Archivio del Tag ‘Occidente’
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Mare Nostrum, affari loro: migranti, li vuole l’Europa
«Mare Nostrum è una costosa coreografia che sta andando in scena per gestire l’invasione controllata e pianificata che l’establishment sovranazioanale europeo ha ideato per consentire la sostenibilità economica e finanziaria di pensioni e debito pubblico», senza dimenticare «i profitti delle multinazionali dei consumi di massa». Lo sostiene Eugenio Benetazzo, secondo cui «in Europa servono 11 milioni di clandestini entro il 2020». Si tratta in fondo di «nuovi consumatori e lavoratori», naturalmente sottopagati, che «consentiranno di compensare gli effetti negativi di un progressivo invecchiamento della popolazione europea e di un crollo della natalità». Per Benetazzo, non è il caso di parlare di cospirazionismo o complottismo, ma di una vera e propria exit strategy: l’Europa, che finora ha sempre voluto «controllare e commissariare tutto quello di cui aveva paura», o che «doveva essere gestito per l’interesse di qualcuno», è sostanzialmente «rimasta alla finestra, lasciando agli italiani il compito di gestire il tutto», cioè la pressione migratoria dal Sud.Questo, aggiunge Benetazzo nel suo blog, è il principale indizio che fa capire come «quanto sta accadendo non solo va benissimo, ma anzi deve continuare», perché «lasciare il tutto nelle mani degli italiani è la soluzione ideale», secondo Bruxelles, indifferente all’onere rappresentato dalla vigilanza e dal controllo militare del Mediterraneo, di cui si fa carico l’Italia – da sola – con le costose missioni quotidiane di pattugliamento e assistenza, a cura della marina militare. Benetazzo insiste sulla teoria della pianificazione dell“invasione”: molti dei disperati alla deriva sui barconi pagano anche 5.000 euro per attraversare il Sahara e poi il Canale di Sicilia, mentre «se solo avessero un passaporto, potrebbero atterrare a Roma con un volo di prima classe spendendo meno della metà». Dettaglio: le ondate di boat-people provengono dal Nord Africa della “primavera araba” e da paesi devastati dalla guerra, come la Siria e la Somalia, o da terre come l’Eritrea dove l’Italia supporta una feroce dittatura da cui i giovani fuggono. La grande falla, in ogni caso, è proprio il Maghreb, una volta caduto il regime-gendarme di Gheddafi per mano americana e anglo-francese.«Tutti rimpiangono i vari leader/dittatori che prima governavano i rispettivi paesi», scrive Benetazzo. «Più di tutti si rimpiange Gheddafi, l’uomo che agli inizi degli anni Ottanta aveva intenzione di creare gli Stati Uniti d’Africa, coalizzando e guidando tutti le nazioni del continente, per evitare di subire lo strapotere delle economie occidentali: per questo faceva paura, non perchè era un dittatore ma perchè il suo carisma e leadership potevano portare ad un cambio di svolta epocale per l’Africa e le loro genti». Piano andato in fumo, come si sa, per il fermo ostruzionismo “imperiale” degli Usa, oltre che per «l’egocentricità» di troppi leader africani, dall’ugandese Idi Amin Dada allo stesso Colonnello libico. «Purtroppo – chiosa Benetazzo – con la sua morte sono iniziati i problemi per il Mediterraneo: il controllo che aveva sulla Libia e sulle sue coste rappresentava la miglior garanzia di stabilità sociale per tutti le popolazioni del Mediterraneo». Ora l’invasione non ha più freni, e ricade interamente sull’Italia – come previsto fin dall’inizio, secondo Benetazzo, che accusa direttamente gli strateghi dell’oligarchia europea insediata a Bruxelles.«Mare Nostrum è una costosa coreografia che sta andando in scena per gestire l’invasione controllata e pianificata che l’establishment sovranazioanale europeo ha ideato per consentire la sostenibilità economica e finanziaria di pensioni e debito pubblico», senza dimenticare «i profitti delle multinazionali dei consumi di massa». Lo sostiene Eugenio Benetazzo, secondo cui «in Europa servono 11 milioni di clandestini entro il 2020». Si tratta in fondo di «nuovi consumatori e lavoratori», naturalmente sottopagati, che «consentiranno di compensare gli effetti negativi di un progressivo invecchiamento della popolazione europea e di un crollo della natalità». Per Benetazzo, non è il caso di parlare di cospirazionismo o complottismo, ma di una vera e propria exit strategy: l’Europa, che finora ha sempre voluto «controllare e commissariare tutto quello di cui aveva paura», o che «doveva essere gestito per l’interesse di qualcuno», è sostanzialmente «rimasta alla finestra, lasciando agli italiani il compito di gestire il tutto», cioè la pressione migratoria dal Sud.
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Rwanda, in Italia i veri boia del genocidio: preti e suore
Diffidare dalle definizioni e dalle categorie rigide è d’obbligo, soprattutto quando si parla d’Africa e dei pluriennali conflitti sparsi un po’ su tutto il continente. Emblematico l’esempio del concetto di “guerra etnica”, utilizzato – tanto sul piano istituzionale (locale e internazionale) quanto su quello economico dei grandi colossi multinazionali – per una narrazione spesso molto distante dalla cruda realtà, fatta principalmente di spregevoli interessi economici e geostrategici. È il caso del Rwanda, piccolo fazzoletto di terra africana che nel 1994 ha consegnato all’immaginario collettivo planetario uno dei più abominevoli punti di non ritorno raggiunti dall’umanità. Un orrore inimmaginabile e inenarrabile, durato un centinaio di giorni tra aprile e luglio, di cui si è appena celebrato il ventesimo anniversario. Venti anni attraverso i quali il paese ha faticosamente ricominciato a camminare – nonostante la paura e il sospetto ancora impressi negli occhi di molti ruandesi – ma che non sono stati sufficienti a disvelare, una volta per tutte, implicazioni e responsabilità.Principalmente quelle della Chiesa cattolica, radicate nella storia coloniale e missionaria dell’ultimo secolo, che sono l’oggetto dell’ultima fatica di Vania Lucia Gaito, giornalista e psicologa già autrice del saggio sui preti pedofili “Viaggio nel silenzio” (Chiarelettere, 2008). Nel libro di recentissima pubblicazione “Il genocidio del Rwanda. Il ruolo della Chiesa cattolica” (L’asino d’Oro edizioni, 2014) l’autrice ripercorre approfonditamente le trasformazioni sociali e culturali del secolo precedente al genocidio, rintracciando in esse i prodromi dei cento giorni, per «comprendere i meccanismi che avevano portato a quella cieca volontà di distruzione», individuabili nel connubio tra potere, fede e fanatismo. «Mai come in Rwanda – chiarisce l’autrice nella premessa – la Chiesa cattolica ha fatto scempio della sua stessa dottrina, dei suoi princìpi fondamentali, del suo primo comandamento: ama il prossimo tuo».Ed è forse proprio questo il nodo più difficile da comprendere per chi ha sempre sentito parlare, ieri come oggi, di un conflitto “etnico” in Rwanda: chi accese la fiamma dell’odio, sottolinea Gaito, «non era un hutu, non era un tutsi, non era ruandese. Era bianco». E, si potrebbe aggiungere, europeo, imperialista, imbevuto delle ottocentesche teorie razziste, cattolico. Quando i tedeschi arrivarono a fine Ottocento nel “paese delle mille colline”, racconta l’autrice nella prima parte del libro dedicata alla ricostruzione storica, il concetto di razza era estraneo alla popolazione ruandese. «Lo esportammo così come oggi pretendiamo di esportare il concetto di democrazia. In nome di una presunta missione civilizzatrice, i colonizzatori europei portarono in Africa i propri preconcetti e li imposero a un intero popolo».Con la fine della Prima Guerra Mondiale e la Conferenza di Parigi (Trattato di Versailles, 28 giugno 1919), la Germania lasciava il posto al Belgio sul ponte di comando del piccolo paese africano. La Chiesa locale, guidata dal vicario apostolico monsignor Léon-Paul Classe e assecondata dall’amministrazione belga, avviò un processo di “conversione” della società locale, ottenendo per il cattolicesimo lo status di religione di Stato, stringendo alleanze con la leadership aristocratica tutsi e diffondendo – grazie alle pubblicazioni dei missionari e alla fitta rete di scuole, ospedali e parrocchie con cui i missionari si garantivano il pieno controllo sociale – una nuova dottrina razziale per la quale i tutsi (alti, ricchi e più chiari), rappresentavano l’etnia “superiore” su cui Chiesa e coloni avrebbero investito per il futuro del Rwanda. Quando poi i tutsi alzarono la testa contro i coloni belgi, il corso della storia del piccolo paese africano prese una direzione opposta, proprio perché il potere acquisito dalla Chiesa cattolica, braccio “cultural-spirituale” dell’occupante, cominciò a vacillare.Per continuare a garantirsi una base strategica nel cuore dell’Africa, da fine anni Cinquanta i missionari ribaltarono strategia, presero a denunciare la discriminazione degli hutu, a rivendicarne l’emancipazione e la parità di trattamento, radicalizzando ancor più l’etnicizzazione di un conflitto sociale che nasceva su ragioni di diseguaglianza economica. Protagonista di questo voltafaccia, monsignor André Perraudin, padre bianco svizzero, consapevole, scrive Gaito, «che occorreva rovesciare la monarchia, stabilire alleanze con chi, grato dell’appoggio ricevuto, avrebbe continuato a lasciare il potere, le scuole e gli ospedali nelle mani della Chiesa». E così, nel 1959, nacque il Partito nazionale ruandese, sostenuto dalla monarchia tutsi, che rivendicava l’indipendenza del Rwanda, una riforma agraria e amministrativa e la laicizzazione dell’istruzione.Per tutta risposta fu fondato il Parmehutu (Partito per l’emancipazione degli hutu) – guidato dal segretario di Perraudin e ispirato al Manifesto degli hutu scritto praticamente sotto dettatura del monsignore – che si caratterizzò da subito come partito aggressivo e profondamente razzista. Seguirono due anni di massacri noti come “piccolo genocidio”, una riscossa sociale degli hutu (con 300.000 tutsi uccisi e molti sfollati nei paesi limitrofi, tra cui l’attuale presidente Paul Kagame) per la quale i Padri Bianchi esultavano e gli autori della strage riservavano ai missionari grande riconoscenza. Nel 1961 cadde la monarchia e l’ex segretario del vescovo, Grégoire Kayibanda, guidò la neonata Repubblica fino al 1973, quando un colpo di Stato militare portò al potere il cugino Juvénal Habyarimana, amico della famiglia reale belga, fervente cattolico, che poteva vantare il sostegno di larga parte d’Europa, anche della Francia, che cominciava ad allungare le mani sul Rwanda. Seguì un periodo di soppressione delle libertà fondamentali e il conflitto etnico divenne feroce.Nel 1987 i profughi ruandesi