Archivio del Tag ‘orrore’
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Io sono tutto, disse la paura: ed eccoci schiavi del virus
Non farti mai imporre la loro narrazione, disse a se stesso, inutilmente. L’aveva sentita arrivare: vaghi allarmi, notizie ancora lontane. Poi la vide avvicinarsi, ne intuì la vocazione. Io sarò tutto, proclamava. E aveva ragione: era nata per travolgere, schiacciare, soffocare, sovrastare. Le prime fanterie furono sbaragliate in modo tragicomico, tra un involtino primavera e una birretta sui Navigli milanesi. Il tempo di guardarsi attorno, di scoprirsi già accerchiati. Voci metalliche, elicotteri. Ma la televisione – cantava Lucio Dalla – ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione. “Garage Olimpo”, il cupo film di Marco Bechis, parlava ancora di abissi materiali, l’inferno argentino quasi ingenuo degli orrori caserecci di una dittatura atroce che ti faceva scomparire, poteva ridurti a pezzettini nelle cantine dell’Esma e poi scaraventarti da un aereo oltre l’estuario della Plata, in mare aperto. Ora è come se fossero scomparsi tutti quanti, ma volontariamente: senza colpo ferire.Tutto ormai scorre silenziosamente, in tempi di sofisticazione digitale, di auto senza rumore e quasi prive di pilota, di droni sapientissimi e algoritmi. Gironi grigi e ammutoliti, bocche bendate e infagottate. La parodia scolastica affidata alla mestizia di lezioni fantasmatiche, grazie alla connessione solo digitale del codice binario che dà vita al monitor. Tutti nell’Orrida Gheenna, sotto forma di influenza universale. Triste ironia, per chi smaniava di poter essere virale, come se fosse una virtù, una fantastica conquista, dentro la planetaria smaterializzazione progressiva di qualsiasi cosa avesse ancora addosso il vecchio odore di umanità possibile, e dunque impresentabile. Del mondo antico, quello più familiare e tridimensionale, restano quasi solo le affabili menzogne dell’affabulazione giornaliera, con il sinistro contorno di ululati e feretri. Menzogne virtuali a badilate, a once, a tonnellate: le tenebrose fantasie di ogni leggenda, l’antologia di aneddoti che annebbia qualunque palingenesi presunta.Imporre un solo tema, sempre quello, per un anno e oltre: anche per sempre, stando agli umori dei peggiori aruspici. Imporre il modo di pensare, di vestirsi, di parlare e respirare, di calcare marciapiedi e magazzini. Imporre l’orizzonte, dopo aver plasmato su misura ogni sussurro, ogni recondito sentire, persino l’aritmetica drogata di elezioni presentate come cruciale appuntamento escatologico, spada d’arcangelo a separare il bene e il male. Nelle paludi torbide, gli alligatori ancora ufficialmente addetti alla politica si limitano oggi a un agitarsi goffo, tra le sabbie di un’impotenza definitivamente conclamata. Sono ben altri, lassù, a disegnare traiettorie concepite per convogliare in modo conveniente tutto il bestiame umano, che ancora non capisce e perde tempo ad azzuffarsi in liti di cortile. Se il piano infine non sarà condotto a termine, non sarà merito di alcuna schiera di soldati semplici. Ci sono pure quelli, dotati di animo ribelle: hanno imparato a farsi ben valere, ma restano sparuta minoranza.Intanto ha vinto l’onda anomala, la vibrazione scura concepita come alibi per la dominazione ultima, imposta col terrore. Ha vinto la paura, la quiete artificiale dell’allevamento in cui trionfa la superstizione. Niente è credibile, nell’assordante macrocosmo delle frottole: le rare verità ormai sfuggono a qualsiasi radar, non trovano parole capaci di bucare le corazze della sordità atterrita. Ancora si ragiona di cerotti, aghi e svariate altre stupidaggini, mentre i signori dell’imperio giocano all’onnipotenza, all’illusoria eternità televisiva, trafficando coi loro palinsesti, le loro facce di cartone, i loro numeri truccati. Chi mai l’avrebbe detto, un anno fa, che avrebbe dilagato in modo così folle e incontrastato il totalitarismo della narrazione unica, prescritta dalla sera alla mattina, per decreto? E’ come essersi scordati di avere corpo e gambe, raziocinio, cuore. Sostanza umana di memorie, dignità di esistere.(Giorgio Cattaneo, “Io sono tutto, disse la paura”, dal blog del Movimento Roosevelt del 20 marzo 2020).Non farti mai imporre la loro narrazione, disse a se stesso, inutilmente. L’aveva sentita arrivare: vaghi allarmi, notizie ancora lontane. Poi la vide avvicinarsi, ne intuì la vocazione. Io sarò tutto, proclamava. E aveva ragione: era nata per travolgere, schiacciare, soffocare, sovrastare. Le prime fanterie furono sbaragliate in modo tragicomico, tra un involtino primavera e una birretta sui Navigli milanesi. Il tempo di guardarsi attorno, di scoprirsi già accerchiati. Voci metalliche, elicotteri. Ma la televisione – cantava Lucio Dalla – ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione. “Garage Olimpo”, il cupo film di Marco Bechis, parlava ancora di abissi materiali, l’inferno argentino quasi ingenuo degli orrori caserecci di una dittatura atroce che ti faceva scomparire, poteva ridurti a pezzettini nelle cantine dell’Esma e poi scaraventarti da un aereo oltre l’estuario della Plata, in mare aperto. Ora è come se fossero scomparsi tutti quanti, ma volontariamente: senza colpo ferire.
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La Bibbia Nuda: dietro la nostra storia, una regia occulta
E’ perfettamente lecito domandarsi a chi mai possa importare, oggi, della eventuale veridicità del libro più famoso e più diffuso al mondo, la Bibbia. Un testo sacro, per i religiosi. Un insieme di codici simbolici, per gli esoteristi. Una collezione di fiabe, per gli atei. E se invece – al di là di come la si possa pensare, e nel pieno rispetto delle convinzioni di chiunque – quell’insieme di rotoli antichi contenesse indizi sull’origine della nostra possibile, vera storia? Per cercare una risposta, risulta utilissimo il metodo (pratico, lineare) adottato da Mauro Biglino, singolare figura del panorama culturale italiano. Prima, traduttore dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, e poi autore di 14 saggi che indagano tra le pieghe del testo biblico, riletto testualmente e senza filtri, teologici o sapienziali. Dopo oltre dieci anni di studi, la domanda resta invariata: e se la Bibbia riflettesse l’eco dell’origine della nostra specie, letteralmente “fabbricata” da individui non umani? E’ proprio questa, l’angolazione che – volendo – consente di passare, in modo verticale, dalla Genesi alla difficilissima attualità del momento presente, in cui l’umanità sembra in balia di forze ostili e smisuratamente potenti.Forse è utile fare un bel passo indietro, di almeno vent’anni. Per esempio: fino al 10 settembre 2001, era diffusa la sensazione di vivere nel migliore dei mondi possibili. Non esattamente un pianeta-capolavoro, politicamente parlando, ma distante anni luce da quello che sarebbe venuto dopo, a cominciare dall’alba del giorno seguente: due Boeing contro le Torri Gemelle di New York, senza che un solo jet militare – dopo il primo impatto – si fosse levato a presidiare quelli che erano considerati i cieli più sorvegliati del globo, così da scongiurare almeno la seconda, devastante collisione. Un’avvisaglia poco rassicurante la si era avuta due mesi prima, a Genova, in mezzo a strade e piazze improvvisamente preda della follia di una violenza insensata. Wayne Madsen, già dirigente della Nsa, disse che oltre duemila agenti avevano lavorato, per mesi, a “organizzare” la carneficina del G8 genovese, puntando sul caos scatenato dai misteriosi black bloc, in apparenza venuti dal nulla. Risultato: un temporale anomalo e capace di tramortire l’opinione pubblica, spingendo i giornali a parlare di “sospensione della democrazia”, prima ancora che la vicenda vivesse i suoi pesanti strascichi giudiziari.Solo dieci anni prima, si era aperta una stagione che aveva l’aria di essere straordinariamente promettente, per il pianeta. Mikhail Gorbaciov aveva “scongelato” l’Est Europa facendo cadere il Muro di Berlino: a colpi di spettacolari super-vertici con gli Usa, sembravano spalancarsi orizzonti impensabili. Certo, di lì a poco non erano mancati “incidenti”, anche gravissimi, dopo il golpe contro Gorbaciov e l’ascesa di Eltsin, che aprì le porte alla razzia dell’ex Urss. Esplose l’odioso bagno di sangue dell’ex Jugoslavia: la tragedia infinita della guerra civile balcanica, alle porte della civilissima Europa occidentale, finì per mettere in sordina l’opaco conflitto ceceno, mentre in Israele un estremista ebraico sparava alla schiena di Yitzhak Rabin, uccidendo l’uomo che aveva osato firmare una vera pace con i palestinesi. Pur nell’immane complessità dei focolai di morte, però, la situazione sembrava ancora affrontabile su scala regionale, con gli strumenti geopolitici della diplomazia, della politica estera, della pressione militare proporzionata. Poi, appunto, il mondo esplose: tutto insieme, e di colpo.Da allora, il pianeta non ha più smesso di esplodere: Afghanistan e Iraq, le rivoluzioni colorate e le primavere arabe, la brutale esecuzione di Gheddafi, la comparsa dell’Isis e il martirio della Siria, gli attentati stragistici in Europa. Che l’orizzonte si fosse subito richiuso, dopo la finestra di speranze alimentate dalla stagione di Gorbaciov, lo si era capito anche dal peso smisurato della globalizzazione neoliberista: il via libera a Wall Street grazie a Clinton, l’ingresso della Cina nel Wto, le delocalizzazioni spericolate, la sparizione della sicurezza sociale. Tutto vertiginosamente accelerato, in pochissimi anni: la fine dei diritti del lavoro e l’avvento del precariato come condizione permanente, i tagli devastanti al welfare e la demolizione della “mid class” occidentale, in Europa crollata sotto il peso dell’iper-fiscalità imposta dall’Eurozona. Fino ad arrivare alla tempesta perfetta degli spread, agli orrori della Grecia, al commissariamento di interi paesi. Paura e incertezza: la netta percezione di avere sempre meno benessere, meno diritti, meno democrazia, meno futuro.Ora siamo nell’era universale del virus, della pandemia tendenzialmente permanente, del distanziamento sociale obbligatorio, delle campagne vaccinali come unica soluzione (in assenza di terapie domiciliari precoci, che molti medici invece ritengono efficaci). Si sprecano le narrazioni distopiche amplificate dagli strateghi visionari di Davos, che disegnano una riconversione addirittura antropologica di un’umanità che parrebbe condannata a una sorta di sottomissione tecnocratica, psico-sanitaria, quasi zootecnica secondo i più pessimisti. A questo si è arrivati per gradi, mediante l’orchestrazione planetaria di una narrazione mediatica soverchiante, inarrestabile, che è riuscita a proporre come un’esperienza inevitabile la tragedia dell’emigrazione dai paesi poveri, nonché a ridurre a problema climatico lo scempio della Terra avvelenata, e persino a presentare le evoluzioni del clima come frutto esclusivo della cattiva condotta di un’umanità colpevole e incorreggibile.Inutile sperare che i grandi media illuminino davvero la grande notte: tra giornali e televisioni, è come se parlasse una sola voce, capace di spegnere (per la prima volta, nella storia) quella dello stesso presidente degli Stati Uniti, letteralmente espulso dal sistema e silenziato, trattato come un reietto, bruscamente cancellato dall’anagrafe