Archivio del Tag ‘neoliberismo’
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Ripresa solo nel 2020, quando mendicheremo un lavoro
«Il disastro sociale e civile della Grecia sta diventando una opportunità economica per la finanza internazionale, come la ricostruzione di un paese distrutto dalla guerra. Questa è la ripresa». Vogliamo accelerarla? «Dobbiamo smetterla di frenare il rigore: prima ci autodistruggiamo, prima arriva il momento di ripartire». Parola di Giorgio Cremaschi, che condanna innanzitutto l’atteggiamento della sinistra: «Giorgio Napolitano – afferma l’ex leader della Fiom – rappresenta con il massimo dell’onestà e del rigore una sinistra che ha rinunciato ad essere se stessa». Una sinistra «che ha accettato i dogmi dell’economia liberale e che ora condivide le follie dei trattati e delle istituzioni europee che impongono l’austerità». E’ una sinistra “complice”, in tutto il continente, perché «contribuisce alla distruzione dello stato sociale e dei diritti del lavoro». E soprattutto «si è assunta il compito di spiegare che a tutto questo non c è alternativa», proprio come diceva Margaret Thatcher.
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Cremaschi: rottamare Bruxelles, tutto il resto non conta
Tutta la politica ufficiale si svolge dentro al tragitto predeterminato dal grande capitale, dalla finanza e dallo spread, dal Fiscal Compact, che decidono chi rientra nel recinto della politica ufficiale. Se davvero vogliamo provare a fermare il disastro bisogna rompere questo recinto. E fare dunque una precisa contestazione alle regole del gioco che ci vengono imposte. Grillo e il “Movimento 5 Stelle”, che io a differenza di altri non ho mai demonizzato, e che considero se possibile un interlocutore per molte battaglie, hanno sicuramente svolto un ruolo positivo. Se avessero preso pochi voti e avessimo Bersani trionfante a governare con Monti saremmo in una situazione uguale dal punto di vista dei contenuti ma peggiore dal punto di vista del quadro politico. Hanno cioè avuto la capacità di dare espressione ad una protesta di massa contro il sistema. Ma il “Movimento 5 Stelle” è concentrato solo sulla punta dell’iceberg del sistema di potere che ci governa ed è debolissimo su tutto il resto.
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Letta, mamma Europa e la cinica religione dei super-ricchi
Stati ridotti a colonie, senza più sovranità finanziaria, messi alla frusta dal puro autolesionismo dell’austerity, ferocemente inutile, targato Bruxelles. Eppure, nonostante lo sfascio conclamato della politica europea, Enrico Letta ribadisce la propria fede nell’atroce Unione: «Penso che il 90% del nostro lavoro e dell’efficacia del nostro lavoro, se ci riusciremo, è legato alle scelte europee». E poi: «O è l’Europa nel suo complesso che riesce a farsi accettare non come matrigna ma come madre affettuosa, che aiuta e riesce a mettere in campo iniziative concrete viste dai cittadini come un sostegno, o viene a cadere tutto quello che abbiamo costruito in questi anni». Paolo Bartolini cita Guy Debord (“il vero è ormai diventato un momento del falso”) per comprendere «il livello di ipocrisia a cui è giunta la classe dirigente del nostro paese», che rifiuta di ammettere la verità anche di fronte al disastro sociale più clamoroso, senza precedenti dal dopoguerra.
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La voce del padrone, da Bava Beccaris a Bini Smaghi
Galileo? Un cretino: in effetti non è la Terra a orbitare nello spazio, ma il Sole. Ergo, «l’austerità non è una scelta dettata dalla Banca Centrale Europea». Del resto, lo sanno tutti: Bruxelles e Francoforte sono istituzioni umanitarie. Se ora si è passati alla frusta, la responsabilità è tutta dei governi e della loro incapacità di «introdurre le riforme strutturali capaci di aumentare il potenziale di crescita delle loro economie». A sostenenerlo non è un umorista, ma il fiorentino Lorenzo Bini Smaghi, banchiere centrale europeo fino al 2011 e ora “visiting scholar” ad Harvard e presidente di Snam Rete Gas, nel libro “Morire d’austerità. Democrazie europee con le spalle al muro”. Come dire: Tolomeo rivisitato nel 2013 e doppiato dalla voce del mitico generale Fiorenzo Bava Beccaris, l’uomo che a Milano nel 1898 non esitò a sparare sulla folla degli affamati, facendo a pezzi più di 500 persone. Colpa loro, probabilmente, anche in quel caso.