scappati dal “piccolo genocidio” in Uganda fondarono il Fronte patriottico ruandese, con l’obiettivo di rovesciare la dittatura e rientrare in patria, che dette vita ad anni di guerra e di violenze sulle popolazioni hutu. L’odio razziale raggiungeva in quegli anni un punto di non ritorno, e invano furono siglati gli Accordi di Arusha del 1993 con cui doveva nascere un governo di transizione a guida hutu-tutsi. Il governò importò dalla Cina un’ingente quantità di machete che distribuì tra la popolazione. Invano tentarono anche i governi occidentali e le istituzioni internazionali di opporsi alla deriva, chiedendo l’applicazione dei trattati. Poi arrivò l’esplosione dell’aereo presidenziale a sancire che ormai era troppo tardi. Dell’attentato furono incolpati i miliziani del Fronte patriottico. L’intreccio tra odio e panico nella popolazione fece il resto. Furono compilate liste di proscrizione e i cento giorni di massacro ebbero inizio, in strada, nelle scuole, negli ospedali, nelle chiese. Lasciando sulla strada quasi un milione di persone trucidate, principalmente tutsi ma anche hutu “moderati”.La seconda parte del libro traccia il profilo di alcuni protagonisti ecclesiastici di quella vicenda. Una galleria degli orrori tale da far rabbrividire anche il più fantasioso regista di film horror. Ritratti di “uomini di Dio” riemersi, anche recentemente in occasione del ventennale, nell’ambito di interpretazioni del genocidio “non allineate” alle gerarchie cattoliche, ancora colpevolmente lontane dall’ammettere le proprie implicazioni e proclamare il doveroso mea culpa (tra le italiane, quella dell’Espresso e di Adista). Si tratta di preti e suore, amministratori di ospedali e istituzioni pubbliche, che hanno partecipato attivamente e con dedizione alla grande strage e che, una volta concluso il genocidio con la presa del potere da parte del Fronte, sono fuggiti in Europa per evitare la giustizia dei tribunali e vivono ora in parrocchie, impiegati nella catechesi dei bambini e in altre attività sociali, sotto la copertura di diocesi e Vaticano.Tra gli altri, padre Athanase Seromba, a lungo ospite della diocesi di Firenze, accusato di aver accolto duemila tutsi in cerca di protezione, di averli chiusi nella parrocchia e di aver chiamato i soldati che hanno poi abbattuto la chiesa e giustiziato i sopravvissuti al crollo. E padre Emmanuel Uwayezu (protetto dalla diocesi di Firenze e da quella di Empoli), direttore di un collegio ruandese, accusato di aver abbandonato i suoi studenti nelle mani delle milizie hutu. E padre Emmanuel Rukundo, ex cappellano militare, accusato di aver consegnato ai miliziani i tutsi ospitati nel suo seminario. Oppure il padre bianco Guy Theunis, direttore di uno dei principali organi di informazione che, già prima del genocidio, avevano lanciato una campagna di incitazione all’odio etnico. E ancora, per passare al “ramo femminile”, suor Gertrude Mukangango e la consorella Julienne Kizito (soprannominata “l’animale”), complici attive dei massacri; e suor Theophister Mukakibibi, condannata, tra l’altro, per aver gettato un bambino vivo in una latrina.Quello che c’è dopo – il cammino di un popolo che tenta timidamente di fare i conti con il proprio passato e guardare con speranza verso il futuro – è narrato dall’autrice con dovizia di particolari, attraverso interviste, testimonianze, citazioni di articoli di giornale. Il quadro, sul piano dell’assunzione di responsabilità della Chiesa cattolica, a molti anni dalla fine del genocidio, è tutt’altro che incoraggiante: ad ogni livello della scala gerarchica, la Chiesa continua a respingere al mittente le accuse di complicità e a ritenere missionari e vescovi di allora “uomini santi” votati esclusivamente all’edificazione del Regno di Dio. E, nella migliore delle ipotesi, a ignorare e denigrare l’importante operato di quanti, come Vania Lucia Gaito con quest’imprescindibile volume, lavorano incessantemente e faticosamente per portare alla luce una verità scomoda, oscurata dalla Chiesa e troppo spesso glissata anche nelle narrazioni dei grandi media mainstream.(Giampaolo Petrucci, “Le origini del male”, da “Micromega” del 30 giugno 2014. Il libro: Vania Lucia Gaito, “Il genocidio del Rwanda. Il ruolo della Chiesa cattolica”, L’asino d’Oro edizioni, XIII-157 pagine, 12 euro).Diffidare dalle definizioni e dalle categorie rigide è d’obbligo, soprattutto quando si parla d’Africa e dei pluriennali conflitti sparsi un po’ su tutto il continente. Emblematico l’esempio del concetto di “guerra etnica”, utilizzato – tanto sul piano istituzionale (locale e internazionale) quanto su quello economico dei grandi colossi multinazionali – per una narrazione spesso molto distante dalla cruda realtà, fatta principalmente di spregevoli interessi economici e geostrategici. È il caso del Rwanda, piccolo fazzoletto di terra africana che nel 1994 ha consegnato all’immaginario collettivo planetario uno dei più abominevoli punti di non ritorno raggiunti dall’umanità. Un orrore inimmaginabile e inenarrabile, durato un centinaio di giorni tra aprile e luglio, di cui si è appena celebrato il ventesimo anniversario. Venti anni attraverso i quali il paese ha faticosamente ricominciato a camminare – nonostante la paura e il sospetto ancora impressi negli occhi di molti ruandesi – ma che non sono stati sufficienti a disvelare, una volta per tutte, implicazioni e responsabilità.
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Vattimo: vorrei armare Hamas contro i nazisti israeliani
«Israele vuole distruggere definitivamente i palestinesi, è una guerra di puro sterminio. Sono nazisti puri e forse un po’ peggio di Hitler perché hanno anche l’appoggio delle grandi democrazie occidentali». Sembrano scolpite nel marmo, le parole che il filosofo Gianni Vattimo consegna ai microfoni di “Radio24”. «Andrei a Gaza a combattere a fianco di Hamas», aggiunge l’ex europarlamentare. «Direi che è il momento di fare le Brigate Internazionali come in Spagna, perché Israele è un regime fascista che sta distruggendo un popolo intero. In Spagna non era niente in confronto a questo. Questo è un genocidio in atto, nazista, razzista, colonialista, imperialista. E ci vuole una resistenza». Vattimo si spinge oltre: dice che lancerebbe una campagna per raccogliere fondi e consentire ai palestinesi di difendersi, con vere armi, adatte a fronteggiare l’aggressione israeliana. Una voce, la sua, assolutamente isolata, nel grande silenzio che avvolge gli intellettuali, come rileva Renato Rallo: su Medio Oriente e Palestina, ormai, vige la consegna dell’indifferenza.«C’è una nuovissima, meravigliosa avanguardia tra gli intellettuali-de-sinistra (Michele Serra, Christian Raimo, Ida Dominijanni e tanti altri) sul conflitto in Medioriente: gli esaltatori del silenzio», scrive Rallo su “L’Intellettuale Dissidente”. «Laddove l’intellettuale deve sempre necessariamente prendere una posizione, anche solo perchè dovrebbe sapere meglio di tutti che l’imparzialità è un’utopia (o un’omertà), essi invece tacciono, e se ne vantano. Tra gli argomenti, oltre alla già nota “tragedia da entrambe le parti”, la “complessità della situazione”, spunta la geniale novità: la stanchezza. Ebbene sì, gli intellettuali-de-sinistra non prendono più posizione sul conflitto israelo-palestinese perchè sono stanchi della ripetitività della situazione, dell’impotenza, e questa noia li uccide al punto che non riescono neanche più a scrivere due righe sul sionismo». La loro “ipersensibilità filantropica”, aggiunge Rallo, li costringe «ad un silenzio colto, tenebroso, raffinato, ed invita il pubblico a fare altrettanto. Un’elegantissima orazione funebre in onore di un popolo che però, sfortunatamente, ancora deve morire».Non è solo la paura di “uscire dal giro” ad impedire a molti opinion leader di «dire una-parola-una sull’apartheid israeliana, sulle radici di quest’ennesimo episodio di pulizia etnica». Aggiunge Rallo: «Non hanno paura: si stanno solo annoiando». Un “consiglio” ai palestinesi? «Smettetela di morire in modo così banale: non so, magari prima che il vostro corpo venga dilaniato da una bomba, mangiatevi dei coriandoli». Non ha bisogno di incoraggiamenti, invece, il professor Vattimo: proprio lui, teorico del “pensiero debole”, si esprime nel modo più drastico sulla storica controversia, tragicamente rinverdita dalle bombe “intelligenti” di Netanyahu. E denuncia anche il colpevole assenteismo dei media mainstream: «Tutta l’informazione, compresa la stampa italiana, piange sul fatto che c’è una pioggia di missili su Israele. Però Hamas quanti morti ha fatto? Nessuno».Vogliamo parlare dei palestinesi? «I poveretti non hanno armi, sono dei miserabili tenuti in schiavitù, come tutta la Palestina. Hanno dei razzetti per bambini». Meritano di avere la possibilità di difendersi, dice Vattimo: «Voglio promuovere una sottoscrizione mondiale per permettere ai palestinesi di comprare delle vere armi e non delle armi giocattolo. Cominciamo a distruggere il nucleare israeliano, Israele è lo Stato-canaglia che ha il nucleare». Alla domanda se sparerebbe contro gli israeliani, il filosofo ammette: «Io sono un non-violento, però contro quelli che bombardano ospedali, cliniche private e bambini sparerei, ma non ne sono capace». E aggiunge: «Gli ebrei italiani dalla parte di Israele sono gli ex fascisti, che adesso sono dalla parte dell’America. La comunità ebraica italiana è rappresentata da quell’ossimoro che è Pacifici, ma ci sono molti ebrei d’accordo con me. Li c’è uno Stato nazista che cerca di sopprimere un altro popolo. E io ce l’ho con lo Stato di Israele, non con gli ebrei».«Israele vuole distruggere definitivamente i palestinesi, è una guerra di puro sterminio. Sono nazisti puri e forse un po’ peggio di Hitler perché hanno anche l’appoggio delle grandi democrazie occidentali». Sembrano scolpite nel marmo, le parole che il filosofo Gianni Vattimo consegna ai microfoni di “Radio24”. «Andrei a Gaza a combattere a fianco di Hamas», aggiunge l’ex europarlamentare. «Direi che è il momento di fare le Brigate Internazionali come in Spagna, perché Israele è un regime fascista che sta distruggendo un popolo intero. In Spagna non era niente in confronto a questo. Questo è un genocidio in atto, nazista, razzista, colonialista, imperialista. E ci vuole una resistenza». Vattimo si spinge oltre: dice che lancerebbe una campagna per raccogliere fondi e consentire ai palestinesi di difendersi, con vere armi, adatte a fronteggiare l’aggressione israeliana. Una voce, la sua, assolutamente isolata, nel grande silenzio che avvolge gli intellettuali, come rileva Vittorio Ray: su Medio Oriente e Palestina, ormai, vige la consegna dell’indifferenza.
