Archivio del Tag ‘Pakistan’
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Io, il greco e la spagnola. Felici al macello, senza saperlo
Quello che le élites neoliberiste sono riuscite a fare é così grande che non riusciamo neanche ad accorgecene. La sinistra é morta. Morta. Sopravvive in piccole nicchie, intellettuali o no. Ma dire una goccia nell’oceano forse è dire troppo. Che cos’é il cosmopolitismo? Ognuno è cittadino del mondo. Che cos’é l’individualismo? L’individuo è al centro del mondo. Questa sera ad Atene ho avuto una discussione con una ragazza spagnola e un ragazzo greco. Lui 36 anni, di Atene. Lei molti meno, credo meno di 25. Entrambi hanno girato parecchio. Lei molto di più. Fra noi ci si parla in inglese. Tre nazioni del sud Europa per capirsi fra di loro devono parlare una lingua del nord Europa. Come fare a cambiare il mondo? Lei e lui dicono all’unisono: «Per cambiare il mondo bisogna che ognuno di noi cerchi di cambiare se stesso e le persone che gli stanno vicino». Poi il mondo cambierà.Io a lei le ho detto, mentre lui era in bagno: «Marx diceva che non è la coscienza degli uomini a creare il loro essere sociale; al contrario, è il loro essere sociale che crea la loro coscienza». Per lei non era giusto. Lui mi dice: «Se il figlio del padrone della Nike fosse un mio amico, io parlando con lui riuscirei a cambiarlo. E poi quano prenderà il posto del padre non sarà una merda come lui». E io gli rispondo: «Ma lui ha interessi diversi dai tuoi, dai miei. Davvero speri di cambiarlo?». Lui mi risponde deciso: «Sì». Lei: «Non credo nei muri e nelle frontiere». Lui: «Il cambiamento deve partire da noi stessi», e poi sparecchia al posto della cameriera. Perché dei valori buoni finiscono ad asservire gli interessi del grande capitale internazionale?Lei ha una fotocamera Canon, lui una macchina giapponese credo, non so la marca. Mi dicono che i soldi non sono niente. Io gli dico: «Allora la birra che ci stiamo bevendo é niente?». Sguardo in un altra direzione. Nel frattempo i manager dell’Hitachi stavano brindando per l’acquisto dell’Ansaldo. I soldi che faranno non saranno redistribuiti fra i lavoratori, verranno investiti in borsa in qualche titolo ad alto rendimento. La discussione é iniziata perché lui nota al mio polso un braccialetto comprato dai giamaicani in piazza Monastiraki. Loro dicono che i giamaicani sono invandenti, non rispettano il volere degli altri e assillano la gene finché non comprano un braccialetto. Io provo a dire loro che per i giamaicani immigrati è questo il lavoro che possono fare, perché la comunità giamaicana qui fa così. Poi si é passati ai pakistani che lapidano le donne. Da lì gli ho detto che dobbiamo lasciare in pace quei popoli e dare loro la possibilità di autodeterminarsi. Da lì i lavoratori sfruttati della Nike, ecc.Persone che viaggiano molto, vedono diverse culture, diverse storie poi non capiscono un cazzo di come funziona la società. Perché l’individuo sta al centro, le genti si mischiano, ecc. Ma in un mondo di genti mischiate, se noi viaggiamo, in realtà sarà come viaggiare sempre nello stesso posto. E gli individui saranno tutti così uguali che parlare diventerà come pensare fra noi stessi. Della politica non gliene frega un cazzo. Non conta, dicono. A lui gli ho detto io l’ultima proposta di legge di Varoufakis. Lei fa video girando il mondo, prendendo due soldi di qua e di là. E li spende tutti viggiando. Lui non so che lavoro fa. Ma a 36 anni se esci la sera a bere è perché non guadagni abbastanza. Quando provo a dirgli che i nostri genitori alla nostra età guadagnavano più di noi il discorso si blocca. La politica, l’economia, non contano un cazzo. Siamo tutti cittadini del mondo. Dobbiamo avere rispetto gli uni degli altri e tutte le cose andranno bene. Il mondo cambierà. Elites neoliberiste brindate. Un esercito di schiavi consapevoli della loro libertà vi sta dinnanzi. La spagnola me la sono giocata. E ci stava. Ma non riesco a fare sì con la testa.(“Il cosmopolitismo individualista”, dal blog “Vox Populi” del 6 marzo 2015).Quello che le élites neoliberiste sono riuscite a fare é così grande che non riusciamo neanche ad accorgecene. La sinistra é morta. Morta. Sopravvive in piccole nicchie, intellettuali o no. Ma dire una goccia nell’oceano forse è dire troppo. Che cos’é il cosmopolitismo? Ognuno è cittadino del mondo. Che cos’é l’individualismo? L’individuo è al centro del mondo. Questa sera ad Atene ho avuto una discussione con una ragazza spagnola e un ragazzo greco. Lui 36 anni, di Atene. Lei molti meno, credo meno di 25. Entrambi hanno girato parecchio. Lei molto di più. Fra noi ci si parla in inglese. Tre nazioni del sud Europa per capirsi fra di loro devono parlare una lingua del nord Europa. Come fare a cambiare il mondo? Lei e lui dicono all’unisono: «Per cambiare il mondo bisogna che ognuno di noi cerchi di cambiare se stesso e le persone che gli stanno vicino». Poi il mondo cambierà.
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Chi riportò l’Afghanistan al medioevo, più di trent’anni fa
«Questa sera, per la prima volta dall’11 Settembre, la nostra missione di guerra in Afghanistan è conclusa». Queste le parole di apertura del discorso di Obama sullo Stato dell’Unione del 2015. In realtà, circa 10.000 soldati e 20.000 appaltatori militari (leggi mercenari) rimangono in Afghanistan con incarichi imprecisati. «La guerra più lunga nella storia americana sta arrivando ad una conclusione responsabile», ha detto Obama. La verità è che più civili sono stati uccisi in Afghanistan nel 2014 che in qualsiasi anno da quando l’Onu tiene il conto. La maggior parte delle uccisioni – sia civili che militari – sono avvenute durante la presidenza di Obama. La tragedia dell’Afghanistan fa a gara con il crimine epico perpetrato in Indocina. Nel suo elogiato e più volte citato libro “La grande scacchiera: il primato americano e i suoi imperativi geostrategici”, Zbigniew Brzezinski, il padrino delle politiche americane dall’Afghanistan ad oggi, scrive che se l’obiettivo dell’America è quello di controllare l’Eurasia e di dominare il mondo, non può reggere una democrazia popolare, perché «la ricerca del potere non è un obiettivo che richiede passione popolare, la democrazia è nemica dell’impegno imperiale». Ha ragione.Come hanno rivelato “Wikileaks” e Edward Snowden, uno Stato di polizia e di controllo sta infatti soppiantando la democrazia. Nel 1976, Brzezinski, allora consigliere della sicurezza nazionale della presidenza Carter, ha dimostrato il suo punto di vista comminando un colpo mortale alla prima e unica democrazia dell’Afghanistan. Ma chi la conosce questa storia fondamentale? Nel 1960, una rivoluzione popolare dilagò in Afghanistan, il paese più povero della terra, riuscendo alla lunga nell’intento di rovesciare le vestigia del regime aristocratico nel 1978. Il Pdpa, Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan, formò un governo e compilò un programma di riforme che prevedeva l’abolizione del feudalesimo, la libertà per tutte le religioni, la parità di diritti per le donne e giustizia sociale per le minoranze etniche. Più di 13.000 prigionieri politici furono liberati e gli archivi di polizia pubblicamente bruciati. Il nuovo governo introdusse cure mediche gratuite per i più poveri; la condizione di bracciante fu abolita, un programma di alfabetizzazione di massa fu varato. I progressi che ci furono per le donne erano fino ad allora impensabili.Verso la fine del 1980, la metà degli studenti universitari erano donne, e le donne rappresentavano quasi la metà dei medici in Afghanistan, un terzo dei dipendenti pubblici e la maggior parte degli insegnanti. «Ogni ragazza», ricorda Saira Noorani, chirurga, «poteva andare a scuola e all’università. Potevamo andare dove volevamo e indossare quello che ci piaceva. Di venerdì andavamo al bar o al cinema a vedere l’ultimo film indiano e ascoltavamo la musica più in voga. Tutto cominciò ad andare storto quando i mujahedin iniziarono ad imporsi. Uccidevano gli insegnanti e bruciavano le scuole. Eravamo terrorizzati. Era strano e triste pensare che queste persone erano spalleggiate dall’Occidente». Il Pdpa al governo era sostenuto dall’Unione Sovietica, anche se, come l’ex segretario di Stato Usa, Cyrus Vance, ammise poi, non vi era alcuna prova di complicità sovietica [nella rivoluzione]». Preoccupato dalla crescente fiducia dei movimenti di liberazione in tutto il mondo, Brzezinski decise che, se l’Afghanistan avesse trionfato con il Pdpa, la sua indipendenza e il suo progresso avrebbero posto «la minaccia di un esempio promettente».Il 3 luglio 1979, la Casa Bianca segretamente autorizzò lo stanziamento di 500 milioni di dollari in armi e logistica per sostenere gruppi tribali “fondamentalisti”, conosciuti come i mujahedin. L’obiettivo era quello di rovesciare il primo governo laico e riformista dell’Afghanistan. Nel mese di agosto del 1979 l’ambasciata americana a Kabul segnalò che «gli interessi degli Stati Uniti sarebbero stati asserviti meglio [dalla scomparsa del Pdpa] malgrado ciò che questo avrebbe significato per le future riforme sociali ed economiche dell’Afghanistan». I mujaheddin furono i precursori di Al-Qaeda e dello Stato Islamico. Tra questi c’era Gulbuddin Hekmatyar, che ricevette decine di milioni di dollari in contanti dalla Cia. Le specialità di Hekmatyar erano il traffico di oppio e gettare acido in faccia alle donne che si rifiutavano di indossare il velo. Fu invitato a Londra e decantato dal primo ministro, Margaret Thatcher, come «combattente per la libertà». Forse questi fanatici sarebbero rimasti nel loro mondo tribale se Brzezinski non avesse promosso un movimento internazionale per favorire il fondamentalismo islamico in Asia centrale, così minando una politica laica di liberazione e “destabilizzando” l’Unione Sovietica, per creare, come scrisse poi nella sua autobiografia, «un po’ di musulmani esagitati».Il suo grande piano coincise con le ambizioni del dittatore pakistano, il generale Zia ul-Haq, per il dominio della regione. Nel 1986, la Cia e l’Isi, l’agenzia di intelligence del Pakistan, iniziarono a reclutare persone da tutto il mondo per promuovere la jihad afghana. Il multi-miliardario saudita Osama Bin Laden era tra questi. Agenti che un domani si sarebbero uniti ai Talebani e ad Al-Qaeda furono reclutati in un college islamico di Brooklyn, New York, e a loro fu impartita una formazione paramilitare in una zona di proprietà della Cia in Virginia. Questa fu chiamata “Operazione Ciclone” e il suo successo culminò nel 1996, quando l’ultimo presidente del Pdpa afghano, Mohammed Najibullah – che si era recato al cospetto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per implorare aiuto – fu impiccato a un lampione dai Talebani. Il risultato dell’Operazione Ciclone e dei suoi “pochi musulmani esagitati” fu l’11 settembre 2001. L’“Operazione Ciclone” divenne la “guerra al terrore”, in cui innumerevoli uomini, donne e bambini avrebbero perso la vita in tutto il mondo musulmano, dall’Afghanistan all’Iraq, allo Yemen, alla Somalia e alla Siria. Il messaggio dei cosiddetti tutori dell’ordine era e rimane: “O sei con noi o contro di noi”.(John Pilger, estratto da “Perché l’avanzata del fascismo è nuovamente il problema”, post scritto il 26 febbraio sul proprio blog e ripreso il 3 marzo 2015 da “Come Don Chisciotte”).«Questa sera, per la prima volta dall’11 Settembre, la nostra missione di guerra in Afghanistan è conclusa». Queste le parole di apertura del discorso di Obama sullo Stato dell’Unione del 2015. In realtà, circa 10.000 soldati e 20.000 appaltatori militari (leggi mercenari) rimangono in Afghanistan con incarichi imprecisati. «La guerra più lunga nella storia americana sta arrivando ad una conclusione responsabile», ha detto Obama. La verità è che più civili sono stati uccisi in Afghanistan nel 2014 che in qualsiasi anno da quando l’Onu tiene il conto. La maggior parte delle uccisioni – sia civili che militari – sono avvenute durante la presidenza di Obama. La tragedia dell’Afghanistan fa a gara con il crimine epico perpetrato in Indocina. Nel suo elogiato e più volte citato libro “La grande scacchiera: il primato americano e i suoi imperativi geostrategici”, Zbigniew Brzezinski, il padrino delle politiche americane dall’Afghanistan ad oggi, scrive che se l’obiettivo dell’America è quello di controllare l’Eurasia e di dominare il mondo, non può reggere una democrazia popolare, perché «la ricerca del potere non è un obiettivo che richiede passione popolare, la democrazia è nemica dell’impegno imperiale». Ha ragione.
