Archivio del Tag ‘oligarchia’
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Ma l’austerity uccide i malati (e aggrava il debito pubblico)
Il vero pericolo per lo stato di salute di un paese e dei suoi cittadini non è rappresentato tanto da una crisi economica ma dalla risposta che a tale evento dà la politica. Non è la recessione in sé a provocare effetti disastrosi sulle vite umane, ma le sciagurate politiche di austerity attuate per superarla. A dimostrarlo sono due esperti di scienze mediche, David Stuckler e Sanjay Basu, nel libro “L’economia che uccide” (Rizzoli, 2013). Dalle ricerche condotte emerge come alcune popolazioni abbiano addirittura riportato un miglioramento nel livello di salute a seguito di periodi di grave crisi economica, come avvenuto ad esempio in Islanda, Svezia e Canada durante le recenti crisi e negli stessi Stati Uniti a seguito della Grande Depressione. È provato, ad esempio, che la minore disponibilità economica induce le persone a spendere meno per alcol e fumo e a preferire gli spostamenti a piedi piuttosto che in automobile, portando in alcuni casi a una diminuzione del tasso di mortalità. Quando per far fronte alla crisi si ricorre invece alle misure di austerity, secondo quello che è il repertorio fisso della ricetta neoliberista, vengono messi in atto una serie di tagli alla spesa pubblica e alla sanità, che minano il ruolo di tutela dei cittadini da parte dello Stato.In perfetto disaccordo con la teoria keynesiana, in un momento in cui la domanda è già depressa, tagliare la spesa pubblica significa indurre i cittadini a spendere meno, avviando così un circolo vizioso in cui a un aggravarsi della depressione della domanda fa seguito un inevitabile aumento della disoccupazione. Questo è il motivo per il quale le politiche di austerity, come testimoniato dal caso del nostro paese, anziché far diminuire il debito lo aumentano. In un simile contesto, caratterizzato dall’alta disoccupazione e l’indebolirsi della rete di sicurezza sociale, la perdita di lavoro può trasformarsi in un problema di salute. Esiste, infatti, una relazione diretta empiricamente comprovata tra spesa in welfare e speranza di vita. Come affermano i due autori: «Il prezzo dell’austerity si calcola in vite umane e quelle ormai perse non potranno più essere recuperate quando il mercato azionario tornerà a salire». A sostegno della loro tesi riportano analisi e testimonianze di quanto accaduto in Grecia a seguito della crisi, e in Italia a partire dal governo Monti.Dalla crisi economica la Grecia passa alla crisi dell’austerity, ovvero lo shock causato dalle misure imposte. In Grecia il primo pacchetto di misure di austerity imposto dal Fondo Monetario Internazionale è entrato in vigore nel maggio del 2010, senza essere sottoposto ad alcuna votazione. L’obiettivo del piano era «mantenere la spesa per la sanità pubblica al di sotto del 6% del Pil, prestando attenzione al controllo dei costi». Si tratta di un valore decisamente basso per poter garantire la qualità della sanità pubblica: per fare una comparazione, il governo tedesco spende oltre il 10% del Pil. I primi a pagarne le spese sono stati ovviamente gli anziani. Nel solo 2011 i fondi per la prevenzione e la promozione della salute sono passati da 29,6 a 5,9 milioni di euro e quelli destinati alla ricerca e al monitoraggio da 91,9 alle diciotto18,4 milioni di euro (dati Oms). A seguito di tali misure, nel 2011 in Grecia il virus dell’Hiv è aumentato del 52% e si è assistito a un’epidemia di malaria che non si riscontrava dal 1974.Fino ad allora nota come il paese con il tasso di suicidi tra i più bassi in Europa, la Grecia ha riscontrato nel 2012 una crescita di tale indicatore del 25%, a fronte di un raddoppio di persone affette da depressione. La disperazione e la rabbia del popolo greco erano tali che nell’ottobre 2012 l’arrivo della Merkel ad Atene ha richiesto il dispiegamento di 6.000 agenti di polizia per contenere i manifestanti che lanciavano pietre, bruciavano bandiere naziste e intonavano cori che dicevano “no al Quarto Reich”. Nonostante le misure di austerity, il debito pubblico greco non solo non è diminuito ma anzi è continuato a salire. Uno degli argomenti cardine del Fondo Monetario Internazionale a favore dell’austerity sosteneva che il moltiplicatore fiscale relativo alla spesa pubblica fosse pari a 0,5: dunque a un taglio della spesa statale sarebbe dovuta corrispondere una crescita del Pil. Di fronte ai fallimenti conclamati nel febbraio del 2012 il Fondo ha chiesto ai propri economisti di ricalcolare il moltiplicatore e si è scoperto che era inficiato da un errore. Il suo valore era maggiore di 1, quindi ogni taglio avrebbe prodotto una perdita. L’istituto di Washington ha ammesso di aver sottostimato gli effetti negativi dell’austerity sulla perdita di occupazione sull’economia. Quello che doveva essere un aiuto concesso alla Grecia si è tradotto in un disastro: perdita di posti di lavoro, minore reddito, calo della fiducia da parte degli europei.(Ilaria Bifarini, “Grecia, l’austerity che uccide”, dal blog della Bifarini del 7 ottobre 2018).Il vero pericolo per lo stato di salute di un paese e dei suoi cittadini non è rappresentato tanto da una crisi economica ma dalla risposta che a tale evento dà la politica. Non è la recessione in sé a provocare effetti disastrosi sulle vite umane, ma le sciagurate politiche di austerity attuate per superarla. A dimostrarlo sono due esperti di scienze mediche, David Stuckler e Sanjay Basu, nel libro “L’economia che uccide” (Rizzoli, 2013). Dalle ricerche condotte emerge come alcune popolazioni abbiano addirittura riportato un miglioramento nel livello di salute a seguito di periodi di grave crisi economica, come avvenuto ad esempio in Islanda, Svezia e Canada durante le recenti crisi e negli stessi Stati Uniti a seguito della Grande Depressione. È provato, ad esempio, che la minore disponibilità economica induce le persone a spendere meno per alcol e fumo e a preferire gli spostamenti a piedi piuttosto che in automobile, portando in alcuni casi a una diminuzione del tasso di mortalità. Quando per far fronte alla crisi si ricorre invece alle misure di austerity, secondo quello che è il repertorio fisso della ricetta neoliberista, vengono messi in atto una serie di tagli alla spesa pubblica e alla sanità, che minano il ruolo di tutela dei cittadini da parte dello Stato.
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Perché Di Maio spacca il governo mentre l’Ue ci bombarda?
La situazione è grave, ma non seria. Ricorda da vicinissimo quella che ispirò il noto aforisma di Flaiano, modellato su misura per la politica bizantina, a doppio fondo, della Prima Repubblica. Ricapitolando: Di Maio prima congeda il decreto fiscale “leghista” in Consiglio dei ministri, poi cambia idea e s’inventa che il documento sarebbe stato manipolato durante il viaggio verso il Quirinale. Salvini s’infuria, sapendo che le cose non stanno affatto così. E il governo rischia di spezzarsi in due, proprio nel momento più difficile, cioè l’attesissimo braccio di ferro con Bruxelles. Uno scontro annunciato da due super-nemici dell’Italia, il francese Macron che “trasloca” migranti oltre il Monginevro e spedisce addirittura i suoi soldati a fermare cittadini italiani sul suolo italiano, e il tedesco Oettinger (quello secondo cui saranno “i mercati” a insegnare agli italiani come votare) che anticipa il roboante “niet” della Commissione, affidato a Moscovici: impossibile tollerare il Def con quel 2,4% di deficit previsto per il 2019. In pratica: il governo italiano, figlio di regolari elezioni, deve subire l’affronto di un potere “alieno”. Ma, anziché fare quadrato contro gli oligarchi di Bruxelles, Berlino e Francoforte, si mette a litigare al proprio interno, proprio adesso.
