Archivio del Tag ‘neoliberismo’
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Care Sardine, perché non vi rivolgete ai padroni dell’Italia?
Care Sardine, volete decidervi a dire qualcosa di importante? Ovvero: «Perché non vi rivolgete ai veri padroni delle cose italiane, a quelli che decidono cosa si fa in Italia, invece di polemizzare con questo o quello, come se il problema nostro fosse l’immigrazione o le eventuali tendenze neofasciste?». Per la cronaca: oggi le frange “nere” sono relegate in «minuscoli raggruppamenti dello 0,0%, che non esprimono nemmeno un parlamentare». Secondo Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, «pensare di liquidare la Lega parlando di xenofobia e neofascismo è un’idiozia: la Lega non è né fascista né xenofoba, e il tema dell’immigrazione Salvini l’ha posto in termini democratici». Al movimento delle Sardine, piuttosto, una domanda netta: «Perché non scendete in piazza per chiedere una Costituzione politica europea, l’emissione degli eurobond per far sparire il ricatto dello spread e 200 miliardi di investimenti per l’Italia?». Servirebbero giusto per «rilanciare l’occupazione, fare manutenzione del territorio e riammodernare i trasporti». Insiste Magaldi: «Consiglierei alle Sardine di puntare il dito verso che coloro che davvero, dall’Europa e dalle grandi centrali della globalizzazione, hanno deciso politiche neoliberiste, mortificatrici dell’interesse collettivo italiano».Parlando a ruota libera in diretta web-streaming su YouTube, Magaldi vede con favore la mobilitazione giovanile delle piazze: sarebbe un peccato, dice, se tanta energia venisse sprecata solo in termini di interdizione contro la Lega, in vista delle regionali emiliane. Per inciso: «Non credo che la Lega possa vincere, in Emilia, una Regione peraltro governata piuttosto bene dagli amministratori locali del centrosinistra». Clamoroso, se Lucia Borgonzoni riuscisse a battere Stefano Bonaccini: «Sarebbe come se il Pd conquistasse il Veneto, o la Lombardia». Consultazioni irrilevanti, dunque? Tutt’altro: la posta in gioco, secondo Magaldi, non è la presidenza della Regione, ma il trend elettorale che emergerà. «E’ sull’aumento della Lega in Emilia Romagna che si misura il tipo di mutamento che sta avvenendo nella politica italiana», di cui non si potrà non tener conto. Alle ultime regionali, nel 2014, in Emilia la Lega ottenne il 19%. Stesso risultato alle politiche del 2018. Poi, un anno di governo ha “miracolato” Salvini agli occhi degli elettori emiliano-romagnoli: alle europee di maggio, la Lega è volata al 33,7%. Per questo, oggi – anche se Magaldi resta scettico – i sondaggi la accreditano addirittura come possibile vincitrice della gara.Partita chiusa, invece, per il Movimento 5 Stelle, su cui Grillo ha fatto calare il sipario commissariando Di Maio e zittendo chiunque non gradisca il menù imposto dall’Elevato. «Requiem per Grillo, a meno che una mattina non si svegli e dica ai suoi: abbiamo sbagliato tutto». Quello che doveva fare, secondo Magaldi, era una cosa sola: «Cambiare l’Europa in senso democratico, invocare politiche keynesiane e chiedere di stralciare gli investimenti dal computo del deficit». Ma non creda, Grillo, di cavarsela così, cioè emarginando l’inconsistente Di Maio: «Riorganizzare la dirigenza? Ai cittadini non importa se accanto a Di Maio ci sarà una cabina di regia. Per fare cosa, poi? Si continua a non dirlo». Per il presidente del Movimento Roosevelt, a certificare ulteriormente il fallimento dei penstastellati è la grottesca “santificazione” che Grillo fa dell’attuale premier: «Conte non ha un’idea di paese, e intanto l’Italia è in pieno declino: disoccupazione e consumi in calo, aziende che chiudono, infrastrutture e scuole fatiscenti, professionisti che faticano a farsi pagare». Se in Emilia la Lega crescerà ancora, è evidente che per Conte saranno guai.Care Sardine, volete decidervi a dire qualcosa di importante? Ovvero: «Perché non vi rivolgete ai veri padroni delle cose italiane, a quelli che decidono cosa si fa in Italia, invece di polemizzare con questo o quello, come se il problema nostro fosse l’immigrazione o le eventuali tendenze neofasciste?». Per la cronaca: oggi le frange “nere” sono relegate in «minuscoli raggruppamenti dello 0,0%, che non esprimono nemmeno un parlamentare». Secondo Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, «pensare di liquidare la Lega parlando di xenofobia e neofascismo è un’idiozia: la Lega non è né fascista né xenofoba, e il tema dell’immigrazione Salvini l’ha posto in termini democratici». Al movimento delle Sardine, piuttosto, una domanda netta: «Perché non scendete in piazza per chiedere una Costituzione politica europea, l’emissione degli eurobond per far sparire il ricatto dello spread e 200 miliardi di investimenti per l’Italia?». Servirebbero giusto per «rilanciare l’occupazione, fare manutenzione del territorio e riammodernare i trasporti». Insiste Magaldi: «Consiglierei alle Sardine di puntare il dito verso coloro che davvero, dall’Europa e dalle grandi centrali della globalizzazione, hanno deciso politiche neoliberiste, mortificatrici dell’interesse collettivo italiano».
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Airbnb fa male: il turismo low cost sfratta i meno abbienti
Si presenta come la principale “success story” del capitalismo delle piattaforme digitali: oggi, Airbnb è un impero mondiale. Nata nell’ottobre 2007 a San Francisco con l’intuizione di creare un portale online che coniugasse domanda e offerta del turismo low cost, è diventata un colosso da 30 miliardi di dollari: solo nel secondo trimestre del 2019 ha realizzato oltre un miliardo. In costante espansione, si appresta ad acquisire nuove società con l’obiettivo di avere il monopolio del settore a livello globale. «I numeri del boom sono impressionanti, se pensiamo che il portale ha visto crescere gli annunci pubblicati dagli 8.126 del 2011 ai 400mila attuali», scrivono Vincenzo Carbone e Giacomo Russo Spena su “Micromega”. «Utilizzato soprattutto tra i più giovani e gli squattrinati, da un lato è uno strumento comodo che permette di viaggiare a basso costo, dall’altro è diventato per qualcuno un’attività semi-professionale dando la possibilità a chi ha una camera libera nella propria abitazione di affittarla per brevi periodi». Su ogni transazione effettuata, la piattaforma trattiene una percentuale: il 3% dall’host, una percentuale variabile (fino al 20%) dal turista. La tesi: il turismo low cost promosso da Airbnb è contro i poveri.«Nel suo frame narrativo – continuano Carbone e Russo Spena – Airbnb parla di “città condivisa” rivendicandosi il ruolo di competitor per le catene alberghiere e per il turismo di lusso. Si autorappresenta come l’opzione politicamente corretta: la rivincita del ceto medio e dei meno abbienti e un nuovo modo di viaggiare tramite lo home-sharing». In effetti, il boom delle stanze in affitto porterebbe benefici diffusi anche per i territori, dal ripopolamento dei centri abbandonati alla riqualificazione di intere aree. Ma è tutto oro quel che luccica? Qual è idea di città che si nasconde veramente dietro il business di Airbnb? Dopo anni di studio, Sarah Gainsforth, ricercatrice e giornalista, ha prodotto il libro “Airbnb città merce” (DeriveApprodi), nel quale effettua un’attenta disamina di questa florida società-prodigio della Silicon Valley, focalizzandosi sulle conseguenze urbane del turismo low cost. Il testo, secondo la recensione di “Micromega”, non risulta né ideologico né manicheo. «La retorica fasulla di Airbnb va combattuta con dati reali e storie vere di origine e resistenza», si legge nella prefazione. Dietro il comodo strumento di Airbnb, si celerebbe un modello di città escludente e diseguale.Innanzitutto, il suo business avalla il fenomeno della “gentrification”, ovvero la riqualificazione estetica dei quartieri impoveriti (ma, nello stesso momento, l’aumento dei prezzi e dei valori immobiliari: il che che provoca un ricambio di popolazione e l’espulsione, diretta o indiretta, degli abitanti meno facoltosi). Airbnb contribuisce a questa trasformazione urbana perché gli affitti temporanei di alloggi contraggono l’offerta di case in affitto, favorendo il rialzo dei valori immobiliari e dei canoni di locazione. Secondo la Gainsforth, Airbnb non è altro che «uno strumento di concentrazione della ricchezza proveniente dalla rendita immobiliare: fa profitti imponendo un modello di città sbagliato dove persiste un centro turistico e vetrina e la contemporanea espulsione degli abitanti verso le periferie», che poi diventano contenitori dell’emarginazione sociale. «Che Airbnb favorisca la classe media è una favola», spiega l’autrice in una recente intervista su “Left”: «Se lo fa è soltanto nel mascherare gli effetti delle politiche neoliberiste che sono alla base del suo stesso successo». Peraltro, «il ceto medio è vittima principale delle prassi urbane attivate dall’azienda, in quanto soggetto principale che subisce gli effetti della “gentrification”».Molte città in Europa – da Barcellona a Lisbona – secondo “Micromega” stanno correndo ai ripari per arginare quel turismo di massa che sta devastando il volto dei propri centri, palesandosi come il principale strumento di “gentrification” e di marketing delle città, diventate al tempo stesso “imprenditrici” e merce di consumo. Se il mantra dei nostri tempi è “il turismo genera ricchezza”, la domanda è: per chi? «Questo modello di marketing turistico concentra i profitti nelle mani di pochi operatori privati, principalmente le compagnie aeree, i tour operator e i proprietari immobiliari», sostiene il ricercatore Augustin Cocola-Gant, intervistato nel libro: «Tutti gli altri ne sono esclusi, quella che inizialmente poteva sembrare un’opportunità per la città si sta rivelando una dimensione drammatica». In Italia, città come Firenze, Napoli e Venezia stanno cambiando volto per l’invasione del turismo di massa: «Nel capoluogo toscano, oltre 8.200 annunci per case-vacanze su 11.200 sono nel centro storico, e ciò sta portando all’abbandono dal centro di molti residenti».La “monocultura turistica”, poi, sfrutta (come “merce esperienziale”) ogni valore territoriale, ogni aspetto delle culture materiali: dal patrimonio enogastronomico, alle relazioni sociali nei contesti di vita, dalle sagre ai mercatini tipici, dalle rievocazioni storiche alle più arcaiche pratiche delle culture tradizionali, scrivono Carbone e Russo Spena. Persino nelle forme «polverizzate non governate (immediatamente) dai grandi tour operator», la massificazione dell’industria turistica «ha reso “merce” le esperienze urbane e dei territori», trasfigurando i quartieri. Siti d’interesse turistico «hanno visto progressivamente mutare funzioni e significati», e intere aree urbane «subiscono trasformazioni nella composizione degli abitanti, nelle attività economiche e commerciali, nei tempi di vita, esclusivamente scanditi su quelli del consumo». Un nuovo deserto: «I panorami sociali di queste aree sono spopolati, pochissimi i residenti stabili, mentre le classi meno agiate e le famiglie di ceto medio vengono espulsi», visto che mancano “servizi di prossimità” e i costi crescono.Poi ci sono appartamenti di rappresentanza, usati solo per pochi giorni l’anno: «Case senza abitanti e abitanti senza casa rappresentano un altro stridente paradosso