Archivio del Tag ‘omicidio’
-
Bravi, odiate Trump. Per la Cia sarà più facile assassinarlo
Il breve discorso inaugurale del presidente Trump è stato una dichiarazione di guerra contro tutto l’establishment americano al potere. Tutto. Trump ha reso abbondantemente chiaro che i nemici degli americani sono proprio qui in casa: globalisti, economisti neoliberisti, neoconservatori e altri unilateralisti abituati ad imporre gli Stati Uniti nel mondo, che ci coinvolgono in costose guerre senza fine, e politici che servono l’establishment al potere piuttosto che gli americani; a dirla tutta, l’intera cupola di interessi privati che ha portato l’America allo sfinimento mentre gli interessati si arricchivano. Se si può dire la verità, il presidente Trump ha dichiarato guerra a se stesso, una guerra per lui molto più pericolosa che se avesse dichiarato guerra alla Russia o alla Cina. I gruppi di interesse designati da Trump come “Il Nemico” sono ben radicati e abituati a stare al potere. Le loro potenti reti di relazioni sono ancora al loro posto. Anche se ci sono maggioranze repubblicane sia alla Camera che al Senato, la maggior parte dei rappresentati del Congresso è tenuta a rispondere ai gruppi di interesse al potere che finanziano le loro campagne, e non al popolo americano e al presidente.Il complesso militare/della sicurezza, le multinazionali che delocalizzano, Wall Street e le banche, non cederanno a Trump. Né lo faranno i media prezzolati, che sono di proprietà dei gruppi di interesse il cui potere viene sfidato da Trump. Trump ha chiarito che sta dalla parte di ogni americano, nero, marrone e bianco. Pochi dubbi sul fatto che la sua dichiarazione di inclusività e apertura verrà ignorata dagli odiatori della sinistra, che continueranno a chiamarlo razzista, come già stanno facendo, mentre scrivo, i manifestanti pagati 50 dollari all’ora. In effetti, la leadership nera, per esempio, è educata al ruolo della vittima, ruolo al quale le sarebbe difficile sfuggire. Come si fa a mettere insieme persone alle quali per tutta la vita è stato insegnato che i bianchi sono razzisti e che loro sono vittime dei razzisti? Lo si può fare? Ho partecipato ad un breve programma su “Press Tv”, nel quale avremmo dovuto commentare il discorso inaugurale di Trump. L’altro commentatore era un nero americano, da Washington Dc. Il carattere inclusivo del discorso di Trump non gli ha fatto nessuna impressione, e l’ospite della trasmissione era interessato solo a mostrare le proteste dei manifestanti al fine di screditare l’America. Così tante persone hanno un interesse economico a parlare in nome delle vittime e a dire che l’apertura di Trump toglie loro lavoro.Quindi insieme ai globalisti, alla Cia, alle multinazionali che delocalizzano, alle industrie degli armamenti, all’establishment Nato in Europa, e ai politici stranieri abituati a essere pagati profumatamente per sostenere la politica estera interventista di Washington, si schiereranno contro Trump anche i leader dei gruppi vittimizzati, i neri, gli ispanici, le femministe, i clandestini, gli omosessuali e i transgender. Questa lunga lista ovviamente include anche i bianchi liberal, convinti che l’America da una costa all’altra sia abitata da bianchi razzisti , misogini, omofobi, e svitati amanti delle armi. Per quanto li riguarda, questo 84% della geografia degli Stati Uniti dovrebbe essere messo in quarantena o seppellito. In altre parole, rimane abbastanza buona volontà nella popolazione per consentire a un presidente di riunire il 16% che odia l’America con l’84% che la ama? Considerate le forze che Trump si trova contro. I leader neri e ispanici hanno bisogno del vittimismo, perché è quello che conferisce loro reddito e potere. Guarderanno con sospetto all’apertura di Trump. La sua inclusività è un bene per i neri e gli ispanici, ma non per i loro leader.I dirigenti e gli azionisti delle multinazionali sono arricchiti dalla delocalizzazione del lavoro che Trump dice che riporterà a casa. Se tornano i posti di lavoro, se ne andranno i loro profitti, i bonus e le plusvalenze. Ma tornerà la sicurezza economica della popolazione americana. Il complesso militare e della sicurezza ha un bilancio annuale di 1.000 miliardi che dipende dalla “minaccia russa”, minaccia che Trump dice di voler sostituire con una normalizzazione dei rapporti. L’assassinio di Trump non può essere escluso. Molti europei devono il proprio prestigio, il proprio potere, e i propri redditi alla Nato, che Trump ha messo in discussione. I profitti del settore finanziario derivano quasi interamente dalla schiavitù del debito cui sono sottoposti gli americani e dal saccheggio delle loro pensioni private e pubbliche. Il settore finanziario con il suo agente, la Federal Reserve, può distruggere Trump con una crisi finanziaria. La Federal Reserve di New York ha una sala operativa completa. Può mandare nel caos qualsiasi mercato. O sostenere qualsiasi mercato, perché non vi è alcun limite alla sua capacità di creare dollari.L’intero edificio politico degli Stati Uniti si è completamente isolato dal volere, dai desideri e dalle esigenze del popolo. Ora Trump dice che i politici risponderanno al popolo. Questo, naturalmente, significherebbe un forte colpo alla continuità dei loro incarichi, al loro reddito e alla loro ricchezza. C’è un gran numero di gruppi, finanziati da non-sappiamo-chi. Ad esempio, oggi RootsAction ha risposto al forte impegno di Trump di stare al fianco di tutto il popolo contro l’Establishment al Potere, con la richiesta al Congresso “di incaricare la Commissione Giustizia della Camera per un’iniziativa di impeachment” e di inviare denaro per l’impeachment di Trump. Un altro gruppo di odio, Human Rights First, attacca la difesa di Trump dei nostri confini in quanto chiude “un rifugio di speranza per coloro che fuggono dalle persecuzioni“. Pensateci per un minuto. Secondo le organizzazioni liberal-progressiste di sinistra e i gruppi di interesse razziali, gli Stati Uniti sono una società razzista e il presidente Trump è un razzista. Eppure, le persone soggette al razzismo americano fuggono dalle persecuzioni verso l’America, dove subiranno persecuzioni razziali? Non ha senso. I clandestini vengono qui per lavoro. Chiedete alle imprese di costruzione. Chiedete ai mattatoi. Chiedete ai servizi di pulizia nelle aree turistiche.La lista di quelli a cui Trump ha dichiarato guerra è abbastanza lunga, anche se se ne potrebbero aggiungere degli altri. Dovremmo chiederci perché un miliardario di 70 anni con imprese fiorenti, una bella moglie, e dei figli intelligenti, sia disposto a sottoporre i suoi ultimi anni alla straordinaria pressione di fare il presidente con il difficile programma di riportare il governo nelle mani del popolo americano. Non c’è dubbio che Trump ha fatto di sé stesso un bersaglio. La Cia non ha intenzione di mollare il colpo e andare via. Perché una persona dovrebbe farsi carico dell’imponente ricostruzione dell’America che Trump ha dichiarato di voler fare, quando poteva invece trascorrere i suoi ultimi anni godendosela immensamente? Qualunque sia la ragione, dovremmo essergli grati per questo, e se è sincero lo dobbiamo sostenere. Se viene assassinato, dobbiamo prendere le armi, radere al suolo Langley [sede centrale della Cia] e ucciderli tutti. Se avrà successo, merita il titolo: Trump il Grande! La Russia, la Cina, l’Iran, il Venezuela, l’Ecuador, la Bolivia, e qualsiasi altro paese sulla lista nera della Cia dovrebbe capire che l’ascesa di Trump non basta a proteggerlo. La Cia è una organizzazione a livello mondiale. I suoi redditizi affari forniscono delle entrate indipendenti dal bilancio degli Stati Uniti. L’organizzazione è in grado di intraprendere azioni indipendentemente dal presidente o anche dal proprio direttore. La Cia ha avuto circa 70 anni per consolidarsi. Ed esiste ancora.(Paul Craig Roberts, “La dichiarazione di guerra di Trump”, dal sito di Craig Roberts del 20 gennaio 2017, post tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).Il breve discorso inaugurale del presidente Trump è stato una dichiarazione di guerra contro tutto l’establishment americano al potere. Tutto. Trump ha reso abbondantemente chiaro che i nemici degli americani sono proprio qui in casa: globalisti, economisti neoliberisti, neoconservatori e altri unilateralisti abituati ad imporre gli Stati Uniti nel mondo, che ci coinvolgono in costose guerre senza fine, e politici che servono l’establishment al potere piuttosto che gli americani; a dirla tutta, l’intera cupola di interessi privati che ha portato l’America allo sfinimento mentre gli interessati si arricchivano. Se si può dire la verità, il presidente Trump ha dichiarato guerra a se stesso, una guerra per lui molto più pericolosa che se avesse dichiarato guerra alla Russia o alla Cina. I gruppi di interesse designati da Trump come “Il Nemico” sono ben radicati e abituati a stare al potere. Le loro potenti reti di relazioni sono ancora al loro posto. Anche se ci sono maggioranze repubblicane sia alla Camera che al Senato, la maggior parte dei rappresentati del Congresso è tenuta a rispondere ai gruppi di interesse al potere che finanziano le loro campagne, e non al popolo americano e al presidente.