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Il Mago ipnotizza l’Europa: votare non serve, decido solo io
Lucida follia: è tutto sotto i nostri occhi, eppure si nega l’evidenza. Del sistema capitalistico esistono due traduzioni pratiche: enormi fortune per pochi (neoliberismo) o relativo benessere per molti (keynesismo). Più lo Stato spende, a deficit, e più cresce il Pil. Ovvero: consumi, lavoro, risparmi. Di conseguenza: più gettito fiscale, più soldi per il welfare, la previdenza, le pensioni. E’ un fatto intuitivo, oltre che scientificamente e storicamente dimostrato: più si investe, utilizzando il debito pubblico, più la società cresce, nel suo insieme. Se viceversa si chiude il rubinetto pubblico, la situazione precipita: il 99% della popolazione perde terreno, e il restante 1% si arricchisce a dismisura, acquistando a prezzi di saldo beni e aziende, pubbliche e private; si rilevano servizi un tempo pubblici, insieme a imprese strangolate dalle tasse, imposte per pareggiare il bilancio statale. Il gioco della finanza è basato su scommesse truccate: compro oggi a poco prezzo i titoli che domani varranno di colpo moltissimo, visto che so in partenza che i miei complici li faranno “esplodere”, al momento opportuno, organizzando a tavolino una bella crisi. La Grecia è stata letteralmente spolpata, in questo modo, ma anche l’Italia – fatte le debite proporzioni – ha seguito la medesima sorte. Idem gli altri paesi europei, anch’essi governati dai prestanome di un’oligarchia del denaro che detiene tutti i mezzi monetari per manipolare l’economia. La politica è stata sfrattata dal palazzo: la democrazia, svuotata di ogni contenuto, è stata completamente neutralizzata.Di questo dovrebbero parlare, ogni giorno, i media italiani che si avventano come mastini rabbiosi contro il pallido governo gialloverde, scuoiato vivo a reti unificate solo per essersi permesso di innalzare il deficit, sia pure in modo irrisorio – ben al di sotto del tetto (artificioso, ideologico) sancito a Maastricht. Che razza di Europa è, quella di Maastricht? Per quale motivo, dopo un quarto di secolo, è ancora in vigore un trattato palesemente suicida, che ha “gambizzato” una potenza economica mondiale seconda solo agli Usa e alla Cina, seminando crisi e disperazione fino al punto da resuscitare i peggiori nazionalismi del Novecento? Come ragionano, i nostri post-giornalisti? Da dove pensano che provenga l’esasperazione di massa che sta letteralmente gonfiando l’esercito “rossobruno” dei cosiddetti sovranisti? Sta covando un vasto incendio, ormai, e i pompieri sono già al lavoro: l’oligarca Oettinger impone il bavaglio al web in vista delle prossime europee, mentre il collega Draghi minaccia ogni giorno il governo italiano (l’unico a rompere le righe, per ora, nel mortale ordoliberismo che i grassatori hanno imposto ai popoli europei). Impera un’ipocrisia disgustosa: il massimo rigore inflitto ai molti, per proteggere i privilegi di pochissimi, viene spacciato per virtù. Si racconta che il bilancio dello Stato è come quello di una famiglia – come se anche la famiglia potesse battere moneta. Salgono in cattedra economisti che hanno rinnegato il proprio mestiere: di professione, ormai, fanno i maghi.Lo stesso Draghi, prima di salire sul Britannia da cui partì la grande spartizione dell’Italia, era un economista keynesiano: sapeva perfettamente che, senza una robusta dose di deficit, l’economia collassa. Lo sapeva così bene che la sua tesi di laurea, realizzata sotto la guida dell’insigne Federico Caffè, dimostrava – letteralmente – l’insostenibilità tecnica di una eventuale moneta unica europea, che avrebbe inevitabilmente imposto un regime fiscale austeritario, mettendo in crisi il continente. Poi, si sa, il mago Draghi fu promosso: prima di conquistare la poltronissima della Bce aveva presidiato Bankitalia, e come stratega della peggiore banca d’affari del mondo, la famigerata Goldman Sachs, aveva contribuito in modo decisivo (insieme a Carlo Cottarelli, del Fmi) a rovinare la Grecia. Oggi, sempre Draghi – al servizio del grande monopolio finanziario privato che domina l’Europa – si permette di dare consigli al presidente Mattarella su come scoraggiare il governo Conte, regolarmente intimidito anche da Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, teleguidato sempre dall’uomo di Francoforte. Questi signori agitano lo spettro dello spread, come se fosse un fenomeno naturale (e non invece la nota roulette scatenata a comando da poche mani). Chi sono, questi signori? Chi ha consegnato loro tanto potere? Chi ha dato loro la facoltà di annullare, sostanzialmente, il risultato democratico delle elezioni?Nello scenario odierno colpisce la dismisura tra la realtà e la sua narrazione virtuale. L’arma del mago – che manipola il pubblico – è sempre la stessa: la paura. Guai, se osate sforare i parametri della depressione collettiva programmata. Guai, se vi azzardate a espandere il benessere alla struttura sociale, ormai in stato di crescente sofferenza. Giornali e televisioni rilanciano lo stesso messaggio: è giusto avere paura. E’ saggio. Siamo nati, in fondo, per vivere nella paura. La paralisi generale che si ottiene è impressionante. E i maghi, innanzitutto, restano al loro posto. Oggi sono preoccupati, certo, dai primi rumorosi segnali di insofferenza. Se le vituperate masse dovessero malauguratamente svegliarsi, per loro sarebbe finita. Crocifìggono l’Italia per il suo debito pubblico, che viaggia attorno al 130% del Pil, ben sapendo che nessuno chiederà mai conto, a Draghi e ai suoi padroni, del successo di un sistema come quello del Giappone, arrivato al 250% di debito senza colpo ferire, senza disoccupazione, e senza subire nessun tipo di estorsione finanziaria (spread), essendo i giapponesi protetti da una vera banca centrale, che si comporta da prestatore di ultima istanza e garantisce in modo illimitato l’esposizione contabile della nazione.Sanno perfettamente, i maghi neri, che basterebbe la disobbedienza di un solo paese a far crollare l’incantesimo: investendo in modo coraggioso, con un super-deficit strategico (Keynes docet) l’economia si metterebbe automaticamente a volare. E un paese che scoppia di salute, ovvero di futuro, sarebbe preso d’assalto da tutti gli investitori del pianeta. Culmine della follia: i maghi neri trattano l’Italia come fosse il Burundi, e non un grande paese industriale del G8. Uno Stato con duemila miliardi di debito, ma quasi diecimila miliardi di patrimonio, tra risparmi e beni immobiliari. Stiamo parlando dell’Italia, il paradiso turistico tecnologicamente avanzato che detiene il 70% dei beni culturali del mondo. Solo una forma patologica di devastante ipnosi collettiva può consentire al mago e ai suoi compari di insolentire, minacciare, ricattare e derubare una comunità del genere, formata da 60 milioni di cittadini, condannandola a vivere – ancora e sempre – nella paura di perdere tutto. Ma chi è, davvero, Mario Draghi? Chi ce l’ha messo, alla guida della Bce? E chi è Jean-Claude Juncker? In nome di quale Europa questi signori parlano? Quale suffragio popolare ha mai sorretto gli spaventapasseri che a turno sputano minacce dagli uffici di una Commissione Europea che ignora deliberatamente qualsuasi indicazione provenga dall’Europarlamento, unica istituzione elettiva dell’Unione?Il Trattato di Lisbona non è una Costituzione europea, è uno statuto coloniale – con la differenza che, rispetto al colonialismo tradizionale, quello europeo non ha neppure il pregio della terribile visibilità della potenza dominante. Il vero vertice è rappresentato dal celeberrimo “pilota automatico”, che la cupola finanziaria privata utilizza per soggiogare i sudditi, spesso con la cortese collaborazione dei vari gauleiter franco-tedeschi, ai quali viene concesso il tristo privilegio del kapò. Risultato: mezza Europa oggi ce l’ha coi tedeschi, come popolo, per via degli immani crimini sociali commessi da Angela Merkel, mentre tanti italiani ormai detestano i francesi, in blocco, per colpa del loro impresentabile presidente, l’oltraggioso sbruffone Macron, a sua volta mal sopportato dai suoi stessi connazionali, in quanto servitore di poteri oligarchici nemmeno così oscuri. E questa sarebbe oggi l’Europa? Sarebbe questo il giusto habitat politico dove far vivere oltre mezzo miliardo di esseri umani, che ormai si guardano in cagnesco?In questi anni, il mago si è arricchito smisuratamente mentendo ai sudditi, raccontando loro che dovevano rassegnarsi a stare peggio, a rinunciare a crescere come un tempo. La protesta ribolle, in molti paesi, ma il mago non ha un Piano-B: non cambia ricetta, non prospetta alternative alla sua teologia dell’infelicità. Al limite, pensa a come depistare il pubblico, coi soliti sistemi: i media addestrati a ripetere menzogne, i governi frontalmente minacciati di terribili punizioni, i movimenti più irrequieti eventualmente infiltrati da agenti provocatori. Tutto questo accade, ancora, perché a valere sono le regole del mago: è stato lui a raccontare che, impoverendosi, ci si arricchisce. Austerity espansiva, l’ha chiamata. Che è come dire: tutti sappiamo che gli asini volano. Per quanto ancora, il mago, terrà in vita il suo maleficio? Quanto tempo impiegheranno, i popoli europei, a sfrattare i loro parassiti? L’impresa è molto ardua, vista la sproporzione delle forze in campo. Nel 2012, sotto il dominio del mago Monti, l’Italia scrisse nella sua Costituzione che la Terra è piatta, e non gira affatto attorno al Sole. Tecnicamente: pareggio di bilancio. Tradotto: è giusto auto-sabotarsi, amputare il futuro. Perché non viene rimosso, oggi, quel vincolo medievale? Perché non si torna a dire, tanto per cominciare, che la Terra è tonda?La superstizione neoliberista è stata fatta a pezzi dagli economisti democratici e, prima ancora, dalla realtà stessa: il bilancio del sistema neoliberale è una vera e propria catastrofe planetaria. Laddove si è tagliato lo Stato, è crollata anche l’economia privata. Unici beneficiari, gli immensi oligopoli finanziarizzati. Se si abbatte la spesa pubblica, frana l’intero paese. L’hanno capito tutti, ormai. E i primi a saperlo sono proprio loro, i grandi illusionisti: Juncker e Draghi, Merkel, Moscovici, Macron. Per chi lavorano, in realtà? Per quale nuovo ordine feudale? Troppa democrazia fa male, scrivevano negli anni ‘70 i maghi ingaggiati dalla Trilaterale: l’eccesso di democrazia – affermarono, testualmente – si cura restringendo gli spazi democratici, confiscando libertà e diritti. L’Europa è stato il loro grande laboratorio. C’erano ostacoli, al loro piano, ma sono stati rimossi – dall’italiano Aldo Moro allo svedese Olof Palme. Nemmeno i Craxi dovevano più essere in circolazione: diversamente, come riuscire a raccontare che, per ingrassare, bisogna saltare i pasti? Ci si domanda quand’è che torneranno in vigore le regole fisiologiche della vita, al posto di quelle – truccate – dell’illusionista. Per esempio: dove è scritto che l’Europa non possa avere una Costituzione democratica, validata dai suoi popoli? Chi ha stabilito che l’Unione Europea non possa essere affidata a un governo legittimo, regolarmente eletto? Chi l’ha detto che il continente non possa avere un’autentica banca centrale, anziché un istituto privatizzato e gestito da stregoni? Quanto a lungo sarà ancora sopportata, l’insolenza bugiarda del mago?Lucida follia: è tutto sotto i nostri occhi, eppure si nega l’evidenza. Del sistema capitalistico esistono due traduzioni pratiche: enormi fortune per pochi (neoliberismo) o relativo benessere per molti (keynesismo). Più lo Stato spende, a deficit, e più cresce il Pil. Ovvero: consumi, lavoro, risparmi. Di conseguenza: più gettito fiscale, più soldi per il welfare, la previdenza, le pensioni. E’ un fatto intuitivo, oltre che scientificamente e storicamente dimostrato: più si investe, utilizzando il debito pubblico, più la società cresce, nel suo insieme. Se viceversa si chiude il rubinetto pubblico, la situazione precipita: il 99% della popolazione perde terreno, e il restante 1% si arricchisce a dismisura, acquistando a prezzi di saldo beni e aziende, pubbliche e private; si rilevano servizi un tempo pubblici, insieme a imprese strangolate dalle tasse, imposte per pareggiare il bilancio statale. Il gioco della finanza è basato su scommesse truccate: compro oggi a poco prezzo i titoli che domani varranno di colpo moltissimo, visto che so in partenza che i miei complici li faranno “esplodere”, al momento opportuno, organizzando a tavolino una bella crisi. La Grecia è stata letteralmente spolpata, in questo modo, ma anche l’Italia – fatte le debite proporzioni – ha seguito la medesima sorte. Idem gli altri paesi europei, anch’essi governati dai prestanome di un’oligarchia del denaro che detiene tutti i mezzi monetari per manipolare l’economia. La politica è stata sfrattata dal palazzo: la democrazia, svuotata di ogni contenuto, è stata completamente neutralizzata.