dei territori turistificati, nei quali si generano conflitti sull’uso dello spazio e sui significati attribuiti ai luoghi tra chi li vive quotidianamente e chi, invece, semplicemente, li consuma». Secondo Sarah Gainsforth, una nuova “trappola” dell’economia delle piattaforme digitali si è costituita nell’incontro tra dispositivi tecnologici e meccanismi di autoimpresa: accogliere turisti è rappresentato come un’attività facile (smart) e persino divertente, mentre le tecnologie digitali consentono di intercettare agevolmente la domanda di ospitalità, mentre la condivisione dello spazio domestico costituisce «una modalità creativa per l’integrazione del reddito». L’idea di abitare, scrive “Micromega”, è mutata dalla molecolarizzazione dell’impresa turistica contemporanea: fare soldi con il turismo significa sempre più spesso “vendere” i turisti, «una preziosa merce da mobilitare per carpirne l’attenzione e per estrarne capacità di spesa».La città e il territorio? «Costituiscono un mezzo di produzione, una risorsa estrattiva per questa forma di produzione: i luoghi sono rendite da cui trarre profitto». Di fatto, la finanza «ha ridisegnato le città non più soltanto facilitando l’acquisto delle case attraverso i mutui ipotecari, ma attraverso l’ascesa delle grandi corporazioni immobiliari sostenute dai mercati di capitale internazionale e del capitalismo delle piattaforme come Airbnb». In altre parole, va a farsi benedire la pianificazione urbanistica, insieme con l’idea di città come spazio essenzialmente pubblico. «Già esistono, in Europa, modelli per regolamentare la sharing economy», concludono Carbone e Russo Spena. «Il turismo è un fenomeno complesso che modifica il senso della città ed è necessario governarlo. Non si può più relegare all’economia predatoria delle piattaforme digitali come Airbnb. Ci vogliono scelte politiche innovative, radicali e coraggiose. In Italia quando?».(Il libro: Sarah Gainsforth, “Airbnb città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale”, DeriveApprodi, 190 pagine, 18 euro).Si presenta come la principale “success story” del capitalismo delle piattaforme digitali: oggi, Airbnb è un impero mondiale. Nata nell’ottobre 2007 a San Francisco con l’intuizione di creare un portale online che coniugasse domanda e offerta del turismo low cost, è diventata un colosso da 30 miliardi di dollari: solo nel secondo trimestre del 2019 ha realizzato oltre un miliardo. In costante espansione, si appresta ad acquisire nuove società con l’obiettivo di avere il monopolio del settore a livello globale. «I numeri del boom sono impressionanti, se pensiamo che il portale ha visto crescere gli annunci pubblicati dagli 8.126 del 2011 ai 400mila attuali», scrivono Vincenzo Carbone e Giacomo Russo Spena su “Micromega“. «Utilizzato soprattutto tra i più giovani e gli squattrinati, da un lato è uno strumento comodo che permette di viaggiare a basso costo, dall’altro è diventato per qualcuno un’attività semi-professionale dando la possibilità a chi ha una camera libera nella propria abitazione di affittarla per brevi periodi». Su ogni transazione effettuata, la piattaforma trattiene una percentuale: il 3% dall’host, una percentuale variabile (fino al 20%) dal turista. La tesi: il turismo low cost promosso da Airbnb è contro i poveri.
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Carpeoro: grillini ko, governo Draghi o elezioni anticipate
«Se la candidatura Draghi si profila nel modo giusto, spacca i 5 Stelle e nasce il governo Draghi». Se invece l’ex presidente della Bce non riuscirà a “profilarsi nel modo giusto”, a quel punto «si andrà alle elezioni». E Draghi è più probabile che faccia il presidente del Consiglio o della Repubblica? «Prima l’uno e poi l’altro, direi». Parola di Gianfranco Carpeoro, saggista e acuto osservatore della politica italiana. Era stato il primo, l’8 settembre scorso, a scommettere sulla vita brevissima del Conte-bis, destinato a cadere «entro 90 giorni». Sostituito da un altro esecutivo, dominato da una figura di garanzia per l’establishment? Già allora, Carpeoro non escludeva neppure il voto anticipato: a certe condizioni, disse, «lo scenario-elezioni diventerà probabile al 99%». Ci siamo? «La fibrillazione dei 5 Stelle è molto importante, per cui non so se reggono: credo che la mia previsione sui 90 giorni si avvererà», conferma oggi a Fabio Frabetti di “Border Nights”, in web-streaming su YouTube. «Col tipo di contrapposizione che ha avuto col Pd in tutti questi anni, il Movimento 5 Stelle non poteva reggere un’alleanza».Mentre il governo annaspa tra Ilva, Mes ed emergenza-Venezia, i 5 Stelle (umiliati in Umbria) ora vengono dati al 5% in Emilia, ma sulla piattaforma Rousseau sconfessano Di Maio, che proponeva di non partecipare alle regionali emiliane, per evitare l’ennesima débacle. La scadenza dei “90 giorni” per il Conte-bis, insediato a inizio settembre, ormai è vicinissima. Superata la manovra finanziaria (riallineata all’Ue), si accettano scommesse sulla longevità politica di Conte: che cada prima o dopo Natale, poco cambia. A spaventare i “giallorossi” è il voto regionale in Emilia, il 26 gennaio, col rischio che la Lega possa strappare la Pd la storica roccaforte “rossa”. In ogni caso, i grillini si avvicinano alla meta sconfitti in partenza: sondaggi impietosi, per loro, a prescindere dal nome del futuro presidente della Regione. Dal quasi 33% ottenuto alle politiche del 2018, un anno dopo i penstellati erano precipitati al 17% alle europee, dimezzando i voti. E ora, dopo soli tre mesi al governo col Pd, stanno letteralmente sparendo insieme al loro portavoce, Di Maio.Colpa essenzialmente di un colossale flop politico: il reddito di cittadinanza ridotto a parodia di welfare, e il tradimento (spettacolare) di tutte le promesse elettorali. Ilva e Tap, trivelle in Adriatico, Muos e F-35, Tav Torino-Lione. Capitolo pietoso, i vaccini: confermato l’obbligo vaccinale istituito da Beatrice Lorenzin. Peggio: in primavera, lo stesso Grillo firmò (con Renzi) il “patto per la scienza” redatto dal vaccinista Claudio Burioni, per tagliare le gambe alla libera ricerca sui danni da vaccino. Sempre da Grillo, in agosto, il via libera all’accordo col nemico storico dei 5 Stelle, il Pd, siglato con la benedizione di Renzi. All’ex rottamatore, secondo Carpeoro, i grandi poteri hanno proposto un accordo: se ci aiuti a mettere in piedi il Conte-bis, ti faremo finalmente entrare nel salotto buono. Indizio: l’invito al meeting 2019 del Bilderberg, che pure resta una semplice vetrina. «In realtà – afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” – Renzi aveva ripetutamente bussato, ma senza esito, alla superloggia internazionale Maat, quella di Barack Obama». Sul suo rientro in campo, prudenza: Italia Viva è ferma al 5%. «Improbabile che i grandi gestori supermassonici del consenso intendano investire davvero su di lui», dice Magaldi.Altro attore in primo piano sulla scacchiera italiana, il premier Conte: non è affatto “venuto dal nulla”, ma «è l’espressione dello stesso potere vaticano a lungo incarnato dal cardinale Achille Silvestrini», sostiene Fausto Carotenuto, già analista dell’intelligence Nato: «E’ il network che garantì per decenni il potere di Giulio Andreotti». Ma il vero convitato di pietra è Mario Draghi, più che controverso protagonista della storia italiana recente: tecnocrate di prima grandezza, già dirigente della Goldman Sachs e poi di Bankitalia, prima ancora che della Bce. Da direttore generale del Tesoro, dopo la visita al panfilo Britannia il 2 giugno 1992 (dove il gotha della finanza anglosassone progettò la svendita di un’Italia terremotata da Mani Pulite e minata dallo smembramento dell’Iri affidato a Prodi), Draghi “lubrificò” la grande privatizzazione del paese, che raggiunse il suo culmine col governo D’Alema. Nel suo saggio, Magaldi presenta il super-banchiere come affiliato a 5 influenti Ur-Lodges, tutte di stampo reazionario: punta di lancia del potere neoliberista, post-democratico e neo-feudale che ha varato la spietata austerity europea.Ora, la sorpresa: insieme a Christine Lagarde, che ne ha preso il posto alla Bce (invocando il ritorno alla “moneta del popolo”), lo stesso Draghi ha evocato la Modern Money Theory, cioè il ritiorno alla piena sovranità monetaria, senza più vincoli al deficit. Per Magaldi si tratterebbe di un segnale preciso: Draghi e Lagarde, «già massoni neoaristicratici», avrebbero addirittura «chiesto di entrare nei circuiti della massoneria progressista, rooseveltiana e post-keynesiana, che preme per la riconquista della democrazia sostanziale», anche restituendo agli Stati il loro potere illimitato di spesa a beneficio di cittadini e aziende. Sarà questo il “modo giusto” in cui potrebbe “profilarsi” l’eventuale candidatura di Draghi, cui allude Carpeoro? Un Draghi “pentito” del rigore finora inflitto, dal massacro sociale impartito alla Grecia fino al pareggio di bilancio rifilato all’Italia, tramite Monti e Napolitano? Un Super-Mario dalle mille vite, capace di convincere persino gli smarriti grillini a evitare le elezioni anticipate, di cui peraltro hanno il terrore?Un conto però è profilare ipotesi, un altro è schematizzare impropriamente un quadro che resta fluido e contraddittorio. Sulla carta, l’alternativa è rappresentata dalla Lega di Salvini, che però – tramite Giorgetti – avrebbe fatto sapere di essere pronta ad appoggiare Draghi al Quirinale, dopo Mattarella, se l’ex capo della Bce (pezzo da novanta dell’establishment che “sovragestisce” l’Italia) non si opponesse a un governo Salvini, nel caso in cui la situazuione, magari dopo il voto emiliano, precipitasse verso le elezioni anticipate. Fabio Frabetti annota: Salvini, come un tempo Berlusconi, ha presenziato al rito della presentazione ufficiale dell’ultimo libro di Bruno Vespa. Carpeoro invita a non enfatizzare l’episodio: è vero, «Vespa è il cerimoniere di un certo establishment, che sfrutta il cavallo che più gli conviene al momento, per poi buttarlo via». Ma intanto «è interessato innanzitutto a vendere i suoi libri, utilizzando allo scopo il politico più à la page». Se proprio c’è da spendere un nome, per il futuro immediato, non c’è storia: Carpeoro indica Mario Draghi.«Se la candidatura Draghi si profila nel modo giusto, spacca i 5 Stelle e nasce il governo Draghi». Se invece l’ex presidente della Bce non riuscirà a “profilarsi nel modo giusto”, a quel punto «si andrà alle elezioni». E Draghi è più probabile che faccia il presidente del Consiglio o della Repubblica? «Prima l’uno e poi l’altro, direi». Parola di Gianfranco Carpeoro, saggista e acuto osservatore della politica italiana. Era stato il primo, l’8 settembre scorso, a scommettere sulla vita brevissima del Conte-bis, destinato a cadere «entro 90 giorni». Sostituito da un altro esecutivo, dominato da una figura di garanzia per l’establishment? Già allora, Carpeoro non escludeva neppure il voto anticipato: a certe condizioni, disse, «lo scenario-elezioni diventerà probabile al 99%». Ci siamo? «La fibrillazione dei 5 Stelle è molto importante, per cui non so se reggono: credo che la mia previsione sui 90 giorni si avvererà», conferma oggi a Fabio Frabetti di “Border Nights”, in web-streaming su YouTube. «Col tipo di contrapposizione che ha avuto col Pd in tutti questi anni, il Movimento 5 Stelle non poteva reggere un’alleanza».
