Archivio del Tag ‘Paesi Bassi’
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Pritchard: così l’euro-sinistra ha svenduto i popoli all’élite
«Per un terribile rovescio del destino, la politica della sinistra europea sostiene la politica economica più reazionaria: i grandi partiti socialisti europei del dopoguerra sono rimasti intrappolati nella dinamica corrosiva dell’unione monetaria, apologeti della disoccupazione di massa e di un regime deflazionistico stile anni ‘30 che, sottilmente, favorisce gli interessi delle élite». In poche righe, Ambrose Evans-Pritchard fotografa la tragedia europea: i partiti che “inventarono” il sistema di welfare migliore del mondo sono oggi i migliori interpreti del rigore escogitato per demolire proprio quel welfare, il frutto migliore che la sinistra europea sia stata capace di creare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Fino a cancellare la stessa idea di Europa come patria comune, traguardo civile di convivenza. E’ stato il centrosinistra europeo a far ingoiare l’amara medicina dell’oligarchia finanziaria, abusando della fiducia storicamente ottenuta dalle fasce popolari e dall’elettorato progressista.«Uno dopo l’altro, la stanno pagando tutti», scrive Pritchard sul “Telegraph”, in un’analisi ripresa da “Come Don Chisciotte”. Primo esempio, i Paesi Bassi: «Il partito laburista olandese che diede vita al “Polder Model” e amministrò l’Olanda per mezzo secolo ha perso i suoi bastioni a Amsterdam, Rotterdam e Utrecht, i suoi sostenitori sono scesi al 10% per aver timidamente approvato le politiche di austerità che hanno portato alla deflazione e ad un abbattimento del valore immobiliare tanto da arrivare a ipoteche sul 25% di patrimoni netti negativi». Le politiche recessive «sono velenose per i paesi che già hanno problemi». L’indebitamento delle famiglie olandesi è passato dal 230% al 250% del reddito disponibile dal 2008 a oggi, mentre il debito dei britannici (che si sono tenuti la sterlina) è sceso da 151% al 133% nello stesso periodo. E’ tutta colpa del rigore imposto da Bruxelles, ma il partito laburista olandese «non può fare nessuna critica coerente, perché il suo orientamento pro-Ue lo costringe quasi al silenzio».«Il Partito Socialista non ha mai creduto nell’euro e non ci crediamo nemmeno adesso: dobbiamo quindi smettere di chiedere sempre più sacrifici per mantenerlo», ha detto Dennis de Jong, il leader del partito a Strasburgo che si appella a un “Piano B” per smantellare l’unione monetaria in modo ordinato». In Grecia, il socialista Pasok che ha guidato il paese verso la democrazia dopo la dittatura dei “colonnelli”, è sceso al 5,5%: un guscio svuotato da Syriza, che ora con il 25% di voti promette di strappare Atene dalle grinfie della Troika Ue. «Il Pasok si è meritato il suo annientamento», scrive il notista del “Telepgraph”: «Ha cospirato nel colpo di stato fatto nel retrobottega a novembre 2011, ancora una volta accettando le richieste dell’Ue per rovesciare il proprio primo ministro e per annullare il referendum della Grecia sul bail-out. Rinunciò, allora, ad una prova di forza catartica e necessaria con Bruxelles, per la troppa paura di rischiare l’espulsione dall’euro. Questo referendum si farà adesso: Tsipras ha trasformato le elezioni europee di questa settimana in un verdetto sulla servitù del debito».Se si può capire la paura della sinistra nei paesi periferici, aggiunge Evans-Pritchard, «il mistero è il motivo per cui un presidente socialista francese, con una maggioranza parlamentare, debba subire passivamente le politiche che stanno fiaccando la linfa vitale dell’economia francese