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Ci servono veri statisti, per abbattere il Muro di Bruxelles
Ma davvero tra sei mesi quest’Europa non ci sarà più, come hanno detto sia Di Maio che Salvini? Se è vera la previsione o la profezia dei due vice-premier, uniti contro il Nemico comune europeo, il 2019 accadrà qualcosa di simile al 1989: trent’anni fa cadde il Muro di Berlino, e poi crollò il comunismo. Trent’anni dopo cadrà il Muro di Bruxelles che separa i popoli dall’Europa, il potere dai cittadini, e cadrà l’eurarchia con tutti gli eurocrati. La spallata decisiva, pensano entrambi, sarà il voto di primavera sul Parlamento Europeo che ridisegnerà radicalmente i rapporti di forza e di rappresentanza. L’onda sovranista e populista è in effetti crescente in tutta Europa e sicuramente scombussolerà il Parlamento Europeo e i suoi gruppi prevalenti, socialisti, popolari e liberali. Ma avrà un impatto tale da scardinare la Commissione Europea, da conquistare la maggioranza assoluta dei seggi – o trovare alleati per farlo – e incidere poi sugli organismi sovranazionali non direttamente emanati dal Parlamento Europeo? Poi la Banca centrale europea, la Troika, e a cascata Il Fondo Monetario, le agenzie di rating, Davos…Il dubbio ci sembra più che legittimo, al di là dei desideri o delle speranze di ciascuno. La forza populista, grosso modo, potrà conquistare in Europa fino a un terzo degli elettori votanti, oltre il buco nero dell’astensionimo. Basterà una forza del genere per liquidare definitivamente l’attuale establishment europeo? E si tratterà poi di forze realmente componibili, omogenee, in grado di allearsi? L’ipotesi più probabile, invece, è che per evitare la paralisi, globalisti e sovranisti dovranno arrivare a un compromesso, a una pace armata, cioè a un armistizio, o dividersi ambiti e territori. Dal punto di vista dei grillini sarei particolarmente cauto con le profezie di vittoria e di sventura, anche perché se Salvini ha sponde reali in Francia, nel nord Europa e nell’est europeo, dovute a consonanze tematiche, a partire dall’Europa delle nazioni e dal tema dei migranti – oltre che in Russia e negli Stati Uniti – non altrettanto può dirsi del Movimento 5 stelle che resta un fenomeno italiano. E’ più facile pensare a un’alleanza delle forze sovraniste, nazionalpopuliste, piuttosto che a un’alleanza populista-radicale di tipo grillino.Dal punto di vista politico, gli avversari dei populisti sono tutti azzoppati e governano nei loro paesi in alleanze precarie, eterogenee di centro-destra-sinistra, guidando forze di minoranza: dalla Germania alla Spagna, dalla Francia a molti altri paesi. La leader politica dell’Eurozona, Angela Merkel, è in vistosa caduta ormai da tempo. E molti movimenti in ascesa, nonostante si definiscano liberali, aderiscano ai popolari o siano perfino alleati di governo con forze dell’establishment, rientrano piuttosto nel filone nazional-conservatore o sovranista-populista. Il centravanti dell’eurarchia oggi è Macron, che gode di un consenso ultra-minoritario nel suo paese, largamente impopolare in patria e assai inviso in molti paesi europei, a cominciare dall’Italia, per le sue evidenti e sleali contraddizioni: fa l’europeista global ma cura poi gli interessi francesi, predica sull’immigrazione e poi chiude l’accoglienza. L’anno scorso l’Europa intera, e l’intero quadro politico francese – giscardiani, gollisti, socialisti – scese al suo fianco per impedire che vincesse Marine Le Pen. Ha goduto di un sostegno politico, eurocratico e mediatico assoluto. Ciò nonostante la sua credibilità e i suoi consensi sono costantemente in calo, clamorosamente minoritari in Francia. Il contrario di Trump, che è sotto attacco permanente ma registra grandi risultati concreti, soprattutto sul piano economico e occupazionale e mantiene vasto consenso popolare, nonostante il suo stile colorito e discutibile.Il nemico da battere in Europa avrà la faccia di Macron più che di Juncker o di Moscovici. È il prototipo dell’eurocrate. Liberista e progressista, global ma senza rinunciare all’arroganza francese, fabbricato in provetta, figlio di maternità surrogata, adottato dalla famiglia allargata di progressisti, tecnocrati e moderati, testimonial di una Francia politically correct, gay e nera, global e antifascista, Macron è il testimonial di questa Unione pseudoeuropea. Intanto aspettiamoci, in questi mesi ogni colpo basso dall’Europa e dai suoi sicari, interni e internazionali, per far cadere o inguaiare i populisti. Spread e non solo, è una guerra e lorsignori capiscono che qui in Italia si giocano una partita che vale per l’Europa. Ma lo scenario che si apre è inquietante, tra sovranità tramontate e sovranità alternative non ancora sorte o minate. Al declino inglorioso dei vecchi partiti, si unisce il rischio aggiuntivo di un cortocircuito del populismo. Restiamo coi piedi per terra, ancorati alla realtà, e guardiamo dall’altra parte: si può davvero pensare che leader come Di Maio e compagnia possano essere gli statisti alternativi a cui affidare le sorti dell’Europa? Si può seriamente caricare su spalle così piccole e inadeguate una responsabilità così grande, come fondare, ridisegnare e guidare la nuova Europa? Uagliù, nun pazziamo, avrebbe detto Padre Pio.(Marcello Veneziani, “Il Muro di Bruxelles”, da “Il Tempo” del 9 ottobre 2018, articolo ripreso sul blog di Veneziani).Ma davvero tra sei mesi quest’Europa non ci sarà più, come hanno detto sia Di Maio che Salvini? Se è vera la previsione o la profezia dei due vice-premier, uniti contro il Nemico comune europeo, il 2019 accadrà qualcosa di simile al 1989: trent’anni fa cadde il Muro di Berlino, e poi crollò il comunismo. Trent’anni dopo cadrà il Muro di Bruxelles che separa i popoli dall’Europa, il potere dai cittadini, e cadrà l’eurarchia con tutti gli eurocrati. La spallata decisiva, pensano entrambi, sarà il voto di primavera sul Parlamento Europeo che ridisegnerà radicalmente i rapporti di forza e di rappresentanza. L’onda sovranista e populista è in effetti crescente in tutta Europa e sicuramente scombussolerà il Parlamento Europeo e i suoi gruppi prevalenti, socialisti, popolari e liberali. Ma avrà un impatto tale da scardinare la Commissione Europea, da conquistare la maggioranza assoluta dei seggi – o trovare alleati per farlo – e incidere poi sugli organismi sovranazionali non direttamente emanati dal Parlamento Europeo? Poi la Banca centrale europea, la Troika, e a cascata Il Fondo Monetario, le agenzie di rating, Davos…
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Della Luna: finanziare a deficit 20 anni di futuro, o è la fine
Dove porta la legge finanziaria sovranista? Per i prossimi 25 anni la produttività (efficienza produttiva) italiana è prevista in costante declino; il che implica il passaggio dell’Italia al Terzo Mondo (molto prima di 25 anni), perché l’Italia continuerà a perdere competitività, quindi a dover ridurre i salari e le prestazioni sociali per compensare tale perdita, non potendo lasciar svalutare la sua moneta dato che l’euro blocca l’aggiustamento fisiologico dei cambi. Continueranno il calo della domanda interna, la crescita delle insolvenze, il calo e/o lo scadimento dell’occupazione, la fuga di aziende, capitali e cervelli, il take-over da parte dei capitali stranieri. Per uscire da questa linea di declino, l’Italia dovrebbe fare investimenti infrastrutturali di lungo termine, cioè almeno ventennali, e idonei a far risalire la produttività: ricerca, tecnologie, ammodernamento, formazione del personale, infrastrutture, sistemazione idrogeologica. Ma per fare tali investimenti si dovrebbe vincere la resistenza e i vincoli europei, che sono stati formulati proprio per mantenere l’Italia (e gli altri paesi poco efficienti) in uno stato di crisi e involuzione controllate permanenti, onde poterne rastrellare fino al fondo le risorse finanziarie, aziendali, professionali per trasferirle in Germania e Francia (questo è il piano della cosiddetta integrazione europea).E bisognerebbe vincerli non solo per il prossimo anno né per un anno alla volta né per tre alla volta, bensì per un programma di almeno vent’anni, concordato e accettato con Bruxelles. Con un programma ventennale di investimenti, gli imprenditori privati, potendo contare su lunghi e grossi appalti pubblici, investiranno i loro soldi in attrezzature e assunzioni, facendo partire un grande circolo virtuoso ed espansivo anche di domanda interna. Il permesso per finanziare un tale piano è alquanto difficile da conseguire, perché gli interessi e il piano europeisti sono nel senso che l’Italia debba continuare il suo declino e la cessione di aziende, capitali, professionisti ai paesi egemoni; e i garanti interni di questo piano europeista – Quirinale, magistrati interventisti (anche nella Corte Costituzionale), apparati ministeriali, mass media – sono già stati mobilitati, e dovranno organizzare qualcosa per fermare l’attuale governo tra qui e le elezioni europee, cioè prima che i partiti sovranisti possano vincere. Per fermare un governo sostenuto dal 62% degli italiani, e con moltissimi osservatori già contro-mobilitati per denunciare ogni tentativo di nuovo golpe ordito sia dall’interno che dall’estero. Una bella partita.Ma quand’anche si riesca a varare un programma ventennale di investimenti, vuoi attraverso una vittoria sovranista alle imminenti elezioni europee, vuoi attraverso una modificazione negoziata dei trattati, vuoi attraverso l’uscita dall’euro e il recupero della sovranità monetaria che consenta una spesa pubblica mediante un’emissione di debito protetto dalla garanzia di acquisto da parte della banca centrale italiana, resterà da vedere se il sistema-paese Italia sia o non sia capace di fare tali investimenti in modo efficace, ossia tale da aumentare adeguatamente la produttività, anziché ancora una volta all’italiana, peggiorando le cose. L’esperienza ormai settantennale con investimenti di analogo scopo nel Mezzogiorno è in senso negativo, così come l’esperienza della ricostruzione dopo i recenti terremoti, nonostante tutte le promesse e garanzie di stretta sorveglianza: gli investimenti sono stati inefficaci perché mal progettati, eseguiti disorganicamente, diretti principalmente da scopi clientelari e con metodi criminali.Anche coloro che promettevano che “l’Europa” e l’euro, con le loro regole, avrebbero risanato il sistema-paese Italia, liberandolo dai suoi vizi storici e rendendolo efficiente attraverso vincoli e pressioni dall’esterno, sono stati smentiti: dapprima, l’introduzione dell’euro, con la possibilità per il settore pubblico di finanziarsi a tassi bassi, ha aumentato la spesa clientelare e parassitaria, quindi l’indebitamento pubblico; con la crisi del 2007-2008, essendo venuti meno gli spazi e i fondi per progetti di crescita e prospettandosi invece un lungo, indefinito declino, politici e amministratori si sono ancor più dedicati alla lotta per spartirsi le decrescenti risorse e alla collaborazione con le operazioni di rastrellamento suddette, senza interesse per l’efficacia della spesa stessa. E’ da questa condizione che deve cercare di ripartire l’attuale governo. Se il sistema-paese Italia ancora una volta risulterà incapace di investire produttivamente le risorse di cui dispone, sarà giustificato il piano Funk, ossia il suddetto piano “europeista” di trasferimento forzato delle medesime risorse da essa ai paesi che le sanno mettere a frutto, come unico piano atto a costruire un’Europa unitaria e ben funzionante, sia pur col sacrificio dei popoli inferiori in quanto ad efficienza.Questo ovviamente vale su scala macro, mentre su scala individuale, coen soluzione al problema-Italia, si confermerebbe l’indicazione dell’emigrazione di chiunque abbia capacità e risorse valorizzabili all’estero. Qualora si arrivi alla rottura con la Bce, raccomando al governo di considerare quanto segue per il nuovo assetto monetario da dare al paese. Dato che la sua inefficienza è dovuta a ragioni storiche inveterate e consolidate di clientelismo, nepotismo, parassitismo, inseriti nei meccanismi di consenso politico, e che tali cause sono eliminabili solo nelle fantasie degli imbonitori, dei velleitari e degli utopisti, l’Italia avrebbe bisogno, per vivere al meglio secondo le sue reali possibilità e con i suoi difetti: di uscire dall’euro ritornando alla sovranità monetaria; di ritornare al libero aggiustamento dei cambi (ossia alla svalutazione competitiva); di dotarsi di una banca centrale com’era prima del 1981, che assicuri l’acquisto del debito pubblico e bassi tassi di interesse, così che lo Stato possa immettere soldi (con gli investimenti a deficit) nell’economia reale anziché toglierli (con gli avanzi primari): infatti l’Italia, come ogni motore vecchio, per funzionare e non grippare ha bisogno di abbondante olio perché ne brucia molto.(Marco Della Luna, “Deficit di bilancio e deficit di efficienza”, dal blog di Della Luna del 30 settembre 2018).Dove porta la legge finanziaria sovranista? Per i prossimi 25 anni la produttività (efficienza produttiva) italiana è prevista in costante declino; il che implica il passaggio dell’Italia al Terzo Mondo (molto prima di 25 anni), perché l’Italia continuerà a perdere competitività, quindi a dover ridurre i salari e le prestazioni sociali per compensare tale perdita, non potendo lasciar svalutare la sua moneta dato che l’euro blocca l’aggiustamento fisiologico dei cambi. Continueranno il calo della domanda interna, la crescita delle insolvenze, il calo e/o lo scadimento dell’occupazione, la fuga di aziende, capitali e cervelli, il take-over da parte dei capitali stranieri. Per uscire da questa linea di declino, l’Italia dovrebbe fare investimenti infrastrutturali di lungo termine, cioè almeno ventennali, e idonei a far risalire la produttività: ricerca, tecnologie, ammodernamento, formazione del personale, infrastrutture, sistemazione idrogeologica. Ma per fare tali investimenti si dovrebbe vincere la resistenza e i vincoli europei, che sono stati formulati proprio per mantenere l’Italia (e gli altri paesi poco efficienti) in uno stato di crisi e involuzione controllate permanenti, onde poterne rastrellare fino al fondo le risorse finanziarie, aziendali, professionali per trasferirle in Germania e Francia (questo è il piano della cosiddetta integrazione europea).