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Cia e sauditi, la premiata ditta dei tagliatori di teste
Non fanatici, ma mercenari. Traslocati in mezzo mondo – Afghanistan, Balcani, Medio Oriente – per scatenare il terrore, fornendo l’alibi per la “guerra infinita” degli Usa. Al-Qaeda e Isis sono due maschere dello stesso network, organizzato dai sauditi sotto la regia di Washington. «Dalle viscere del carcere di massima sicurezza statunitense di Florence (Colorado), il componente di Al-Qaeda Zacarias Moussaui, condannato all’ergastolo, fa luce su quello che certamente è il segreto più sporco della “guerra al terrore”», scrive Pepe Escobar. «In più di 100 pagine di testimonianze rese nei giorni scorsi in una corte federale di New York, Moussaui fa “esplodere” delle autentiche bombe legate alla “Casa di Saud”». Tra i più importanti finanziatori di Al-Qaeda prima dell’11 Settembre compaiono i principali esponenti del potere saudita, alleato di Washington. Le prime avvisaglie dello scandalo esplodono adesso, spiega Escobar, perché gli Usa ricattano l’Arabia Saudita: guai se Riyadh si sfilasse dall’alleanza, cessando di sostenere sottobanco il network del terrore, che oggi si chiama Califfato, o a scelta Isis, Isil o semplicemente Daesh. E guai se smettono di pompare petrolio, facendone crollare il prezzo per colpire Putin.Nelle rivelazioni dell’ergastolano Moussaui, scrive Escobar in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, troviamo nientemeno che l’ex capo dell’intelligence saudita, il principe Turki al-Faisal, già grande amico di Osama Bin Laden, insieme un personaggio come il principe Bandar Bin Sultan, detto “Bandar Bush”, già ambasciatore saudita negli Stati Uniti «e mancato sponsorizzatore di jihadisti in Siria». Turki e Bandar sono in compagnia «di un caro amico dei mercati occidentali (e di Rupert Murdoch)», cioè il principe Al-Waleed Bin Talal, e con lui «tutti i maggiori “chierici” wahhabiti dell’Arabia Saudita». In altre parole, «nessuno di loro è nuovo a chi segue fin dai tempi dell’Afghanistan degli anni ’80 le sporche vicende degli jihadisti finanziati dai wahhabiti sauditi». Le informazioni, aggiunge Escobar, assumono maggiore importanza se messe in relazione al prossimo libro di Michael Springmann, ex capo della sezione visti a Jeddah, in Arabia Saudita. In “Visto per al-Qaeda”, svelando «tutti gli sdoganamenti della Cia che hanno sconvolto il mondo», Springmann descrive in dettaglio le mosse dell’armata del terrore messa in piedi dagli Usa.Negli anni ’80, la Cia reclutò e addestrò «agenti musulmani» per contrastare l’invasione sovietica in Afganistan. «Più tardi, la Cia avrebbe spostato questi agenti dall’Afganistan ai Balcani, poi in Iraq, in Libia e in Siria, facendoli viaggiare con visti statunitensi illegali». Questi guerriglieri addestrati dagli Usa «si sarebbero poi riuniti in un’ organizzazione che è sinonimo di terrorismo jihadista: Al-Qaeda». Lo scopo politico di queste rivelazioni, dal punto di vista di Washington, secondo Springmann «è di esercitare pressioni sulla Casa di Saud per continuare a pompare le loro eccedenze petrolifere: i recenti rimbalzi petroliferi stanno provocando l’isterismo a Washington, poiché potrebbero essere il segnale di un ripensamento dei sauditi sulla loro guerra dei prezzi del petrolio contro, prima fra tutti, la Russia». Dunque, verso la metà degli anni ’80, “Al-Qaeda” era solo un database in un computer collegato al dipartimento delle comunicazioni del segretariato della Conferenza Islamica, scrive Escobar. «A quel tempo, quando Osama Bin Laden non era che un agente “delegato” Usa che operava a Peshawar, l’intranet di Al-Qaeda era un ottimo sistema di comunicazione per lo scambio di messaggi in codice tra i guerriglieri».“Al-Qaeda” non era un’organizzazione terrorista – ovvero un esercito islamico – e neanche proprietà privata di Osama Bin Laden. «In seguito, verso la metà degli anni 2000 in Iraq, Abu Musab al-Zarqawi – il precursore giordano di Isis/Isil/Daesh – stava reclutando giovani militanti-fanatici-arrabbiati, senza un diretto input da parte di Bin Laden. La sua copertura era Aqi (Al-Qaeda in Iraq)». Quindi, continua Escobar, Al-Qaeda era e resta un marchio di successo. «Non è mai stata un’organizzazione; piuttosto era un elemento operativo essenziale di un’agenzia di intelligence. Da qui l’imperativo categorico: Al-Qaeda è essenzialmente una derivazione dell’intelligence saudita». La miglior prova è il ruolo oscuro, fin dall’inizio, del principe Turki, ex direttore generale per lungo tempo del Mukhabarat, l’intelligence della Casa di Saud («ma Turki non parla, e mai lo farà»). L’intelligence turca, per parte sua, «non ha mai creduto al mito dell’“organizzazione” Al-Qaeda». Le rivelazioni di Moussaui, aggiunge Escobar, «diventano davvero esplosive quando si collegano tutti i punti tra l’ideologia politica della Casa di Saud, la piattaforma politica di Al-Qaeda e l’abbozzo ideologico del falso Califfato di Isis/Isil/Daesh. La matrice di tutti questi è il wahhabismo del 19° secolo – e la sua interpretazione/appropriazione medievale dell’Islam. Tutti usano metodi diversi, alcuni più rumorosi di altri, ma tutti hanno lo stesso fine: il proselitismo wahhabita».La differenza fondamentale, secondo Escobar, è che Al-Qaeda e Isis/Isil/Daesh «sono dei rinnegati wahhabiti che intendono, alla fine, prendere il posto della Casa di Saud – fantoccio comandato dall’Occidente – instaurando in modo ancora più intollerante il potere salafita e/o del Califfato». Per cui, «quando questa “bomba” ancora segreta verrà fuori dal vaso di pandora arabico, crolleranno i presupposti che reggono quel dono che viene continuamente elargito dagli Usa, la “Guerra al Terrore” (guerra infinita)». Non è rassicurante nemmeno il nuovo capo della Casa di Saud, il principe Salman, che «negli anni ’90 era uno strenuo sostenitore del salafismo e del Jihad», inclusa la pratica Bin Laden. Più tardi, come governatore di Riyadh, «si distinse nell’avversione più totale verso gli sciiti, che poi si espandeva nell’odio verso l’Iran nel suo complesso – per non parlare poi del suo odio per qualsiasi cosa che lontanamente ricordasse la democrazia all’interno dell’Arabia Saudita». Assurdo aspettarsi che Salman sia un “riformatore”, «come è assurdo aspettarsi che l’amministrazione Obama interrompa una volta per tutte la sua storia d’amore con i suoi “bastardi preferiti” del Golfo Persico».Ma ora, aggiunge Escobar, c’e’ un nuovo elemento chiave: «La Casa di Saud è disperata. Non è un segreto a Riyadh e in tutto il Golfo che il nuovo Re e i suoi consiglieri ammaestrati dall’Occidente stiano letteralmente perdendo la testa. Si ritrovano circondati dall’Iran – che, per giunta, è sul punto di concludere un accordo nucleare con il Grande Satana l’estate prossima». La situazione non è allegra: i sauditi «vedono il falso Califfato di Isis/Isil/Daesh che controlla gran parte del “Siraq” – e con gli occhi già puntati verso la Mecca e Medina. Vedono gli sciiti Houthi pro-Iran che controllano lo Yemen. Vedono gli sciiti della maggioranza in Bahrein repressi con grandi difficoltà dalle forze mercenarie. Vedono disordini sciiti diffusi nelle province orientali dell’Arabia Saudita, dove c’è il petrolio. Sono sparsi in tutto il Medio Oriente ancora in preda alla psicosi “Assad deve andarsene” (mentre lui non va da nessuna parte). Hanno bisogno di finanziare la “junta” militare al potere in Egitto con miliardi di dollari (l’Egitto è al verde). E oltre a tutto questo, si sono bevuti la storia America-contro-Russia, impegnandosi in una guerra dei prezzi del petrolio che sta consumando il loro budget».Non ci sono prove che Salman sia deciso a compiere lo sforzo di cooperare con il governo di maggioranza sciita a Baghdad, né che tenterà di raggiungere un compromesso con Teheran: «Al contrario, regna la paranoia, poiché nel momento in cui l’Iran riaffermasse la sua supremazia nucleare, una volta concluso l’accordo atteso per l’estate prossima, i sauditi si ritroveranno emarginati ideologicamente e politicamente». Soprattutto, conclude Escobar, non ci sono prove che l’amministrazione Obama abbia la capacità di riconsiderare le relazioni coi sauditi. «Ciò che è certo è che il più sporco segreto della “guerra al terrore” resterà off-limits. Tutto il “terrore” che stiamo vivendo, sia quello reale sia quello costruito a tavolino, proviene da un’unica fonte: non è “l’Islam”, ma l’intollerante e demente wahhabismo», irresponsabilmente incoraggiato, organizzato e finanziato con la piena collaborazione della Cia. Stesso film: dalla strage di americani innocenti l’11 Settembre alla ricomparsa dei “tagliatori di teste” in Siria, in Iraq e ora in Libia.Non fanatici, ma mercenari. Dirottati in mezzo mondo – Afghanistan, Balcani, Medio Oriente – per scatenare il terrore, fornendo l’alibi per la “guerra infinita” degli Usa. Al-Qaeda e Isis sono due maschere dello stesso network, organizzato dai sauditi sotto la regia di Washington. «Dalle viscere del carcere di massima sicurezza statunitense di Florence (Colorado), il componente di Al-Qaeda Zacarias Moussaui, condannato all’ergastolo, fa luce su quello che certamente è il segreto più sporco della “guerra al terrore”», scrive Pepe Escobar. «In più di 100 pagine di testimonianze rese nei giorni scorsi in una corte federale di New York, Moussaui fa “esplodere” delle autentiche bombe legate alla “Casa di Saud”». Tra i più importanti finanziatori di Al-Qaeda prima dell’11 Settembre compaiono i principali esponenti del potere saudita, alleato di Washington. Le prime avvisaglie dello scandalo esplodono adesso, spiega Escobar, perché gli Usa ricattano l’Arabia Saudita: guai se Riyadh si sfilasse dall’alleanza, cessando di sostenere sottobanco il network del terrore, che oggi si chiama Califfato, o a scelta Isis, Isil o semplicemente Daesh. E guai se smettono di pompare petrolio, facendone crollare il prezzo per colpire Putin.