mondiale. Un anno davvero fatale, il 2020: che ad aprile, tra le altre cose, si è portato via anche Giulietto Chiesa. Da grande giornalista, era stato tra i primi – con Seymour Hersh, Noam Chomsky, Gore Vidal – a puntare il dito contro il nuovo mostro orwelliano oggi dilagante, l’impero della disinformazione a reti unificate. In Italia, Giulietto Chiesa (con il saggio “La guerra infinita”, uscito nel 2002) era stato il primo in assoluto a dimostrare che la versione ufficiale sui fatti dell’11 Settembre era totalmente inattendibile. In parallelo, poco dopo, un regista come Massimo Mazzucco (trasformatosi in reporter) si vide trasmettere da Canale 5 in prima serata i suoi documentari critici sul crollo delle Twin Towers: lavori che mettevano in luce il carattere inverosimile delle spiegazioni governative.Da allora, la parola “complottismo” ha preso il volo, toccando vette impensabili fino a qualche anno prima. Brutta parola, in effetti: alla voce “complottismo” viene facilmente derubricata (e quindi liquidata, ridicolizzata) qualsiasi argomentazione che ipotizzi l’esistenza stessa di possibili complotti. Colpa anche dei cosiddetti complottisti: sicuri che ogni cospirazione abbia puntualmente successo, e che qualsiasi evento planetario sia sempre e solo frutto di macchinazioni oscure. E dunque: chi ha progettato davvero l’abbattimento delle Torri Gemelle? «Non sta a noi l’onere della prova», rispondevano prontamente Giulietto Chiesa e Massimo Mazzucco, certi che la loro funzione fosse quella (preziosissima) di verificare l’inconsistenza della versione ufficiale. E’ un problema di metodo, in fondo: limitarsi ad affermare solo quanto si è sicuri di poter davvero dimostrare, dati alla mano. Una questione di serietà, di trasparenza. Dire solo quello che si sa, parlare esclusivamente di ciò che si conosce: ed esibirne le prove, incontrovertibili.Grazie alla diffusione worldwide del web e dei social come fenomeno di massa, negli ultimi anni si è fatta strada un’editoria parallela, che tra mille incertezze è comunque riuscita a proporre una narrazione alternativa degli eventi, convalidata qua e là da voci sempre più autorevoli. All’orizzonte, alcuni importanti studiosi – in ogni campo, da quello storico a quello scientifico – prospettamo una sorta di riscrittura generale della storiografia, in gran parte basata su scoperte anche recenti, come quelle della geofisica (i maremoti che avrebbero ridisegnato la geografia del pianeta, 12.000 anni fa), senza contare l’ormai inarrestabile valanga di acquisizioni archeologiche: dalle città sommerse alle tracce di civiltà di gran lunga antecedenti, rispetto a quelle registrate nei libri scolastici. Il solo sito turco di Göbekli Tepe, per esempio, costringe a retrodatare di millenni la stessa introduzione dell’agricoltura.Chi siamo, davvero? Da dove veniamo? Risale ad appena qualche anno fa la scoperta, in Siberia, dell’Uomo di Denisova, altra “sorpresa” con cui la paleontogia ora si trova a fare i conti, senza avere risposte: se il darwinismo trasformato in dogma quasi religioso sta ormai franando, emergono tracce che sembrano alludere a svariati “esordi” della nostra specie, nei più disparati angoli del pianeta, senza che sia stato ancora trovato il famoso anello mancante, genetico, tra noi e le scimmie antropomorfe. Di questo, precisamente, parla la Genesi: se la si legge alla lettera, dice Mauro Biglino, si scopre che quel testo sembra esser stato scritto, non si sa neppure da chi, per raccontare l’origine di un ceppo particolarissimo dei nostri antenati. Per Biglino, il racconto biblico è chiarissimo: sono stati gli Elohim a innestare il loro Dna sugli ominidi che popolavano la Terra. Che poi l’espressione al plurale (”gli Elohim”) venga impropriamente tradotta al singolare con la parola “Dio”, in modo del tutto arbitrario, non è che la conferma di una manipolazione ricorrente, vecchia di millenni.Dall’Eden all’11 Settembre, certo, il salto è vertiginoso: ma in fondo, perché stupirsi delle manipolazioni di oggi, se la deformazione sistematica della narrazione ufficiale risale a oltre duemila anni fa? Biglino cita un padre della Chiesa, il vescovo Eusebio di Cesarea, il quale accredita gli studi del greco Filone di Byblos, che a sua volta riporta le scoperte del fenicio Sanchuniaton, vissuto nel 1200 avanti Cristo: in Egitto, il fenicio avrebbe scoperto le prove (scritte) della primissima manipolazione operata dalla casta sacerdotale egizia, che avrebbe trasformato in divinità metafisiche i personaggi che invece camminavano tra noi, proprio come gli dèi omerici, ai tempi della mitica Età dell’Oro. Si commenta da solo, il coraggio di Mauro Biglino, per dieci anni impegnato in una generosissima maratona infinita, tra centinaia di conferenze in tutta Italia. Unica bussola, la Bibbia: la fedeltà letterale a quel testo, rinuciando a fargli dire cose che non ha mai detto. Niente spiritualità, onniscienza, onnipotenza, eternità: vocaboli assenti, nozioni che nell’Antico Testamento non conosce. Sconvolgente? Sì, certo. Ma utile, oggi più che mai, per irrobustire domande importanti.Biglino – beninteso – non si nega certo la possibilità dell’esistenza del divino: si limita a registrare che nella Bibbia, semplicemente, non ve ne sia traccia. Quelle pagine, semmai, sono affollate di velivoli meccanici, oltre che di stragi efferate e di svariate “divinità” presenti in carne e ossa. Affascinante, se l’Antico Testamento lo si considera alla stregua di una sorta di libro di storia, pieno di echi provenienti da civiltà precedenti e, in molti passi, mutuato – quasi in fotocopia – dai testi dell’epopea sumerica. E’ questo, in fondo, lo sguardo che l’ultimo lavoro in uscita (”La Bibbia nuda”) offre, a chi è pronto ad affrontare un viaggio fatto di suggestioni, scoperte e interrogativi, sapendo mettere da parte per un attimo le proprie convinzioni consolidate. E non è solo un fatto culturale: in un recente saggio che Biglino ha scritto con la professoressa Lorena Forni dell’università Milano Bicocca, si scopre che sull’errata traduzione della Bibbia sono fondati alcuni presupposti-cardine del nostro patrimonio giuridico; il legislatore, cioè, si è basato su verità in apparenza presenti nell’Antico Testamento, ma in realtà smentite dalla corretta traduzione del testo.Nel panorama mondiale del 2021, con un’umanità letteralmente travolta dall’emergenza pandemica (e in parallelo, dalle soluzioni preconfezionate per un futuro non esattamente libero e felice), le pagine de “La Bibbia nuda” – in cui l’opera pluriennale di Biglino viene messa sistematicamente a confronto con gli scenari di oggi – concorrono ad arricchirre l’interessante bibliografia che si va componendo, anno dopo anno, in un periodo che sta vistosamente sfornando trasformazioni epocali, con risvolti anche molto spiazzanti. Risale all’autunno 2019 la storica ammissione della Us Navy: i nostri aerei si imbattono frequentemente in astronavi e dischi volanti. Un’affermazione confermata nella primavera 2020 dal Pentagono, e poi ulteriormente sviluppata dal generale Chaim Eshed, per decenni a capo della sicurezza areospaziale di Israele: da trent’anni, ha detto, noi terrestri collaborariamo stabilmente con entità non terrestri, raggruppate in una sorta di alleanza che chiamiamo Federazione Galattica.Fantascienza? Non più, a quanto pare. Ma in fondo è roba vecchia, dice Mauro Biglino, se sfogliamo pagine come quelle del Libro di Enoch: tra quei versetti non si parla che di decolli e atterraggi. Domanda persino ovvia: e se le pagine di Enoch, Ezechiele (e tante altre) non contenessero che resoconti, ante litteram, di incontri ravvicinatissimi con quelle che poi i sacerdoti avrebbero chiamato divinità? Tutto è possibile, parrebbe, a patto di tenere la mente aperta. Mauro Biglino peraltro non è un ufologo, né un teorico della paleoastronautica. Si mantiene rigorosamente nel perimetro del suo ruolo precipuo, quello di traduttore biblico. Dice: impariamo a rispettarla, la Bibbia, per quello che racconta davvero. E’ sincero, l’Antico Testamento? Non possiamo saperlo. Ma oggi sappiamo – grazie a Biglino, soprattutto – che quell’insieme di libri, ininterrottamente “corretti” fino all’età di Carlomagno, non dice affatto le cose che gli vengono attribuite. Ne afferma altre, e sono interessantissime: vogliamo deciderci a prenderle finalmente in considerazione? Anche perché, per inciso, sulla traduzione teologica della Bibbia (in troppi punti inesatta, quando non falsa) si è basato per secoli, o meglio per millenni, il governo di una parte considerevole del pianeta. Come dire: vietato stupirsi, se un giorno crollano torri e i media si affrettano a veicolare invenzioni e verità di comodo, che poi non reggono alla prova dei fatti.(Il libro: Giorgio Cattaneo, “Mauro Biglino. La Bibbia Nuda”, Tuthi, 342 pagine, 18 euro).E’ perfettamente lecito domandarsi a chi mai possa importare, oggi, della eventuale veridicità del libro più famoso e più diffuso al mondo, la Bibbia. Un testo sacro, per i religiosi. Un insieme di codici simbolici, per gli esoteristi. Una collezione di fiabe, per gli atei. E se invece – al di là di come la si possa pensare, e nel pieno rispetto delle convinzioni di chiunque – quell’insieme di rotoli antichi contenesse indizi sull’origine della nostra possibile, vera storia? Per cercare una risposta, risulta utilissimo il metodo (pratico, lineare) adottato da Mauro Biglino, singolare figura del panorama culturale italiano. Prima, traduttore dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, e poi autore di 14 saggi che indagano tra le pieghe del testo biblico, riletto testualmente e senza filtri, teologici o sapienziali. Dopo oltre dieci anni di studi, la domanda resta invariata: e se la Bibbia riflettesse l’eco dell’origine della nostra specie, letteralmente “fabbricata” da individui non umani? E’ proprio questa, l’angolazione che – volendo – consente di passare, in modo verticale, dalla Genesi alla difficilissima attualità del momento presente, in cui l’umanità sembra in balia di forze ostili e smisuratamente potenti.
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Lockdown, medioevo nel 2021: i terrapiattisti del Covid
Uscire dal medioevo: lo chiedeva (in modo “gridato”) un giornalista come Paolo Barnard, co-fondatore di “Report”, almeno dieci anni fa. Nel saggio “Il più grande crimine”, denunciava il carattere neo-feudale dell’élite eurocratica ordoliberista, capace di coniugare neoliberismo economico e autoritarismo politico-sociale nell’adesione fanatica al dogma mercantilista dell’economia “neoclassica”, tra i fantasmi settecenteschi di David Ricardo (prima produco, poi risparmio: senza possibilità di investire a monte, scommettendo sull’economia), come se il denaro fosse ancora un bene materiale e limitato, paragonabile alle materie prime e ai prodotti agricoli come il grano. Al centro della polemica innescata da Barnard campeggiava la grande menzogna sulla “scarsità di moneta”, utilizzata (ormai in tempi di valuta “fiat”, virtualmente illimitata e a costo zero) da un oligopolio privatistico, pronto a imporre l’austerity per ottenere la più grande retrocessione sociale di massa della storia moderna: il debito pubblico come colpa e come handicap, non più interpretato in modo keynesiano come leva strategica destinata a produrre benessere diffuso attraverso investimenti lungimiranti.