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Moiso: l’illusione del sovranismo, funzionale al neoliberismo
E’ grazie agli amici sovranisti che, oggi, si sente parlare di neoliberismo: dalle parti della sedicente sinistra non si sono proprio accorti di cosa sta succedendo nel mondo. Soprattutto non hanno visto la relazione che c’è tra democrazia ed economia, e come certi modelli economici possano ostacolare i processi democratici. Ma è interessante anche vedere l’analisi che gli amici sovranisti fanno del neoliberismo. Cos’è il neoliberismo? E’ una dottrina economica che poi diventa ideologia, con dogmi quasi religiosi, e – a cascata – una serie di conseguenze a livello valoriale e sociale. E’ una teoria che nasce dall’austriaco Friedrich von Hayek nel dopoguerra. Von Hayek ha un interesse nobile: non ritiene che la politica e gli Stati possano evitare le guerre. Cerca di dare questa responsabilità a dei processi economici: vuole una teoria economica che si sostituisca ai governi nel garantire la pace tra gli Stati. Ma non fa i conti con quello che questo comporta a livello di democrazia, di sovranità popolare sostanziale. Il suo erede sarà Milton Friedman, dell’università di Chicago. Al neoliberismo di von Hayek si oppone un altro pensiero economico: quello liberale tradizionale, dell’inglese John Maynard Keynes (uno dei suoi maggiori allievi è stato John Kenneth Galbraith).E il pensiero keynesiano, di fatto, è quello su cui è stato fondato il benessere della società occidentale. Dal dopoguerra agli anni ‘70, la società occidentale si è sviluppata grazie al pensiero di Keynes e di persone come William Beveridge, che hanno organizzato in Inghilterra il Welfare State poi replicato in tutto il mondo. Quel pensiero rovesciò l’analisi dei fattori che contribuiscono a un’economia florida. Fino a quel momento si pensava che la cosa più importante fossero i mezzi di produzione. Da Keynes in poi il ragionamento si inverte: il grande economista britannico è il primo a mettere l’accento sull’importanza che ha il potere d’acquisto, il consumo, nel determinare il benessere di un’economia. Queste teorie sono quelle su cui si è basato il mondo occidentale fino agli anni Settanta. Poi dai Settanta succede qualcos’altro: partendo dall’Africa, come spiega molto bene Ilaria Bifarini, si cominciano a testare le teorie economiche neoliberiste, che poi sono arrivate in Europa negli anni ‘90. E sono teorie che vedono un ruolo sovraordinato dei mercati rispetto alla politica. Von Hayek dice: le ideologie servono a far capire alle persone che è nel loro interesse utilizzare lo Stato per mantenere il controllo per esempio sui beni pubblici e sull’industria, sulla siderurgia (pensiamo all’Ilva), sull’agricoltura. E dice: questa cosa va eliminata, i mercati devono essere liberi. E lo Stato non si deve più intromettere nell’economia.Oggi sentiamo spesso ripetere che le ideologie sono morte. Guardate che la definizione di ideologia nel dizionario Treccani è interessante: un’ideologia non è altro che un sistema di valori che serve a ordinare il pensiero. Senza un’ideologia, come si fa a valutare se le idee politiche sono buone o no? Se non c’è uno schema di riferimento, non abbiamo nulla da utilizzare per valutare la bontà delle nostre idee. Ovvio: solo chi pensa che la politica non debba svolgere un ruolo all’interno della società può dire che le ideologie non servono, perché dev’essere il mercato a dettare l’intero funzionamento della società. Dico questo pensando agli amici sovranisti, per parlare di Europa: è von Hayek che teorizza un’Europa esattamente come quella che esiste oggi. Lui dice: bisogna creare un mercato unico, in modo che la politica degli Stati nazionali venga depotenziata. In sostanza: creato il mercato unico, entrano in competizione le forze produttive e il mercato del lavoro di diverse nazioni; gli Stati non possono più agire sulla società, e così creiamo le condizioni migliori per liberare il mercato.L’argomento di Hayek, poi ripreso dalla Thatcher, è questo: non bisogna sostituire gli Stati nazionali con un sovra-Stato, cioè un nuovo contenitore politico. Bisogna lasciare che i popoli vengano amministrati a livello territoriale dai governi locali, mentre l’economia deve viaggiare a livello comunitario. In alternativa, aggiunge Hayek, in caso di problemi sociali bisogna tornare al ruolo degli Stati sovrani: perché ormai l’economia si è globalizzata, e uno Stato sovrano non avrebbe comunque più i sistemi e le leve per combattere le dinamiche dei mercati globali. Addirittura la Thatcher, nel suo libro “Statecraft” del 2002, usa molto bene gli argomenti classici che oggi sentiamo utilizzare dai sovranisti. Dice: in Europa parliamo lingue diverse, abbiamo culture diverse, abbiamo economie diverse, e quindi non dobbiamo creare gli Stati Uniti d’Europa. Questo risponde sempre alla visione neoliberista, che non vuole uno Stato che si intrometta nell’economia per tutelare gli interessi dei popoli. Questa è esattamente la visione neoliberista.Tutto il pensiero sovranista, quindi, è strumentale al pensiero neoliberista – al punto che è stato proprio teorizzato da loro, da von Hayek, dalla Thatcher, da Friedman. Se ne parla in tutti gli scritti di filosofia economica degli autori neoliberisti: o l’Europa diventa un mercato unico, con gli Stati nazionali al di sotto di esso, incapaci di tutelare gli interessi del popolo, o in alternativa si deve ritornare agli Stati nazionali, a quel punto costretti a competere con dinamiche sovranazionali, verso le quali non possono fare nulla. Lo si capisce perfettamente leggendo l’economista belga Philippe Van Parijs, che ha avuto una fitta corrispondenza con John Rawls. Discutevano di questo: come combattere il neoliberismo su scala globale. E Parijs parla proprio di un’Europa federale, che deve servire a dimostrare la validità di un diverso modello economico. Dice Van Parijs: se oggi vogliamo creare una società prospera, in Europa, dobbiamo tornare a politiche keynesiane (post-keynesiane), e soprattutto rivendicare la sovranità dei popoli, e la sovranità del popolo all’interno delle istituzioni europee. E in questo modo potremo anche dimostrare che altre teorie economiche sono credibili e realizzabili su scala globale.Agli amici sovranisti vorrei solo dire che, nonostante siano gli unici ad aver analizzato negli ultimi tempi il pensiero neoliberista, in realtà continuano a proporre soluzioni che sono proprio strumentali all’affermazione dei valori e del modello neoliberista. Forse bisogna rivalutare il tema della differenza di lingua e di cultura. Chiunque abbia viaggiato sa bene che i popoli europei sono molto simili, perché hanno una cultura profondamente umanistica. Al centro delle nostre priorità noi mettiamo ancora l’uomo: non l’economia, non il profitto, non la collettività in senso aleatorio. E questo è il cardine che deve guidare il cambiamento: l’idea di uno Stato sociale e della rappresentatività della volontà popolare, che sono peculiarità dell’eredità dei popoli europei. E questo è un collante fortissimo, che va usato per lanciare un progetto alternativo per il futuro.(Marco Moiso, “Il sovranismo nazionalista è strumentale al neoliberismo”, video-intervento pubblicato sul canale YouTube del Movimento Roosevelt il 18 novembre 2019).E’ grazie agli amici sovranisti che, oggi, si sente parlare di neoliberismo: dalle parti della sedicente sinistra non si sono proprio accorti di cosa sta succedendo nel mondo. Soprattutto non hanno visto la relazione che c’è tra democrazia ed economia, e come certi modelli economici possano ostacolare i processi democratici. Ma è interessante anche vedere l’analisi che gli amici sovranisti fanno del neoliberismo. Cos’è il neoliberismo? E’ una dottrina economica che poi diventa ideologia, con dogmi quasi religiosi, e – a cascata – una serie di conseguenze a livello valoriale e sociale. E’ una teoria che nasce dall’austriaco Friedrich von Hayek nel dopoguerra. Von Hayek ha un interesse nobile: non ritiene che la politica e gli Stati possano evitare le guerre. Cerca di dare questa responsabilità a dei processi economici: vuole una teoria economica che si sostituisca ai governi nel garantire la pace tra gli Stati. Ma non fa i conti con quello che questo comporta a livello di democrazia, di sovranità popolare sostanziale. Il suo erede sarà Milton Friedman, dell’università di Chicago. Al neoliberismo di von Hayek si oppone un altro pensiero economico: quello liberale tradizionale, dell’inglese John Maynard Keynes (uno dei suoi maggiori allievi è stato John Kenneth Galbraith).