-
La strage dei bambini, orrendo tabù avvolto dal silenzio
Bambini da uccidere, sacrificare, persino mangiare. Mentre spariscono ogni anno centinaia di minori, in parte forse destinati anche alla potentissima rete internazionale dei pedofili, una ricercatrice come Lara Pavanetto, a margine del suo libro “Streghe o vittime?” (Filippi editore), in una riflessione sul suo blog si sofferma sul sinistro mistero che nasconde il vero destino di tanti, troppi bambini, nella storia della nostra civiltà. «Di tutti i gruppi sociali che formavano le società del passato, i bambini sono quello più misterioso», scrive. «Raramente si vedono nei documenti, mai si sentono. Un misterioso silenzio circonda la moltitudine dei neonati, bambini e adolescenti che pure hanno vissuto. I resti fossili dei popoli antichi e medievali appartengono quasi totalmente ad adulti, i bambini sembrano non aver lasciato traccia alcuna. E’ difficile sapere qualcosa sulla vita dei bambini, ancora più difficile è conoscerne qualcosa riguardo la morte. Ma spesso morte e vita erano due facce della stessa medaglia, intimamente legate; soprattutto la morte dei bambini, fino ad oggi, è e rimane un tabù che nasconde molto».Anticamente, scrive Pavanetto, la pratica dell’abbandono era assai frequente, e spesso finiva per significare la morte del bambino: «Tuttavia questa naturale prospettiva non è mai citata né dalle fonti letterarie né da quelle storiche». E soltanto una volta, nel corpus di testi giuridici che si occupano dell’abbandono, si allude alla morte degli “esposti”. «Nelle fonti letterarie questi bambini non muoiono mai, nessuno storico cita la morte di esposti e mostra preoccupazione per la loro salvezza. Nessuna fonte menziona cadaverini da seppellire. Soltanto i moralisti e gli oratori sollevano qualche dubbio sulla loro fine». Nella Bibbia, il sacrificio dei bambini agli dèi è «proibito, condannato o menzionato con disprezzo in molti passi», eppure nel Libro dei Re si menziona Moloch (un dio pagano?) che richiede l’uccisione di bambini. Idem in Geremia e forse nel Levitico. Sempre nei Re «si parla anche di sacrifici di bambini con il fuoco». I bambini «erano un dono prezioso per gli déi», ma evidentemente «non abbastanza per i genitori». Il re Moab sacrifica il primogenito sulle mura della città come segno di lutto (Re). E in un altro testo biblico, (Giudici) Iefte «uccide la sua unica figlia per adempiere un voto fatto al Signore». Sarà poi “Dio” stesso a richiedere ad Abramo (Genesi), il sacrificio estremo del figlio: Abramo è pronto a farlo, sarà solo “Dio” a fermarlo.«Ma, nelle sacre scritture, si parla anche di genitori che mangiano i loro figli», aggiunge Lara Pavanetto, che spiega: si tratta di «un topos non isolato, che ricorre anche nella letteratura antica». C’è il Faraone, che tenta di uccidere tutti i figli maschi degli ebrei (Esodo). «Poi si aggiungono alcuni passi davvero eloquenti che parlano di forme di infanticidio più generali». Si legge nel Libro dei Re: «Sfracellerai i loro lattanti e squarcerai le loro donne incinte». E nei Salmi: «Beato chi prenderà i tuoi pargoli e li sbatterà contro la pietra». Un intellettuale come Filone, filosofo ebreo di lingua greca vissuto ad Alessandria nel primo secolo, «poneva sullo stesso piano l’infanticidio e l’abbandono, descrivendo anche i metodi abitualmente usati per sopprimere un bambino: soffocamento o annegamento». In epoca medievale, «sia gli eretici che gli stranieri sono accusati nelle fonti contemporanee di rapire, uccidere, violentare e addirittura mangiare i bambini: Anna Comnena affermava che i Normanni erano soliti arrostire i bambini sugli spiedi».In diverse parti della Grecia, in epoca micenea o minoica, e in epoche ancora posteriori, in Egina, Attica, Argolide, Melos e Creta, si usava seppellire i morti in casa, in vasi di terracotta interrati nel pavimento, specie nel caso dei fanciulli, «forse per tenere gli amati resti più vicini a sé, o forse sperando che l’anima si reincarnasse ancora». In alcune zone dell’India, continua Pavanetto, questa pratica funebre riguardava soprattutto i bambini nati morti, seppelliti sotto la soglia di casa «sperando appunto che il fanciullo rinascesse in famiglia, nuovamente». Tutte queste usanze «nascono proprio dalla credenza che i morti rinascano nei fanciulli: i Taolnla, indiani, quando nasce un bambino cercano di accertare quale dei loro antenati ha fatto ritorno; così, appena nasce un bambino, subito ci si affanna nel cercare qualche somiglianza: la mamma, il papà, lo zio, i nonni, i bisnonni». In pratica, presso quella popolazione, l’idea è che il bambino venga da un “al di là” sconosciuto e misterioso, e sia dunque portatore di qualcosa di antico e misterioso, che in lui si rivela.«Quando il bambino nasce morto – racconta Lara Pavanetto – la sua non presenza è ancora più misteriosa: gli Inuit credono che le anime dei bambini, specie di quelli nati morti, possano rendere grandi servigi ai cacciatori, sempre in pericolo di morte loro stessi». Così, proprio «per assicurarsi il loro aiuto spirituale», gli Inuit «non esitavano ad uccidere un bambino». Ma il delitto doveva rimanere segreto, facendo in modo di nascondere la vittima perché nessuno sapesse dell’infanticidio. «Così, dopo aver messo al sicuro il cadaverino, lo si faceva seccare per poi metterlo in un sacchetto che il cacciatore portava con sé quando andava in mare con la sua canoa». Lo spirito del fanciullo, avendo la vista molto acuta, la “vista dei morti”, lo avrebbe aiutato a trovare la preda e dirigere la sua lancia per non fallire un colpo. «I morti bambini aiutano: nella caccia, nella guerra». Lo confermano i Batak dell’isola di Sumatra, che avevano «bisogno proprio degli spiriti dei fanciulli, perché li precedano nei combattimenti, spianando loro la strada dagli spiriti del nemico».Il minore, aggiunge Pavanetto, in quel caso veniva appositamente “comprato” o rapito, trascinato nella foresta lontano dal villaggio e seppellito vivo, in piedi, lasciandogli fuori solo la testa. «Per quattro giorni lo nutrivano solo con riso condito con pepe e sale, per aumentarne la sete, mentre gli chiedevano continuamente se voleva benedirli e aiutarli in guerra. Il quarto giorno gli uomini più importanti del villaggio si radunavano attorno a lui e cercavano di estorcergli la promessa di benedizione e aiuto». Appena la vittima cedeva, promettendo che il suo spirito li avrebbe protetti, «l’uomo che gli stava alle spalle gli rovesciava la testa all’indietro e gli versava piombo fuso in bocca: così il fanciullo non poteva più rimangiarsi la promessa fatta». Grazie a una morte così tremenda, lo spirito del fanciullo «diventava un demone maligno». Essendo legato alla promessa di non nuocere ai suoi assassini, avrebbe riversato la sua vendetta soltanto sul nemico. «E perché la vedetta fosse ancora più efficace, estraevano dal corpo del fanciullo delle parti del cervello, di cuore e di fegato, e con questi macabri ingredienti preparavano un unguento che poi introducevano in una bacchetta magica che era portata in battaglia alla testa delle truppe: così l’anima del fanciullo morto marciava alla loro testa contro il nemico».Bambini da uccidere, sacrificare, persino mangiare. Mentre spariscono ogni anno centinaia di minori, in parte forse destinati anche alla potentissima rete internazionale dei pedofili, una ricercatrice come Lara Pavanetto, a margine del suo libro “Streghe o vittime?” (Filippi editore), in una riflessione sul suo blog si sofferma sul sinistro mistero che nasconde il vero destino di tanti, troppi bambini, nella storia della nostra civiltà. «Di tutti i gruppi sociali che formavano le società del passato, i bambini sono quello più misterioso», scrive. «Raramente si vedono nei documenti, mai si sentono. Un misterioso silenzio circonda la moltitudine dei neonati, bambini e adolescenti che pure hanno vissuto. I resti fossili dei popoli antichi e medievali appartengono quasi totalmente ad adulti, i bambini sembrano non aver lasciato traccia alcuna. E’ difficile sapere qualcosa sulla vita dei bambini, ancora più difficile è conoscerne qualcosa riguardo la morte. Ma spesso morte e vita erano due facce della stessa medaglia, intimamente legate; soprattutto la morte dei bambini, fino ad oggi, è e rimane un tabù che nasconde molto».
-
Magaldi: gli Occhionero bruciati per imporre 007 infedeli?
Lo scandalo della cyber-security con l’arresto dei fratelli Occhionero? Fatto scoppiare ad arte, per imporre un nuovo super-controllore gradito a Renzi (e all’ultra-destra massonica cui il leader Pd guarderebbe) ma sgradito agli ambienti della massoneria internazionale progressista. E’ la tesi, dirompente, enunciata dal massone Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014 ma completamente oscurato dai grandi media, nonostante rivelasse – in modo del tutto inedito – i più segreti retroscena del “back office” del potere, consentendo una clamorosa rilettura dell’intera storia del ‘900, inclusa quella italiana, mettendo in luce il ruolo del “convitato di pietra”, la massoneria, nella sua versione apolide, quella delle 36 Ur-Lodges che reggerebbero i grandi giochi mondiali. «Ho più volte offerto di esibire prove concrete, un dossier di 6.000 pagine – protesta Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio” – ma nessuno si è finora azzardato a smentirmi». Contro la “congiura del silenzio”, Magaldi ora interviene anche sull’ultimo caso di cronaca, quello dei fratelli Occhionero, indicando una regia interamente massonica dietro alla vicenda. Nomi eccellenti? Mario Draghi, Marco Carrai, Anna Maria Tarantola, Mario Monti. E l’onnipresente, ma invisibile, Michael Ledeen.«Giulio e Francesca Romana Occhionero hanno agito in piena sintonia e reciproca consapevolezza di quello che ciascuno faceva», dichiara Magaldi ad “Affari Italiani”. I due «sono stati coperti e protetti, per anni, accumulando molti dati sensibili a favore di chi li proteggeva e ispirava». Avrebbero accumulato, per conto terzi, «una mole infinitamente più grande di dati rispetto a quella sinora scoperta dagli investigatori». Per Magaldi, Giulio Occhionero «ambiva a far parte di una specifica Ur-Lodge», una superloggia sovranazionale, la “White Eagle”, «operante principalmente tra Usa, Regno Unito, Malta e il Medio Oriente». Della “White Eagle”, dice ancora Magaldi, fa parte Ledeen, il politologo statunitense la cui storia si è intrecciata più volte con quella italiana, anche sul caso Moro. Un altro studioso di formazione massonica, Gianfranco Carpeoro, nel libro “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione-UnoEditori) collega Ledeen anche a Licio Gelli e all’omicidio del leader socialista svedese Olof Palme, attribuendo a Ledeen anche la militanza nel B’nai B’rith, la super-massoneria israeliana controllata dal Mossad. Ma che c’entra, tutto questo, con il caso dei due italiani accusati di cyber-spionaggio?«Al fratello Occhionero – spiega Magaldi, sempre intervistato da “Affari Italiani” – stava stretta l’appartenenza ad una loggia, la “Paolo Ungari-Nicola Ricciotti Pensiero e Azione” all’Oriente di Roma, che fa parte di una obbedienza ordinaria e nazionale come il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani». Per Magaldi, il Goi sarebbe «una di quelle entità massoniche ormai in stato di declino e di relativa marginalità, rispetto a quei circuiti delle superlogge che ho iniziato a descrivere nel libro “Massoni”», di cui sta per uscire il sequel, intitolato “Globalizzazione e Massoneria”. In realtà, aggiunge Magaldi, Giulio Occhionero e la sorella Francesca Romana «coltivavano l’ambizione di essere ammessi a una specifica superloggia sovranazionale, la “White Eagle”». Per questo, «hanno agito su commissione di personaggi collegati come affiliati o come ‘compagni di strada/aspiranti affiliati’ di questa Ur-Lodge». Chiarisce Magaldi: «La massoneria sempre meno rilevante del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani c’entra poco, con questa intricata vicenda». Lo “spionaggio” ai danni di alcuni dignitari del Goi «era soprattutto un’esigenza personalistica di Giulio Occhionero, qualcosa di irrilevante per i suoi mandanti in ‘super-grembiulino’».Diverso invece il caso della “sorveglianza” del gran maestro del Goi, Stefano Bisi, che per Magaldi «va ricondotta allo spionaggio sul fratello Mario Draghi (mi dicono avvenuta anche su altre utenze rispetto a quelle sin qui individuate dagli investigatori), di cui Bisi è in qualche modo un servizievole esecutore per questioni massoniche di natura locale». Servizievole esecutore? Magaldi afferma che il ruolo di Bisi risale «ai tempi del ‘groviglio armonioso’ legato al Monte dei Paschi di Siena, allorché Draghi, come governatore di Bankitalia, non vigilò adeguatamente su alcune condotte del management della banca senese». E Bisi, come massone e giornalista (caporedattore e poi vicedirettore del “Corriere di Siena”, testata influente nella città toscana, «aveva le mani in pasta in diverse questioni Mps, ispirando la sua azione di concerto con il fratello Draghi e con la sorella libera muratrice Anna Maria Tarantola, capo della Vigilanza di Bankitalia, la quale, in virtù della sua clamorosa ‘mancata vigilanza’ sulle questioni più scabrose in capo a Mps, fu premiata dal massone Mario Monti con la nomina a presidente Rai nel 2012».Ma se questi sono piccoli risvolti italiani, continua Magaldi, «la massoneria che invece c’entra molto, con tutto questo affaire del cyber-spionaggio imputato ai fratelli Occhionero, è quella della Ur-Lodge sovranazionale neoaristocratica “White Eagle”». Chi potrebbe essere il committente del cyberspionaggio? «Se dal nome della superloggia sovranazionale coinvolta andiamo nel particolare dei personaggi che hanno fatto da tramite con Giulio e Francesca Romana Occhionero, la questione si fa clamorosa», sostiene Magaldi. Che aggiunge: «Uno dei personaggi che consiglio agli inquirenti di ascoltare con attenzione su questa vicenda è il massone conservatore e reazionario Micheal Ledeen, appunto affiliato di peso alla “White Eagle”». Un altro personaggio che secondo Magaldi «varrebbe la pena sentire come ‘persona informata dei fatti’ è Marco Carrai, wannabe supermassone, con specifica propensione proprio verso la “White Eagle”, come il suo caro amico Matteo Renzi». Nel lessico libero-muratorio, il “wannabe” è colui che chiede di essere accolto, in questo caso in una superloggia internazionale.Quale potrebbe essere l’obiettivo di questa attività di spionaggio? «Qualcuno, per anni, ha raccolto e utilizzato le informazioni sensibili che i fratelli Occhionero gli hanno passato, coprendone e proteggendone in vario modo le attività», sostiene Magaldi, che svela l’identità delle sue fonti riservate: si tratta di «cari e fraterni amici in capo a importanti strutture di intelligence militare e civile di area euro-atlantica». Queste fonti, continua Magaldi, gli hanno rivelato che «da qualche tempo, Giulio e Francesca Romana Occhionero erano diventati ‘sacrificabili’ per ottenere, cinicamente, attraverso uno scandalo fatto scoppiare ad arte sulla loro vicenda, una ristrutturazione della cybersecurity italiana a livello nazionale». Una ristrutturazione che, «sin qui, non si era potuta realizzare», e che «avrebbe potuto portare al suo vertice una persona gradita a Matteo Renzi, ma sgradita a diversi ambienti massonico-progressisti dell’intelligence italiana e statunitense, con cui quella italiana tradizionalmente collabora in modo privilegiato».Lo stesso Magaldi ha più volte fatto riferimento alla “speciale protezione” di cui avrebbe goduto il nostro paese, specie negli ultimi anni, in cui l’opinione pubblica europea è stata scossa dai devastanti attentati che hanno colpito la Francia. E nel suo libro, Magaldi sottolinea il ruolo decisivo di un super-massone di altissimo rango, come il sociologo Arthur Schlesinger Jr., collaboratore strategico della Casa Bianca, cui l’autore attribuisce un ruolo-chiave, negli anni ‘60 e ‘70, nel tentativo (riuscito) di sventare i tre diversi colpi di Stato che avrebbero posto fine alla democrazia italiana. Anche per questo, probabilmente, Magaldi invita a non sottovalutare i possibili retroscena del cyber-spionaggio, settore delicatissimo da cui dipende, davvero, la sicurezza nazionale, specie in tempi come questi, gremiti di sanguinosi attentati palesemente “inquinati” da settori deviati dell’intelligence. Attraverso i suoi contatti con i «circuiti liberomuratori progressisti sovranazionali», Gioele Magaldi dichiara di impegnarsi a vigilare «affinché nessuno strumentalizzi questo scandalo per far conferire ad ‘amici degli amici’ incarichi tali da mettere in pericolo proprio quella sicurezza nazionale informatica italiana che si pretenderebbe di voler tutelare».Lo scandalo della cyber-security con l’arresto dei fratelli Occhionero? Fatto scoppiare ad arte, per imporre un nuovo super-controllore gradito a Renzi (e all’ultra-destra massonica cui il leader Pd guarderebbe) ma sgradito agli ambienti della massoneria internazionale progressista. E’ la tesi, dirompente, enunciata dal massone Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014 ma completamente oscurato dai grandi media, nonostante rivelasse – in modo del tutto inedito – i più segreti retroscena del “back office” del potere, consentendo una clamorosa rilettura dell’intera storia del ‘900, inclusa quella italiana, mettendo in luce il ruolo del “convitato di pietra”, la massoneria, nella sua versione apolide, quella delle 36 Ur-Lodges che reggerebbero i grandi giochi mondiali. «Ho più volte offerto di esibire prove concrete, un dossier di 6.000 pagine – protesta Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio” – ma nessuno si è finora azzardato a smentirmi». Contro la “congiura del silenzio”, Magaldi ora interviene anche sull’ultimo caso di cronaca, quello dei fratelli Occhionero, indicando una regia interamente massonica dietro alla vicenda. Nomi eccellenti? Mario Draghi, Marco Carrai, Anna Maria Tarantola, Mario Monti. E l’onnipresente, ma invisibile, Michael Ledeen.
