2009, quando Moody’s taglia il rating e declassa il titolo a spazzatura». Finanza, dunque. «Due mesi dopo il presidente degli Stati Uniti Obama si trova nella situazione di dover salvare Chrysler. Tutti gli altri costruttori del mondo avevano declinato la richiesta, rimaneva solo Fiat. E salvando Chrysler ha salvato Fiat. Prese una decisione che i nostri finti liberisti non avrebbero mai preso». Per Riccardo Ruggeri, in Italia questo non sarebbe potuto accadere: «Il governo italiano faceva finta che la Fiat non fosse di fatto fallita, non ha voluto metterci quattrini e di conseguenza ce li ha messi Obama».Insiste Ruggeri: è stato Obama ad affidare il gruppo «a una persona straordinaria come Marchionne», al quale ha detto di fare gli interessi dell’azionista. «E Marchionne lo ha fatto». Per Ruggeri, Marchionne «si è reso conto che non c’erano possibilità di risanamento». E così, «da quel momento ha smesso di fare il manager ed è diventato un “deal maker”», cioè un operatore finanziario «abilissimo a fare il massimo interesse degli azionisti, che non erano solo Agnelli, ma anche l’establishment americano, dopo la privatizzazione fatta da Obama». Quindi, secondo Ruggeri, è da lì che comincia quell’operazione di preparazione alle dismissioni, la “donazione di organi” dell’ex gigante italiano dell’automotive. «Da quel momento la Fiat Auto è morta», afferma Ruggeri. «Marchionne per anni ha presentato piani strategici che in parte hanno nascosto la realtà: la Fiat se ne va e all’Italia non resta più un’industria dell’automobile». Sottolinea l’ex manager: «Caso unico: nessuno al mondo, salvo il nostro paese, ha rinunciato all’industria automobilistica. I governi di centrodestra e di centrosinistra dell’epoca si guardarono bene dal fare come Obama, nazionalizzare per poi privatizzare, mantenendo però governance, cervelli e lavoro negli Stati Uniti».L’Italia, continua Ruggeri, «ha perso la sua centenaria industria dell’auto seguendo teorie intellettualoidi di miserabili leadership nostrane». Ora la realtà è ridotta alle briciole di Mirafiori, Melfi, Termini Imerese e Pomigliano d’Arco: «Ci sono rimasti quattro stabilimenti il cui destino è nelle mani dell’acquirente francese. Bisogna prenderne atto. Non raccontiamoci la balla che l’Italia conti qualcosa». Si sarebbe potuto salvare Fiat tenendola in Italia? «Io sono convinto di sì, per esempio vendendola a Mercedes», risponde Ruggeri, «ma all’epoca si decise di no». Invece, sottolinea Rizzi, si proseguì con operazioni vantaggiose per gli azionisti mentre ormai il gruppo era fuori dall’Italia, fino ad arrivare a quello che, poche settimane fa, è stato annunciato e salutato come un matrimonio. «Esatto. La vendita a Peugeot è l’ultimo atto di una strategia concepita in modo impeccabile da Marchionne, finalizzata esclusivamente agli interessi degli azionisti». Prima è stata la volta di Cnh e Iveco, poi lo scorporo di Ferrari, poi ancora la vendita di Magneti Marelli che ha fruttato 6 miliardi. E adesso siamo ai titoli di coda, con quelle che chiamano ancora “nozze” con Peugeot.«Tutti devono sapere che, come è successo, quando il compratore liquida al venditore un cedolone da 5,5 miliardi significa che è lui a comandare», sottolinea Ruggeri. «In pratica Peugeot si è comprata Fca pagando un premio del 25-32%». Riassume lo “Spiffero”: per l’ennesima volta, gli azionisti hanno fatto un affare sulla pelle del paese, che ci ha rimesso (dopo aver sostenuto la Fiat per decenni, con aiuti di Stato e cassa integrazione). Cosa c’è da aspettarsi ancora, dopo le finte nozze con i francesi? «Il Ceo Tavares presto incomincerà a ristrutturare, ad eliminare sovrapposizioni: a tagliare, insomma». Riccardo Ruggeri ha una visione chiarissima della situazione: «La produzione di modelli medio-piccoli tra Peugeot, Opel e Fca è in eccesso», avverte. «Dovendo scegliere tra uno stabilimento in Francia, ma anche in Germania, e uno in Italia, avendo un azionista che si chiama Macron e un accordo con la Merkel, cosa pensate che farà?». Bella domanda, da girare magari al povero Landini, che all’epoca si scontrò con Marchionne. Inutile invece recapitarla a Palazzo Chigi, al fantasma di Conte, o ai partiti (tutti: Lega, 5 Stelle, Pd e Forza Italia) assolutamente sordomuti di fronte alle “finte nozze” dei torinesi, che intascano 5 miliardi e mezzo lasciando ai francesi il compito di smontare quel che resta della Fabbrica Italia di cui cianciava l’abilissimo Marchionne.«Ma quali nozze? Quello tra Peugeot-Psa e Fca non è un matrimonio, ma una compravendita. I francesi hanno acquistato un’azienda americana perché interessati al marchio Jeep-Ram e gli azionisti di Fiat-Chrysler hanno ricevuto una barca di soldi. Però nessuno si stupisca quando il ceo del nuovo gruppo, Carlos Tavares, dovendo fare tagli privilegerà gli impianti d’Oltralpe e quelli tedeschi: il suo azionista si chiama Emmanuel Macron e con la cancelliera Angela Merkel per Opel ha un accordo che blocca ogni licenziamento e che durerà almeno fino al 2023. Il quartier generale sarà a Parigi, la sede fiscale ad Amsterdam. E l’Italia? E Torino? Ne escono sconfitte stupidamente, continuando a fare finta che la Fiat Auto non sia morta, invece lo è dal 2009. A Torino è rimasta una targa e quattro stabilimenti-cacciavite». Così parla Riccardo Ruggeri, ex top manager di corso Marconi e acuto saggista, intervistato da Stefano Rizzi per “Lo Spiffero“, giornale online diretto dal torinese Bruno Babando. «A Torino – ricorda Rizzi – Riccardo Ruggeri è nato 84 anni fa, infanzia in una portineria di 15 metri quadrati dove i genitori abitavano con i nonni e lui dormiva su una brandina in cucina». Figlio e nipote di operai, Ruggeri cominciò proprio come operaio a Mirafiori, per poi diventare impiegato e infine dirigente, al vertice del colosso New Holland: per anni è stato «uno dei top manager più vicini all’Avvocato».