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Cure precoci: la svolta, malgrado il ministro Speranza
Le prossime settimane non saranno facili, avverte Roberto Speranza, dopo 365 giorni e 52 settimane tutt’altro che allegre, per gli italiani. Sarebbe bello, aggiunge, poter annunciare il ritorno alla vita, e invece tocca rassegnarsi (ancora) alla clausura. No, signor ministro: non ci siamo. Sarebbe bello, semmai, poter finalmente dire – sia pure con almeno sei mesi di ritardo – che ormai abbiamo trovato il modo di uscire dai guai. Sarebbe splendido poter comunicare agli italiani che ora siamo attrezzati, meglio tardi che mai, di fronte alla calamità Covid. Come? Nel modo più semplice: abilitando i medici di base a intervenire subito sui pazienti, ai primissimi sintomi, senza cioè aspettare che si aggravino, al punto da dover ricorrere alla respirazione assistita, in ospedale. E’ francamente sconcertante che i medici del territorio non siano ancora stati istruiti su come procedere, mediante un opportuno protocollo. Ed è surreale che il ministro della salute – dopo un anno intero trascorso a fare non si sa bene cosa – abbia il cattivo gusto di ripresentarsi in pubblico, con la stessa faccia, a ripetere quello che diceva esattamente un anno fa.Si chiama coazione a ripetere: è qualcosa che presuppone, se si è in buona fede, una specie di cortocircuito cognitivo, intellettuale. E’ in buona fede, l’infelice Speranza? Sembrerebbe di sì, visto che ha speso l’estate 2020 a scrivere un libro auto-celebrativo, anziché degnarsi almeno di rispondere ai (tanti) medici italiani che gli si erano rivolti, nei mesi precedenti, per segnalargli terapie efficaci – in fase precoce – nel frattempo sperimentate con successo. Farmaci in grado di “spegnere” l’incendio Covid nei primi giorni, quando il paziente è ancora a casa. La cura quindi non prevede il ricovero: dunque, nessuno stress emergenziale su una struttura ospedaliera resa fragile da decenni di tagli scellerati. Clamoroso il caso dei 30 specialisti italiani che già ad aprile scrissero inutilmente a Speranza per avvisarlo dell’efficacia dei cortisonici: il pupillo di Bersani non si curò nemmeno di rispondere “grazie, leggerò”. Due mesi dopo, i sanitari inglesi raggiunsero le stesse conclusioni: i cortisonici funzionano. E in quel caso il governo di Londra li ascoltò, eccome. Così, riscossero persino il plauso – non scontato – dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.Sono questi gli Oscar, i Nobel che Roberto Speranza ha collezionato, dopo un anno trascorso al ministero della sanità: basterebbero a suggerirgli di rassegnare dignitosamente le dimissioni. Per un presumibile scrupolo morale, nei mesi scorsi fece ritirare dalle librerie il suo libro “Perché guariremo”, immaginabile summa clinico-politica su come uscire indenni dalle pandemie, dall’alto dello scranno ministeriale di un paese che vanta centomila vittime e il record europeo di danni socio-economici da Covid. Alcuni medici in prima linea, come quelli di associazioni come “Ippocrate”, si sono rassegnati a curare i pazienti in modo gratuito e volontaristico, vista la latitanza delle istituzioni sanitarie. E oggi ribadiscono: è essenziale intervenire subito, evitando di abbandonare i pazienti per giorni nelle loro case, perché il Covid può evolvere velocemente facendo danni spesso irreparabili. Lo si è visto negli ospedali: i migliori rianimatori non sono sempre riusciti a utilizzare l’elevato potenziale delle terapie intensive per salvare soggetti, anziani e non solo, ricoverati in condizioni ormai gravemente compromesse.Fare presto: questa, dicono i sanitari, è la chiave vincente. Non per far sparire il Covid dalla circolazione: nessuno maneggia la bacchetta magica. Si tratta però di statistica: avremmo evitato almeno il 60% dei ricoveri. Cifre mostruose: se confermate, basterebbero a cancellare il grande terrore alimentato per un anno intero da cattivi politici e cattivi giornalisti, sempre disattenti di fronte alle notizie positive provenienti dal mondo medico, a sua volta mandato troppo spesso allo sbaraglio, senza mezzi adeguati, di fronte all’invasione dei pronto soccorso. A sottolineare l’importanza decisiva della tempestività è anche un luminare come Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano: ha messo a punto una sorta di protocollo che garantisce di ridurre radicalmente il problema, con la semplice somministrazione domiciliare – purché precoce – di normali farmaci antinfiammatori. La grande notizia è che il nuovo governo, guidato da Mario Draghi, sembra intenzionato a percorrere finalmente la strada giusta, cioè questa: predisporre un protocollo nazionale basato sulle cure precoci da prescrivere a casa. Obiettivo garantito: tagliare di netto la pressione sugli ospedali e trasformare il Covid in quello che è, cioè una malattia il più delle volte regolarmente curabile, se affrontata per tempo.Non è più di moda, la canzone funebre intonata ininterrottamente, per un anno, dagli spaventapasseri di Giuseppe Conte, impegnati a recitare ogni sera la medesima litania tombale destinata ai telespettatori ipnotizzati dalla paura. I medici che hanno imparato a guarire dal Covid ammettono che un anno fa l’esecutivo può esser stato colto di sorpresa, ma aggiungono che – se si fosse fatto tesoro delle scoperte maturate sul campo, in poche settimane – oggi conteremmo decine di migliaia di vittime in meno. Il Sars-Cov-2 è un virus mutante e altamente contagioso: si spera che, nell’immediato, i vaccini “genici” in circolazione possano almeno frenarlo, consentendo di allentare la stretta sociale e rianimare l’economia, di cui interi settori (come il turismo, la cultura, la ristorazione) sono letteralmente allo stremo. Allo scopo, lo stesso Draghi ha appena licenziato uno degli uomini-simbolo del disastro italiano, Domenico Arcuri, ricorrendo addirittura a un militare, il generale Figliuolo, per rimediare almeno alla catastrofica inefficienza del piano vaccinale di Conte, allineando cioè acquisizioni di scorte e somministrazioni celeri.Se ora Draghi recluterà Remuzzi (o qualcuno della sua scuola), in attesa di poter quantificare alla distanza l’effettiva efficacia della copertura vaccinale, si presume che accadrà questo: nel frattempo, i pazienti Covid saranno finalmente curati subito, e la maggior parte di loro guarirà in pochi giorni restando a casa. A quel punto, riascoltare Roberto Speranza nell’edizione marzo 2021 (rassegnarsi al lockdown, ancora) sarà come rivedere un film dell’orrore, pieno di farneticazioni minacciose e inconcludenti come le ciance inutilmente spese, per un anno intero, al capezzale dell’Italia, trasformata in malato terminale. “Così guariremo” sarebbe il titolo (corretto) del libro che Speranza non ha saputo scrivere: guariremo – non è più un mistero, ormai – con i farmaci giusti prescritti nelle prime ore, restando a casa e mettendo fine all’incubo. E magari tornando anche in montagna a sciare: ma solo tra un anno, visto lo scherzetto che il Ministro della Paura ha combinato alle aziende del turismo invernale, bloccate a poche ore dalla riapertura promessa. L’arcano, semmai, riguarda il luogo segreto al quale Roberto Speranza attinge per trovare il coraggio di ripresentarsi in televisione, oggi, a ripetere che non c’è niente da fare, che dobbiamo continuare a soffrire. Senza speranza, appunto.(Giorgio Cattaneo, “Cure precoci: la svolta, malgrado il ministro senza speranza”, dal blog del Movimento Roosevelt del 2 marzo 2021).Le prossime settimane non saranno facili, avverte Roberto Speranza, dopo 365 giorni e 52 settimane tutt’altro che allegre, per gli italiani. Sarebbe bello, aggiunge, poter annunciare il ritorno alla vita, e invece tocca rassegnarsi (ancora) alla clausura. No, signor ministro: non ci siamo. Sarebbe bello, semmai, poter finalmente dire – sia pure con almeno sei mesi di ritardo – che ormai abbiamo trovato il modo di uscire dai guai. Sarebbe splendido poter comunicare agli italiani che ora siamo attrezzati, meglio tardi che mai, di fronte alla calamità Covid. Come? Nel modo più semplice: abilitando i medici di base a intervenire subito sui pazienti, ai primissimi sintomi, senza cioè aspettare che si aggravino, al punto da dover ricorrere alla respirazione assistita, in ospedale. E’ francamente sconcertante che i medici del territorio non siano ancora stati istruiti su come procedere, mediante un opportuno protocollo. Ed è surreale che il ministro della salute – dopo un anno intero trascorso a fare non si sa bene cosa – abbia il cattivo gusto di ripresentarsi in pubblico, con la stessa faccia, a ripetere quello che diceva esattamente un anno fa.
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Il funerale del bar, in arancione: morte civile dell’Italia
Marisa strizza lo strofinaccio col quale laverà il pavimento per l’ultima volta. Sono le ore 19, e il bar è ancora aperto: un’ora dopo il limite stabilito, il dehors è affollato di avventori. Stanno seduti in modo ordinato, mantenendo le distanze. Sorseggiano l’ultima birra, l’ultimo Prosecco, ingollando qualche tartina. E’ una specie di cerimonia silenziosa: la solidarietà per i baristi, condannati alla chiusura imposta dalla cosiddetta zona arancione. E se passa una pattuglia, facendo notare che ai tavoli non dovrebbe più esserci nessuno? Pazienza: ci faremo verbalizzare – dicono – e spiegheremo che non riusciamo proprio a mandarla giù, questa ennesima chiusura suicida, decretata solo per via del mitico indice di contagio, in lievissima risalita in termini percentualmente infinitesimali. Mastica amaro anche Alfonso, pensionato, che fino a qualche mese fa era sostanzialmente tollerante verso le restrizioni: le comprendeva. Ora invece ha cambiato idea: non capisce perché, in zona gialla, i ristoranti aperti a pranzo debbano restare chiusi a cena. E men che meno digerisce l’idea di dover fare a meno del suo amato bar, se scatta la zona arancione.Il bar è un’isola sociale che racconta benissimo l’Italia, quella che lavora: è lo spazio-finestra dove si può parlare liberamente di tutto, con chiunque, nel breve interregno tra il lavoro e la vita familiare, tra le pareti domestiche. Lorella, studentessa, sospira: adesso basta, non se ne può più. Sono tutti d’accordo: il giovane operaio Walter, l’elettricista Beppe, l’idraulico Stefano, il taciturno Nicola che ogni mattina apre al mercato la sua bancarella di vestiario insieme alla compagna, Sonia. Il bar-tabacchi interseca la società: a pranzo la cucina serve pasti per i dipendenti della vicina zona industriale, ma verso sera si trasforma in un’oasi in cui ciascuno può dire la sua: l’insegnante e l’infermiera, il manager che si gusta un calice di Franciacorta, il meccanico dell’officina all’angolo con la sua squadra di dipendenti. La pausa-caffè, il bicchiere di rosso. Un po’ di musica, e tantissime parole: per tentare di ricordarci chi siamo e cosa è rimasto di noi, malgrado tutto, dopo un anno di insopportabili ingiunzioni, spesso assurde, frutto di decisioni affrettate e confuse, mai trasparenti, calate dall’alto. E senza alcun rispetto per gli esercenti, ancora in attesa dei mitici “ristori” che continuano a non arrivare.Un anno fa, subito dopo il lockdown primaverile, il bar esplodeva di umanità sulle barricate: da una parte i sostenitori della banda Conte, disposti a ingoiare qualunque privazione perché proveniente dai presunti avversari di Salvini, e dall’altra i seguaci dell’opposizione, furibondi per la palese cialtroneria mostrata dal governo. Il virus mordeva: era la televisione a esibire ogni sera lo spettacolo dell’orrore. Governisti e antagonisti, col passare dei mesi, s’erano scoperti d’accordo su un punto: superata la tragica sorpresa dei primi mesi, le autorità avrebbero escogitato qualcosa per risollevare tutti. E invece, niente: anziché aggiornare il protocollo di cura introducendo finalmente i farmaci giusti per le terapie precoci, a domicilio, il ministro della sanità ha perso l’estate a scrivere un libro grottesco e auto-celebrativo (che poi non ha osato distribuire) e ha speso l’autunno a gridare alla “seconda ondata”, continuando a fare quello che aveva sempre fatto, cioè nulla, se non vietare, chiudere, sprangare. Ultimissimo capolavoro, la beffa riservata alle aziende dello sci: fermate a poche ore dalla riapertura, dopo tutte le spese (e le assunzioni) effettuale in vista della ripartenza.Ora la farsa è davvero finita: il tribunale del bar ha emesso la sua sentenza. «Dobbiamo fare una rivoluzione?», si domanda Marisa, la barista, risciacquando gli ultimi bicchieri. Sono ormai passate le sette, e là fuori non s’è vista nessuna pattuglia. Gli avventori si avviano alla cassa, per saldare il conto: la mesta cerimonia della solidarietà è finita. Ricordava un funerale, per la morte civile di un paese che, sul far della sera, sembra deserto e spopolato. Il governo è cambiato, ma i risanatori virtuali non hanno ancora osato rimuovere neppure il coprifuoco. Persino il ministro-fenomeno è rimasto al suo posto, davanti alla sua patetica cartina con le Regioni colorate. Scandaloso: si chiude tutto, non appena il famigerato indice Rt accenna a risalire. Esattamente come un anno fa: senza cure domiciliari, in sicurezza, si chiude l’Italia per evitare la corsa agli ospedali, in attesa dei famosi vaccini.l timore della pressione sul pronto soccorso è fondato: l’ospedale può tornare a ingolfarsi, ma solo perché i malati – ai primi sintomi – si continua a non curarli, a casa. Così, si seguita a consegnare l’Italia alla fatalità dell’emergenza eterna, nemmeno fossimo un paese del terzo mondo. E questo, dopo un anno, è davvero inaccettabile. Emerge, in tutto il suo fulgore, la vergognosa inettitudine di un governo di straccioni: per tutto il 2020 non ha saputo limitare la strage, né soccorrere le aziende a cui ha impedito di lavorare. Ormai l’hanno capito tutti: il virus è molto contagioso ma scarsamente letale, può essere pericoloso (anche mortale) quasi solo per i soggetti più anziani e più fragili. In 12 mesi, non si è fatto nessun passo avanti: i medici hanno scoperto come affrontarlo, con farmaci efficaci e anche banalissimi come gli antinfiammatori, ma nessuno a Roma si è preoccupato di imporre alle Asl, tramite le Regioni, una procedura unica, nazionale, per agire con tempestività mediante i medici di base, spegnendo l’incendio alle prime avvisaglie.I sanitari che hanno imparato la lezione, e somministrano in via precoce i farmaci adatti, sanno che in questo modo si riduce del 70-80% il rischio di ricorrere all’ospedale. Traduzione impietosa: oggi significherebbe contare 30.000 morti anziché quasi 100.000. Se si fosse agito tempestivamente, a partire da aprile-maggio 2020, il bilancio del coronavirus non sarebbe stato peggiore, statisticamente, di quello di una brutta epidemia stagionale di influenza. E invece: le televisioni hanno solo e sempre rilanciato la paura, evitando di dare la parola ai medici che curano e guariscono. Così, il governo dei cialtroni ha potuto usare l’allarme per restare in sella, limitandosi a fare promesse a vuoto sui necessari soccorsi economici. Fatti precisi: tre decreti su quattro, di quelli solo annunciati, non sono mai stati firmati. Questa l’eredità del nuovo governo, appena entrato in funzione: nessun passo avanti sul piano sanitario, e il 70% dei “ristori” rimasti tuttora nel cassetto. Servono soluzioni immediate: vaccini e (soprattutto) cure tempestive, a casa, per chi si ammala. Si sono persi 12 mesi. Ora si chiede l’ennesimo sacrificio, in arancione: serve altro tempo, per approntare finalmente le risposte giuste, rimediando al malgoverno dei cialtroni. E così è amarissima anche l’ultima birra, servita alle ore 19, tre ore prima che scatti l’assurdità del coprifuoco (ancora più surreale nelle nuove zone arancioni, dove neppure i bar apriranno più).Marisa strizza lo strofinaccio col quale laverà il pavimento per l’ultima volta. Sono le ore 19, e il bar è ancora aperto: un’ora dopo il limite stabilito, il dehors è affollato di avventori. Stanno seduti in modo ordinato, mantenendo le distanze. Sorseggiano l’ultima birra, l’ultimo Prosecco, ingollando qualche tartina. E’ una specie di cerimonia silenziosa: la solidarietà per i baristi, condannati alla chiusura imposta dalla cosiddetta zona arancione. E se passa una pattuglia, facendo notare che ai tavoli non dovrebbe più esserci nessuno? Pazienza: ci faremo verbalizzare – dicono – e spiegheremo che non riusciamo proprio a mandarla giù, questa ennesima chiusura suicida, decretata solo per via del mitico indice di contagio, in lievissima risalita in termini percentualmente infinitesimali. Mastica amaro anche Alfonso, pensionato, che fino a qualche mese fa era sostanzialmente tollerante verso le restrizioni: le comprendeva. Ora invece ha cambiato idea: non capisce perché, in zona gialla, i ristoranti aperti a pranzo debbano restare chiusi a cena. E men che meno digerisce l’idea di dover fare a meno del suo amato bar, se scatta la zona arancione.