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Una parlamentare: uccidete tutte le madri palestinesi
«Devono morire e le loro case devono essere demolite in modo che non possano portare alla luce altri terroristi. Loro sono tutti nostri nemici e il loro sangue deve essere versato sulle nostre mani. Ciò vale anche per le madri dei terroristi morti». “Loro” sono, semplicemente, i palestinesi. Anzi, le madri dei palestinesi, che hanno la colpa di dare alle luce «piccoli serpenti», cioè neonati, che un giorno potrebbero diventare nemici. Meglio quindi ucciderle tutte, le «madri palestinesi», nel corso di un bell’attacco via terra nella Striscia di Gaza, prima che mettano al mondo altri piccoli mostri. A esprimersi in questi termini, sulla sua pagina Facebook, non è un orco nazista o un serial killer psicopatico, ma una donna. Addirittura, una parlamentare israeliana. Si chiama Ayelet Shaked ed è stata eletta nelle file della “Casa Ebraica”, una formazione politica sionista religiosa che si definisce di destra, e che per alcuni media occidentali è «un partito di estrema destra».Ayelet Shaked, rileva il newsmagazine “Fronte Sud News”, ha espressamente invocato l’uccisione di tutte le madri palestinesi, quelle che partoriscono i «piccoli serpenti» destinati a odiare Israele, lo Stato-prigione che nega loro ogni diritto sottoponendoli a vessazioni quotidiane e durissime repressioni anche in tempo di “pace”, quando cioè non si levano in volo i bombardieri che radono al suolo centinaia di case con dentro le loro famiglie. Le dichiarazioni della Shaked, sottolinea “Sponda Sud”, «sono considerate un vero e proprio invito al genocidio nei confronti dei palestinesi, considerati tutti nemici di Israele e dunque da eliminare». Parole sanguinarie, che ancora nel 2014 hanno libero corso in un paese che dopo decenni non riesce ad ammettere di essere nato, storicamente, dal “peccato originale” della pulizia etnica contro i palestinesi, come ricorda il professor Ilan Pappe, il più importante storico israeliano. Un genocidio avviato molto prima di Auschwitz e poi rimosso dai maggiori leader, tutti ex terroristi ricercati dalle autorità coloniali inglesi prima della Seconda Guerra Mondiale.Contro le sanguinarie parole di Ayelet Shaked, riferisce “Press Tv”, si è scagliato anche il premier turco, Recep Tayyip Erdoğan: «Una donna israeliana ha detto che le madri palestinesi devono essere uccise. Questa donna è un membro del Parlamento israeliano: qual è la differenza tra questa mentalità e Hitler?». Il premier turco ha inoltre accusato Israele di fare del terrorismo di Stato contro i palestinesi nella regione. Parlando in Parlamento, Erdoğan ha anche criticato il silenzio del mondo verso le atrocità commesse da Tel Aviv contro il popolo palestinese, in particolare nella Striscia di Gaza. Se Erdoğan parla anche per ragioni di politica interna – i turchi non hanno dimenticato l’aggressione della marina israeliana contro la Freedom Flotilla che portava aiuti umanitari nella Striscia – colpisce la incredibile sordità della “comunità internazionale” di fronte all’ennesimo massacro ordinato dal governo Netanyahu. Data la situazione, le terribili parole di Ayelet Shaked sono più illuminanti del bagliore dei missili.«Devono morire e le loro case devono essere demolite in modo che non possano portare alla luce altri terroristi. Loro sono tutti nostri nemici e il loro sangue deve essere versato sulle nostre mani. Ciò vale anche per le madri dei terroristi morti». “Loro” sono, semplicemente, i palestinesi. Anzi, le madri dei palestinesi, che hanno la colpa di dare alle luce «piccoli serpenti», cioè neonati, che un giorno potrebbero diventare nemici. Meglio quindi ucciderle tutte, le «madri palestinesi», nel corso di un bell’attacco via terra nella Striscia di Gaza, prima che mettano al mondo altri piccoli mostri. A esprimersi in questi termini, sulla sua pagina Facebook, non è un orco nazista o un serial killer psicopatico, ma una donna. Addirittura, una parlamentare israeliana. Si chiama Ayelet Shaked ed è stata eletta nelle file della “Casa Ebraica”, una formazione politica sionista religiosa che si definisce di destra, e che per alcuni media occidentali è «un partito di estrema destra».
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Gaza, strage per il gas: insulto alla memoria di Auschwitz
«Il “nazismo” sionista precede quello tedesco di 30 anni. Il sionismo è un’aberrazione dell’umanità. Israele è il più ignobile insulto esistente alla memoria di sei milioni di ebrei sterminati in Germania». Paolo Barnard, autore del saggio “Perché ci odiano” sul risentimento arabo contro il brutale colonialismo occidentale e sionista – condanna senza mezzi termini l’ennesima operazione di pulizia etnica che le truppe di Tel Aviv stanno conducendo a Gaza sparando nel mucchio e colpendo donne, vecchi e bambini. La musica è sempre la stessa: «Dobbiamo dire ai palestinesi dei territori occupati che non esiste soluzione per loro, continueranno a vivere come cani, e se vogliono possono andarsene», tagliò corto Moshe Dayan nel 1967. Se lo sfratto dei palestinesi prosegue anche oggi con tanta disumanità, aggiunge un osservatore internazionale come Pepe Escobar, dipende anche da un motivo contingente: il colossale giacimento di gas naturale davanti alla costa di Gaza, “la prigione a cielo aperto più grande del mondo”. Sangue in cambio di gas: i palestinesi devono preparasi a lasciare anche Gaza, perché «Israele vuole tutto», anche le loro risorse energetiche.Alla fine, scrive Escobar su “Rt” in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, il premier “Bibi” Netanyahu «ha avuto la sua guerra nuova di zecca». L’Operazione Barriera Protettiva, «ovvero l’attuale pulizia etnica al rallentatore messa in atto a Gaza» dall’esercito israeliano, «è il sogno erotico del primo ministro» di Tel Aviv. Prezioso il pretesto del rapimento di tre studenti israeliani, dopo che l’Anp e Hamas avevano formato un governo unitario in Cisgiordania, mentre il segretario di Stato americano John Kerry «stava portando avanti un gioco ipocrita chiamato “tavolo di pace” tra Israele e Palestina», piano che «come previsto è fallito miseramente». Due palestinesi – non appartanenti ad Hamas – hanno rapito tre coloni adolescenti israeliani mentre facevano autostop di notte vicino a Hebron. «Uno degli autostoppisti in qualche modo è riuscito a chiamare il numero di emergenza della polizia israeliana con il cellulare», così «i rapitori hanno perso la testa e sparato immediatamente ai ragazzi, sbarazzandosi poi dei corpi». La testa in realtà l’hanno persa tutti gli israeliani, continua Escobar: per tre settimane l’esercito ha condotto feroci rastrellamenti, con decina di migliaia di soldati, mentre «i media si sono scatenati, immolando i palestinesi in una pira funeraria di stampo razzista».Ipotesi dietrologica: sono stati gli 007 israeliani a simulare un rapimento condotto da palestinesi, per poi incolpare Hamas e bombardare Gaza? Escobar smentisce: le prove, scrive, puntano alla tribù Qawasmeh della regione di Hebron, storicamente conosciuta come antagonista di Hamas e ostile verso i coloni israeliani. «C’è anche la possibilità che i rapitori volessero usare gli autostoppisti come merce di scambio per la restituzione di prigionieri palestinesi». Quello che conta è che Netanyahu e la sua intelligence, lo Shin Bet, «sapevano fin dall’inizio che i ragazzi erano morti – e chi era responsabile». Ma “Bibi”, semplicemente, «non poteva sorvolare sulla possibilità di sfruttare l’accaduto – durante le tre settimane di folle ricerca – come motivazione per perseguire Hamas nella Zona Ovest e a Gaza, un’operazione già pianificata da tempo». I numeri, aggiunge Escobar, non rendono giustizia all’orribile massacro: in un solo giorno 167 morti, per lo più civili, inceneriti da 30 missili israeliani e sepolti dalle macerie di 200 case distrutte, senza contare gli oltre mille feriti e 1.500 edifici lesionati.In Israele, ovviamente, nemmeno un morto. Un portavoce militare «si è macabramente vantato che Gaza – un campo di concentramento-baraccopoli de facto – stava venendo bombardata ogni 4 minuti e mezzo». Il messaggio: «Che “Bibi” la possa fare franca è tutto ciò che le strade arabe – e di tutto il sud del mondo – devono sapere circa il depositario delle navi da guerra e degli aerei statunitensi in Medio Oriente». Quello che invece pochi sanno, continua Escobar, è che 14 anni fa sono stati scoperti al largo della costa di Gaza 1,4 trilioni di piedi cubi di gas naturale, del valore di almeno 4 miliardi di dollari. Altra “dimenticanza”: durante l’ultima invasione israeliana di Gaza – l’Operazione Piombo Fuso – i giacimenti di gas palestinesi furono confiscati da Israele. Quella “operazione” era già una guerra energetica, come denunciò Nafeez Ahmed. «Bisogna guardare al tutto da fuori», avverte Escobar: «I 122 trilioni di piedi cubi di gas, più i potenziali 1,6 miliardi di barili di greggio del bacino del Levante sparsi nelle acque territoriali di Israele, Siria, Libano, Cipro e ovviamente Gaza: queste acque territoriali sono alacremente contese come