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Moncalvo: silenzio assordante sulla fuga della Fiat in Francia
«Tutti parlano giustamente del problema dell’Ilva e dei posti di lavoro a rischio a Taranto, ma nessuno – sottolineo, nessuno – parla dei posti che salteranno per la vicenda Fca-Psa». Perché nessuno ne parla? Molto semplice, risponde Gigi Moncalvo: «Nessuno osa rispondere al seguente interrogativo: quando ci sarà da decidere la sorte, la chiusura degli stabilimenti in Italia (Pomigliano d’Arco, Termini Imerese, Melfi e chi più ne ha, più ne metta), secondo voi prevarrà la volontà e la decisione dei 6 consiglieri (su 11) della corporation francese, oppure prevarrà la tesi di una società che ormai è olandese, londinese e americana?». Ormai l’ex Fiat – per decenni sorretta finanziariamente dallo Stato italiano – è infatti una società di diritto olandese con domiciliazione fiscale nel Regno Unito (e domiciliazione borsistica negli Usa). Insiste Moncalvo, dai microfoni della trasmissione web-radio “Forme d’Onda”: «Che cosa gliene importerà, all’ex Fiat, ormai olandese, londinese e americana, della sorte di Pomigliano d’Arco, Melfi, Termini Imerese e tutto il resto?». L’accusa di Moncalvo è esplicita: «I media tacciono, sull’accordo franco-italiano, perché la Fiat continua a riversare fior di soldi, in termini pubblicitari, su giornali e televisioni». Un modo per avere “buona stampa”, cioè in questo caso stimolare il silenzio dei giornalisti?Categoria alla quale peraltro appartiene lo stesso Moncalvo, cronista di rango, già attivo su alcune tra le maggiori testate italiane (collaboratore di Maurizio Costanzo, Piero Ottone e Guglielmo Zucconi) nonché giornalista sulle reti Mediaset e infine dirigente Rai. Negli ultimi anni, con esplosivi libri-inchiesta (”I lupi e gli Agnelli”, “Agnelli segreti”, spariti dalle librerie ma disponibili attraverso il sito dell’autore), Moncalvo si è concentrato nello scavare tra “ombre e misteri della famiglia più potente d’Italia”. Fino a scoprire cosa? Questo: che un potere-ombra, finanziario e anglosassone, si sarebbe impossessato del controllo politico della Fiat già dal dopoguerra, fino poi a “imporre” che l’eredità di Gianni Agnelli finisse a John Elkann, il quale – giovanissimo – alla scomparsa dell’Avvocato mise l’impero Fiat nelle mani del manager finanziario Sergio Marchionne, campione del neoliberismo americano. Moncalvo evoca anche «rabbini francesi e grembiulini» nell’orbita di John Elkann, alludendo al ruolo del padre, il giornalista e scrittore Alain Elkann, membro del potentissimo Jewish Institute e figlio del banchiere, industriale e rabbino francese Jean-Paul Elkann. Dietro alla “real casa” torinese, attraverso il ramo Elkann oggi al comando, aleggia il potere del B’nai B’rith, elusiva massoneria sionista?Ne parlò il saggista e massone Gianfranco Carpeoro, a proposito della strana fine di Edoardo Agnelli nel 2000: il figlio “ribelle” dell’Avvocato, che in un’intervista al “Manifesto” aveva annunciato l’intenzione di volersi occupare del destino della Fiat, si sarebbe convertito all’Islam, e addirittura alla confraternita mistica dei Sufi. Una foto lo ritrae a Teheran in una sessione di preghiera guidata dall’ayatollah Alì Khamenei, guida suprema della ierocrazia sciita. Fu proprio l’Iran ad accusare il Mossad, il servizio segreto israeliano, della morte di Edoardo Agnelli, precipitato da un viadotto autostradale in circostanze mai del tutto chiarite. Forse per motivi di pura propaganda politica anti-sionista, Teheran accusò la “lobby ebraica” di aver sostanzialmente propiziato l’eliminazione di Edoardo Agnelli (caso archiviato come suicidio) per poter poi mettere completamente le mani sull’impero Fiat dopo la morte di Gianni Agnelli. Dietrologie, semplici illazioni, addirittura insinuazioni senza fondamento? Dal lavoro di Moncalvo, incentrato per lo più sulla imbarazzante “guerra” familiare per l’eredità dell’Avvocato (seguita dall’ancora più imbarazzante silenzio dei media), emerge in sostanza l’impenetrabilità della governance Fiat, retta da logiche che ricordano quelle delle antiche monarchie.Carte giudiziarie alla mano, Moncalvo ha scoperto che il grosso del “tesoro” degli Agnelli è depositato all’estero, lontano dall’Agenzia delle Entrate (a Panama e in un caveau dell’aeroporto di Ginevra), e che i due uomini-ombra dell’Avvocato, Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, manovrarono – insieme ai notai, e d’intesa con la vedova Agnelli, Marella Caracciolo – per favorire in modo esclusivo l’allora giovanissimo John Elkann, entrato nel board Fiat a soli 21 anni. Oggi, ragiona Moncalvo, la Exxor (finanziaria di famiglia) è stata stra-premiata con un “bonus” di oltre 5 miliardi dai futuri partner francesi, che in cambio però prenotano il controllo del colosso Fca-Psa, che verrebbe affidato a Carlos Tavares, l’uomo-Peugeot. Una maxi-buonuscita agli Elkann per lasciare il timone alla Francia, il cui governo oltretutto controlla il 13% del gruppo che include Peugeot, Citroen e Opel? Secondo “Money.it”, Fca porta in dote 102 stabilimenti e un fatturato da oltre 110 miliardi, con marchi come Fiat e Jeep, Lancia, Abarth, Alfa Romeo, Maserati, Chrysler, Dodge, Fiat Professional e Ram. Da canto suo, Psa (che possiede anche Ds Automobiles e Vauxhall) mette sul piatto appena 45 stabilimenti e un giro d’affari da 74 miliardi, inferiore quindi a quello dell’ex Fiat.In sostanza: i francesi offrirebbero di meno ma otterrebbero di più, dopo aver “premiato” a suon di miliardi i torinesi, forse ansiosi – da tempo – di disimpegnarsi dal settore auto? Se è presto per trarre conclusioni, visto che ogni giorno emergono precisazioni sullo sviluppo dell’accordo, ancora in corso nella sua definizione, è sconcertante – rileva Moncalvo – il silenzio assordante del sistema-Italia, di fronte a una notizia di questa portata. Gli stessi sindacati si limitato a mormorare: forse, auspica