Archivio del Tag ‘onestà’
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Diaz, undici anni dopo: chi ha paura di quel film-verità?
La furia dei tonfa, i manganelli dall’impugnatura a T: un rumore raggelante di braccia e gambe spezzate. Sangue e materia cerebrale che allagano il parquet della palestra scolastica, schizzano sugli intonaci, gocciolano dai termosifoni. «Un sabba infernale di grida e lamenti che hanno il suono osceno di bestie portate al macello», scrive Carlo Bonini su “Repubblica” il 24 marzo dopo aver visto in anteprima – insieme a due poliziotti e ad una delle vittime – il film sulla “macelleria messicana” alla scuola Diaz di Genova il 21 luglio 2001, girato da Daniele Vicari e prodotto da Domenico Procacci. Un film arduo: pochissime riprese a Genova per evitare disagi, e i mezzi della polizia usati per le riprese – furgoni e blindati – sequestrati per accertamenti al ritorno da Bucarest, dov’era stato allestito il set. Invitati all’anteprima, i politici – senza spiegazioni – non si sono fatti vedere né a Palermo né a Torino, dove in compenso hanno inviato i vigili urbani a verificare orari e capienza della sala.
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Venite a visitare il mare di gioia che non riuscite a vedere
E’ difficile raccontare il mare senza mai staccarsi da terra. Può succedere solo se il mare ce l’hai dentro di te, senza neppure saperlo: e allora i prati in fiore diventano fondali rigogliosi, i cieli scogliere ventose, i rami degli alberi trame intricate di corallo. E’ un mare di stagioni, quello dipinto dai ragazzi che dipingono sulla riva del grande fiume, proprio là dove il fiume si rassegna a salutare gli argini erbosi e ad entrare nella prigione di cemento della città. La città è Torino e la riva dei pittori coraggiosi, poeti del mare, si chiama Moncalieri: i ragazzi arrivano puntuali ogni mattina, si fanno compagnia, pranzano insieme. E poi, si mettono in ascolto: fanno silenzio, e lasciano scrosciare tutto il mare che hanno dentro. E’ un mare segreto, incontaminato. E loro lo dipingono, sfiorando un viaggio che i comuni mortali, semplificando, a volte chiamano con un nome misterioso: felicità.
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L’altra faccia di Obama, l’uomo che ha beffato il mondo
Boston, 27 luglio 2004: in quella calda sera d’estate tutta l’America si accorse del giovane e carismatico Barack Obama, un tizio semi-sconosciuto, dal nome difficile e dalle origini esotiche. Alla convention democratica che incoronò John Kerry come sfidante di Bush, Obama non era ancora neppure senatore, eppure gli fu affidato il “kenyote speech”, l’attesissimo discorso introduttivo. Già allora c’era chi aveva scommesso su di lui: la cupola finanziaria americana, il super-potere che domina ogni grande decisione planetaria. Per capire chi fosse davvero il neopresidente Obama, bastava la lista dei suoi finanziatori miliardari e quella del suo staff alla Casa Bianca. Barack Obama non era uno di loro: ma è stato scelto e promosso da loro. Ecco perché la sua politica oggi non è molto diversa da quella di Bush.
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Bocca: soldi, potere e zero idee, il Pd è come il Psi di Craxi
Due squilli e il ricevitore si alza. Poi non fai nemmeno in tempo a concludere una domanda – sulla questione morale a sinistra – che la risposta è questa: «Ma è la solita storia della corruzione politica: tutti i partiti, in tutte le epoche, quando amministrano hanno bisogno di soldi e li rubano. Nulla di nuovo sotto il sole». Dall’altra parte, l’accento cuneese di Giorgio Bocca, scrittore e firma di “Repubblica” e dell’“Espresso”. Che, con il tono mite di un neo 91enne, aggiunge il seguente siluro: «Soprattutto nulla di nuovo rispetto a Craxi». Vede analogie tra il Pd e i tempi d’oro del Psi piglia-tutto? «Macché analogie. Vedo un’assoluta identità». Perché? «Craxi diceva: i mariuoli ci sono ma i soldi servono ai partiti. L’unica cosa che si capisce da questa vicenda è che la sinistra è la stessa cosa della destra, quanto a onestà».
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Roberto Morrione, il giornalismo Rai con la schiena diritta
Lo trovavi sia quando cercavi la notizia sia quando volevi difendere il diritto a dare la notizia. Roberto Morrione era un giornalista appassionato, un punto di riferimento naturale per chi aveva imparato quanto l’informazione sia il cuore della democrazia. Roberto sapeva cogliere con rigore e precisione ogni spiraglio di verità nel vasto flusso delle notizie, e lo porgeva con la calma e la modestia dei forti: non fuggiva dalle macchine strapotenti dei media, ma le correggeva con grande mestiere. Non guardate al povero Tg1 di oggi per disperare che possa esistere un organo di informazione degno di qualche credito. Prima che i lanzichenecchi che oggi occupano le redazioni della Rai le trasformassero in organi ufficiosi e inattendibili e confinassero i giornalisti bravi, c’erano giornalisti come Morrione, che riuscivano a dare autorevolezza al giornalismo perfino in mezzo alle difficoltà e le pressioni dei piani alti del potere.
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Carlo Grande: la scrittura sincera, antidoto contro il caos
Penso che ogni giornalista, in fondo, accarezzi anche l’idea di scrivere dei libri. Ma gli spazi di buon livello sui giornali e nell’editoria non sono molti. Si devono avere – innate – sensibilità, curiosità, attenzione per gli altri, sguardo profondo e non superficiale per le storie “vere”, che hanno qualcosa di simbolico e toccante. Sono cose indispensabili per chi vuole fare narrativa. Poi si diventa scrittori con il lavoro, l’attenzione, l’umiltà, il dialogo, il coraggio di ascoltarsi e criticarsi fino in fondo, l’esercizio costante. La vera lotta di uno scrittore, diceva Bukowski, è con se stessi.
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Mannoia, lettera a Fini: ci aiuti a ridare dignità al Paese
Onorevole Fini, varchi il Rubicone: rompa gli indugi e si metta al lavoro per ricostruire una destra “onesta”, in grado di restituire dignità alle istituzioni. Questo il tono della lettera aperta che, attraverso “Micromega”, la cantante Fiorella Mannoia ha rivolto al presidente della Camera, sempre più critico nei confronti del premier e della Lega Nord. «Spesso le sue opinioni mi irritavano», premette Mannoia, «ma da un po’ di tempo a questa parte alcune sue dichiarazioni mi sorprendono, mi pare di trovare in lei quel buon senso di cui abbiamo così tanto bisogno
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I manifesti del Pd coprono i muri, non le sue assenze
Girando per Roma la vedo impestata di manifesti del Partito Democratico. Ne cito tre. “56% a Bersani, Grazie alle iscritte e agli iscritti” eccetera. Ma da quando in qua si ringraziano gl’iscritti a un partito per avere votato le sue cariche interne? Un tempo – ed era comunque stupido – si ringraziavano gli elettori. Ma la deriva delle fintissime primarie, non ha mai fine. Che non si sa se finiranno prima loro o finirà prima il partito.