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Austerità, emergenza umanitaria: 5,8 miliardi le vittime
La chiamano austerità, come se fosse una condizione transitoria, ma è ormai un’emergenza umanitaria che colpisce soprattutto i più deboli, non solo in Europa: si parla di 5,8 miliardi di vittime, in tutto il pianeta. Secondo dati del Fondo Monetario Internazionale, nel 2013 ben 119 paesi del mondo passeranno attraverso pesanti “aggiustamenti” della loro spesa pubblica, e l’anno prossimo il numero di paesi investiti dalle “riforme strutturali” salirebbe a 131, secondo un trend destinato a crescere inesorabilmente almeno fino al 2016. Lo conferma anche uno studio della Columbia University, in collaborazione con il “South Centre”, intitolato “The Age of Austerity”. Obiettivo invariabile: colpire la spesa pubblica, cioè la sovranità democratica degli Stati, sempre più deboli di fronte agli appetiti dei globalizzatori verso le grandi privatizzazioni raccomandate dall’ideologia neoliberista, principale responsabile del disastro planetario in corso.
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Benvenuti all’inferno: oggi Bangladesh, domani Italia
Chi produce gli indumenti che indossiamo lavora per due dollari l’ora. Anzi, lavorava: perché ormai quei due dollari sono “troppi” persino in Cina, dove si fatica senza contributi, senza sanità e senza protezioni ambientali. Così, annuncia Paolo Barnard, le maggiori multinazionali mondiali del manifatturiero se ne stanno andando, dalla Cina: «Vanno in Vietnam, o altrove, dove il costo del lavoro è la metà», perché il margine di profitto delle grandi catene americane ed europee si è ridotto all’1-2%. «Pagando all’origine 2 dollari all’ora per i cinesi, non ci stanno più dentro. Dopo il Vietnam andranno in Sudan, poi faranno lavorare i bambini africani a 50 centesimi al giorno, poi i prigionieri di guerra e i carcerati gratis, poi le anime dell’inferno, e poi dovranno inventarsene un’altra». E’ un fronte spaventoso, le cui ultime notizie arrivano dal Bangladesh: almeno 300 operai sono morti nel crollo di Rana Plaza, una fabbrica fatiscente del sobborgo Dhaka di Savar, dove si confezionavano abiti per Benetton e per catene come Wal-Mart.
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Il sapere ci può salvare, per questo tagliano la cultura
Apprendo con il grande senso di nausea che accompagna, ormai, la lettura dei giornali mattutini, che l’Italia perderà lo spazio espositivo, presso il campo di concentramento nazista di Auschwitz, già chiuso da due anni perché mal curato, vecchio, illeggibile e fuori contesto. Il giorno dopo il 25 Aprile, la notizia appare ancor più nauseabonda, ma in fondo, davvero ci si potrebbe aspettare qualcosa di diverso da questo paese votato all’autodistruzione? Il non attendersi altro è forse già il segno della fine, ma come non essere intellettualmente onesti? Il presidente dell’Aned, ex deportato, fa sapere che nulla potrà essere fatto in mancanza delle sovvenzioni dello Stato italiano. E questa ormai sembra la risposta preconfezionata a qualunque domanda, un po’ come quelle che ricevi dal risponditore automatico di e-mail.
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La tela atlantica: Obama e Letta, governissimo di guerra
L’approdo al governo di Enrico Letta ha molti punti di contatto con il viaggio nel potere di Barack Obama. A molti questo potrebbe apparire come un complimento rivolto a due campioni progressisti. Per chi obamiano non è, come chi scrive, è invece la critica a due conservatori impegnati a salvaguardare creativamente gli interessi dell’Impero, Obama al centro e Letta in periferia. Tralasciamo per ora le scontate differenze fra Usa e Italia, il divario in termini di loro ruolo e peso internazionale, la diversità dei sistemi politici ed elettorali. Quel che interessa qui sottolineare è il fatto che un sistema in profonda crisi di legittimità ha trovato una soluzione “creativa” all’interno delle proprie classi dirigenti. Gli Stati Uniti erano segnati da un “impresentabile” come il presidente Bush. In Italia venivamo da un livello di fiducia nei partiti politici ormai prossimo allo zero.