-
Moro ucciso da Gladio, per sabotare il socialismo in Europa
Cossiga è stato colui che ha lavorato per i registi di 40 anni di storia italiana. Ha sempre lavorato con copertura della massoneria inglese, però si è messo al servizio dell’operazione più vergognosa (non tanto nello scopo, ma ma nel modo) che sia stata fatta nell’ambito dell’intelligence sul territorio italiano: l’operazione Stay Behind, altrimenti detta Gladio. E poi è rimasto prigioniero, di questa cosa. Tenete presente che la vera responsabile della morte di Moro è la Stay Behind, cioè Gladio. Questa è una cosa che non ha detto nessuno, finora, e che è vera. E’ la cricca costituita da Cossiga, Gelli, Santovito. Non scordiamoci che Gelli partecipava alle riunioni, quand’è stato rapito Moro. La cricca – Gelli, Santovito, Michael Ledeen – che è la regia dell’operazione Stay Behind, è quella che ha deciso le cose più raccapriccianti della strategia della tensione. E’ una pagina vergognosa della storia italiana, della quale Cossiga – che ho conosciuto ed era una persona amabile, per certi aspetti – è rimasto prigioniero, tutta la vita. Ha avuto il rimorso di Moro, e lo ha manifestato in tutti i modi, ma nello stesso tempo sapeva di esser stato parte di quella regia, e di tutta una serie di regie.Purtroppo, la Stay Behind ha tanti morti sulla coscienza, tanti attentati. Ed è una cosa in cui la massoneria razionaria ha avuto parte, non solo tramite la figura di Gelli, ma anche tramite una serie di figure di raccordo, compreso Michael Ledeen, che è massone ma anche Ur-massone, perché fa parte di una Ur-Lodge; è massone del B’nai B’rith, la massoneria ebraica, e faceva anche parte di una Ur-Lodge. Perché, a un certo punto, della strategia della tensione non c’è stato più bisogno? Perché hanno praticamente smantellato la possibilità, per l’Europa, di essere socialista, progressista. Hanno ammazzato Olof Palme, hanno fatto fuori Craxi, hanno segato le gambe a Mitterrand: è stata una strategia complessa, che ha portato a determinare l’attuale quadro politico – molto stabile, peraltro. Hanno sabotato il socialismo. I socialisti di adesso sono solo fantocci, come Hollande. Il socialismo era una sorta di tutela di ogni individuo. Qual è stata la risposta del potere, al socialismo? Creare al suo interno il comunismo: perché il comunismo non tutela l’individuo, ma le masse. E le masse fanno sempre comodo, al potere: quando l’invididuo viene ridotto a massa, il potere festeggia. Che ce lo riduca il capitalismo o ce lo riduca il comunismo, è uguale.L’unica ideologia tanto laica da evitare questo esito era il socialismo, però ormai l’hanno disgregato dappertutto, riducendolo a simulacro. Il socialismo è la possibilità di ogni individuo di far valere i suoi diritti, e di avere dei diritti. Oggi il potere fa due cose: molti diritti te li toglie, e quelli che ti lascia ti invita a non esercitarli, li esercita lui per te. Il socialismo era fondato sulla tutela individuale. Quando poi muore il socialismo utopistico di Produhon, Leblanc, e nasce il socialismo materialista che si allinea con il capitalismo nel considerare gli individui “massa”, già lì si perde l’identità originaria. Il socialismo è un sistema per il quale ogni uomo ha diritto a lottare per la sua felicità, per la sua realizzazione. Non è un mettere tutti alla pari obbligatoriamente, è far partire tutti alla pari. Certo che poi non si arriva, alla pari: c’è chi arriva più avanti, chi resta più indietro; però la partenza dev’essere alla pari. E in questa società la partenza non è alla pari.(Gianfranco Carpeoro, dichirazioni rilasciate durante la diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights” il 15 gennaio 2017, su YouTube).Cossiga è stato colui che ha lavorato per i registi di 40 anni di storia italiana. Ha sempre lavorato con copertura della massoneria inglese, però si è messo al servizio dell’operazione più vergognosa (non tanto nello scopo, ma nel modo) che sia stata fatta nell’ambito dell’intelligence sul territorio italiano: l’operazione Stay Behind, altrimenti detta Gladio. E poi è rimasto prigioniero, di questa cosa. Tenete presente che la vera responsabile della morte di Moro è la Stay Behind, cioè Gladio. Questa è una cosa che non ha detto nessuno, finora, e che è vera. E’ la cricca costituita da Cossiga, Gelli, Santovito. Non scordiamoci che Gelli partecipava alle riunioni, quand’è stato rapito Moro. La cricca – Gelli, Santovito, Michael Ledeen – che è la regia dell’operazione Stay Behind, è quella che ha deciso le cose più raccapriccianti della strategia della tensione. E’ una pagina vergognosa della storia italiana, della quale Cossiga – che ho conosciuto ed era una persona amabile, per certi aspetti – è rimasto prigioniero, tutta la vita. Ha avuto il rimorso di Moro, e lo ha manifestato in tutti i modi, ma nello stesso tempo sapeva di esser stato parte di quella regia, e di tutta una serie di regie.
-
Zero Anthropology: l’Impero sta cominciando a perdere
Quello che si è appena concluso è stato probabilmente «l’anno più memorabile degli ultimi decenni, un accumulo incessante di punti di svolta e di eventi significativi». La morte di Fidel Castro, la riconquista di Aleppo in Siria, la Brexit che certifica il “coma profondo” dell’Ue, la sconfitta di Hillary Clinton, la non-colonizzazione definitiva della Libia. Per il blog internazionale “Zero Anthropology”, «abbiamo cominciato ad assistere alla fine del globalismo, all’ascesa della de-globalizzazione e al tramonto dell’imperialismo neoliberale». Ovvero: «Non solo le nazioni tornano ad avere importanza, ma si riaffermano anche le storie locali e le stesse forze regionali». Qualcuno ha scritto che, con la dipartita di Fidel, è finito davvero il ‘900. Per “Zero Anthropology” se n’è andata «una figura monumentale nella storia del mondo, un gigante dei Caraibi che ha segnato gli eventi in tutto il mondo per decenni». Sopravvissuto a 638 tentativi di assassinio da parte degli Stati Uniti, nel corso di 11 diverse amministrazioni presidenziali, il combattente Castro «è morto per cause naturali, non imperiali».Un uomo «di enorme intelligenza, in confronto al quale la maggior parte dei nostri leader sembrano dei bambini sciocchi». Si è distinto come «il padre della decolonizzazione e dell’anti-imperialismo». Resta «un’eredità vivente, un punto di riferimento ineludibile», scrive “Zero Anthropology” in un post tradotto da “Voci dall’Estero”. Quindi la vittoria contro l’Isis ad Aleppo: «Finalmente la Siria ha fatto un progresso enorme nella bonifica del suo territorio, in un importante punto di svolta della lunga guerra per procura finalizzata al cambio di regime combattuta dagli Stati Uniti e dai loro alleati del Golfo. Liberati dalla barbarie assoluta delle forze terroristiche che li hanno tenuti in ostaggio nella loro città per anni, gli abitanti di Aleppo sono usciti in massa per festeggiare la vittoria del loro governo nazionale, e anche per festeggiare il Natale. La Siria così ha testimoniato coi fatti che non avrebbe accettato di essere ridotta alla terra di nessuno di un piccolo club di stati imperiali che si autodefinisce “comunità internazionale”».I funzionari degli Stati Uniti, che avevano affermato che “Assad se ne deve andare” e che “i giorni di Assad sono contati” ora stanno facendo le valigie e preparandosi a partire, nei loro ultimi giorni al potere, «cacciati da milioni di persone che hanno preso parte ad uno sconvolgimento politico epocale negli stessi Stati Uniti», continua “Zero Anthropology”. Parla da sola, infatti, «l’eccezionale sconfitta di Hillary Clinton, e con lei della politica dell’imperialismo liberale, del potere dell’industria della pubblicità, delle pubbliche relazioni, della propaganda, della classe istituzionalizzata degli esperti e, soprattutto, dei mezzi di comunicazione di massa». I perdenti, continua il blog, stanno ancora cercando disperatamente di gestire questa sconfitta, cercando di trasformarla in qualcos’altro. «Il loro metodo è il solito, quello che li ha portati a una tale meritata sconfitta: la negazione di ogni responsabilità per le conseguenze delle loro politiche, e una negazione della realtà».Per “Zero Anthropology” il neoliberalismo utopistico, con le sue illusioni sostenute dalle lobby e dai think tank grazie a massicce infusioni di denaro, ha oltrepassato il suo apice e ora è rimasto nudo al freddo, a mormorare confusamente: “La Russia, è stata la Russia…è stato Putin”. Tutto questo è stato preceduto da un’avvisaglia altrettanto clamorosa, la Brexit: «Uno dei motori della globalizzazione neoliberalista che al suo interno ha determinato delle condizioni di integrazione disuguali, l’Unione Europea, continua ad arrancare». Il voto pro Brexit nel Brexit nel Regno Unito contribuisce a classificare il 2016 come «un anno cruciale per la storia europea», insieme anche al referendum italiano del 4 dicembre, con la vittoria del No «con margini che nessuno aveva previsto». Gli eventi dall’altra parte dell’Atlantico, poi, «non hanno fatto che rafforzare la causa dell’autodeterminazione nazionale».Secondo “Zero Anthropology”, inoltre, il 2016 «ha finalmente visto il ritorno della classe operaia, riammessa nel vocabolario politico dallo stesso mainstream che per decenni ha cercato di farla sparire, insieme con il concetto di imperialismo». Una modalità di potere che, in Libia, secondo il blog si è impantanata: il paese di Gheddafi «ha continuato ad essere una zona di devastazione imperialista e di caos», eppure «nel 2016 il piano che prevedeva la trasformazione del paese in un nuovo protettorato delle Nazioni Unite è andato in pezzi». Da un lato, i libici «si sono rifiutati di cedere le redini del proprio futuro», e gli alleati della regione «si affermano come mediatori di potere più significativi rispetto agli Stati Uniti, lontani e ormai indeboliti».Quello che si è appena concluso è stato probabilmente «l’anno più memorabile degli ultimi decenni, un accumulo incessante di punti di svolta e di eventi significativi». La morte di Fidel Castro, la riconquista di Aleppo in Siria, la Brexit che certifica il “coma profondo” dell’Ue, la sconfitta di Hillary Clinton, la non-colonizzazione definitiva della Libia. Per il blog internazionale “Zero Anthropology”, «abbiamo cominciato ad assistere alla fine del globalismo, all’ascesa della de-globalizzazione e al tramonto dell’imperialismo neoliberale». Ovvero: «Non solo le nazioni tornano ad avere importanza, ma si riaffermano anche le storie locali e le stesse forze regionali». Qualcuno ha scritto che, con la dipartita di Fidel, è finito davvero il ‘900. Per “Zero Anthropology” se n’è andata «una figura monumentale nella storia del mondo, un gigante dei Caraibi che ha segnato gli eventi in tutto il mondo per decenni». Sopravvissuto a 638 tentativi di assassinio da parte degli Stati Uniti, nel corso di 11 diverse amministrazioni presidenziali, il combattente Castro «è morto per cause naturali, non imperiali».