e che stanno distruggendo la sua presidenza». François Hollande ha vinto due anni fa puntando sulla crescita e promettendo di bocciare il Fiscal Compact. Da quando è in carica, però, la disoccupazione francese è salita dal 10,1 al 10,4%, la crescita del Pil è scesa a zero e anche nell’ultimo trimestre la Francia ha perso 23.600 posti di lavoro, dopo i 57.000 perduti nel 2013. Sicché, secondo l’ultimo sondaggio Ifop, l’indice di gradimento di Hollande è crollato sotto il 18%: il peggiore da sempre per un leader francese. «La sua retorica del New Deal non ha portato a niente». Hollande «è capitolato sul Fiscal Compact, accettando una camicia di forza che obbliga la Francia a tagliare il debito pubblico ogni anno per un importo fisso per due decenni, fino a quando non sarà scesi al 60% del Pil, a prescindere dalla demografia o dal gap che esista nel settore privato o dalle esigenze di investimento dell’economia».La sua presidenza? «E’ stata tutto uno spettacolo dell’orrore di pacchetti di austerità, uno dopo l’altro, un circolo vizioso di maggiori imposte che fanno abortire qualsiasi recupero e lo debilitano con un effetto moltiplicatore che peggiora la situazione». Inasprimento fiscale nonostante il disavanzo: è la ricetta per il suicidio, se la Bce non interviene per compensare con iniezioni di denaro. «La risposta di Hollande è stata un raddoppio del rigore per infiocchettare il pacchetto: ha ceduto alle richieste di Bruxelles per altri 50 miliardi di euro di austerità nei prossimi tre anni». Questa volta, «la scure cadrà sulla spesa pubblica, arrivata al 57% del Pil». Inoltre, «ci saranno radicali riforme del lavoro, una variante della terapia-shock Hartz IV che servì per fottere i salari tedeschi dieci anni fa». In altre parole: se il socialista Hollande ha fatto pace con le grandi imprese, «sarà l’austerità a farlo a fette».Hollande si era prodigato per una “alleanza latina” per contrastare i deflattori quando presero il potere e per costringere la Germania a mettere il veto sulle azioni della Bce. Quella momentanea dimostrazione di grinta aveva spinto Draghi verso un piano di retromarcia sul debito italiano e spagnolo nel mese di agosto 2012, aiutato molto da Washington, ma poi non è andato avanti «e la Spagna ha continuato per la sua strada, come se fosse una Prussia del Sud o una nuova Tigre latina». La Bce? «Ancora una volta ha continuato a rigirarsi i pollici, incurante della deflazione». Francoforte «ha lasciato che i vincoli negativi bloccassero il bilancio francese facendolo ridurre di 800 miliardi, mentre l’euro si è rivalutato dell’ 8% contro lo yuan e del 15% contro lo yen, in un anno». Mentre gran parte del mondo sta cercando di tener basso il cambio delle valute e la deflazione delle esportazioni, l’Europa «è rimasta l’unica e tenersi tutto il pacco sulle spalle».I francesi non possono accettare di morire per asfissia economica: «La Francia è il cuore pulsante dell’Europa, l’unico paese con una statura di civiltà capace di condurre una rivolta e di prendersi carico della macchina politica dell’Unione Monetaria. Ma per scoprire il bluff della Germania, con una minima credibilità, Hollande dovrebbe essere pronto a rovesciare tutto il progetto dalle sue fondamenta e persino a rischiare una rottura sull’euro». Ed è quello che non farà mai. «Tutta la sua vita politica, da Mitterrand a Maastricht, è stata intessuta negli affari europei». Hollande «è prigioniero dell’ideologia di questo progetto, convinto come è che un condominio franco-tedesco rimanga la leva del potere francese e che sia l’euro a tenere legati i due paesi». Lo statista francese Jean-Pierre