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Magaldi: un’email stralunata su me, i Savoia e Diego Fusaro
Egregio Giovanni Seia, il curatore del sito Libreidee Giorgio Cattaneo mi ha girato una mail da lui ricevuta e che appare come un commento all’articolo pubblicato sullo stesso sito (vedi “Fusaro chiede poltrone alla Lega e poi pranza col Savoia” ). Orbene, lei scrive: «Egregio Signor Magaldi, prima di scrivere notizie errate e prive di fondamento sarebbe opportuno ricorrere alla fonte, onde evitare una becera informazione che evidenzia unicamente la spasmodica voglia di un fanciullesco protagonismo. Sono il delegato dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon e l’organizzatore della conferenza storico-scientifica, del 16 novembre scorso, sulla figura del Re Vittorio Emanuele III nella ricorrenza dei 150 anni dalla sua nascita, data peraltro dimenticata completamente, pur essendo stato il Re Capo di Stato per ben 46 anni. La conferenza che ha visto la partecipazione di circa 400 persone, è stata tenuta da due illustri professori, Fréderic Le Moal de l’Ecole Militaire de Saint Syr e Francesco Perfetti della Luiss di Roma».«Quale moderatore della conferenza ho scelto il prof. Diego Fusaro che ha evidenziato l’odierna caduta dei Valori fondanti della Nazione. La conferenza prevedeva anche un pranzo a cui hanno partecipato 270 persone e il prof. Fusaro è stato accreditato al tavolo dei relatori e degli ospiti, a cui sedeva anche Emanuele Filiberto e Gabriele Albertini. Emanuele Filiberto era presente in quanto il Re Vittorio Emanuele III era suo bisnonno e Gabriele Albertini sedeva a quel tavolo in quanto iscritto al nostro Istituto. Quindi nessuna trama politica, nessun coinvolgimento del prof. Fusaro in esperienze partitiche, ma solo invenzioni e sfarfallamenti intellettuali di uno come lei in cerca di autore e di una visibilità mediatica che purtroppo non riesce a trovare in un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza. (Cordialmente, Giovanni Seia)».Mi pregio, con riferimento a tale sua stralunata e molto imprecisa (oltre che insipiente) missiva, di farle osservare quanto segue: 1) Quando si rivolge a me, abbia l’accortezza o di chiamarmi Dott. Magaldi o Presidente Magaldi, se preferisce un lessico profano, oppure Illustrissimo, Venerabilissimo e Potentissimo Gran Maestro e Sovrano Gran Commendatore/Patriarca, qualora si stia cimentando in qualche disamina di natura massonica, come in verità dalla sua lettera si evince. Per un personaggio, lei, che si qualifica come il delegato di una cosa pomposa, ridondante e ampollosa come l’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon, sarà il caso di avere riguardo anche per i formalismi e le ampollosità altrui, comprese quelle massoniche di Grande Oriente Democratico (www.grandeoriente-democratico.com) e del Rito Europeo Universale da me presieduti. Tanto più che senza la Libera Muratoria risorgimentale, di cui mi pregio di essere uno dei più devoti epigoni in questo XXI secolo, gli ospiti delle Reali Tombe non avrebbero potuto essere tali.Senza i massoni del XIX secolo (Giuseppe Garibaldi in testa, che consegnò a Vittorio Emanuele II di Savoia l’intero Regno delle Due Sicilie da lui liberato/conquistato, ma anche l’opera del Fratello Cavour e di tanti altri intorno a lui non fu da meno), insomma, il Regno d’Italia non sarebbe mai stato appannaggio dei Savoia. 2) Lei è impreciso, quando dice che io abbia scritto qualcosa sul tema Fusaro, Savoia, Albertini. L’articolo cui si riferisce è opera di Giorgio Cattaneo. Semmai, il sottoscritto ha parlato della questione nella trasmissione citata e linkata sopra (se la vada a vedere/ascoltare). 3) Rispetto la sua inclinazione (e quella di altri, con lei) a voler festeggiare Vittorio Emanuele III nella ricorrenza della sua nascita (che peraltro mi constava essere nato a Napoli l’11 novembre 1869 e non il 16 novembre, ma avrete avuto i vostri motivi per celebrarne il genetliaco 5 giorni dopo la ricorrenza effettiva), ma nel video (che lei, da come si esprime, mostra di non aver visto) della puntata 53 di “Gioele Magaldi racconta” ( https://www.youtube.com/watch?v=sisX3JZV3_0 ) esprimo anche le mie gravi riserve su un monarca che non solo acconsentì all’instaurarsi della dittatura fascista, ma nemmeno mosse un dito contro la promulgazione delle vergognose leggi razziali del 1938 e si comportò da fellone alla fine della Seconda guerra mondiale.4) Probabilmente lei ha fatto male ad invitare Diego Fusaro quale moderatore della conferenza storico-scientifica da lei organizzata, perché costui – non privo di qualche competenza filosofica e politologica – appare platealmente carente in fatto di scienze storiche, come evidenziato da diversi svarioni inseriti nelle sue pubblicazioni (almeno quelle le ha lette? – io si, ahimé – o lei ha il vizio di parlare di cose che non conosce direttamente e approfonditamente?). 5) La parte più stralunata, imprecisa e sgangherata della sua lettera, tuttavia, è quella in cui scrive: «La conferenza prevedeva anche un pranzo a cui hanno partecipato 270 persone e il prof. Fusaro è stato accreditato al tavolo dei relatori e degli ospiti, a cui sedeva anche Emanuele Filiberto e Gabriele Albertini. Emanuele Filiberto era presente in quanto il Re Vittorio Emanuele III era suo bisnonno e Gabriele Albertini sedeva a quel tavolo in quanto iscritto al nostro Istituto. Quindi nessuna trama politica, nessun coinvolgimento del prof. Fusaro in esperienze partitiche, ma solo invenzioni e sfarfallamenti intellettuali di uno come lei in cerca di autore e di una visibilità mediatica che purtroppo non riesce a trovare in un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza».Chi avrebbe alluso a trame politiche? Tutta la questione è nata perché Diego Fusaro ha pubblicato una foto in cui veniva ritratto attovagliato con Emanuele Filiberto e Albertini, senza forse neanche spiegare il contesto dell’incontro (come invece ha tenuto a fare lei, ma sarebbe cambiato poco) e/o comunque senza che sul web fosse compreso tale contesto (ma sarebbe cambiato poco, ripeto: solo che forse si sarebbe ridimensionata l’immagine narcisistica e autocompiaciuta che Fusaro desiderava offrire…lasciando intendere di un pranzo per pochi intimi, mente c’erano 270 persone… ) Di qui, prima che ne parlassi io, una ridda di commenti su tale “attovagliamento”. Alla domanda del conduttore di “Gioele Magaldi racconta”, Fabio Frabetti, rivolta al sottoscritto, su cosa pensassi di tale foto, ho risposto sostanzialmente (ma legga meglio l’articolo di Libreidee e ancor meglio si guardi il video cui l’articolo si ispira) che se il sedicente “profeta” del riscatto del proletariato nel XXI secolo ci tiene tanto a pubblicare ed enfatizzare la foto che lo ritrae in una (vera o falsa) intimità conviviale con un erede di monarchi e un “vecchio” politico sedicente liberale (laddove il liberalismo è esecrato da Fusaro come il peggiore di tutti i mali, stante anche la sua confusione storica ed ermeneutica tra liberalismo, liberismo e neoliberismo) allora siamo davvero al paradosso più grottesco.Un paradosso, tuttavia, che si spiega benissimo con l’atteggiamento da “cortigiano e cicisbeo politico da salotto, televisivo e non”, che molti contestano al filosofo torinese, recente ispiratore del partitino rossobruno e fasciocomunista “Vox Italia”. E ho aggiunto delle riflessioni su questioni e trame politiche che riguardano il solo Fusaro e in cui non c’entra nulla né il suo “Istituto Nazionale bla bla bla” nè gli stesi Albertini ed Emanuele Filiberto di Savoia. 6) Poi lei ha l’impudenza, l’insolenza, l’ipocrisia e la mala creanza di scrivere: «Solo invenzioni e sfarfallamenti intellettuali di uno come lei in cerca di autore e di una visibilità mediatica che purtroppo non riesce a trovare in un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza». Ebbene, a differenza del suo amato Fusaro, io non compio “sfarfallamenti intellettuali”. Io, quando parlo di filosofia, storia, politica e politologia lo faccio al lume di competenze serie e strutturate. So quel che dico e so come lo dico, anche a differenza sua, che scrive fischi per fiaschi, confondendo anche chi abbia detto o scritto cosa e quando e perché.La visibilità mediatica il sottoscritto l’ha avuta sin dai primi anni in cui “Grande Oriente Democratico” muoveva i suoi primi passi (si documenti, dal 2010 in poi), finendo sulle prime pagine di giornali e in servizi/interviste televisive di testate e trasmissioni di punta. Il sottoscritto ha pubblicato anche altri libri, ma il solo primo volume della serie di “Massoni” (”La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere editore) ha venduto più copie di tutti i volumi pubblicati dal suo amato Diego Fusaro nel corso degli anni (libri, peraltro, in cui il successivo ripete le cose dette nel precedente e, all’interno dello stesso volume, anche i capitoli si copiano e reiterano nei contenuti, diffondendo una noia mortale in danno del lettore…). Le riconosco, tuttavia, che dopo che il sottoscritto ha pubblicato “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges” e che è stato fondato il Movimento Roosevelt (www.movimentoroosevelt.com: soggetto politico metapartitico che ordinariamente non si presenta alle elezioni – essendo metapartitico, civico, pedagogico e trasversale – ma che quando si è presentato, ad esempio a Gioia Tauro, ha preso circa il 60% nel 2015, mentre alle comunali del 2019 Fusaro ha raccolto il 2,87%…), cioè a partire dal 2015/2016, una qualche ritrosia (non sempre rispettata, comunque) del sistema mediatico mainstream (lo stesso sistema contro cui tuona il rivoluzionario da salotto Fusaro) a parlare di me/noi c’è. Mentre non c’è alcuna ritrosia, da parte di tale sistema mediatico, nell’invitare spesso e volentieri l’esimio prof. Diego Fusaro, graditissimo sparring partner e avversario dialettico di comodo (irrisorio e irrilevante) per tutti i fiancheggiatori dell’egemonia neoliberista e postdemocratica in atto da decenni in Italia e in Europa.7) L’apice della sua insolenza e insipienza malevola, esimio Giovanni Seia, lei la raggiunge però quando parla, riferendosi a “Grande Oriente Democratico”, «di un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza». Lei è massone? Oppure uno studioso/esperto di cose massoniche? O ha studiato la Massoneria presso i libri del suo compare “monarchicheggiante” Aldo Mola, le cui opere sulla Massoneria appaiono, a ben vedere, estremamente lacunose e fuorvianti (oltre che faziosamente ispirate rispetto ad alcuni gruppi massonici italiani ed esteri)? A che titolo e in nome di quale sapienza o esperienza diretta Lei ha l’autorevolezza per definire cosa sia o non sia una “associazione massonica pura o spuria”? I Fratelli e le Sorelle di Grande Oriente Democratico (www.grandeoriente-democratico.com ), comunque, se ne rideranno delle sue ridicole farneticazioni e continueranno a consolidare la propria funzione “liquida e sovranazionale” di network massonico in grado di collegare le migliori avanguardie liberomuratorie progressiste planetarie.Quanto a Lei, Giovanni Seia, non ci sembra distinguersi né per spirito democratico (altrimenti come potrebbe tenere tanto alla celebrazione di un monarca, Vittorio Emanuele III, che sancì l’avvento del Fascismo e la fine della Democrazia, in Italia, per circa un ventennio?), né per intelligenza. Però ci sembra un sincero e schietto ipocrita quando ci saluta scrivendo “cordialmente”, mentre invece la sua missiva era tutto tranne che cordiale. Ecco perché la saluto senza alcuna stima ma anche senza veruna cordialità, proprio per non comportarmi da ipocrita come lei. Ad maiora.Gioele Magaldi, storico, filosofo, Presidente del Movimento Roosevelt, Gran Maestro del Grande Oriente Democratico/Sovrano Gran Commendatore e Patriarca del Rito Europeo Universale.(Riceviamo e pubblichiamo questa lettera di Gioele Magaldi, “Riscontro alla sua stralunata e imprecisa mail”, che risponde a una lettera di Giovanni Seia a lui indirizzata, inviata a Libreidee). Egregio Giovanni Seia, il curatore del sito Libreidee Giorgio Cattaneo mi ha girato una mail da lui ricevuta e che appare come un commento all’articolo pubblicato sullo stesso sito (vedi “Fusaro chiede poltrone alla Lega e poi pranza col Savoia” ). Orbene, lei scrive: «Egregio Signor Magaldi, prima di scrivere notizie errate e prive di fondamento sarebbe opportuno ricorrere alla fonte, onde evitare una becera informazione che evidenzia unicamente la spasmodica voglia di un fanciullesco protagonismo. Sono il delegato dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon e l’organizzatore della conferenza storico-scientifica, del 16 novembre scorso, sulla figura del Re Vittorio Emanuele III nella ricorrenza dei 150 anni dalla sua nascita, data peraltro dimenticata completamente, pur essendo stato il Re Capo di Stato per ben 46 anni. La conferenza che ha visto la partecipazione di circa 400 persone, è stata tenuta da due illustri professori, Fréderic Le Moal de l’Ecole Militaire de Saint Syr e Francesco Perfetti della Luiss di Roma».
