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Roberts: chi spara su Trump lo consegna ai neocon affiliati
Le nomine di Trump: sarà ancora Goldman Sachs a comandare la politica economica americana? Come ha già scoperto “The Donald”, appena eletto, la verità è che «non c’è scelta, se non tra gli affiliati», dice Paul Craig Roberts, sottosegretario al Tesoro nel governo Reagan. «Nella maggior parte dei casi è così». Ovvero: i nuovi eletti «sono poca cosa, per gli affiliati, che sono soliti mangiarseli vivi». Esempio: la squadra dei “californiani” di Ronald Reagan «fu niente, in confronto agli affiliati di George Bush», il padre. «La parte di governo formata dagli uomini di Reagan ci mise un sacco di tempo a partorire i risultati che sperava». Poi c’è il Senato: visto che il Congresso è controllato dai repubblicani, significa che «rimane nelle mani di senatori con particolari interessi, che mirano a proteggere i loro piani da possibili nomine ostili». E un Trump «sotto attacco prima ancora della sua investitura ufficiale», decisamente «non può permettersi di ritardare la lotta per la conferma delle nomine». Dunque l’ascesa di Steve Mnuchin al Tesoro significa che sarà ancora Goldman Sachs a dettar legge alla Casa Bianca? «Possibile, ma non possiamo saperlo per certo. Non ci resta che aspettare e vedere».Mnuchin lasciò Goldman Sachs 14 anni fa, scrive Craig Roberts in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «Girava film a Hollywood e ha avviato un’attività in proprio». Molte persone, di fatto, «hanno lavorato per Goldman Sachs e per la New York Bank», per poi diventare «critici inflessibili nei confronti delle banche», come raccontano Nomi Print e Pam Martens. Anche l’abituale co-autore di Craig Roberts, Dave Krenzler, «è un ex frequentatore di Wall Street». Secondo l’analista indipendente, «i commentatori stanno saltando alle conclusioni basandosi sulle passate associazioni dei nominati». In realtà, «Mnuchin fu uno dei primi sostenitori di Trump». Quindi ora l’ex finanziere appoggerà Trump nel suo tentativo di riportare in America i posti di lavoro per la classe media? E lo stesso Trump è sincero? «Non lo sappiamo». L’unica certezza è che Trump «ha attaccato il falso accordo di “libero scambio” che ha spogliato l’America dai posti di lavoro per la classe media come fecero Pat Buchanan e Ross Perot. Sappiamo anche che i Clinton costruirono la loro fortuna come agenti dell’Uno per Cento, gli unici ad aver avuto guadagno dalla delocalizzazione dei posti di lavoro americani».Secondo Craig Roberts, «non tutti i miliardari sono degli oligarchi», e il rapporto di Trump con il settore finanziario «è quello di un comune debitore». Con le banche, «ha un rapporto scadente». E che dire, poi, dei «generali dalla testa calda» appena nominati, alla difesa e alla sicurezza nazionale? «Entrambi sembrano trovare la loro fine in Iran, il che è stupido e infelice». Per contro, il generale Flynn «denunciò il regime di Obama per aver rifiutato il consiglio della Dia ed aver sostenuto l’Isis nel rovesciare Assad», mentre il generale Mattis «fu colui che disse a Trump che la tortura non funziona». Entrambi questi generali, «per quanto cattivi possano sembrare», per Craig Roberts «sono comunque un miglioramento rispetto a chi li ha preceduti: entrambi hanno dimostrato indipendenza rispetto alla linea neo-conservatrice che supporta Isis e torture».Il nemico numero uno, per Craig Robers, è costituto da quelli che chiama “gli affiliati”, cioè i super-massoni della piramide del potere reale, non elettivo. «E’ da tenere a mente anche che esistono due tipi di affiliati», scrive: «Quelli che rappresentano l’agenda degli interessi particolari; gli altri che seguono la corrente per partecipare attivamente alla vita politica della nazione. Coloro che non si allineano con la maggioranza vengono estromessi». Un posto in Goldman Sachs «è un buon viatico per la ricchezza», certo. «Che Mnuchin l’abbia lasciato 14 anni fa può significare che non rappresentava un buon partito per Goldman Sachs, che a loro non piaceva o viceversa che lui non gradiva loro». Che Flynn e Mattis abbiano preso una posizione indipendente riguardo l’Isis e le torture «li dipinge come degli anticonformisti». Tutti e tre questi nominati «appaiono forti e sicuri nelle loro convinzioni, nella loro confidenza con l’ambiente politico», il che «li qualifica come il personale di cui Trump ha bisogno per raggiungere qualsivoglia obbiettivo».Trump, ricorda Craog Roberts, è stato l’unico fra tutti i candidati alla presidenza a dichiarare di non vedere motivi di conflitto con la Russia. L’unico, anche a interrogarsi «sul perché la Nato continui ad esistere a 25 anni dal collasso dell’Unione Sovietica». Solo Trump «ha dichiarato di voler riportare in America i posti di lavoro per la classe media». Ha detto che avrebbe irrigidito la politica dell’immigrazione: «Si tratta di razzismo o di protezione della cittadinanza?». Inutile sparare su Trump senza dargli il tempo di agire: meglio invece «basarci sulle sue promesse e vincolare l’amministrazione Trump al loro mantenimento». E inoltre, «dovremmo anche far sì che Trump si renda conto delle terribili conseguenze che derivano dal degrado ambientale», visto che l’ecologia (fonti rinnovabili) è assente dalla sua agenda. Ma, oggi, «più Trump viene criticato, più è facile per i neoconservatori offrirgli il loro appoggio ed entrare a far parte del governo». Per adesso «non ne ha ancora nominato alcuno, ma c’è da scommettere che Israele spinge per delle nomine fra questi».I neocon «hanno il controllo dei media e comandano fra gli esperti, fra i dipartimenti universitari per gli affari esteri e fra la comunità politica internazionale. Sono un pericolo costante». Il temperamento di Trump «lo porta ad essere più incline a rappresentare il presidente che risolleva le sorti dell’America in declino, piuttosto che colui che usa la carica presidenziale per arricchirsi». Perciò, conclude Craig Roberts, «ci troviamo di fronte ad un’occasione di cambiamento che una volta tanto viene dall’alto invece che avere origine da sanguinose rivolte di strada». E quindi: «Diamo al governo Trump un’occasione. Potremmo rivoltarci dopo che ci avrà deluso».Le nomine di Trump: sarà ancora Goldman Sachs a comandare la politica economica americana? Come ha già scoperto “The Donald”, appena eletto, la verità è che «non c’è scelta, se non tra gli affiliati», dice Paul Craig Roberts, sottosegretario al Tesoro nel governo Reagan. «Nella maggior parte dei casi è così». Ovvero: i nuovi eletti «sono poca cosa, per gli affiliati, che sono soliti mangiarseli vivi». Esempio: la squadra dei “californiani” di Ronald Reagan «fu niente, in confronto agli affiliati di George Bush», il padre. «La parte di governo formata dagli uomini di Reagan ci mise un sacco di tempo a partorire i risultati che sperava». Poi c’è il Senato: visto che il Congresso è controllato dai repubblicani, significa che «rimane nelle mani di senatori con particolari interessi, che mirano a proteggere i loro piani da possibili nomine ostili». E un Trump «sotto attacco prima ancora della sua investitura ufficiale», decisamente «non può permettersi di ritardare la lotta per la conferma delle nomine». Dunque l’ascesa di Steve Mnuchin al Tesoro significa che sarà ancora Goldman Sachs a dettar legge alla Casa Bianca? «Possibile, ma non possiamo saperlo per certo. Non ci resta che aspettare e vedere».