Landini, la fusione rafforzerà il comparto industriale. Certezze, nessuna: quand’era a capo della Fiom, Landini si vide beffare dall’inesistente Fabbrica Italia, il piano di rilancio solo vagheggiato da Marchionne. Ma ancora più clamoroso è il silenzio dei media nazionali e della stessa politica, evidenziato dall’assenza totale – nella vicenda – del governo Conte. E se chiuderanno gli stabilimenti del centro-sud? Visto che a decidere saranno i francesi, come possono dormire sonni tranquilli gli operai di Melfi, Pomigliano e Termini Imerese? Nessuno sembra domandarselo: silenzio di tomba. Muti i giornali, zitti i partiti, non pervenuto Palazzo Chigi. Purtroppo, la cosa non stupisce: solo in Italia, ricorda Moncalvo con amarezza, nel 1991 – per timore di dispiacere ai signori della Fiat – fu tradotto col titolo “Il silenzio degli innocenti” il film-kolossal di Jonathan Demme, con Jodie Foster e Anthony Hopkins. Nel resto del mondo, il titolo originale (”The silence of the lambs”) fu tradotto correttamente: il silenzio degli agnelli.«Tutti parlano giustamente del problema dell’Ilva e dei posti di lavoro a rischio a Taranto, ma nessuno – sottolineo, nessuno – parla dei posti che salteranno per la vicenda Fca-Psa». Perché nessuno ne parla? Molto semplice, risponde Gigi Moncalvo: «Nessuno osa rispondere al seguente interrogativo: quando ci sarà da decidere la sorte, la chiusura degli stabilimenti in Italia (Pomigliano d’Arco, Termini Imerese, Melfi e chi più ne ha, più ne metta), secondo voi prevarrà la volontà e la decisione dei 6 consiglieri (su 11) della corporation francese, oppure prevarrà la tesi di una società che ormai è olandese, londinese e americana?». Ormai l’ex Fiat – per decenni sorretta finanziariamente dallo Stato italiano – è infatti una società di diritto olandese con domiciliazione fiscale nel Regno Unito (e domiciliazione borsistica negli Usa). Insiste Moncalvo, dai microfoni della trasmissione web-radio “Forme d’Onda“, ripreso anche su YouTube: «Che cosa gliene importerà, all’ex Fiat, ormai olandese, londinese e americana, della sorte di Pomigliano d’Arco, Melfi, Termini Imerese e tutto il resto?». L’accusa di Moncalvo è esplicita: «I media tacciono, sull’accordo franco-italiano, perché la Fiat continua a riversare fior di soldi, in termini pubblicitari, su giornali e televisioni». Un modo per avere “buona stampa”, cioè in questo caso stimolare il silenzio dei giornalisti?
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E bravo Draghi, ha ridotto l’Europa a un nano economico
Mario Draghi alla scadenza del suo mandato è stato celebrato come il salvatore della Ue e dell’euro, e non c’è dubbio che abbia fatto di tutto per evitare il collasso della moneta unica e che ci sia riuscito. Ma per l’economia reale – ecco il rovescio della medaglia – questo non ha portato ad alcun giovamento. Nei dieci anni successivi alla crisi, dal 2007 al 2017, secondo i dati della World Bank, il Pil globale nel mondo è aumentato del 22%. Tutto merito della Cina e l’India? Per la verità gli Usa sono cresciuti del 29%. E l’Europa della Ue e dell’euro? Il dato clamoroso è che l’Europa dell’euro in dieci anni è cresciuta, come Pil, dell’1,7%. Questo è incredibile. L’Europa ha a disposizione scienza e tecnologia quanto l’America e l’Asia e si lavora in media otto ore al giorno anche qui. Americani, giapponesi e cinesi prendono un po’ meno vacanze e hanno meno mesi in maternità, vanno in pensione qualche anno più tardi. Ma la differenza non è poi così grande come si pensa. Una differenza così abissale della crescita economica su dieci anni non la si spiega con le ore lavorate, che sono in Eurozona solo un 10 o 15% di meno complessivamente.E in ogni caso questa differenza esisteva anche vent’anni fa, quando invece la crescita europea era paragonabile a quella del resto dei paesi Ocse.Questo enorme divario di crescita si spiega soprattutto con le politiche molto espansive del credito e dei deficit pubblici, che il resto del mondo ha fatto e noi nella Ue no. In Usa, il Pil è aumentato da 15.000 a 19.300 miliardi, mentre il deficit pubblico aumentava da 10.000 a 21.000 miliardi, più che raddoppiato in dieci anni (e tuttora l’America mantiene un deficit pubblico di 1.000 miliardi l’anno). In Cina il totale del debito (incluso quello di imprese e famiglie) era meno di 10.000 miliardi, e in dieci anni è esploso a oltre 40.000 miliardi. In Italia invece il credito totale a famiglie e imprese è calato, negli ultimi dieci anni, perché quello alle imprese è stato tagliato moltissimo (da 940 a 650 miliardi) e quello alle famiglie è salito solo leggermente. E la politica di Draghi alla Bce, che ha espanso il bilancio della Bce di quasi 3.000 miliardi? Questi miliardi sono andati a comprare debito pubblico, sia direttamente che indirettamente (dandoli alle banche che poi compravano ad esempio Btp). Sarebbe stato utile all’economia se si fossero aumentati i deficit tagliando le tasse, ma “le regole Ue” lo hanno impedito. E allora a cosa sono serviti i 3.000 miliardi di Draghi? Solo a far scendere a zero (o sottozero) il rendimenti di tutti i titoli di Stato, persino quell greci.Questo danneggia i risparmiatori, che infatti oggi in Italia hanno abbandonato i titoli di Stato comprando polizze, fondi e prodotti del risparmio gestito, e poi mettendo 300 miliardi nei conti correnti, che sono saliti a 1.400 miliardi. Se schiacci a zero i rendimenti dei titoli, chi vuole risparmiare deve spendere un poco di meno per compensare il reddito che non riceve più sui suoi soldi messi da parte. In compenso, a questi tassi artificialmente bassi diventa più facile indebitarsi per chi opera speculativamente sui mercati. Buona fortuna. Nel resto del mondo si è reagito alla crisi con politiche aggressive di aumento dei deficit e del credito per far circolare più soldi con ogni mezzo anche tra famiglie e imprese. Si sono tagliate le tasse e si è aumentata la spesa, e le banche