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Franceschetti: sono gli ‘amici del popolo’ a tradire il popolo
Vuoi vedere che, alla fine, saranno proprio gli “amici del popolo” a varare le leggi peggiori, inguaiando gli italiani? «Non me ne stupirei, se andasse a finire proprio così», dice Paolo Franceschetti, noto per aver indagato – come avvocato e poi come ricercatore indipendente – su alcuni dei più atroci delitti irrisolti della storia italiana, a partire da quelli del Mostro di Firenze. La sua tesi: omicidi rituali, commessi da personaggi insospettabili e altolocati. Stragi utili, in ogni caso, alla “sovragestione” occulta del potere: il killer imprendibile è perfetto per tenere in ansia la popolazione, salvo poi presentare all’opinione pubblica un capro espiatorio invariabilmente modesto, senza cultura, proveniente dai ceti popolari. Come dire: è giusto che il popolo patisca ingiustizie, dato che i suoi esponenti (quelli che finiscono in prima pagina) sono rozzi e brutali. Una lettura psico-politica che ha reso Franceschetti estremamente diffidente, rispetto all’offerta elettorale italiana: paradossalmente, proprio la fiducia che Lega e 5 Stelle riscuotono presso gli elettori rendono questi due partiti il vettore ideale, per chi volesse manipolarli, spingendoli a tradire, ancora una volta, le aspettattive di una società messa alla frusta dal rigore imposto dai poteri che sovrastano l’Unione Europea.«Riconosco che Lega e 5 Stelle sono portatori di un rinnovamento valido, sulla carta, e quindi spero sinceramente di sbagliarmi – premette Franceschetti, ai microfoni di “Border Nights” – nel momento in cui esprimo il timore che anche questo governo possa rivelarsi un sostanziale inganno». Le paure di Franceschetti sono storicamente motivate: «Ho sempre votato a sinistra, ma poi ho scoperto che proprio la sinistra, di cui il popolo di fidava, è stata incaricata di attuare le leggi più impopolari». E’ storia: la progressiva contrazione dei diritti del lavoro, la flessibilità universale presentata come inevitabile, le grandi privatizzazioni che hanno sabotato l’economia nazionale italiana. «Dove poi la sinistra non è bastata sono arrivati i cosiddetti “tecnici” a finire il lavoro». Eclatante il caso Monti: pareggio di bilancio in Costituzione, Fiscal Compact, legge Fornero sulle pensioni. Tracollo del Pil, crollo del potenziale industriale, svendita generale del paese. Da qui la protesta recente sotto la bandiera del “sovranismo” leghista, alleatosi con il movimentismo dei pentastellati, fino all’inedito esito del governo “gialloverde”, che – sulla carta – sta provando a sfidare il potere europeo, nonostante l’assedio ostile cui è sottoposto da parte dei grandi media.Campanello d’allarme, l’ultima dichiarazione di Paolo Savona: se tracima lo spread, saremo costretti a rivedere il Def, piegando la testa. Si delinea un bivio: possibili elezioni anticipate, con “chiamata alle armi” per mobilitare gli elettori contro Bruxelles, in alternativa alla più mesta delle ritirate (la rinuncia al 2,4% di deficit per finanziare reddito di cittadinanza, Flat Tax e pensioni più dignitose). «Vorrei tanto potermi fidare dei “gialloverdi” – dice Franceschetti – ma sono costretto a prendere nota, ad esempio, di quanto sta avvenendo sul fronte dei vaccini: lungi dall’abrogare la legge Lorenzin sull’obbligo vaccinale, si sta elaborando una nuova proposta di legge che prevederebbe vaccinazioni obbligatorie anche per gli adulti». Se così fosse – aggiunge Franceschetti – il governo Conte farebbe persino peggio dell’esecutivo Gentiloni. Il che è paradossale, ma non così inconsueto: sarebbe uno spettacolo al quale il pubblico italiano è stato abituato. E cioè: niente di meglio che gli “amici del popolo”, per rifilare al popolo le peggiori leggi, dettate dal vero potere. «Teniamo presente che a comandare sono poteri economici e finanziari: l’Europa dipende dalla Bce, che non è sottoposta ad alcun controllo democratico». Come credere che due partiti, Lega e 5 Stelle, possano (e vogliano davvero) rovesciare un dominio così schiacciante?Vuoi vedere che, alla fine, saranno proprio gli “amici del popolo” a varare le leggi peggiori, inguaiando gli italiani? «Non me ne stupirei, se andasse a finire proprio così», dice Paolo Franceschetti, noto per aver indagato – come avvocato e poi come ricercatore indipendente – su alcuni dei più atroci delitti irrisolti della storia italiana, a partire da quelli del Mostro di Firenze. La sua tesi: omicidi rituali, commessi da personaggi insospettabili e altolocati. Stragi utili, in ogni caso, alla “sovragestione” occulta del potere: il killer imprendibile è perfetto per tenere in ansia la popolazione, salvo poi presentare all’opinione pubblica un capro espiatorio invariabilmente modesto, senza cultura, proveniente dai ceti popolari. Come dire: è giusto che il popolo patisca ingiustizie, dato che i suoi esponenti (quelli che finiscono in prima pagina) sono rozzi e brutali. Una lettura psico-politica che ha reso Franceschetti estremamente diffidente, rispetto all’offerta elettorale italiana: paradossalmente, proprio la fiducia che Lega e 5 Stelle riscuotono presso gli elettori fa di questi due partiti il vettore ideale, per chi volesse manipolarli, spingendoli a tradire, ancora una volta, le aspettative di una società messa alla frusta dal rigore imposto dai poteri che sovrastano l’Unione Europea.