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Pieczenik, il boia di Moro, gola profonda sull’11 Settembre
Basta attentati “false flag”, basta manipolazioni come l’11 Settembre. A dirlo è nientemeno che Steve Pieczenik, uno che se ne intende: «Pieczenik è un esponente dello “Stato profondo”, l’uomo che al tempo del rapimento Moro fu mandato in Italia dal Dipartimento di Stato per assicurarsi che Moro non tornasse a casa», scrive Maurizio Blondet. «A modo suo un servitore dello Stato, e di quegli apparati nazionali che i neocon hanno sbattuto fuori l’11 Settembre, prendendo a forza il comando della politica estera Usa nella “lotta al terrorismo islamico”, per il bene di Israele». E quindi, se oggi proclama “Mai più 11 Settembre”, «sta avvertendo: sappiamo che siete stati voi, possiamo riaprire l’inchiesta». In un video, nel quale si rallegra della vittoria di Trump, che attribuisce alla mobilitazione dei «16 servizi di intelligence», Pieczenik elenca “ciò che il popolo americano non vuole più”: «Non più false flag, non più 11 Settembre, non più Sandy Hook, sparatorie di Orlando o altri imbrogli, propaganda e stronzate! Quel che vogliamo oggi è la verità». Ciò significa che l’enorme rimescolamento di poteri causato dallo tsunami-Trump potrebbe scoperchiare tante verità sepolte?Sandy Hook è il massacro in una scuola elementare nel Connecticut, il 14 dicembre 2012, dove un folle ha ucciso 27 persone, bambini e insegnanti. A Orlando, la strage nella discoteca gay “Pulse”, giugno 2016, fu attribuita a un musulmano. Due casi denunciati sui blog come “false flag”, operazioni di auto-terrorismo. «Oggi Pieczenik, allusivamente, conferma: sappiamo che siete stati voi». Ma chi sono i “voi”? «Li vediamo affrettarsi ad infiltrare anche l’amministrazione Trump», scrive Blondet. C’è chi si precipita, infatti, a scrivere «articoli adulatori sul generale Michael Flynn», il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, «che tutti danno come suggeritore di Trump per il Medio Oriente e la pacificazione con Mosca». Quando era capo della Dia, l’intelligence militare, cioè fino al 2014, Flynn «ha raccontato come ha sabotato – insieme al capo degli stati maggiori di allora, ammiraglio Dempsey – il piano di Obama di armare i jihadisti in Siria per abbattere Assad». Flynn e Dempsey non eseguirono gli ordini di Obama, «collaborando sotto sotto coi russi». E adesso, improvvisamente, il potente mainstream – fino a ieri schierato con Obama e Hillary – presenta il generale Flynn come un eroe nazionale.Lo stesso Flynn ha appena scritto un libro, “Field of Fight”, che ha come sottotitolo “come possiamo vincere la guerra contro l’Islam radicale e i suoi alleati”, dove racconta gli “insabbiamenti e falsificazioni” di Obama a favore dell’Isis e di Al-Qaeda. Attenzione: il libro l’ha scritto con Michael Ledeen, vecchia conoscenza – purtroppo – della politica italiana, come Pieczenik. Temibile neocon, esponente dell’ultra-destra americana vicina alla lobby israeliana, Ledeen «è ricomparso in Italia a fianco di Marco Carrai, l’“intimo amico” di Renzi». Per Blondet, Carrai è «un evidente agente israeliano, a cui Renzi ha affidato l’incarico di suo consulente al Dis (l’organismo di coordinamento dei servizi segreti), il che equivale a consegnare la nostra intelligence al Mossad». Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Uno Editori) indica proprio Ledeen come il grande manovratore occulto della “sovragestione” della politica italiana, dal caso Moro alla P2: «Sponsorizzò prima Craxi e poi Di Pietro, ora Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio».Oggi Ledeen sembra di nuovo in piena corsa, tra i neocon che sgomitano per condizionare la politica di Trump, attraverso la collaborazione con Michael Flynn. «Apparentemente, il generale Flynn non potrebbe aver niente da spartire con Ledeen, di cui non ignora certo le parti che ha giocato l’11 Settembre», scrive Blondet. «Il punto di contatto sembra essere nella volontà – ferocemente ebraica – di far sì che il presidente stracci il trattato sul nucleare con l’Iran». Da almeno dieci anni, aggiunge Blondet, gli israeliani «tentano di indurre Washington a bombardare per loro l’Iran, specie le sue centrali atomiche». Trump li asseconderà? Altre ombre si addensano su Rudolph Giuliani: la sua presenza nello staff presidenziale «sembra assicurare che non sarà aperta un’inchiesta sull’11 Settembre e i suoi veri mandanti». Giuliani, a quel tempo sindaco di New York, «fu pesantemente partecipe al piano della distruzione delle Twin Towers», sostiene Blondet. Per contro, nel team c’è anche Steve Bannon, il direttore di “Breitbart.com” (18 milioni di lettori: un’audience che il “New York Times” può solo sognarsi). Bannon è «un antisistema proclamato e quindi bollato ad altissima voce dai media come “antisemita”, oltre che anti-islamico e anti-gay». Bannon, quindi, «può rassicurare sul coraggio di Trump di non piegarsi alla nota lobby», confermando «la pulsione “rivoluzionaria” che l’ha portato alla vittoria elettorale».Squarci di verità, tra i retroscena “imperiali” degli ultimi 15 anni? Sul “Fatto Quotidiano”, Giulietto Chiesa mette le mani avanti: «Una delle fonti che io considero più attendibili, Paul Craig Roberts, sul suo blog ha commentato con molta prudenza queste fonti, limitandosi a dire che, in caso fossero reali le intenzioni di Trump di riaprire l’inchiesta sull’11 Settembre, difficilmente resterebbe vivo fino al momento del suo insediamento». Non ci sono solo Bannon e il generale Flynn, nella cerchia di Trump, ma anche John Bolton, «superfalco neocon ed ex rappresentante all’Onu», e Mike Pompeo, che sarà alla testa della Cia («uno che ha comunicato al mondo, via Twitter, la sua impazienza di cancellare il negoziato con l’Iran»). Tutto questo, scrive Chiesa, «fa pensare che l’11 Settembre resterà nei cassetti delle rivelazioni future ancora per qualche tempo». Il che, però, «non significa che tutto sia immobile». Impossibile sottovalutare le esternazioni di Steve Pieczenik: «Parole che non possono essere ignorate per molte ragioni». Pieczenik è stato «un fedele e abile servitore dello Stato Imperiale per molti anni e su scenari assolutamente decisivi per la politica statunitense: è stato al servizio di diversi presidenti, come agente dei servizi segreti, come diplomatico, come influencer di alto profilo».Basterebbe ricordare che Pieczenik «venne inviato da Washington in Italia per “assistere” l’allora ministro degl’interni Francesco Cossiga, poi divenuto presidente della Repubblica, nel non facile compito di gestire il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro». In qualche intervista, anni fa, Pieczenik «non fece mistero del suo compito di allora: liquidare definitivamente Aldo Moro». Non solo: «Alcune allusioni che egli stesso fece filtrare condussero molti, tra cui il sottoscritto, a ritenere che fosse proprio lui uno dei manovratori delle Brigate Rosse, dei servizi italiani “deviati”, e dei depistaggi che impedirono agli inquirenti italiani di giungere al carcere segreto dove Moro era rinchiuso prima che fosse ucciso». Adesso è in pensione, fuori servizio, ma fino a un certo punto: «In piena campagna elettorale americana se ne uscì parlando come se fosse parte del “contro-colpo di Stato” dell’Fbi contro (perdonate la reiterazione) il “colpo di Stato” della Clinton». È indubbio che Pieczenik ha accesso a fonti di prima mano. «E se oggi dice – e promette – “non più false flag”, “non più 11 Settembre”, “non più finte uccisioni di Osama bin Laden” si ha ragione di ritenere che nei meandri della lotta politica feroce che dilania l’establishment americano, questa questione si sta muovendo».Certo, resta da capire perché parla ora: lo fa «con il contagocce, ma parla, allude». Succede a molti di questi alti esecutori, di parlare quando vanno in pensione, di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. «Magari si rendono conto, in prossimità della fine, delle mostruosità che hanno contribuito a compiere», scrive Chiesa. «Oppure vogliono vendicarsi per i torti subiti da chi stava sopra di loro e li ha usati, magari senza neppure premiarli per il lavoro svolto». O ancora, semplicemente, «vogliono rendersi utili e rimediare, per quanto possibile, in ritardo, alle loro malefatte: in cerca, almeno, del Purgatorio». In ogni caso, «ben vengano le rivelazioni, anche postume». Se non altro, tutto questo «potrebbe venire utile anche a coloro che, qui da noi, si sono messi, in tutti questi anni, al servizio della menzogna e hanno cercato, in tutti i modi, di attaccare, ridicolizzare, emarginare, insultare coloro che la verità la videro, o la intuirono, o comunque la cercarono». Sembrano dunque aprirsi spiragli che lasciano intravedere meglio l’interno della “casa americana”, che appare «molto diversa da come ce l’hanno dipinta». Così, «quando si spalancherà la porta, saranno in molti a doversi nascondere», primi fra tutti i media mainstream, solerti custodi di verità rimaste sotto chiave: se fossero state denunciate per tempo – Watergate insegna – molti orrori non sarebbero neppure andati in scena, il Deep State non sarebbe arrivato a tanto.Basta attentati “false flag”, basta manipolazioni come l’11 Settembre. A dirlo è nientemeno che Steve Pieczenik, uno che se ne intende: «Pieczenik è un esponente dello “Stato profondo”, l’uomo che al tempo del rapimento Moro fu mandato in Italia dal Dipartimento di Stato per assicurarsi che Moro non tornasse a casa», scrive Maurizio Blondet. «A modo suo un servitore dello Stato, e di quegli apparati nazionali che i neocon hanno sbattuto fuori l’11 Settembre, prendendo a forza il comando della politica estera Usa nella “lotta al terrorismo islamico”, per il bene di Israele». E quindi, se oggi proclama “Mai più 11 Settembre”, «sta avvertendo: sappiamo che siete stati voi, possiamo riaprire l’inchiesta». In un video, nel quale si rallegra della vittoria di Trump, che attribuisce alla mobilitazione dei «16 servizi di intelligence», Pieczenik elenca “ciò che il popolo americano non vuole più”: «Non più false flag, non più 11 Settembre, non più Sandy Hook, sparatorie di Orlando o altri imbrogli, propaganda e stronzate! Quel che vogliamo oggi è la verità». Ciò significa che l’enorme rimescolamento di poteri causato dallo tsunami-Trump potrebbe scoperchiare tante verità sepolte?
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Trump ha una pistola alla tempia, soccomberà anche lui?