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Putin: 11 Settembre organizzato dagli Usa, eccovi le prove
L’attacco alle Torri Gemelle «è stato pianificato dal governo degli Stati Uniti, ma è stato eseguito per procura, in modo tale che l’attacco contro l’America e il popolo degli Stati Uniti sembrasse un’aggressione effettuata da organizzazioni terroristiche internazionali». Attenzione: «Le prove fornite sarebbero a tal punto convincenti, da smontare completamente la versione ufficiale dell’11 Settembre sostenuta dal governo degli Stati Uniti». Quali prove? Quelle che starebbero per essere pubblicate a Mosca, controfirmate nientemeno che da Vladimir Putin. Ultima mossa, clamorosa, per tentare di fermare la macchina da guerra che – dalla Siria all’Ucraina – sta assediando i non-allienati allo strapotere di Washington, Russia e Cina in primis, tenendo sotto ricatto anche i paesi del petrolio e la stessa Europa, costretta a varare sanzioni autolesioniste contro l’impero del gas e usare la Nato come minaccia contro Mosca. Il presidente russo, annuncia la “Pravda”, si prepara dunque al colpo del ko: l’esibizione di «prove schiaccianti», satellitari, che inchioderebbero l’intelligence di Bush al crimine dell’11 Settembre, spaventoso massacro ai danni dei cittadini americani, da terrorizzare al punto da indurli a sostenere le guerre a venire, cominciando da Iraq e Afghanistan.La notizia trapela dal newsmagazine “Veterans Today”: un collaboratore, Gordon Duff, segnala che sulla “Pravda” del 7 gennaio 2015 si parla dell’imminente, clamorosa iniziativa dei russi: smascherare definitivamente l’imbroglio mondiale dell’11 Settembre, quello degli arei dirottati sulle Torri “all’insaputa della Cia e dell’Fbi”, senza alcuna reazione da parte della difesa aerea americana. «Le evidenze satellitari russe che provano la demolizione controllata del World Trade Center con “armi speciali” – scrive “Come Don Chisciotte” – sono state recensite da un redattore di “Veterans Today”, mentre si trovava a Mosca». Gli analisti ritengono che l’attuale situazione di “guerra fredda” tra Washingon e Mosca rappresenti la quiete prima della tempesta: «Putin colpirà una sola volta, ma ha intenzione di farlo con notevole durezza», annuncia “Veterans Today”. «L’elenco delle prove include delle immagini satellitari», aggiunge il newsmagazine, e il materiale in via di pubblicazione «dimostrerebbe la complicità del governo degli Stati Uniti negli attacchi del 9/11 e la successiva manipolazione dell’opinione pubblica».«Le ragioni dell’inganno e dell’assassinio dei propri cittadini – continua Duff – avrebbero servito gli interessi petroliferi degli Stati Uniti e delle corporazioni statali del Medio Oriente». La Russia si preparebbe quindi a dimostrare, in modo clamoroso, che «l’America ha utilizzato il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, contro i suoi stessi cittadini, per creare il pretesto per un intervento militare in paesi stranieri». Se così dovesse essere, aggiunge Duff, «la conseguenza diretta della tattica di Putin sarebbe quella di rendere note le politiche terroristiche segretamente adottate dal governo degli Stati Uniti: secondo gli analisti americani, la credibilità del governo statunitense ne risulterebbe compromessa e ci sarebbero, di conseguenza, delle proteste di massa nelle città e infine una rivolta generalizzata». A quel punto, si domanda Duff, gli Usa come potranno rapportarsi ancora sulla scena politica mondiale? «La leadership americana nella lotta contro il terrorismo internazionale ne risulterebbe totalmente compromessa, dando un immediato vantaggio agli Stati-canaglia e ai terroristi islamici».Lo stesso Barack Obama non è immune da accuse: tutti ricordano la scandalosa gestione dell’ultimo capitolo dell’affare Bin Laden, dichiarato morto in Pakistan senza uno straccio di prova, il presunto cadavere inabissato nell’Oceano Indiano. Morti anche i soldati del commando che avrebbe ucciso il capo di Al-Qaeda ad Abbottabad: fulminati “per errore” da fuoco amico, a Kabul, poche settimane dopo il misterioso blitz. Tutte le voci più importanti della dissidenza, negli Usa, hanno denunciato come palesemente falsa la versione ufficiale sulla strage dell’11 Settembre, mentre il Senato degli Stati Uniti ha concluso, di recente, che l’Fbi era perfettamente al corrente delle mosse dei futuri dirottatori-kamikaze. Finora, il manistream ha avuto buon gioco nel rifiutare i sospetti, avvalorando la verità ufficiale sulla base di una semplice tesi: il crimine evocato – strategia della tensione, con numeri smisuratamente stragistici – è troppo mostruoso per essere accettato. Impossibile digerire l’idea che qualcuno, al Pentagono, abbia organizzato l’attentato del secolo, arrivando addirittura ad “accecare” l’aviazione Usa per molte ore e a “sequestrare” il presidente Bush, fatto letteralmente scomparire “per proteggerlo”, e anche per impedirgli di reagire. “Complottismo”, è stata finora la formula liquidatoria per seppellire le scomode verità sull’11 Settembre, illuminate da prestigiose contro-inchieste: le Torri sarebbero crollate secondo le procedure della “demolizione controllata”, grazie all’impiego di esplosivi speciali come la nano-termite, di origine militare. E se ora Putin riuscisse davvero a confermare questa versione con evidenze esclusive?Gioele Magaldi, autore del dirompente libro “Massoni”, sulla scorta di documentazione top secret di origine massonica (che l’autore si dichiara pronto a esibire in caso di contestazioni) rivela che Osama Bin Laden non fu soltanto reclutato dalla Cia in Afghanistan ai tempi dell’invasione sovietica, ma fu “affiliato” nientemeno che da Zbigniew Brzezinski e inserito nel potentissimo club ultra-segreto delle superlogge internazionali. Una di queste, denominata “Hathor Pentalpha”, sarebbe stata creata da Bush padre con intenti palesemente eversivi: usare il terrorismo per manipolare l’opinione pubblica e trascinare l’Occidente nella “guerra infinita”, a beneficio delle super-lobby del petrolio e delle armi. Nella “Hathor Pentalpha” sarebbe arruolato anche Tony Blair, che più di ogni altro si spese per costruire la suprema menzogna delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Oggi, l’erede di Bin Laden è il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca in Iraq, perché potesse combattere nel sedicente “Esercito Siriano Libero” e poi fondare l’Isis, il cui nome coincide con quello della divinità egizia Iside, vedova di Osiride, nei testi antichi chiamata anche “Hathor”. Solito schema: creare l’armata del terrore per poi scatenare una guerra. E, prima ancora, una campagna elettorale: quella di Jeb Bush, ultimo rampollo della dinastia presidenziale del fondatore della “Hathor Pentalpha”, definita «superloggia del sangue e della vendetta» perché nata quando Bush – affiliato a superlogge reazionarie – fu battuto nella corsa alla Casa Bianca da Ronald Reagan, sostenuto da clan massonici concorrenti.Sempre secondo Magaldi, lo stesso Putin è “affiliato” a una superloggia latomistica internazionale. L’autore di “Massoni” sostiene inoltre che da qualche anno sia in atto una sorta di guerra inframassonica: le “Ur-Lodges” progressiste starebbero preparando una controffensiva, dopo gli ultimi decenni in cui il mondo è caduto letteralmente nelle mani dell’élite finanziaria che ha pilotato la globalizzazione più selvaggia, calpestando i diritti dei popoli e gettando anche l’Occidente in una crisi senza precedenti, il cui punto più critico è l’Europa, dove le classi medie sono state rapidamente impoverite a beneficio dell’oligarchia neo-feudale che domina Bruxelles con il dogma neoliberista del rigore. In parallelo, si muovono scenari geopolitici: come previsto da tutti gli analisti, il gigante cinese è cresciuto in modo esponenziale, minacciando la supremazia americana. La Russia di Putin, prima provocata in Siria e ora assediata in Ucraina a due passi da casa, rappresenta la prima linea del fronte, mentre i Brics lavorano nelle retrovie per preparare un’alternativa multipolare, anche finanziaria, alla “dittatura” del petrodollaro. Quella che Papa Francesco chiama Terza Guerra Mondiale si sta avvicinando. Nel tentativo di scongiurarla, Putin giocherà davvero la sconvolgente carta delle “prove definitive” per accusare il governo Usa per l’11 Settembre?L’attacco alle Torri Gemelle «è stato pianificato dal governo degli Stati Uniti, ma è stato eseguito per procura, in modo tale che l’attacco contro l’America e il popolo degli Stati Uniti sembrasse un’aggressione effettuata da organizzazioni terroristiche internazionali». Attenzione: «Le prove fornite sarebbero a tal punto convincenti, da smontare completamente la versione ufficiale dell’11 Settembre sostenuta dal governo degli Stati Uniti». Quali prove? Quelle che starebbero per essere pubblicate a Mosca, controfirmate nientemeno che da Vladimir Putin. Ultima mossa, clamorosa, per tentare di fermare la macchina da guerra che – dalla Siria all’Ucraina – sta assediando i non-allienati allo strapotere di Washington, Russia e Cina in primis, tenendo sotto ricatto anche i paesi del petrolio e la stessa Europa, costretta a varare sanzioni autolesioniste contro l’impero del gas e usare la Nato come minaccia contro Mosca. Il presidente russo, annuncia la “Pravda”, si prepara dunque al colpo del ko: l’esibizione di «prove schiaccianti», satellitari, che inchioderebbero l’intelligence di Bush al crimine dell’11 Settembre, spaventoso massacro ai danni dei cittadini americani, da terrorizzare al punto da indurli a sostenere le guerre a venire, cominciando da Iraq e Afghanistan.