sono state spinte ad aumentare il credito. Le statistiche mondiali del debito privato e pubblico mostrano un enorme aumento del debito delle imprese specie in Usa e Cina. Oggi il debito equivale in pratica alla moneta che circola, e se si vuole aumentarla bisogna aumentare il debito. Nessuno lo ha capito meglio dei giapponesi e dei cinesi. Il Giappone infatti come si sa ha un debito pubblico doppio del nostro, e la Cina ha trascinato l’economia globale negli ultimi dieci anni aumentando il debito privato di 30.000 miliardi!Se invece non si aumenta il deficit e non si stimolano le banche a prestare alle imprese, stampare moneta come ha fatto Draghi fa solo scendere i tassi sui titoli di Stato a zero o sottozero. Una cosa irrazionale, mai successa in 4.000 anni di storia, e che accade più che altro in Eurozona. Draghi ha pompato liquidità solo per comprare e far comprare alla banche titoli sui mercati. Poco o niente è andato all’economia reale. Questi dati sull’enorme divario tra il resto del mondo che cresce del 22% e l’Eurozona che cresce dell’1% indicano che siamo diventati una eccezione nel mondo; siamo l’area della crescita demografica zero o negativa, come in Italia, perché siamo prigionieri di una gabbia finanziaria che soffoca l’economia e riduce l’occupazione. L’Eurozona sacrifica le prospettive dei suoi figli, che non riproduce più, per rispettare “vincoli finanziari e di bilancio” di cui il resto del mondo se ne frega.C’è chi usa più che altro il debito privato, come i cinesi (ma le loro banche sono pubbliche), chi usa sia quello pubblco come Usa e Uk, e chi usa il debito pubblico, come i giapponesi: sì anche i giapponesi, i quali hanno goduto di un incremento del reddito pro capite dal 2008 di circa il 7% contro un calo dell’8% dell’Italia, nonostante il loro debito pubblico sia il doppio del nostro. La politica della Bce di Draghi è servita solo a impedire che la zona euro si sfaldasse; ma occorre – in Europa, e in Italia prima di ogni altro paese – uno “shock monetario”, una espansione dell’ordine dei 100 miliardi di euro, sotto forma soprattutto di riduzioni di tasse, per rilanciare gli investimenti. L’attuale legge di bilancio mette il paese in coma farmacologico, ma il prossimo anno ci saranno elezioni politiche anticipate e Salvini andrà a Palazzo Chigi; sarà meglio preparere sin d’ora un valido programma per rianimare l’Italia.(Paolo Becchi e Giovanni Zibordi, “I disastri dell’Euro: l’Ue è cresciuta un decimo rispetto al mondo”, da “Libero” del 3 novembre 2019; articolo ripreso sul blog di Becchi).Mario Draghi alla scadenza del suo mandato è stato celebrato come il salvatore della Ue e dell’euro, e non c’è dubbio che abbia fatto di tutto per evitare il collasso della moneta unica e che ci sia riuscito. Ma per l’economia reale – ecco il rovescio della medaglia – questo non ha portato ad alcun giovamento. Nei dieci anni successivi alla crisi, dal 2007 al 2017, secondo i dati della World Bank, il Pil globale nel mondo è aumentato del 22%. Tutto merito della Cina e l’India? Per la verità gli Usa sono cresciuti del 29%. E l’Europa della Ue e dell’euro? Il dato clamoroso è che l’Europa dell’euro in dieci anni è cresciuta, come Pil, dell’1,7%. Questo è incredibile. L’Europa ha a disposizione scienza e tecnologia quanto l’America e l’Asia e si lavora in media otto ore al giorno anche qui. Americani, giapponesi e cinesi prendono un po’ meno vacanze e hanno meno mesi in maternità, vanno in pensione qualche anno più tardi. Ma la differenza non è poi così grande come si pensa. Una differenza così abissale della crescita economica su dieci anni non la si spiega con le ore lavorate, che sono in Eurozona solo un 10 o 15% di meno complessivamente.E in ogni caso questa differenza esisteva anche vent’anni fa, quando invece la crescita europea era paragonabile a quella del resto dei paesi Ocse.
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Magaldi: è stato il libro ‘Massoni’ a far dimettere Napolitano
Pensateci: chi meglio di Mario Draghi, per smontare il rigore eurocratico? Se fosse sinceramente pentito dei suoi trent’anni di neoliberismo privatizzatore, e ora orientato da una visione neoaristocratica della politica, l’ex presidente della Bce potrebbe fare molto, per l’Italia, se ad esempio fosse eletto presidente della Repubblica dopo Mattarella. Gioele Magaldi, frontman italiano del circuito massonico progressista mondiale, conferma: insieme a Christine Lagarde, che ora ne ha ereditato la poltrona al vertice dell’Eurotower, lo stesso Draghi ha bussato alle porte della massoneria rivale, promotrice dei diritti sociali e ostile al rigore Ue. Tradotto: lui e la Lagarde offrirebbero la loro piena collaborazione per cominciare a rimediare ai disastri che l’élite oligarchica (di cui sono stati leader) ha finora combinato, mettendo alla frusta gli Stati e creando a tavolino una crisi che sembra senza vie d’uscita. L’altra notizia – che Magaldi affida a una video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights” – è che fu proprio lui, con il libro “Massoni” edito da Chiarelettere a fine 2014, a costringere alle dimissioni Giorgio Napolitano all’inizio del 2015, avendone svelato l’imbarazzante cifra massonica occulta e il ruolo di vettore strategico di nefasti poteri extra-italiani.Napolitano, dice Magaldi, «si è dovuto dimettere in seguito all’uscita del mio libro», un besteller (e long-seller, tuttora vendutissimo) preceduto da decine di migliaia di prenotazioni, prima ancora del debutto in libreria. Magaldi ha fondato il Movimento Roosevelt, entità metapartitica trasversale creata per rianimare in senso democratico la politica italiana, sclerotizzata nell’apparente opposizione destra-sinistra (a valle dell’obbedienza trentennale ai poteri forti dell’oligarchia europea). Già inziato alla superloggia “Thomas Paine” e ora gran maestro del Grande Oriente Democratico, lo stesso Magaldi fornisce una lettura esclusiva del