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Grazie all’imbroglio del debito, vogliono portarci via tutto
Siamo nei guai, da quando «abbiamo consegnato direttamente ai mercati finanziari la possibilità di creare nuova moneta». A chi conveniva? A loro, l’élite finanziaria speculativa. Si sono fatti le leggi che volevano. E oggi l’establishment ci racconta che il deficit è una tragedia, e che i “mercati” sono i nostri unici, veri padroni. Lo ammette persino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Siamo caduti in un colossale imbroglio, avverte l’ex manager Bnl Guido Grossi, intervistato da “Tiscali”. La buona notizia è che possiamo uscirne: primo passo, rimettere in debito in mani italiane, riattivando i Bot a breve scadenza su misura per i cittadini: «Bastano 200 miliardi per far svanire l’incubo dello spread. E l’Italia è ricchissima: 4.200 miliardi di risparmi, più 5.000 miliardi di patrimonio immobiliare». Si può allonatarsi anche rapidamente, dalle secche artificiose del rigore, a una condizione: che si sappia chi ci ha inguaiati, come funziona la trappola del debito “privatizzato” e a cosa serve. Ad accumulare soldi? Sbagliato: il vero obiettivo è fare incetta di beni pubblici, dopo averne fatto crollare il prezzo attraverso crisi pilotate.La storia della nostra “prigionia” è lunga è dolorosa, riassume Grossi. Pietra miliare, il Trattato di Maastricht: l’Ue non può prestare soldi agli Stati né ad altri enti pubblici diversi dalle banche. «Perché? Non c’è alcun ragionevole motivo». Non esiste ragione, spiega Grossi, per cui la politica debba rinunciare al controllo della moneta. «Noi viviamo nell’economia dello scambio, visto che nessuno è in grado di prodursi tutto quello di cui ha bisogno, e per scambiarsi le cose serve la moneta. Questa deve circolare, passare di mano in mano, e quando ce n’è poca nel sistema bisogna immetterla». E dal 1971, finito il “gold standard”, è diventato chiaro che creare moneta è qualcosa che si può fare senza costi. «L’importante è che ce ne sia la giusta quantità e che, soprattutto, vada a finire nelle tasche giuste. Ma lo Stato ha rinunciato al potere di emetterla, questo è il primo punto». Il secondo? Il sistema finanziario si è trasformato: prima, il cittadino portava i risparmi in banca, e la banca li investiva nell’economia reale e creava lavoro. Oppure il cittadino prestava quei risparmi allo Stato, sotto forma di Bot e Cct, perché era un modo per metterli al sicuro.«Lo Stato usava quei risparmi per fare spesa pubblica: in sostanza, rimetteva quei soldi nelle tasche dei cittadini che spendono e nelle casse delle imprese che investono». La moneta circolava, aggiunge Grossi, perché «c’era un controllo pubblico», sia nella sua creazione, sia nella sua circolazione. Ormai «la moneta si crea dal nulla». Dunque, «sarebbe meglio riportarla sotto il controllo pubblico». La questione è che circola molto male, la moneta, «perché il sistema finanziario è diventato privato». E non solo: «Ha smesso di fare il suo mestiere: non prende il risparmio privato per indirizzarlo sulle imprese che investono o nelle famiglie che devono comprare casa». Il grosso «finisce sui mercati finanziari». E se tutti vogliono comprare i titoli di Stato il loro prezzo sale. Peraltro, «se il mercato compra titoli e le banche centrali continuano a comprarne con le operazioni di “quantitative easing”, e comprano pure titoli di aziende private, in quelle operazioni non fanno altro che sostenere il prezzo della bolla speculativa. Ci dicono che lo fanno per far salire l’inflazione e far entrare soldi alle imprese ma questi soldi vanno direttamente sui mercati finanziari».Fino agli anni ‘90, prosegue Grossi, si finanziavano ancora investimenti e imprese. Ora invece «la gran parte viene destinata a circolare attraverso lo scambio di titoli, di derivati sempre più complessi e sempre più oscuri». Così, la finanza decide tutto: «Una grande banca d’affari può chiamare una impresa, ottenere la sua collocazione in Borsa, studiarla, preparare il report per presentarla ai mercati, finire col conoscerla meglio di quanto non riesca a fare l’impresa stessa. Può farle avere i soldi dei mercati perché conosce tutti i fondi di investimento, anzi ha i suoi fondi di investimento. Ha la sua ricerca che può distribuire a tutti gli enti istituzionali in giro per il mondo, può fabbricare i derivati sui titoli e sui prestiti, negoziarli, fare tutto per operare sui mercati finanziari». Ed è chiaro che, con tali informazioni, la banca può sapere molto prima di altri quando il prezzo può salire e quando può scendere. «Possono fare qualsiasi cosa, far arricchire chi vogliono». L’obiettivo finale? «Non è continuare ad accumulare moneta, ma comprare beni reali», spiega Grossi. «E come si fa a comprare a basso costo cose reali? Scatenando crisi economiche».La Grecia insegna: con la scusa del debito, società e banche tedesche si sono prese anche gli aeroporti. Chi ha impedito alla Grecia di difendersi? L’Unione Europea, con i suoi vincoli: proibendo allo Stato di creare moneta, e perfino di farsela prestare per fare spesa pubblica in investimenti. Ovvio che il mondo finanziario sia intimamente legato alle multinazionali. E paesi come la Germania e gli Usa, dove c’è un grosso nucleo di grandi aziende internazionalizzate, traggono enormi dei benefici da questo sistema: a monte, riescono a ottenere regole su misura per il proprio business. «Anche in Italia ce le avevamo, le grandi aziende: le partecipazioni statali». Certo, ricorda Grossi, ci hanno raccontato che erano “carrozzoni” spreca-soldi. «In realtà facevano invidia agli Usa, alla Gran Bretagna, alla Francia e alla Germania». Così è arrivata la mannaia Ue: «Il Trattato di Maastricht ci ha poi imposto il vincolo assurdo del rapporto del 60% tra debito e Pil (e deficit non superiore al 3% del Pil)». E’ avvenuto «in un particolare momento, in cui noi eravamo a 100 e gli altri a 60». Obiettivo: frenare l’Italia, barando.«Così abbiamo dovuto svendere le partecipazioni statali, perché l’unico modo per entrare era vendere il patrimonio pubblico». La situazione, osserva Grossi, è precipitata con il divorzio fra Tesoro e Bankitalia, quando la banca centrale ha smesso di finanziare il governo a costo zero, “regalando” il debito (interessi) alla finanza privata. E ora siamo al pareggio di bilancio, varato da Monti: «Quando l’economia è ferma e c’è troppa disoccupazione, lo Stato ha il dovere di intervenire». C’è scritto nella Costituzione, ricorda Grossi: «Lo Stato ha il dovere di fare quanto necessario per metterci in grado di avere una esistenza libera e dignitosa, di contribuire al progresso materiale e spirituale della nazione. E ciò lo possiamo realizzare solo lavorando. Se c’è disoccupazione, crisi economica, le famiglie non spendono e le imprese non investono, allora o interviene qualcuno dall’esterno o la crisi rimane e continua ad avvitarsi su se stessa». A questo punto come fa, uno Stato, a continuare a perseguire politiche “costituzionali”, cioè keynesiane, di sviluppo e occupazione?«Tolto il potere di chiedere a Bankitalia di finanziare il deficit, aggiunto il vincolo di pareggio di bilancio, lo Stato in pratica non può più intervenire nell’economia». Attenzione: «Quando lo Stato poteva creare moneta, il debito pubblico materialmente finiva per non essere un problema». Controllando la leva monetaria, lo Stato non poteva mai ritrovarsi senza soldi. Gli stessi titoli di Stato, aggiunge Grossi, non servivano certo a incamerare denaro: al contrario, erano soldi che lo Stato lasciava ai cittadini, «per impiegare tranquillamente i loro risparmi nella maniera meno rischiosa e più sicura possibile». Se invece viene tolta la sovranità monetaria, sottolinea Grossi, allora il rischio comincia a nascere: «Lo Stato, per ripagare i titoli, è obbligato o a prendere con le tasse i soldi dalle tasche di alcuni cittadini per ripagare chi ha i titoli, o a farseli prestare. Per vendere i titoli di Stato, poi, il tesoro si serve degli operatori specialistici, che sono Goldman Sachs, Jp Morgan, Morgan Stanley e così via. Anziché rivolgersi ai suoi cittadini che non sanno dove mettere i risparmi, si rivolge alle banche private che fanno aumentare i costi dello Stato».Solo una parte del debito italiano, comunque, è in mano a stranieri: 700 miliardi, su 2.341. Ma questo non cambia la situazione, «perché la maggior parte dei titoli è controllata da questo sistema finanziario». In pratica, «gli investitori ci prestano i soldi alle loro condizioni, e noi abbiamo il rischio spread. Un rischio che arriva dai mercati: non sta scritto in nessuna norma che dobbiamo averlo. E’ stata una scelta tecnico-amministrativa che non ci è mai stata raccontata. Di questa scelta – dice Grossi – dobbiamo liberarci». Mettendo il debito pubblico in mano agli investitori internazionali stranieri e non avendo possibilità di stampare moneta, aggiunge Grossi, lo Stato è costretto a farsi prestare i soldi da altri per pagare quegli investitori. «Ho rinunciato a farmi prestare anche i soldi dai cittadini, e dunque mi sono messo un cappio al collo. Voglio finanziare cose indispensabili per il paese? Sale lo spread, le agenzie di rating abbassano la qualifica dei nostri titoli e possono determinare eventi rischiosissimi e catastrofici. Se viene abbassato il rating molti investitori possono essere spinti a vendere i nostri titoli. E se tutti vendono, si svende».Alla fine può arrivare il default, scattare il meccanismo “salva-Stati” come in Grecia. «Cioè: arrivano, ci prestano i soldi e in cambio ci impongono le tasse, ci dicono cosa privatizzare, cosa vendere, cosa tagliare e chi licenziare, ci piaccia o no. Per questo bisogna rimettere ordine nella nostra ricchezza e modificare il meccanismo uscendo dal cappio». Lo Stato, spiega Grossi, oggi paga inoltre tassi d’interesse altissimi perché si rivolge ai mercati finanziari esteri. «Negli anni ’80 avevamo tassi nominali molto alti, pagavamo anche il 10,15 o 20%. Oggi invece paghiamo dall’1 al 3%». Sembra che ci abbiamo guadagnato, e invece ci abbiamo perso: quello che conta, infatti, è il tasso nominale meno il tasso d’inflazione. «Se ho un debito di 100, se in un anno pago il 10% ma l’inflazione sta al 15%, a fine anno non ho pagato 10, ho risparmiato 5. Perché il peso del mio debito è sceso del 5%. Questo indipendentemente dal livello dei tassi nominali».I problemi sono iniziati smettendo di chiedere i soldi ai risparmiatori italiani, «che si accontentano di un tasso al di sotto dell’inflazione perché vogliono semplicemente difendere il valore del capitale». Tradotto: se io perdo l’1% cento (inflazione) ma nessuno mi tocca il capitale, non mi preoccupo. «Se invece compro un prodotto di investimento in banca e nel momento stesso in cui lo prendo già mi hanno tolto il 4 o 5% (anni addietro addirittura il 10%) allora sì che corro dei rischi e devo preoccuparmi. E quando lo Stato sceglie di farsi prestare i soldi non più dai propri cittadini, che si accontentano di un piccolo tasso di interesse in cambio della sicurezza, e comincia a rivolgersi agli investitori istituzionali che per natura fanno gli speculatori, è per forza costretto a pagare di più». A loro sta bene rischiare un po’ di capitale, a differenza del cittadino risparmiatore, ma vogliono essere pagati molto di più in cambio del rischio. «Ed ecco che i tassi reali sono diventati positivi».Oggi in Italia c’è l’inflazione all’1,50. Il Btp trentennale rende il 3,55%, quindi lo stato paga il 2% reale. «Sembra una cifra bassa ma è altissima, perché basta che passi il tempo e il debito cresce a dismisura. E’ esattamente quanto è successo, anche se ci raccontano che abbiamo sperperato i soldi». Insiste Grossi: «Lo spreco vero sono i 10 milioni di italiani che potrebbero lavorare e non facciamo lavorare», proprio perché il “cappio” di questo debito – gonfiato dalla speculazione – ci lascia in bolletta, mentre l’Ue ci impedisce di fare deficit per investire sul lavoro. Risultato: grazie alle politiche “lacrime e sangue”, ai tagli e all’austerity, in questi ultimi anni il debito pubblico (che si diceva di voler tagliare) è continuato a salire. «Sale il debito, sale la povertà, sale la disoccupazione. E’ evidente che la direzione presa era completamente sbagliata». Il timido Def “gialloverde”, con quel 2,4% di deficit, è primo segnale di una possibile inversione di tendenza, finalmente: il deficit generarerà un aumento del Pil, dei consumi, dell’occupazione.Siamo nei guai, da quando «abbiamo consegnato direttamente ai mercati finanziari la possibilità di creare nuova moneta». A chi conveniva? A loro, l’élite finanziaria speculativa. Si sono fatti le leggi che volevano. E oggi l’establishment ci racconta che il deficit è una tragedia, e che i “mercati” sono i nostri unici, veri padroni. Lo ammette persino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Siamo caduti in un colossale imbroglio, avverte l’ex manager Bnl Guido Grossi, intervistato da “Tiscali”. La buona notizia è che possiamo uscirne: primo passo, rimettere in debito in mani italiane, riattivando i Bot a breve scadenza su misura per i cittadini: «Bastano 200 miliardi per far svanire l’incubo dello spread. E l’Italia è ricchissima: 4.200 miliardi di risparmi, più 5.000 miliardi di patrimonio immobiliare». Ci si può allontanare anche rapidamente, dalle secche artificiose del rigore, a una condizione: che si sappia chi ci ha inguaiati, come funziona la trappola del debito “privatizzato” e a cosa serve. Ad accumulare soldi? Sbagliato: il vero obiettivo è fare incetta di beni pubblici, dopo averne fatto crollare il prezzo attraverso crisi pilotate.