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Tre minuti alla mezzanotte della guerra nucleare
La lancetta dell’“Orologio dell’apocalisse”, il segnatempo simbolico che sul “Bulletin of the Atomic Scientists” indica a quanti minuti siamo dalla mezzanotte della guerra nucleare, è stata spostata in avanti: da 5 a mezzanotte nel 2012 a 3 a mezzanotte nel 2015, lo stesso livello del 1984 in piena guerra fredda. Sui grandi media, la notizia è passata quasi del tutto sotto silenzio. Eppure a lanciare l’allarme sono noti scienziati dell’Università di Chicago che, consultandosi con altri (tra cui 17 Premi Nobel), valutano la possibilità di una catastrofe provocata dalle armi nucleari in concomitanza con il cambiamento climatico dovuto all’impatto umano sull’ambiente. Il cauto ottimismo sulla possibilità di tenere sotto controllo la corsa agli armamenti nucleari è svanito di fronte a due tendenze: l’impetuoso sviluppo di programmi per la modernizzazione delle armi nucleari e il sostanziale blocco del meccanismo di disarmo. Al primo posto, tra le cause del rilancio della corsa agli armamenti nucleari, gli scienziati statunitensi mettono il programma di “modernizzazione” delle forze nucleari Usa, che comporta «un costo astronomico».Confermano così quanto già documentato sul manifesto (24 settembre 2014): il presidente Obama, insignito nel 2009 del Premio Nobel per la Pace per «la sua visione di un mondo libero dalle armi nucleari, che ha potentemente stimolato il disarmo», ha presentato 57 progetti di “upgrade” di impianti nucleari militari, con un costo stimato di 355 miliardi di dollari in dieci anni. Il programma prevede anche la costruzione di 12 nuovi sottomarini da attacco nucleare (ciascuno con 24 missili in grado di lanciare fino a 200 testate nucleari), altri 100 bombardieri strategici (ciascuno armato di circa 20 missili o bombe nucleari) e 400 missili balistici intercontinentali con base a terra (ciascuno con una potente testata nucleare). Si stima che l’intero programma verrà a costare circa 1.000 miliardi di dollari. Anche la Russia, indicano gli scienziati statunitensi, sta procedendo all’“upgrade” delle sue forze nucleari. Lo conferma l’annuncio di Mosca che esse svolgeranno nel 2015 oltre 100 esercitazioni.Secondo la Federazione degli scienziati americani, gli Usa mantengono 1.920 testate nucleari strategiche pronte al lancio (su un totale di 7.300), in confronto alle 1.600 russe (su 8.000). Comprese quelle francesi e britanniche, le forze nucleari della Nato dispongono di circa 8.000 testate nucleari, di cui 2.370 pronte al lancio. Aggiungendo quelle cinesi, pachistane, indiane, israeliane e nordcoreane, il numero totale delle testate nucleari viene stimato in 16.300, di cui 4.350 pronte al lancio. Sono stime approssimative per difetto, in quanto nessuno sa esattamente quante testate nucleari vi siano in ciascun arsenale. Quello che scientificamente si sa è che, se venissero usate, cancellerebbero la specie umana dalla faccia della Terra.A rendere la situazione sempre più pericolosa è la crescente militarizzazione dello spazio. Una risoluzione contro il dispiegamento di armi nello spazio esterno, presentata dalla Russia alle Nazioni Unite, ha ricevuto il voto contrario di Stati Uniti, Israele, Ucraina e Georgia, e l’astensione di tutti i paesi dell’Unione Europea. Compresa l’Italia dove, violando il Trattato di non-proliferazione, vi sono 70-90 bombe nucleari Usa in fase di “ammodernamento”, e per il secondo anno consecutivo si è svolta l’esercitazione Nato di guerra nucleare. Dove i grandi media, che sembrano illuminarci su tutto, spengono i riflettori mentre la lancetta dell’Orologio si avvicina alla mezzanotte.(Manlio Dinucci, “Tre minuti alla mezzanotte della guerra nucleare”, da “Nena News” del29 gennaio 2015).La lancetta dell’“Orologio dell’apocalisse”, il segnatempo simbolico che sul “Bulletin of the Atomic Scientists” indica a quanti minuti siamo dalla mezzanotte della guerra nucleare, è stata spostata in avanti: da 5 a mezzanotte nel 2012 a 3 a mezzanotte nel 2015, lo stesso livello del 1984 in piena guerra fredda. Sui grandi media, la notizia è passata quasi del tutto sotto silenzio. Eppure a lanciare l’allarme sono noti scienziati dell’Università di Chicago che, consultandosi con altri (tra cui 17 Premi Nobel), valutano la possibilità di una catastrofe provocata dalle armi nucleari in concomitanza con il cambiamento climatico dovuto all’impatto umano sull’ambiente. Il cauto ottimismo sulla possibilità di tenere sotto controllo la corsa agli armamenti nucleari è svanito di fronte a due tendenze: l’impetuoso sviluppo di programmi per la modernizzazione delle armi nucleari e il sostanziale blocco del meccanismo di disarmo. Al primo posto, tra le cause del rilancio della corsa agli armamenti nucleari, gli scienziati statunitensi mettono il programma di “modernizzazione” delle forze nucleari Usa, che comporta «un costo astronomico».
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Hathor-Isis, il clan occulto del terrore e la strage di Parigi
Il 16 dicembre del 2014, sulla scia di alcuni attentati appena avvenuti in Pakistan ed Australia, avevo scritto un pezzo dal titolo “Esiste un nesso fra la discesa in campo di Jeb Bush e l’aggravarsi della recrudescenza terroristica di matrice talebana?”. All’interno dell’articolo in questione, frutto di una attenta meditazione di alcuni preziosi spunti contenuti nel libro “Massoni” scritto da Gioele Magaldi, delineavo uno spaccato in grado di evidenziare il palese nesso di causalità che lega il rinnovato protagonismo della famiglia Bush in politica con l’improvviso riesplodere su scala planetaria del terrorismo islamico. Il califfo dell’Isis Abu Bakr Al Baghdadi, perfettamente calatosi nei panni di un nuovo Bin Laden, risulta infatti affiliato presso la Ur-Lodge Hathor Pentalpha, officina del sangue e della vendetta fondata da Bush padre in compagnia di personaggi del calibro di Dick Cheney, Don Rumsfeld, Bill Kristol, Sam Huntington, Tony Blair, Paul Wolfowitz e molti altri ancora. Una superloggia, cresciuta negli anni come una mala-pianta, che annovera al proprio interno pure ex capi di Stato europei come Josè Maria Aznar e Nicolas Sarkozy.Anche gli italiani Antonio Martino e Marcello Pera sono organici alla Hathor Pentalpha, mentre a Silvio Berlusconi, pur formalmente proposto nel 2003 da George W. Bush in persona, non è mai stato concesso di accedere direttamente ai lavori di questo perverso quanto elitario consesso (“Massoni”, pag. 537). La Hathor Pentalpha è una Ur-Lodge eretica e incontrollabile, punto nevralgico e occulto di una strategia del terrore senza patria e senza confini. A chi serve una escalation criminale e sanguinaria presuntivamente ispirata da una fanatica interpretazione dell’insegnamento del profeta Maometto? Serve a tutti quelli che hanno bisogno di alcune pezze d’appoggio indispensabili per pianificare e giustificare la prosecuzione di quello “scontro di civiltà” teorizzato non a caso da un gruppo di intellettuali che orbitano intorno al think-tank Pnac, schermo paramassonico etero-diretto dagli iniziati della Hathor Pentalpha. L’Islam non c’entra nulla con gli attentati parigini di oggi così come non c’entrava nulla con l’attacco alle Torri Gemelle di ieri, trattandosi in realtà di stragi orchestrate da uomini che strumentalizzano il cielo per comandare in terra.Se così non fosse, come spiegare altrimenti la presenza all’interno della superloggia Hathor Pentalpha di personaggi formalmente espressione di differenti declinazioni dell’Islam politico, come il sultano dell’Oman, quello del Bahrein, o come i principi regnanti dell’Arabia Saudita? Siamo quindi in presenza di una cinica operazione di manipolazione su larghissima scala, così raffinata e precisa da obnubilare la capacità di discernimento non solo della gran parte della pubblica opinione, ma anche di molti aspiranti intellettuali alla Ernesto Galli della Loggia, protagonista odierno di uno sgangherato editoriale uscito sul “Corriere della Sera” che di buono conserva solo il titolo (“L’undici settembre europeo”). L’ignobile attacco costato la vita ai giornalisti e ai vignettisti di “Charlie Hebdo” ricorda davvero i fatti dell’undici settembre; ma non perché, come crede nella sua beata innocenza Galli della Loggia, l’eccidio di ieri testimonia la mai sopita furia di gruppi appartenenti alla galassia del fanatismo islamico (buonanotte, Ernesto!); quanto perché, al contrario, sia i tragici fatti del 2001 che quelli appena accaduti sembrano portare in controluce i segni della stessa identica superloggia, quella dedicata alla divinità egizia Hathor, altrimenti detta Iside (ovvero Isis).La domanda giusta a questo punto è un’altra: perché colpire la Francia? Forse per consentire a Marine Le Pen di vincere le prossime elezioni presidenziali cavalcando con sapienza i crescenti e comprensibili sentimenti di ostilità nei confronti del diverso? Esistono politici francesi, oltre Sarkozy, certamente organici alla Hathor Pentalpha? Forse, provando a trovare risposte a simili interrogativi sarà possibile rendere giustizia alle povere vittime di un attacco barbarico e riprovevole che ripugna le coscienze dei giusti. (Nb: Aver citato alcuni personaggi, italiani o stranieri, come appartenenti ad una determinata Ur-Lodge – nel caso di specie, la Hathor Pentalpha – non rende costoro automaticamente responsabili di eventuali atti o strategie efferate compiute da singoli individui o gruppi affiliati alla medesima superloggia. Punto quest’ultimo peraltro chiarito a più riprese nelle pagine del libro “Massoni”).(Francesco Maria Toscano, “L’eccidio parigino e l’ombra lunga della Ur-Lodge Hathor Pentalpha”, dal blog “Il Moralista” dell’8 gennaio 2015).Il 16 dicembre del 2014, sulla scia di alcuni attentati appena avvenuti in Pakistan ed Australia, avevo scritto un pezzo dal titolo “Esiste un nesso fra la discesa in campo di Jeb Bush e l’aggravarsi della recrudescenza terroristica di matrice talebana?”. All’interno dell’articolo in questione, frutto di una attenta meditazione di alcuni preziosi spunti contenuti nel libro “Massoni” scritto da Gioele Magaldi, delineavo uno spaccato in grado di evidenziare il palese nesso di causalità che lega il rinnovato protagonismo della famiglia Bush in politica con l’improvviso riesplodere su scala planetaria del terrorismo islamico. Il califfo dell’Isis Abu Bakr Al Baghdadi, perfettamente calatosi nei panni di un nuovo Bin Laden, risulta infatti affiliato presso la Ur-Lodge Hathor Pentalpha, officina del sangue e della vendetta fondata da Bush padre in compagnia di personaggi del calibro di Dick Cheney, Don Rumsfeld, Bill Kristol, Sam Huntington, Tony Blair, Paul Wolfowitz e molti altri ancora. Una superloggia, cresciuta negli anni come una mala-pianta, che annovera al proprio interno pure ex capi di Stato europei come Josè Maria Aznar e Nicolas Sarkozy.