«Qualunque cosa farà Trump sarà sempre un decimo dei danni che avrebbe potuto fare la Clinton», ma il problema ormai è un altro: riuscirà a resistere alle micidiali pressioni cui è già sottoposto dal super-potere che aveva puntato su Hillary? Il neoeletto deve vedersela con il complesso militare-industriale, i neocon, la Cia, il Pentagono: gente che ha liquidato i Kennedy, che ha messo al guinzaglio Obama, che riportò all’ordine persino Bush, lui pure – all’inizio – isolazionalista quanto Trump. Lo scrisse un neocon di razza come Michael Ledeen: «Quando Bush fu eletto, nel 2000, pensava all’America; poi venne l’11 Settembre e da quel momento capì che doveva continuare a occuparsi del mondo intero». Ledeen lo dice chiaramente, facendo capire che furono loro a fargli cambiare idea. «Oggi non serve neppure più eliminare fisicamente un presidente», spiega Massimo Mazzucco: «In genere bastano gli avvertimenti». Come quello, inequivocabile, che un altro neocon come John Bolton, già ambasciatore Usa all’Onu, ha appena rivolto a Trump: il neopresidente, secondo Bolton, dovrà stare in guardia «contro il terrorismo internazionale e anche il terrorismo interno». Nuovo 11 Settembre in arrivo? O basta la semplice minaccia?«Vedremo quanto Trump saprà resistere a questi “avvertimenti” nemmeno troppo velati», dichiara il regista Massimo Mazzucco, autore di importanti documentari sul maxi-attentato del 2001 che ha cambiato la storia del pianeta, proiettando le guerre americane in ogni continente. Intervenendo a “Border Nights”, trasmissione web-radio condotta da Fabio Frabetti, Mazzucco sostiene che l’elevata vocazione “criminale” di Hillary Clinton rivela la vera natura dei poteri che l’hanno sostenuta, gli stessi che oggi già assediano Trump. La vera colpa della Clinton, agli occhi degli elettori che alla fine si sono rassegnati a votare Trump? «Non solo ha usato il server di casa anziché quello del ministero degli esteri, ma ha anche cancellato 30.000 email per sottrarle all’Fbi, salvo poi andare in televisione a dire, mentendo, di aver messo tutte le email a disposizione delle indagini». Da quelle email, hackerate da Wikileaks, emergono retroscena imbarazzanti: milioni di dollari incamerati dalla Fondazione Clinton in cambio di favori a paesi arabi filo-Isis, concessi da Hillary quando era Segretario di Stato, e in più lo scandalo di Bengasi, con l’uccisione dell’ambasciatore americano, cioè dell’uomo che avrebbe potuto provare il traffico di armi che dalla Libia venivano fatte affluire in Siria, sotto copertura Usa, per rovesciare Assad.Bene per noi europei, se ha vinto Trump: in teoria, avremo meno tensioni e meno guerre. A favore del neoeletto depongono alcuni aspetti rilevanti: «E’ l’unico presidente americano, almeno negli ultimi 50 anni, ad aver vinto una campagna elettorale solamente con i suoi soldi», sottolinea Mazzucco. «Ha speso un centesimo, credo, di quello che ha speso la Clinton, e quindi ha vinto meritatamente, per quello che ha detto». Da qui in poi, però, è possibile che accada di tutto: «Temo che Trump sia talmente inesperto da circordarsi di gente dell’establishment». Sta già accadendo: come capo di gabinetto, posizione fondamentale nel governo americano, Trump ha scelto Reince Priebus, cioè il segretario nazionale del partito repubblicano, «lo stesso partito repubblicano che ha cercato in tutti i modi di far fuori Trump e che adesso cerca di controllarlo attraverso la scelta del suo capo di gabinetto». Altra scelta fondamentale, «passata inosservata ma che si dimosterà molto significativa nel corso del tempo», è il vicepresidente che «gli hanno messo di fianco», Mike Pence: «Non è affatto un governatorino di campagna come sembra, tranquillo e tradizionalista». Al contrario: «E’ un forsennato, feroce, fetente neocon della prima ora».Mike Pence, continua Mazzucco, è l’uomo che nel 2001, subito dopo l’11 Settembre, si occupò di inondare i media con la propaganda del caso-antrace, appena due mesi dopo l’attentato alle Torri. Con “lettere all’antrace” venivano minacciati diversi senatori, «stranamente tutti democratici, e stranamente tutti quelli che chiedevano di fare una commissione senatoriale sull’11 Settembre, che poi infatti non si fece». Fu proprio Pence ad alimentare la teoria che quell’antrace venisse da Saddam Hussein, «perché lui era mandato avanti da neocon come Cheney e Rumsfeld, che avevano bisogno di una scusa per portare la guerra in Iraq». E quando l’Fbi, «in uno strano gesto di onestà», dichiarò che l’antrace non veniva dall’Iraq ma era “scappato” da un laboratorio Usa, lo stesso Pence scrisse una lettera aprerta al ministro giustizia di allora, John Ashcroft, dicendo: “Lo sappiamo tutti che l’antrace è di Saddam”. «Questo – dice Mazzucco – dimostra che Mike Pence non è affatto un tranquillo governatore di campagna, è un mastino da guerra dei neocon. E sono convinto che l’abbiamo messo accanto a Trump proprio per cercare di condizionare la sua politica estera».Donald Trump è davvero isolazionista, «ha capito benissimo che il mondo sta in piedi fin che c’è un equilibrio e ognuno si fa gli affari suoi: Russia, Cina e Stati Uniti. Non si può continuare a andare a invadere dappertutto». Ma se Trump si rivelasse “troppo” isolazionista, cioè non-guerrafondaio, «Mike Pence cercherà sicuramente di condizionare la sua politica estera verso una strategia più aggressiva». Mazzucco è convinto che per Trump sarà durissima: «Se si dimostra sordo nel continuare le strategie imperialistiche in Medio Oriente, o gli sucede qualcosa (e diventa presidente Mike Pence), o comunque in qualche modo riusciranno a convincerlo. Un po’ come convinsero Bush nel 2000, che in campagna elettorale – prima dell’11 Settembre – diceva le stesse cose diTrump: smettere di fare “nation building”, cioè conquistare paesi». Oggi, a preoccupare il Deep State sono i rapporti con Putin: la distensione in programma con Mosca è nelle corde di Trump, a partire dalla Siria: la priorità «non è più abbattere Assad, come voleva Obama, ma abbattere l’Isis, in collaborazione con Putin». Glielo lasceranno fare?Quasi a rassicurare una parte di quei poteri-ombra, Trump lascia capire che – in cambio – abbandonerà i palestinesi al loro destino: ha dichiarato che Gerusalemme sarà proprietà esclusiva di Israele e che gli insediamenti nei Territori Occupati non sono un ostacolo per la pace in Medio Oriente. Un’evidente concessione tattica alla lobby israeliana, che è uno dei poteri schierati con Hillary. Trump sta provando a destreggiarsi, ben sapendo che «difficilmente i veri poteri Usa si rassegneranno a perdere l’egemonia completa sul mondo». Se così fosse, c’è già Bolton a ricordargli che dovrà guardarsi anche dal “terrorismo interno”. La questione è della massima serietà e pericolosità, insiste Mazzucco: «Anche Obama, appena eletto, pensava davvero di potersi ritirare dall’Afghanistan». Forse non sapeva ancora che «le decisioni non le prende il presidente». Ogni mattina, alla Casa Bianca, riceve il briefing del capo dell’Fbi, che lo informa di quello che succede all’interno del paese, e quello del capo della Cia, che gli racconta quello che succede nel resto del mondo. «Quindi è chi controlla quei briefing che, in realtà, fa fare le scelte al presidente».«Se vai da Obama e gli dici: guarda che qui, a meno di mettere 30.000 soldati in più, ci portano via tutto, gli oleodotti, le basi che li controllano e anche le coltivazioni di oppio da cui dipende il traffico mondiale di eroina, che avviene sotto il controllo statunitense, è chiaro che ti trovi un Obama che, dopo aver vinto il Premio Nobel, manda 30.000 soldati in più in Afghanistan a combattere». Ma, appunto, «dipende da quello che gli raccontano i veri poteri», cioè il complesso militare-industriale, il Pentagono, la Cia: «Sono loro che cercheranno di condizionare anche Trump». Aggiunge Mazzucco: «Io al posto di Obama avrei preteso le prove di quanto mi veniva detto, ma è anche vero che le prove si fabbricano in fretta: è facile condizionare un presidente». Non ci riuscirono solo in un caso: quello di Kennedy. Fu «l’ultimo, vero presidente della storia americana». E cercò di smantellare la Cia, «proprio perché aveva capito che era diventato un centro di potere molto più forte della presidenza». Kennedy aveva già avviato lo smantellamento dell’intelligence: «Ha iniziato licenziando il capo della Cia, Allen Dulles, per la storia della Baia dei Porci», lo sgangherato piano per rovesciare Fidel Castro con il disastroso tentativo di invasione di Cuba, affidato a mercenari.Come sappiamo, però, Kennedy «non ha fatto in tempo a finire il lavoro: è stato fatto fuori da un’alleanza tra la Cia e la mafia», ovvero: «La Cia l’ha deciso e la mafia ha fatto l’esecuzione». Curiosamente, aggiunge Mazzucco, nel ruolo più importante della Commissione Warren, incaricata delle indagini ufficiali, il nuovo presidente Lyndon Johnson «ha messo proprio Allen Dulles, cioè l’ex direttore della Cia licenziato da Kennedy». A giudicare chi è fosse stato a uccidere Kennedy misero proprio la principale vittima politica di Kennedy, il “pezzo da novanta” che Jfk era riuscito a far fuori durante la sua presidenza. «I due Kennedy sapevano che sarebbero morti, ma decisero di andare fino in fondo». Due casi più unici che rari: «Non credo ci siano state altre persone così testarde, di fronte agli “avvisi” ricevuti». Bush abbandonò il suo isolazionismo, Obama il suo pacifismo. Di che stoffa è fatto Donald Trump lo vedremo solo adesso. «Visti i precedenti, c’è da temere davvero un attentato “false flag”, un grande “avvertimento” al neopresidente che vorrebbe archiviare la guerra». Ottimismo? In una battuta: forse si può davvero “tifare” per Trump, «se non altro perché non gli hanno ancora dato il Nobel per la Pace».«Qualunque cosa farà Trump sarà sempre un decimo dei danni che avrebbe potuto fare la Clinton», ma il problema ormai è un altro: riuscirà a resistere alle micidiali pressioni cui è già sottoposto dal super-potere che aveva puntato su Hillary? Il neoeletto deve vedersela con il complesso militare-industriale, i neocon, la Cia, il Pentagono: gente che ha liquidato i Kennedy, che ha messo al guinzaglio Obama, che riportò all’ordine persino Bush, lui pure – all’inizio – isolazionalista quanto Trump. Lo scrisse un neocon di razza come Michael Ledeen: «Quando Bush fu eletto, nel 2000, pensava all’America; poi venne l’11 Settembre e da quel momento capì che doveva continuare a occuparsi del mondo intero». Ledeen lo dice chiaramente, facendo capire che furono loro a fargli cambiare idea. «Oggi non serve neppure più eliminare fisicamente un presidente», spiega Massimo Mazzucco: «In genere bastano gli avvertimenti». Come quello, inequivocabile, che un altro neocon come John Bolton, già ambasciatore Usa all’Onu, ha appena rivolto a Trump: il neopresidente, secondo Bolton, dovrà stare in guardia «contro il terrorismo internazionale e anche il terrorismo interno». Nuovo 11 Settembre in arrivo? O basta la semplice minaccia?