-
Lo squallore di Obama, il bugiardo più pericoloso del mondo
Eh sì, ora potete verificare di persona che tipo di persona sia Barack Obama. E soprattutto potete rendervi conto di quanto importante e destabilizzante sia stata la vittoria di Trump, che ha posto fine a un lunghissimo periodo di potere esercitato da un gruppo élitario – neoconservatore ma non solo – che, ha dominato Washington, rovinando sia gli Usa sia il mondo. Circa tre settimane fa in un’intervista al blog di Beppe Grillo affermavo che l’establishment di Obama, che aveva le sue radici strategiche e ideologiche nell’amministrazione Bush, avrebbe fatto di tutto per mettere in difficoltà o addirittura impedire l’elezione di Trump. Avete visto cos’è successo negli Stati Uniti: manifestazioni di piazza, riconteggio dei voti in alcuni Stati, pressioni senza precedenti sui Grandi Elettori affinché rinnegassero il voto popolare. Tutto inutile, per fortuna. Per fermare Trump restano solo due modi: un colpo di stato parlamentare o l’eliminazione fisica. Entrambi non ipotizzabili, al momento.La reazione scomposta di Obama in questi giorni, però, non rivela solo la stizza di un presidente uscente e la scarsa caratura di un uomo ampiamente sopravvalutato, evidenzia soprattutto la frustrazione di un clan che vede svanire il perseguimento dei propri obiettivi strategici. Infatti: gli Usa hanno perso la guerra in Siria, combattuta la fianco dei peggiori gruppi fondamentalisti. Nessun rappresentante dell’establishment uscente è stato eletto nei posti chiave dell’amministrazione Trump. La globalizzazione e il continuo smantellamento delle sovranità nazionali non sono più garantite, anzi rischiano di essere fermate da Trump che crede nei valori e negli interessi nazionali. L’obiettivo di conquistare il controllo dell’Eurasia, facendo cadere Putin, sostituendolo con un presidente filomaericano, è fallito; Putin oggi è più forte che mai. Persino Israele, che si è subito allineata a Trump, è diventata ostile. Il via libera alla Risoluzione Onu rappresenta un’inversione a “U” clamorosa e dai chiari intenti punitivi.Le ultime decisioni dell’amministrazione Obama segnalano il tentativo di far deragliare il nuovo corso di Trump o perlomeno di metterlo in fortissima difficoltà sia con Israele, sia, soprattutto, con la Russia. La speranza segreta della Casa Bianca era che Putin potesse cedere a una reazione impulsiva, tale da mettere davvero in imbarazzo Trump. E invece il presidente russo ha tenuto i nervi a posto. Anzi ha dato a Obama l’ennesima lezione di stile, rifiutandosi di espellere a propria volta 35 diplomatici americani. Le nuove sanzioni e l’espulsione di 35 diplomatici russi sono comunque un colpo basso, tale da provocare tensioni con il Congresso, ma non così gravi da far desistere Trump dall’avviare un nuovo corso con Putin. Quanto alle accuse di ingerenze russe nel voto americano sono risibili, pretestuose. Quel che conta, alla fine di un incredibile 2016, è la sostanza. Ovvero: il clan che ha governato l’America per almeno 16 anni lascia per la prima volta il potere. E chi si è opposto, dentro e fuori gli Usa, a politiche egemoniche autenticamente neoimperiali trova motivi di speranza. Ed è un’ottima notizia per il mondo.(Marcello Foa, “Che squallore Obama! Ora capite che uomo è (e perché Trump fa tanta paura)”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 30 dicembre 2016).Eh sì, ora potete verificare di persona che tipo di persona sia Barack Obama. E soprattutto potete rendervi conto di quanto importante e destabilizzante sia stata la vittoria di Trump, che ha posto fine a un lunghissimo periodo di potere esercitato da un gruppo elitario – neoconservatore ma non solo – che, ha dominato Washington, rovinando sia gli Usa sia il mondo. Circa tre settimane fa in un’intervista al blog di Beppe Grillo affermavo che l’establishment di Obama, che aveva le sue radici strategiche e ideologiche nell’amministrazione Bush, avrebbe fatto di tutto per mettere in difficoltà o addirittura impedire l’elezione di Trump. Avete visto cos’è successo negli Stati Uniti: manifestazioni di piazza, riconteggio dei voti in alcuni Stati, pressioni senza precedenti sui Grandi Elettori affinché rinnegassero il voto popolare. Tutto inutile, per fortuna. Per fermare Trump restano solo due modi: un colpo di stato parlamentare o l’eliminazione fisica. Entrambi non ipotizzabili, al momento.
-
Avevamo Olof Palme, poi sull’Europa hanno spento la luce
Nessuno sceglie, nessuno parla, nessuno denuncia. Nessuno decide: come se non fosse tempo di determinazioni importanti. Ciascuno, nel frattempo, gioca la sua partita, nelle retrovie, lontanissimo dal match decisivo. Gentiloni, Renzi, Grillo e tutti gli altri. Capitani e comparse, chi è di scena? Di chi è il turno? Beppe Sala? Virginia Raggi? I padri nobili del referendum che doveva salvare l’Italia o affossarla? Dopo esser riuscito solo in parte a esaudire i desideri del grande potere, fingendo di risollevare le sorti del paese, il piazzista Renzi prova a stilare il calendario del suo glorioso ritorno – ma senza smettere di scherzare, senza nemmeno provare a mettersi dalla parte giusta, quella degli italiani stritolati dalla morsa dell’oligarchia che ha affidato l’Europa (e l’Italia in paticolare) alle amorevoli cure della Bce e dalla Commissione Europea. Al governo non ci sono politici: c’è il Fiscal Compact, c’è il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione da Mario Monti con il voto bipartisan di Berlusconi e del silente Bersani, l’uomo secondo cui, misteriosamente, il Pd sarebbe qualcosa di diverso dal supremo potere cui obbedisce la nomenklatura di Bruxelles che taglia sovranità e democrazia, rottama e privatizza gli Stati, riduce i cittadini a sudditi.Gli italiani votano No al referendum, e prontamente viene sistemato a Palazzo Chigi l’ectoplasma del governo appena battuto, inutilmente bocciato dagli elettori. Nel frattempo un calendario provvidenziale scatena le tempestive bufere giudiziarie che scuotono le due città più importanti, dirompenti e chiassose, quasi come gli attentati dinamitardi che insanguinano la tenebrosa Turchia di Erdogan, sponsor Nato dell’Isis, o le bombe russe e siriane cadute su Aleppo, dove giornali e televisioni scoprono che una guerra devastante si è trasformata in un martirio di popolazioni, ma si guardano bene dal ricordare al pubblico chi l’ha iniziata, quella guerra, chi l’ha finanziata e armata, chi – dalla Casa Bianca – l’ha protetta con la menzogna quotidiana, con l’intelligence e i missili, con la disinformazione più cieca. L’Italia (governo) ha tifato per Hillary e Obama, ha fatto la òla per il Ttip, ha approvato le sanzioni alla Russia, ha belato ininterrottamente a Bruxelles, ha lasciato che la Germania macellasse la Grecia. E alla fine ha provato persino a recitare il copione della diversità, invocando – ma solo per finta, per scherzo – un allenamento dell’austerity, cioè della norma fisiologica adottata dal regime Ue per depotenziare l’Europa, riducendola a comparsa internazionale, nel momento in cui – caduto il Muro di Berlino – poteva finalmente giocare la protagonista.Il peccato originale? Fu commesso trent’anni fa, il 1° marzo 1986, con l’assassinio di Olof Palme in Svezia. Lo scrive Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. Nella sua ricostruzione, Palme fu ucciso da un complotto rimasto oscuro, del quale però alcune tracce – anche scritte – portano a un certo Licio Gelli e al suo “principale”, il politologo americano Michael Ledeen, ancora in circolazione e più che mai influente, anche nel retrobottega del governo Renzi. Olof Palme, leader socialdemocratico, era il padre del moderno welfare europeo, il massimo profeta della filosofia politica dell’interesse pubblico, la promozione del benessere diffuso, l’estensione dei diritti, la democrazia avanzata in cui si coniugano libertà e socialismo, lavoro e dignità, pari opportunità per tutti. Era il prototipo, Olof Palme, di un’Europa diversa: un’Europa amica, autorevole, giusta. Un’Europa che non abbiamo mai visto, che mai avrebbe sprofondato gli Stati nella catastrofe della crisi, lasciandoli in balìa di incursoni e predoni, con mano libera nei palazzi del potere locale grazie a una piccola casta di governatori asserviti, di vassalli obbedienti, di mediocri traditori travestiti da algidi burocrati o, all’occorrenza, da sulfurei masanielli dal roboante eloquio (ma dall’innocuo agire). L’infima Italia del 2016, il paese dove nessuno propone vere vie d’uscita, sembra la fotografia perfetta di questa Europa pericolosamente in avaria.Nessuno sceglie, nessuno parla, nessuno denuncia. Nessuno decide: come se non fosse tempo di determinazioni importanti. Ciascuno, nel frattempo, gioca la sua partita, nelle retrovie, lontanissimo dal match decisivo. Gentiloni, Renzi, Grillo e tutti gli altri. Capitani e comparse, chi è di scena? Beppe Sala? Virginia Raggi? I padri nobili del referendum che doveva salvare l’Italia o affossarla? Dopo esser riuscito solo in parte a esaudire i desideri del grande potere, fingendo di risollevare le sorti del paese, il piazzista Renzi prova a stilare il calendario del suo glorioso ritorno – ma senza smettere di scherzare, senza nemmeno provare a mettersi dalla parte giusta, quella degli italiani stritolati dalla morsa dell’oligarchia che ha affidato l’Europa (e l’Italia in particolare) alle amorevoli cure della Bce e dalla Commissione Europea. Al governo non ci sono più politici: c’è il Fiscal Compact, ormai; c’è il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione da Mario Monti con il voto bipartisan di Berlusconi e del silente Bersani, l’uomo secondo cui, misteriosamente, il Pd sarebbe qualcosa di diverso dal supremo potere cui obbedisce la nomenklatura di Bruxelles che taglia sovranità e democrazia, rottama e privatizza gli Stati, riduce i cittadini a sudditi.
-
Berlino: altro sangue, sull’altare di un potere nel panico
Ankara, Zurigo, Berlino. Il più grosso è ovviamente a Berlino, 9 morti una cinquantina di feriti – modus operandi simile all’attentato di Nizza del 14 luglio; è la prima volta che un vero attentato “alla francese” colpisce la Germania. La Francia ha ed ha avuto le mani in pasta in Siria, fa i giochi sporchi da anni; Berlino è rimasta neutrale. A Zurigo, uno sconosciuto ha sparato in un centro islamico. Ad Ankara, ucciso da un poliziotto l’ambasciatore russo. E’ troppo presto per dire qualcosa di più preciso. L’assassinio di Ankara è stato rivendicato, più precisamente esaltato, dall’Is e da Al-Qaeda, certo, come no: attraverso il “Site” di Rita Katz. E’ un indizio abbastanza preciso. Anche Obama, anche al Dipartimento di Stato, e alla Cia, hanno ottime ragioni per esaltare l’omicidio, prima di dover traslocare. A che scopo?, mi chiede qualcuno. Che domanda: uno degli scopi della strategia della tensione, l’ondata sincrona di attentati l’ha già ottenuto dentro di voi: vulnerabili, esposti ad un’aggressione che può colpirvi in ogni momento, perché il nemico, musulmano, è folle.Lo è, infatti; solo pensate che è quel nemico musulmano che vi hanno imposto di accettare a centinaia di migliaia, masse troppo subitanee che manca il tempo di integrare, giovani maschi per lo più, per cui le fanciulle europee sono una provocazione sessuale; quanti di loro sono criminali e pregiudicati? Jihadisti? Ma se provate a fare questa domanda siete razzisti, egoisti, privi di carità. La centrale che vi obbliga ad accoglierli tutti è la stessa che vuol farvi paura – e giustamente – per questa invasione inassimilabile. Contraddizione? Ma questo è uno dei suoi strumenti più preziosi nella strategia della tensione, vi lacera fra due pulsioni opposte, due discrasie cognitive, fra senso di colpa e urto irrazionale di rabbia, voglia di uccidere. E’ un successo. Perché la strategia della tensione in Europa, in queste ore? Mentre Aleppo è liberata? Mentre Obama fa le valige? Putin, limpido, ha spiegato: «L’assassinio (dell’ambasciatore) è una provocazione mirante a impedire il miglioramento delle relazioni russo-turche, minare il processo di pace in Siria promosso da Russia, Turchia, Iran ed altri paesi interessati a risolvere il conflitto in Siria».Per noi europei, la strategia della tensione ha uno scopo quasi tradizionale: farci travolgere dal terrore che è dovunque, odiare i musulmani mentre ci obbligano ad accoglierli; significa che ci sentiamo insicuri – e perciò chiediamo un governo forte, autoritario, con una polizia che censuri i siti – non solo gli islamici, anche i nostri: ne va della nostra vita! Leggi speciali d’emergenza, legge marziale. O stringiamoci tutti sotto l’ombrello della Nato, che ci difende dai jihadisti… L’oligarchia di Bruxelles travolta dalle critiche e contestazioni, dal crescere del “populismo”, l’Unione Europea che vede incagliato il suo progetto sovrannazionale, può trovarvi il suo tornaconto: imporre ordine e disciplina, recuperare “autorità”. E’ presto per dirlo. Aspettiamo i media di domani, cosa dicono, quali ricette invocano, quale capo o “fratello” per l’emergenza, capace di calmare i nostri terrori: sono le parole d’ordine a cui ci faranno obbedire. Quale il prossimo “Je suis Charly”?(Maurizio Blondet, estratto da “State calmi, è strategia della tensione”, post pubblicato sul sito di Blondet il 19 dicembre 2016).Ankara, Zurigo, Berlino. Il più grosso è ovviamente a Berlino, 9 morti una cinquantina di feriti – modus operandi simile all’attentato di Nizza del 14 luglio; è la prima volta che un vero attentato “alla francese” colpisce la Germania. La Francia ha ed ha avuto le mani in pasta in Siria, fa i giochi sporchi da anni; Berlino è rimasta neutrale. A Zurigo, uno sconosciuto ha sparato in un centro islamico. Ad Ankara, ucciso da un poliziotto l’ambasciatore russo. E’ troppo presto per dire qualcosa di più preciso. L’assassinio di Ankara è stato rivendicato, più precisamente esaltato, dall’Is e da Al-Qaeda, certo, come no: attraverso il “Site” di Rita Katz. E’ un indizio abbastanza preciso. Anche Obama, anche al Dipartimento di Stato, e alla Cia, hanno ottime ragioni per esaltare l’omicidio, prima di dover traslocare. A che scopo?, mi chiede qualcuno. Che domanda: uno degli scopi della strategia della tensione, l’ondata sincrona di attentati l’ha già ottenuto dentro di voi: vulnerabili, esposti ad un’aggressione che può colpirvi in ogni momento, perché il nemico, musulmano, è folle.