quelle del Mar Cinese del Sud. Neanche a dirlo, Tel Aviv le vuole tutte».Per integrare il quadro, «Israele si sta preparando ad affrontare un crescente incubo di sicurezza energetica». E’ coinvolto nell’operazione persino Tony Blair, responsabile politico della falsificazione delle prove sulle “armi di distruzione di massa” di Saddam e ora insider strategico della Jp Morgan: l’ex premier britannico ha proposto di “sviluppare” lo sfruttamento dei giacimenti di gas di Gaza attraverso un accordo tra la British Gas e le autorità palestinesi, escludendo totalmente Hamas e la popolazione di Gaza. «Il modo in cui Gaza è mantenuta come un campo di concentramento, soggetto a violenze di massa ininterrotte, è già abbastanza rivoltante», continua Escobar. In più, «bisogna aggiungere la componente-chiave economica: in tutti i modi possibili a Gaza deve essere impedito di accedere ai giacimenti Marina-1 e Marina-2», i quali «verranno inghiottiti da Israele», che già controlla «tutte le risorse naturali palestinesi – acqua, terra ed energia». Ecco il “segreto” dell’Operazione Barriera Protettiva: «Senza schiacciare Hamas, che controlla Gaza, gli israeliani non potranno trivellare la costa». Per Israele, quindi, i palestinesi vanno sfrattati da Gaza.Secondo Michael Klare, «la nuova, ininterrotta e collettiva aggressione a Gaza è soprattutto una guerra energetica che versa sangue in cambio di gas». Tutto questo, naturalmente, può avvenire senza che il resto del mondo lo impedisca, anche grazie al consenso che il mainstream ha sempre assicurato al colonialismo israeliano, fingendo di non sapere che la fine della secolare convivenza pacifica tra ebrei e arabi in Palestina è stata imposta unilateralmente dai sionisti, decisi a ottenere l’esclusiva sulla Terra Santa anche a prezzo del bagno di sangue. La pulizia etnica, avviata tre decenni prima di Auschwitz, secondo il grande storico israeliano Ilan Pappe è “il peccato originale di Israele”, sempre sottaciuto dai media. E’ Paolo Barnard a ricordare le terribili parole contenute nelle memorie di David Ben Gurion, padre dello Stato ebraico: «C’è bisogno di una reazione brutale», scriveva Ben Gurion nel 1948. «Dobbiamo essere precisi su coloro che colpiamo. Se accusiamo una famiglia palestinese non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti. Dobbiamo fargli del male senza pietà, altrimenti non sarebbe un’azione efficace».«Gli inglesi – disse nel 2000 il futuro presidente israeliano Chaim Weizmann – ci hanno detto che in Palestina ci sono dei negri, gente di nessun valore». E’ un destino di sangue, deciso a tavolino e imposto al mondo, per il quale i palestinesi di Gaza sono ancora oggi dei “negri” senza diritti. E’ storia: il sionista Yossef Weitz, continua Barnard, aveva preparato una lista dettagliata dei villaggi palestinesi da distruggere, «coi nomi e cognomi di uomini, donne e bambini disarmati, e questo anni prima dei Protocolli di Wannsee compilati dai nazisti per sterminare gli ebrei in Europa». La coscienza israeliana viene mantenuta in letargo da una disinformazione martellante, nonostante la rivolta civile di molti israeliani che si oppongono al militarismo, intellettuali e pacificisti, studiosi, veterani dell’esercito come i “Refuseniks” che si rifiutano di partecipare a operazioni di sterminio della popolazione palestinese. Già nel 1948, un uomo come Aharon Ciszling, ministro del primo governo del neonato Stato di Israele, rifletteva amaramente: «Adesso anche gli ebrei si sono comportati (contro i palestinesi) come i nazisti, e tutta la mia anima ne è turbata». Oltre mezzo secolo dopo, la politica di Israele non è cambiata. Ora tocca a Gaza, che ha la “colpa” di essere affacciata su un mare di gas.«Il “nazismo” sionista precede quello tedesco di 30 anni. Il sionismo è un’aberrazione dell’umanità. Israele è il più ignobile insulto esistente alla memoria di sei milioni di ebrei sterminati in Germania». Paolo Barnard, autore del saggio “Perché ci odiano” sul risentimento arabo contro il brutale colonialismo occidentale e sionista, condanna senza mezzi termini l’ennesima operazione di pulizia etnica che le truppe di Tel Aviv stanno conducendo a Gaza sparando nel mucchio e colpendo donne, vecchi e bambini. La musica è sempre la stessa: «Dobbiamo dire ai palestinesi dei territori occupati che non esiste soluzione per loro, continueranno a vivere come cani, e se vogliono possono andarsene», tagliò corto Moshe Dayan nel 1967. Se lo sfratto dei palestinesi prosegue anche oggi con tanta disumanità, aggiunge un osservatore internazionale come Pepe Escobar, dipende anche da un motivo contingente: il colossale giacimento di gas naturale davanti alla costa di Gaza, “la prigione a cielo aperto più grande del mondo”. Sangue in cambio di gas: i palestinesi devono preparasi a lasciare anche Gaza, perché «Israele vuole tutto», anche le loro risorse energetiche.
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Chiesa: Kiev, i massacri della storia scritta dai vincitori
Mentre il neogoverno europeo dell’Ucraina (che credevamo occupata da Putin e scopriamo occupata dalla Nato) sta massacrando definitivamente i russi suoi cittadini che vivono nel Donbass (già venduto alla Shell tutto intero da Yanukovic, che credevamo un “uomo di Mosca” e invece era un uomo della Shell), mi vengono alla mente episodi lontani che ho avuto la sorte di vedere mentre avvenivano. Penso a quell’8 dicembre 1991, quando le agenzie del mio ufficio di corrispondenza di Mosca cominciarono a battere la notizia che l’Unione Sovietica aveva “cessato di esistere”. Lo decisero tre ometti, ubriachi di vodka e di potere, che non avevano la minima idea di quello che stavano facendo e delle onde lunghe e grandi che alzavano e che si sarebbero rovesciate, anche dopo molti decenni, su tutte le spiagge del pianeta. Ho già scritto qui queste righe, scoprendo che qualche lettore le interpretava come segno di “nostalgia”, di una qualche “mia” nostalgia. Niente affatto. E’ una constatazione.Ci sono atti politici che hanno enormi conseguenze. Che spesso non si vedono (non le vedono coloro che li compiono). La differenza tra i leader politici è che ve ne sono di totalmente incapaci di calcolare gli effetti di ciò che fanno. Oppure che sono del tutto indifferenti a tutto ciò che fuoriesce dai confini modesti dei loro interessi contingenti. Io penso che in quell’8 dicembre 1991 si posero le basi per il massacro dei russi di Ucraina di oggi. Lo penso oggi, ma lo pensai anche allora. E posso dirlo perché lo scrissi. In un libro che in Italia passò quasi inosservato, che si intitolava “Russia Addio!”. Quel libro fu pubblicato anche per il pubblico russo. Con lo stesso titolo: “Proshchai Rossija!”. Il libro fu letto, in Russia, da decine di migliaia di persone. Lo lesse tutta l’élite politica. Fui attaccato, allora, dai liberali democratici filo-occidentali e dai comunisti sovietici ultra ortodossi. Per motivi opposti, naturalmente.Da osservatore straniero fui l’unico che ebbe il coraggio e la libertà intellettuale di dire tutta la verità che, con quel gesto, si spalancava davanti alla Russia (quella che si poteva immaginare e intuire, ovviamente). In tutti questi anni – ne sono passati 23 – nessuno degli scrittori russi, dei giornalisti russi, degl’intellettuali russi, ha avuto la forza di raccontare, neanche a posteriori, ciò che poteva essere visto già allora. C’è ovviamente un’enorme pubblicistica in merito: memorie, racconti, romanzi, tomi, cronache, interviste. Ma una visione d’insieme manca ancora. E la ragione è semplice: quasi nessuno di coloro che videro, agirono, assunsero responsabilità, può raccontare senza censurarsi. Questo in Russia. In Occidente tutta quella storia è stata raccontata dai “vincitori”. Ed è ovviamente falsa. E, essendo falsa, produce conseguenze catastrofiche nei comportamenti dei dirigenti di oggi. Quelli che prendono le decisioni di oggi. E che, per la loro ignoranza, per la loro superficialità, provocano i massacri di oggi. E di domani.(Giulietto Chiesa, “Ucraina, la storia secondo i vincitori e i massacri di oggi”, da “Il Fatto Quotidiano” del 6 luglio 2014).Mentre il neogoverno europeo dell’Ucraina (che credevamo occupata da Putin e scopriamo occupata dalla Nato) sta massacrando definitivamente i russi suoi cittadini che vivono nel Donbass (già venduto alla Shell tutto intero da Yanukovic, che credevamo un “uomo di Mosca” e invece era un uomo della Shell), mi vengono alla mente episodi lontani che ho avuto la sorte di vedere mentre avvenivano. Penso a quell’8 dicembre 1991, quando le agenzie del mio ufficio di corrispondenza di Mosca cominciarono a battere la notizia che l’Unione Sovietica aveva “cessato di esistere”. Lo decisero tre ometti, ubriachi di vodka e di potere, che non avevano la minima idea di quello che stavano facendo e delle onde lunghe e grandi che alzavano e che si sarebbero rovesciate, anche dopo molti decenni, su tutte le spiagge del pianeta. Ho già scritto qui queste righe, scoprendo che qualche lettore le interpretava come segno di “nostalgia”, di una qualche “mia” nostalgia. Niente affatto. E’ una constatazione.