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Della Luna: la lotta all’odio nasconde la schiavitù per debiti
«Le persistenti campagne istituzionali e mediatiche contro l’espressione di idee e sentimenti di odio, razzismo, nazismo, fascismo, stanno producendo effetti contrari a quelli dichiarati, cioè stimolano e confermano nella gente proprio quelle idee e quei sentimenti». Secondo Marco Della Luna, «la gente sembra percepire che si tratta di montature strumentali ed esagerazioni isteriche adoperate dalla casta e dai suoi ‘intellettuali’ per non parlare dei mali veri e presenti, di cui essa è responsabile: disoccupazione, impoverimento, continua perdita di efficienza, di prospettive, e i continui fallimenti di governanti incapaci e falsi». Per l’avvocato e saggista, autore di “Euroschiavi”, la causa di questi mali socio-economici italiani sta in alcuni precisi fattori di moneta e mercato: l’Italia è inserita in un sistema in cui, partendo da condizioni di svantaggio in quanto a debito pubblico e liquidità di sistema, deve competere con paesi più efficienti, con un cambio monetario bloccato (cioè senza poter svalutare la propria moneta per recuperare competitività), subendo un mercato commerciale non protetto da barriere doganali. Impossibile limitare la fuga di capitali, né concedere aiuti di Stato alle proprie industrie, tentate di vendersi agli stranieri o emigrare all’estero.L’Italia deve competere «sottostando al potere legislativo, fiscale e politico di un’Unione Europea diretta proprio dai paesi competitori controinteressati (che adattano le regole ai propri interessi), e senza nemmeno il meccanismo federale della condivisione del debito pubblico con redistribuzione dei surplus verso le aree in difficoltà (come avviene negli Usa)». Ovvio che, in queste condizioni, per Della Luna «l’Italia non ha speranze di risanarsi e risollevarsi: è matematicamente spacciata, chiunque sia al governo, e la gente starà sempre peggio, sarà sempre più povera, più tassata, più privata di servizi, più esclusa dalle decisioni, più gestita da investitori e decisori stranieri». A un livello più profondo e globale, di cui non si parla nei mass media, la causa dei mali economici è sempre nel sistema monetario, ma in un senso ulteriore: «Per scambiare i beni e i servizi che producono, i soggetti economici (persone, aziende, enti pubblici) sono costretti a servirsi, prendendola a prestito contro interesse, di moneta», la quale «è prodotta (a costo zero) in regime di monopolio da un cartello bancario in mano a poche persone».Dato che tutta la moneta è immessa nel mercato come prestito (debito) soggetto a interesse composto, costantemente deve essere presa a prestito ulteriore moneta. Questo rende i produttori di ricchezza reale, nell’insieme (quindi anche la società nel suo complesso e lo Stato stesso) sempre più indebitati verso i produttori di moneta, sia in termini di capitale che in termini di interessi, «finché il debito capitale espropria tutto il risparmio e gli interessi espropriano tutto il reddito, e si finisce a lavorare come schiavi per pagare gli interessi su un debito inestinguibile». L’obiettivo del capitalismo neoliberista, cioè il modello dominante e adottato dalla Ue, «è la generale schiavitù per debito, e ci siamo vicini», sostiene della Della Luna. «Questo esito viene accelerato dai banchieri con le note manovre di “pump and dump”, cioè di allargamento-restringimento del credito, organizzati ad arte: le bolle di mercato». Ovviamente, la posizione di monopolio dei “padroni della moneta” è tutt’uno con una posizione di potere politico «soprastante a quello dei governi e dei parlamenti (e di potere culturale soprastante a quello dell’accademia)».Matematico: «Uno Stato che, per funzionare (per finanziarsi), dipende da una moneta che non controlla e che gli deve essere prestata da speculatori internazionali privati, riceve la politica economica ed estera da questi medesimi speculatori come condizionalità: non ha alcuna autonomia decisionale sostanziale». Questo tipo di Stato, osserva Della Luna, non fa neppure più le privatizzazioni: è già esso stesso privatizzato. Essenzialmente, «non è al servizio dei cittadini e non li può rappresentare, bensì è al servizio dei suoi finanziatori, che lo usano come schermo e capro espiatorio per deresponsabilizzarsi dei mali che essi causano alle popolazioni nel perseguire i propri interessi e disegni globali». Per queste ragioni, il modello socioeconomico in atto è imposto senza alternative. «Il sovranismo, il populismo, il socialismo, la dottrina sociale della Chiesa, come ogni critica del suddescritto modello di potere monetario sulla politica, possono aver successo sul piano teorico, ma non hanno alcuna possibilità di affermarsi su quello politico e concreto», perché per farlo dovrebbero abbattere, su scala perlomeno continentale, «un sistema immensamente potente di interessi contrari».Consci di ciò, Salvini e di Maio, che erano partiti da posizioni incompatibili con alcuni aspetti (peraltro secondari) del sistema, «avvicinandosi al potere si sono ravveduti e allineati ideologicamente ad esso, dichiarandosi per l’euro, per l’Unione Europea e per la sua dottrina economica». Inutile illudersi che la politica – almeno, quella in campo oggi, con l’attuale offerta elettorale – possa davvero risollevare le sorti di un paese come l’Italia, da decenni costretto all’avanzo primario: lo Stato incamera con le tasse più soldi di quanti ne spenda per famiglie e aziende, in termini di servizi. Un siffatto sistema di dominio, conclude Della Luna, «potrà cadere solo per effetto di una rottura interna, oppure di una catastrofe globale climatica o geofisica o biologica o bellica». Ma la sua naturale evoluzione, che l’autore ha descritto nel saggio “Tecnoschiavi”, ormai procede «verso la tecnocrazia assoluta, zootecnica».«Le persistenti campagne istituzionali e mediatiche contro l’espressione di idee e sentimenti di odio, razzismo, nazismo, fascismo, stanno producendo effetti contrari a quelli dichiarati, cioè stimolano e confermano nella gente proprio quelle idee e quei sentimenti». Secondo Marco Della Luna, «la gente sembra percepire che si tratta di montature strumentali ed esagerazioni isteriche adoperate dalla casta e dai suoi ‘intellettuali’ per non parlare dei mali veri e presenti, di cui essa è responsabile: disoccupazione, impoverimento, continua perdita di efficienza, di prospettive, e i continui fallimenti di governanti incapaci e falsi». Per l’avvocato e saggista, autore di “Euroschiavi”, la causa di questi mali socio-economici italiani sta in alcuni precisi fattori di moneta e mercato: l’Italia è inserita in un sistema in cui, partendo da condizioni di svantaggio in quanto a debito pubblico e liquidità di sistema, deve competere con paesi più efficienti, con un cambio monetario bloccato (cioè senza poter svalutare la propria moneta per recuperare competitività), subendo un mercato commerciale non protetto da barriere doganali. Impossibile limitare la fuga di capitali, né concedere aiuti di Stato alle proprie industrie, tentate di vendersi agli stranieri o delocalizzarsi scappando all’estero.
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“Fusaro chiede poltrone alla Lega e poi pranza col Savoia”
Ha suscitato curiosità la foto di Diego Fusaro a pranzo con Emanuele Filiberto di Savoia e l’ex sindaco milanese Gabriele Albertini, postata sui social dallo stesso Fusaro il 16 novembre. Intanto, Fusaro non ha smentito le sue ambizioni poltroniere, cioè le voci (fastidiose anzitutto per lui) secondo cui sarebbe andato a trattare con la Lega e con Fratelli d’Italia per una poltrona. La contrattazione di cui si è parlato, in termini molto precisi e mai smentiti, è che Fusaro avrebbe detto: datemi una poltrona nel prossimo Parlamento, e io in cambio “congelo” Vox Italia. Le voci dicono che comunque è stato rispedito al mittente. Ma questa foto con Emanuele Filiberto e Albertini ci fa vedere tutto il compiacimento di Fusaro, che si proclama profeta del popolo, populista rossobruno contro la precarizzazione e la fuga di coscienza da parte del proletariato, privo di una coscienza – che lui vuole dargli, come nuovo vate e come ideologo del proletariato del XXI secolo, precarizzato e inconsapevole. E poi però c’è questo aspetto narcisistico, per cui Fusaro va a mendicare visibilità… L’abbiamo visto anche con Parenzo, che minacciava di pubblicare gli sms privati in cui, quasi piagnucolando, il filosofo andava cercando l’invito per qualche ospitata: quindi un Fusaro che cerca di andare dove può, in televisione, per mostrarsi e per vendere i suoi libri (che sono un po’ la copia l’uno dell’altro).