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Il paradiso di Severgnini, questo falso Occidente criminale
È ancora possibile, a un quarto di secolo dalla caduta del Muro di Berlino, ridurre i conflitti che agitano il mondo globale a una contrapposizione bipolare fra “il mondo libero” (appellativo classicamente riferito – ça va sans dire – all’Occidente) e un “impero del male” che (venuto a mancare lo spettro del comunismo) viene ora identificato con un variegato schieramento di “mostri” cui si tenta di attribuire un’improbabile identità comune? Sembrerebbe un’azzardata operazione retrò, ma ciò non ha impedito a Beppe Severgnini di provarci sulle pagine del “Corriere della Sera”. Vediamo in primo luogo come Severgnini – emulo del Dottor Frankenstein – cerca di costruire la figura di un grande Nemico assemblando pezzi eterogenei di movimenti e Stati “canaglia” (“i nuovi Erode”). In cima alla lista, prevedibilmente, i movimenti integralisti islamici sparsi per il mondo (Iraq, Siria, Nigeria, Pakistan, stranamente manca l’Afghanistan).E poco importa se questi movimenti hanno storie e radici socioculturali diverse nelle diverse situazioni, tanto ormai si può giocare sul luogo comune di un Islam radicale globalizzato e omologato che esiste solo nell’imaginario dei media del “mondo libero” (salvo poi dover fare i salti mortali come in Siria, dove il mostro Bashar al-Assad e i “terroristi” del Pkk curdo vengono ora considerati alleati nella lotta contro i super mostri dell’Isis). Subito dopo la “cleptocrazia” di Putin che tenta di “riesumare la Grande Russia” aggredendo l’Ucraina; e qui – a parte la faccia tosta di definire cleptocrazia il regime russo quando si è cittadini della nazione più corrotta del mondo, come hanno appena dimostrato gli scandali Mose, Expo e Roma Mafia – c’è una palese inversione della realtà storica, visto che ad assediare la Russia e a tentare di colonizzare i paesi ex comunisti dell’Est Europa è stato semmai, dopo il 1989, proprio il “mondo libero” occidentale.Infine l’eterno, ridicolo (per la sua irrilevanza geopolitica) bersaglio di Pyongyang, un regime da operetta che viene presentato come una terribile minaccia per la libertà, solo per avere orchestrato alcuni attacchi informatici contro la Sony, che ha prodotto un film satirico in cui si dileggia il regime nordcoreano (nel mondo libero non si censura: ci si limita a nascondere al pubblico la verità, come hanno dimostrato le rivelazioni di Assange e Snowden, i quali, per avere rovinato l’immacolata immagine dei campioni della libera informazione, sono ora costretti a vivere in esilio). Questi “nuovi Erode” possono farci paura, tuona Severgnini, ma non si illudano: essi non possono vincere; a vincere saremo noi, il mondo libero occidentale, e lo faremo con la forza delle idee e non con la violenza (peccato che sulla testa delle centinaia di migliaia di civili massacrati in Iraq e in Afghanistan, per tacere delle tante altre guerre combattute in nome della libertà, siano piovute bombe e non idee). Ma vediamo quali sono queste idee vincenti.Pace (abbiamo appena accennato ai virtuosi massacri spacciati per guerre umanitarie); benessere (la crisi iniziata nel 2008 ha svelato la realtà di un mondo in cui le disuguaglianze sono tornate ai livelli dell’800 e dove all’arricchimento smisurato di un pugno di esponenti dell’alta finanza corrisponde l’immiserimento di milioni di cittadini comuni); istruzione (vogliamo parlare dei costi di un’istruzione superiore che torna ad essere appannaggio di ristrette élite?); tolleranza (quella di un paese “libero” come gli Stati Uniti, dove migliaia di cittadini di colore disarmati vengono assassinati da poliziotti che non solo non rischiano di essere incriminati ma conservano anche il posto?), rispetto per le donne (anche se dietro la retorica del politically correct si nasconde la realtà di un lavoro femminile che continua a essere sottopagato, per tacere dei femminicidi perpetrati nelle normali famiglie borghesi).Che dire poi della presunta superiorità del mercato garante di libertà e democrazia: finché dovremo ancora ascoltare questa baggianata? È vero che è passato molto tempo da quando i regimi nazifascisti si sono dimostrati del tutto compatibili con il libero mercato, ma oggi, con la Cina totalitaria che si avvia a diventare la maggiore potenza capitalistica mondiale, siamo di fronte a una smentita ancora più clamorosa. Insomma, se questi sono i suoi “valori”, allora non solo è possibile che l’Occidente perda, ma si può dire che ha già perso, perché di quei valori non ne è rimasto in piedi nemmeno uno: a combattere i “nuovi Erode” non c’è Gesù, ma un vecchio Erode non meno feroce dei suoi nemici. Eppure, scrive Severgnini, i migranti rischiano ancora la vita in mare «per un pasto, un letto, un ospedale, una strada in cui non bisogna tremare di paura davanti a un poliziotto». Rischiano la vita perché a casa loro crepano di fame, ma qui, più che pasti, letti e ospedali, trovano squallidi ghetti assediati da folle razziste (do you remember Tor Sapienza?) e, se non subiscono passivamente qualsiasi angheria, o se sono “irregolari”, tremano eccome davanti a un poliziotto.Alla fine, quasi prevedendo le sarcastiche obiezioni avanzate in questo articolo, Severgnini le rintuzza con il solito refrain: «Eppure il mondo ci riconosce che, per adesso, non s’è inventato niente di meglio della democrazia e del mercato». È l’argomento con cui il pensiero unico neoliberista cerca di legittimare, sia pure con argomenti di basso profilo (“in fondo non abbiamo niente di meglio”), la propria egemonia culturale. Ed è proprio sul piano culturale, prima ancora che su quello politico, che occorre lavorare per smontarlo, come alcuni (non moltissimi purtroppo) cercano di fare. Uno di questi era Hosea Jaffe, un economista sudafricano morto qualche giorno fa in Italia, dove ha vissuto i suoi ultimi anni di vita. Marxista eretico (i marxisti ufficiali non gli perdonavano di avere rinfacciato alle sinistre occidentali la loro complicità con il colonialismo), iconoclasta fino ad accusare gli stessi Marx ed Engels di eurocentrismo non senza venature razziste, Jaffe è stato in prima fila nelle lotte contro diversi regimi coloniali e neocoloniali africani, e si è battuto perché partiti e sindacati occidentali riconoscessero che parte delle loro conquiste salariali e sociali erano finanziate dal supersfruttamento dei popoli del Terzo Mondo.Oggi le sue idee trovano una sia pure parziale applicazione nelle lotte di quei movimenti sudamericani, africani e asiatici che hanno cominciato a capire di doversi inventare un’alternativa globale al “mondo libero”. Possiamo solo sperare che lavorino abbastanza in fretta per impedire che la rabbia dei milioni di disperati esclusi dai nostri “paradisi” trovi rappresentanza solo da parte dei nuovi Erode di cui sopra. Senza dimenticare che quella rabbia inizia a montare anche qui e, in assenza di un’alternativa di sinistra credibile, rischia di imboccare la strada che aveva imboccato negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, una strada in fondo alla quale ci aspetterebbero orrori peggiori di quelli che oggi inquietano i sogni dei pacifici borghesi occidentali.(Carlo Formenti, “Severgnini e la vecchia retorica del mondo libero contro l’impero del male”, da “Micromega” del 22 dicembre 2014).È ancora possibile, a un quarto di secolo dalla caduta del Muro di Berlino, ridurre i conflitti che agitano il mondo globale a una contrapposizione bipolare fra “il mondo libero” (appellativo classicamente riferito – ça va sans dire – all’Occidente) e un “impero del male” che (venuto a mancare lo spettro del comunismo) viene ora identificato con un variegato schieramento di “mostri” cui si tenta di attribuire un’improbabile identità comune? Sembrerebbe un’azzardata operazione retrò, ma ciò non ha impedito a Beppe Severgnini di provarci sulle pagine del “Corriere della Sera”. Vediamo in primo luogo come Severgnini – emulo del Dottor Frankenstein – cerca di costruire la figura di un grande Nemico assemblando pezzi eterogenei di movimenti e Stati “canaglia” (“i nuovi Erode”). In cima alla lista, prevedibilmente, i movimenti integralisti islamici sparsi per il mondo (Iraq, Siria, Nigeria, Pakistan, stranamente manca l’Afghanistan).