back-office del vero potere, che descrive come interamente massonico, dominato da decine di superlogge apolidi e transnazionali che ispirano le scelte politiche a monte dei governi eletti. Secondo questa rappresentazione, una faglia profonda oppone le due galassie supermassoniche: da una parte la corrente progressista rooseveltiana, che detenne la leadership dell’Occidente fino alla fine dgli anni ‘60 preparandosi a lanciare verso la Casa Bianca il ticket rappresentato da Bob Kennedy e Martin Luther King, e dall’altra il filone neo-conservatore che avrebbe messo in campo politici come Reagan e Thatcher, per arrivare fino all’estremismo “terroristico” del clan Bush.Obiettivo della regia supermassonica del neoliberismo: demolire il welfare e la mobilità sociale, in nome dei dogmi economico-filosofici di Milton Friedman, Robert Nozick e Friedriech von Hayek, figli di una concezione neo-feudale della società. Di qui la politica post-democratica dell’ordoliberismo Ue: predisporre la scarsità artificiosa della moneta, sostanzialmente “privatizzata”, per ricattare gli Stati (leggasi spread) togliendo loro sovranità democratica e capacità di spesa, a esclusivo vantaggio della grande finanza speculativa. I rottami di questa lunghissima stagione, aperta in Italia dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia (retta allora dal massone Ciampi), sono sotto i nostri occhi. Il dramma dell’Ilva non è che l’ultimo capitolo di una tragedia a puntate, avviata dallo smembramento dell’Iri affidato a Romano Prodi (che Magaldi definisce “globalizzatore in grembiulino”). Sintomatico l’episodio del Britannia, 2 giugno ‘92, col massone Draghi raccontato come grande protagonista occulto della presunta cospirazione finanziaria anglosassone per la svendita del paese. «Più che le suggestioni complottistiche – avverte Magaldi – pesano i lunghi anni in cui Draghi, da direttore generale del Tesoro, agevolò le disastrose privatizzazioni all’italiana che minarono il futuro del paese».Qualche anno dopo, Massimo D’Alema (per Magaldi, altro supermassone neoaristocratico) si vantò di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni. Ma D’Alema non era un leader della sinistra? Se è per questo lo erano anche Bill Clinton, Tony Blair e Gerhard Schroeder, fautori della “terza via” teorizzata dall’inglese Anthony Giddens come formula a metà strada tra capitalismo e socialismo. In realtà, i “terzisti” erano arruolati nella supermassoneria reazionaria – e tra questi anche Napolitano, iniziato alla superloggia “Three Eyes”, quella di Kissinger, Rockefeller e Brzezinski. Un uomo di cui Magaldi offre un ritratto piuttosto ruvido: «Negli anni ‘50, il comunista Napolitano era stalinista e difese la repressione sovietica della rivolta ungherese, e ancora negli anni ‘70 era un ostinato avversario della prospettiva europeista». Cambiò idea su tutto, capovolgendo le sue posizioni politiche: «Nel 2011, insieme a Draghi, predispose il “golpe bianco” di Mario Monti, eseguendo le direttive della supermassoneria oligarchia e post-democratica europea». Oggi tocca a Draghi cambiare bandiera, stavolta in direzione opposta?C’è chi lo indica candidato al Quirinale addirittura dalla Lega, in cambio del suo appoggio a un eventuale governo Salvini, qualora il Conte-bis saltasse per aria nei prossimi mesi. In molti diffidano del super-banchiere, solo ieri osannato dai peggiori esponenti dell’euro-sistema, Macron e Merkel in testa. Da parte sua, Magaldi ribalta il ragionamento: proprio per il prestigio di cui Super-Mario gode, da Bruxelles a Berlino, chi potrebbe smentire altrettanto autorevolmente i suoi ex sodali? Del resto, far passare dalla tua parte un generale nemico può essere il modo migliore per vincere una guerra. Non c’è bisogno di scomodare il paragone con la lotta alla mafia, dove sono stati i pentiti a svolgere un ruolo decisivo. Proprio la compravendita di colonnelli è lo sport nel quale ha primeggiato il fronte neoliberista, reclutando leader della sinistra e dirigenti sindacali. Era una prescrizione del geniale memorandum scritto nel 1971 da Lewis Powell: “comprare” i capi della sinistra riformista, lasciando a loro il compito di spiegare all’elettorato che l’austerity sarebbe stata cosa buona e giusta. Nel caso di Draghi, in realtà, saremmo di fronte a un ripensamento spontaneo: si è ricordato dell’antico insegnamento progressista del maestro Federico Caffè? In ogni caso, Magaldi è ottimista: gli oligarchi dell’euro-sistema, dice, hanno capito perfettamente che la loro “teologia” del rigore non potrà durare, viste le sofferenze sociali che sta infliggendo ai popoli europei.Pensateci: chi meglio di Mario Draghi, per smontare il rigore eurocratico? Se fosse sinceramente pentito dei suoi trent’anni di neoliberismo privatizzatore, e non più orientato da una visione neoaristocratica della politica, l’ex presidente della Bce potrebbe fare molto, per l’Italia, specie nel caso in cui, ad esempio, fosse eletto al Colle dopo Mattarella. Gioele Magaldi, frontman italiano del circuito massonico progressista mondiale, conferma: insieme a Christine Lagarde, che ora ne ha ereditato la poltrona al vertice dell’Eurotower, lo stesso Draghi ha bussato alle porte della massoneria rivale, promotrice dei diritti sociali e ostile al rigore Ue. Tradotto: lui e la Lagarde offrirebbero la loro piena collaborazione per cominciare a rimediare ai disastri che l’élite oligarchica (di cui sono stati leader) ha finora combinato, mettendo alla frusta gli Stati e creando a tavolino una crisi che sembra senza vie d’uscita. L’altra notizia – che Magaldi affida a una video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – è che fu proprio lui, con il libro “Massoni” edito da Chiarelettere a fine 2014, a costringere alle dimissioni Giorgio Napolitano all’inizio del 2015, avendone svelato l’imbarazzante cifra massonica occulta e il ruolo di vettore strategico di nefasti poteri extra-italiani.