-
McGovern: l’America fa paura, come la Germania nel 1933
Donald Trump dovrebbe “perdonare” gli americani per la loro ignoranza e condurre «un assalto frontale contro il “New York Times” e il “Wall Street Journal”, che ai cittadini hanno raccontato il contrario della verità». Se farà davvero un accordo strategico con Putin, il neopresidente «dimostrerà la sua serietà». Parola di Ray McGovern, ex dirigente della Cia. «Non sappiamo se Trump riuscirà a governare in modo indipendente dall’establishment: Jimmy Carter ci provò, ma non ci riuscì». L’unica buona notizia è che Hillary ha perso: «Si allontana così il rischio di una guerra nucleare», che McGovern – curatore del briefing quotidiano alla Casa Bianca dal 1963 fino al 1990 – giudicava concreto, con la Clinton al comando. Ma non c’è da stare allegri: «La situazione ricorda quella della Germania all’indomani dell’incendio del Reichstag nel 1933, che lanciò Hitler». Il problema? «Gli americani vivono sotto minaccia, dall’11 Settembre». Prima Bush, poi Obama, hanno calpestato la Costituzione in nome della sicurezza. E tutto, sulla base di rischi inventati di sana pianta, come le inesistenti armi di Saddam. Pessimo affare: l’America è nei guai, quindi anche il mondo. C’è solo da sperare che Trump sia sincero, e che non venga mangiato vivo dal super-potere.«Credo che a breve vedremo di che pasta è fatto, Donald Trump», dice McGovern a Giulietto Chiesa, in una video-intervista concessa a “Pandora Tv”. «A parire dall’11 settembre 2001 – dice – gli americani si sentono spaventati, in pericolo: ed è stato l’establishment ad alimentare queste paure». Ora tocca a Trump: riuscirà a non farsi spolpare subito da Wall Street e dal Pentagono? A quanto sembra, le aperture verso la Russia lo confermerebbero. Poi c’è il fronte interno: «Le elezioni si vincono e si perdono sulle questioni economiche». Ufficialmente, «il tasso di disoccupazione è tornato ai livelli di oltre dieci anni fa, ma le persone sono ancora senza lavoro, o costrette a fare due lavori». Trump ha intercettato il malumore della gente comune, che «si sente abbabndonata, non gli piace quello che ha fatto il governo e ha sentito di non contare nulla». Ma la propaganda di Trump – sessismo, razzismo – è stata violenta: «Quello che mi fa paura è che ci troviamo in una situazione non molto diversa da quella che si manifestò dopo l’incendio del Reichstag», dice McGovern. E le premesse per l’esasperazione popolare, aggiunge, portano la firma di Bush e Obama.A partire dall’11 Settembre, insiste Ray McGovern, negli Usa sta prendendo piede una reazione simile a quella della Germania alla vigilia sdel nazismo: «La gente normale è spaventata e crede che la Costituzione debba fare un passo indietro per lasciare spazio a “nuove leggi”: i tedeschi le chiamarono “leggi d’emergenza”, noi Patriot Act. Leggi che infrangono la Costituzione». Ci vogliono anni prima che la Carta stabilisca che sono incostituzionali, ma «nel frattempo, molta viene viene arrestata e incarcerata, illegalmente». Per esempio, il presidente Obama può ancora arrestare qualcuno senza neppure un processo e sbatterlo a Guantanamo, fintanto che è in corso la “guerra al terrorismo”. «Sarebbe legale? No. E’ stata varata, questa legge? No, ma è stata scritta. Quindi, potrebbe essere considerata legale». Nessuno è più libero di criticare il governo, insiste l’ex alto funzionario Cia. «E’ una cosa maledettamente seria. E’ sui libri, è scritta, e ha già un effetto deterrente su ciò che le persone fanno o dicono». Lo stesso Obama ha sorvolato ripetutamente la Costituzione: «Come la mettiamo coi i “presunti terroristi” che il presidente ha ordinato di uccidere in Afghanistan e in Pakistan? Alcuni di loro erano cittadini americani, sono stati privati della loro vita senza un regolare processo. Ma il ministro della giustizia di Obama, Eric Holder, diceva: no, noi non lo facciamo, il giusto processo, lo facciamo già qui alla Casa Bianca, senza bisogno di nessun tribunale».«La cosa più triste», aggiunge McGovern, è che negli Usa «la professione legale si comporta in modo vergognoso: approva la tortura». Tutto merito di «un pugno di avvocati», che hanno dato il loro ok nel silenzio generale dei colleghi, «tutti molto riluttanti, troppo impegnati col loro prossimo ricco contratto». Persino gli psicologi, «utilizzati per avallare le tesi di Bush, dissero che non c’erano state torture: avevano corrotto anche loro». Ma, in compenso, «l’ordine degli psicologi li radiò dall’albo». Lo fecero «perché vincolati alla stessa regola dei medici: non fare del male». McGovern rivendica la “pulizia” di interi settori dell’intelligence: «Sapevamo, anche prima della guerra in Iraq, che le prove delle armi di distruzione di massa di Al-Qaeda e Saddam Hussein erano solo vecchi stracci, cioè che non esistevano. Lo abbiamo fatto presente, ma il presidente voleva la sua guerra, e così è stato». E la stampa? Non pervenuta: si è allienata al potere. Da allora è diventata il megafono della Casa Bianca, prima sotto Bush e poi con Obama. «I media hanno raccontato agli americani che la Russia ha “invaso” la Crimea il 23 febbraio 2014, anziché dire la verità: e cioè che noi, gli Stati Uniti, il giorno prima avevamo fatto un colpo di Stato in Ucraina contro la Russia».Riuscirà Trump a imporre una narrazione veritiera degli eventi? Sarebbe bello, sospira McGovern, dopo che la Clinton ha definito “killer” un leader come Putin, sostenuto da oltre l’80% dei russi. «Credo che Trump ce la possa fare», dice l’ex dirigente Cia, ma dovrà dire ai grandi media: «Ci avete mentito, non ci avete riportato i fatti reali e i problemi dell’Europa». Trump ha l’opportunità di smentire il mainstream, facendo un accordo con Putin. Gli europei? Ne saranno disorientati: «La cattiva notizia, per loro, sarà che dovranno spendere di più per la loro difesa. Ma la buona notizia è che la gente si chiederà: perché?». Già: se la Russia non è più una minaccia, perché investire ancora nella Nato? Allora, dice McGovern, sulla stampa americana cominceremmo a leggere cose del tipo “ok, avevamo esagerato: è vero, non abbiamo più bisogno di incrementare la difesa”. «Se hai a che fare con un popolo che non è stato nutrito di informazioni corrette, devi cominciare a farlo. E Trump lo può fare». Funzionerebbe: «La stampa lo seguirà e dirà: ah è vero, la Russia non è poi così male. Putin? Sta parlando col nostro presidente, quindi non dev’essere così cattivo». Ma lo stesso McGovern è il primo a sapere che, prima, bisogna fare i conti con l’oste: «La stampa è controllata dalle mega-corporations che fanno soldi con l’industria delle armi».Donald Trump dovrebbe “perdonare” gli americani per la loro ignoranza e condurre «un assalto frontale contro il “New York Times” e il “Wall Street Journal”, che ai cittadini hanno raccontato il contrario della verità». Se farà davvero un accordo strategico con Putin, il neopresidente «dimostrerà la sua serietà». Parola di Ray McGovern, ex dirigente della Cia. «Non sappiamo se Trump riuscirà a governare in modo indipendente dall’establishment: Jimmy Carter ci provò, ma non ci riuscì». L’unica buona notizia è che Hillary ha perso: «Si allontana così il rischio di una guerra nucleare», che McGovern – curatore del briefing quotidiano alla Casa Bianca dal 1963 fino al 1990 – giudicava concreto, con la Clinton al comando. Ma non c’è da stare allegri: «La situazione ricorda quella della Germania all’indomani dell’incendio del Reichstag nel 1933, che lanciò Hitler». Il problema? «Gli americani vivono sotto minaccia, dall’11 Settembre». Prima Bush, poi Obama, hanno calpestato la Costituzione in nome della sicurezza. E tutto, sulla base di rischi inventati di sana pianta, come le inesistenti armi di Saddam. Pessimo affare: l’America è nei guai, quindi anche il mondo. C’è solo da sperare che Trump sia sincero, e che non venga mangiato vivo dal super-potere.