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Krugman: fine della farsa, solo il deficit ci salva dall’incubo
Sarebbe davvero tanto facile mettere fine alla piaga della disoccupazione? Ebbene sì. Basta aumentare la spesa pubblica a deficit per creare subito posti di lavoro. Problema: «Chi ha il potere in mano non ci vuole credere». Qualcuno di quei potenti, scandisce il Premio Nobel americano per l’economia, Paul Krugman, «ha una sensazione viscerale che la sofferenza sia un bene». Lo dicevano anche alcuni “padri” dell’Eurozona, come l’ex ministro prodiano Tommaso Padoa Schioppa, che auspicava «riforme che vi facciano soffrire». La mania delle élites? Far pagare (a noi) un prezzo per i “peccati” del passato, «anche se i peccatori di allora e chi soffre oggi sono dei gruppi sociali di persone completamente diverse». Qualcuno di quei potenti, accusa Krugman, vede nella crisi una magnifica opportunità per smantellare tutta la rete di sicurezza sociale. «E quasi tutti, nelle élites politiche, prendono le parti di una minoranza benestante che in realtà non sta sentendo molto dolore».
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Macelleria Italia: tagli selvaggi, stipendi ai livelli del 1979
Tagliare gli sprechi della spesa pubblica, gonfiati dalla “casta” del pubblico impiego? Balle: l’Italia è scesa al di sotto della media Ocse per numero di occupati nella pubblica amministrazione. Dal 2006 al 2011, lo Stato ha tagliato 232.000 dipendenti pubblici. Una drastica “spending review” sostanziale, in ossequio all’ideologia neoliberista di Bruxelles, cominciata molto prima delle invettive di Brunetta contro i “pelandroni” o l’allarme scatenato da Grillo. Oltre alla salutare denuncia di sprechi intollerabili, la strana stagione delle crociate contro i privilegi della “casta” ha prodotto il disastro definitivo del tecno-governo “nominato” dalla Troika. A conti fatti, stanno letteralmente “smontando” lo Stato, costantemente sotto ricatto finanziario a partire dall’adesione all’Eurozona. Ora siamo alla “terza fase” dell’austerità, quella senza ritorno: devastazione dell’economia nazionale e, naturalmente, privatizzazione lucrosa dei servizi pubblici, a danno dei cittadini.
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Nato e Bce, con tanti saluti all’Italia (e minacce a Grillo)
Dall’ultra-atlantista Emma Bonino, pronta a tutte le più sanguinose guerre decise da Washington, all’ultra-europeista Fabrizio Saccomanni, direttore di Bankitalia con esperienze sia alla Bce che al Fmi, dopo gli studi alla Bocconi e alla Princeton University. Due ministri-chiave, esteri ed economia, già delimitano in modo inequivocabile il perimetro del secondo “governo Napolitano”, con Letta premier e Alfano vice, più altri mestieranti della nomenklatura: Gaetano Quagliariello alle riforme, probabilmente per una legge elettorale anti-Grillo e un presidenzialismo all’italiana, Maurizio Lupi a infrastrutture e trasporti (leggasi: Tav Torino-Lione), nonché il redivivo Dario Franceschini (rapporti col Parlamento) e i “presentabili” Nuzia De Girolamo (agricoltura), Beatrice Lorenzin (sanità) e l’ex sindaco padovano Flavio Zanonato (sviluppo). Ministri-vetrina: la campionessa Josefa Idem (sport), il direttore della Treccani, Massimo Bray (cultura), il presidente dell’Istat Enrico Giovannini (altro“saggio”, ora incaricato di gestire lavoro e welfare) e la italo-congolese Cécile Kyenge, medico e primo ministro di colore nella storia italiana, delegata all’integrazione.
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Barnard: ci stanno portando in Kosovo, schiavi sottopagati
Il peggio dell’economia a senso unico noi ancora non l’abbiamo subito, anche se siamo sul punto di. Il grande esperimento delle “riforme”, del “rigore”, delle Austerità, fu inflitto come “laboratorio”, a partire dal crollo del muro di Berlino, a tutto l’Est europeo. Quando l’impero sovietico crollò nell’arco di pochi mesi, le porte dell’Est europeo si spalancarono ai falchi del Libero Mercato e dietro di esse c’erano masse di miserabili sbandati disposti a lavorare per pochi centesimi, assieme a intere economie da spolpare. Le élite d’Europa e degli Usa non avevano mai sognato nulla del genere. E’ ovvio che non sto dicendo che le dittature comuniste erano in alcun modo raccomandabili, ma lo sfruttamento di quelle genti che seguì il loro crollo è stato moralmente rivoltante. Qui di seguito alcuni dati scientifici, ma poi anche un dato aneddotico che, a mio parere, vale più di qualsiasi librone.