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Salvini a Palazzo Chigi, prenotando il Quirinale per Draghi
Possibile intesa tra Salvini e Draghi: il leghista a Palazzo Chigi e l’ex capo della Bce al Quirinale dopo Mattarella. Se invece l’ipotesi salta, potrebbe tornare in corsa addirittura Prodi: gli stessi 5 Stelle, alla scadenza del mandato di Napolitano, lo avrebbero votato volentieri. Lo ricorda il saggista Gianfranco Carpeoro, nel monitorare la crisi del Conte-bis: come ampiamente previsto dallo stesso Carpeoro già a inizio settembre, l’esecutivo giallorosso sembra avere le ore contate, grazie anche al disastro dell’Ilva. «Servirebbero miliardi per rimediare innanzitutto al problema ambientale di Taranto, ma quei soldi non li abbiamo: sarebbe urgente ripristinare l’Iri e riprenderci le partecipazioni statali, il patrimonio nazionale che le multinazionali ci hanno portato via grazie a uomini come Prodi, che poi – dopo aver eseguito gli ordini – è stato infatti premiato, finendo a Palazzo Chigi». Il guaio? Come paese, l’Italia non esiste quasi più: «Negli anni Ottanta eravamo la quarta forza del mondo, oggi ci facciamo dettare la linea dal giustizialista Marco Travaglio». Del resto, al governo siedono «ectoplasmi» come Di Maio e Zingaretti. Così Salvini ha gioco facile, e già si scalda in panchina: vorrebbe le elezioni anticipate in primavera per diventare primo ministro. E per farlo si copre le spalle, “candidando” Draghi al Quirinale.L’ipotetico connubio Salvini-Draghi, dice Carpeoro in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, è il frutto di una raffinata operazione condotta dal leghista Giancarlo Giorgetti, da sempre in buoni rapporti con il super-banchiere. In cambio dell’appoggio della Lega verso il Colle, Draghi potrebbe indurre il grande potere a cessare le ostilità nei confronti di Salvini? A condizione, probabilmente, che lo stesso leader leghista scenda a più miti consigli: come al solito, sostiene Carpeoro, il potere non fa altro che provare a “disinnescare” politici teoricamente antagonisti, “normalizzandoli” e portandoli dalla sua parte. Finirebbe così anche Salvini, nel caso si realizzasse il disegno di Giorgetti? Peraltro sono in pochi a credere al “pentimento” dell’ultraliberista Draghi, massone reazionario, gran signore dell’austerity europea. Un uomo pragmatico: ha fatto ricorso al quantitative easing quando ha capito che gli conveniva. «Non c’è niente di più duttile del potere, nel cambiare rapidamente posizione a seconda delle circostanze». Che Draghi ambisca a diventare presidente della Repubblica, poi, non è un mistero. Né si vede come il Pd o Renzi potrebbero votargli contro.«In ogni caso, sembra che per l’Italia la situazione sarebbe a saldo zero», sintetizza Frabetti, sia che nasca il tandem Salvini-Draghi, sia che rispunti Romano Prodi. Elezioni anticipate o meno, non si vedono le premesse per nessuna vera svolta politica: nessun partito italiano (nemmeno la Lega) sembra attrezzato per un cambio di passo. «E così – dice Carpeoro – agli italiani non resta che tentare di galleggiare, come accade da decenni», mentre il paese viene spolpato. All’annosa crisi dell’Ilva si aggiunge, tanto per gradire, la perdita definitiva della Fiat: gli Elkann cedono sostanzialmente il timone ai francesi del gruppo Psa. Dalla politica italiana, silenzio di tomba. Dettagli incresciosi: il partito più rappresentato in Parlamento, il Movimento 5 Stelle, è sulla via dell’estinzione. Ha già perso metà dei voti, e potrebbe perdere anche l’altra metà: alle regionali umbre, si è fermato appena sopra il 7%. Con questo tipo di consenso, è impossibile scommettere sul futuro del Conte-bis. Salvini e Draghi, dunque? «Intanto, Draghi ha fatto sapere di aver apprezzato la proposta», dice Carpeoro. E a gennaio incombono le regionali in Emilia: salvo miracoli, è difficile che Di Maio e Zingaretti possano sopravvivere a un’eventuale sconfitta.Possibile intesa tra Salvini e Draghi: il leghista a Palazzo Chigi e l’ex capo della Bce al Quirinale dopo Mattarella. Se invece l’ipotesi salta, potrebbe tornare in corsa addirittura Prodi: gli stessi 5 Stelle, alla scadenza del mandato di Napolitano, lo avrebbero votato volentieri. Lo ricorda il saggista Gianfranco Carpeoro, nel monitorare la crisi del Conte-bis: come ampiamente previsto dallo stesso Carpeoro già a inizio settembre, l’esecutivo giallorosso sembra avere le ore contate, grazie anche al disastro dell’Ilva. «Servirebbero miliardi per rimediare innanzitutto al problema ambientale di Taranto, ma quei soldi non li abbiamo: sarebbe urgente ripristinare l’Iri e riprenderci le partecipazioni statali, il patrimonio nazionale che le multinazionali ci hanno portato via grazie a uomini come Prodi, che poi – dopo aver eseguito gli ordini – è stato infatti premiato, finendo a Palazzo Chigi». Il guaio? Come paese, l’Italia non esiste quasi più: «Negli anni Ottanta eravamo la quarta forza del mondo, oggi ci facciamo dettare la linea dal giustizialista Marco Travaglio». Del resto, al governo siedono «ectoplasmi» come Di Maio e Zingaretti. Così Salvini ha gioco facile, e già si scalda in panchina: vorrebbe le elezioni anticipate in primavera per diventare primo ministro. E per farlo si copre le spalle, “candidando” Draghi al Quirinale.
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Toghe e 007: perché condizionano l’agenda politica italiana
Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).Richiedere a un partito 49 milioni di euro, oggi, significa esporlo al rischio di non poter più svolgere l’attività politica (restringendo in tal modo la libertà costituzionale relativa all’offerta democratica garantita dalle elezioni). Ad Agrigento invece il pm sembra aver trattato Salvini – contrario agli sbarchi – alla stregua un bandito dell’anonima sarda, imputandogli addirittura l’ipotetico “sequestro di persona” a danno dei migranti, come se i profughi fossero stati tenuti prigionieri della nave che li aveva raccolti (e non fossero invece liberissimi di salpare, per poi sbarcare altrove). Ma il colpo più duro, alla Lega, lo hanno assestato i servizi segreti – non si sa di quale paese – che hanno intercettato e registrato a Mosca il famoso colloquio tra l’esponente leghista Gianluca Savoini e alcuni emissari di secondo piano del potere russo. Tema della conversazione: una ipotetica fornitura di petrolio e gas, sulla quale – hanno riferito giornali come “L’Espresso” – lo stesso Savoini (a che titolo, non si sa) avrebbe discusso la possibilità ipotetica di ricevere una percentuale sull’eventuale affare, peraltro non andato in porto e mai neppure avviato. Salvini si è difeso dichiarandosi più che tranquillo, evitando però di rispondere nel merito: del caso si sta occupando la magistratura milanese, a cui qualcuno (chi?) ha inviato l’audio della conversazione all’Hotel Metropol.Infastidito per l’insistenza dei giornalisti italiani che hanno seguito la vicenda (testate che contro l’ex Carroccio hanno condotto una vera e propria crociata politica), il leader lehista è apparso evasivo: ha detto di non essere stato messo al corrente di quell’incontro. In ogni caso, Savoini non rappresentava in alcun modo il governo italiano (all’epoca, ottobre 2018, Salvini era vicepremier, oltre che ministro dell’interno). Peraltro è noto a tutti che la Lega, alla luce del sole, ha sempre avuto ottimi rapporti politici con Mosca e col partito “Russia Unita”, fondato da Putin. Salvini giudica l’uomo del Cremlino uno statista di prima grandezza, e ritiene che