-
Dezzani: Bergoglio scelto dal superclan Usa oggi perdente
Ratzinger “deposto” da un complotto gestito dai servizi segreti anglosassoni, con anche la collaborazione di Gianroberto Casaleggio. Obiettivo: insediare in Vaticano l’attuale pontefice “modernista”. Un piano del massimo potere, gestito da personaggi come George Soros e ora messo in pericolo dalla vittoria di Trump. Lo sostiene Federico Dezzani, che evoca “padrini occulti” dietro al pontificato di Bergoglio, di cui profetizza l’imminente fine. Nonostante il flop del Giubileo e «il sostanziale fallimento dell’Anno Santo», Papa Francesco oggi accelera la svolta modernista: crea nuovi cardinali a lui fedeli e concede a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere l’aborto. «Forse Bergoglio ha fretta, perché sa che il contesto internazionale che lo ha portato sul Soglio Petrino si è dissolto con l’elezione di Donald Trump», scrive Dezzani, secondo cui furono «l’amministrazione Obama e George Soros» a introdurre il gesuita argentino, «in forte odore di massoneria», dentro le Mura Leonine. Bergoglio? Sarebbe «la versione petrina di Barack Hussein Obama», in coerenza col “cesaropapismo”, grazie al quale il potere civile estende la propria competenza al campo religioso, così da plasmare la dottrina «secondo le esigenze del potere temporale».Una pratica bizantina, ancora viva nell’Occidente moderno? Senz’altro: «La Chiesa di Roma subisce, dalla notte dei tempi, gli influssi del mondo esterno: re francesi, imperatori tedeschi, generali corsi e dittatori italiani hanno sempre cercato di ritagliarsi una Chiesa su misura». Dopo il 1945, il Vaticano è stato «inglobato come il resto dell’Europa Occidentale nell’impero angloamericano», subendone l’influenza politica, economica e ideologica: «Quanto avviene alla Casa Bianca, presto o tardi, si ripercuote dentro le Mura Leonine». Se poi il potere temporale si sente particolarmente forte e ha fretta di imporre la propria agenda alla Chiesa cattolica, «indebolita da decenni di secolarizzazione della società e in preda ad una profonda crisi d’identità», a quel punto – sostiene Dezzani – spinge più a fondo la “modernizzazione” dello Stato pontificio «cosicché il Papa “si dimetta”, come un amministratore delegato qualsiasi, e gli azionisti di maggioranza possano nominare un nuovo “chief executive officer” della Chiesa cattolica apostolica romana, sensibile ai loro interessi».Ratzinger “licenziato” dalla Casa Bianca? «Durante la folle amministrazione di Barack Hussein Obama, periodo durante cui l’oligarchia euro-atlantica si è manifestata in tutte le sue forme, dal terrorismo islamico all’immigrazione selvaggia, dagli assalti finanziari alle guerre per procura alla Russia – continua Dezzani nel suo blog – abbiamo assistito a tutto: comprese le dimissioni di Benedetto XVI, le prime da oltre 600 anni (l’ultimo pontefice ad abdicare fu Gregorio XII nel 1415), e alla nascita di un ruolo, quello di “pontefix emeritus”, sinora mai attribuito ad un Vicario di Cristo vivente». L’interruzione del pontificato di Joseph Ratzinger, seguita dal conclave del marzo 2013 che elegge l’argentino Jorge Mario Bergoglio, è una vera e propria “rivoluzione”: «Ad un pontefice “conservatore” come Benedetto XVI ne succede uno “progressista” come Francesco, a un difensore dell’ortodossia cattolica succede un modernista che vuole “rinnovare” la dottrina millenaria della Chiesa». Non solo: «Ad un Papa che aveva ribadito l’inconciliabilità tra Chiesa Cattolica e massoneria ne subentra uno che è in fortissimo odore di libera muratoria».E ad un pontefice «sicuro che solo nella Chiesa di Cristo c’è la salvezza» segue «un paladino dell’ecumenismo», talmente ardito da dichiarare ad Eugenio Scalfari nel 2013: «Non esiste un Dio cattolico, esiste Dio». Per Dezzani, il fondatore della “Repubblica”, «ben introdotto negli ambienti “illuminati” nostrani ed internazionali», in effetti «è un’ottima cartina di tornasole per afferrare il mutamento in seno alla Chiesa», strettamente sorvegliato dall’élite di potere. Si passa dall’editoriale “Da Pacelli a Ratzinger, la lunga crisi della Chiesa” del maggio 2012, dove Scalfari ragiona a distanza sul pontificato “lezioso” di Ratzinger, rinfacciandogli una scarsa apertura alla modernità, a Lutero ed all’ecumenismo, al dialogo tête-à-tête del novembre 2016, dove Scalfari discetta amabilmente con Bergoglio di “meticciato universale”, «tema tanto caro alla massoneria», interprete del sincretismo culturale che è alla base della modernità stessa, alla cui creazione proprio il network libero-muratorio contribuì, a partire dal ‘700.Federico Dezzani si concentra su Bergoglio, che considera «la versione petrina di Barack Obama», al punto che «si potrebbe sostenere che sia stato il presidente americano ad installare il gesuita ai vertici della Chiesa»? Sarebbe un’affermazione «soltanto verosimile», precisa, visto che «sono gli stessi ambienti che hanno appoggiato Barack Obama (e che avevano investito tutto su Hillary Clinton nelle ultime elezioni) ad aver preparato il terreno su cui è germogliato il pontificato di Bergoglio». In altre parole, è il milieu «della finanza angloamericana, di George Soros e dell’establishment anglofono liberal». Se si riflette sugli ultimi tre anni di pontificato, continua Dezzani, l’azione del Papa sembra infatti ricalcata sull’amministrazione democratica. Obama si fa il paladino della lotta al surriscaldamento globale, culminata col Trattato di Parigi del dicembre 2015? Bergoglio risponde con l’enciclica ambientalista “Laudato si”. Obama «ed i suoi ascari europei, Merkel e Renzi in testa», incentivano l’immigrazione di massa? Bergoglio «ne fornisce la copertura religiosa, finendo col dedicare la maggior parte del pontificato al tema». Ancora: Obama legalizza i matrimoni omosessuali? «Bergoglio si spende al massimo affinché il Sinodo sulla famiglia del 2014 si spinga in questa direzione».Gli “automatismi” continuano, estendendosi anche al welfare. La Casa Bianca vara una discussa riforma sanitaria che incentiva l’uso di farmaci abortivi? «Bergoglio allarga all’intera platea di sacerdoti, anziché ai soli vescovi, la facoltà di assolvere dall’aborto». Ma è possibile «insediare in Vaticano» un pontefice «in perfetta sintonia con l’amministrazione democratica di Obama» e, sopratutto, «espressione degli interessi retrostanti», che Dezzani definisce «massonici-finanziari»? E’ il tema della ricostruzione di Dezzani, che parte dalla “resa” di Ratzinger. Se si vuole attuare un “regime change”, il primo passo è «sbarazzarsi della vecchia gerarchia». Dinamica classica, «già vista in Italia con Tangentopoli, che spazzò via la vecchia classe dirigente italiana spianando la strada ai governi “europeisti” di Amato e Prodi». In Germania, la Tangentopoli tedesca «decapitò la Cdu e favorì l’emergere della semi-sconosciuta Angela Merkel». A Firenze, lo scandalo urbanistico sull’area Castello «eliminò l’assessore-sceriffo Graziano Cioni e avviò la scalata al potere di Matteo Renzi». O ancora, in Brasile, dove «lo scandalo Petrobas ha causato la caduta di Dilma Rousseff e la nomina a presidente del massone Michel Temer».Stesso schema, sempre: «Accuse di corruzione (fondate o non), illazioni infamanti, minacce, sinistre allusioni, carcerazioni preventive, battage della stampa, false testimonianze, omicidi: qualsiasi mezzo è impiegato per “scalzare” i vecchi vertici indesiderati». In Vaticano, nel mirino finirono «Ratzinger e il suo seguito di cardinali conservatori, da defenestrare a qualsiasi costo per l’avvento di un pontefice modernista». Ed ecco, puntale, lo scandalo “Vatileaks”, cioè lo smottamento – lungamente incubato – che ha condotto al ritiro di Ratzinger. L’analisi di Dezzani parte dagli Usa. Aprile 2009: Obama è insediato alla Casa Bianca da appena tre mesi «e con lui quell’oligarchia liberal decisa a sbarazzarsi di Benedetto XVI». In Italia esce “Vaticano SpA”, il libro di Gianluigi Nuzzi che “grazie all’accesso, quasi casuale, a un archivio sterminato di documenti ufficiali, spiega per la prima volta il ruolo dello Ior nella Prima e nella Seconda Repubblica”. Ovvero: «Mafia, massoneria, Vaticano e parti deviate dello Stato sono il mix di questo bestseller che apre la campagna di fango e intimidazione contro Ratzinger».L’autore, secondo Dezzani, «è uno dei pochi giornalisti italiani ad essere in stretti rapporti con il solitamente schivo Gianroberto Casaleggio: Nuzzi ottiene nel 2013 dal guru del M5S una lunga intervista e, tre anni dopo, partecipa alle sue esequie a Milano». Nuzzi è una prestigiosa “penna” del “Giornale”, di “Libero” e del “Corriere della Sera”: è lecito supporre che «confezioni “Vaticano SpA” e il successivo bestseller “Vatileaks”, avvalendosi delle fonti passategli dagli stessi ambienti che si nascondo dietro Gianroberto Casaleggio ed il M5S»? Ipotetici, veri manovratori: «I servizi atlantici e, in particolare, quelli britannici che storicamente vivono in simbiosi con la massoneria». Il biennio 2010-2011 vede Ratzinger «assalito da ogni lato dalle inchieste sulla pedofilia, il tallone d’Achille della Chiesa cattolica su cui l’oligarchia atlantica può colpire con facilità», infliggendo ingenti danni. “Scandalo pedofilia, il 2010 è stato l’annus horribilis della Chiesa cattolica” scrive nel gennaio 2011 il “Fatto Quotidiano”.È lo stesso periodo in cui l’argentino Luis Moreno Ocampo, primo procuratore capo della Corte Penale Internazionale ed ex-consulente della Banca Mondiale, valuta se accusare il pontefice Ratzinger di crimini contro l’umanità, imputandogli i “delitti commessi contro milioni di bambini nelle mani di preti e suore ed orchestrati dal Papa”. Poi arriva il 2012, ancora con gli americani in prima linea. Lo rivela Wikileaks, svelando l’esistenza di un documento «indispensabile per capire le trame che portano alla caduta di Ratzinger». È il febbraio 2012 quando John Podesta, futuro capo della campagna di Hillary, scrive a Sandy Newman un’email intitolata: “Opening for a Catholic Spring? just musing…” ossia: “Preparare una Primavera cattolica? Qualche riflessione…”. Già allora, Podesta era «un papavero dell’establishment liberal», capo di gabinetto della Casa Bianca ai tempi di Bill Clinton, nonché fondatore del think-tank “Center for American Progress”, «di cui uno dei principali donatori è lo speculatore George Soros». E Sandy Newman? Creatore di potenti think-tanks progressisti (“Voices for Progress”, “Project Vote!”, “Fight Crime: Invest in Kids”) in cui si fece le ossa, fresco di dottorato, il giovane Obama.Scrive Newman: «Ci deve essere una Primavera cattolica, in cui i cattolici stessi chiedano la fine di una “dittatura dell’età media” e l’inizio di un po’ di democrazia e di rispetto per la parità di genere». E Podesta: «Abbiamo creato “Cattolici in Alleanza per il Bene Comune” per organizzare per un momento come questo, ma non ha ancora la leadership per farlo. Come la maggior parte dei movimenti di “primavera”, penso che questo dovrà avvenire dal basso verso l’alto». Lo scambio di email hacketrato ora da Wikileaks, aggiunge Dezzani, si inserisce perfettamente nel contesto degli ambienti anglosassoni liberal, «gli stessi dove si discute da anni della necessità di un Concilio Vaticano III che apra a omosessuali, aborto e contraccezione». Il mondo ha bisogno di un nuovo Concilio Vaticano, scrive nel 2010 un membro del “Center for American Progress”, che parla apertamente di una “primavera cattolica” «che ponga fine alla dittatura medioevale della Chiesa, sulla falsariga della “primavera araba” che ha appena sconquassato il Medio Oriente».Di lì a poche settimane, continua Dezzani, «parte infatti la manovra a tenaglia che nell’arco di una decina di mesi porterà alla clamorose dimissioni di Benedetto XVI: è il cosiddetto “Vatileaks”, una furiosa campagna mediatica che attaccando su più fronti (Ior, abusi sessuali, lotte di palazzo, la controversa gestione della Segreteria di Stato da parte del cardinale Bertone) infligge il colpo di grazia al già traballante pontificato del conservatore Ratzinger, dipinto come “troppo debole per guidare la Chiesa”». L’intero scandalo, insiste Dezzani, poggia sulla fuga di notizie, «un’attività che dalla notte dei tempi è svolta dai servizi segreti». Notizie «trafugate» sono quelle che consentono a Nuzzi di confezionare il secondo bestseller, il libro-terremoto che esce nel maggio 2012: “Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI”, poi tradotto in inglese dalla Casaleggio Associati con l’emblematico titolo “Ratzinger was afraid: The secret documents, the money and the scandals that overwhelmed the pope”.Chi è la fonte di Nuzzi, il cosiddetto “corvo”? «Come nel più banale dei racconti gialli, è il maggiordomo, quel Paolo Gabriele che funge da capro espiatorio per una macchinazione ben più complessa», sostiene Dezzani. Notizie “trafugate” sarebbero anche quelle che compaiono sul “Fatto Quotidiano”, utili a dimostrare che lo Ior, gestito da Ettore Gotti Tedeschi, per il giornale di Travaglio «non ha alcuna intenzione di attuare gli impegni assunti in sede europea per aderire agli standard del Comitato per la valutazione di misure contro il riciclaggio di capitali», né di «permettere alle autorità antiriciclaggio vaticane e italiane di guardare cosa è accaduto nei conti dello Ior prima dell’aprile 2011». Gotti Tedeschi, ricorda Dezzani, verrà brutalmente licenziato dallo Ior il 25 maggio, lo stesso giorno dell’arresto del maggiordomo Gabriele, «così da alimentare il sospetto che i “corvi” siano ovunque, anche ai vertici dello Ior, Gotti Tedeschi compreso».Notizie “trafugate”, infine, sarebbero anche gli stralci pubblicati da Concita De Gregorio su “La Repubblica” e da Ignazio Ingrao su “Panorama” nel febbraio 2013, «estrapolati da un presunto dossier segreto e concernenti una fantomatica “lobby omosessuale in Vaticano”: sarebbe la gravità di questo documento, secondo