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La scuola media “inutile parcheggio”: Salvini compiace l’Ue
Matteo Salvini superata la fase del “governo del cambiamento”, nel tentativo di “arricchirsi” di contenuti mediatici ed in pieno rigurgito berlusconiano, ci ha comunicato che il problema del paese sono le… scuole medie! Avete capito bene: qualora il Matteo nazionale diventasse premier abolirebbe quello che per lui è un “inutile parcheggio”. Prosit! No, non mi riferisco al Papetee come fanno tanti cretini, quanto piuttosto alla finezza del ragionamento. Per Salvini inoltre gli insegnanti lavorano poco perché hanno diritto a ferie estive di due mesi e quindi, tradotto, guadagnano troppo come salario orario. Follia. Mi ero reso conto ai tempi del primo governo Conte (tentato spezzatino della scuola italiana da parte dei leghisti) che di istruzione il leader verde ne sapesse quanto l’asinello del presepe, ma adesso a sconvolgere è la motivazione che egli porta a sostegno delle sue tesi: l’Europa! L’uomo avente nel passato le felpe “No Euro” finirà (vedrete) per regalarci Mario Draghi al Quirinale, ma ciò che ancor più indigna è che quando gli fa comodo la Ue diventa addirittura un esempio da seguire ed inseguire, e sempre in senso peggiorativo.Matteo ha prima parlato a sinistra e alla protesta, ma adesso che i sondaggi lo danno altissimo guarda caso getta la maschera e si trasforma in ciò che non ha mai smentito di essere: come un Movimento 5 Stelle qualsiasi (ma alla rovescia) canalizza l’elettorato fluido su quelle posizioni che sono tipiche di figure “di spicco” quali la Gelmini, Gasparri e magari anche Brunetta. Caro Matteo, anziché corteggiare gli orfani di Berlusconi, regalarci codeste perle e fomentare le solite divisioni tra dipendenti pubblici, Pmi e dipendenti privati, perché non ti applichi un pochino di più? Le scuole secondarie di primo grado non sono da abbattere con la ruspa ma anzi, se riformate, possono diventare un volano per la nostra nazione rispetto ai competitors oltre confine. Nei decenni sono state inopportunamente incrementate le ore di italiano, e il risultato è stato una minore padronanza della materia (e della nostra grammatica). La parola specializzazione (come quella “tradizione”) è diventata una bestemmia a scuola perché la trasmissione dei saperi è stata umiliata in favore di una fantomatica “crescita umana” definita a sproposito “apprendimento”.Ci lamentiamo per una certa arretratezza nell’innovazione, ma anziché ridimensionare le ore di italiano e potenziare le ore di scienze e tecnologia (magari inserendo anche come nuova materia la macroeconomia di base), abbiamo riempito le scuole di insegnanti laureati in chiacchiere, espertissimi nelle dinamiche di gruppo (Frattocchie style) spacciate per “identità sociale” e scaltrissimi nel procurarsi potere. Gli scienziati, forti di una identità individuale piuttosto marcata e difficilmente prostituibile, pensano al sodo, un modus operandi ben rappresentato dal rigoroso “metodo sperimentale” figlio di Galileo, ma in questo modo risultano depotenziati. Integriamo quanto prima le scuole medie di contenuti, formiamo giovani preparati alimentandone le menti e facciamola finita con l’unico vizio peggiore del pressapochismo salviniano: la scuola del politically correct e del fallimento dei saperi, la scuola del sistema e della svalutazione dei cervelli, quella dell’ideologia dell’appiattimento progressista, quindi globalista, quindi schiavista.(Marco Giannini, “Se salvini considera le scuole medie un inutile parcheggio”, Libreidee, 19 novembre 2019).Matteo Salvini superata la fase del “governo del cambiamento”, nel tentativo di “arricchirsi” di contenuti mediatici ed in pieno rigurgito berlusconiano, ci ha comunicato che il problema del paese sono le… scuole medie! Avete capito bene: qualora il Matteo nazionale diventasse premier abolirebbe quello che per lui è un “inutile parcheggio”. Prosit! No, non mi riferisco al Papetee come fanno tanti cretini, quanto piuttosto alla finezza del ragionamento. Per Salvini inoltre gli insegnanti lavorano poco perché hanno diritto a ferie estive di due mesi e quindi, tradotto, guadagnano troppo come salario orario. Follia. Mi ero reso conto ai tempi del primo governo Conte (tentato spezzatino della scuola italiana da parte dei leghisti) che di istruzione il leader verde ne sapesse quanto l’asinello del presepe, ma adesso a sconvolgere è la motivazione che egli porta a sostegno delle sue tesi: l’Europa! L’uomo avente nel passato le felpe “No Euro” finirà (vedrete) per regalarci Mario Draghi al Quirinale, ma ciò che ancor più indigna è che quando gli fa comodo la Ue diventa addirittura un esempio da seguire ed inseguire, e sempre in senso peggiorativo.
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Moncalvo: silenzio assordante sulla fuga della Fiat in Francia
«Tutti parlano giustamente del problema dell’Ilva e dei posti di lavoro a rischio a Taranto, ma nessuno – sottolineo, nessuno – parla dei posti che salteranno per la vicenda Fca-Psa». Perché nessuno ne parla? Molto semplice, risponde Gigi Moncalvo: «Nessuno osa rispondere al seguente interrogativo: quando ci sarà da decidere la sorte, la chiusura degli stabilimenti in Italia (Pomigliano d’Arco, Termini Imerese, Melfi e chi più ne ha, più ne metta), secondo voi prevarrà la volontà e la decisione dei 6 consiglieri (su 11) della corporation francese, oppure prevarrà la tesi di una società che ormai è olandese, londinese e americana?». Ormai l’ex Fiat – per decenni sorretta finanziariamente dallo Stato italiano – è infatti una società di diritto olandese con domiciliazione fiscale nel Regno Unito (e domiciliazione borsistica negli Usa). Insiste Moncalvo, dai microfoni della trasmissione web-radio “Forme d’Onda”: «Che cosa gliene importerà, all’ex Fiat, ormai olandese, londinese e americana, della sorte di Pomigliano d’Arco, Melfi, Termini Imerese e tutto il resto?». L’accusa di Moncalvo è esplicita: «I media tacciono, sull’accordo franco-italiano, perché la Fiat continua a riversare fior di soldi, in termini pubblicitari, su giornali e televisioni». Un modo per avere “buona stampa”, cioè in questo caso stimolare il silenzio dei giornalisti?Categoria alla quale peraltro appartiene lo stesso Moncalvo, cronista di rango, già attivo su alcune tra le maggiori testate italiane (collaboratore di Maurizio Costanzo, Piero Ottone e Guglielmo Zucconi) nonché giornalista sulle reti Mediaset e infine dirigente Rai. Negli ultimi anni, con esplosivi libri-inchiesta (”I lupi e gli Agnelli”, “Agnelli segreti”, spariti dalle librerie ma disponibili attraverso il sito dell’autore), Moncalvo si è concentrato nello scavare tra “ombre e misteri della famiglia più potente d’Italia”. Fino a scoprire cosa? Questo: che un potere-ombra, finanziario e anglosassone, si sarebbe impossessato del controllo politico della Fiat già dal dopoguerra, fino poi a “imporre” che l’eredità di Gianni Agnelli finisse a John Elkann, il quale – giovanissimo – alla scomparsa dell’Avvocato mise l’impero Fiat nelle mani del manager finanziario Sergio Marchionne, campione del neoliberismo americano. Moncalvo evoca anche «rabbini francesi e grembiulini» nell’orbita di John Elkann, alludendo al ruolo del padre, il giornalista e scrittore Alain Elkann, membro del potentissimo Jewish Institute e figlio del banchiere, industriale e rabbino francese Jean-Paul Elkann. Dietro alla “real casa” torinese, attraverso il ramo Elkann oggi al comando, aleggia il potere del B’nai B’rith, elusiva massoneria sionista?Ne parlò il saggista e massone Gianfranco Carpeoro, a proposito della strana fine di Edoardo Agnelli nel 2000: il figlio “ribelle” dell’Avvocato, che in un’intervista al “Manifesto” aveva annunciato l’intenzione di volersi occupare del destino della Fiat, si sarebbe convertito all’Islam, e addirittura alla confraternita mistica dei Sufi. Una foto lo ritrae a Teheran in una sessione di preghiera guidata dall’ayatollah Alì Khamenei, guida suprema della ierocrazia sciita. Fu proprio l’Iran ad accusare il Mossad, il servizio segreto israeliano, della morte di Edoardo Agnelli, precipitato da un viadotto autostradale in circostanze mai del tutto chiarite. Forse per motivi di pura propaganda politica anti-sionista, Teheran accusò la “lobby ebraica” di aver sostanzialmente propiziato l’eliminazione di Edoardo Agnelli (caso archiviato come suicidio) per poter poi mettere completamente le mani sull’impero Fiat dopo la morte di Gianni Agnelli. Dietrologie, semplici illazioni, addirittura insinuazioni senza fondamento? Dal lavoro di Moncalvo, incentrato per lo più sulla imbarazzante “guerra” familiare per l’eredità dell’Avvocato (seguita dall’ancora più imbarazzante silenzio dei media), emerge in sostanza l’impenetrabilità della governance Fiat, retta da logiche che ricordano quelle delle antiche monarchie.Carte giudiziarie alla mano, Moncalvo ha scoperto che il grosso del “tesoro” degli Agnelli è depositato all’estero, lontano dall’Agenzia delle Entrate (a Panama e in un caveau dell’aeroporto di Ginevra), e che i due uomini-ombra dell’Avvocato, Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, manovrarono – insieme ai notai, e d’intesa con la vedova Agnelli, Marella Caracciolo – per favorire in modo esclusivo l’allora giovanissimo John Elkann, entrato nel board Fiat a soli 21 anni. Oggi, ragiona Moncalvo, la Exxor (finanziaria di famiglia) è stata stra-premiata con un “bonus” di oltre 5 miliardi dai futuri partner francesi, che in cambio però prenotano il controllo del colosso Fca-Psa, che verrebbe affidato a Carlos Tavares, l’uomo-Peugeot. Una maxi-buonuscita agli Elkann per lasciare il timone alla Francia, il cui governo oltretutto controlla il 13% del gruppo che include Peugeot, Citroen e Opel? Secondo “Money.it”, Fca porta in dote 102 stabilimenti e un fatturato da oltre 110 miliardi, con marchi come Fiat e Jeep, Lancia, Abarth, Alfa Romeo, Maserati, Chrysler, Dodge, Fiat Professional e Ram. Da canto suo, Psa (che possiede anche Ds Automobiles e Vauxhall) mette sul piatto appena 45 stabilimenti e un giro d’affari da 74 miliardi, inferiore quindi a quello dell’ex Fiat.In sostanza: i francesi offrirebbero di meno ma otterrebbero di più, dopo aver “premiato” a suon di miliardi i torinesi, forse ansiosi – da tempo – di disimpegnarsi dal settore auto? Se è presto per trarre conclusioni, visto che ogni giorno emergono precisazioni sullo sviluppo dell’accordo, ancora in corso nella sua definizione, è sconcertante – rileva Moncalvo – il silenzio assordante del sistema-Italia, di fronte a una notizia di questa portata. Gli stessi sindacati si limitato a mormorare: forse, auspica Landini, la fusione rafforzerà il comparto industriale. Certezze, nessuna: quand’era a capo della Fiom, Landini si vide beffare dall’inesistente Fabbrica Italia, il piano di rilancio solo vagheggiato da Marchionne. Ma ancora più clamoroso è il silenzio dei media nazionali e della stessa politica, evidenziato dall’assenza totale – nella vicenda – del governo Conte. E se chiuderanno gli stabilimenti del centro-sud? Visto che a decidere saranno i francesi, come possono dormire sonni tranquilli gli operai di Melfi, Pomigliano e Termini Imerese? Nessuno sembra domandarselo: silenzio di tomba. Muti i giornali, zitti i partiti, non pervenuto Palazzo Chigi. Purtroppo, la cosa non stupisce: solo in Italia, ricorda Moncalvo con amarezza, nel 1991 – per timore di dispiacere ai signori della Fiat – fu tradotto col titolo “Il silenzio degli innocenti” il film-kolossal di Jonathan Demme, con Jodie Foster e Anthony Hopkins. Nel resto del mondo, il titolo originale (”The silence of the lambs”) fu tradotto correttamente: il silenzio degli agnelli.«Tutti parlano giustamente del problema dell’Ilva e dei posti di lavoro a rischio a Taranto, ma nessuno – sottolineo, nessuno – parla dei posti che salteranno per la vicenda Fca-Psa». Perché nessuno ne parla? Molto semplice, risponde Gigi Moncalvo: «Nessuno osa rispondere al seguente interrogativo: quando ci sarà da decidere la sorte, la chiusura degli stabilimenti in Italia (Pomigliano d’Arco, Termini Imerese, Melfi e chi più ne ha, più ne metta), secondo voi prevarrà la volontà e la decisione dei 6 consiglieri (su 11) della corporation francese, oppure prevarrà la tesi di una società che ormai è olandese, londinese e americana?». Ormai l’ex Fiat – per decenni sorretta finanziariamente dallo Stato italiano – è infatti una società di diritto olandese con domiciliazione fiscale nel Regno Unito (e domiciliazione borsistica negli Usa). Insiste Moncalvo, dai microfoni della trasmissione web-radio “Forme d’Onda“, ripreso anche su YouTube: «Che cosa gliene importerà, all’ex Fiat, ormai olandese, londinese e americana, della sorte di Pomigliano d’Arco, Melfi, Termini Imerese e tutto il resto?». L’accusa di Moncalvo è esplicita: «I media tacciono, sull’accordo franco-italiano, perché la Fiat continua a riversare fior di soldi, in termini pubblicitari, su giornali e televisioni». Un modo per avere “buona stampa”, cioè in questo caso stimolare il silenzio dei giornalisti?