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Fini: io sto col Male, gli apostoli del Bene sono macellai
Nell’orgia di retorica seguita alla scomunica dei mafiosi, del tutto priva di significato nella sua genericità, è passata inosservata una frase di Papa Bergoglio: «Chi non adora Dio di conseguenza adora il Male». Frase di una gravità inaudita che non può essere «voce dal sen fuggita» perché detta da uno che sa, o dovrebbe sapere, quel che dice. Io non adoro Dio, semplicemente non credo alla sua esistenza. Ma se mai ci credessi penserei che è un sadico perché ha creato l’uomo, l’unico essere vivente ad avere una lucida consapevolezza della propria fine. Un essere tragico. «La sola scusante di Dio è di non esistere» ha scritto Baudelaire. Ed è la cosa più misericordiosa che si possa dire nei confronti di questo Soggetto. A me questi adoratori di Dio, soprattutto del Dio monoteista, sia esso ebreo, cristiano o musulmano, cominciano a stare profondamente sulle palle. Dimenticano con troppa disinvoltura le infamie di cui si sono coperti.Gli ebrei con la pretesa di essere “il popolo eletto da Dio” hanno fondato quel razzismo di cui in seguito diverranno tragicamente vittime. Ma almeno non hanno mai avuto mire espansive. In quanto agli altri due “adoratori del Dio unico” hanno distrutto, al seguito dei propri eserciti, intere popolazioni e culture, più miti, da quelle dell’America precolombiana a quelle dell’Africa centrale. Prima che, nel 1789, entrasse in campo un’altro Dio, questa volta laico, anzi una Dea, la Dea Ragione, le guerre di religione sono state le più spietate. Il Medioevo europeo era cristiano, ma essendo la grande maggioranza della popolazione contadina, oserei dire che, nella gente comune, era un cristianesimo che tendeva al pagano, all’animismo, un po’ come per le popolazioni dell’Africa nera. Le guerre le facevano i professionisti, i cavalieri. Ma furono guerre ridicole.A parte casi limite, come la battaglia di Anghiari (1440), resa famosa da un abbozzo di Leonardo, dove su undicimila combattenti si sarebbe avuto, a detta di Machiavelli, un solo morto (le stime, più attendibili, di Flavio Biondo parlano di sessanta caduti) o come quella di Bremule (1119) dove i morti furono tre o come quella guerra che, a leggere le cronache, «imperversò un anno in Fiandra» dopo l’assassinio di Carlo il Buono (1127), ma in cui caddero sette cavalieri dei quali uno solo in combattimento, è assodato che il bilancio di quasi tutti i conflitti medioevali si riduce a poche centinaia di morti. C’è però un’eccezione, il 1500, il “secolo di ferro” caratterizzato dalle guerre di religione. Nella sola “notte di San Bartolomeo” (1572) furono uccisi 20 mila ugonotti. E ce ne vuole di ferocia per fare un tale massacro all’arma bianca. Ma è solo un esempio, fra i tanti.Adesso ci sono guerre, mezzo di religione e mezzo di potere, fra sunniti e sciiti in Iraq, causate dall’intervento militare del 2003 dei pii protestanti americani («Dio protegga l’America», e perché non il Burkina Faso?) e guerre di religione in Nigeria fra gli estremisti islamici di Boko Aram e altri islamici il cui obbiettivo finale è però l’Occidente (Boko Aram significa letteralmente «L’educazione occidentale è peccato»). In queste guerre ci vanno spesso di mezzo anche i cristiani. La cosa non mi commuove. Non dovevano andare, loro o i loro predecessori, animati da spirito missionario, dallo spirito del Bene, in luoghi che non li riguardavano affatto. Io temo il Bene perché, rovesciando la famosa frase di Ghoete, «operando eternamente per il Bene realizza eternamente il Male». Preferisco il Male che si presenta come tale. Io sto col Male.(Massimo Fini, “Io sto col Male”, da “Il Fatto Quotidiano” del 26 giugno 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”).Nell’orgia di retorica seguita alla scomunica dei mafiosi, del tutto priva di significato nella sua genericità, è passata inosservata una frase di Papa Bergoglio: «Chi non adora Dio di conseguenza adora il Male». Frase di una gravità inaudita che non può essere «voce dal sen fuggita» perché detta da uno che sa, o dovrebbe sapere, quel che dice. Io non adoro Dio, semplicemente non credo alla sua esistenza. Ma se mai ci credessi penserei che è un sadico perché ha creato l’uomo, l’unico essere vivente ad avere una lucida consapevolezza della propria fine. Un essere tragico. «La sola scusante di Dio è di non esistere» ha scritto Baudelaire. Ed è la cosa più misericordiosa che si possa dire nei confronti di questo Soggetto. A me questi adoratori di Dio, soprattutto del Dio monoteista, sia esso ebreo, cristiano o musulmano, cominciano a stare profondamente sulle palle. Dimenticano con troppa disinvoltura le infamie di cui si sono coperti.
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Non è stato un incidente: chiedetevi perché sono morti
Cos’hanno in comune Olof Palme, Patrice Lumumba, la principessa Diana, il dottor David Kelly, Robin Cook, Yasser Arafat, Slobodan Milosevic e Hugo Chavez? E i musicisti che si sono opposti alla macchina da guerra occidentale, come ad esempio Jimi Hendrix, Jim Morrison, Bob Marley, John Lennon e Michael Jackson? Potrebbero essere stati uccisi anche per le loro teste, oltre che per le loro voci troppo indipendenti? Nonostante le prove indichino che sì, sarebbe possibile, pochissime persone sono disposte ad avventurarsi da quelle parti, compresi i tanti professionisti il cui compito sarebbe invece quello di farlo. E questo gli assassini lo sanno benissimo. Le prove (sia forensi che confidenziali) che sono state accumulate nel corso dei decenni, indicano che le morti di decine di influenti figure pubbliche occidentali, che si credeva fossero naturali o frutto di sfortunati incidenti, erano invece degli omicidi politici.Senza quasi eccezione, questi omicidi erano stati progettati e realizzati da forze che si nascondevano nelle zone grigie dei servizi segreti militari dei paesi Nato, scrive Tony Gosling su “Rt” in un servizio ripreso da “Come Don Chisciotte”. Per secoli, le parti in conflitto erano ben consce di come “un’onesta carneficina” sul campo di battaglia fosse la cosa migliore da fare, «ma dopo due guerre mondiali e l’insediamento dei filo-nazisti fratelli Dulles al Dipartimento di Stato Usa e alla Cia, tutto questo è cambiato: il complesso militar-industriale che essi hanno contribuito a creare è stato reso pressoché inattaccabile», grazie al mondo «colossale e segreto» delle comunicazioni strategiche, «più correttamente definito come “industria della propaganda”». La verità è che «viviamo in un’epoca in cui i media occidentali sono stati virtualmente fagocitati dagli interessi bancari e militari». E la Nato, che dovrebbe avere carattere difensivo, «grazie ai suoi eserciti ed ai suoi contractor privati (che fomentano carneficine in tutto il mondo)» è diventata una sorta di “Napoleone nucleare”, «che sta rendendo sempre più vicino il giorno in cui queste meravigliose armi potrebbero essere nuovamente utilizzate».La regola, aggiunge Gosling, è che «vanno bene solo i politici malleabili e “approvati” dalle multinazionali». Gli altri, vengono sabotati o addirittura eliminati fisicamente. «Per cominciare, sono stati assassinati i veri combattenti per la libertà, come ad esempio il congolese Patrice Lumumba». Un ufficiale dell’intelligence britannica in pensione, Daphne Park, ha ammesso solo nel 2013 che Lumumba fu quasi certamente assassinato dallo MI6, lo spionaggio inglese. Il laburista Robin Cook, ex ministro degli esteri britannico, si dimise subito prima dell’invasione militare dell’Iraq, nel marzo 2003. Negli anni successivi, preparandosi a guidare i laburisti nell’inevitabile dopo-Blair, aveva regolarmente condannato le azioni del premier e di Bush. Un giorno, nell’agosto 2005, mentre camminava con la moglie sulla montagna di Ben Stack, fu colpito da un “attacco di cuore”. Un elicottero militare che si esercitava in quella zona lo caricò a bordo per portarlo in ospedale. «Alla moglie Gaynor e ad un “misterioso soccorritore” che si trovava a passare da quelle parti non fu concesso di accompagnarlo», scrive Gosling. «Si dice che Cook sia morto in elicottero, nel volo verso l’ospedale».Il leader laburista predecessore di Blair, John Smith, morì anch’egli a causa d’un improvviso attacco di cuore. Molti – rileva il giornalista di “Rt” – sospettarono che la morte in realtà fu “indotta”, come sostenne ad esempio un fotografo che aveva parlato con le persone che erano in ospedale, quando Smith fu dichiarato morto. «I politici britannici tuttavia, restarono in silenzio, per timore di sconvolgere la sua famiglia». Dal Regno Unito al Medio Oriente: «E’ ormai chiaro che anche il leader palestinese Yasser Arafat fu avvelenato, probabilmente dagli israeliani, con il polonio radioattivo, proprio come la spia russa (e scrittore) Alexander Litvinenko». Uno studio di Frances Mossiker dimostra che l’uso segreto del polonio prova il ritorno in auge, negli ambienti elitari, di quelle azioni fuorilegge che, a titolo d’esempio, contribuirono a fomentare, a suo tempo, la Rivoluzione Francese. Altro caso, quello di Slobodan Milosevic: nel 2006, dopo aver cominciato a difendersi in modo determinato, anche l’ex presidente jugoslavo fu vittima di un “attacco di cuore”. Si