l’Italia possa e debba riavvicinare la Russia all’orbita Nato, per ragioni geopolitiche e commerciali, dato anche il valore dell’export italiano verso Mosca. Non solo: dai tempi di Bossi, il Carroccio non è mai stato pregiudiziale nei confronti del mondo slavo. Durante la guerra civile nei Balcani, la Lega Nord fu l’unico partito italiano ad allacciare un dialogo anche con la Serbia filo-russa di Milosevic, bombardata dalla Nato e criminalizzata dalla disinformazione occidentale come unico “cattivo soggetto” dell’area balcanica. Una regione devastata dagli opposti nazionalismi e dal cinismo dei vari leader, come svelato nel memorabile saggio “Maschere per un massacro”, di Paolo Rumiz. Sullo sfondo, il ruolo occulto delle potenze egemoni (Occidente cristiano e Turchia islamica) nella “guerra per procura”, dopo la caduta dell’Urss, contro la residua influenza russa, attraverso il regime serbo, ai confini occidentali dell’Europa.Tornando a Salvini, è evidente lo stato di imbarazzo generato – a torto o a ragione – dal cosiddetto Russiagate. E’ pensabile che l’incidente non abbia inciso, nella scelta di “staccare la spina” dal governo gialloverde nel fatidico agosto 2018? Certo, a Bruxelles la Lega aveva appena incassato il “tradimento” di Conte e dei 5 Stelle, decisivi per l’elezione alla guida della Commissione Europea di Ursula von der Leyen, simbolo del rigore più estremo, di marca tedesca. Un vero e proprio affronto, per l’alleato leghista dichiaratamente impegnato (come un tempo anche i grillini) a pretendere un cambio di paradigma nella governance europea. Va aggiunto che Salvini aveva più di una ragione per pretendere il divorzio dai pentastellati: Conte, il misterioso premier indicato dai grillini ma teoricamente “venuto dal nulla”, aveva sostanzialmente insabbiato i referendum di Lombardia e Veneto per le autonomie regionali differenziate. Ma era stato ancora una volta uno dei consueti player istituzionali (la magistratura, in questo caso) a speronare indirettamente il progetto di Flat Tax, facendo piovere un avviso di garanzia sul suo ispiratore, il sottosegretario leghista Armando Siri. Effetti politici collaterali, certo. Ma intanto, una volta di più, è stato un soggetto terzo – non elettivo – a condizionare l’agenda politica italiana, esattamente come ai tempi di Mani Pulite e poi di Berlusconi.Se qualche potere sovrastante, non istituzionale, ha voluto provare a “togliere di mezzo” Salvini pensando di “utilizzare” apparati statali magari per fare un favore a Conte, oggi è lo stesso premier ad essere costretto (da altri poteri sovrastanti?) a rendere conto del suo operato, presso analoghi organi statali, in merito alla vicenda dell’ipotetico impegno “irrituale” dei servizi segreti italiani in favore di settori dell’intelligence statunitense. Si sospetta cioè che Conte, in modo indebito, abbia messo i servizi italiani a disposizione di quelli di Trump, a sua volta impegnato a difendersi dai vari Russiagate che gli sono stati addebitati: in questo caso, la Casa Bianca avrebbe richiesto l’aiuto italiano per “incastrare” il rivale Joe Biden, accusato di malversazioni in Ucraina. Qualcosa del genere aveva coinvolto anche Renzi: quando era primo ministro, Barack Obama gli avrebbe chiesto di mobilitare gli 007 italiani per aiutare Hillary Clinton ad azzoppare Trump, sempre attraverso indiscrezioni provenienti dalla sfera russa. In attesa che i fatti possano eventualmente chiarirsi (dopo le prime vaghe rassicurazioni rese dal premier al Copasir, ora presieduto dal leghista Raffaele Volpi) resta il fatto che Conte oggi è al governo proprio con Renzi, mentre a Salvini non resta che fare da spettatore.Sarebbe il colmo se lo stesso Conte, domani, fosse costretto a farsi da parte proprio a causa del suo ruolo nella gestione dell’intelligence, che stranamente ha voluto tenere per sé. Per coincidenza, negli ultimi giorni si rincorrono voci di corridoio proprio sull’eventuale sfratto dell’inquilino di Palazzo Chigi. Non durerà a lungo, profetizza Paolo Mieli. Potrebbe venir sostituito da Draghi, ipotizza Augusto Minzolini, interpretando i desiderata del redivivo Renzi. Secondo il saggista Gianfranco Carpeoro, a Renzi i “sovragestori” avevano dato un’ultima chance: rientrare in gioco, se fosse riuscito a silurare Salvini. Detto fatto: d’intesa con Grillo, il fiorentino è stato capace di digerire all’istante persino gli odiati 5 Stelle. In cambio di cosa? Il premio, pare, sarebbe il sospirato accesso al gotha supermassonico, quello da cui proviene il Draghi che oggi prova a dipingere se stesso come una specie di Robin Hood (evocando il ritorno alla sovranità monetaria) dopo aver interpretato per decenni il ruolo spietato dello Sceriffo di Nottingham.A Palazzo Chigi sta davvero per arrivare Super-Mario, che in realtà sarebbe propenso a puntare direttamente al Quirinale evitando la fatale impopolarità che attende chiunque si metta alla guida di un governo? Difficile dirlo. Certo, è impossibile non osservare il basso profilo ora adottato da Salvini: cauto e attendista, più moderato nei toni, concentrato sull’agevole partita tattica delle regionali. Come se sapesse che, a monte, restano da sciogliere nodi assai più grandi della Lega, fuori dalla portata dei comuni elettori. Svolte, scossoni e colpi di scena verranno, ancora una volta, da poteri non elettivi e organi istituzionali non politici? Un certo complottismo indiscriminato tende a mettere in cattiva luce sia i magistrati che gli 007, accusando gli uni di faziosità e gli altri di doppiogiochismo, come se non si trattasse di organismi che (salvo eccezioni) fanno semplicemente rispettare le leggi e vigilano sulla sicurezza del sistema-paese. Semmai, la lente andrebbe puntata su poteri elusivi e superiori, non solo italiani, che ne sfruttassero le prerogative per deviarne l’azione su obiettivi contingenti, condizionando – di fatto – l’agenda nazionale e le sue dinamiche politiche, al di sopra della volontà popolare espressa dai risultati elettorali.Secondo lo stesso Carpeoro, questa particolare fragilità italica ha radici antiche: già in epoca medievale e rinascimentale, Comuni e signorie ricorrevano regolarmente all’aiuto straniero (pagandone poi il prezzo in termini “coloniali”) per sbarazzarsi dei vicini di casa. L’Italia non è riuscita a proteggere né Enrico Mattei dai suoi sicari, né Adriano Olivetti dalla concorrenza industriale, di marca Fiat e statunitense. Travolta giudiziariamente la leadership dei vari Craxi e Andreotti, e scomparso un politico della caratura di Enrico Berlinguer, il Belpaese si è sorbito Berlusconi, Prodi, Grillo e Renzi. Così, Germania e Francia hanno fatto quello che hanno voluto, nella Penisola: Macron ha persino reclutato un esponente del Pd, Sandro Gozi, per farne una sorta di alfiere anti-italiano in sede europea, quand’era ancora in carica il governo gialloverde. Del resto, ormai, da noi vota solo un elettore su due. E quelli che tornano alle urne – nella maggior parte dei casi – lo fanno per votare contro qualcuno, più che per qualcosa. Se questo è il quadro, il meno che ci si possa aspettare è che poteri esterni cerchino di sfruttare le nostre istituzioni, con ogni mezzo, per insediare a Roma il governo più comodo per loro, non certo progettato per il benessere degli italiani. Non ci sarebbe da stupirsi, quindi, se fossero ancora le sentenze, gli avvisi di garanzia e le imprese degli 007 a scegliere tempi, modi e personaggi della politica italiana.Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).