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Ilva, la tomba neoliberista: se tagli lo Stato uccidi il paese
Ilva e Alitalia, Fca in fuga insieme a Whirlpool ed Embraco. E poi altri mille “tavoli di crisi” che disegnano il tramonto del sistema industriale italiano. Chi si concentra solo sulle notizie del giorno (è colpa di chi ha messo in discussione lo “scudo legale”, non si cambiano le regole in corso d’opera, Arcelor Mittal voleva 5.000 esuberi e ha giocato sporco) è destinato a non capire cosa sta davvero succedendo, afferma Dante Barontini su “Contropiano”: «C’è un paese che sta affondando nella de-industrializzazione, senza peraltro avere mai costruito un modello di sviluppo alternativo». Le colpe, secondo il “giornale comunista online”, vanno equamente divise «tra una classe imprenditoriale di inqualificabile viltà e una classe politica, se si può, anche peggiore». Entrambe, infatti, «davanti alla costruzione europea che toglieva sovranità alle scelte economiche, hanno reagito fuggendo», ciascuno a modo suo: gli imprenditori «girando i loro profitti nella finanza speculativa», e i politici (nessuno escluso, da Berlusconi a Salvini) di fatto «accettando i diktat europei, spogliandosi di qualsiasi responsabilità e rifugiandosi nella bolla della “comunicazione”, ossia nella menzogna professionale».Da quasi trent’anni, dal Trattato di Maastricht in poi – ricorda Barontini – la “politica industriale” di tutti i governi è consistita in privatizzazioni e soldi a pioggia alle imprese. In sostanza: “regali industriali” – da Telecom a Italsider, ad Autostrade – accompagnati da generose “dazioni” liquide (sotto forma di decontribuzione, finanziamenti a fondo perduto, taglio del cuneo fiscale), «oltre che da politiche criminali sul lavoro», ovvero «precarietà contrattuale legalizzata, allungamento dell’età lavorativa, eliminazione delle tutele dei lavoratori, deflazione salariale», con la piena “complicità” di Cgil, Cisl e Uil. E tutto questo, «accettando sempre la tagliola del “divieto agli aiuti di Stato” imposta dall’Unione Europea». Di fatto, aggiunge Barontini, «sono state consegnate alle imprese le chiavi dello sviluppo o della morte del paese». Le imprese ovviamente hanno pensato ai loro affari, in una situazione di cortissimo respiro: «I “mercati” valutano le relazioni trimestrali, mica le prospettive strategiche». Rimosso a monte l’obiettivo sistemico (lo sviluppo del paese, il benessere diffuso, posti di lavoro e salari accettabili) non resta che il calcolo costi-benefici «tra costo del lavoro, incentivi a pioggia, efficienza delle infrastrutture, politiche fiscali nazionali».Inevitabile, secondo Barontini, che le imprese «decidessero per la morte, ponendo ogni volta il ricatto con modalità mafiose: o ci date mano libera o ce ne andiamo da un’altra parte». Amarezza: «C’erano una volta i lavoratori che si trasferivano là dove c’erano le industrie, con la valigia di cartone legata con lo spago. Oggi sono le imprese multinazionali a viaggiare, spostando linee di montaggio e casseforti gonfie di soldi». Globalizzazione selvaggia, delocalizzazioni facili: «Da questa condizione storica non si esce con misure una tantum, con un finanziamento in più e neanche con una “partecipazione pubblica” nei casi più disperati», sostiene “Contropiano”, segnalando che «dopo anni, è arrivato a chiederla – per la sola Ilva – persino il segretario della Cgil». Di fronte alla dimensione del disastro economico e sociale, per Barontini c’è bisogno di una visione e di una programmazione di lungo periodo: «C’è bisogno di decidere che cosa produrre e come farlo». Soprattutto: «C’è bisogno di investire in barba a qualsiasi “patto di stabilità europeo”, perché un paese di 60 milioni di persone non può accettare di finire nel baratro della storia solo per rispettare “regole” scritte per favorire altri sistemi industriali, altri paesi e altre multinazionali». Giusto nazionalizzare, ma non basta più: serve «una diversa visione del mondo e della produzione». In altre parole, «si tratta di prendere atto che il capitalismo neoliberista non funziona più e va superato prima che esploda», seminando (come sempre nella storia) «morte e distruzione».Ilva e Alitalia, Fca in fuga insieme a Whirlpool ed Embraco. E poi altri mille “tavoli di crisi” che disegnano il tramonto del sistema industriale italiano. Chi si concentra solo sulle notizie del giorno (è colpa di chi ha messo in discussione lo “scudo legale”, non si cambiano le regole in corso d’opera, Arcelor Mittal voleva 5.000 esuberi e ha giocato sporco) è destinato a non capire cosa sta davvero succedendo, afferma Dante Barontini su “Contropiano“: «C’è un paese che sta affondando nella de-industrializzazione, senza peraltro avere mai costruito un modello di sviluppo alternativo». Le colpe, secondo il “giornale comunista online”, vanno equamente divise «tra una classe imprenditoriale di inqualificabile viltà e una classe politica, se si può, anche peggiore». Entrambe, infatti, «davanti alla costruzione europea che toglieva sovranità alle scelte economiche, hanno reagito fuggendo», ciascuno a modo suo: gli imprenditori «girando i loro profitti nella finanza speculativa», e i politici (nessuno escluso, da Berlusconi a Salvini) di fatto «accettando i diktat europei, spogliandosi di qualsiasi responsabilità e rifugiandosi nella bolla della “comunicazione”, ossia nella menzogna professionale».
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Ilva: quel regalo di Prodi all’Ue che piegò l’industria italiana
Un’antologia di Spoon River della politica industriale: il paragone tra gli ultimi decenni dell’economia italiana e il celebre “cimitero” letterario rischia di diventare ancora più calzante se ad aggiungersi alla grande massa di settori strategici, centri produttivi di vitale importanza e campioni nazionali smantellati da scelte politiche scriteriate (specie le privatizzazioni selvagge), carenze nella definizione delle priorità strategiche e disastri dei gestori privati dovesse aggiungersi l’Ilva. La corsa frenetica a demolire l’economia mista imperniata nell’Istituto di Ricostruzione Industriale (Iri) è stata devastante. Lo ha fatto notare con durezza e nitida chiarezza il direttore del “Quotidiano del Sud” Roberto Napoletano in un recente editoriale: «La vecchia Stet dell’Iri ha ricostruito l’impero romano regalando all’Italia il primato mondiale delle telecomunicazioni e i segreti dell’industria del futuro globale. (…) La vecchia Italstat dell’Iri regala all’Italia un player globale delle costruzioni e delle grandi opere. Apre e chiude i cantieri, si percepisce il progetto paese dello Stato imprenditore, le due Italie sono riunificate con l’Autostrada del Sole costruita e inaugurata prima della scadenza prevista». Entrambe finiranno poi per naufragare dopo la fine dell’epoca d’oro dello Stato-imprenditore.Destino analogo a quello dell’acciaio: «La vecchia Finsider dell’Iri ha regalato all’Italia l’impianto che garantiva a tutti i paesi europei l’indipendenza nella disponibilità di una materia cruciale (l’acciaio) per lo sviluppo industriale. L’uscita dall’orbita pubblica è stata fatale». Il susseguirsi di caos giudiziari, problematiche amministrative e incertezze politiche, dai Riva a Arcelor Mittal, ha fatto il resto. E ora l’Italia rischia di ritrovarsi di fronte a una Caporetto industriale. La chiusura dell’Ilva, la perdita dell’1,5% del Pil legato all’acciaio, la distruzione di 10.700 posti di lavoro diretti e decine di migliaia indiretti per il contenzioso tra il governo Conte II e Arcelor-Mittal, compratore in ritiro dello stabilimento, per il problema dello “scudo penale” previsto dal piano firmato da Luigi Di Maio e ipotizzato prima di lui da Carlo Calenda, certificherebbe il fallimento della (non) strategia italiana dell’acciaio. Iniziata quando Romano Prodi decise di mettere in liquidazione Italsider e Finsider, nel corso del suo mandato da direttore dell’Iri e presidente del Consiglio, perché…ce lo chiedeva l’Europa. Perché l’Ue chiedeva che l’Italia, svenandosi, pagasse il prezzo dell’entrata nell’euro privandosi dei gioielli di famiglia. E iniziando una spirale decrescente che ha fatto venire meno la compatta integrazione di filiera e portato al degrado delle condizioni ambientali e lavorative in Ilva.I lavoratori dell’Ilva di Taranto, per troppo tempo, hanno dovuto scegliere tra due alternative: la trappola della povertà, ovvero l’abbandono di un posto di lavoro che tra standard ambientali insani e tumori dilaganti rappresentava comunque una delle poche opportunità occupazionali dell’area, o l’accettazione di una precarietà di condizioni disarmante e degradante. Un governo desideroso di fare davvero politica industriale dovrebbe in primo luogo vincolare la vendita dell’Ilva alla risoluzione di questa asimmetria. Tante sono le questioni su cui ci dovremmo interrogare: perché introdurre lo scudo penale per Arcelor Mittal senza condizionarlo a una sorta di “golden power” pubblico, ovvero monitorando strettamente il compratore imponendogli il rispetto di un serio piano ambientale, la transizione operativa e la tutela di standard definiti? Perché non proporre altro che un cambio repentino di legislazione che Arcelor ha potuto cogliere come palla al balzo per svincolarsi? Perché non aver fatto chiarezza sui contratti di affitto dell’ex Ilva stipulati anche dai commissari straordinari? Perché il Conte II ha questa smania di smantellare ciò che, pur confusamente, il Conte I aveva concluso senza proporre un piano di lungo periodo alternativo?La verità è che manca la politica, la vera visione strategica delle priorità del paese. Manca la volontà di indirizzare lo sviluppo dello Stato nei settori strategici, di tutelare l’occupazione e il futuro produttivo del paese. Lo vediamo in questi giorni: Fca e Peugeot vanno verso la conclusione di un’alleanza strategica in cui il governo italiano non ha saputo intervenire con il potere di persuasione morale, pensando che i cambi di residenza fiscale neghino la realtà, che impone di preservare il futuro del settore auto. Lo vediamo sui gasdotti, sulle trivelle, sui porti, su Alitalia, sui cantieri navali, sulle telecomunicazioni. Lo vediamo quando 10.700 persone rischiano il posto di lavoro e un polo tanto importante di evaporare come neve al sole: non sarebbe riduttivo pensare all’ipotesi di dimissioni del governo Conte in caso di chiusura dell’Ilva. È il deserto della politica. Di un sistema paese che ha smesso di pensarsi tale. E di una politica che pensa alla supremazia dei mercati e non a come intervenire, laddove necessario, per tutelare lavoro e produzione. Il padre della grande stagione dell’acciaio italiano, Oscar Sinigaglia, partì ragionando da un assunto semplice: senza acciaio non c’è industria. Sarebbe meglio che anche a Roma si iniziasse a capire un pensiero tanto basilare quanto vitale per un comparto chiave e, a cascata, per l’economia.(Andrea Muratore, “Quel regalo di Prodi all’Europa che piegò l’industria dell’Italia, dietro il disastro Ilva il vuoto si una seria politica industriale”, dall’inserto “InsideOver” de “Il Giornale” del 10 novembre 2019).Un’antologia di Spoon River della politica industriale: il paragone tra gli ultimi decenni dell’economia italiana e il celebre “cimitero” letterario rischia di diventare ancora più calzante se ad aggiungersi alla grande massa di settori strategici, centri produttivi di vitale importanza e campioni nazionali smantellati da scelte politiche scriteriate (specie le privatizzazioni selvagge), carenze nella definizione delle priorità strategiche e disastri dei gestori privati dovesse aggiungersi l’Ilva. La corsa frenetica a demolire l’economia mista imperniata nell’Istituto di Ricostruzione Industriale (Iri) è stata devastante. Lo ha fatto notare con durezza e nitida chiarezza il direttore del “Quotidiano del Sud” Roberto Napoletano in un recente editoriale: «La vecchia Stet dell’Iri ha ricostruito l’impero romano regalando all’Italia il primato mondiale delle telecomunicazioni e i segreti dell’industria del futuro globale. (…) La vecchia Italstat dell’Iri regala all’Italia un player globale delle costruzioni e delle grandi opere. Apre e chiude i cantieri, si percepisce il progetto paese dello Stato imprenditore, le due Italie sono riunificate con l’Autostrada del Sole costruita e inaugurata prima della scadenza prevista». Entrambe finiranno poi per naufragare dopo la fine dell’epoca d’oro dello Stato-imprenditore.