Chevenement confronta l’acquiescenza di Hollande con il corso rovinoso dei decreti deflazionistici di Pierre Laval nel 1935 durate il Gold Standard, cioè «l’ultima volta che un leader francese pensò di dover cavare sangue dal suo paese per difendere il vezzo di un cambio fisso».E’ la verità brutale, aggiunge Evans-Pritchard: «I socialisti francesi pensavano di non avere nulla da temere dall’ascesa del Fronte Nazionale, un partito che si prepara a sfruttare la furia prorompente dalla “France Profonde”, con l’impegno di ripristinare il controllo sovrano francese su tutto ciò che conta nella nazione, e che ha messo l’euro al primo posto tra i suoi compiti». I socialisti pensavano che il Fn avrebbe tolto voti ai gollisti, dividendo la destra? Errore: Marine Le Pen «sta dilaniando, con lo stesso vigore, anche le loro proprie roccaforti della classe operaia». Hanno sottovalutato la Le Pen, ora quotata al 24%, e sono scivolati al terzo posto, travolti dal “lepenismo di sinistra”, nuovo guardiano del welfare francese. I socialisti «non hanno nessuna risposta» da opporre agli attacchi del Fn sulla “austerità insensata” e “le politiche monetarie folli della Bce”, che continuano a intaccare il nucleo industriale della Francia. La Le Pen ripete che il prgetto dell’euro coincide con la disoccupazione di massa? «E’ tutto vero», dice Evans-Pritchard, ed è per questo che Hollande non sa cosa rispondere a Marine Le Pen.Tutto cominciò con il “referendum rubato”, la fatidica decisione di approvare il Trattato di Lisbona senza farlo votare, dopo che il popolo francese aveva già respinto un testo quasi identico chiamato “Costituzione europea”. «Nella scelta di ignorare la scelta del popolo del maggio 2005 – scrive Evans-Pritchard – i leader francesi hanno anticipato tutto quello che stiamo vedendo ora in Europa», ovvero «le scosse di assestamento di quel terremoto anti-democratico in Europa», per dirla con Coralie Delaume e il suo “Gli Stati Disuniti d’Europa”. «I socialisti dicono che è un oltraggio rifiutare un referendum su Lisbona, ma quando venne il momento di votarlo in parlamento, 142 deputati e senatori si astennero, e 30 votarono a favore del Trattato e diedero al presidente Nicolas Sarkozy la maggioranza dei tre quinti», ricorda Evans-Pritchard. «Le élite pensavano di essersela cavata con le loro prestidigitazioni su Lisbona? Non se l’erano cavata affatto», ma è ormai storia lo squallore del centrosinistra europeo, senza il quale l’oligarchia neoliberista non arebbe mai potuto imporre la crisi, attraverso il progetto neo-feudale chiamato euro.«Per un terribile rovescio del destino, la politica della sinistra europea sostiene la politica economica più reazionaria: i grandi partiti socialisti europei del dopoguerra sono rimasti intrappolati nella dinamica corrosiva dell’unione monetaria, apologeti della disoccupazione di massa e di un regime deflazionistico stile anni ‘30 che, sottilmente, favorisce gli interessi delle élite». In poche righe, Ambrose Evans-Pritchard fotografa la tragedia europea: i partiti che “inventarono” il sistema di welfare migliore del mondo sono oggi i più inflessibili interpreti del rigore escogitato per demolire proprio quel welfare, il traguardo più avanzato che la sinistra europea sia stata capace di centrare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Fino a cancellare la stessa idea di Europa come patria comune, traguardo civile di convivenza. E’ stato il centrosinistra europeo a far ingoiare l’amara medicina dell’oligarchia finanziaria, abusando della fiducia storicamente ottenuta dalle fasce popolari e dall’elettorato progressista.