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Riaprite l’Italia: anche Montesano a Campo dei Fiori
«Che brutta parola, negazionisti: erano quelli che negavano l’Olocausto. Noi non neghiamo proprio niente: ci permettiamo solo di dubitare di quanto ci viene raccontato, sul Covid. Sono loro, semmai, che negano l’evidenza: la mascherina è inutile e dannosa. La impongono anche ai bambini, a scuola: dobbiamo liberarli». Così parla Enrico Montesano: c’era anche lui a salutare l’esordio della Milizia Rooseveltiana, ai piedi della statua di Giordano Bruno, arso vivo il 17 febbraio del 1600. «Mi sembra di buon auspicio, un governo che ottiene la fiducia il 17 febbraio dopo aver giurato il giorno 13, altro numero significativo», dice Gioele Magaldi, reduce dalla “cena rivoluzionaria” organizzata dal Movimento Roosevelt al ristorante “L’Habituè”, in violazione del “lockdown serale” imposto ai ristoratori. Poco dopo, in piazza Campo dei Fiori, è intervenuta la polizia per identificare i dimostranti, contestando loro l’infrazione del divieto di circolare dopo le ore 22. «Voglio ricordare – annota Roberto Hechich – che il Cts si era limitato a consigliarla, l’adozione di un coprifuoco, ma solo a partire dalla mezzanotte, e a raccomandare “severi controlli” sulle norme anti-Covid a cena: a far chiudere i locali quindi non è stato il Comitato Tecnico-Scientifico, ma il governo Conte».
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Magaldi: con Draghi, l’Italia cambia la storia europea
«L’Italia, l’Europa e persino il mondo attendono parole nuove: chi saprà interpretarle senza deludere sarà protagonista nella storia, a partire da questo momento». Una frase che sembra scolpita, quella che Gioele Magaldi utilizza per chiarire, in modo inequivocabile, il senso autenticamente post-keynesiano della rivoluzionaria missione di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Lui, l’ex principe del massimo rigore (Grecia docet) ora si appresta a capovolgere tutto: non solo il disastro nazionale firmato Conte-Casalino, con la collaborazione dei vari Arcuri, Ricciardi, Speranza e virologi televisivi di complemento. Non si tratta esclusivamente di sventare il collasso del sistema-paese e fare uscire l’Italia dall’incubo-Covid alla velocità della luce, archiviando la psicosi da coprifuoco. La partita è epocale: in gioco è la sopravvivenza degli italiani, con la loro libertà e la loro dignità. Una questione che coinvolge l’intero Occidente, finito sul precipizio dei lockdown forsennati. Se ne esce in un solo modo: trovando il coraggio di azzerare il debito, cioè lo strapotere abusivo e i diktat dell’élite che ha usato ogni mezzo, dalla finanza privatizzatrice alla crisi pandemica, per svuotare la democrazia.
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Draghi sfratta Conte: fine dell’orrore, Italia nella storia
Il governo dell’orrore è defunto: clinicamente morto. In rianimazione è finito grazie a Renzi, ma a staccargli la spina è stato Mattarella. Finalmente, è il caso di dire, dopo un anno di inaudita agonia inflitta a 60 milioni di italiani, a cui – una sera sì e l’altra pure – è stato spiegato se sarebbe stato loro “consentito” di portare a spasso il cane, oppure no, mentre l’Italia moriva: di Covid, oppure di lockdown. Cifre spaventose: tra i peggiori al mondo il bilancio delle vittime, e il più feroce genocidio economico in Europa. Oltre 400.000 aziende già fallite, quasi un milione di lavoratori a spasso per colpa delle folli restrizioni inflitte dall’ex “avvocato del popolo”, dai partiti e dai media che hanno sostenuto la sua pericolosa vacuità e l’opaca azione dei suoi troppi, strapagati e disastrosi super-commissari. Nomi che passeranno alla storia: Arcuri e Speranza, l’inaudito Casalino, l’euro-passacarte Gualtieri, Zingaretti e Di Maio, la Azzolina coi suoi banchi a rotelle. Un governo vomitevole, luttuoso e impresentabile come il suo Recovery Plan, i suoi non-ristori e le sue infinite promesse, tra il ridicolo e il grottesco, come l’evocata “potenza di fuoco” dei maxi-crediti rimasti tra le migliori barzellette del signor nessuno venuto da Volturara Appula a sabotare il Belpaese, facendo impazzire di gioia i poteri marci che vorrebbero finire di mangiarsi l’Italia in un sol boccone.Il cambio della guardia è il più brutale e salutare che si possa immaginare, con la convocazione di Mario Draghi al Quirinale, per un “governo di alto profilo”. Come dire: nani e ballerine sono invitati a togliersi di torno, perché ormai ne va della sopravvivenza del sistema-paese. Non solo: se il catacombale Mario Monti fu spedito a Palazzo Chigi nel 2011 per assestare all’Italia il colpo del ko, stavolta i ruoli si capovolgono. C’era anche Draghi, tra i “mandanti” del sicario economico Monti, ma era un altro Draghi: l’opposto di quello di oggi. Lo ha spiegato nel modo più nitido un insider di razza, proveniente dallo stesso mondo al quale appartengono Draghi, Monti, Napolitano e gli altri. Si tratta di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e, soprattutto, frontman italiano del circuito massonico-progressista internazionale, fino a ieri ferocissimo avversario degli oligarchi che nel 2011 imposero la retrocessione dell’Italia a colpi di spread, per consegnarla al macellaio della Bocconi e ai suoi mandanti anti-italiani.Dieci anni fa, teneva ancora banco l’equivoco del finto derby tra centrodestra e centrosinistra, che opponeva solo in apparenza due schieramenti del tutto identici, nelle scelte di fondo, e pronti infatti a votare all’unanimità il mortale pareggio di bilancio, che equivale a una condanna alla depressione cronica, socio-economica. Nel suo bestseller “Massoni”, uscito nel 2014, Magaldi lo ha messo in chiaro: a dirigere il teatrino non è la politica, sono le superlogge sovrastanti. Network massonici apolidi, sovranazionali, divisi in due categorie: gli uni politicamente “neoaristocratici”, e quindi neoliberisti in economia, e gli altri “progressisti”, ed economicamente post-keynesiani. Da questi viene Mario Draghi, in origine, allevato alla scuola di Federico Caffè: era il maggior economista italiano del dopoguerra, nella scuderia dei democratici. Poi, si sa, Draghi fu reclutato dal grande potere neoliberista. Entrò in ben 5 superlogge reazionarie e divenne uno dei grandi registi dell’austerity europea. Una lunga stagione, incorniciata simbolicamente dal fatidico Britannia: la svendita dell’Italia con le privatizzazioni (accelerate da Prodi e D’Alema) e la perdita di ogni residua sovranità finanziaria, al punto da trasformare i governi in docili marionette nelle mani dei poteri (privati) che utilizzano la tecnocrazia di Bruxelles.Poi, ogni tanto, i tempi della politica si incrociano con quelli della storia. Dal vertice della Bce, Draghi ha iniziato a cambiare direzione, tornando alle origini. Prima ha forzato il rigore, inventandosi il “quantitative easing” per sorreggere (indirettamente) i debiti sovrani. Poi ha gettato la maschera, in modo spettacolare: già nella primavera 2019, mentre ancora sedeva all’Eurotower di Francoforte, ha annunciato la necessità di misure impensabili, compresa l’eresia della Modern Money Theory: emissione illimitata di moneta, ma a costo zero. Il che significa: abbattere il mito della “scarsità di moneta”, con cui gli Stati – Grecia in primis – sono stati letteralmente impiccati ai loro debiti pubblici, come se la moneta fosse un bene limitato, da usare con parsimonia. Falso: la moneta può essere emessa senza limiti, né costi. Non è un problema economico, è solo un dogma politico. E a dirlo è stato lui: l’uomo che, fino a poco prima, era stato il massimo sacerdote europeo della “religione della scarsità”. Folgorato sulla via di Damasco? Di più: Mario Draghi sembra essere “ridiventato se stesso”, lo studente-prodigio che si laureò con una tesi (udite, udite) sull’insostenibilità di una moneta unica europea.Cos’è successo? Semplice, racconta Magaldi: «Draghi è venuto a bussare alle superlogge progressiste, mettendosi a disposizione per combattere lo schema di potere che, fino a qualche anno fa, era stato il suo». Una sorta di grande pentimento, come quello dell’Innominato dei “Promessi sposi”. L’appuntamento è con la storia: si tratta di rimediare al male, usando quella stessa prodigiosa capacità per ribaltare la situazione, stavolta nel segno del benessere diffuso. Per inciso, Mario Draghi resta uno degli uomini più influenti al mondo, membro di ristrettissimi consessi super-elitari come il Gruppo dei Trenta. Gode di un prestigio planetario, dall’alto del quale – un anno fa – lanciò il suo guanto di sfida, dalle colonne del “Financial Times”: utilizzare l’emergenza Covid per stracciare quarant’anni di rigore, preparandosi a emettere aiuti-fiume pressoché illimitati, capaci cioè di annullare i disastri della crisi pandemica. “Whatever it takes”, aveva detto, quando in gioco c’era la salvezza dell’euro. “Qualunque cosa occorra”, ha ripetuto nel 2020, sapendo che stavolta c’era in palio molto di più: la nostra stessa sopravvivenza, come Occidente ancora libero e non-cinesizzato.Non si tratta solo di cestinare “Giuseppi” e, con lui, il peggior esecutivo della storia repubblicana, restituendo dignità alle istituzioni e tornando a onorare la Costituzione antifascista, che tutela diritti e libertà: la posta è ancora più alta, e proietta l’Italia – dopo decenni – in un orizzonte mondiale. Primo step: dare sollievo immediato all’economia e alla società, abolendo le aberranti norme “carcerarie” improvvisate dalla banda Conte a colpi di Dpcm, sulla pelle degli italiani. Ma poi, soprattutto: dimostrare – all’Europa, e al mondo – che dal tunnel nel quale siamo prigionieri si esce in un solo modo, e cioè con una rivoluzione copernicana: mettere fine al falso dogma della scarsità. Lo ha spiegato in modo tagliente, Draghi: il “debito cattivo” è quello degli sprechi a pioggia, come quelli scialati a piene mani dai Premi Nobel del Conte-bis, coi loro bonus per i monopattini. Un errore che poi diventa una tragedia, se manca del tutto il “debito buono”, quello cioè che finanzia investimenti produttivi. Si chiama “deficit positivo”, e funziona così: vado in rosso, ma scommetto su settori vitali. Risultato: occupazione, crescita del Pil e quindi riduzione della forbice deficit-Pil. Alla lunga: maggiori entrate fiscali, e riequilibrio del bilancio.Lo sanno da sempre, tutti (anche quelli come Monti, che fingono di non saperlo). Era questa, la grande verità da gridare dal vento. Ed è questo, che la politica – giocando a dividersi tra centrodestra e centrosinistra – ha evitato accuratamente di ammettere: in Italia, in Europa e nel resto del mondo. Poi è arrivato Trump, vero e proprio incidente di percorso: ha tagliato le tasse e aumentato il deficit, senza paura. Risultato spettacolare: disoccupazione azzerata, in soli tre anni. Al di là dell’apparenza, e della sua retorica spesso indigesta – spiega Magaldi – Trump ha reintrodotto negli Usa alcuni principi keynesiani, gli stessi che spiegano il boom economico italiano del dopoguerra. «Per questo – svela Magaldi – Trump è stato sostenuto dai massoni progressisti, scontenti del finto progressismo dei democratici, in realtà alleati delle oligarchie finanziarie di segno reazionario». Ora Trump è caduto, ma – assicura Magaldi – non sarà cancellata la sua impostazione economica: lo garantisce il patto infra-massonico stretto, prima ancora delle presidenziali, tra le varie anime della supermassoneria atlantica che ora sovrintendono alla presidenza Biden.