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Magaldi: è stato il libro ‘Massoni’ a far dimettere Napolitano
Pensateci: chi meglio di Mario Draghi, per smontare il rigore eurocratico? Se fosse sinceramente pentito dei suoi trent’anni di neoliberismo privatizzatore, e ora orientato da una visione neoaristocratica della politica, l’ex presidente della Bce potrebbe fare molto, per l’Italia, se ad esempio fosse eletto presidente della Repubblica dopo Mattarella. Gioele Magaldi, frontman italiano del circuito massonico progressista mondiale, conferma: insieme a Christine Lagarde, che ora ne ha ereditato la poltrona al vertice dell’Eurotower, lo stesso Draghi ha bussato alle porte della massoneria rivale, promotrice dei diritti sociali e ostile al rigore Ue. Tradotto: lui e la Lagarde offrirebbero la loro piena collaborazione per cominciare a rimediare ai disastri che l’élite oligarchica (di cui sono stati leader) ha finora combinato, mettendo alla frusta gli Stati e creando a tavolino una crisi che sembra senza vie d’uscita. L’altra notizia – che Magaldi affida a una video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights” – è che fu proprio lui, con il libro “Massoni” edito da Chiarelettere a fine 2014, a costringere alle dimissioni Giorgio Napolitano all’inizio del 2015, avendone svelato l’imbarazzante cifra massonica occulta e il ruolo di vettore strategico di nefasti poteri extra-italiani.Napolitano, dice Magaldi, «si è dovuto dimettere in seguito all’uscita del mio libro», un besteller (e long-seller, tuttora vendutissimo) preceduto da decine di migliaia di prenotazioni, prima ancora del debutto in libreria. Magaldi ha fondato il Movimento Roosevelt, entità metapartitica trasversale creata per rianimare in senso democratico la politica italiana, sclerotizzata nell’apparente opposizione destra-sinistra (a valle dell’obbedienza trentennale ai poteri forti dell’oligarchia europea). Già inziato alla superloggia “Thomas Paine” e ora gran maestro del Grande Oriente Democratico, lo stesso Magaldi fornisce una lettura esclusiva del back-office del vero potere, che descrive come interamente massonico, dominato da decine di superlogge apolidi e transnazionali che ispirano le scelte politiche a monte dei governi eletti. Secondo questa rappresentazione, una faglia profonda oppone le due galassie supermassoniche: da una parte la corrente progressista rooseveltiana, che detenne la leadership dell’Occidente fino alla fine dgli anni ‘60 preparandosi a lanciare verso la Casa Bianca il ticket rappresentato da Bob Kennedy e Martin Luther King, e dall’altra il filone neo-conservatore che avrebbe messo in campo politici come Reagan e Thatcher, per arrivare fino all’estremismo “terroristico” del clan Bush.Obiettivo della regia supermassonica del neoliberismo: demolire il welfare e la mobilità sociale, in nome dei dogmi economico-filosofici di Milton Friedman, Robert Nozick e Friedriech von Hayek, figli di una concezione neo-feudale della società. Di qui la politica post-democratica dell’ordoliberismo Ue: predisporre la scarsità artificiosa della moneta, sostanzialmente “privatizzata”, per ricattare gli Stati (leggasi spread) togliendo loro sovranità democratica e capacità di spesa, a esclusivo vantaggio della grande finanza speculativa. I rottami di questa lunghissima stagione, aperta in Italia dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia (retta allora dal massone Ciampi), sono sotto i nostri occhi. Il dramma dell’Ilva non è che l’ultimo capitolo di una tragedia a puntate, avviata dallo smembramento dell’Iri affidato a Romano Prodi (che Magaldi definisce “globalizzatore in grembiulino”). Sintomatico l’episodio del Britannia, 2 giugno ‘92, col massone Draghi raccontato come grande protagonista occulto della presunta cospirazione finanziaria anglosassone per la svendita del paese. «Più che le suggestioni complottistiche – avverte Magaldi – pesano i lunghi anni in cui Draghi, da direttore generale del Tesoro, agevolò le disastrose privatizzazioni all’italiana che minarono il futuro del paese».Qualche anno dopo, Massimo D’Alema (per Magaldi, altro supermassone neoaristocratico) si vantò di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni. Ma D’Alema non era un leader della sinistra? Se è per questo lo erano anche Bill Clinton, Tony Blair e Gerhard Schroeder, fautori della “terza via” teorizzata dall’inglese Anthony Giddens come formula a metà strada tra capitalismo e socialismo. In realtà, i “terzisti” erano arruolati nella supermassoneria reazionaria – e tra questi anche Napolitano, iniziato alla superloggia “Three Eyes”, quella di Kissinger, Rockefeller e Brzezinski. Un uomo di cui Magaldi offre un ritratto piuttosto ruvido: «Negli anni ‘50, il comunista Napolitano era stalinista e difese la repressione sovietica della rivolta ungherese, e ancora negli anni ‘70 era un ostinato avversario della prospettiva europeista». Cambiò idea su tutto, capovolgendo le sue posizioni politiche: «Nel 2011, insieme a Draghi, predispose il “golpe bianco” di Mario Monti, eseguendo le direttive della supermassoneria oligarchia e post-democratica europea». Oggi tocca a Draghi cambiare bandiera, stavolta in direzione opposta?C’è chi lo indica candidato al Quirinale addirittura dalla Lega, in cambio del suo appoggio a un eventuale governo Salvini, qualora il Conte-bis saltasse per aria nei prossimi mesi. In molti diffidano del super-banchiere, solo ieri osannato dai peggiori esponenti dell’euro-sistema, Macron e Merkel in testa. Da parte sua, Magaldi ribalta il ragionamento: proprio per il prestigio di cui Super-Mario gode, da Bruxelles a Berlino, chi potrebbe smentire altrettanto autorevolmente i suoi ex sodali? Del resto, far passare dalla tua parte un generale nemico può essere il modo migliore per vincere una guerra. Non c’è bisogno di scomodare il paragone con la lotta alla mafia, dove sono stati i pentiti a svolgere un ruolo decisivo. Proprio la compravendita di colonnelli è lo sport nel quale ha primeggiato il fronte neoliberista, reclutando leader della sinistra e dirigenti sindacali. Era una prescrizione del geniale memorandum scritto nel 1971 da Lewis Powell: “comprare” i capi della sinistra riformista, lasciando a loro il compito di spiegare all’elettorato che l’austerity sarebbe stata cosa buona e giusta. Nel caso di Draghi, in realtà, saremmo di fronte a un ripensamento spontaneo: si è ricordato dell’antico insegnamento progressista del maestro Federico Caffè? In ogni caso, Magaldi è ottimista: gli oligarchi dell’euro-sistema, dice, hanno capito perfettamente che la loro “teologia” del rigore non potrà durare, viste le sofferenze sociali che sta infliggendo ai popoli europei.Pensateci: chi meglio di Mario Draghi, per smontare il rigore eurocratico? Se fosse sinceramente pentito dei suoi trent’anni di neoliberismo privatizzatore, e non più orientato da una visione neoaristocratica della politica, l’ex presidente della Bce potrebbe fare molto, per l’Italia, specie nel caso in cui, ad esempio, fosse eletto al Colle dopo Mattarella. Gioele Magaldi, frontman italiano del circuito massonico progressista mondiale, conferma: insieme a Christine Lagarde, che ora ne ha ereditato la poltrona al vertice dell’Eurotower, lo stesso Draghi ha bussato alle porte della massoneria rivale, promotrice dei diritti sociali e ostile al rigore Ue. Tradotto: lui e la Lagarde offrirebbero la loro piena collaborazione per cominciare a rimediare ai disastri che l’élite oligarchica (di cui sono stati leader) ha finora combinato, mettendo alla frusta gli Stati e creando a tavolino una crisi che sembra senza vie d’uscita. L’altra notizia – che Magaldi affida a una video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – è che fu proprio lui, con il libro “Massoni” edito da Chiarelettere a fine 2014, a costringere alle dimissioni Giorgio Napolitano all’inizio del 2015, avendone svelato l’imbarazzante cifra massonica occulta e il ruolo di vettore strategico di nefasti poteri extra-italiani.