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La lunga marcia dei no-euro, assedio all’Europarlamento
In Gran Bretagna il partito populista “United Kingdom Indipendence Party”, Ukip, il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, è rilevato in prima posizione nelle intenzioni di voto per le elezioni europee in un sondaggio realizzato dall’istituto Yougov per il quotidiano “Sunday Times”. I dati registrano lo Ukip guidato da Nigel Farage al 31%, i laburisti al 28%, i Tory del premier Cameron al 19%, e i Liberaldemocratici al 9%. Lo Ukip sta realizzando per le europee una campagna molto vigorosa contro i posti di lavoro “rubati” dagli stranieri, definita razzista dagli altri partiti. Secondo l’opinione della maggioranza del campione di Yougov questo tipo di posizione non è razzista, ma un commento duro sulla realtà. Nei sondaggi realizzati da quest’istituto si nota come l’avvicinarsi del voto stia spingendo verso l’alto i consensi dello Ukip, cresciuto dal 23% di inizio marzo all’attuale 31%, con una contemporanea flessione dei laburisti così come dei conservatori.Per il voto alla Camera dei Comuni i sondaggi sono diversi; certo se questo dato fosse confermato sarebbe comunque piuttosto clamoroso che un partito che combatte da sempre contro l’adesione della Gran Bretagna all’Unione Europea in pochi anni sia passato da una relativa marginalità al primato nazionale, per quanto in questa specifica consultazione. Il Regno Unito non è però l’unico paese Ue dove alle prossime europee sarà possibile un’affermazione dei no-euro. Il “Movimento 5 Stelle” è una formazione che nella stampa europea viene definita no-euro, anche se il M5S non è assimilabile ai partiti di destra populista che combattono contro Bruxelles. Alle europee il primato dei 5 Stelle è un’ipotesi al momento non così probabile, ma neppure impossibile. Il fronte no-euro al Parlamento di Strasburgo sarà guidato da Marine Le Pen, e il suo Front National potrebbe conseguire una prima posizione alle consultazioni del 25 maggio.Come mostra la media dei sondaggi realizzata da “Electionista” su Twitter, il partito della destra repubblicana Ump e la formazione di Marine Le Pen sono praticamente appaiate poco sopra il 20%. Per il Front National si tratterebbe di una crescita clamorosa, visto che 5 anni fa raccolse poco più del 6%. I Paesi Bassi, come la Francia e l’Italia, sono una delle sei nazioni fondatrici del processo di unificazione dell’Europa. Anche l’elettorato olandese potrebbe consegnare ai no-euro del “Partito della Libertà” di Geert Wilders il primato nazionale alle consultazioni per l’Europarlamento. Al momento il Pvv è terzo dietro i liberali progressisti, ora all’opposizione, e i liberali conservatori del premier Rutte, ma il margine di distacco è molto ridotto. La terza formazione assai rilevante che aderisce al blocco no euro della destra populista sono i liberali austriaci della Fpö di Heinz-Christian Strache. Anche in Austria le europee potrebbero essere vinte dai no -uro, ora al terzo posto nella media delle intenzioni di voto, dietro ai popolari e ai socialdemocratici.In Germania i no-euro di “Alternativa per la Germania”, che hanno recentemente rifiutato la proposta di alleanza offerta loro da Marine Le Pen, non vinceranno le elezioni europee ma sicuramente entreranno all’Europarlamento, con un risultato in costante crescita, che danneggia la Cdu della vera leader dell’Ue, Angela Merkel. Come si vede nell’ultimo sondaggio pubblicato su “Bild”, “Alternativa per la Germania”, Afd, è rilevata al 7,5%, in aumento rispetto al 4,9% conseguito alle ultime federali. E’ difficile definire “Syriza” un partito no-euro, visto che la formazione guidata da Tsipras è favorevole alla moneta unica. Le critiche radicali alle politiche di austerità hanno però tratti accomunabili al variegato fronte che combatte contro i governi dell’Ue, ed in questa prospettiva la possibile affermazione di “Syriza” in Grecia alle prossime europee rappresenterebbe uno scossone a Bruxelles non così dissimile dal primato nazionale del Front National della Le Pen o del Pvv di Wilders.(Andrea Mollica, “I paesi dove i no-euro hanno chance di vittoria alle europee”, dal blog di Gad Lerner del 28 aprile 2014).In Gran Bretagna il partito populista “United Kingdom Indipendence Party”, Ukip, il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, è rilevato in prima posizione nelle intenzioni di voto per le elezioni europee in un sondaggio realizzato dall’istituto Yougov per il quotidiano “Sunday Times”. I dati registrano lo Ukip guidato da Nigel Farage al 31%, i laburisti al 28%, i Tory del premier Cameron al 19%, e i Liberaldemocratici al 9%. Lo Ukip sta realizzando per le europee una campagna molto vigorosa contro i posti di lavoro “rubati” dagli stranieri, definita razzista dagli altri partiti. Secondo l’opinione della maggioranza del campione di Yougov questo tipo di posizione non è razzista, ma un commento duro sulla realtà. Nei sondaggi realizzati da quest’istituto si nota come l’avvicinarsi del voto stia spingendo verso l’alto i consensi dello Ukip, cresciuto dal 23% di inizio marzo all’attuale 31%, con una contemporanea flessione dei laburisti così come dei conservatori.