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Nuovo 11 Settembre, prima che Trump possa insediarsi?
Nuovo 11 Settembre, se Trump non cede ai neocon? Già all’indomani del voto americano, a lanciare l’allarme è Massimo Mazzucco, autore di clamorosi documentari sugli opachi retroscena degli attentati contro le Twin Towers. Il pericolo, oggi? Evidente: l’oligarchia al potere ha perso la sua pedina di fiducia, Hillary Clinton, ma in compenso può contare su una maggioranza parlamentare “bulgara” dei repubblicani, tra cui si annidano molti insidiosi neocon, mentre Obama è sulla via del congedo e Donald Trump non controlla ancora le leve del comando. Due mesi ad alto rischio, per Mazzucco, da qui all’insediamento ufficiale, il 20 gennaio 2017. Riuscirà ad arrivarci, Trump? O invece la situazione precipiterà del caos, grazie all’ennesimo “provvidenziale” maxi-attentato, destinato a rimettere in sella gli uomini del potere-ombra che controlla e manipola la sicurezza? La minaccia è reale, insiste Mazzucco, anche perché il Deep State – Washington e Wall Street, Pentagono e intelligence – ha capito inequivocabilmente che l’americano medio è in rivolta: votando Trump e licenziando Hillary, ha voluto bocciare i santuari del potere imperiale, militare e finanziario.«Quando vinse Barack Obama scrivemmo che il segnale primario di quell’elezione era che l’America fosse finalmente pronta ad eleggere un nero alla Casa Bianca», ricorda Mazzucco sul blog “Luogo Comune”. Sembrava «un grande passo evolutivo, nella breve storia di questa nazione, indipendentemente da ciò che poi il nuovo presidente sarebbe o non sarebbe riuscito a fare». Otto anni dopo, la situazione è perfettamente speculare: «La vittoria odierna di Trump può essere letta con gli stessi parametri: ci dice sostanzialmente che l’America di oggi si ribella ad un sistema politico ormai palesemente marcio, indipendentemente da quello che poi farà o non farà Donald Trump dall’ufficio ovale della Casa Bianca». Quella di oggi, infatti, «non è tanto una vittoria di Trump, quanto piuttosto la sconfitta di un enorme apparato di gestione del potere, il cui strumento principale sono in media asserviti, e il cui scopo ultimo è quello di permettere ad una oligarchia di controllare un’intera nazione tramite il velo ingannevole della “democrazia”». Tutto questo «sembra vacillare di fronte ad una reazione di tipo istintivo e irrazionale nella parte più “ignorante”», il famoso “contadino dell’Oklahoma”, «che ha capito con la pancia che il sistema lo stava ingannando, e sempre con la pancia ha scelto di combatterlo con l’unica arma che aveva a disposizione: il candidato “antisistema”».Questo risultato travolgente, continua Mazzucco, è stato paradossalmente aiutato da una candidata, Hillary Clinton, che «è riuscita a concentrare sulla propria persona tutto il peggio dell’attuale sistema politico: corruzione, arroganza, prevaricazione, menzogna reiterata, prepotenza e collusione», il tutto «perpetrato pacchianamente alla luce del sole». Chiarita la psicologia dell’elettore, resta oscura l’altra faccia dell’America: già si sapeva che, nel caso di una vittoria di Trump, «il sistema politico si sarebbe immediatamente messo in moto per cercare di metabolizzalo e farlo diventare uno di loro. Già ci sono riusciti in parte, mettendogli accanto il fintamente pacato Mike Pence». E se questo non dovesse bastare, aggiunge Mazzucco, «potete stare certi che entro pochi mesi (e probabilmente prima ancora dell’insediamento effettivo del 20 gennaio) l’America si troverà a fronteggiare un evento di tipo “terroristico” molto simile a quello dell’11 Settembre». Per eventuali “golpisti”, infatti, l’occasione sembra favorevole: abbiamo davanti «due mesi di assoluto vuoto politico».Da qui in avanti, «Obama non ha più nemmeno l’autorità per incollare un francobollo, mentre lo stesso Parlamento si prepara a cedere la maggioranza assoluta al partito repubblicano». E con una “supermajority” come questa, c’è poco da scherzare: i repubblicani controllano contemporaneamente la presidenza e i due bracci del Parlamento, quindi possono far passare speditamente tutte le leggi che vogliono, senza dover temere una reale resistenza da parte dell’opposizione. «Non saranno certo i neoconservatori del complesso militare-industriale a farsi sfuggire l’occasione per lanciare definitivamente il loro sogno di “nuovo secolo americano” già dall’alba del 21 di gennaio prossimo». Gli uomini del Pnac, il disegno di supremazia imperiale a suon di bombe, emersero attorno a George W. Bush – Paul Wolfowitz, Donald Rumsfeld, Condoleezza Rice, Dick Cheney – ma non sono affatto scomparsi. «Teneteli d’occhio da vicino, i vari Bolton, Cheney, Rowe e tutti gli altri della vecchia guardia neocons, perchè qualunque cosa esca dalle loro bocche nelle prossime ore – profetizza Mazzucco – sarà destinato ad avverarsi, probabilmente in tempi molto brevi».Nuovo 11 Settembre, se Trump non cede ai neocon? Già all’indomani del voto americano, a lanciare l’allarme è Massimo Mazzucco, autore di clamorosi documentari sugli opachi retroscena degli attentati contro le Twin Towers. Il pericolo, oggi? Evidente: l’oligarchia al potere ha perso la sua pedina di fiducia, Hillary Clinton, ma in compenso può contare su una maggioranza parlamentare “bulgara” dei repubblicani, tra cui si annidano molti insidiosi neocon, mentre Obama è sulla via del congedo e Donald Trump non controlla ancora le leve del comando. Due mesi ad alto rischio, per Mazzucco, da qui all’insediamento ufficiale, il 20 gennaio 2017. Riuscirà ad arrivarci, Trump? O invece la situazione precipiterà del caos, grazie all’ennesimo “provvidenziale” maxi-attentato, destinato a rimettere in sella gli uomini del potere-ombra che controlla e manipola la sicurezza? La minaccia è reale, insiste Mazzucco, anche perché il Deep State – Washington e Wall Street, Pentagono e intelligence – ha capito inequivocabilmente che l’americano medio è in rivolta: votando Trump e licenziando Hillary, ha voluto bocciare i santuari del potere imperiale, militare e finanziario.