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Al-Baghdadi, il nuovo Bin Laden per far vincere Jeb Bush
Ricordate la famosa foto di Zbigniew Brzezinki in compagnia del giovane Osama Bin Laden, allora plenipotenziario della Cia in Afghanistan? Un’alleanza sotterranea, da cui poi nacque l’opaco network terroristico denominato Al-Qaeda. Archiviato Osama, dopo l’11 Settembre e l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, oggi il film si ripete. In campo c’è l’erede di Al-Qaeda, l’altrettanto opaco network chiamato Isis. E all’orizzonte si profila un altro Bush, il fratello di George Walker, protagonista della “guerra infinita” scatenata in mezzo mondo con l’alibi dell’attacco alle Torri. Copione identico, avverte Francesco Maria Toscano, sulla scorta delle esplosive rivelazioni fornite da Gioele Magaldi nel libro “Massoni”, edito da Chiarelettere. Perfettamente leggibile la regia della stessa mano: onnipotenti oligarchie occulte, organizzate in “superlogge” massoniche internazionali, da decenni al vertice del potere mondiale. Prepariamoci a rivivere orrori recenti e recentissimi: il famigerato “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi è la reincarnazione di Bin Laden. E Jeb Bush è l’uomo che imposterà la campagna presidenziale negli Usa come una crociata contro l’Isis.In questi giorni, scrive Toscano sul blog “Il Moralista”, una commissione del Senato statunitense ha pubblicato un rapporto che evidenzia i metodi brutali usati da alcuni agenti della Cia negli anni della “guerra al terrorismo”, dichiarata in grande stile al tempo in cui George W. Bush sedeva alla Casa Bianca. Una tempistica non casuale, stando alla logica ultra-elitaria messa in luce da libro di Magaldi, che rivela sconcertanti retroscena nel “back office” del potere planetario. Coincidenze: sul “Corriere della Sera”, giornale che Toscano definisce «organo ufficiale delle “Ur-Lodges” più reazionarie e antidemocratiche del pianeta», Massimo Gaggi racconta le ambizioni di Jeb Bush in vista delle presidenziali americane del 2016. Domanda: c’è un nesso fra la candidatura di Jeb Bush e l’aggravarsi della recrudescenza terroristica di matrice jihadista? E ancora: «E’ casuale la concomitanza temporale che accumuna la discesa in campo di Jeb Bush con la pubblicazione di un report che palesa la barbarie dei metodi utilizzati negli anni in cui un altro Bush (George W. per l’appunto) ricopriva l’incarico di presidente degli Stati Uniti d’America?».Come molti altri analisti, anche Toscano parla di «fatti sapientemente occultati dal circuito giornalistico “ufficiale”». Tutto ruota intorno alla figura di George Herbert Bush, padre di George W. e di Jeb, presidente degli Usa dal 1988 al 1992. Nel suo libro, Magaldi scrive che Bush senior, «già affiliato presso le Ur-Lodges reazionarie “Edmund Burke”, “Leviathan”, “Three Eyes” e “White Eagle”», a un certo punto della sua carriera politica decide di dare vita a una nuova superloggia «nata sotto il segno della vendetta e del sangue», la “Hathor Pentalpha”, «scheggia impazzita nell’ambito del milieu libero-muratorio oligarchico». Lo stesso Osama Bin Laden, scrive sempre Magaldi, «ricevette l’iniziazione massonica presso la “Three Eyes” direttamente per mano di Zbigniew Brzezinski negli anni in cui combatteva in Afghanistan contro l’impero sovietico». Poi però le cose cambiano, racconta un super-testimone di Magaldi, che si fa chiamare “Frater Kronos”: «A partire dal 1996 e poi in modo sempre più strutturato dal 2000-2001 in avanti, Osama Bin Laden e Al-Qaeda vengono strappati dal controllo delle vecchie Ur-Lodges e ingaggiati dalle nuove Ur-Lodges egemoni, la “Hathor Pentalpha” e la “Geburah”, per recitare in un nuovo copione».Un copione, scrive Toscano, che prevede la costruzione mediatica di un “temibilissimo nemico”, potenzialmente mortale per la civiltà occidentale, in grado di giustificare sul piano esterno una serie di guerre nel mondo islamico, e negli Usa un pericoloso giro di vite volto a depotenziare diritti e garanzie civili prima considerati inattaccabili. «Sintetizzando al massimo, possiamo affermare che sia le guerre in Afghanistan e Iraq, sia il varo del “Patriot Act”, sono stati il frutto, pianificato e voluto, di una strategia sadica e cinica realizzata attraverso l’utilizzo di alcuni spregiudicati personaggi orbitanti nell’area del cosiddetto “integralismo islamico”. Oggi, con Jeb Bush all’orizzonte, la trama si ripete con interpreti nuovi». Il tagliatore di teste Abu Bakr al Baghdadi, autoproclamatosi califfo dello stato islamico, «già affiliato presso la Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”», si è tempestivamente calato nei panni di un redivivo Bin Laden, pronto a minacciare il mondo. «Avete capito perché i “tagliagole”, scomparsi dalla scena mediatica per quasi un decennio, sono ora improvvisamente tornati? Capite perché, guarda caso, dal Pakistan all’Australia, assistiamo solo adesso ad una nuova (ed etero-diretta) ondata di attentati presuntivamente consumati nel nome della religione? In molti ingenuamente penseranno: “Chi meglio di un Bush potrà combattere e sconfiggere i terroristi?”». Una malattia, conclude Toscano, «è indispensabile per giustificare l’entrata in scena del medico».Ricordate la famosa foto di Zbigniew Brzezinki in compagnia del giovane Osama Bin Laden, allora plenipotenziario della Cia in Afghanistan? Un’alleanza sotterranea, da cui poi nacque l’opaco network terroristico denominato Al-Qaeda. Archiviato Osama, dopo l’11 Settembre e l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, oggi il film si ripete. In campo c’è l’erede di Al-Qaeda, l’altrettanto opaco network chiamato Isis. E all’orizzonte si profila un altro Bush, il fratello di George Walker, protagonista della “guerra infinita” scatenata in mezzo mondo con l’alibi dell’attacco alle Torri. Copione identico, avverte Francesco Maria Toscano, sulla scorta delle esplosive rivelazioni fornite da Gioele Magaldi nel libro “Massoni”, edito da Chiarelettere. Perfettamente leggibile la regia della stessa mano: onnipotenti oligarchie occulte, organizzate in “superlogge” massoniche internazionali, da decenni al vertice del potere mondiale. Prepariamoci a rivivere orrori recenti e recentissimi: il famigerato “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi è la reincarnazione di Bin Laden. E Jeb Bush è l’uomo che imposterà la campagna presidenziale negli Usa come una crociata contro l’Isis.
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Ultima barzelletta su Bin Laden, l’uomo che morì due volte
“Rt”, una delle mie fonti preferite di notizie, è caduta in una storia falsa messa in giro dal Pentagono a sostegno della fantasiosa ipotesi secondo cui un team dei Navy Seals avrebbe ucciso Osama Bin Laden, morto una seconda volta ad Abbottabad in Pakistan, una decinda d’anni dopo la sua prima morte per malattia. Questa storia falsa, con il film falso e il libro falso di un presunto membro del team dei Seals, è il modo in cui la storia fantasiosa dell’omicidio di Bin Laden viene perpretata. Il presunto omicidio di Bin Laden per mano dei Seals era un’operazione di propaganda, finalizzata a consacrare Obama come un eroe e a rafforzare la sua candidatura per un secondo mandato. Osama Bin Laden, morto nel dicembre 2001 per insufficienza renale e altri problemi di salute, aveva negato nel suo ultimo video qualsiasi responsabilità per l’11 Settembre, invitando altresì gli americani a guardare al proprio governo. Lo stesso Fbi ha affermato che non ci sono prove che Osama Bin Laden sia responsabile dell’11 Settembre.Il necrologio di Bin Laden è stato pubblicato dalla stampa araba e straniera, inclusa “Fox News”. Nessuno può sopravvivere un decennio con un’insufficienza renale, e non è stato trovato nessun apparecchio per la dialisi nel complesso di Abbottabad di Bin Laden, che sarebbe quindi stato assassinato dai Seals dieci anni dopo la pubblicazione del suo necrologio. Inoltre, nessuno tra i membri dell’equipaggio della nave, dalla quale Bin Laden sarebbe stato “sepolto in mare”, ha assistito alla “sepoltura”, così come comunicato dai marinai nei messaggi alle loro famiglie. In qualche modo è stato celebrato un funerale a bordo di una nave, sulla quale vengono effettuate ronde continue e con marinai in allerta a tutte le ore, senza che nessuno vedesse nulla. Per di più, la storia del presunto assassinio di Bin Laden è cambiata due volte nell’arco delle prime 24 ore. La tesi secondo cui Obama ed i membri del suo governo avrebbero assistito all’operazione, trasmessa dal vivo tramite una telecamera posta sul casco dei Seals, è stata rapidamente abbandonata, nonostante il rilascio di una foto dello stato maggiore del governo di Obama concentrato a seguire la trasmissione della presunta operazione.Nessun video dell’operazione è stato mai rilasciato, e ad oggi non c’è alcuna prova a sostegno della tesi del governo Obama. Neanche un minimo straccio di prova. Soltanto affermazioni autoreferenziali. Inoltre, così come pubblicato sul mio sito, testimoni intervistati da una rete Tv pachistana hanno affermato che solo un elicottero era atterrato ad Abbottabad e che, quando i passeggeri dell’elicottero sono ritornati dal presunto covo di Bin Laden, l’elicottero è esploso al decollo senza lasciare superstiti. In altre parole, non c’era nessun cadavere di Bin Laden da trasportare sulla nave, dove comunque nessun testimone ha assistito al funerale, e nessun eroe dei Seals. Per di più, la “Bbc” ha intervistato degli abitanti di Abbottabad, inclusi quelli che vivevano nei pressi del “complesso residenziale di Bin Laden”, e tutti hanno affermato che conoscevano la persona che viveva lì, e che non era Bin Laden. Qualunque Seal che fosse stato così stupido da uccidere la “grande mente del terrore” disarmata, sarebbe stato probabilmente processato dalla corte marziale per incompetenza.Guardate la faccia sorridente dell’uomo che ha “ucciso Bin Laden”. La sua convinzione di essere diventato un eroe per aver ucciso un uomo rende a pieno l’idea dello stato di degenerazione morale degli americani. In cosa consiste quindi questa rivendicazione da parte di Rob O’Neill? Viene presentato come uno “speaker motivazionale” in cerca di clienti. Quale stratagemma migliore da somministrare ai creduloni americani se non l’affermazione: «Io sono quello che ha sparato a Bin Laden». Mi riporta alla mente un film western, “L’uomo che uccise Liberty Valance”. Quale modo migliore per dare credito alle affermazioni di Rob O’Neill se non la denuncia da parte del Pentagono delle sue rivelazioni come violazione dell’obbligo di riservatezza? Il Pentagono sostiene che le affermazioni di O’Neill rappresentano per l’Isis un invito ad attaccarci. Che sciocchezze incredibili. L’Isis, e chiunque altro abbia creduto alle affermazioni di Obama, già sapeva che il regime di Obama aveva rivendicato la responsabilità per l’uccisione di un Bin Laden disarmato. La ragione per la quale era stato proibito all’unità dei Seals di parlare è che nessun membro aveva partecipato alla presunta operazione. Proprio come per la nave dalla quale il corpo di Bin Laden sarebbe stato seppellito in mare senza alcun testimone, i membri dell’unità Seal, che avrebbero liquidato un capo terrorista disarmato piuttosto che farlo prigioniero per interrogarlo, sarebbero misteriosamente morti in un incidente aereo.L’incidente è avvenuto quando il team era stato imbarcato, violando le procedure, su un vecchio elicottero degli anni ‘60 e spedito in una zona di guerra in Afghanistan poco dopo la presunta operazione nel “complesso residenziale di Bin Laden”. Per un certo periodo di tempo sono state riportate notizie secondo cui le famiglie dei Seals morti nell’incidente non ritenevano vere neanche le parole del governo. Inoltre, le famiglie hanno riferito di aver ricevuto dai propri congiunti messaggi nei quali affermavano di sentirsi improvvisamente minacciati e senza conoscerne il motivo. I Seals hanno iniziato a chiedersi tra di loro: «Eri nella missione Bin Laden?». A quanto pare, nessuno lo era. E per mantenerlo segreto, i Seals sono stati mandati a morire. Chiunque creda a qualunque cosa dica il governo americano è un credulone, nel senso più stretto del termine.(Paul Craig Roberts, “Un’altra storia falsa su Bin Laden”, da “LewRockwell” dell’8 novembre 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”. Già viceministro del Tesoro di Ronald Reagan e editore associato del “Wall Street Journal”, Craig Roberts ha rivelato casi scioccanti e abusi persecutori per vent’anni. Una nuova edizione del suo libro “The Tyranny of Good Intentions” scritto con Lawrence Stratton e edito da Random House, è un documento che racconta come gli americani abbiano perso la protezione della legge).“Rt”, una delle mie fonti preferite di notizie, è caduta in una storia falsa messa in giro dal Pentagono a sostegno della fantasiosa ipotesi secondo cui un team dei Navy Seals avrebbe ucciso Osama Bin Laden, morto una seconda volta ad Abbottabad in Pakistan, una decinda d’anni dopo la sua prima morte per malattia. Questa storia falsa, con il film falso e il libro falso di un presunto membro del team dei Seals, è il modo in cui la storia fantasiosa dell’omicidio di Bin Laden viene perpretata. Il presunto omicidio di Bin Laden per mano dei Seals era un’operazione di propaganda, finalizzata a consacrare Obama come un eroe e a rafforzare la sua candidatura per un secondo mandato. Osama Bin Laden, morto nel dicembre 2001 per insufficienza renale e altri problemi di salute, aveva negato nel suo ultimo video qualsiasi responsabilità per l’11 Settembre, invitando altresì gli americani a guardare al proprio governo. Lo stesso Fbi ha affermato che non ci sono prove che Osama Bin Laden sia responsabile dell’11 Settembre.