sospetta però che sia morto a causa dell’avvelenamento del suo cibo, nella cella che occupava presso il Tpi, il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, una corte che «dovrebbe costituire un esempio luminoso per tutto il mondo» ma invece «rappresenta solo una versione farsesca della giustizia», con verdetti che obbediscono ai diktat Nato. «Dopo l’esperienza di Milosevic, si può capire perché i detenuti potrebbero fare lo sciopero della fame, quando arrivano all’Aja».Altra situazione ricorrente, l’incidente stradale: «Con i computer di bordo a comando diretto, di cui sono dotati molti veicoli moderni, gli incidenti d’auto sono diventati terribilmente facili da creare», spiega Gosling. La principessa Diana era sopravvissuta al famoso incidente dell’agosto del 1997, visto che la relazione dell’ambulanza indicata uno stato di coma molto lieve, ma molti «ritengono che la sua scomparsa sia avvenuta a causa del viaggio in ambulanza verso l’ospedale, che fu particolarmente lento». Poi ci sono le “coincidenze” di tipo sanitario: «Hugo Chavez morì di cancro nel 2013, dopo che molti leader sudamericani si erano ammalati della stessa malattia, grossomodo nello stesso periodo. Tanto per citarne qualcuno, il presidente argentino Cristina Fernandez de Kirchner, i presidenti brasiliani Lula e Dilma Rouseff e anche il presidente del Paraguay, Fernando Lugo». Facili sospetti, considerati «tutti i composti cancerogeni ben conosciuti dall’uomo di oggi, dalle sostanze radioattive alla diossina». Non ci vuole molta immaginazione per inventarsi un cocktail letale da somministrare all’ignara vittima. E non tutti sono coriacei come Fidel Castro, che si considera scampato a non meno di 600 attentati organizzati dalla Cia.Un capitolo sterminato riguarda la misteriosa morte delle rockstar, al culmine della loro (spesso brevissima) vita spericolata. Credevamo che se la fossero cercata, visto «il loro malsano appetito per le droghe e per la vita estrema», ma ora emergono anche motivazioni politiche, continua Gosling: Alex Constantine, nel libro “The Covert War Against Rock”, spiega che alcuni di loro – come la leggenda della chitarra Jimi Hendrix, veterano del Vietnam e contrario a quella guerra – furono visti come una minaccia per lo sforzo bellico». Si sospetta che Jim Morrison, il cui corpo fu spostato quasi certamente da una discoteca ad un bagno, sia stato assassinato nell’ambito di un preciso programma della Cia, conosciuto come “Cointelpro”. Con un seguito a livello mondiale, alla guida dei Doors, Morrison «era particolarmente pericoloso per l’establishment militare», anche perché suo padre George era un ammiraglio: «Comandante della flotta statunitense nel Golfo del Tonchino, era responsabile del progetto per gli attacchi “false flag” contro le navi americane, simulando che provenissero dal Vietnam del Nord». Le bugie dell’ammiraglio George Morrison, proposte in tutto il mondo, divennero la base per giustificare la guerra del Vietnam. Non era rassicurante che in famiglia ci fosse un figlio come Jim, strenuo oppositore di quel conflitto.L’affermazione “la polizia non considera questa morte come sospetta” sembra essere diventata la tipica firma inglese sugli omicidi del 21° secolo, una formula perfetta per sviare le indagini. E’ stata impiegata per “spiegare” la morte di un testimone-chiave, Sean Hoare, che doveva deporre nel luglio del 2011 contro Andy Coulson, portavoce del premier David Cameron. Il secondo testimone era David Smith, “suicidatosi” nell’ottobre del 2013. «Fu per anni l’autista di Jimmy Savile, forse il peggior pedofilo mai esistito in Gran Bretagna, molto amico del primo ministro conservatore Margaret Thatcher e del Principe Carlo». Per Gosling, «il fallimento della stampa, che ha mancato di interrogarsi su queste due morti, è pari solo all’indebolimento del sistema (una volta robusto) costituito dai coroner indipendenti, il cui lavoro, nell’ultimo millennio, è stato quello d’indagare su tutte le morti sospette. Ma, se sono onesti, i coroner vengono fermati». Il coroner di Bristol, Paul Forrest, dichiarò al “Bristol City Council” che i corpi si stessero “accumulando” negli obitori: fu prima sospeso e poi licenziato, sostituito da un collega più accomodante.Un’altra specializzazione dei killer-ombra consiste nel «seppellire per conto del Fmi i migliori documentaristi del mondo», continua Gosling, citando il caso della Libia: per vent’anni i media hanno ripetuto che Gheddafi doveva essere deposto, senza mai ricordare che, dopo aver liberato i libici dal debito con Fondo Monetario Internazionale, il Colonnello «stava guidando un movimento pan-africano per introdurre una moneta continentale, l’“African Gold Dinar”, che prometteva di liberare l’intero continente dal Fmi». Non mancarono testimonti attenti: nel 1996, “Channel 4 Dispatches” trasmise un documentario prodotto da “Fulcrum Tv”, e intitolato “Murder in St. James”. «Quel documentario – ricorda Gosling – dimostrava che la poliziotta londinese Yvonne Fletcher fu uccisa da un colpo che quasi certamente non proveniva dall’ambasciata libica, come invece sosteneva il governo britannico, ma da un edificio posto sull’altro lato della piazza, affittato dai servizi di sicurezza britannici».Allo stesso modo, nel 1994 la “Hemar Enterprises” realizzò, per la stessa emittente, “The Maltese Double Cross”, che accusava la Cia di aver manomesso la scena del crimine, «con la seria possibilità che sia stata essa stessa ad aver posto la bomba a bordo del volo “Pan Am 103”, che esplose mentre transitava sul cielo di Lockerbie, in Scozia, nel 1988». Lo scopo possibile? Uccidere agenti che stavano tornando negli Stati Uniti e che dovevano riferire su operazioni relative al traffico illegale di droga. Hemar Allan Francovich, produttore e regista della “Hemar Enterprises”, realizzò una serie di documentari che svelava le operazioni “coperte” della Cia. Manco a dirlo, morì per un “attacco di cuore” in circostanze misteriose, nell’area doganale dell’aereoporto di Houston, nel 1997. Dunque non furono i libici, come pare ormai certo, a uccidere la poliziotta Yvonne Fletcher, né fu l’agente libico Abdelbaset al-Megrahi a posizionare la bomba a bordo del volo “Pan Am 103”, esploso a Lockerbie.«Nessuna di queste accuse è stata provata», e tutta la stampa di Londra «ha cancellato dalla memoria collettiva i due documentari della “Channel 4 Dispatches”, che dimostravano la veridicità delle versioni alternative». Così, «negando i fatti descritti in quei documentari e garantendo che niente di simile potrà mai essere nuovamente trasmesso, i media di Londra hanno posto il paese su un percorso verso il totalitarismo». E’ accaduto anche negli Usa dopo l’11 Settembre e in Gran Bretagna dopo gli attentati del 2005 a Londra: i documentari “Loose Change” e “Ludicrous Diversion” sono stati diffusi solo su Internet. Nel frattempo, il boia occulto è sempre all’opera, come dimostrano gli omicidi del biologo David Kelly, dipendente del Ministero della Difesa britannico e coinvolto nella questione delle armi biologiche in Iraq, e del crittografo Gareth Williams in forza al Government Communications Head-Quarters (Gchq). Omicidi «negati ai più alti livelli della politica, della polizia e della magistratura», grazie ai quali «si è diffuso un clima di paura, in cui chi pone troppe domande rappresenta una “minaccia” e può aspettarsi di essere “trattato allo stesso modo”».Le istituzioni elitarie e gli stessi media – accusa Gosling – sono farciti di codardi e fenomeni da baraccone: «Anche se non sanno come si fa a governare un paese, le élite occidentali sanno però benissimo come si fa ad uccidere». Conclude il giornalista di “Rt”: «La prossima volta che vedrete un politico, un musicista o un opinionista che sfida il “consensus” Nato-Israele e che cade nel fiore degli anni, ricordate a voi stessi che l’aspettativa di vita queste vittime era più lunga che mai, se non avessero lanciato la sfida. E non aspettatevi che la polizia o i media nazionali pongano tutte le domande del caso ai “poteri costituiti”: non è compreso nel loro stipendio». In compenso, ci sono i documentari su Internet, realizzati da autori coraggiosi e capaci di denunciare i peggiori crimini. Non ci resta che condividerli «con il resto del mondo, con i poliziotti onesti e con il meglio di ciò che resta del giornalismo investigativo».Cos’hanno in comune Olof Palme, Patrice Lumumba, la principessa Diana, il dottor David Kelly, Robin Cook, Yasser Arafat, Slobodan Milosevic e Hugo Chavez? E i musicisti che si sono opposti alla macchina da guerra occidentale, come ad esempio Jimi Hendrix, Jim Morrison, Bob Marley, John Lennon e Michael Jackson? Potrebbero essere stati uccisi anche per le loro teste, oltre che per le loro voci troppo indipendenti? Nonostante le prove indichino che sì, sarebbe possibile, pochissime persone sono disposte ad avventurarsi da quelle parti, compresi i tanti professionisti il cui compito sarebbe invece quello di farlo. E questo gli assassini lo sanno benissimo. Le prove (sia forensi che confidenziali) che sono state accumulate nel corso dei decenni, indicano che le morti di decine di influenti figure pubbliche occidentali, che si credeva fossero naturali o frutto di sfortunati incidenti, erano invece degli omicidi politici.