«Tutto sta cambiando in modo velocissimo, nel “back office” del potere», ha detto Magaldi il 2 febbraio, poche ora prima che Fico gettasse la spugna. Già si sapeva come sarebbe andata a finire: per questo, Magaldi ha annunciato una “lettera aperta”, rivolta ai parlamentari e girata anche al capo dello Stato. Tema: salvare l’Italia, fare un passo indietro, lasciare i comandi a un governissimo di super-tecnici coordinati da Draghi (almeno come ministro dell’economia, se non come premier, nel caso si volesse lasciare Palazzo Chigi a una figura istituzionale come Marta Cartabia, già presidente della Corte Costituzionale ed estimatrice dichiarata di Eleanor Roosevelt, madrina dei diritti umani). Poche ore dopo, le parole di inequivocabili di Mattarella: governo di alto profilo, finalmente, e fine dell’incubo. Per Magaldi, è questione di onore: restituire ai cittadini la libertà sancita dalla Costituzione, e ridare agli italiani la prospettiva di una vita dignitosa. In altre parole: riaccendere la luce. Operazione non certo alla portata di “Giuseppi”, ma neppure degli altri nano-leader in circolazione.La grande verità – rimettere mano alla spesa, ma usando il cervello – era già palese nel 2018, all’alba del precario governo gialloverde. «Doveva “spezzare le reni” all’austeriy Ue, e invece ha subito le consuete imposizioni di Bruxelles, combinando ben poco». Poi è arrivato il Conte-bis, nato solo per bloccare Salvini, ed è esploso il delirio. «Conte ha usato la pandemia per restare in sella, calpestando la Costituzione e affossando l’economia: senza il Covid, il Conte-bis sarebbe caduto un anno fa». E’ crollato ora, tramite a Renzi. C’è un nesso preciso: «Mattarella – riassume Magaldi – sa benissimo che è stato eletto al Quirinale grazie a Draghi, che aveva incaricato Renzi (allora primo ministro) di aggregare i voti necessari». Draghi, Renzi e Mattarella: ora il cerchio si è davvero chiuso, stavolta per riaprire un nuovo capitolo, non solo della politica ma anche della storia (italiana, e poi europea). In altre parole: sta per succedere quello che doveva accadere già nel 2018. Oggi, tutto è possibile: è la stessa crisi innescata dalla pandemia a rendere fertile il terreno, per possibili “miracoli”.Si parte dalle macerie: è scandalosa, la bancarotta del governo Conte. «Ai cittadini si sono imposti divieti assurdi – ricorda Magaldi – ma poi si è lasciato che si stipassero come sardine su treni, bus e metro. Nessuno ha pensato di distanziare i passeggeri, di investire sui trasporti». Drammatico il bilancio della sanità: ancora non esiste un protocollo unico nazionale, per il Covid, che spieghi ai medici come curare efficacemente i pazienti, a casa, prima che debbano ricorrere all’ospedale (quando spesso, ormai, è troppo tardi). «Ridicola la cifra per la sanità inserita da Conte nel Recovery: l’Italia ha bisogno di una sanità rifondata». Idem la scuola, le infrastrutture strategiche, la manutenzione idrogeologica. «Siamo un paese di ferrovie antidiluviane e viadotti pericolanti: su questo deve intervenire, il Recovery Plan». E prima ancora, l’emergenza socio-economica: è in ginocchio l’intero comparto turistico, che vale il 15% del Pil. Bar e ristoranti: «Le attività chiuse devono ricevere, subito, i soldi che non hanno potuto incassare: nessuno deve fallire, tutti devono poter riaprire, da domani, senza altre perdite».Missione impossibile? Non per uno come Draghi, sulla carta: lui sì, potrebbe trattare a testa alta con Bruxelles, imponendo il cambio di passo che farebbe dell’Italia il punto di svolta a cui il mondo guarderebbe. Non solo: Magaldi segnala il possibile contributo di un economista come Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosvelt, altro allievo del professor Caffè. «Galloni ha elaborato la possibilità di utilizzare, intanto, anche una moneta solo nazionale, parallela all’euro: potrebbe essere preziosa, in un momento come questo». Draghi a Palazzo Chigi? «E’ noto che preferirebbe puntare al Quirinale, limitandosi per ora al ruolo di suggeritore, o al limite accettando di gestire un super-ministero dell’economia con ampi margini di autonomia». Quello che conta, però – ribadisce Magaldi – è che l’operazione-rinascita si è finalmente messa in moto. Primo orizzonte: riaprire l’Italia, riaccendere il futuro, porre fine all’orrore del distanziamento dopo aver messo a punto l’adozione di terapie efficaci contro il Covid. E poi, soprattutto: mettere fine alla grande menzogna dell’austerity, che ha azzoppato l’Europa e affossato l’Italia. Ora o mai più: l’alternativa è la morte civile, sinistramente inaugurata dai Conte-boys. Rialzare la testa, riconquistare la democrazia. Diritti, dignità. E finalmente, verità. Si può fare? Ora sì, dicono gli uomini del “back office”, quelli che a volte scrivono davvero la storia.Il governo dell’orrore è defunto: clinicamente morto. In rianimazione è finito grazie a Renzi, ma a staccargli la spina è stato Mattarella. Finalmente, è il caso di dire, dopo un anno di inaudita agonia inflitta a 60 milioni di italiani, a cui – una sera sì e l’altra pure – è stato spiegato se sarebbe stato loro “consentito” portare a spasso il cane, oppure no, mentre l’Italia moriva: di Covid, oppure di lockdown. Cifre spaventose: tra i peggiori al mondo il bilancio delle vittime, in mezzo al più feroce genocidio economico registrato in Europa. Oltre 400.000 aziende già fallite, quasi un milione di lavoratori a spasso per colpa delle folli restrizioni inflitte dall’ex “avvocato del popolo”, dai partiti e dai media che hanno sostenuto la sua pericolosa vacuità e l’opaca azione dei suoi troppi, strapagati e disastrosi super-commissari. Nomi che passeranno alla storia: Arcuri e Speranza, l’inaudito Casalino, l’euro-passacarte Gualtieri, Zingaretti e Di Maio, la Azzolina coi suoi banchi a rotelle. Un governo vomitevole, luttuoso e impresentabile come il suo Recovery Plan, i suoi non-ristori e le sue infinite promesse, tra il ridicolo e il grottesco, come l’evocata “potenza di fuoco” dei maxi-crediti rimasti tra le migliori barzellette del signor nessuno venuto da Volturara Appula a sabotare il Belpaese, facendo impazzire di gioia i poteri marci che vorrebbero finire di mangiarsi l’Italia in un sol boccone.
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La fanfara di Auschwitz e il nostro ultimo anno di orrori
Ma davvero siamo ancora qui, dopo un anno di litania funebre pandemica, a parlare di politicanti del calibro di Conte e Renzi, Di Maio e Zingaretti? Lassù giganteggia Angela Merkel, di cui Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph” ha appena tracciato il mirabile bilancio: ha provocato la Brexit e distrutto l’idea stessa di unità europea come luogo desiderabile. Lo spettacolo, intorno? Monsieur Rothschild impone il coprifuoco alla Francia, l’anonimo Psoe spagnolo si finge socialista, la Grecia alla fame si arma fino ai denti contro la Turchia. E la residuale realpolitik italiana incassa con la mano sinistra una decina di miliardi di euro vendendo elicotteri e fregate all’Egitto, mentre con la destra auspica che l’Egitto faccia giustizia sul caso Regeni, massacrato a due passi dalla Libia, già italiana e poi francese, ora russo-turca in attesa di segnali di fumo dagli ologrammi insediati alla Casa Bianca, dopo la splendida e trasparente sconfitta elettorale inflitta al bieco Donald Trump. Poi, laggiù, resta l’Italia. Il paese di Pasolini e Primo Levi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli. Tutti morti: rimane Saviano, prendere o lasciare. Saviano e l’altro Papa, Bergoglio, quello che raccomanda il vaccino etico universale, per la gioia di Big Pharma, Bill Gates e gli apolidi demiurghi di Davos.E appunto, là in basso resta l’Italia: il mitico Recovery Plan solo scarabocchiato da Giuseppi, assistito dal leader del New Pandemic Consenus chiamato Marco Travaglio. Ecco Emma Bonino che invoca l’Alleanza Ursula, i 5 Stelle smarriti nel loro nulla, l’ectoplasma politico che si usa ancora chiamare Pd. Fantasmi: quello di Berlusconi e quello di Draghi vanno a spasso insieme all’ombra di Salvini, il babau di ieri, tra le strida di Giorgia Meloni. Della bomba all’uranio che ha sventrato la politica, tanti anni fa, non c’è più traccia. Girano mezze figure, sempre le stesse, sopravvissute a tutto: D’Alema e Bettini, Gianni Letta e suo nipote Enrico (che raccomanda la resa definitiva al Grande Reset antropologico, al Nulla Sarà Più Come Prima). Incidentalmente, il paese crolla: un milione di senza-lavoro, mezzo milione di mini-aziende chiuse. E gli italiani ancora tutti in casa, quieti, ad aspettare con fiducia la fine del mondo, davanti al televisore che forse quest’anno non trasmetterà l’imprescindibile Festival di Sanremo, giusto per adeguarsi ai teatri chiusi, ai cinema chiusi, ai concerti annullati insieme alle mostre, alle migliaia di negozi e locali sprangati, alle zone rosse, al distanziamento morale e religioso, al coprifuoco eterno, al Ricordati che Devi Morire.Chi l’avrebbe detto, che sarebbe finita così? Finita l’era Bush, sulle macerie dell’11 Settembre si erano aperti interrogativi finalmente luminosi. Persino il fuoco fatuo di Occupy Wall Street aveva aperto occhi dormienti: la Grande Ipocrisia aveva cominciato a dipingersi anche sulla maschera rassicurante di Barack Obama, rendendo evidenti le sozzure del backstage, tra le denunce di Julian Assange e quelle di Ed Snowden. Big Data, Big Tech, Big Tutto: ora siamo alla censura spudorata, alla carcerazione di massa, all’ora d’aria concessa (”consentita”) per portar fuori il cane, mentre a Berlino si allestiscono graziosi lager per eventuali renitenti al Trattamento Sanitario Obbligatorio prescritto dall’Autorità. Letteralmente assordante, il silenzio della cosiddetta società civile: industria, terziario, artisti, pensatori universitari, scrittori e cantanti. Ancora più epico il mutismo dei sindacalisti: zitti su tutto, mentre il casato Elkann si sbarazza della Fiat cedendola ai francesi, e trattando con la Cina per liberarsi anche di Iveco e New Holland, dopo aver intascato miliardi nel 2020 causa crisi pandemica (e milioni, per fabbricare mascherine), tenendo in pugno il suo impero editoriale, “Stampa” e “Repubblica”. Per un anno, su tutto questo ha vigilato l’oscuro Giuseppi, coi suoi Dpcm da Stato Libero di Bananas.Ora si rifà sul serio, che diamine: c’è in ballo l’Alleanza Ursula, caldeggiata da statisti del calibro di Gentiloni e Sassoli, con l’aggiunta del Franceschini Dario. Ursula über alles, la Madonna Pellegrina di Sassonia, nuovo faro della civiltà europea, quella che intanto continua, come niente fosse, a essere retta da una Commissione non elettiva e da una banca centrale privatizzata, cinghie di trasmissione dei poteri fortissimi che parlano attraverso organismi come la Ert, European Roundtable of Industrialists, centomila miglia al di sopra del popolo bue che poi si scanna, nelle ormai inutili elezioni nazionali, appassionandosi alle piccole risse di cortile tra orazi e curiazi. L’ultima, quella italiana, finì ingloriosamente nel 2019, dopo le timide speranze accese l’anno prima dall’ambiguo governo gialloverde, azzoppato sul nascere dall’amputazione di Paolo Savona imposta per tramite di Mattarella. Il paese era già malatissimo, ma ancora non era scoppiata l’ultima guerra: quella affidata a personalità di livello mondiale come Domenico Arcuri, Roberto Speranza, Massimo Galli e gli altri Premi Nobel al servizio della patria.Andrà tutto bene, ragliavano gli italioti dai balconi, festeggiando in tricolore l’unica Liberazione disponibile, quella (alla memoria) di 75 anni fa. Poi vennero l’estate, le sacre elezioni regionali e l’altrettanto sacro Taglio dei Parlamentari. A seguire: la corsa ai tamponi, per gonfiare i numeri della Seconda Ondata, trattata esattamente come la Prima (cioè senza un protocollo per curare, a casa, i malati di Covid). Sempre la pochette di Giuseppi ha fatto in tempo a inaugurare anche la farsa della campagna vaccinale italiana, in un paese che – ormai da 365 giorni, ininterrottamente – non parla altro che di contagi, come se il mondo si fosse fermato per sempre a Wuhan. Banchi a rotelle e monopattini, Dad e smart working, distanziamento e mascherine. Non una soluzione – non una, mai – per uscire dalla catastrofe. Paura, minacce, moniti e intimidazioni, scodellate giorno per giorno dall’oscurantismo della nuova religione scientista, spacciata per scientifica. Un’ipnosi potentissima, micidiale, da cui pare che nessuno riesca a riscuotersi.La recitazione pandemica ha spazzato via tutto: libertà, diritti, democrazia, ragione, senso critico e voglia di vivere, quest’ultima rimpiazzata con l’ingloriosa rassegnazione a una sopravvivenza coatta e precaria nei sottoscala dell’umanità. Un posto umido e buio, dove non è lecito pensare. Decenni di orrori – le guerre neoliberiste, il terrorismo fatto in casa – cancellati con un colpo di spugna sanitario, quasi metafisico, perfetto per sospendere il diritto e dividere le plebi in modo feroce, da una parte la maggioranza cieca e autoritaria degli impauriti, dall’altra la minoranza demonizzata dei cosiddetti negazionisti. Viviamo in un paese dove il governo ha istituito un Ministero della Verità, per far sparire le notizie scomode alla velocità della luce, così come fanno anche Facebook, Twitter e YouTube. Così, la celebrazione della sacrosanta Giornata della Memoria, nel 2021, rischia di avere lo stesso suono sinistro della fanfara che, ad Auschwitz, intonava le note di “Rosamunda” sulla Piazza dell’Appello, nel silenzio ghiacciato dei prigionieri.(Giorgio Cattaneo, “La fanfara di Auschwitz e il nostro ultimo anno di orrori”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 gennaio 2021).Ma davvero siamo ancora qui, dopo un anno di litania funebre pandemica, a parlare di politicanti del calibro di Conte e Renzi, Di Maio e Zingaretti? Lassù giganteggia Angela Merkel, di cui Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph” ha appena tracciato il mirabile bilancio: ha provocato la Brexit e distrutto l’idea stessa di unità europea come luogo desiderabile. Lo spettacolo, intorno? Monsieur Rothschild impone il coprifuoco alla Francia, l’anonimo Psoe spagnolo si finge socialista, la Grecia alla fame si arma fino ai denti contro la Turchia. E la residuale realpolitik italiana incassa con la mano sinistra una decina di miliardi di euro vendendo elicotteri e fregate all’Egitto, mentre con la destra auspica che l’Egitto faccia giustizia sul caso Regeni, massacrato a due passi dalla Libia, già italiana e poi francese, ora russo-turca in attesa di segnali di fumo dagli ologrammi insediati alla Casa Bianca, dopo la splendida e trasparente sconfitta elettorale inflitta al bieco Donald Trump. Poi, laggiù, resta l’Italia. Il paese di Pasolini e Primo Levi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli. Tutti morti: rimane Saviano, prendere o lasciare. Saviano e l’altro Papa, Bergoglio, quello che raccomanda il vaccino etico universale, per la gioia di Big Pharma, Bill Gates e gli apolidi demiurghi di Davos.