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Dacci oggi il nostro orrore quotidiano, come da contratto
La decapitazione di ostaggi americani e britannici a opera di un invasato tagliagole, e cioè di un “John il boia” qualunque (probabilmente nato, pasciuto e cresciuto in Inghilterra), sembra aver destato da un lungo letargo il premier britannico David Cameron, che finalmente si è accorto dell’esistenza di un esercito di jihadisti al cui interno militano centinaia di cittadini britannici. Un esercito che oggi si chiama Is (Islamic State), ieri si chiamava Isis (Islamic State of Iraq and Siria), ieri l’altro Isil (Islamic State of Iraq and Levant) e così via a ritroso fino alla denominazione iniziale di Al-Qaeda, frastagliatasi nel corso degli anni in una miriade di gruppi, sottogruppi affini & associati: diverse etichette ma tutte riconducibili alla nebulosa madre. Era quella nebulosa che l’ex ministro degli esteri britannico Robin Cook definiva così: «Per quanto ne so, Al-Qaeda (parola araba che significa “la base”) era il nome del database della Cia che conteneva l’elenco dei guerriglieri arruolati per combattere i russi in Afghanistan».Un provvidenziale infarto, un mese dopo, consegnò a un definitivo silenzio ogni possibile imbarazzante replica di Cook. Nel frattempo le legioni di miliziani irregolari si sono ricombinate in decine di scenari di guerra al servizio di qualcuno. Ora, che David Cameron si mostri inorridito per le decapitazioni è più che comprensibile, ma che si mostri stupito per la mostruosa deriva di un suddito di Sua Maestà è quantomeno bizzarro, visto che questo non è il primo “John il boia” che vediamo in azione. Che sia il caso di rinfrescargli la memoria ricordandogli la decapitazione del giornalista americano Daniel Pearl? Era stato rapito il 23 gennaio 2002 nelle strade di Karachi, il suo corpo rinvenuto smembrato in vari pezzi e la testa mozzata esibita a trofeo dal boia. Pearl era stato attirato a Karachi con l’offerta di un’intervista esclusiva, di uno scoop che in realtà era un’imboscata tesagli da Omar Saeed Sheikh, guarda caso un altro britannico.Nato nel 1973 a Londra da genitori pakistani, nel 1993 aveva abbandonato gli studi in economia per recarsi a combattere in Bosnia. Saeed Sheikh non era solo. Aveva ingrossato le fila di un contingente di jihadisti addestrati in campi pakistani gestiti dal gruppo terroristico “Harkat ul Mujaheddin” (Hum). Venivano poi spediti in Jugoslavia a combattere contro i serbi, come da richiesta dell’amministrazione Clinton e con la complicità dei servizi segreti britannici e americani (lo rivela l’ex deputato e ministro britannico Michael Meacher sul “Guardian” del 10 settembre 2005). Del gruppo facevano parte ben 200 pakistani residenti in Gran Bretagna, fra i quali, appunto, Saeed Sheikh, all’epoca già un astro nascente nella galassia del terrorismo. Anni dopo avrebbe versato 100.000 dollari sul conto di Mohammed Atta, il capo dei dirottatori dell’attentato dell’11 settembre 2001 contro le Torri Gemelle. Un versamento effettuato per conto di Osama bin Laden, penserete. Giusto? No. Era per conto del generale Mahmoud Ahmed, il capo dell’Isi, e cioè quel servizio segreto pakistano che aveva sponsorizzato i campi di addestramento di “Harkat ul Mujaheddin” (Hum), il gruppo jihadista dal quale Saeed Sheikh era stato reclutato in Bosnia. Curioso, no?Il reclutamento di immigrati pakistani con passaporto britannico era gestito a Londra da “Al-Muhajiroun”, organizzazione definita il «braccio di reclutamento di Al-Qaeda» da John Loftus, ex ufficiale dell’intelligence americana, ex procuratore generale e noto esperto in materia di contro-terrorismo. Loftus aveva rivelato che “Al-Muhajiroun” era usato dai servizi segreti britannici per assoldare islamisti da spedire a combattere in Bosnia e Kosovo contro i serbi. A “Fox News” dichiarò: «Che ci crediate o meno, l’intelligence britannica ha arruolato militanti di Al-Qaeda per difendere i diritti dei musulmani in Kosovo». Ci crediamo, ci crediamo… L’organizzazione era diretta da Sheikh Omar Bakri Mohammed, invasato predicatore arrivato nel 1986 nella capitale britannica, da dove ha reclutato e seminato odio quasi per un ventennio. Indisturbato, naturalmente. In “Al-Muhajiroun” operava anche Haroon Rashid Aswat, altro fanatico islamista nato e cresciuto in Inghilterra, legato ad Al-Qaeda e… apparentemente reclutato dall’intelligence britannica. Secondo John Loftus era un doppio agente. In seguito sarebbe assurto alla ribalta delle cronache in quanto ritenuto la mente dell’attentato di Londra del 7 luglio 2005, costato la vita a 52 persone e ufficialmente attribuito a quattro islamisti britannici che ruotavano attorno ad “Al-Muhajiroun”.Londra, chiamata “Londonistan” per il suo contributo alla diffusione dell’islamismo, pullulava di questi personaggi. A Manchester viveva Abu Anas al Liby, luogotenente libico di Osama bin Laden ed esperto informatico di Al-Qaeda che, dopo aver soggiornato in Sudan fino al 1995 col “principe del terrore”, aveva ottenuto asilo polito in Gran Bretagna nonostante le sue credenziali. Ritenuto implicato negli attentati di Kenya e Tanzania del 1998, che avevano lasciato oltre 200 morti sul terreno, nel maggio del 2000 era svanito nel nulla, non prima però di essere stato arrestato e poi sorprendentemente rilasciato. Secondo la polizia di Manchester mancava la “pistola fumante”. Anas al Liby era in forza al “Libyan Islamic Fighting Group” (Lifg), gruppo terroristico salafita il cui obiettivo era rovesciare il regime di Muhammar Gheddafi, in quanto secolare e, pertanto, reo di apostasia. E qui la storia si fa interessante. Secondo Guillaume Dasquié e Charles Brisard (consigliere quest’ultimo dell’ex presidente francese Jacques Chirac), esperti di intelligence e autori del best-seller “La Verité Interdite”, Anas al Liby sarebbe stato assoldato dall’intelligence britannica per assassinare il Colonnello: un’informazione avuta da David Shayler, un ex agente dell’Mi5.Londra smentiva, naturalmente, ma nel 2002 il “Guardian” era in grado di fornire nuovi particolari sulla vicenda, inclusi i nomi di altri due agenti britannici coinvolti nel complotto. Conosciamo tutti la naturale “evoluzione” della così detta “primavera araba” in Libia, sfociata nel trionfo dell’islamismo: esecuzioni di massa, massacri e pulizie etniche di cui le varie “Cnn” e “Bbc” non hanno teletrasmesso gli orrori. E sappiamo che, a missione compiuta, i quadri del Lifg si sono spostati in Siria, dove si sono posti alla guida dell’“Esercito Siriano Libero” (Esl), peraltro inizialmente finanziato e armato dallo stesso Lifg. Viste dunque le premesse, risulta quantomeno sospetto il fatto che i vari Cameron, Obama & associati si accorgano solo ora, quando siamo alla vigilia di nuove avventure militari, della reale mostruosità di un fenomeno che esiste da decenni.Un fenomeno che loro stessi hanno contribuito a creare e lasciato gonfiare, che hanno ignorato, enfatizzato, sponsorizzato e strumentalizzato a fasi alterne per aggredire o destabilizzare: un fenomeno che è sempre stato una tigre da cavalcare. Una tigre che nel corso dei decenni ha cambiato nome e oggi si chiama “Esercito Siriano Libero”, un esercito di “moderati” il cui unico scopo è rovesciare un altro regime secolare, la stessa eterogenea accozzaglia che il presidente Obama avrebbe deciso di appoggiare per fronteggiare la minaccia dell’Isis. Oggi non si sa più nemmeno chi siano, ma si sa che hanno dichiarato un patto di non aggressione proprio con l’Isis. E anche questa è una storia già scritta. Magari firmeranno il loro patto sui cofani dei loro Humvee nuovi di zecca, rigorosamente made in Usa.(Germana Leoni, “David Cameron, Isis e Londonistan”, da “Megachip” del 20 settembre 2014).La decapitazione di ostaggi americani e britannici a opera di un invasato tagliagole, e cioè di un “John il boia” qualunque (probabilmente nato, pasciuto e cresciuto in Inghilterra), sembra aver destato da un lungo letargo il premier britannico David Cameron, che finalmente si è accorto dell’esistenza di un esercito di jihadisti al cui interno militano centinaia di cittadini britannici. Un esercito che oggi si chiama Is (Islamic State), ieri si chiamava Isis (Islamic State of Iraq and Siria), ieri l’altro Isil (Islamic State of Iraq and Levant) e così via a ritroso fino alla denominazione iniziale di Al-Qaeda, frastagliatasi nel corso degli anni in una miriade di gruppi, sottogruppi affini & associati: diverse etichette ma tutte riconducibili alla nebulosa madre. Era quella nebulosa che l’ex ministro degli esteri britannico Robin Cook definiva così: «Per quanto ne so, Al-Qaeda (parola araba che significa “la base”) era il nome del database della Cia che conteneva l’elenco dei guerriglieri arruolati per combattere i russi in Afghanistan».