le ricostruzione della stampa, ad aver convinto Ratzinger alle dimissioni». Si arriva così all’11 febbraio 2013: durante un concistoro per la canonizzazione di alcuni santi, Benedetto XVI, visibilmente affaticato, comunica in latino la clamorosa rinuncia al Soglio Pontificio. «Fu costretto alle dimissioni sotto ricatto? Era effettivamente spaventato?». Ratzinger smentisce nel modo più netto. Di recente ha ribadito che «non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte». E ha aggiunto: «Nessuno ha cercato di ricattarmi».L’11 febbraio 2013, Ratzinger aveva affermato di «non essere più sicuro delle sue forze nell’esercizio del ministero petrino». Lo si può capire: era «fiaccato da tre anni di attacchi mediatici, piegato dallo scandalo “Vatileaks”». Così, l’anziano teologo – 86 anni – ha scelto le dimissioni. Tutto calcolato? «Le disgrazie del “conservatore” Ratzinger ed il massiccio cannoneggiamento che ha indebolito i settori della Chiesa a lui fedeli, spianano così la strada ad un Papa modernista, che attui quella “Primavera cattolica” tanto agognata dall’establishment angloamericano», scrive Dezzani. «Il Conclave del marzo 2013 (durante cui, secondo il giornalista Antonio Socci, si verificano gravi irregolarità che avrebbero potuto e dovuto invalidarne l’esito), sceglie così come vescovo di Roma l’argentino Jorge Mario Bergoglio: primo gesuita a varcare il soglio pontificio, dai trascorsi un po’ ambigui ai tempi della dittatura argentina». Duro il giudizio di Dezzani: «La ricattabilità è un tratto saliente dei burattini atlantici, da Angela Merkel a Matteo Renzi». Inoltre, il nuovo vescovo di Roma «è salutato con gioia dalla massoneria argentina, da quella italiana e dalla potente loggia ebraica del B’nai B’rith, che presenzia al suo insediamento».Lo stesso Bergoglio è un libero muratore? «Più di un elemento di carattere dottrinario, dal diniego che “Dio sia cattolico” all’ossessivo accento sull’ecumenismo, fanno supporre di sì», sostiene Dezzani. «Ma è soprattutto l’amministrazione democratica di Barack Obama e quella cricca di banchieri liberal ed anglofoni che la sostengono, a rallegrarsi per il nuovo papa». Bergoglio è il pontefice che «attua nel limite del possibile quella “Primavera Cattolica” tanto agognata (matrimoni omosessuali, aborto e contraccezione)». E’ il Papa che «sposa la causa ambientalista», che «fornisce una base ideologica all’immigrazione indiscriminata», che «sdogana Lutero e la riforma protestante». Ancora: è il pontefice che «sostanzialmente tace sulla pulizia etnica in Medio Oriente ai danni dei cristiani per mano di quell’Isis, dietro cui si nascondono quegli stessi poteri (Usa, Gb e Israele) che lo hanno introdotto dentro le Mura Leonine». È anche il primo Papa ad avere l’onore di parlare al Congresso degli Stati Uniti durante la visita del settembre 2015, prodigandosi per «sedare i malumori nel mondo cattolico americano contro la riforma sanitaria Obamacare».L’ultimo clamoroso intervento di Bergoglio a favore dell’establishment atlantico, continua Dezzani, risale al febbraio 2016, quando il pontefice etichettò come “non cristiana” la politica anti-immigrazione di Donald Trump. Un «incauto intervento», che per Dezzani rivela «il desiderio di sdebitarsi con quel mondo cui il pontefice argentino deve tutto», ma c’era anche «la volontà di mettere al riparo la sua opera di “modernizzazione” della Chiesa». La vittoria di Hillary Clinton, cioè della candidata di George Soros e dell’oligarchia euro-atlantica, «era infatti la conditio sine qua non perché la “Primavera Cattolica” di Bergoglio potesse continuare». Al contrario, «la sua sconfitta ha smantellato quel contesto geopolitico su cui Bergoglio ha edificato la traballante riforma progressista della Chiesa», sostiene sempre Dezzani. «Come François Hollande, come Angela Merkel e come Matteo Renzi, Jorge Mario Bergoglio, benché vescovo di Roma, oggi non è altro che il residuato di un’epoca archiviata». Dezzani lo considera «un figurante senza più copione, fermo sul palco, ammutolito ed estraniato, in attesa che cali il sipario».«Ultimo sussulto», da parte di Bergoglio, per «blindare la sua opera», il conferimento a tutti i sacerdoti della facoltà di assolvere dal peccato dell’aborto. A ciò si aggiunge «una terza infornata di cardinali (più di un terzo del collegio cardinalizio è ora formato da prelati a lui fedeli), così da imprimere un connotato “liberal” anche al futuro della Chiesa di Roma». Ma, per Dezzani, «è ormai troppo tardi», perché «la ribellione dentro la Chiesa alla sua “Primavera Cattolica” è iniziata». Quattro cardinali hanno di recente sollevato gravi contestazioni al documento “Amoris Laetitiae”, con cui Bergoglio ha chiuso i lavori del Sinodo sulla Famiglia, «contestazioni cui il pontefice non ha ancora risposto». E soprattutto: «Alla Casa Bianca non c’è più nessuno a proteggerlo. Anzi, c’è un presidente in pectore che, forte del voto della maggioranza dei cattolici americani, ne gradirebbe forse le dimissioni sulla falsariga di Benedetto XVI». Un’analisi buia, estrema e sconcertante. In premessa, Dezzani la definisce “verosimile”. Poi però la sottoscrive senza più incertezze: per Bergoglio, dice, «la fine si avvicina».Ratzinger “deposto” da un complotto gestito dai servizi segreti anglosassoni, con anche la collaborazione di Gianroberto Casaleggio. Obiettivo: insediare in Vaticano l’attuale pontefice “modernista”. Un piano del massimo potere, gestito da personaggi come George Soros e ora messo in pericolo dalla vittoria di Trump. Lo sostiene Federico Dezzani, che evoca “padrini occulti” dietro al pontificato di Bergoglio, di cui profetizza l’imminente declino. Nonostante il flop del Giubileo e «il sostanziale fallimento dell’Anno Santo», Papa Francesco oggi accelera la svolta modernista: crea nuovi cardinali a lui fedeli e concede a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere l’aborto. «Forse Bergoglio ha fretta, perché sa che il contesto internazionale che lo ha portato sul Soglio Petrino si è dissolto con l’elezione di Donald Trump», scrive Dezzani, secondo cui furono «l’amministrazione Obama e George Soros» a introdurre il gesuita argentino, «in forte odore di massoneria», dentro le Mura Leonine. Bergoglio? Sarebbe «la versione petrina di Barack Hussein Obama», in coerenza col “cesaropapismo”, grazie al quale il potere civile estende la propria competenza al campo religioso, così da plasmare la dottrina «secondo le esigenze del potere temporale».
-
Strana morte del Papa ‘antifascista’. Il suo medico? Petacci
Tutti si ricorderanno di Papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, «che occupa il soglio pontificio per soli 33 giorni (magari il numero vi dice qualcosa…) prima di morire improvvisamente, il 29 settembre 1978, secondo la versione ufficiale, per un infarto miocardico». La verità è probabilmente ben diversa, scrive Marcus Mason sul blog “Lo Sciacallo”: il nuovo Papa aveva in testa di realizzare una sorta di “grande repulisti” all’interno del voluminoso apparato burocratico ecclesiastico, eliminando «corruzione e malaffare all’interno delle Mura Leonine». Nel mirino, «alcuni esponenti di rilievo della finanza vaticana». Probabile quindi che «si sia deciso di uscire dall’imbarazzo risolvendo il problema alla base: mettendo Luciani in condizioni di non nuocere». Ma attenzione: quarant’anni prima, c’era stato un altro pontefice «la cui dipartita dà ancora adito a più di un dubbio: si tratta di Achille Ratti, salito al soglio col nome di Pio XI». La sua “colpa”? Non piaceva a Mussolini e men che meno a Hitler: il pontefice si stava preparando a una dichiarazione clamorosa contro l’adozione delle leggi razziali che sancirono il genocidio degli ebrei anche in Italia.Ratti nasce a Desio, nel milanese, il 31 maggio 1857, ricorda lo “Sciacallo”. Si dedica alla carriera religiosa a partire dal 1867, quando inizia a frequentare il seminario di Seveso e successivamente quello di Monza, fino ad entrare nell’ordine terziario francescano nel ‘74. Viene ordinato sacerdote a Roma nel dicembre ‘79 dal cardinale La Valletta. Si occupa di istruzione, prima come prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano e in seguito come insegnante, fino al suo ingresso nell’élite ecclesiastica negli anni ‘90 del XIX secolo. Arriva ad ottenere, sotto Benedetto XV, il prestigioso incarico di prefetto della Biblioteca Vaticana. Dopo una serie di incarichi diplomatici all’estero (anche “visitatore apostolico” in Polonia), viene nominato nel 1921 arcivescovo di Milano, dove fonda l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Alla morte di Benedetto XV, è eletto nuovo pontefice. Una volta in carica, Ratti si adopera per dirimere la cosiddetta “questione romana”, cioè l’ostilità tra Italia e Vaticano, ancora irrisolta dai tempi di Porta Pia. Il Papa «si mostra in più di un’occasione in contrasto con i provvedimenti del regime fascista», ma poi cambia posizione nel 1929, anno in cui, l’11 febbraio, Stato italiano e Chiesa Cattolica firmano i celeberrimi Patti Lateranensi, «in cui a quest’ultima vengono concessi privilegi economici e gestionali spropositati».Da lì in poi, continua Mason, la Chiesa si mostra quasi totalmente in linea con la politica mussoliniana, «non proferendo parole sulle atrocità italiane nelle colonie nordafricane, né sull’azzeramento delle libertà di pensiero e di stampa in patria». Poi però le cose si complicano in seguito all’alleanza organica col nazismo: «L’atteggiamento ambiguo di Ratti non può proseguire a partire dal 1938 quando l’Italia, su imbeccata di Hitler, promulga le aberranti leggi razziali», scrive Mason. «Pio XI, che mai ha avuto in simpatia il dittatore nazista (nel maggio 1938, quando Hitler era venuto in visita in Italia, non aveva voluto incontrarlo), individua nella cerimonia per il decennale dei Patti Lateranensi, che si sarebbe tenuta l’11 febbraio 1939, il momento giusto per pronunciare un forte discorso». Secondo Bianca Penco, una dirigente dell’epoca della Fuci, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, il pontefice «avrebbe condannato apertamente la deriva politica che Mussolini aveva intrapreso, evidenziando una violazione palese degli stessi Patti che l’Italia si era impegnata ad onorare, oltre alla denuncia delle persecuzioni antisemite e anticristiane ormai dilaganti in Germania».E’ superfluo rimarcare quale enorme danno d’immagine tutto ciò avrebbe rappresentato per il Duce e per lo stesso Hitler, sottolinea Mason. Ma, del resto, Pio XI non avrebbe mai pronunciato quel discorso: nella notte del 10 febbraio, secondo la versione ufficiale, viene colpito da un attacco cardiaco e muore. «Casualmente», frattanto, il cardinale segretario di Stato, Eugenio Pacelli (il futuro Papa, Pio XII) «fa distruggere le copie esistenti del discorso in questione». I conti tornano, sostiene Mason, anche perché l’operato di Pacelli come pontefice durante la Seconda Guerra Mondiale è sotto accusa da settant’anni, «tacciato di viltà, ignavia e connivenza nei confronti delle atrocità che venivano compiute». Va da sé che, «alla luce di questi fatti, la morte fulminea di Pio XI si circonda di un’aura di mistero». E dunque: «Se davvero è stato ucciso, chi può aver commesso il delitto?». In un suo memoriale, nel 1972 il cardinale Eugène Tisserant scrive, a proposito di Ratti: «Lo hanno eliminato, lo hanno assassinato». E individua il presunto colpevole nel medico personale del Papa, Saverio Petacci, nientemeno che il padre di Claretta, l’appassionata amante del Duce che poi morirà fucilata insieme a lui nel ‘45. «Un’incredibile coincidenza, naturalmente».Ma c’è di più: la donna, continua Mason, era solita annotare su un diario la cronaca delle sue giornate più importanti. Ma la pagina inerente al 5 febbraio 1939 è incompleta. Termina con la frase: «Legge i biglietti e si inquieta per una cosa che segna… Poi dice: questi sanno…».Silenzio fino al 12 febbraio, quando il diario prosegue senza però fare il minimo accenno ai fatti in questione. C’è solo una frase del Duce, che annuncia a Claretta che si recherà alle esequie di Ratti in compagnia della moglie. «Ci pare lapalissiano che alcune pagine scottanti del diario della Petacci siano state fatte scientemente sparire», scrive Mason. Pagine in cui, «forse si trovava la prova del fatto che quella di Pio XI fu una morte su commissione». Certezze? Nessuna. Dubbì, però, sì. E tanti. «Chissà, forse un giorno scopriremo questo grande cimitero dei libri dove sono conservate le risposte ai grandi misteri della storia; e tra le “Guerre di Yahweh” e la versione integrale della “Steganographia” di Tritemio, magari troveremo le pagine del diario di una giovane donna italiana».Tutti si ricorderanno di Papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, «che occupa il soglio pontificio per soli 33 giorni (magari il numero vi dice qualcosa…) prima di morire improvvisamente, il 29 settembre 1978, secondo la versione ufficiale, per un infarto miocardico». La verità è probabilmente ben diversa, scrive Marcus Mason sul blog “Lo Sciacallo”: il nuovo Papa aveva in testa di realizzare una sorta di “grande repulisti” all’interno del voluminoso apparato burocratico ecclesiastico, eliminando «corruzione e malaffare all’interno delle Mura Leonine». Nel mirino, «alcuni esponenti di rilievo della finanza vaticana». Probabile quindi che «si sia deciso di uscire dall’imbarazzo risolvendo il problema alla base: mettendo Luciani in condizioni di non nuocere». Ma attenzione: quarant’anni prima, c’era stato un altro pontefice «la cui dipartita dà ancora adito a più di un dubbio: si tratta di Achille Ratti, salito al soglio col nome di Pio XI». La sua “colpa”? Non piaceva a Mussolini e men che meno a Hitler: il pontefice si stava preparando a una dichiarazione clamorosa contro l’adozione delle leggi razziali che sancirono il genocidio degli ebrei anche in Italia.