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Carotenuto: l’ombra dei gesuiti sulla presidenza Biden
Galeotto fu il gesuita e chi lo invitò a corte: nasce sotto il segno della Compagnia di Gesù il nuovo potere (in realtà antico) che si è appena insediato alla Casa Bianca attorno all’anziano Joe Biden, l’uomo che sostiene di aver vinto le presidenziali 2020 negli Stati Uniti. A sottolineare la matrice gesuitica della “piramide” che avrebbe fabbricato l’affermazione di Biden è Fausto Carotenuto, già collaboratore di Mino Pecorelli (giornalista d’indagine assassinato nel ‘79) e per anni analista strategico dell’intelligence Nato, esperto di Medio Oriente e strategia della tensione. Approdato al pensiero steineriano, Carotenuto ha fondato il network “Coscienze in Rete”, riassumendo poi la sua visione nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”: vede in azione due “piramidi” mondiali, in apparenza contrapposte (dato che si esprimono politicamente attraverso la destra e la sinistra) ma che in realtà dominano il pianeta, alternando oppressione e libertà illusorie, con l’unico scopo di tenere l’umanità sottomessa e le coscienze addormentate, ipnotizzate dal nemico di turno creato ad arte per essere trasformato in demonio.«Per intenderci: la destra classica promuove apertamente l’egoismo sociale, mentre la nuova sinistra postmoderna (quella “gesuitica”, appunto) è più insidiosa, visto che riesce a mascherare i suoi reali intenti dietro il velo dei buoni sentimenti, dei diritti civili e del politicamente corretto, sfornando “bidoni” perfetti: ieri Obama, e oggi Biden». Stessa regia, assicura Carotenuto: e i sapienti “stregoni” della manipolazione sarebbero sempre loro, i gesuiti. In un interessante video sul web, Carotenuto invita a dare un’occhiata alla squadra del nuovo inquilino della Casa Bianca: «Compaiono uomini della Cia come George Tenet e lo stesso Robert Gates, altro specialista in materia di terrorismo mediorientale: sono stati tutti formati alla gesuitica Georgetown University, dove insegnava un certo Henry Kissinger. Non è un segreto per nessuno: Joe Biden è intimo dei gesuiti e di personaggi usciti da Georgetown».Carotenuto sottolinea la vocazione storica dei seguaci di Ignazio de Loyola, nati come educatori dei giovani principi: «Una volta formati non li mollano più: li fanno diventare Ciampi, Monti, Draghi, Rutelli, creando una vera e propria struttura, una rete fatta di carriere in qualche modo “assitite”». Per la prima volta nella storia, un gesuita occupa addirittura il Soglio Pontificio: Trump lo ha attaccato frontalmente, attraverso Mike Pompeo, per la cessione al regime di Pechino del potere di nomina dei vescovi cattolici in Cina. E Biden? All’opposto: è devoto a Bergoglio, gli obbedisce. «Biden fa tutto quello che Papa Francesco chiede: aperture sull’aborto, sui gay, sulla green economy, sui migranti, sulla povertà, sul clima». Beninteso: «Sono temi anche condivisibili, ma vengono adoperati come cosmesi per ricevere i voti delle classi medie, dei benpensanti, per poi spingere le agende del potere vero: guerre, elettromagnetizzazione del pianeta, Great Reset».Attenzione ai gesuiti, insiste Carotenuto: è uscito da Georgetown il nuovo, potente capo di gabinetto della Casa Bianca, cioè Ron Klein. «Cattolico e vicino agli ambienti gesuiti è anche William Burns, appena nominato direttore della Cia, molto impegnato nella destabilizzazione del Medio Oriente quando lavorava per Obama». Viene da Georgetown anche Avril Haines, messa a capo della direzione generale dell’intelligence. Allievo dei gesuiti è lo stesso barone della medicina Anthony Fauci, che neppure Trump era riuscito a sloggiare. «Pubblicamente, Fauci ha dichiarato di aver appreso proprio dai gesuiti i fondamenti del senso della vita. E adesso Biden l’ha posto a capo della delegazione che segnerà il rientro trionfale degli Stati Uniti nell’Oms», l’opaca struttura mondialista da cui Trump si era ritirato, in polemica per la gestione poco trasparente (e troppo “cinese”) dell’emergenza Covid, utilizzata per sospendere diritti e libertà in nome della sicurezza.Gesuiti dietro a Biden? Eccome, assicura Carotenuto: viene dalle scuole della Compagnia di Gesù buona parte del team del nuovo presidente, probabilmente abusivo data l’ingente massa di prove che documentano i clamorosi brogli elettorali (che nessuna corte giudiziaria si è finora degnata di esaminare, in dettaglio). «Joe Biden è vicinissimo ai gesuiti, e ha citato Bergoglio già nel suo primo discorso dopo la “vittoria” elettorale». Ma attenzione: chi lo ha “incoronato”, formalmente? A pronunciare la preghiera per la cerimonia di inaugurazione della presidenza Biden, il 20 gennaio, è stato un gesuita molto imporante, padre Leo O’Donovan, per molti anni rettore della Georgetown University. «Quell’uomo ha “allevato” ministri, dirigenti della Cia e presidenti americani, come Bill Clinton». Strano cattolico, secondo Carotenuto: «Alla Georgetown, O’Donovan aveva fatto fare conferenze ai grandi editori americani della pornografia, e aveva anche dato il via a ricerche sull’utilizzo biomedico dei feti: un fatto non comune, per un cristiano».Proprio non piacciono, a Carotenuto, i gesuiti vicini al potere: «Sono formatori di forme-pensiero che sanno un po’ di “mago nero”, o forse prendono ordini da qualche “mago nero”». Nel suo saggio sull’apparente “mistero” della geopolitica, quasi sempre votata al disastro, l’analista definisce “maghi neri” alcuni uomini-chiave, che spesso agiscono nell’ombra per condizionare le dinamiche del vivere collettivo attraverso sofisticate manipolazioni, impartendo precisi ordini all’intera catena di comando della “piramide”, di cui i politici rapprestano i semplici terminali. Surreale? Fate voi, sembra dire Carotenuto. «Ma sappiate che, per 11 lunghi anni, da metà Novanta a metà Duemila, padre Leo O’Donovan è stato uno dei direttori della Walt Disney. E in quel periodo, tanti elementi oscuri sono stranamente entrati nei film della Disney». L’ex rettore della Georgetown University è legatissimo ai Biden: ha presieduto la messa per il funerale del figlio del neopresidente, Beau Biden, morto nel 2015 per un tumore al cervello.Quand’era vice di Obama, Biden ha partecipato qualche volta anche alla messa nella chiesa dell’università, dove ha anche tenuto una conferenza sulla fede e la vita pubblica. Joe Biden, peraltro, è l’autore dell’introduzione al libro di O’Donovan, “Blessed Are the Refugees: Beatitudes of Immigrant Children” (“Beati i rifugiati: Beatitudini per i bambini migranti”). Fonti di stampa ricordano che, proprio sul tema delle migrazioni, Biden è intervenuto lo scorso novembre a una raccolta fondi del Servizio dei gesuiti per i rifugiati, di cui O’Donovan è direttore, assicurando che avrebbe portato i numeri di accoglienza dagli attuali 15.000 previsti dall’amministrazione Trump a 125.000. Buoni sentimenti da esibire con la mano destra, mentre con la sinistra si dà il via libera alla guerra e magari al terrorismo “false flag”? Ipocrisie del politically correct, per far digerire meglio la cosiddetta agenda mondialista neoliberale? Tipico, in un certo senso, del nuovo globalismo delle anime belle, che tifano per le Ong anche quando a finanziarle è un uomo spregiudicato come George Soros.Ovviamente, sottolinea Carotenuto, non ci sono solo i gesuiti, a fare da guida, nel gruppo che si è sostanzialmente ripreso l’America dopo la parentesi Trump: «C’è anche la massoneria, che però è sempre più “massa di manovra”». L’analista steineriano di “Coscienze in Rete” non ha una buona opinione, dei grembiulini, ma non va confuso con le voci del complottismo massonofobico: la massoneria si è corrotta, sostiene, divenendo organica al potere più deteriore. «Un tempo – afferma – le massonerie erano al servizio di potenze “bianche”, quando erano un frutto dei Templari e dei Rosa+Croce. Poi, appunto, sono diventate essenzialmente “massa di manovra” delle peggiori potenze mondiali, anche se alcune di esse si dipingono come progressiste». Non a caso sono anch’esse, insieme ai gesuiti, nella cabina di regia che gestirà «le decisioni che poi verranno fatte firmare a Biden».Una regia composita e, per Carotenuto, poco rassicurante: «Ci sono gesuiti e pezzi di massoneria, pezzi di Vaticano, nonché potentati finanziari enormi, anche ebraici e cinesi, equamente suddivisi tra le due “piramidi” del grande potere». Problema evidente: «Cosa potrà fare, Biden, se non obbedire a quelli che l’hanno messo lì?». E attenzione: «Ce l’hanno messo nonostante i tanti sospetti sessuali, i suoi strani atteggiamenti, le accuse sessuali ritirate anni fa da tre donne. Veramente penoso, poi, quel suo strusciarsi addosso alle bambine e alle ragazzine, in evidente imbarazzo nei video che sono circolati sul web». Eppure, i media l’hanno acclamato subito, senza riserve, come nuovo presidente: e l’hanno fatto prima ancora che finisse la conta dei milioni di voti postali arrivati fuori tempo massimo e gestiti (col favore delle tenebre) attraverso la piattaforma digitale Dominion. Ed ecco che oggi Joe Biden siede alla Casa Bianca. A fare cosa? «Se ne starà lì con la sua faccetta ripulita, stirata, limata, botulinata e ritoccata: gli toccherà fare bei discorsi, e soprattutto firmare decisioni prese da altri».Per Carotenuto, l’agenda del potere oggi dominante è frutto di una strategia profonda, precisa, organica. «Rispetto al gruppo di Trump, questa “piramide” ha un vantaggio enorme: dispone di molti uomini preparati, in grado di portare avanti queste stretegie». Quali? Presto detto: «Mondializzazione, emergenze, vortici