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Magaldi: all’Ue serve Keynes (e a Martina uno psichiatra)
Cercasi psichiatra per Maurizio Martina e i suoi colleghi del Pd. Un vero fenomeno, il successore di Renzi: «Si lamenta della rapacità del neo-capitalismo che ha impoverito gli italiani, ma poi contesta il governo gialloverde se appena prova a uscire dalle regole di ferro del “pilota automatico” che vieta il ricorso al deficit». E’ esterrefatto, Gioele Magaldi, di fronte alle ultime esternazioni di Martina: «Sembra psichicamente dissociato. Capisce quello che dice?». Ben diverse le posizioni espresse da esponenti della sinistra come Fausto Bertinotti, favorevole al reddito di cittadinanza così come Stefano Fassina e lo stesso Michele Emiliano, «che almeno ha avuto il coraggio di dissentire dal suo partito». Il centrosinistra? Nebbia: «Protesta contro il rigore, ma al tempo stesso vorrebbe che il governo Conte cedesse alle pressioni anti-italiane continuamente esercitate da Draghi, Mattarella, Visco, Juncker e Moscovici, proprio per impedire all’esecutivo di invertire la rotta e investire finalmente sul benessere del paese». Quanto ai “gialloverdi”, il presidente del Movimento Roosevelt è prudente: «Li sosteniamo, perché vanno nella giusta direzione pur avendo contro l’establishment e i media. Però devono avere più coraggio: guai, ad esempio, se pensano di compensare il deficit aumentando l’Irpef».Tra i peggiori in campo, come al solito, i media mainstream: ultimamente, dice Magaldi in collegamento web-streaming su YouTube con Marco Moiso, c’è chi arriva a citare Keynes come cattivo esempio (sprechi, assistenzialismo) dopo averlo letteralmente rimosso, lo stesso Keynes, padre dell’economia democratica moderna, propinando al pubblico la narrazione tragicamente ridicola del pensiero unico neoliberista, basata sulla favola dell’austerity espansiva: più si fanno tagli, più cresce “miracolosamente” il Pil. E’ indispensabile, sottolinea Magaldi, che l’anima keynesiana del governo Conte emerga in modo più deciso: e non mancano, specie nella Lega, gli economisti post-keynesiani come Alberto Bagnai. Se non bastasse, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, bisognerà dare corpo a un nuovo partito ultra-keynesiano, che si batta per ripristinare la democrazia sociale in tutta Europa, con una governance democratica dell’economia, sancita da una vera Costituzione Europea. «Rifiutiamo la narrazione che vorrebbe contrapposti sovranisti-nazionalisti da una parte ed europeisti dall’altra: sono fasulli, i sedicenti europeisti che si contrappongono ai sovranisti, ed è un errore madornale lasciarsi incasellare nella categoria di comodo del “sovranismo”». Il nazionalismo? Un binario morto: «Non ha mai prodotto democrazia diffusa, ma solo inimicizia tra popoli».Per Magaldi, massone progressista, «abbiamo bisogno di un cosmopolitismo democratico, che contrasti la “politìa” post-democratica e neo-aristocratica che questi decenni di globalizzazione sbagliata hanno prodotto». Molto meglio una “glocalizzazione”, «che metta al primo posto la dignità del cittadino: ovunque, sotto ogni cielo del pianeta». Tra i soggetti che “remano contro” la svolta liberal-progressista di cui l’Italia avrebbe bisogno, Magaldi indica il capo dello Stato: «Io credo che Mattarella goda di credibilità soltanto presso chi non abbia riflettuto abbastanza su quello che dovrebbe essere il ruolo del presidente della Repubblica, e su come i suoi predecessori in questi anni abbiano avallato questa sorta di svendita della sovranità politica ed economica italiana a potentati privati». Perché di questo si tratta: «Dietro le maschere evanescenti e cialtronesche di diversi burocrati europei – aggiunge – si nascondo interessi privati: interessi apolidi, che predano la ricchezza di popoli, nazioni e interi continenti». Mattarella, continua Magaldi, viene esaltato da chi s’è ubriacato dall’idea che siano i mercati a doverci governare, e pensa che in fondo la linea dell’Europa è responsabile, e che si sono irresponsabili populisti i politici al governo, che osano proporre un rapporto deficit-Pil del 2,4% (inferiore al tetto stabilito a Maastricht).«Personalmente – insiste Magaldi – non ho alcuna stima politica nei confronti di Mattarella, che è un modestissimo personaggio, “pescato” da Renzi (altro modestissimo personaggio) su suggerimento di Draghi». Oggi il capo dello Stato incontra il presidente della Bce «come un maggiordomo che va a prendere gli ordini dal suo dante causa». Sicuri che sia ferrato, in materia economica, il capo dello Stato? «Probabilmente, Mattarella nulla capisce di economia: esegue degli ordini, per quanto riguarda la sua posizione sulla manovra economica del governo, ma ha anche un problema di insispienza, di limiti cognitivi». In definitiva, «è amato da gente che non capisce nulla di economia né di politica, e oltretutto spreca la propria devozione verso un personaggio che sicuramente non la merita – sottolinea Magaldi – anche perché ha attentato alla Costituzione già in occasione della mancata ratifica della nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia». Una pagina estremanente controversa della cronaca politica recente: molti i giuristi che contestarono l’operato del Quirinale, in quella occasione, che spinse Di Maio – a caldo – a ventilare la richiesta di impeachment del presidente.«Continueremo a difendere la bontà del tentativo del governo Conte, che è comunque impegnato a fare qualcosa a conforto di una società italiana in difficoltà, fatta di famiglie e imprese», ribadisce Magaldi, che però non è soddisfatto del bilancio gialloverde. «Finora non c’è stata una narrazione netta, limpida, forte e lungimirante, del tipo: noi non siamo qui per discutere del 2,4 o 2,8%». Persino Salvini s’è abbassato, con fare rassicurante, a sottolineare che il deficit previsto dal Def è comunque inferiore a quello imposto dai parametri di Maastricht. Non ci siamo, protesta il presidente del Movimento Roosevelt: «Qui serve qualcos’altro, serve di più. Servirebbe qualcuno che dicesse: signori, guardate che quei parametri sono arbitrari. Dobbiamo fare grandi investimenti in infrastrutture, lo si è visto a Genova, e questo comporta che all’inizio il rapporto deficit-Pil sarà da aumentare di molte cifre, rispetto al 2,4%. E questo proprio nella prospettiva di rigenerare l’economia italiana, quindi anche di ridurre lo stesso debito pubblico (ma solo in prospettiva, perché il debito di uno Stato non è il debito di una famiglia)». E in più: «Eliminiamo alla radice il problema dello spread mediante l’emissione di eurobond».Una proposta forte dal governo Conte? «Potrebbe dire, come Italia: facciamo una Costituzione Europea. Facciamo dell’Italia il propulsore, in senso democratico, delle istituzioni europee». Sono questi, sottolinea Magadi, i temi che andrebbero affrontati sui tavoli di Bruxelles e Francoforte, «mettendo in scacco gli apparati tecnocratici e anche tutta l’opposizione al governo Conte». In altre parole, la maggioranza gialloverde si decida a evolvere «in una prospettiva che non sia sovranista, nazionalista, populista, mercanteggiatrice di pochi punti percentuali». O si abbandona questa narrativa di basso profilo, o non se ne esce. «E allora sarà inevitabile la costruzione di un partito politico che invece assuma su di sé l’onere di dire con chiarezza quello che va fatto, in termini radicali, e anche di aiutare Lega e Movimento 5 Stelle, e non solo: magari si sposasse davvero un’ottica keynesiana anche dalle parti del centrosinistra e del centrodestra, ne sarei contentissimo». Invece, Martina raccomanda l’eterno rigore europeo – esattamente come Tajani, portavoce del Cavaliere. «E allora – chiosa Magaldi – si mettano ufficialmente insieme e se lo facciano, il loro Partito della Nazione: prendano il 5% dei voti e “si levino dai cabbasìsi” come direbbe il Montalbano di Camilleri».Cercasi psichiatra per Maurizio Martina e i suoi colleghi del Pd. Un vero fenomeno, il successore di Renzi: «Si lamenta della rapacità del neo-capitalismo che ha impoverito gli italiani, ma poi contesta il governo gialloverde se appena prova a uscire dalle regole di ferro del “pilota automatico” che vieta il ricorso al deficit». E’ esterrefatto, Gioele Magaldi, di fronte alle ultime esternazioni di Martina: «Sembra psichicamente dissociato. Capisce quello che dice?». Ben diverse le posizioni espresse da esponenti della sinistra come Fausto Bertinotti, favorevole al reddito di cittadinanza così come Stefano Fassina e lo stesso Michele Emiliano, «che almeno ha avuto il coraggio di dissentire dal suo partito». Il centrosinistra? Nebbia: «Protesta contro il rigore, ma al tempo stesso vorrebbe che il governo Conte cedesse alle pressioni anti-italiane continuamente esercitate da Draghi, Mattarella, Visco, Juncker e Moscovici, proprio per impedire all’esecutivo di invertire la rotta e investire finalmente sul benessere del paese». Quanto ai “gialloverdi”, il presidente del Movimento Roosevelt è prudente: «Li sosteniamo, perché vanno nella giusta direzione pur avendo contro l’establishment e i media. Però devono avere più coraggio: guai, ad esempio, se pensano di compensare il deficit aumentando l’Irpef».