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Basta diktat dagli Usa, la Cina avrà la sua Banca Mondiale
Basta con l’egemonia di Wall Street, la Cina vuole una sua Banca Mondiale orientata da Pechino e non dal capitale finanziario occidentale. Mentre gli Stati Uniti premono sulla Russia con l’escalation in Ucraina e minacciano di accerchiare la Cina spostando nel Pacifico la loro flotta da guerra dopo aver imbrigliato l’Europa nella tela atlantica con il Ttip e il Tisa, i trattati segreti su merci e servizi per imporre l’american way of life a colpi di deregulation e privatizzazioni, il gigante asiatico aumenta il suo pressing per creare un’istituzione finanziaria globale in grado di fronteggiare e competere con la Banca Mondiale e l’Asian Development Bank, che Pechino ritiene troppo influenzate dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Nelle ultime settimane, segnala “La Stampa”, la Cina ha proposto di raddoppiare il capitale per l’antagonista della Banca Mondiale a 100 miliardi di dollari. Al momento, secondo il “Financial Times”, sono già 22 i paesi che hanno mostrato interesse nell’iniziativa.«La banca allo studio dovrebbe chiamarsi Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), e dovrebbe puntare inizialmente a costruire la nuova versione della Via della Seta, l’antica strada degli scambi commerciali fra Europa e Cina», scrive il quotidiano torinese. «Fra i progetti anche una ferrovia diretta da Pechino a Baghdad». Per il giornale di New York, «la Cina ritiene di non poter ottenere niente dalla Banca Mondiale o dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e così vuole una sua banca mondiale». E’ molto vasto l’interesse internazionale per l’iniziativa, ma in ogni caso «la Cina è pronta ad andare avanti anche se nessun altro vi prendesse parte». Se gli Stati Uniti arrivano a minacciare anche militarmente l’Eurasia, pretendendo di mantenere l’attuale controllo egemonico sui grandi capitali, la Cina – il maggior creditore dell’America – organizza un’evidente controffensiva, che (d’intesa con la Russia) potrebbe portare all’abbandono del dollaro come moneta internazionale, a favore dello yuan, per le forniture di gas e petrolio.L’Aiib, aggiunge “La Stampa”, sarebbe una sfida per l’Asian Development Bank, che i cinesi valutano troppo influenzata dal Giappone. «Se partisse con 100 miliardi di dollari, Aiib sarebbe già due terzi dell’Asian Development Bank, che può contare su 165 miliardi di dollari». Il Giappone e gli Stati Uniti sono i maggiori azionisti dell’Asian Development Bank, con rispettivamente il 15,7% e il 15,6%, e il presidente dell’istituto è giapponese da quando è stata fondata nel 1966, mentre la Cina controlla appena il 5,5% del colosso finanziario, anche se la sua economia è molto più grande di quella del Giappone. Pechino, che ha organizzato diversi incontri per promuovere l’iniziativa, avrebbe già firmato un apposito “memorandum of understanding” con 10 paesi. Il mondo si avvia ad essere sempre meno americano, a cominciare dal motore dell’economia globale.Basta con l’egemonia di Wall Street, la Cina vuole una sua Banca Mondiale orientata da Pechino e non dal capitale finanziario occidentale. Mentre gli Stati Uniti premono sulla Russia con l’escalation in Ucraina e minacciano di accerchiare la Cina spostando nel Pacifico la loro flotta da guerra dopo aver imbrigliato l’Europa nella tela atlantica con il Ttip e il Tisa, i trattati segreti su merci e servizi per imporre l’american way of life a colpi di deregulation e privatizzazioni, il gigante asiatico aumenta il suo pressing per creare un’istituzione finanziaria globale in grado di fronteggiare e competere con la Banca Mondiale e l’Asian Development Bank, che Pechino ritiene troppo influenzate dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Nelle ultime settimane, segnala “La Stampa”, la Cina ha proposto di raddoppiare il capitale per l’antagonista della Banca Mondiale a 100 miliardi di dollari. Al momento, secondo il “Financial Times”, sono già 22 i paesi che hanno mostrato interesse nell’iniziativa.
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Grillo accusa tutti, tranne i veri colpevoli del disastro
Grillo? Ottimo, anzi pessimo. Ha sparato contro i corrotti di casa, senza però mai – neppure una sola volta, in sette anni – alzare il mirino contro i “mandanti” della grande crisi, di cui i partiti dell’establishment sono i semplici maggiordomi. Netto il giudizio di Federico Zamboni, editorialista del “Ribelle” diretto da Massimo Fini, che si esprime «a sette anni esatti dall’annuncio, nel giugno 2007, del primo V-Day, che poi si svolse il successivo 8 settembre», e a quasi cinque dalla costituzione ufficiale, il 4 ottobre 2009, del “Movimento 5 Stelle”. L’accusa principale: nonostante l’impegno, Grillo non ha saputo affrontare il vero nodo della crisi, che dal 2007 «ha fatto emergere con ancora più forza la questione fondamentale del nostro tempo: il rapporto tra società ed economia “di mercato”». In altre parole, la “guerra” «tra la libertà di autodeterminazione dei singoli governi, e quindi dei rispettivi popoli, e i condizionamenti imposti dal modello dominante, incardinato sugli interessi delle oligarchie che gestiscono la finanza internazionale».In prima linea, sugli schermi, ci sono i soliti partiti, quelli che «si accapigliano su tutto» ma, alla resa dei conti, «non smettono mai di assecondare l’odierno assetto delle democrazie occidentali, sull’asse che lega i vertici di Usa e Ue». Il punto da affrontare, scrive Zamboni in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, è quello della loro credibilità o meno «come rappresentanti degli interessi popolari, nella prospettiva non già di una mera attenuazione nelle iniquità esistenti, ma di un loro superamento». Il che implica, ovviamente, «la rimozione delle cause profonde che hanno determinato tali disparità, che sono talmente forti, deliberate e persistenti da costituire delle vere e proprie ingiustizie». La situazione è ormai talmente grave «da esigere che i responsabili di una sopraffazione così cinica e insistita vengano quantomeno identificati e denunciati con estrema chiarezza, in attesa di poterli neutralizzare come meritano».Puntare il dito contro la “casta” italiana? Non basta: «Si tratta di un’espressione equivoca e fuorviante», perché secondo Zamboni «la chiave di volta del disastro italiano non risiede nel malgoverno esercitato a colpi di privilegi ingiustificati e di autentiche ruberie da codice penale: per quanto gravi, e da sanzionare duramente, queste condotte non sono altro che fenomeni collaterali». Per l’analista del “Ribelle”, «la colpa essenziale, la colpa “storica”, consiste nell’aver lasciato che le sovranità nazionali venissero sacrificate ai diktat finanziari, lanciati ora dalle banche centrali, ora da quello che potremmo definire “il fronte della speculazione”, includendovi tanto gli operatori di Borsa quanto i media più o meno specializzati, le agenzie di rating e ogni altro soggetto che si dia da fare per puntellarne le attività – e il terrificante potere».Grillo? E’ rimasto lontanissimo dalla meta. In questi anni «si è certamente scagliato contro molti degli abusi in corso, mettendo nel mirino anche alcune misure-capestro sovrannazionali come il Fiscal Compact e sollecitando un referendum sulla permanenza dell’euro», ma tuttavia «si è sempre astenuto dal tracciare un quadro complessivo delle sue chiavi di lettura e dei suoi obiettivi», al punto che «a tutt’oggi non è dato sapere, con la dovuta certezza, se lui e il M5S rifiutino il modello neoliberista in quanto tale, o se invece si accontentino di auspicarne una variante migliorativa». Una versione “light” che, «pur introducendo qualche limite all’azione dei privati a caccia di lucro e pur esercitando un controllo assai più stringente sui politici», rischia di restare imperniata sui principi e sui dogmi «dello sviluppo infinito e della ricerca incessante del profitto».«Ciò che resta indefinito, quindi, è proprio l’aspetto cruciale», conclude Zamboni. «E da questo mancato chiarimento derivano, per forza di cose, le contraddizioni e le divergenze anche interne che si sono manifestate soprattutto negli ultimi sedici mesi, dopo il grande successo alle politiche del febbraio 2013 e il massiccio ingresso in Parlamento». Se il movimento si è diviso fra trattativisti e oltranzisti dell’opposizione, oggi deve confrontarsi con l’ultima svolta di Grillo per provare a sfidare il Pd sulle riforme: «Se si tratta di un riposizionamento, che mette fine all’epoca del “Tutti a casa”, allora è una decisione strategica: al posto della rivoluzione, la collaborazione», per di più «con personaggi omologatissimi e infidi alla Renzi». Tutto questo, però, è solo tattica. La domanda a monte resta inevasa: cosa pensa, Grillo, del modello di dominio economico-finanziario che ha sequestrato la sovranità nazionale puntando a far sparire lo Stato (e la democrazia) privatizzando tutto, e arrivando per questo a manomettere la Costituzione?Grillo? Ottimo, anzi pessimo. Ha sparato contro i corrotti di casa, senza però mai – neppure una sola volta, in sette anni – alzare il mirino contro i “mandanti” della grande crisi, di cui i partiti dell’establishment sono i semplici maggiordomi. Netto il giudizio di Federico Zamboni, editorialista del “Ribelle” diretto da Massimo Fini, che si esprime «a sette anni esatti dall’annuncio, nel giugno 2007, del primo V-Day, che poi si svolse il successivo 8 settembre», e a quasi cinque dalla costituzione ufficiale, il 4 ottobre 2009, del “Movimento 5 Stelle”. L’accusa principale: nonostante l’impegno, Grillo non ha saputo affrontare il vero nodo della crisi, che dal 2007 «ha fatto emergere con ancora più forza la questione fondamentale del nostro tempo: il rapporto tra società ed economia “di mercato”». In altre parole, la “guerra” «tra la libertà di autodeterminazione dei singoli governi, e quindi dei rispettivi popoli, e i condizionamenti imposti dal modello dominante, incardinato sugli interessi delle oligarchie che gestiscono la finanza internazionale».