di paura e di odio, sfruttamento propagandistico del surriscaldamento climatico, falsa rivoluzione green. E poi guerre, squilibri, vaccinazioni di massa, condizionamenti culturali, meccanizzazione digitale degli esseri umani». Sottolinea Carotenuto: «Non è che in questo manchino elementi buoni: ma, ripeto, sono essenzialmente cosmetici, per mantenere un certo consenso». Una tattica che l’analista riconosce come eminentemente gesuitica: sottile, raffinata. Trump faceva la faccia feroce? Che ingenuo: meglio sorridere, se si hanno nel cassetto determinati piani, che prevedono coercizioni e sottrazione di libertà. Un marchio di fabbrica: «Non dico che tutti quelli che sono stati a Georgetown lavorino per i gesuiti, ma quelli che fanno carriera vi assicuro di sì. E il loro stile è inconfondibile».Con Biden, sintetizza Carotenuto, gli Usa tornano in scena come lo strumento principale di una accurata strategia della tensione internazionale, basata su una grande destabilizzazione geopolitica del pianeta. «Trump l’aveva evitata, frenando su tutto: era il meglio che poteva fare, coi limitati mezzi che aveva». Joe Biden, che si presenta come un anziano bonario (una specie di colomba) è stato invece un falco di prima grandezza. «E’ stato presidente della commissione esteri del Senato per tanti anni, ed era un sostenitore del rifacimento di tutte le mappe del Medio Oriente, a colpi di guerre e scontri interreligiosi». Motivo: «Era quello che volevano i vertici della “piramide”: creare in Medio Oriente un vortice di odio e di violenza». Quasi invisibile, eppure onnipresente: «Joe Biden ha lavorato alle false “primavere arabe”, insieme a uomini che oggi entrano nella sua amministrazione. Prima ancora, era stato un grande sostenitore dell’invasione dell’Iraq: negli Usa era in prima linea, nel vendere al pubblico la favola delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam».Un gran bel bilancio: un milione di morti, nella regione, con una destabilizzazione spaventosa che si trascina da 18 anni, in un mare di sangue. «Nel 2011, sempre Biden ha fatto fallire una trattativa che doveva servire a mantenere gli Usa a presidiare alcune zone del nord dell’Iraq. Invece gli Stati Uniti, grazie a Biden, hanno ritirato le truppe. Così i curdi sono rimasti soli e sono stati massacrati, e Daesh ha potuto creare l’Isis». Stragi, terrorismo, lutti infiniti. «Molti di quei morti dovrebbe averli sulla coscienza Joe Biden (se solo ce l’avesse, una coscienza)». Un veterano del peggio: «Un vero servo dei poteri oscuri: è stato uno dei 29 senatori democratici che diedero i voti a Bush per fare la guerra in Iraq». Ecco perché Fausto Carotenuto non è affatto ottimista: «Rivedremo gli Usa in azione in Libia, in Siria, nel Golfo Persico: devono tornare a creare vortici di guerra e di odio, cioè “malattie dell’umanità” per conto dei loro padroni oscuri. Il business delle armi? C’è anche quello, ma è solo un corollario».Da navigato analista geopolitico, il fondatore di “Coscienze in Rete” considera un disastro anche la probabile distensione con l’Iran, «che ha seriamente intenzione di fabbricare la sua atomica». Nei primi anni ‘80, Carotenuto era a Teheran: «Conosco bene quel regime, so che la bomba la voleva già allora, per difendersi in caso di attacco. Lentamente, la “piramide” cui fa capo Biden ha lasciato che l’Iran si avvicinasse alla meta: pensate al vortice di tensione che si innescherebbe, con un Iran trasformato in potenza nucleare per stare al pari di Israele. Non a caso, l’orrido regime di Teheran è felice della nomina di Biden. E’ sollevato anche il popolo, perché si toglieranno le sanzioni: ma vi assicuro che a essere felici sono soprattutto gli ayatollah». A peggiorare saranno ovviamente le relazioni con la Russia, «perché Putin fa parte dell’altra “piramide”, quella che ha utilizzato lo stesso Trump». Joe Biden ha grandi credenziali, del resto, come nemico di Mosca: ha promosso la “rivoluzione colorata” in Ucraina, il “golpe di piazza” gestito anche da neonazisti, per poi passare all’incasso attraverso il figlio Hunter, coperto di dollari come dirigente del colosso petrolifero Burisma.La parte del leone, naturalmente, potrebbe farla la Cina: «Trump aveva chiuso le porte, ai cinesi, ma adesso le riapriranno», profetizza Carotenuto. «Non è nell’interesse degli Usa, riaprire alla nuova superpotenza mondiale. Ma i “dem”, appunto, non fanno gli interessi degli Stati Uniti: assecondano invece quelli del grande gruppo mondialista che ha già deciso che i mercenari del futuro “impero” non saranno più gli americani, ma i cinesi: sono più lavoratori, sono tanti ed eseguono gli ordini senza fare storie, e in più non sono impigriti dal troppo benessere, dall’alimentazione sbagliata e dai farmaci sbagliati con i quali gli americani sono stati nutriti e curati per decenni». Possibili anche nuove tensioni con la Corea del Nord, focolaio ieri abilmente spento da Trump: «E’ sempre comodo, per creare tensione, avere un “diavolo” minaccioso». Per Carotenuto, poi, migliorerà «un’altra cosa contraria agli interessi Usa», ovvero «le relazioni con l’Unione Europea». Il gruppo che manovra Biden «vuole un’Ue forte, perché rappresenta un anticipo del mondialismo».Per gli Usa, dal punto di vista del mero interesse nazionale, «sarebbe meglio avere a che fare con un’Europa spezzettata, più facilmente dominabile». Ovvio: «Se l’Europa si unisce davvero, rischia di diventare più potente degli Usa». Eppure lo faranno: «Miglioreranno i rapporti con Bruxelles, proprio perché non servono gli interessi statunitensi. Si potrebbero definire traditori della patria, ammesso parlare di patria che abbia ancora un senso». In primo piano anche poi il clima: «Scontato il rientro immediato negli accordi di Parigi: è all’insegna del mondialismo e del “gretismo”, cioè la favola dell’origine antropica del “climate change”, largamente provocato dall’azione del sole». Un modo ultra-digitale, sempre più wireless? «Con l’elettrificazione si creano enormi campi magnetici: il che non è esattamente “green”, dati i loro effetti sull’organismo e sull’ambiente». E via così: «Si ridarà forza e finanziamenti all’Onu, all’Oms e a tutte le grandi organizzazioni internazionali, che non sono altro che l’anticipazione del globalismo che verticalizza il potere e marginalizza l’individuo».Per Carotenuto, la “piramide gesuitica” di Biden è quella più attiva nella sua missione storica: frenare il risveglio delle coscienze, che starebbe letteralmente sul punto di esplodere, coinvolgendo ormai un essere umano su tre. «Si evita il risveglio anche con i vaccini, con farmaci sbagliati, con lo sfruttamento di un virus che si poteva curare e non si è curato adeguatamente. Tutto quello che indebolisce le nostre forze vitali, fisiche e psichiche, indebolisce il nostro risveglio». Ora, dice Carotenuto, il drago si è ripreso l’America e vuole il Grande Reset. Ne saremo travolti? «No, è solo il ritorno della vecchia politica, che comunque non ci ha travolto. Anzi: l’umanità ha cominciato a crescere proprio per reazione a queste politiche balorde, il cui carattere orribile diventa sempre più evidente». Un auspicio: «Il cielo non consentirà a questo gruppo di fare più di quanto possiamo sopportare, e finirà col produrre un’ulteriore crescita interiore, come infatti è successo finora: le dittature della Seconda Guerra Mondiale hanno prodotto nel dopoguerra l’esplosione della democrazia, la voglia di libertà».Galeotto fu il gesuita e chi lo invitò a corte: nasce sotto il segno della Compagnia di Gesù il nuovo potere (in realtà antico) che si è appena insediato alla Casa Bianca attorno all’anziano Joe Biden, l’uomo che sostiene di aver vinto le presidenziali 2020 negli Stati Uniti. A sottolineare la matrice gesuitica della “piramide” che avrebbe fabbricato l’affermazione di Biden è Fausto Carotenuto, già collaboratore di Mino Pecorelli (giornalista d’indagine assassinato nel ‘79) e per anni analista strategico dell’intelligence Nato, esperto di Medio Oriente e strategia della tensione. Approdato al pensiero steineriano, Carotenuto ha fondato il network “Coscienze in Rete”, riassumendo poi la sua visione nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”: vede in azione due “piramidi” mondiali, in apparenza contrapposte (dato che si esprimono politicamente attraverso la destra e la sinistra) ma che in realtà dominano il pianeta, alternando oppressione e libertà illusorie, con l’unico scopo di tenere l’umanità sottomessa e le coscienze addormentate, ipnotizzate dal nemico di turno creato ad arte per essere trasformato in demonio.
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Fango: l’amara lezione che sta sommergendo tutto
Luce fredda di lampeggianti, pioviggine. Da qualche parte, lontano, ecco i parlamentari: spalano fango, curvi e sordi. Voci si spengono nel buio dei monitor parlanti, dentro una notte eterna di desolazioni che ormai è vano raccontare, articolando segni. Nero il destino che declina ciance vuote, in una recita spettrale di pagliacci. Morto il talento, il cuore, il canto di chi tenta, sapendo di poter sbagliare e di fallire, ma dopo aver lottato. Morte le idee, insieme ai desideri. Morte le parole. Nell’aria scialba, galleggiano le formule grigiastre del mendicare attimi. Notorietà ingloriosa, in mezzo a una palude di mediocrità invincibile: come una malattia senza speranza, da troppo tempo libera di seminare orrori sapientemente travisati e mascherati da normalità. Una lunghissima, inesorabile discesa. Si scivola nel fango, poco alla volta rinunciando a tutto, dopo la morte lenta della verità.