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Magaldi: Draghi e Mattarella, il padrone e il maggiordomo
Come va letta, la visita di Draghi a Mattarella? «Be’, come dire: il padrone è venuto a visitare il maggiordomo». Indovinato: è Gioele Magaldi a esprimersi in questi termini, per commentare l’insolita “capatina” al Quirinale, da parte del presidente della Bce, proprio mentre l’establihment finanziario, politico e mediatico spara sul governo Conte, che si è permesso di alzare il deficit al 2,4% del Pil – nella previsione 2019 del Def – sperando di cominciare a finanziare reddito di cittadinanza, taglio delle tasse e pensioni più decorose. La novità è che, dall’8 ottobre, Magaldi “esterna” – sempre di lunedì, alle 12 – sul canale YouTube di “Border Nights”, dopo l’improvvisa chiusura di “Massoneria On Air” da parte di “Colors Radio”, che ha licenziato il conduttore, David Gramiccioli. «L’editore, che in tre anni mi aveva lasciato la massima libertà – spiega lo stesso Gramiccioli, durante il collegamento con Fabio Frabetti – mi ha contestato il crollo del fatturato pubblicitario, legato anche a strutture sanitarie». Facile che a turbare gli sponsor sia stata l’offensiva giornalistica di Gramiccioli, che contro l’obbligo vaccinale introdotto dalla legge Lorenzin ha anche scritto e interpretato il fortunatissimo spettacolo teatrale “Il decreto”.Gramiccioli ha anche ospitato stabilmente Massimo Mazzucco, che smonta la versione ufficiale sull’11 Settembre. Ha dato spazio a Enrica Perucchietti, autrice di saggi su “fake news” e terrorismo “domestico” gestito da servizi segreti occidentali sotto falsa bandiera. E “Colors Radio” ha fatto audience ogni lunedì con Magaldi, che non ha esitato a svelare la cifra massonica (occulta) di tanti uomini di potere. Gianfranco Carpeoro, ospite con Gramiccioli della prima puntata di “Gioele Magaldi Racconta”, cita i “Promessi sposi”: elegante, Gramiccioli, nel non infierire sulla proprietà di “Colors Radio” che l’ha lasciato a piedi senza preavviso, e senza alcun rispetto per i tantissimi, affezionati ascoltatori. Ma certo, dice Carpeoro, il comportamento dell’editore ricorda quello di Don Abbondio. “Il coraggio, uno non se lo può dare”, scrive Manzoni. Specie se magari, come in questo caso, ha incontrato i “bravi”, che gli hanno fatto il loro discorsetto: via Gramiccioli, o niente più contratti pubblicitari. Onore al conduttore, in ogni caso, «ottimo giornalista e uomo dalla schiena diritta», lo saluta Magaldi. Che promette: la storia non finisce qui, naturalmente. Tanto per cominciare, la voce di Magaldi il lunedì mattina trasloca su “Border Nights”, grazie al tandem Carpeoro-Frabetti. E comunque, il progetto “Massoneria On Air” «riprenderà vita presto, vedremo come e dove».Anche perché il Movimento Roosevelt, di cui Magaldi è presidente, annuncia un impegno a tutto campo, anche sulla comunicazione. La missione è chiara: intanto, difendere il governo Conte e aiutarlo di fare di più e meglio. E’ vergognoso – dice Magaldi – che l’esecutivo gialloverde venga attaccato a reti unificate: per la prima volta, dopo l’orrenda stagione della Seconda Repubblica, un governo osa contestare la “teologia” del rigore, avanzando le prime proposte (ancora timide) per risollevare l’economia espandendo il deficit. «Le idee sono buone», riconosce lo stesso Carpeoro, nella speranza che poi «vengano effettivamente recepite nella finanziaria», vista la pericolosità dei super-poteri in azione, decisi a impedirlo con ogni mezzo. A fine novembre, annuncia Magaldi, lo stesso Movimento Roosevelt scenderà in campo – con un’assemblea generale a Roma – per presentare idee-forza da sottoporre poi al governo. In altre parole: siamo solo all’inizio della “primavera italiana”. Superati i primi scogli, poi i gialloverdi dovranno osare di più. E i circuiti massonici progressisti, di cui lo stesso Magaldi è portavoce, «si impegneranno a livello europeo per far sì che l’operato del governo italiano sia percepito in modo corretto», nonostante il fuoco d’interdizione cui è sottoposto ogni giorno dai grandi media, asserviti ai poteri oligarchici.Bei tempi, quando l’informazione italiana era affidata a professionisti come Stefano Andreani, prematuramente scomparso, cui Magaldi dedica un commosso ricordo. Stranissimo giornalista, Andreani, cattolico militante ma formatosi alla scuola di “Radio Radicale”: un uomo onesto, capace sempre di impedire alle proprie idee di intorbidire la verità destinata ai lettori. Esattamente il contrario dell’attuale deriva del post-giornalismo italico (gridato, fazioso, omertoso e bugiardo) che “bombarda” ogni giorno Di Maio e Salvini, in ossequio a poteri che poi, magari, impongono il licenziamento di un reporter coraggioso come Gramiccioli. Poteri forti, si capisce, che – ai piani alti – hanno il volto di Mario Draghi, supermassone «ascrivibile alla peggiore contro-iniziazione, che non manca certo di spessore e capacità strategica». Non come Mattarella, che politicamente «è un “maggiordomo” paramassone, come Enrico Letta», sintetizza Magaldi. Letta e Mattarella? «Figure ancillari e servizievoli, con poca autonomia e spessore di pensiero». Draghi in visita al capo dello Stato? Ovvio: «Fu Draghi a proporre Mattarella a Renzi, per il Quirinale, e quindi oggi Mattarella “prende ordini” da Draghi, talvolta per mezzo di Ignazio Visco», il governatore di Bankitalia. Ecco dunque, chiosa Magaldi, a cosa è servito l’incontro fra Draghi è Mattarella: ha permesso «che il padrone il suo maggiordomo concertassero qualche azione comune contro le pur labili, flebili innovazioni che questo governo sta cercando di introdurre».Come va letta, la visita di Draghi a Mattarella? «Be’, come dire: il padrone è venuto a visitare il maggiordomo». Indovinato: è Gioele Magaldi a esprimersi in questi termini, per commentare l’insolita “capatina” al Quirinale, da parte del presidente della Bce, proprio mentre l’establishment finanziario, politico e mediatico spara sul governo Conte, che si è permesso di alzare il deficit al 2,4% del Pil – nella previsione 2019 del Def – sperando di cominciare a finanziare reddito di cittadinanza, taglio delle tasse e pensioni più decorose. La novità è che, dall’8 ottobre, Magaldi “esterna” – sempre di lunedì, alle 12 – sul canale YouTube di “Border Nights”, dopo l’improvvisa chiusura di “Massoneria On Air” da parte di “Colors Radio”, che ha licenziato il conduttore, David Gramiccioli. «L’editore, che in tre anni mi aveva lasciato la massima libertà – spiega lo stesso Gramiccioli, durante il collegamento con Fabio Frabetti – mi ha contestato il crollo del fatturato pubblicitario, legato anche a strutture sanitarie». Facile che a turbare gli sponsor sia stata l’offensiva giornalistica di Gramiccioli, che contro l’obbligo vaccinale introdotto dalla legge Lorenzin ha anche scritto e interpretato il fortunatissimo spettacolo teatrale “Il decreto”.
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Ho visto un Re: a piangere è Calabresi, “ferito” da Di Maio
«E sempre allegri bisogna stare», cantava Jannacci, «ché il nostro piangere fa male al Re». Fa male «al ricco e al cardinale», al punto che «diventan tristi se noi piangiam». C’è qualcosa di più insopportabile del vittimismo (grottesco) da parte del potere che “chiàgne e fotte”? Nell’arcaico pantheon medievale evocato dall’immenso cantautore milanese non c’era ancora posto, ovviamente, per il giornalista. Senza contare che allora, nel mitico 1968 – quando quel brano fu composto – erano ancora in circolazione giornalisti veri e propri. Magari non erano infallibili neppure loro, ma si chiamavano Bocca, Biagi, Montanelli. Ciascuno amato o detestato, a seconda delle platee, ma tutti rispettati: non cantavano in nessun coro e, nel caso, “sbagliavano” in proprio, senza prendere ordini dall’editore, dal partito, dall’establihment. Erano i tempi in cui sul “Corriere” scriveva Pasolini. Si era lontani anni luce dalle “carte false” che poi Giampaolo Pansa avrebbe messo alla berlina, denunciando la vocazione al servilismo che avrebbe fatalmente rovinato il giornalismo italiano, trasformandolo in docile strumento di propaganda.Giornali a fari spenti nella notte: tutti addosso ai ladri di polli di Tangentopoli, senza vedere il furto vero e colossale – sovranità, democrazia – messo a segno nel frattempo dall’élite finto-europeista. Oggi è diverso, è persino peggio: non si può più dire che i giornali sbaglino, non vedano, non capiscano. Oggi i giornali picchiano. Malmenano il nemico del padrone, ogni giorno, spudoratamente. Il primo a farlo è “Repubblica”, quotidiano fondato dall’ex fascista e poi socialista Scalfari, quindi a lungo diretto da quell’Ezio Mauro che demolì Berlusconi per i sexgate di Arcore, trasformando l’ultimo premier italiano eletto in qualcosa di cui gli anti-italiani Merkel e Sarkozy potevano ridere, proprio mentre si preparavano a spedire in Italia il loro uomo, Mario Monti, per inguaiare famiglie e aziende mettendo in ginocchio il sistema-Italia, comodamente spolpato da Germania e Francia, tra una risata e l’altra. Ridotta in macerie la politica – il populista Renzi, dopo il “sicario” Monti – oggi la ribellione di un paese scientificamente impoverito, terremotato dall’euro-crisi pilotata dai poteri che controllano la Bce, si esprime in modo grossolano per bocca di Salvini e Di Maio, il quale ha addirittura l’ardire di denunciare apertamente che il Re è nudo: tutto racconta, fuor che la verità. Apriti cielo: l’attuale direttore di “Repubblica”, Sergio Calabresi, apre il fazzoletto.Niente manganello, per una volta, ma fiumi di lacrime: i «nuovi potenti», singhiozza Calabresi, si sono accorti che – grazie al web – oggi «possono sperare di realizzare il sogno di ogni governante della storia: liberarsi dei corpi intermedi, delle critiche e delle domande scomode». Se queste parole fossero lette da archeologi fra tremila anni, e se non fosse più rintracciabile nessuna copia di “Repubblica”, nessuna prima pagina e nessun editoriale, qualcuno potrebbe persino prenderlo sul serio, Calabresi. Cosa ha detto, il mai impeccabile Di Maio? Due verità sacrosante. La prima: i giornali come “Repubblica” non fanno più informazione ma solo propaganda, spacciando “fake news”. La seconda: per fortuna, non li legge più nessuno. Esatto: vendono un terzo, un quarto delle copie che vendevano ai tempi di Biagi, Bocca e Montanelli, all’epoca in cui Ilaria Alpi faceva giornalismo d’inchiesta in Somalia, e in televisione campeggiavano Renzo Arbore e Gianni Minà. Persino i comici facevano pensare: Paolo Villaggio, Cochi e Renato diretti dallo stesso Jannacci (oggi il pubblico deve rassegnarsi a Crozza, che riesce a trasformare in eroe il sindaco di Riace, paragonandolo nientemeno che ai partigiani che “violarono la legge”, quando la legge era quella di Hitler).