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Proteste al soldo dell’1%, per deporre Trump (o ucciderlo)
Delegittimare Trump serve a indebolirlo, per poi magari arrivare a ucciderlo. Milioni di americani in piazza contro di lui? Non capiscono il pericolo che corrono: sono manipolati da organizzazioni criminali, le stesse che hanno organizzato il golpe in Ucraina pagando manifestanti (anche non ucraini) per abbattere il governo regolarmente eletto. I “progressisti” che contestano la vittoria di Trump, firmando la petizione eversiva di “Change.org” che chiede ai grandi elettori di scippare il risultato elettorale facendo eleggere Hillary presidente? Sono gli stessi che, ieri, condannavano Trump quando disse che non avrebbe accettato un verdetto elettorale a lui contrario, se fossero emersi sospetti di irregolarità. Quello che non comprendono, i manifestanti anti-Trump, è che stanno lavorando per l’oligarchia, per il famigerato 1% che aveva imposto Hillary come unica scelta possibile, con il concorso criminoso di tutti i grandi media. Questi i ragionamenti che un analista di primo piano come Paul Craig Roberts propone, di fronte alle clamorose agitazioni post-elettorali. Roberts cita il sociologo progressista Arthur Schlesinger Jr., che avvertiva: tutti i grandi scossoni «provocano sempre rabbia da parte di chi traeva profitto dal vecchio ordine». E Marx chiariva: nessuna rivoluzione ha successo, se la vecchia classe dirigente resta al suo posto.Per Craig Roberts, la colossale manipolazione in corso per tentare di “scippare” a Trump la vittoria è pericolosa, perché mina la tenuta democratica degli Stati Uniti – paese su cui pesano ombre gigantesche, dal coinvolgimento di settori dell’intelligence negli omicidi eccellenti della storia (i Kennedy, Martin Luther King) alle “inspiegabili” falle nella sicurezza in occasione di tutti i grandi attentati, dall’11 Settembre in poi. Tradotto: Donald Trump – chiunque sia davvero, politicamente – non può non sapere di essere in serio pericolo: potrebbe essere travolto dalle proteste o ricattato dagli organizzatori della “rivolta”, affinché accetti di “prendere a bordo” gli uomini-chiave di Hillary. E’ per loro, in ogni caso, che i manifestanti anti-Trump lavorano: alla guida della rivolta ci sono «teppisti prezzolati, pagati dall’oligarchia», proprio come «Washington e il German Marshall Fund pagarono gli studenti di Kiev per contestare il governo ucraino democraticamente eletto al fine di preparare il colpo di Stato». L’organizzazione “Change.org”, secondo Craig Roberts «sta distruggendo la reputazione di tutti i progressisti facendo circolare una petizione per chiedere all’Electoral College di annullare le elezioni».Tutto già visto nel 2014 a Kiev, dove «la paga era abbastanza buona da attirare persone che non erano nemmeno ucraine ma erano pagate per protestare come se lo fossero». Ci risiamo? Per la “Cnn”, moltissimi americani rifiutano di accettare la vittoria di Trump, e così hanno riempito le strade in non meno di 25 città statunitensi, dall’oggi al domani. «Spero che nessuno creda veramente che proteste simultanee in 25 città siano un evento spontaneo», sottolinea Craig Roberts nel suo blog, in un post ripreso da “Megachip”. «Gli stessi slogan e gli stessi simboli, la notte stessa dopo le elezioni? Quali interessi stanno servendo? E, come sempre si chiedevano gli antichi romani, “cui prodest”? C’è solo una risposta: l’oligarchia e solo l’oligarchia ne trae beneficio». La lettura di Roberts: «Trump è una minaccia per l’oligarchia, perché intende fermare la svendita all’estero dei posti di lavoro americani. Questa svendita, santificata come “libero mercato” dagli economisti-spazzatura neoliberisti, è una delle ragioni principali del peggioramento nel XXI secolo della distribuzione del reddito negli Usa».In altre parole, «i soldi che erano pagati come salario e stipendi per la classe media a impiegati dell’industria manifatturiera americana e ai diplomati, sono stati dirottati nelle tasche dell’Uno Percento. Quando le corporation americane spostano la loro produzione di merci e servizi venduti agli americani, nei paesi asiatici come la Cina e l’India, il loro costo in stipendi crolla. I soldi prima pagati come reddito per la classe media diventano invece bonus per gli executive, dividendi e profitti sui capitali per gli azionisti». Risultato: «La scala per la mobilità verso l’alto che ha fatto dell’America la terra delle opportunità è stata smantellata per il solo obiettivo di rendere multimiliardaria una manciata di persone». Inotre, Trump è «una minaccia per l’oligarchia», anche perché «vuole relazioni pacifiche con la Russia». Tutto si spiega: «Per rimpiazzare la tanto profittevole “minaccia sovietica”, l’oligarchia e i loro agenti neocon hanno lavorato incessantemente per creare la “minaccia russa” demonizzando la Russia». Craig Roberts sa di cosa parla: era al governo con Reagan, di cui è stato viceministro del Tesoro. «Abituato a molti decenni di profitti in eccesso dalla profittevole Guerra Fredda, il complesso militare-securitario si arrabbiò quando il presidente Reagan mise fine alla Guerra Fredda. Prima che queste idrovore di contribuenti americani riuscissero a prolungare la Guerra Fredda, l’Unione Sovietica collassò come risultato del colpo di Stato della destra contro il presidente sovietico Mikhail Gorbaciov».Al che, continua Craig Roberts, «il complesso militare-securitario e i suoi agenti neocon e sionisti cucinarono allora la “guerra al terrore” per continuare a far fluire i soldi all’Uno Percento. Ma per quanto duramente lavorassero i media “presstitute” per creare la paura del “pericolo musulmano”, persino gli americani indifferenti sapevano che i musulmani non possiedono migliaia di missili intercontinentali con testate termonucleari capaci di distruggere gli interi Stati Uniti in pochi minuti». Non ce l’avevano, i musulmani, «l’Armata Rossa capace di invadere l’Europa in un paio di giorni». Di fatto, i musulmani non avevano neppure bisogno di armate: «I rifugiati dalle guerre scatenate da Washington stanno invadendo l’Europa». Caduta l’Urss, comunque, «la scusa per il trilione di dollari annuale per il complesso militare-industriale non c’era più. Così l’oligarchia creò il “nuovo Hitler” in Russia. Hillary fu il principale agente dell’oligarchia per surriscaldare la nuova Guerra Fredda. Hillary è lo strumento, arricchito dall’oligarchia, il cui lavoro da presidente sarebbe stato quello di proteggere e aumentare il budget da un trilione di dollari al complesso militare-securitario. Con Hillary alla Casa Bianca, il saccheggio dei contribuenti americani, in nome dell’opulenza dell’Uno Percento, sarebbe andato avanti senza ostacoli. Ma se Trump mette fine alla “minaccia russa”, la rendita dell’oligarchia si prende un bel colpo».Inoltre, le proteste contro Trump sono sospette anche per un altro motivo: «Al contrario di Hillary, Obama e George W. Bush, Donald Trump non ha fatto a pezzi e disperso milioni di persone in sette nazioni, mandando milioni di rifugiati delle guerre dell’oligarchia a invadere l’Europa». Trump ha fatto fortuna «senza vendere l’influenza del governo degli Usa ad agenti stranieri, come invece hanno fatto Bill e Hillary». E allora, perché stanno protestando i contestatori? «Sono stati ingaggiati per protestare. Così come i contestatori di Maidan a Kiev erano ingaggiati per protestare dalle Ong finanziate dagli Usa e dalla Germania». In Ucraina, gli Usa riuscirono a infiltrare i loro agenti nel nuovo governo ucraino, così come ha confermato Victoria Nuland, una neocon piazzata al Dipartimento di Stato da Hillary Clinton col proposito di creare un conflitto con la Russia. Dunque, conclude Paul Craig Roberts, l’esplosione della protesta anti-Trump dimostra che l’oligarchia lo teme davvero, anche se «alcuni pensano che Trump sia uno stratagemma dell’oligarchia». Non ha senso: visto l’investimento su Hillary, per gli oligarchi era preferibile «vincere con la propria piattaforma», anziché «installare un presidente con una piattaforma opposta e poi cercare di rivoltarselo», anche perché «un’altra svendita aumenterebbe la rabbia del popolo».La dura verità, però, è che «Trump ha vinto la presidenza, ma l’oligarchia è ancora al potere», e questo «rende difficile ogni riforma». Aggiunge Craig Roberts: Marx comprese dall’esperienza storica un drammatico insegnamento che poi Lenin e Stalin impararono da lui. E cioè: «Il cambiamento non può avere successo se la classe dirigente scalzata è lasciata intatta dopo una rivoluzione contro di essa». Lo dimostra il Sud America: «Ogni rivoluzione degli indigeni ha lasciato senza fastidi la classe dirigente, e ogni rivoluzione è stata sconfitta dalla collusione tra la classe dirigente e Washington», che «ha cospirato con le élite tradizionali per rimuovere i presidenti eletti», come accaduto in Honduras «moltissime volte». Di recente, Washington «ha aiutato le élite a rimuovere le presidentesse dell’Argentina e del Brasile». I presidenti del Venezuela, dell’Ecuador e della Bolivia «sono a mezz’aria e probabilmente non sopravvivranno». In più, l’oligarchia «è determinata a mettere le mani su Julian Assange», il fondatore di Wikileaks. «A tal fine Washington intende abbattere il governo dell’Ecuador che, a scorno di Washington, ha dato a Julian Assange asilo politico». Ancora più cruento lo scontro in Venezuela, dove – secondo Craig Roberts – il presidente socialista Hugo Chavez è stato addirittura assassinato. Il suo errore? Aver graziato i golpisti che avevano cospirato contro di lui.«Secondo Marx, Lenin e Stalin, questo è il classico errore per un rivoluzionario: contare sulla buona volontà da parte della classe dirigente scalzata è il modo più sicuro per lasciar sconfiggere la rivoluzione». Secondo Craig Roberts, l’America Latina si è dimostrata incapace di capire questa lezione: le rivoluzioni non possono essere concilianti. Donald Trump? «E’ un uomo d’affari. L’oligarchia gli può permettere l’aura del successo in cambio di nessun cambiamento reale». Intendiamoci: «Trump non è perfetto. Potrebbe fallire da solo. Ma noi lo sosterremo sui suoi due punti del suo programma più importanti: ridurre le tensioni tra le due maggiori potenze nucleari e bloccare la politica di Washington che permette al globalismo di distruggere le prospettive economiche degli americani», insiste Craig Roberts. «La combinazione di un’economia svuotata dal globalismo ed immigrazione è un incubo. Che Trump lo abbia capito è una ragione per sostenerlo». E per temere per la sua incolumità: «Una volta che il presidente Trump sarà delegittimato, sarà facile per l’oligarchia assassinarlo, a meno che l’oligarchia possa nominare e controllare il suo governo». Per ora, comunque, «Trump è il primo candidato per un assassinio».Delegittimare Trump serve a indebolirlo, per poi magari arrivare a ucciderlo. Decine di migliaia di americani in piazza contro di lui? Non capiscono il pericolo che corrono: sono manipolati da organizzazioni criminali, le stesse che hanno organizzato il golpe in Ucraina pagando manifestanti (anche non ucraini) per abbattere il governo regolarmente eletto. I “progressisti” che contestano la vittoria di Trump, firmando la petizione eversiva di “Change.org” che chiede ai grandi elettori di scippare il risultato elettorale facendo eleggere Hillary presidente? Sono gli stessi che, ieri, condannavano Trump quando disse che non avrebbe accettato un verdetto elettorale a lui contrario, se fossero emersi sospetti di irregolarità. Quello che non comprendono, i manifestanti anti-Trump, è che stanno lavorando per l’oligarchia, per il famigerato 1% che aveva imposto Hillary come unica scelta possibile, con il concorso criminoso di tutti i grandi media. Questi i ragionamenti che un analista di primo piano come Paul Craig Roberts propone, di fronte alle clamorose agitazioni post-elettorali. Roberts cita il sociologo progressista Arthur Schlesinger Jr., che avvertiva: tutti i grandi scossoni «provocano sempre rabbia da parte di chi traeva profitto dal vecchio ordine». E Marx chiariva: nessuna rivoluzione ha successo, se la vecchia classe dirigente resta al suo posto.