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Trump “usato e gettato” per rottamare speranze: le nostre
Negli anni prima di Trump, la successone di presidenti orribili (i Bush, Clinton, Obama) aveva stancato il popolo americano. Non ne poteva più del loro interventismo globalista, che sacrificava gli stessi interessi degli Stati Uniti, favorendo la Fed e il militarismo. E allora che cosa si fa, in questi casi? Si prende un personaggio “nuovo”, che possa sembrare antipolitico (come il nostro Berlusconi). Ad agire è sempre lo stesso Deep State, che dice: devo poter tornare ad avere i miei “mercenari”, quei soggetti che hanno governato finora. Sono famiglie, gruppi, massonerie, personaggi dipendenti da certi ordini religiosi: preparati per lunghi anni, bravissimi a fare le politiche mondialiste di schiavizzazione, di alterazione della cultura, di elettromagnetizzazione del mondo. Solo che la gente, a un certo punto, non si fida più. E allora il potere dice: facciamo finta che ne venga fuori uno “nuovo”. Deve avere però una caratteristica: dev’essere ridicolizzabile, strano, pieno di vizi. Dev’essere criticabile: perché, dal giorno in cui andrà al potere, dovrà essere criticato. Si dovrà poter dire: è vero che ha sposato tanti temi buoni, o quantomeno popolari e contrari a tutte le malafette del potere, ma noi intanto cominciamo a “sporcarlo”. Vuoi vedere che, “sporcando” lui, prima o poi riusciamo a sporcare anche quei temi che la gente ha sposato?Vuoi vedere che, così facendo – ragiona il potere – un po’ alla volta la gente tornerà ai nostri temi? Ma intanto, dicono, mandiamolo avanti: perché la gente sta uscendo dall’ovile, e nell’ovile la dobbiamo riportare. Allora cosa serve? Un incantatore: ed ecco Trump. Così come Grillo ha avuto il ruolo di incantatore, da noi. I temi dei 5 Stelle, peraltro, erano migliori di quelli di Trump: meravigliosi, libertari. Trasparenza, scoperchiamo i palazzi, no ai vaccini, niente Tav né Tap. Come è andata a finire, lo si è visto. Ma la manovra è riuscita: mandi avanti il comico, rompi i problemi, crei un seguito di persone e poi tradisci la causa. Nel 2016, in America l’operazione parte nello stesso modo. Trump fa mosse populiste: sugli immigrati, sulla speculazione creata attorno al problema climatico. Si rende conto della minaccia cinese e della vera minaccia atomica iraniana, e le combatte. Ma tutto viene sempre ridicolizzato, dai grandi media: quello è uno col ciuffo biondo, è strano, si appoggia alla destra estremista. Come fa, a essere credibile? E poi: chissà come ha fatto i soldi, probabilmente è stato aiutato da Putin, eccetera. Tutti elementi potenzialmente veri: lui infatti è stato scelto proprio perché ricattabile. Così come, a suo tempo, Berlusconi.Al che, fin dal primo giorno, si passa a erodere incessantemente il suo consenso. Probabilmente il consenso c’è ancora, e le elezioni sono state truccate: poco o tanto, le elezioni sono sempre truccate. Ma c’è un problema: Trump resiste. Lo fa perché ha capito, o perché non ha ancora capito? Io temo che non abbia capito, perché non è un’aquila. Ma resiste: fa cose che piacciono alla gente, ma non al potere. Se la prende con la Fed, controllata in fondo dai Rothschild e dai loro alleati della finanza internazionale. Se la prende con la Cina, che – per i poteri oscuri – è destinata ad essere il nuovo strumento imperialista mondiale. Se la prende con gli eccessi della propaganda mondialista (Greta Thunberg) sul ruolo umano nel riscaldamento climatico. Trump non vuole l’immigrazione incontrollata, e la gente lo approva: ma anche qui il presidente esagera – nelle forme, nello stile – e così viene attaccato. Però rimane fedele a queste idee: vuole rimettere in piedi l’America, a partire dall’industria nazionale.Ma un po’ alla volta gli scandali, il ridicolo, determinano un’erosione che lo indebolisce, producendo un risultato sul quale poi, alle elezioni, non è difficile intervenire. Conteggi strani, schede fantasma: nulla è impossibile, per il Deep State. Tutto poi viene “sistemato” dalla magistratura, che è uno dei principali strumenti di controllo di cui il Deep State dispone. Le magistrature occidentali, in genere, fanno giustizia solo se la giustizia colpisce l’avversario della corrente dominante. E siamo ai giorni nostri: Trump, pensano, bisogna portarlo in una trappola. Una trappola che lo “sporchi” totalmente: così, “sporcando” lui, “sporchermo” anche tutti i temi (persino quelli “buoni”) che sono contro i mondialisti, i democratici, i gesuito-massonici. Come dire: non ce l’abbiamo con Trump, ce l’abbiamo con quei temi dei quali l’opinione pubblica si stava innamorando. Quelli, vogliamo abbattere, se vogliamo riportare la gente ad apprezzare le politiche degli avversari di Trump (perché sono più tranquilli, più buoni, in apparenza più puliti): non faranno neppure caso, al ritorno delle vecchie politiche. Non piaceranno, ma penseranno: Trump era peggio.Per fare questo, occorre montare un’ultima pantomima, forte ed efficace. E allora si sfrutta la campagna elettorale: Trump si rivolge sempre più alle frange estremiste (Q-Anon, Proud Boys), cioè la destra eversiva e ridicola, capace di spaventare un po’ anche l’opinione pubblica repubblicana. Si evidenzia un aspetto estremista, quasi nazista, e le facce dure di quel poveraccio di Trump aiutano, a dipingerlo come un Hitler col ciuffo biondo: un pericolo, per la democrazia. Ma quale pericolo, se quand’era alla Casa Bianca il Deep State gli impediva di fare quasi tutto, costringendolo a cambiare continuamente consiglieri e ministri? Nessuno, in fondo, faceva quello che diceva lui: erano tutti più fedeli al Deep State tradizionale, che non al presidente. Quindi: gli si lascia gonfiare le manifestazioni affollate da questi quattro gatti ridicoli, presentati come pericolossimi, e poi – dopo che tutti i giudici hanno fatto fallire i tentativi di Trump di ribaltare legalmente il risultato delle elezioni – arriva il giorno clou, quello della certificazione parlamentare, dopo la quale non si potrà fare più nulla. Trump che fa? Annuncia una grande manifestazione: invita i suoi a scendere in piazza e a marciare verso il Campidoglio, per protestare. E qui scatta il piano.I manifestanti vengono fatti avanzare in modo indisturbato, e qualcuno li guida. Succede sempre: in Italia, succedeva quando c’era la strategia della tensione. I servizi segreti (italiani, inglesi, israeliani, americani) infiltravano tutti i movimenti eversivi, per poterli usare: io faccio il morto, metto le bombe, rapisco, così la gente si spaventa e mi diventa più facile governarla, mandare i governi in certe direzioni, prendere delle misure, rendere le persone meno libere. I servizi segreti non fanno altro: durante il caso Moro, il capo delle Brigate Rosse era un ex fascista infiltrato dei servizi, e nella direzione strategica delle Br uno dipendeva dal Mossad, uno dalla Cia, uno dai servizi inglesi, e così via. Non ce lo dicono mai, ma funziona così: e per un servizio segreto, infiltrare movimenti fatti da ragazzi sprovveduti e fanatizzati è facilissimo. Ed è facilissimo scalare i gradini del gruppo, fino a comandare: è molto semplice. Perché non dovrebbero farlo? E infatti lo fanno sempre. Quindi lo capite, ora, chi c’era alla testa di quei gruppi di invasati che il 6 gennaio si stavano avviando verso Capitol Hill? Persone che dipendevano da quegli stessi soggetti che avevano deciso di montare la pantomima.Funziona: la polizia lascia fare, la Guardia Nazionale non arriva, e così si sfondano le finestre. Un assalto ridicolo, che ha smesso di essere ridicolo quando qualcuno ha creato i morti, rendendolo drammatico (altrimenti sarebbe rimasto una pagliacciata). La fine della democrazia? L’attacco alle istituzioni? Ma no: sono entrati quattro gatti, hanno detto qualche stupidaggine e poi se ne sono usciti in buon ordine, dopo qualche scontro. La gravità del fenomeno è venuta da chi ha sparato ad altezza uomo, mirando. Immagino Trump, che pensava a un ultimo atto dimostrativo, veemente ma pacifico, per restare almeno leader dell’opposizione. Immagino la faccia di Trump, quando ha visto che la polizia ha lasciato avanzare i manifestanti, consentendo loro addirittura di entrare nel Parlamento. Se è una persona veramente intelligente l’avrà capito: ecco, mi stranno fregando. Da quel momento in poi, i suoi consiglieri non riescono più a raggiungerlo. Lui a quel punto non si fida più di nessuno, e non sa che pesci pigliare. Quindi, passa del tempo. Per questo, riappare in televisione solo dopo che Biden l’ha spinto a intervenire. Alla fine, Trump si decide a chiamare la Guardia Nazionale. Ma è chiaramente la risposta di uno che ha perso.Un minuto dopo, si scatenano tutti: capi di Stato, giornalisti, professoroni. La più grave offesa mai fatta, alla democrazia americana. Certo: era esattamente previsto che si dovesse montare una cosa che dovesse sembrare “la più grave offesa alla democrazia americana”. Per renderla credibile andava resa più drammatica: per questo poi fanno, scientemente, quei poveri morti. E naturalmente, è tutta colpa di Trump: anche le destre, a livello mondiale, ormai ne prendono le distanze. E’ troppo grossa: un assalto al Parlamento, organizzato da Trump? No: Trump aveva promosso una marcia di protesta che arrivasse fin davanti al Parlamento, non dentro. Il troppo facile ingresso non pensiamo che l’abbia organizzato lui. Tutti a gridare al colpo di Stato: un golpe fatto in quel modo? Siamo seri. Non si può fare un colpo di Stato con quei quattro disgraziati, guidati dallo “sciamano con le corna”. Per fare un golpe serve più della metà dei servizi segreti, serve la maggior parte delle forze armate, gli stati maggiori. Servono pezzi di Fbi, di Cia, di Nsa. Dalla tua parte devono esserci la finanza e i veri poteri. Eppure, questa balla – il tentato golpe – viene riferita da tutti i media, quelli che ci ammorbano ogni giorno con la loro versione del virus.Non è Trump che ha cercato di fare un colpo di Stato, sono i poteri oscuri ad aver messo a segno un colpo: non solo ai danni di Trump, ma di una vasta fetta dell’opinione pubblica, che ormai sta rientrando nell’ovile. E il colpo, principalmente, è stato dato a tutti quei temi (quegli ideali, quegli interessi) che andavano contro il mondalismo, contro i “papati scientifici”, contro l’Oms, contro un’Onu depravata, contro un’Ue guidata da un gruppo osceno, contro una Cina neo-imperialista. Tutto depotenziato: già durante la presidenza Trump, e ora con questa pantomima finale. Ora si torna all’antico, alla tradizione che gli americani cominciavano a odiare: quella dei Bush, dei Clinton, degli Obama. Tutti finti buoni, come i finti buoni europei. Come Joe Biden, “il nonno d’America”. Guardate quei filmati, in cui riceve le famiglie: voi affidereste un bambino a Biden? Glielo fareste avvicinare? Il “nonno d’America” è suadente, ma solo nelle forme: quando aveva a fare con l’Iraq era un assatanato guerrafondaio, uno dei più feroci. Adesso fa la faccia del buono: così hanno sempre fatto, questi democratici americani. Apparenza vellutata, per mascherate azioni orribili.Non è che l’altra piramide di potere sia migliore, quella repubblicana e conservatrice: è solo meno brava, a fare il male. E’ più confusionaria: e quindi, in questa fase, meno pericolosa. E’ il classico gioco delle piramidi oscure, del divide et impera, del potere. Un gioco che, con le sue pantomime e le sue sceneggiate puntualmente riprese dai media, tende a ipnotizzarci. E’ un gioco che ci vuole distrarre, quando in realtà ci vogliono togliere la libertà, quando ci vogliono iper-vaccinare e iper-tassare, così come quando vogliono cambiare i programmi scolastici, devastare l’ambiente, elettromagnetizzare il mondo. Ci distrae, il gioco delle piramidi di potere, quando vogliono renderci degli automi sensoriali. Questo vogliono fare, ma noi resistiamo: per questo sono costretti a inventarsene sempre di nuove. L’umanità, infatti, è in risveglio: un po’ alla volta, cresce l’impulso a volere il bene dell’ambiente, delle persone intorno a noi. Non vogliamo limitazioni alla libertà, vogliamo ideali buoni: una pedagogia sana, una medicina buona che non danneggi la salute.Loro cercano di distrarci, per sottometterci alle loro politiche anti-umane. Noi che facciamo? Non certo i colpi i Stato in America o a Palazzo Chigi, e nemmeno in Vaticano, o in Germania. Però una cosa la possiamo fare, quella che a loro dà più fastidio: continuare a essere liberi interiormente. Criticarli, guardarli. Denunciare in tutti modi, senza malanimo, quello che fanno: denunciarlo come cosa, semplicemente, da non fare. Indignarsi, restando però sereni, per poter fare la cosa che a questi poteri dà più fastidio: fare il bene, intorno a noi. Per non cadere nelle loro trappole, coltivare ideali, amare il prossimo. Il nostro compito è orizzontale, intorno a noi: aumentiamo la nostra capacità di fare il bene, e vinceremo questa battaglia contro i poteri, il cui unico intento è ipnotizzarci, per poterci catturare. Restiamo liberi di fare il bene: l’importante è non dare alcuna credibilità, alle voci mediatiche del potere, sapendo che stanno cercando di fregarci. Riuniamoci in gruppi, per fare il bene. Da questi gruppi, un giorno, nascerà una nuova società. Una nuova politica, una nuova collettività: migliore, e più sana.(Fausto Carotenuto, estratto dal video-intervento “Colpo di Stato fallito o manovra del Deep State riuscita?”, pubblicata su “Coscienze in Rete” il 7 gennaio 2021. Carotenuto è stato, per lunghi anni, analista strategico dell’intelligence Nato).Negli anni prima di Trump, la successone di presidenti orribili (i Bush, Clinton, Obama) aveva stancato il popolo americano. Non ne poteva più del loro interventismo globalista, che sacrificava gli stessi interessi degli Stati Uniti, favorendo la Fed e il militarismo. E allora che cosa si fa, in questi casi? Si prende un personaggio “nuovo”, che possa sembrare antipolitico (come il nostro Berlusconi). Ad agire è sempre lo stesso Deep State, che dice: devo poter tornare ad avere i miei “mercenari”, quei soggetti che hanno governato finora. Sono famiglie, gruppi, massonerie, personaggi dipendenti da certi ordini religiosi: preparati per lunghi anni, bravissimi a fare le politiche mondialiste di schiavizzazione, di alterazione della cultura, di elettromagnetizzazione del mondo. Solo che la gente, a un certo punto, non si fida più. E allora il potere dice: facciamo finta che ne venga fuori uno “nuovo”. Deve avere però una caratteristica: dev’essere ridicolizzabile, strano, pieno di vizi. Dev’essere criticabile: perché, dal giorno in cui andrà al potere, dovrà essere criticato. Si dovrà poter dire: è vero che ha sposato tanti temi buoni, o quantomeno popolari e contrari a tutte le malafette del potere, ma noi intanto cominciamo a “sporcarlo”. Vuoi vedere che, “sporcando” lui, prima o poi riusciamo a sporcare anche quei temi che la gente ha sposato?