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Madsen: italiani venduti al Bilderberg, il governo vi spia
Tutti sapevano – anzi, collaboravano – anche se ora fingono di cadere dalle nuvole, nello scandalo senza fine innescato dalle rivelazioni di Edward Snowden. “Der Spiegel” conferma che l’intelligence della Germania ha collaborato per anni alla raccolta clandestina di dati. E il verde tedesco Jan Philipp Albrecht, sul “Guardian”, conferma: «Regno Unito, Danimarca, Olanda, Francia, Germania, Spagna e Italia hanno firmato un accordo che prevede la fornitura di dati digitali agli Stati Uniti. In altre parole, hanno spiato i propri cittadini per conto di Washington». Sicché, appare comica l’intenzione di Enrico Letta di «chiedere spiegazioni» a John Kerry sul Datagate. Curioso, osserva Franco Fracassi, «visto che molte delle informazioni che l’Nsa ci ha spiato (invadendo la nostra privacy) le sono state fornite proprio dai nostri servizi segreti: siamo stati venduti non solo alla Casa Bianca, ma anche alle grandi banche, alle società di Borsa e alle multinazionali. In altre parole: al Club Bilderberg, di cui Letta fa parte, per sua stessa ammissione».La gola profonda è un ex funzionario della Nsa, Wayne Madsen, già autore di rivelazioni scioccanti sull’11 Settembre, sul caso Calipari, su Al-Qaeda e sulla famiglia Bush. «L’Italia, ma anche la Germania, la Francia e altri paesi europei hanno accordi segreti con gli Stati Uniti per il passaggio di dati personali alla National Security Agency». I nostri paesi hanno accesso al Tat-14, il sistema di telecomunicazioni transatlantico via cavo che consente loro di intercettare un’enorme quantità di dati: telefonate, email e anche la cronologia dei siti Internet visitati dagli utenti, spiega Madsen a Fracassi in un’intervista pubblicata da “Popoff”. Per “utenti”, precisa Madsen, si intende anche l’Unione Europea, che viene definita dall’Nsa un “target”, un obiettivo. «L’Nsa ha suddiviso i suoi partner, che l’aiutano a reperire informazioni, in tre gruppi diversi, in base al livello di fiducia. Gli Usa sono ovviamente nella prima categoria. La seconda è formata da Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda. La terza è composta da Danimarca, Paesi Bassi, Francia, Germania, Spagna e Italia. In realtà c sarebbe anche un quarto livello. Ma di questo si conoscono solo alcuni paesi, come Finlandia e Svezia».L’agenzia spionistica digitale, continua Madsen, è diventata sempre più potente con il passare degli anni, fino alla “guerra al terrorismo” inaugurata da Bush e proseguita da Obama. «Oggi l’Nsa è di gran lunga il più potente servizio di spionaggio al mondo». La cosa più assurda? «L’Nsa è il servizio segreto elettronico degli Stati Uniti d’America. Quindi, chiunque giungerebbe alla conclusione che i dati che raccoglie vengano consegnati alla Casa Bianca». E invece? Oltre a Obama, il direttore riferisce a ben altre autorità: «Keith Alexander partecipa alle riunioni del Club Bilderberg. Dunque, entrano in possesso dei nostri segreti banchieri, finanzieri, amministratori delegati di multinazionali». Secondo Madsen, «l’Italia è stato uno dei paesi più solerti a fornire informazioni a Washington: sto parlando di milioni e milioni di dati sensibili e di informazioni personali per ciascuno dei sessanta milioni di italiani». Un nome famoso? Nicola Calipari, ucciso in Iraq da soldati Usa durante la liberazione di Giuliana Sgrena, giornalista del “Manifesto”. «Il vostro agente segreto – accusa Madsen – è stato assassinato da una squadra americana d’élite anche grazie alle informazioni fornite dai vostri servizi segreti».Tutti sapevano – anzi, collaboravano – anche se ora fingono di cadere dalle nuvole, nello scandalo senza fine innescato dalle rivelazioni di Edward Snowden. “Der Spiegel” conferma che l’intelligence della Germania ha collaborato per anni alla raccolta clandestina di dati. E il verde tedesco Jan Philipp Albrecht, sul “Guardian”, conferma: «Regno Unito, Danimarca, Olanda, Francia, Germania, Spagna e Italia hanno firmato un accordo che prevede la fornitura di dati digitali agli Stati Uniti. In altre parole, hanno spiato i propri cittadini per conto di Washington». Sicché, appare comica l’intenzione di Enrico Letta di «chiedere spiegazioni» a John Kerry sul Datagate. Curioso, osserva Franco Fracassi, «visto che molte delle informazioni che l’Nsa ci ha spiato (invadendo la nostra privacy) le sono state fornite proprio dai nostri servizi segreti: siamo stati venduti non solo alla Casa Bianca, ma anche alle grandi banche, alle società di Borsa e alle multinazionali. In altre parole: al Club Bilderberg, di cui Letta fa parte, per sua stessa ammissione».
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Europee 2014, gli elettori voteranno contro Bruxelles
L’affermazione del partito anti-euro in Germania, la crescita dell’estrema destra in Austria, la pressione degli eurofobi di Nigel Farage sui conservatori britannici e il disastro elettorale del partito di governo alle elezioni amministrative portoghesi a causa delle misure di rigore rappresentano una sorta di introduzione alla campagna elettorale per le elezioni europee del maggio 2014, che rischia di essere caratterizzata dai gruppi ostili all’ortodossia di Bruxelles. Ai tradizionali voti contro l’immigrazione e contro Bruxelles, che hanno alimentato le campagne euroscettiche in occasione delle precedenti elezioni, si aggiunge un voto anti-Merkel e anti-troika rafforzatosi con la crisi dell’euro e con i successivi piani di rigore. Spesso questi fronti anti-Europa si mescolano tra di loro. Da un lato gli euroscettici sono preoccupati dello sviluppo dell’immigrazione, dall’altro il rigore alimenta il rifiuto di un’Europa liberista.Mentre i partiti di governo sono più preoccupati per elezioni nazionali che per quelle europee a scarsa partecipazione, queste forze “contro” vogliono capitalizzare i loro voti sull’elezione del 22 e del 25 maggio 2014 per rafforzare la loro influenza. Inoltre questo movimento arriva nel momento in cui il Parlamento europeo ottiene poteri più importanti, in particolare sulla scelta del presidente della Commissione. Il presidente del Partito per l’indipendenza del Regno Unito (Ukip) Nigel Farage ha fatto delle elezioni europee il suo principale obiettivo per imporsi nel Regno Unito e cambiare il rapporto di forza a Bruxelles. Questa è anche la priorità dei Veri Finlandesi o del Fronte Nazionale (Fn) francese, così come di Beppe Grillo in Italia o di Syriza, il principale partito di opposizione in Grecia. Tutte queste forze politiche sperano di raccogliere i voti “contro”, che si esprimono più facilmente in questo genere di elezioni. «Le europee sono tradizionalmente favorevoli ai partiti periferici», spiega il politologo Dominique Reynié. «Sono a scrutinio proporzionale e l’astensione è molto forte, soprattutto fra i moderati».Gli ingredienti del cocktail sono noti: l’immigrazione, la burocrazia e il rigore. E quando vengono mescolati possono diventare esplosivi. La polemica sui Rom in Francia mostra che l’immigrazione – sia verso l’Europa che all’interno dell’Unione – sarà uno dei temi della campagna elettorale. Questo è uno dei cavalli di battaglia dell’estrema destra, dalla Danimarca alla Grecia, dai Paesi Bassi all’Austria o alla Francia. Si tratta