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Appello eversivo ai grandi elettori: negate il voto a Trump
I grandi elettori non sono obbligati a convalidare per forza l’elezione popolare di Trump, il 19 dicembre: questo il “golpe parlamentare” a cui mira “Change.org”, che sull’onda delle oceaniche proteste di piazza in alcune grandi città come New York ha già ottenuto due milioni di firme per sostenere la sua petizione eversiva. Obiettivo: annullare il risultato delle elezioni e ribaltarlo, consegnando la vittoria a Hillary Clinton. «Negare a Trump l’incarico che ha ottenuto, come esorta a fare “Change.org”, rasenterebbe l’insurrezione: forse darebbe il via ad un’agitazione nazionale e allo spargimento di sangue nelle strade», scrive un osservatore indipendente come Stephen Lendman su “Global Research”, l’osservatorio canadese per i diritti politici fondato dal professor Michel Chossudovsky. La situazione è dunque pericolosissima: da un lato l’establishment sta lottando per paralizzare Trump dall’interno, imponendogli i suoi per gli incarichi-chiave, e dall’altro spinge apertamente perché sia cestinato il voto elettorale, rifiutando di riconoscere la vittoria di Trump, cioè della democrazia. A rischio la tenuta del sistema civile, negli Usa?«“Change.org” è un’impresa a scopo di lucro, non una Ong, e svia i suoi sostenitori usando il dominio “org” invece di quello “com”, come dovrebbe fare», scrive Lendman nella sua analisi, tradotta e ripresa da “Come Don Chisciotte”. Questa organizzazione tutt’altro che trasparente «fa affari facendo firmare petizioni alle persone, vendendo nel contempo spazi pubblicitari e dati personali per incrementare i profitti». E ora ha già raccolto quasi due milioni di firmatari, che chiedono al collegio elettorale americano «di far diventare presidentessa la dea della guerra, truffatrice e spergiura Hillary, annullando l’elezione di Trump». Continua Lendman: «La democrazia in America è pura fantasia, e “Change.org” vuole danneggiarla più di quanto non sia già danneggiata». Ecco quello che chiede: “Il 19 dicembre gli elettori del collegio elettorale esprimeranno le loro preferenze, e se voteranno tutti nel modo in cui hanno votato gli Sstati che rappresentano, Donald Trump vincerà. Tuttavia – aggiunge il testo – possono votare per Hillary, se vogliono: perfino negli Stati in cui questo non è permesso, il loro voto verrebbe comunque contato». I trasgressori “pagherebbero semplicemente una piccola sanzione, sanzione che i sostenitori della Clinton saranno sicuramente lieti di pagare!”.Per cui, “Change.org” chiede ai grandi elettori di “ignorare i voti dei loro Stati ed esprimere la loro preferenza per il Segretario Clinton”. La falsa Ong «dice che Trump non è adatto a fare il presidente, al contrario di Hillary, citando una vasta gamma ragioni espresse dalla propaganda anti-Trump». Lendman cita, al riguardo, la “National Archives and Records Administration”: durante la storia degli Stati Uniti, “più del 99% degli elettori ha votato come promesso”, ovvero per il vincitore del voto popolare negli Stati che rappresentano. “Non ci sono clausole costituzionali o leggi federali che chiedono agli elettori di votare in accordo col voto popolare, solo alcuni Stati hanno richieste simili”. Di fatto, però, solo il Nebraska e il Maine non seguono la regola “il vincente si prende tutto”. «Se nessun candidato riceve la maggioranza dei voti degli elettori – precisa Lendman – i membri della Camera dei Rappresentanti scelgono il presidente fra i tre candidati che hanno ricevuto più voti, e in questo caso ogni Stato ottiene un voto». E oggi, sbarrare a Trump la via della Casa Bianca significherebbe gettare l’America nel caos, sull’orlo di un’insurrezione fuori controllo.«Trump non sarà un presidente del popolo», secondo Lendman, anche perché «nessuno dei precedenti leader della storia americana lo è stato: non lo sono stati né Washington, né Jefferson, né Lincoln, né i due Roosevelt; solo John F. Kennedy ci è andato vicino, ma è stato assassinato dalla Cia per aver fatto la cosa giusta». Per Lendam, comunque, chi punta sulla sedizione sarà sconfitto: «Trump si insedierà il 20 gennaio come 45° presidente degli Stati Uniti». Non sarà il miglior presidente possibile, ma intanto «ha salvato il mondo dal possibile flagello di una guerra nucleare», conflitto suicida «che Hillary avrebbe scatenato nel caso lo avesse sconfitto». Lendman crede nella svolta in politica estera annunciata da Trump: «Il suo desiderio di relazioni migliori con la Russia è il segnale più promettente di relazioni geopolitiche americane possibilmente migliori di quelle che abbiamo adesso col partito della guerra al comando. E Hillary, suo membro di spicco in qualità di first lady, senatrice americana, segretario di Stato e due volte aspirante presidente, ora è politicamente morta: che rimanga tale!». Un’ultima domanda: «Chi ha pagato “Change.org” per far circolare questa petizione: la Convention nazionale democratica o gli organizzatori della campagna di Hillary Clinton?».I grandi elettori non sono obbligati a convalidare per forza l’elezione popolare di Trump, il 19 dicembre: questo il “golpe parlamentare” a cui mira “Change.org”, che sull’onda delle oceaniche proteste di piazza in alcune grandi città come New York ha già ottenuto due milioni di firme per sostenere la sua petizione eversiva. Obiettivo: annullare il risultato delle elezioni e ribaltarlo, consegnando la vittoria a Hillary Clinton. «Negare a Trump l’incarico che ha ottenuto, come esorta a fare “Change.org”, rasenterebbe l’insurrezione: forse darebbe il via ad un’agitazione nazionale e allo spargimento di sangue nelle strade», scrive un osservatore indipendente come Stephen Lendman su “Global Research”, l’osservatorio canadese per i diritti politici fondato dal professor Michel Chossudovsky. La situazione è dunque pericolosa: da un lato l’establishment sta lottando per paralizzare Trump dall’interno, imponendogli i suoi uomini per gli incarichi-chiave, e dall’altro spinge apertamente perché sia cestinato il voto elettorale, rifiutando di riconoscere la vittoria di Trump, cioè della democrazia. A rischio la tenuta del sistema civile, negli Usa?