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Il Corriere: omissioni al Copasir, guai in vista per “Giuseppi”
Conte attacca Salvini su Moscopoli, ma tace sulla parte di Russiagate che avrebbe lambito i servizi italiani da lui diretti, messin improvvisamente a disposizione del ministro della giustizia statunitense William Barr, l’estate scorsa. Barr è un politico dell’amministrazione Trump, e dunque – scrive Fiorenza Sarzanini sul “Corriere della Sera” – Conte avrebbe potuto e dovuto partecipare agli incontri invece di «mettere a disposizione» di un altro paese, anche se alleato, i vertici degli apparati di intelligence. «Ci sono ancora alcuni punti oscuri», nella vicenda, che Conte non ha chiarito: ombre, aggiunge il “Corriere”, che il premier «non è riuscito a dissipare durante le dichiarazioni pubbliche, ma neppure nel corso della sua audizione di fronte al Copasir». E tutte «riportano all’interrogativo chiave rimasto senza risposta: perché il capo del governo ha autorizzato quei contatti diretti anziché gestirli personalmente?». Ora a doverne rispondere saranno il direttore del Dis Gennaro Vecchione, quello dell’Aise Luciano Carta e dell’Aisi Mario Parente. Anche perché è stato lo stesso Conte ad ammettere che «dopo la richiesta arrivata a giugno per via diplomatica» sono state «effettuate ricerche in archivio, reperiti documenti, svolti accertamenti». Dunque è stata compiuta una vera e propria indagine.L’obiettivo degli Stati Uniti, come ha confermato Conte, era scoprire che fine avesse fatto Joseph Mifsud, il professore della Link University di Roma che nel Russiagate ha un ruolo chiave. Nel 2016, ricorda sempre il “Corriere”, è stato proprio lui a rivelare allo staff di Trump che i russi avevano numerose email compromettenti contro la candidata dei democratici Hillary Clinton. Mifsud incontrò più volte l’emissario George Papadopoulos, ma un anno dopo sparì all’improvviso. E Trump si convinse che in realtà Midsuf fosse un «agente provocatore» di alcuni servizi segreti europei, con un obiettivo preciso: dimostrare che il presidente americano aveva cercato di incastrare la Clinton. «Ecco perché Barr vuole rintracciarlo o comunque scoprire che fine abbia fatto». Secondo la ricostruzione fornita da Conte, risale a giugno la prima richiesta di Barr: Palazzo Chigi autorizza la collaborazione, «ma il premier non chiarisce che tipo di accertamenti siano stati effettuati». Secondo Conte, non è stata trovata alcuna notizia utile e dunque nulla è stato rivelato al ministro della giustizia americano. «Ma allora – si domanda Fiorenza Sarzanini – perché sono stati organizzati due incontri? Se a ferragosto era già chiaro che l’Italia non aveva dati utili, perché un mese e mezzo dopo è stata convocata una riunione allargata ai direttori delle due agenzie?».Entro qualche settimana, aggiunge il “Corriere”, Trump renderà noto il “rapporto Barr” che contiene tutte le informazioni raccolte dal politico durante il suo giro in Europa, «e dunque anche quanto scoperto nel nostro paese». Dettagli che secondo il “Corrire” «potrebbero mettere in imbarazzo sia il presidente del Consiglio, sia le strutture dell’intelligence perché, come è stato sottolineato al Copasir, sono state assecondate istanze in maniera riservata, mentre si sarebbe dovuta seguire una procedura trasparente che passasse attraverso Palazzo Chigi e il ministero della giustizia». Entrambi gli incontri si sono invece svolti nella sede del Dis in piazza Dante a Roma, e nel secondo colloquio tra i presenti c’era anche il procuratore John Durham. Conte ha specificato che «si trattava di un indagine preliminare, altrimenti avremmo dovuto procedere per rogatoria». In realtà, come viene specificato da alcuni componenti del Copasir, «la presenza del procuratore e del ministro accreditano la tesi che fosse in realtà un’inchiesta già incardinata, e dunque l’Italia avrebbe dovuto essere rappresentata dall’autorità politica delegata e dal guardasigilli».Conte attacca Salvini su Moscopoli, ma tace sulla parte di Russiagate che avrebbe lambito i servizi italiani da lui diretti, messin improvvisamente a disposizione del ministro della giustizia statunitense William Barr, l’estate scorsa. Barr è un politico dell’amministrazione Trump, e dunque – scrive Fiorenza Sarzanini sul “Corriere della Sera” – Conte avrebbe potuto e dovuto partecipare agli incontri invece di «mettere a disposizione» di un altro paese, anche se alleato, i vertici degli apparati di intelligence. «Ci sono ancora alcuni punti oscuri», nella vicenda, che Conte non ha chiarito: ombre, aggiunge il “Corriere”, che il premier «non è riuscito a dissipare durante le dichiarazioni pubbliche, ma neppure nel corso della sua audizione di fronte al Copasir». E tutte «riportano all’interrogativo chiave rimasto senza risposta: perché il capo del governo ha autorizzato quei contatti diretti anziché gestirli personalmente?». Ora a doverne rispondere saranno il direttore del Dis Gennaro Vecchione, quello dell’Aise Luciano Carta e dell’Aisi Mario Parente. Anche perché è stato lo stesso Conte ad ammettere che «dopo la richiesta arrivata a giugno per via diplomatica» sono state «effettuate ricerche in archivio, reperiti documenti, svolti accertamenti». Dunque è stata compiuta una vera e propria indagine.