di un argomento spesso trattato dagli euroscettici dell’Ukip o da parte del nuovo partito anti-euro “Alternativa per la Germania” (Afd). Una parte degli europei preoccupati dalla crisi vede la libera circolazione come una minaccia per l’occupazione. Il lavoratore romeno o bulgaro sta sostituendo l’idraulico polacco. L’euroscetticismo approfitta della crisi. Alle critiche nei confronti della burocrazia di Bruxelles si aggiunge la cattiva gestione della tempesta finanziaria. «Dopo la crisi del debito i paesi del sud sono persuasi che quello che succede loro è colpa di Berlino, mentre i paesi del nord ritengono che è colpa di Bruxelles se devono dare del denaro al sud», spiega il deputato del Partito popolare europeo (Ppe) Alain Lamassoure.I Veri Finlandesi vedono nell’aiuto alla Grecia la giustificazione del loro euroscetticismo, così come il Partito della Libertà di Geert Wilders nei Paesi Bassi, che nei sondaggi raggiunge il 30 per cento. Accanto a queste due opposizione tradizionali, la crisi ha dato vita a un fronte anti-Merkel e anti-troika molto attivo nell’Europa meridionale, tanto a sinistra quanto a destra. In Grecia, Syriza e il partito populista dei Greci Indipendenti vogliono approfittare del rifiuto delle misure imposte da Bruxelles e dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) per imporsi a Strasburgo. In Spagna il movimento degli Indignados vuole presentare delle liste alle elezioni di maggio. Finora l’estrema destra e i movimenti euroscettici, molto divisi, hanno avuto un’influenza limitata al Parlamento Europeo. «Il progetto europeo corre un grave pericolo», riconosce Anni Podimata, vicepresidente del Parlamento ed esponente del Partito socialista greco (Pasok). «L’avversione all’Europa è sempre più forte. Questo deve spingere i partiti a farsi carico di un messaggio europeista».I deputati dell’Fn non sono iscritti, mentre gli altri movimenti si ritrovano nel gruppo “Europa libertà democrazia” intorno a Nigel Farage e ai membri della Lega Nord. Il sogno dell’Fn è quello di creare un gruppo con l’Fpö austriaco, che ha superato il 20 per cento alle elezioni politiche del 29 settembre. «Tra un quarto e un terzo dei deputati voterà “no” a tutto, ma questo non impedirà al Parlamento di funzionare. L’intesa fra il Ppe e i socialdemocratici sarà più necessaria che mai», sostiene Lamassoure. I due partiti hanno annunciato che faranno una campagna destra-sinistra, ma l’inizio della campagna elettorale dei socialdemocratici è coincisa con la decisione dell’Spd di partecipare al governo Merkel.(Alain Salles, “Elezioni europee 2014, la minaccia del voto di protesta”, intervento pubblicato da “Presseurop” e ripreso da “Globalist” il 7 ottobre 2013).L’affermazione del partito anti-euro in Germania, la crescita dell’estrema destra in Austria, la pressione degli eurofobi di Nigel Farage sui conservatori britannici e il disastro elettorale del partito di governo alle elezioni amministrative portoghesi a causa delle misure di rigore rappresentano una sorta di introduzione alla campagna elettorale per le elezioni europee del maggio 2014, che rischia di essere caratterizzata dai gruppi ostili all’ortodossia di Bruxelles. Ai tradizionali voti contro l’immigrazione e contro Bruxelles, che hanno alimentato le campagne euroscettiche in occasione delle precedenti elezioni, si aggiunge un voto anti-Merkel e anti-troika rafforzatosi con la crisi dell’euro e con i successivi piani di rigore. Spesso questi fronti anti-Europa si mescolano tra di loro. Da un lato gli euroscettici sono preoccupati dello sviluppo dell’immigrazione, dall’altro il rigore alimenta il rifiuto di un’Europa liberista.