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Sconfitta Hillary, non l’oligarchia: chi è Trump si vedrà ora
Donald Trump rischia di essere assassinato? Se lo domanda l’economista e politologo Paul Craig Roberts, già viceministro con Reagan, all’indomani dell’exploit del grande outsider delle presidenziali Usa. La sua più grande paura, scrive su “Information Clearing House”, è che venga semplicemente “spolpato” dalla super-élite che, con l’appoggio dei grandi media, si era schierata con Hillary. Timori condivisi anche in Italia, con svariate sfumature, da personalità provenienti dalla cultura massonica. «Se i poteri che sostenevano Hillary erano così forti, perché hanno perso?», si domanda Gianfranco Carpeoro il 13 novembre in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Se ne conclude che non tutti i “poteri forti” stavano con la Clinton: qualcuno ha puntato anche su Trump. Persino elementi della super-massoneria progressista, afferma Gioele Magaldi, intervistato da Claudio Messora su “ByoBlu”: ai nastri di partenza delle primarie repubblicane, Trump è stato visto come il “meno peggio”, sicuramente meno pericoloso di Jeb Bush, terminale della tenebrosa “Hathor Pentalpha”, network della strategia della tensione, fino all’Isis. Eminenze grigie dell’élite progressista dietro a Trump? Niente di strano: «Quando sei in guerra – aggiunge Carpeoro – è molto utile sceglierti il nemico: quello che fa meno paura, che magari farà più errori».Donald Trump potrebbe persino stupirci in positivo, dice Magaldi, per esempio con l’annunciata campagna di opere pubbliche destinare a produrre occupazione su impulso statale, un po’ come fu per il New Deal di Roosevelt. E, in ogni caso, la sferzata dell’elezione di Trump «potrebbe finalmente produrre il “risveglio” del mondo progressista, che ha acceso speranze con Bernie Sanders ma ha bisogno che nasca una nuova leadership, giovane, capace di invertire il corso di questa globalizzazione senza democrazia». Grande preoccupazione, intanto, dalle prime analisi di Craig Roberts, già “editor” del “Wall Street Journal”: se la vittoria di Trump ha clamorosamente demolito il prestigio dell’élite di potere più in vista, dimostrando che «né la classe politica appartenente ai due principali partiti né i mezzi d’informazione godono più di alcuna credibilità presso il popolo americano», resta però da capire se Trump avrà davvero la volontà (e la forza) di mantenere le promesse, e cioè creare posti di lavoro e instaurare relazioni amichevoli con Russia e Cina, Siria e Iran. Come reagirà il “Deep State” clintoniano alla vittoria di Trump? Wall Street e la Federal Reserve «potrebbero provocare una crisi economica per mettere Trump sulla difensiva», mentre Cia e Pentagono «potrebbero causare un attacco sotto falsa bandiera che incrinerebbe le relazioni con la Russia».Evoluzione da seguire passo passo. Il primo: «Trump potrebbe commettere l’errore di includere i neoconservatori nel suo governo». Niente illusioni: «Per quanto Trump abbia sconfitto Hillary, l’oligarchia esiste ancora ed è ancora potente». In altre parole, «tutto dipende da chi sono i consiglieri di Trump e quali suggerimenti gli daranno: quando conosceremo la composizione del suo governo, sapremo se possiamo aspettarci che i cambiamenti, ad oggi solo sperati, divengano realtà». Corollario-horror: «Se l’oligarchia non sarà in grado di controllare Trump, e se Trump avrà davvero successo nel ridurre il potere e i finanziamenti degli apparati militari e della sicurezza e nell’inchiodare Wall Street alle proprie responsabilità politiche, Trump potrebbe perfino essere assassinato». Secondo Craig Roberts, è in corso un durissimo scontro nelle “segrete stanze” del massimo potere: «Le canaglie che si trovano negli apparati militari e della sicurezza potrebbero comunque farcela ad assassinare qualcuno, ma senza i neocon al governo diventerebbe più difficile insabbiare la verità».Quanto a Trump, il neopresidente «conosce e comprende la situazione molto più di quanto i suoi avversari si rendano conto: per un uomo come lui, rischiare di farsi così tanti nemici potenti e mettere a rischio la sua ricchezza e la sua reputazione, significa che sapeva bene che il malcontento della gente verso l’attuale classe dirigente poteva consentirgli di essere eletto presidente». Di fatto, «non sapremo cosa aspettarci» finché non conosceremo l’identità di ministri e viceministri: «Se ritroveremo la solita gente, significa che Trump è stato catturato dal sistema». Unica buona notizia, senza ombre: «Il totale screditamento dei mezzi d’informazione». Hanno perso, nonostante la “guerra” condotta contro Trump: «Il paese li ha completamente ignorati». Attenzione, però: «Hillary è caduta, ma non gli oligarchi». E il super-potere è già al lavoro per rimediare, ammesso che (come suggerisce Carpeoro) non fosse già, in parte, schierato anche col tycoon. «Se a Trump verrà consigliato di essere conciliante, di tendere la mano all’establishment e includerlo nella compagine di governo, il popolo americano rimarrà un’altra volta deluso», avverte Craig Roberts. «In una nazione le cui istituzioni sono stati corrotte così in profondità dall’oligarchia, è difficile concretizzare un reale cambiamento senza spargimenti di sangue».Donald Trump rischia di essere assassinato? Se lo domanda l’economista e politologo Paul Craig Roberts, già viceministro con Reagan, all’indomani dell’exploit del grande outsider delle presidenziali Usa. La sua paura, scrive su “Information Clearing House”, è che venga semplicemente “spolpato” dalla super-élite che, con l’appoggio dei grandi media, si era schierata con Hillary. Timori condivisi anche in Italia, con svariate sfumature, da personalità provenienti dalla cultura massonica. «Se i poteri che sostenevano Hillary erano così forti, perché hanno perso?», si domanda Gianfranco Carpeoro il 13 novembre in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Se ne conclude che non tutti i “poteri forti” stavano con la Clinton: qualcuno ha puntato anche su Trump. Persino elementi della super-massoneria progressista, afferma Gioele Magaldi, intervistato da Claudio Messora su “ByoBlu”: ai nastri di partenza delle primarie repubblicane, Trump è stato visto come il “meno peggio”, sicuramente meno pericoloso di Jeb Bush, terminale della tenebrosa “Hathor Pentalpha”, network della strategia della tensione, fino all’Isis. Eminenze grigie dell’élite progressista dietro a Trump? Niente di strano: «Quando sei in guerra – aggiunge Carpeoro – è molto utile sceglierti il nemico: quello che fa meno paura, che magari farà più errori».
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Craig Roberts: primarie truccate, le aveva vinte Sanders
«Hillary Clinton? Mai s’era visto un candidato peggiore, nell’intera storia delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti». E il peggio è che non avrebbe neppure dovuto contendere la Casa Bianca a Donald Trump: «Ci sono le prove che in realtà lei avesse perso le primarie, che erano state vinte da Bernie Sanders. Ma poi l’establishment democratico si è rifiutato di accettare la sua vittoria, perché Sanders è contro l’establishment». Parola di Paul Craig Roberts, economista e analista politico, già viceministro di Reagan e editorialista del “Wall Street Journal”. Dichiarazioni nettissime, le sue, rilasciate – a scrutinio non ancora concluso – a Glauco Benigni, che l’ha intervistato nel corso della lunghissima diretta streaming organizzata da “Pandora Tv” durante l’election-night. Inutile che oggi tutti si strappino i capelli, da Obama al “New York Times” che ammette di aver «perso il contatto con la realtà», dando vincente “obbligatoria” la signora Clinton. Hillary non avrebbe nemmeno dovuto essere in gara, insiste Craig Roberts: al suo posto, contro Trump, ci doveva essere il socialista Sanders, che tanto entusiasmo aveva infatti suscitato durante le primarie.Hillary? Era «espressione degli oligarchi al potere e del complesso militare-industriale legato a Wall Street», ma anche «della lobby israeliana, del business militare e del comparto energetico estrattivo», ricorda Craig Roberts. Enorme la differenza rispetto a Donald Trump, che «non è stato selezionato dall’establishment, ma dalla popolazione stessa». Come si è arrivati ad avere un candidato come la Clinton? «Era il candidato della classe dominante, che l’ha messa lì», anche a costo di “truccare” le primarie democratiche. Quanto alle fantomatiche “interferenze russe”, a parlarne «è stata solo la propaganda filo-Clinton». Disinformazione costruita ad arte, continua Craig Roberts, «per coprire lo scandalo delle email di Hillary, da cui emerge sostanzialmente che la Clinton è una criminale», a partire dai fondi incassati sottobanco dalla Fondazione Clinton da parte di soggetti di mezzo mondo interessati a ottenere il favore degli Usa, quando Hillary era segretario di Stato.Lo staff Clinton, aggiunge Craig Roberts, «ha quindi voluto spostare l’attenzione sui russi, e negli ultimi due anni la classe dirigente americana ha voluto ricreare un clima da guerra fredda, con la sequela di accuse e minacce contro la Russia e il suo presidente. Tutto ciò è molto pericoloso». Ora, Trump potrà dialogare con le altre potenze nucleari mondiali: «E’ il politico americano – anzi, lo è diventato – che ha detto che non vuole problemi con la Russia. E ha detto che non vuole problemi nemmeno con la Nato». Chiuderà le orrende “guerre americane” nel mondo, in cui gli Usa sono coinvolti? Craig Roberts è convinto di sì, perché Trump «è un uomo d’affari ma non è coinvolto nell’industria delle armi e in quella della sicurezza. E crede che non ci sia ragione di buttare un trilione di dollari in questioni militari e di sicurezza. Tanto più che gli Usa non hanno nemici, a parte quelli che si sono creati da soli, con i bombardamenti sulle popolazioni civili e le accuse folli contro la Russia e la Cina». Trump ritiene che tutto ciò sia stupido, conclude Craig Roberts, e che sia il caso di fermare questa pericolosa deriva bellicista.«Hillary Clinton? Mai s’era visto un candidato peggiore, nell’intera storia delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti». E il bello è che non avrebbe neppure dovuto contendere la Casa Bianca a Donald Trump: «Ci sono le prove che in realtà lei avesse perso le primarie, che erano state vinte da Bernie Sanders. Ma poi l’establishment democratico si è rifiutato di accettare la sua vittoria, perché Sanders è contro l’establishment». Parola di Paul Craig Roberts, economista e analista politico, già viceministro di Reagan e editorialista del “Wall Street Journal”. Dichiarazioni nettissime, le sue, rilasciate – a scrutinio non ancora concluso – a Glauco Benigni, che l’ha intervistato nel corso della lunghissima diretta streaming organizzata da “Pandora Tv” durante l’election-night. Inutile che oggi tutti si strappino i capelli, da Obama al “New York Times” che ammette di aver «perso il contatto con la realtà», dando vincente “obbligatoria” la signora Clinton. Hillary non avrebbe nemmeno dovuto essere in gara, insiste Craig Roberts: al suo posto, contro Trump, ci doveva essere il socialista Sanders, che tanto entusiasmo aveva infatti suscitato durante le primarie.