-
Trump ha una pistola alla tempia, soccomberà anche lui?
«Qualunque cosa farà Trump sarà sempre un decimo dei danni che avrebbe potuto fare la Clinton», ma il problema ormai è un altro: riuscirà a resistere alle micidiali pressioni cui è già sottoposto dal super-potere che aveva puntato su Hillary? Il neoeletto deve vedersela con il complesso militare-industriale, i neocon, la Cia, il Pentagono: gente che ha liquidato i Kennedy, che ha messo al guinzaglio Obama, che riportò all’ordine persino Bush, lui pure – all’inizio – isolazionalista quanto Trump. Lo scrisse un neocon di razza come Michael Ledeen: «Quando Bush fu eletto, nel 2000, pensava all’America; poi venne l’11 Settembre e da quel momento capì che doveva continuare a occuparsi del mondo intero». Ledeen lo dice chiaramente, facendo capire che furono loro a fargli cambiare idea. «Oggi non serve neppure più eliminare fisicamente un presidente», spiega Massimo Mazzucco: «In genere bastano gli avvertimenti». Come quello, inequivocabile, che un altro neocon come John Bolton, già ambasciatore Usa all’Onu, ha appena rivolto a Trump: il neopresidente, secondo Bolton, dovrà stare in guardia «contro il terrorismo internazionale e anche il terrorismo interno». Nuovo 11 Settembre in arrivo? O basta la semplice minaccia?«Vedremo quanto Trump saprà resistere a questi “avvertimenti” nemmeno troppo velati», dichiara il regista Massimo Mazzucco, autore di importanti documentari sul maxi-attentato del 2001 che ha cambiato la storia del pianeta, proiettando le guerre americane in ogni continente. Intervenendo a “Border Nights”, trasmissione web-radio condotta da Fabio Frabetti, Mazzucco sostiene che l’elevata vocazione “criminale” di Hillary Clinton rivela la vera natura dei poteri che l’hanno sostenuta, gli stessi che oggi già assediano Trump. La vera colpa della Clinton, agli occhi degli elettori che alla fine si sono rassegnati a votare Trump? «Non solo ha usato il server di casa anziché quello del ministero degli esteri, ma ha anche cancellato 30.000 email per sottrarle all’Fbi, salvo poi andare in televisione a dire, mentendo, di aver messo tutte le email a disposizione delle indagini». Da quelle email, hackerate da Wikileaks, emergono retroscena imbarazzanti: milioni di dollari incamerati dalla Fondazione Clinton in cambio di favori a paesi arabi filo-Isis, concessi da Hillary quando era Segretario di Stato, e in più lo scandalo di Bengasi, con l’uccisione dell’ambasciatore americano, cioè dell’uomo che avrebbe potuto provare il traffico di armi che dalla Libia venivano fatte affluire in Siria, sotto copertura Usa, per rovesciare Assad.Bene per noi europei, se ha vinto Trump: in teoria, avremo meno tensioni e meno guerre. A favore del neoeletto depongono alcuni aspetti rilevanti: «E’ l’unico presidente americano, almeno negli ultimi 50 anni, ad aver vinto una campagna elettorale solamente con i suoi soldi», sottolinea Mazzucco. «Ha speso un centesimo, credo, di quello che ha speso la Clinton, e quindi ha vinto meritatamente, per quello che ha detto». Da qui in poi, però, è possibile che accada di tutto: «Temo che Trump sia talmente inesperto da circordarsi di gente dell’establishment». Sta già accadendo: come capo di gabinetto, posizione fondamentale nel governo americano, Trump ha scelto Reince Priebus, cioè il segretario nazionale del partito repubblicano, «lo stesso partito repubblicano che ha cercato in tutti i modi di far fuori Trump e che adesso cerca di controllarlo attraverso la scelta del suo capo di gabinetto». Altra scelta fondamentale, «passata inosservata ma che si dimosterà molto significativa nel corso del tempo», è il vicepresidente che «gli hanno messo di fianco», Mike Pence: «Non è affatto un governatorino di campagna come sembra, tranquillo e tradizionalista». Al contrario: «E’ un forsennato, feroce, fetente neocon della prima ora».Mike Pence, continua Mazzucco, è l’uomo che nel 2001, subito dopo l’11 Settembre, si occupò di inondare i media con la propaganda del caso-antrace, appena due mesi dopo l’attentato alle Torri. Con “lettere all’antrace” venivano minacciati diversi senatori, «stranamente tutti democratici, e stranamente tutti quelli che chiedevano di fare una commissione senatoriale sull’11 Settembre, che poi infatti non si fece». Fu proprio Pence ad alimentare la teoria che quell’antrace venisse da Saddam Hussein, «perché lui era mandato avanti da neocon come Cheney e Rumsfeld, che avevano bisogno di una scusa per portare la guerra in Iraq». E quando l’Fbi, «in uno strano gesto di onestà», dichiarò che l’antrace non veniva dall’Iraq ma era “scappato” da un laboratorio Usa, lo stesso Pence scrisse una lettera aprerta al ministro giustizia di allora, John Ashcroft, dicendo: “Lo sappiamo tutti che l’antrace è di Saddam”. «Questo – dice Mazzucco – dimostra che Mike Pence non è affatto un tranquillo governatore di campagna, è un mastino da guerra dei neocon. E sono convinto che l’abbiamo messo accanto a Trump proprio per cercare di condizionare la sua politica estera».Donald Trump è davvero isolazionista, «ha capito benissimo che il mondo sta in piedi fin che c’è un equilibrio e ognuno si fa gli affari suoi: Russia, Cina e Stati Uniti. Non si può continuare a andare a invadere dappertutto». Ma se Trump si rivelasse “troppo” isolazionista, cioè non-guerrafondaio, «Mike Pence cercherà sicuramente di condizionare la sua politica estera verso una strategia più aggressiva». Mazzucco è convinto che per Trump sarà durissima: «Se si dimostra sordo nel continuare le strategie imperialistiche in Medio Oriente, o gli sucede qualcosa (e diventa presidente Mike Pence), o comunque in qualche modo riusciranno a convincerlo. Un po’ come convinsero Bush nel 2000, che in campagna elettorale – prima dell’11 Settembre – diceva le stesse cose diTrump: smettere di fare “nation building”, cioè conquistare paesi». Oggi, a preoccupare il Deep State sono i rapporti con Putin: la distensione in programma con Mosca è nelle corde di Trump, a partire dalla Siria: la priorità «non è più abbattere Assad, come voleva Obama, ma abbattere l’Isis, in collaborazione con Putin». Glielo lasceranno fare?Quasi a rassicurare una parte di quei poteri-ombra, Trump lascia capire che – in cambio – abbandonerà i palestinesi al loro destino: ha dichiarato che Gerusalemme sarà proprietà esclusiva di Israele e che gli insediamenti nei Territori Occupati non sono un ostacolo per la pace in Medio Oriente. Un’evidente concessione tattica alla lobby israeliana, che è uno dei poteri schierati con Hillary. Trump sta provando a destreggiarsi, ben sapendo che «difficilmente i veri poteri Usa si rassegneranno a perdere l’egemonia completa sul mondo». Se così fosse, c’è già Bolton a ricordargli che dovrà guardarsi anche dal “terrorismo interno”. La questione è della massima serietà e pericolosità, insiste Mazzucco: «Anche Obama, appena eletto, pensava davvero di potersi ritirare dall’Afghanistan». Forse non sapeva ancora che «le decisioni non le prende il presidente». Ogni mattina, alla Casa Bianca, riceve il briefing del capo dell’Fbi, che lo informa di quello che succede all’interno del paese, e quello del capo della Cia, che gli racconta quello che succede nel resto del mondo. «Quindi è chi controlla quei briefing che, in realtà, fa fare le scelte al presidente».«Se vai da Obama e gli dici: guarda che qui, a meno di mettere 30.000 soldati in più, ci portano via tutto, gli oleodotti, le basi che li controllano e anche le coltivazioni di oppio da cui dipende il traffico mondiale di eroina, che avviene sotto il controllo statunitense, è chiaro che ti trovi un Obama che, dopo aver vinto il Premio Nobel, manda 30.000 soldati in più in Afghanistan a combattere». Ma, appunto, «dipende da quello che gli raccontano i veri poteri», cioè il complesso militare-industriale, il Pentagono, la Cia: «Sono loro che cercheranno di condizionare anche Trump». Aggiunge Mazzucco: «Io al posto di Obama avrei preteso le prove di quanto mi veniva detto, ma è anche vero che le prove si fabbricano in fretta: è facile condizionare un presidente». Non ci riuscirono solo in un caso: quello di Kennedy. Fu «l’ultimo, vero presidente della storia americana». E cercò di smantellare la Cia, «proprio perché aveva capito che era diventato un centro di potere molto più forte della presidenza». Kennedy aveva già avviato lo smantellamento dell’intelligence: «Ha iniziato licenziando il capo della Cia, Allen Dulles, per la storia della Baia dei Porci», lo sgangherato piano per rovesciare Fidel Castro con il disastroso tentativo di invasione di Cuba, affidato a mercenari.Come sappiamo, però, Kennedy «non ha fatto in tempo a finire il lavoro: è stato fatto fuori da un’alleanza tra la Cia e la mafia», ovvero: «La Cia l’ha deciso e la mafia ha fatto l’esecuzione». Curiosamente, aggiunge Mazzucco, nel ruolo più importante della Commissione Warren, incaricata delle indagini ufficiali, il nuovo presidente Lyndon Johnson «ha messo proprio Allen Dulles, cioè l’ex direttore della Cia licenziato da Kennedy». A giudicare chi è fosse stato a uccidere Kennedy misero proprio la principale vittima politica di Kennedy, il “pezzo da novanta” che Jfk era riuscito a far fuori durante la sua presidenza. «I due Kennedy sapevano che sarebbero morti, ma decisero di andare fino in fondo». Due casi più unici che rari: «Non credo ci siano state altre persone così testarde, di fronte agli “avvisi” ricevuti». Bush abbandonò il suo isolazionismo, Obama il suo pacifismo. Di che stoffa è fatto Donald Trump lo vedremo solo adesso. «Visti i precedenti, c’è da temere davvero un attentato “false flag”, un grande “avvertimento” al neopresidente che vorrebbe archiviare la guerra». Ottimismo? In una battuta: forse si può davvero “tifare” per Trump, «se non altro perché non gli hanno ancora dato il Nobel per la Pace».«Qualunque cosa farà Trump sarà sempre un decimo dei danni che avrebbe potuto fare la Clinton», ma il problema ormai è un altro: riuscirà a resistere alle micidiali pressioni cui è già sottoposto dal super-potere che aveva puntato su Hillary? Il neoeletto deve vedersela con il complesso militare-industriale, i neocon, la Cia, il Pentagono: gente che ha liquidato i Kennedy, che ha messo al guinzaglio Obama, che riportò all’ordine persino Bush, lui pure – all’inizio – isolazionalista quanto Trump. Lo scrisse un neocon di razza come Michael Ledeen: «Quando Bush fu eletto, nel 2000, pensava all’America; poi venne l’11 Settembre e da quel momento capì che doveva continuare a occuparsi del mondo intero». Ledeen lo dice chiaramente, facendo capire che furono loro a fargli cambiare idea. «Oggi non serve neppure più eliminare fisicamente un presidente», spiega Massimo Mazzucco: «In genere bastano gli avvertimenti». Come quello, inequivocabile, che un altro neocon come John Bolton, già ambasciatore Usa all’Onu, ha appena rivolto a Trump: il neopresidente, secondo Bolton, dovrà stare in guardia «contro il terrorismo internazionale e anche il terrorismo interno». Nuovo 11 Settembre in arrivo? O basta la semplice minaccia?