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L’Olanda: chi vuole, lasci l’euro. Cadrà il Muro di Bruxelles?
Il governo olandese vuole consentire l’abbandono dell’euro ai paesi in crisi con le regole dell’unione monetaria ed economica. Una svolta annunciata da un’intervista del premier dei Paesi Bassi, Mark Rutte, a “Süddeutsche Zeitung” e “Financial Times”, la prima effettuata dal leader dei liberali dopo la formazione del nuovo governo. L’esecutivo olandese, scrive il blog di Gad Lerner, si è contraddistinto finora per essere uno dei più fedeli alleati di Angela Merkel nella difesa dell’austerity come politica economica per risolvere la crisi dei debiti sovrani. E nonostante il recente cambio di maggioranza – al posto del centrodestra ora i Paesi Bassi sono governati da un’alleanza tra liberali e sinistra riformista – questa posizione non cambierà, almeno secondo Rutte. I paesi dell’eurozona che sono in difficoltà con i programmi di austerità però potrebbero lasciare la moneta unica, se lo volessero.
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Avviso a Monti e Bersani: la Francia boccia la loro Europa
L’Europa è stanca: di “rigore” si può morire, e non se ne vede il motivo. Mentre l’Olanda andrà ad elezioni anticipate, in mancanza di un accordo politico “lacrime e sangue” per rispettare i diktat di bilancio del Fiscal Compact – lo Stato obbligato a ridurre ulteriormente la spesa sociale per contenere il debito – il primo turno delle presidenziali francesi punisce “Merkozy” e premia sia la sinistra di François Hollande che l’estrema destra di Marine Le Pen, entrambe contrarie alla “dittatura della Bce”. A differenza dell’Italia, dove Pd e Pdl al riparo di Mario Monti eseguono alla lettera il programma di austerity imposto da Bruxelles, o della Spagna, dove il neopremier Mariano Rajoy applica le durissime direttive di Francoforte, da Parigi ad Amsterdam la scure tecnocratica dell’eurocrisi sembra destinata ad incontrare un ostacolo imprevisto: la politica.
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Galtung: Turchia ed Euro-Cina dopo il declino Usa
Ovviamente la Turchia diverrà membro dell’Unione Europea, col sostegno francese e tedesco. Ci vorrà un po’, ma hanno un bisogno reciproco. Il matrimonio è scritto nelle stelle. Quando, è più difficile dire. Probabilmente per il 2015, sicuramente per il 2020; può anche arrivare molto prima per ragioni da esplorare. Chiarisco perché. Una volta (nel 1980) predissi il declino e la caduta dell’impero Sovietico, cominciando dal Muro di Berlino, di lì a dieci anni; e (nel 2000) predissi il declino e la caduta dell’impero Usa, non del paese Usa, per molti versi meraviglioso, entro vent’anni.