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Ben Gurion, padre di Israele: massacrate donne e bambini
«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle loro terre». Sembrerebbe Hitler, ma non è lui. «C’è bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti». A parlare non è Himmler, non è Goebbels, ma il “padre” dello Stato d’Israele, David Ben Gurion. Obiettivo di queste “raccomandazioni” affidate alle sue memorie: «Ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba». Letteralmente: pulizia etnica. «Quell’uomo – accusa Paolo Barnard – pronunciò quelle agghiaccianti parole 20 anni prima della nascita dell’Olp, più di 30 anni prima della nascita di Hamas, 50 anni prima dell’esplosione del primo razzo Qassam su Sderot in Israele». Problema: la “narrazione” dominante in Occidente ignora questa atroce verità storica in modo sistematico. E’ negazionismo: la stessa infamia che pretende di negare l’abominio di Auschwitz.
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Renzi, atroce imbroglio: la faccia allegra della catastrofe
Quanti disoccupati produrrà la sciagurata privatizzazione della Fincantieri, che sinora proprio perché pubblica ha permesso all’Italia di essere competitiva nella costruzione delle grandi navi, assieme alla Germania? Vogliamo parlare della privatizzazione di Ilva, Telecom, Italtel e Alitalia, dei disastri che hanno prodotto in tutte le direzioni senza un centesimo di guadagno, anzi con gigantesche perdite, per lo Stato? Vogliamo parlare dello scandalo della Fiat delocalizzata e che fugge il fisco, con il governo muto e complice? Quanti nuovi disoccupati e precari produrrà la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione che, dietro la misura demagogica del taglio dei permessi sindacali (che alla fine sarà un boomerang per i suoi autori perché rafforzerà chi lotta sul serio), dietro la propaganda attua il taglio lineare del personale e la deresponsabilizzazione pubblica nella catena degli appalti? E soprattutto quanti disoccupati produrrà la continuazione delle politiche di austerità che già ora hanno creato 7 milioni di senza lavoro?E non si venga a dire che gli 80 euro sono una rottura di questa politica. Chi fa credere questo è in totale malafede. Quell’assegno è stato concordato tra Renzi e Merkel per indorare la pillola del rigore alla vigilia delle elezioni, e verrà restituito con gli interessi, con le tasse i ticket e i tagli ulteriori alla spesa sociale. Però bisogna ammettere che l’operazione gattopardesca per il momento è riuscita. Durante i governi Monti e Letta si parlava sempre più di vincoli europei e di austerità. Ora non se ne parla più, le questioni economiche e sociali vengono dopo il calcio. Si parla di legge elettorale e di abolizione del Senato elettivo, di riforme di tutti i tipi, ma di austerità non si parla più, la si attua e basta. Gli scandali delle grandi opere non provocano più nessuna pubblica discussione sulla loro necessità, ma solo uno stanco ritorno delle campagne di moralizzazione ipocrita e inconcludente, con Renzi naturalmente alla loro testa. Anche Grillo pare esserci cascato in pieno… la crisi economica si risolve con le riforme… Ma va, son venti anni che i liberisti fanno questa propaganda e attuano questa politica e la crisi si aggrava sempre di più.Comunque con ben maggiore efficacia rispetto al suo ammiratore invidioso e frustrato, Berlusconi, Renzi può compiere un’opera di distrazione di massa. Naturalmente non c’è la fa da solo, con lui stanno tutti i poteri forti nazionali e internazionali e un sistema informativo vergognoso, che è saltato sul suo carro come quei giornalisti “embedded” che stavano in Iraq sui carri armati di Bush e raccontavano quelle menzogne che han fatto danno sino ad oggi. Qualcuno parla ancora di Fiscal Compact? Nel nuovo Pd di Renzi che vuol battere i pugni in Europa, qualcuno propone forse di abolire quella mostruosità unica che è il pareggio di bilancio costituzionale? Cameron, quando quella riforma fu approvata, disse che Keynes, cioè lo stato sociale, erano stati messi fuori legge. Nelle elezioni locali qualche candidato del Pd si è forse impegnato a mettere in discussione il patto di stabilità? No di certo, perché Renzi spinge a fare i primi della classe in Europa. Forse anche per questo il vertice europeo torinese è stato rinviato: vuoi mai che per colpa delle parole di qualche sconsiderato burocrate i temi dell’austerità potessero tornare di pubblico confronto?Bisogna depistare e nascondere, noi siamo la seconda cavia di Europa dopo la Grecia. Si mette in atto la stessa politica, ma con un metodo diverso, quello di Renzi. Che si paragona a Obama ma in realtà è un epigono di Blair, che ha distrutto in Gran Bretagna tutto ciò che aveva resistito alla signora Thatcher. Compreso il suo partito. Attenti, sostenitori esultanti e anestetizzati del Pd: alla fine sarà proprio il vostro partito a pagare la politica del suo leader. Intanto però si festeggia e le fragili e tremebonde opposizioni ufficiali di destra e sinistra si inchinano al regime. Berlusconi e la Lega son sempre più parte del gioco. La Cgil ha adottato come massima forma di protesta il borbottio, anche se riceve uno schiaffone al giorno. Grillo dialoga sulle riforme e la lista Tsipras ha già le prime scissioni verso il Pd. Il presidente del consiglio sta sbancando.Eppure, nonostante i clamorosi successi attuali, il progetto di Renzi è destinato a fallire per due ragioni di fondo. La prima è che la crisi economica si trasforma in stagnazione e continuerà così, senza nessuna luce in fondo al tunnel. D’altra parte la politica di Renzi non serve ad uscire dalla crisi, ma solo ad abituarci a convivere con essa. Dobbiamo accettare la disoccupazione di massa e la distruzione dello stato sociale, e imparare a sopravvivere arrangiandoci. Ci dobbiamo rassegnare alla ingiustizia e alla diseguaglianza, questo insegnano il Jobs Act o il feroce articolo 5 del decreto Lupi, che colpisce con crudeltà da Ottocento vittoriano i senza casa. Il punto non è la soluzione della crisi, impossibile con l’austerità, ma la passività sociale. È su questa che contano Renzi e la signora Merkel per andare avanti. Ed è su questo che falliranno.Certo ora sfiducia e rassegnazione sono massimi, mai in Italia si è fatto così tanto danno alle persone con così poche reazioni. Ma questa situazione finirà, il conflitto ripartirà e Renzi rischierà allora di apparire per come lo dipinge il suo unico oppositore televisivo, il comico Maurizio Crozza. La seconda ragione è che l’Europa della signora Merkel che ha benedetto Renzi ha rivelato tutta la sua subalternità e fragilità mondiale. Il governo ucraino con i suoi ministri nazifascisti ha rotto il disegno della Germania di portare l’Europa da essa dominata alla intesa cordiale con Putin e ad una maggiore autonomia dagli Stati Uniti. La nuova guerra, anzi la guerra mai finita in Iraq, rafforza la stessa spinta di fondo. Gli Usa hanno ripreso il controllo del blocco occidentale con la vecchia Nato e ancor di più lo faranno con il Ttip, il patto liberista tra le due sponde dell’Atlantico che vuole trasformare la Ue in appendice di Usa e Canada, mentre di fronte si delinea la nuova alleanza globale di Russia e Cina.Forse non ce ne siamo accorti nel teatrino della nostra politica, ma la globalizzazione è morta, si torna ai grandi schieramenti di potenze e un’Europa indebolita da anni di austerità viene assorbita nel vecchio impero americano. Povero Renzi, che c’entra la sua politica con tutto questo? Nulla, e ancora una volta il conto di un potere politico gattopardesco, che sta indietro rispetto alla realtà del mondo, lo pagheremo tutti noi. Bisogna augurarsi allora che il regime di Renzi non ci metta i venti anni di quello berlusconiano per farci scoprire tutti i suoi danni. Bisogna augurarselo e bisogna agire perché questo regime fallisca il prima possibile. Solo con la sconfitta di Renzi e del renzismo si ridà un futuro a questo paese.(Giorgio Cremaschi, estratto dall’intervento “Facciamo fallire il regime renziano”, da “Micromega” del 20 giugno 2014).Quanti disoccupati produrrà la sciagurata privatizzazione della Fincantieri, che sinora proprio perché pubblica ha permesso all’Italia di essere competitiva nella costruzione delle grandi navi, assieme alla Germania? Vogliamo parlare della privatizzazione di Ilva, Telecom, Italtel e Alitalia, dei disastri che hanno prodotto in tutte le direzioni senza un centesimo di guadagno, anzi con gigantesche perdite, per lo Stato? Vogliamo parlare dello scandalo della Fiat delocalizzata e che fugge il fisco, con il governo muto e complice? Quanti nuovi disoccupati e precari produrrà la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione che, dietro la misura demagogica del taglio dei permessi sindacali (che alla fine sarà un boomerang per i suoi autori perché rafforzerà chi lotta sul serio), dietro la propaganda attua il taglio lineare del personale e la deresponsabilizzazione pubblica nella catena degli appalti? E soprattutto quanti disoccupati produrrà la continuazione delle politiche di austerità che già ora hanno creato 7 milioni di senza lavoro?