«Siamo “pericolosi”», dice Di Maio, perché i gialloverdi – raccontando il contrario della versione unilaterale dell’establishment – invadono (con verità insopportabili) quello che i giornali «considerano il loro territorio, la loro prateria». Per fortuna, aggiunge, «ci siamo vaccinati anni fa dalle bufale, dalle “fake news” dei giornali, e si stanno vaccinando anche tanti altri cittadini». Sarà per questo che il sistema sta aumentando le dosi di chemioterapia quotidiana con cui accecare il pubblico? Come spiegare diversamente la mostruosa tecnocrate Elsa Fornero trasformata in guru dell’economia dal valletto Floris, o l’inaudito Cottarelli – uomo del Fmi, coinvolto nella rovina della Grecia – venerato settimanalmente nel felpato salottino di Fazio? Ma il problema non è la fogna a cui è ridotto il mainstream italiano. Macchè, il problema è il minaccioso, terribile Di Maio. «Non abbiamo paura», proclama Calabresi, asciugandosi le lacrime copiosamente sparse. «Siamo preoccupati per noi e per il paese, per lo scadimento del dibattito che avvelena l’opinione pubblica». Lo scadimento di quale dibattito, please? Ai gialloverdi, il mainstream ha solo e sempre tolto il microfono dalle mani, presentandoli come appestati, folli, velleitari, cialtroni, razzisti e sessisti, violenti e scellerati, incompetenti. E’ accaduto l’impensabile, ecco il punto: oggi sono al governo, i mascalzoni. Non potendoli più ignorare, li si prende a cannonate dal mattino alla sera, a reti unificate.Non è cambiato, lo schema del regime insediato in Italia dopo la rimozione forzata, per via giudiziaria, dei politici della Prima Repubblica: ad avere l’ultima parola non sono gli elettori, ma il “vincolo esterno” in base al quale l’oligarchia europea governa l’Italia al posto del governo italiano, sorretta dall’establihment locale (politico, industriale, finanziario e, naturalmente, mediatico). L’algido Ferruccio De Bortoli lancia anatemi e auspica il ritorno alle Crociate: guai, se il governo italiano dovesse spuntarla contro Bruxelles sulla storia del deficit al 2,4%. L’opinione pubblica è strettamente sorvegliata da ex giornalisti come Lilli Gruber, in quota al Bilderberg, come ieri lo era da Monica Maggioni, presidente della Rai, oggi a capo della sezione italiana della Trilaterale. E se alla Rai gli impudenti Salvini e Di Maio riescono a piazzare un non-allineato come Foa, un giornalista indipendente, sono dolori: il mite Marcello Foa diventa, in un battibaleno, una specie di pericoloso terrorista. La sua colpa? Di tanti colleghi, ha la stessa opinione di Di Maio: venduti a un potere che ormai se ne frega, della democrazia. E se qualcosa per una volta va storto, se cioè la democrazia vince davvero, i nuovi eletti vanno abbattuti, anche per dare una lezione ai maledetti italiani che, dopo averli votati, hanno pure il coraggio di continuare a sostenerli.Non c’è bisogno di ricordare che ognuno ha il diritto di coltivare qualsiasi opinione, purché non leda l’altrui libertà. A proposito di Crociate, il conte di Tolosa – che difendeva la libertà di religione nel Midi pre-francese – protestò per la “desmisura” con cui veniva oppresso dal potere vaticano, folle di rabbia per la scelta dei tolosani di difendere i diritti religiosi dei Catari. “Desmisura”, in occitano medievale, significa questo: violare le regole, soffocare l’avversario, negargli la possibilità di esistere come soggetto pensante. Una tentazione totalitaria, che – secondo Simone Weil – in quel drammatico inizio del 1200 gettò il seme velenoso dei peggiori incubi europei dei Novecento. Soffocare le voci altrui: non un fiato, dalle testate dirette da uomini come Calabresi, s’è levato contro l’infame legge europea sul copyright, promossa dal galantuomo tedesco Günther Oettinger. Bavaglio al web: social media e motori di ricerca saranno costretti a bloccare la circolazione di idee scomode. E’ proprio lo stesso Oettinger che disse che sarebbero stati “i mercati”, i signori dello spread, a insegnare agli italiani come votare. Per questo, come cantava Jannacci, è meglio non fidarsi delle lacrime del Re: quello del lupo che si mette a piangere, travestito da agnello, è uno spettacolo esteticamente osceno, prima ancora che ipocrita sul piano politico.«E sempre allegri bisogna stare», cantava Jannacci, «ché il nostro piangere fa male al Re». Fa male «al ricco e al cardinale», al punto che «diventan tristi se noi piangiam». C’è qualcosa di più insopportabile del vittimismo (grottesco) da parte del potere che “chiàgne e fotte”? Nell’arcaico pantheon medievale evocato dall’immenso cantautore milanese non c’era ancora posto, ovviamente, per il giornalista. Senza contare che allora, nel mitico 1968 – quando quel brano fu composto – erano ancora in circolazione giornalisti veri e propri. Magari non erano infallibili neppure loro, ma si chiamavano Bocca, Biagi, Montanelli. Ciascuno amato o detestato, a seconda delle platee, ma tutti rispettati: non cantavano in nessun coro e, nel caso, “sbagliavano” in proprio, senza prendere ordini dall’editore, dal partito, dall’establihment. Erano i tempi in cui sul “Corriere” scriveva Pasolini. Si era lontani anni luce dalle “carte false” che poi Giampaolo Pansa avrebbe messo alla berlina, denunciando la vocazione al servilismo destinata a rovinare fatalmente il giornalismo italiano, trasformandolo in docile strumento di propaganda.
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Draghi a Mattarella: obbedite, o vi faremo morire di spread
Dallo spread ti può difendere la Bce, a una condizione: il commissariamento sostanziale dello Stato, non più libero di decidere come indirizzare la spesa pubblica. Secondo il “Fatto Quotidiano”, sarebbe questo il piano che Mario Draghi ha esposto a Sergio Mattarella, nei giorni scorsi, al Quirinale. «Si tratta dell’acquisto diretto da parte della Bce di titoli di Stato a breve termine emessi dallo Stato in difficoltà, che però per accedervi deve concordare una sorta di memorandum con il Meccanismo Europeo di Stabilità. Di fatto un commissariamento». Nella sostanza: la Banca Centrale Europea, che continua a non voler emettere “eurobond” a garanzia del debito pubblico dei paesi dell’Eurozona, si appresterebbe a esercitare indebite pressioni – modello Grecia – su un paese come l’Italia, di cui non si tollera la decisione di andare in controtendenza, rispetto al pensiero unico neoliberista di Bruxelles, espandendo il deficit. In una nota, la Commissione Europea “avverte” che la previsione del Def gialloverde (disavanzo al 2,4%) non sarà digerita dall’Ue, anche se Lega e 5 Stelle ritengono indispensabile, quel disavanzo, per cominciare a finanziare reddito di cittadinanza, pensioni più dignitose e taglio del carico fiscale. Misure che, secondo il governo, rilancerebbero il Pil già nel 2019.
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L’inverno nucleare che attende il Pd, con o senza Renzi
«Pensano di essersi liberati di me, ma hanno sbagliato» (Matteo Renzi). Come ha dimostrato chiaramente la reazione del Pd alla strage del ponte Morandi, dopo Renzi è ancora Renzi a dettare la linea. E come al solito punta dritta contro un muro. Se il Pd vuole scampare alla meritatissima estinzione, deve liberarsi immediatamente del Bomba. Speriamo che non lo faccia. Il Pd non è migliore di Renzi. Il Cazzaro non è mai stato, come molti raccontavano, un usurpatore, una metastasi berlusconiana. Renzi è un frutto dell’Ulivo. È la logica conseguenza della deriva strutturale che ha portato il Pci, da sempre verticista, opportunista, settario e securitario, a tradire tutti gli ideali e le speranze dei lavoratori e dei movimenti, inseguire il potere lungo la Terza Via globalista, fondersi coi resti della Democrazia Cristiana – un destino manifesto fin dal Compromesso Storico – e diventare il principale garante dell’establishment, e del capitale.L’Ulivo di Prodi ha svenduto agli squali le aziende di Stato, e col pacchetto Treu ha legalizzato il nuovo schiavismo del precariato. La “ditta” di Bersani, coi governi tecnici, ha smantellato lo Stato Sociale, e lo Statuto dei Lavoratori. Renzi ha finito il lavoro col Jobs Act e la Buona Scuola, mentre cercava di rottamare anche la Costituzione. “Liberi e Ipocriti”, in fuga da Renzi, si sono scelti come padri fondatori Bersani, e il boia di Belgrado. Il “sobrio” Gentiloni ha controfirmato la dottrina Minniti che finanzia i campi di concentramento libici. Tutto il cosiddetto centrosinistra condivide questa marcescenza, di cui il renzismo è solo lo stadio terminale. In Renzi però si vede più che in chiunque altro. Renzi è uno sprezzante, grassoccio principino che ancora si rifiuta di vedere quanta rabbia giustificata susciti il semplice apparire del suo stolido faccione in tutti quelli che la sua classe parassitaria ha depredato.Renzi è la pingue, querula personificazione stessa dell’arroganza del potere ereditario; e il cosiddetto centrosinistra, per avere qualche possibilità di sopravvivere al meritatissimo inverno nucleare che l’aspetta, dovrebbe liberarsi immediatamente di lui e dell’Esercito delle Dodici Sceme, le sue fedelissime che ancora infestano talk e social come uniche portavoce. Speriamo che non lo faccia. Renzi si ripete «il futuro prima o poi torna», o qualche altra stronzata motivazionale da meme di Facebook. Sogna di fondare un partito tutto suo. Che prenderebbe meno voti della Lorenzin. Pensa: «Sull’onda del prossimo spread, tornerà il mio momento». Si sbaglia. Non tornerà, come non è tornato quello del suo Yoda, Rutelli. O quello di Claudio Martelli. Era giovane, rampante e in camicia anche lui. Il Bomba è scoppiato. Per sopravvivere al fallout, il Pci/Pd tenterà l’ennesima mutazione. Facciamo che non gli riesca.(Alessandra Daniele, “Cronache del dopo Bomba”, da “Carmilla” del 23 settembre 2018).«Pensano di essersi liberati di me, ma hanno sbagliato» (Matteo Renzi). Come ha dimostrato chiaramente la reazione del Pd alla strage del ponte Morandi, dopo Renzi è ancora Renzi a dettare la linea. E come al solito punta dritta contro un muro. Se il Pd vuole scampare alla meritatissima estinzione, deve liberarsi immediatamente del Bomba. Speriamo che non lo faccia. Il Pd non è migliore di Renzi. Il Cazzaro non è mai stato, come molti raccontavano, un usurpatore, una metastasi berlusconiana. Renzi è un frutto dell’Ulivo. È la logica conseguenza della deriva strutturale che ha portato il Pci, da sempre verticista, opportunista, settario e securitario, a tradire tutti gli ideali e le speranze dei lavoratori e dei movimenti, inseguire il potere lungo la Terza Via globalista, fondersi coi resti della Democrazia Cristiana – un destino manifesto fin dal Compromesso Storico – e diventare il principale garante dell’establishment, e del capitale.