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Isis, corsari per la grande guerra Usa: ditelo, alla sinistra
Chi erano i corsari? Mercenari del mare, incaricati di colpire gli avversari della potenza che li aveva ingaggiati: di fatto, a loro toccava il lavoro sporco. Dunque, come definire altrimenti l’attuale Isis, armato dagli Usa attraverso l’Arabia Saudita? Già negli anni ‘80, scrive “Piotr” su “Megachip”, la Rand Corporation aveva previsto che guerre future sarebbero state combattute, sul terreno, da “entità sub-statali”. Cui prodest: «Cosa c’è di meglio per gli Usa che installare nel centro nevralgico dell’Eurasia (già oggetto degli incubi e dei desideri del “veggente” consigliere di Carter per la sicurezza, Zbigniew Brzezinski) uno Stato-non-Stato, uno Stato-zombie, un essere-non-essere, un’organizzazione territoriale che al riparo della sua bandiera nera pirata può minacciare di azioni raccapriccianti tutti gli stati vicini, a partire da Siria, Russia, Iran, Cina, repubbliche centroasiatiche e poi lungo il corridoio che tramite il Pakistan penetra in India e che attraverso lo Xinjiang Uyghur prende alle spalle la Cina? Difficile pensare a un’arma non convenzionale migliore».L’Isis è «un temibile cuneo piazzato nel bel mezzo dell’Organizzazione di Shanghai», nonché una minaccia verso l’Europa, nel caso il vecchio continente «si mostrasse troppo recalcitrante al progetto neoimperiale statunitense, con annessi e connessi tipo il rapinoso Ttip». Il momento è adesso: l’economia occidentale è in declino, mentre i Brics non hanno ancora le capacità militari per reagire. Scrupoli, da parte di Washington? Escluso: «Il regista Oliver Stone e lo storico Peter Kuznick con molto acume hanno fatto notare che con Hiroshima e Nagasaki gli Usa non solo volevano dimostrare al mondo di essere superpotenti, ma anche – cosa ancor più preoccupante – che non avrebbero avuto alcuno scrupolo nella difesa dei propri interessi: erano pronti a incenerire in massa uomini, donne e bambini». Oggi tocca a libici, siriani, iracheni. Certo, «in Occidente questa strategia rimane incomprensibile ai più», anche se già negli ‘80 alcuni studiosi avevano fatto notare «le connessioni tra crisi sistemica, reaganomics, finanziarizzazione, conflitti geopolitici e la ripresa d’iniziativa neoimperiale degli Usa dopo la sconfitta in Vietnam».All’appello manca, drammaticamente, la sinistra: quella che si era battuta contro il Vietnam, contro le guerre imperiali di Bush e contro la globalizzazione selvaggia, e ora lascia che sia il Papa a parlare di “Terza Guerra Mondiale a zone”, iniziata di fatto con l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 Settembre. Il movimento no-global era sulla strada giusta, eppure – annota l’analista di “Megachip” – è bastata la crisi finanziaria e «l’elezione santificata» di Obama per accecare milioni di individui, divenuti «passivi o incoscienti della nuova politica imperiale». Tutto “merito” della disinformazione mediatica: Goebbels ha fatto scuola. «Il trucco c’è, si vede benissimo, ma non gliene frega niente a nessuno», sentenzia una vignetta di Altan. Tutti lo vedevano: «La “guerra al terrorismo” non sconfiggeva alcun terrorismo», ma «in compenso distruggeva stati, prima l’Afghanistan poi l’Iraq». E il terrorismo? «Entrava “in sonno” e si rifaceva vivo con alcune necessarie dimostrazioni di esistenza a Madrid e a Londra, nel cuore dell’Europa». Avvertimenti.«Con Obama, gli obiettivi e la strategia si sono progressivamente chiariti», sostiene “Piotr”. «Una volta riorganizzato e potenziato l’esercito corsaro, scattava la nuova offensiva che ha avuto due preludi: il discorso di Obama all’Università del Cairo nel 2009 e le “primavere arabe” iniziate l’anno seguente». Attenzione: «In entrambi i casi, la sinistra ha sfoggiato una strabiliante capacità di non capire nulla. Avendo ormai scisso completamente l’anticapitalismo dall’antimperialismo, la maggior parte del “popolo di sinistra” si faceva avviluppare dalla melassa della coppia buonismo-diritti umanitari (inutile ricordare i campioni italiani di questa pasticceria), elevando ogni bla-bla a concetto e poi a Verbo. Obama dixit. Che bello! Che differenza tra Obama e quel guerrafondaio antimusulmano di Bush! Avete sentito cosa ha detto al Cairo? Nemmeno il più pallido sospetto che l’impero stesse esponendo la nuova dottrina di alleanza con l’Islam politico (alleanza che ha il centro logistico, finanziario e organizzativo nell’Arabia Saudita, il partner più fedele e di più lunga data degli Usa in Medio Oriente)». Peggio ancora con le “primavere arabe”: «Nemmeno a bombardamenti sulla Libia già iniziati la sinistra ha avuto il buon senso di rivedere il proprio entusiasmo per quelle “rivolte”».«Disaccoppiare il capitalismo dall’imperialismo è come pretendere di dissociare l’idrogeno dall’ossigeno e avere ancora acqua», continua “Megachip”. «Si è giunti al punto che un capo di stato maggiore statunitense, il generale Wesley Clark, rivela che Libia e Siria erano già nel 2001 nella lista di obiettivi selezionati dal Pentagono». Ma niente paura: i «sedicenti marxisti» continuino ancora a credere alla fiaba delle “rivolte popolari”. E’ così che, all’alba della Terza Guerra Mondiale, la sinistra «ci arriva totalmente disattrezzata, teoricamente, politicamente e ideologicamente», ancora peggio del “popolo di destra” perché, spesso, apertamente schierata coi guerrafondai. Unico «sprazzo di sereno», nell’estate 2014, l’opposizione di M5S e Sel all’invio di armi ai curdi, per una guerra in cui – come avverte Emergency – a pagare saranno al 90% i civili. E il gioco è più sporco che mai: «Il senatore John McCain, in apparenza battitore libero ma nella realtà executive plenipotenziario della politica di caos terroristico di Obama, si è messo d’accordo sia coi leader del governo regionale curdo in Iraq sia con il Califfo dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, già Abu Du’a, già Ibrahim al-Badri, uno dei cinque terroristi più ricercati dagli Stati Uniti con una taglia di 10 milioni di dollari».«Così come Mussolini aveva bisogno di un migliaio di morti da gettare sul tavolo delle trattative di pace – conclude “Megachip” – gli Usa, l’Isis e i boss curdo-iracheni hanno bisogno di qualche migliaio di morti (civili) da gettare sul palcoscenico della tragedia mediorientale, per portare a termine la tripartizione dell’Iraq e lo scippo delle zone nordorientali della Siria (altro che Siria e Usa uniti contro i terroristi, come scrivono cialtroni superficiali e pennivendoli di regime). Il tutto a beneficio del realismo dello spettacolo». Nel lontano 1979, Brzezinski aveva capito e scritto che il futuro problema degli Stati Uniti era l’Eurasia e che quindi occorreva balcanizzarla, in particolare la Russia e la Cina. All’inizio del secolo scorso, in piena egemonia mondiale dell’impero britannico, il geografo inglese Halford Mackinder scriveva: «Chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland, chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo, chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo». L’indefesso girovagare di McCain tra Ucraina e Medio Oriente non è dunque un caso. Ciò che è cambiato, chiosa “Piotr”, è che «gli Usa hanno capito che non è necessario che siano le proprie truppe a fare tutto il lavoro sporco». Bastano a avanzano i nuovi corsari.Chi erano i corsari? Mercenari del mare, incaricati di colpire gli avversari della potenza che li aveva ingaggiati: di fatto, a loro toccava il lavoro sporco. Dunque, come definire altrimenti l’attuale Isis, armato dagli Usa attraverso l’Arabia Saudita? Già negli anni ‘80, scrive “Piotr” su “Megachip”, la Rand Corporation aveva previsto che guerre future sarebbero state combattute, sul terreno, da “entità sub-statali”. Cui prodest: «Cosa c’è di meglio per gli Usa che installare nel centro nevralgico dell’Eurasia (già oggetto degli incubi e dei desideri del “veggente” consigliere di Carter per la sicurezza, Zbigniew Brzezinski) uno Stato-non-Stato, uno Stato-zombie, un essere-non-essere, un’organizzazione territoriale che al riparo della sua bandiera nera pirata può minacciare di azioni raccapriccianti tutti gli stati vicini, a partire da Siria, Russia, Iran, Cina, repubbliche centroasiatiche e poi lungo il corridoio che tramite il Pakistan penetra in India e che attraverso lo Xinjiang Uyghur prende alle spalle la Cina? Difficile pensare a un’arma non convenzionale migliore».
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Smith: un nuovo 11 Settembre firmato Isis, cioè Cia
L’Isis è una creatura dell’Occidente al 100%: perché non aspettarsi che siano proprio gli “alleati coperti” del Califfato Islamico a firmare l’eventuale prossimo replay dell’11 Settembre? Se lo domanda Brandon Smith, in una lucida analisi nella quale mette a fuoco la storia recente e recentissima. «Il terrorismo “false flag” architettato dai governi è un fatto storico accertato: per secoli, le élite politiche e finanziarie hanno affondato navi, incendiato edifici, assassinato diplomatici, rimosso leader eletti e fatto saltare la gente per aria, per poi incolpare di questi disastri un conveniente capro espiatorio, così da generare paura nel pubblico e acquisire più potere». Gli scettici potranno discutere se una qualche specifica calamità sia stata o meno un evento terroristico “sotto falsa bandiera”, ma nessuno può negare che queste tattiche, in passato, siano state usate puntualmente, in tutto l’Occidente. «I governi hanno ammesso apertamente di creare tragedie sanguinarie e catalizzatrici con falsi pretesti, come l’Operazione Gladio, un programma false-flag in Europa, supportato dai servizi segreti europei e americani, che durò per decenni, dagli anni ’50 ai ’90».