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Fabbricò l’allarme-antrace, ora Pence controllerà Trump
«Se vincerà la Clinton, il proseguimento delle guerre imperialistiche è garantito già in partenza. Se invece vincesse Trump, si troverà comunque il modo di farle proseguire, con metodi meno leciti ma comunque molto efficaci. Gli unici che non perdono mai le elezioni, in America, sono quelli del complesso militare-industriale». Parola di Massimo Mazzucco, che averte: «I media occidentali sono talmente ingolfati nel seguire l’altalenante vicenda di Donald Trump, che si sono dimenticati di dare un’occhiata da vicino al suo vicepresidente nominato, cioè Mike Pence». Chi è costui? «E’ stato presentato come un politico sempliciotto e di buone maniere, di solide tradizioni repubblicane, messo accanto a Trump per dare più credibilità al ciuffo selvaggio dell’imprenditore newyorkese». Invece, Pence «è molto di più di un semplice politico conservatore». In realtà è «un “attack dog” di primissimo livello dei neocons, mascherato da perbenista praticante». Ricordate la pagliacciata della fialetta all’antrace agitata all’Onu da Colin Powell per fabbricare prove contro Saddam? Era opera sua, di Mike Pence. L’uomo che ora è stato messo “in marcatura” su Trump, nel caso dovesse battere Hillary.Molti ricorderanno i famosi “attacchi all’antrace” che seguirono di un paio di mesi gli attentati alle Torri Gemelle del 2001, scrive Mazzucco su “Luogo Comune”. In quel periodo, diversi esponenti del partito democratico – soprattutto quelli che chiedevano una indagine parlamentare sull’11 Settembre – ricevettero nei loro uffici delle lettere contenenti una strana polverina bianca, che si rivelò poi essere antrace. Mentre a quei democratici «passava immediatamente la voglia di istituire una commissione parlamentare sull’11 Settembre», il panico si diffondeva in tutta l’America, continua Mazzucco, «poiché nel frattempo erano morte diverse persone a causa dell’antrace». E mentre tutti cercavano di capire da dove potesse essere arrivata quella “polvere maledetta”, «fu proprio Mike Pence a guidare la propaganda mediatica che cercava di far ricadere su Saddam Hussein le colpe per la diffusione dell’antrace». Inizialmente, prosegue Mazzucco, Mike Pence diffuse la falsa notizia che quell’antrace fosse stata “geneticamente modificata” (da qualche Stato estero, si supponeva) per renderla più virulenta e resistente alle cure. Poi invece si scoprì che per combattere l’antrace bastava prendere dei normalissimi antibiotici.Quando l’Fbi scoprì finalmente che l’antrace proveniva da un laboratorio interno degli Stati Uniti (e non da una “nazione straniera”), «fu proprio Mike Pence ad andare su tutte le furie, perché gli veniva a mancare un argomento fondamentale per la futura invasione dell’Iraq». In un gesto di rabbia stizzita, scrive Mazzucco, lo stesso Pence scrisse una lettera aperta all’allora ministro di giustizia, John Ashcroft, chiedendo: «Perché mai l’Fbi sembra aver concluso che l’origine di questi attacchi all’antrace sia interna, quando vi sono indizi importanti che suggeriscono una fonte internazionale per questi materiali?». Naturalmente, anche quegli “indizi importanti” si rivelarono inesistenti, e la fonte dell’antrace fu definitivamente confermata essere un laboratorio degli Stati Uniti. «Nel frattempo però Mike Pence aveva svolto egregiamente il suo compito a favore dei neocons, che avrebbero poi approfittato del terreno da lui preparato per mandare all’Onu Colin Powell ad accusare Saddam Hussein con la famosa fialetta di polvere bianca».Oggi, cioè 15 anni dopo, ecco che Pence ricompare. Dove? Accanto a Trump, all’indomani della sua inattesa vittoria alle primarie repubblicane. «Dopo aver provato in tutti i modi a fermarlo, evidentemente, gli stessi repubblicani devono aver pensato che la soluzione migliore, in caso di una sua elezione alla Casa Bianca, fosse di mettergli accanto un personaggio fidato, come appunto Mike Pence», ragiona Mazzucco. Se quindi Donald Trump dovesse vincere, si apriranno due possibili scenari, molto diversi fra loro, ma con un risultato comunque simile: «Nel primo scenario il buon Donald verrebbe docilmente guidato dal silenzioso Pence a continuare la politica espansionistica degli Stati Uniti, esattamente come il buon George Bush venne docilmente guidato dal silenzioso Dick Cheney all’invasione militare di Afghanistan e Iraq, 15 anni fa. Nel secondo scenario, invece, Trump – se non dovesse per caso “recepire” i buoni consigli di Pence – avrà prima o poi un brutto incidente, che lo toglierà di mezzo definitivamente, o che gli impedirà comunque di continuare a fare il presidente. E così, in un caso come nell’altro, saranno stati nuovamente i neocons a riprendere il controllo dell’America».«Se vincerà la Clinton, il proseguimento delle guerre imperialistiche è garantito già in partenza. Se invece vincesse Trump, si troverà comunque il modo di farle proseguire, con metodi meno leciti ma comunque molto efficaci. Gli unici che non perdono mai le elezioni, in America, sono quelli del complesso militare-industriale». Parola di Massimo Mazzucco, che avverte: «I media occidentali sono talmente ingolfati nel seguire l’altalenante vicenda di Donald Trump, che si sono dimenticati di dare un’occhiata da vicino al suo vicepresidente nominato, cioè Mike Pence». Chi è costui? «E’ stato presentato come un politico sempliciotto e di buone maniere, di solide tradizioni repubblicane, messo accanto a Trump per dare più credibilità al ciuffo selvaggio dell’imprenditore newyorkese». Invece, Pence «è molto di più di un semplice politico conservatore». In realtà è «un “attack dog” di primissimo livello dei neocons, mascherato da perbenista praticante». Ricordate la pagliacciata della fialetta all’antrace agitata all’Onu da Colin Powell per fabbricare prove contro Saddam? Era opera sua, di Mike Pence. L’uomo che ora è stato messo “in marcatura” su Trump, nel caso dovesse battere Hillary.
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Crisi e guerra, la grande paura. E l’Fbi azzoppa la Clinton
Non è strano che, a una settimana dal voto, l’Fbi riapra le indagini sullo staff di Hillary Clinton, terremotando inevitabilmente i sondaggi, già in fibrillazione? Non è strano che il direttore della prestigiosa polizia federale osi un gesto simile, alla vigilia dell’election day, come se non ne temesse le conseguenze? Forse non è così strano, se si rileggono – oggi, a qualche mese di distanza – alcune ricostruzioni provenienti dall’Italia: Trump non è (solo) la “bomba a mano” incontrollabile descritta dai media mainstream, ma è anche e soprattutto una “scommessa coperta”, un Cavallo di Troia abilmente lanciato nel campo repubblicano alla stessa élite super-massonica “progressista” che, nel campo opposto, aveva appoggiato il socialista Bernie Sanders. Trump doveva servire a fermare Jeb Bush, Sanders a ostacolare l’ascesa della Clinton. Oggi questo ruolo è stato ereditato dallo stesso Trump, ma il copione non cambia. E il “pericolo” non è Hillary, ma i poteri fortissimi che l’hanno scelta come esecutrice del loro volere, così come scelsero personaggi “neocon” come Victoria Nuland, introdotta nel team di Obama con l’obiettivo di destabilizzare la Russia attraverso la sfida alle frontiere, cominciando dal golpe in Ucraina travestito da rivoluzione.L’escalation a Kiev fu decisa in risposta alla decisione di Putin di schierarsi in difesa della Siria: un cambio di rotta radicale, dopo che il Cremlino aveva assistito passivamente all’ultima puntata della “guerra infinita”, la demolizione della Libia. Dietro le quinte, a Washington, a fare la prima mossa sono sempre loro, gli uomini del Pnac, quelli del “nuovo secolo americano”, protagonisti delle guerre di Bush innescate dall’11 Settembre. E’ il famigerato super-vertice globalizzatore, finanziario e militare, “l’Impero”. Non tollera l’idea che gli Stati Uniti possano perdere i propri immensi privilegi, che sorreggono il tenore di vita (e i clamorosi profitti dell’élite), e per questo è pronto a tutto – anche una Terza Guerra Mondiale, nucleare? Ne è convinto l’ex viceministro di Reagan, Paul Craig Roberts, secondo cui i grandi media – sotto Obama – hanno coperto una sostanziale “dittatura” instauratasi alla Casa Bianca, dove il presidente non è il che il terminale, sempre più opaco, di micidiali gruppi di interesse, completamente irresponsabili e ormai anche in preda al panico, ossessionati dalla paura di perdere il loro immenso potere. Recenti sondaggi, dice Marcello Foa, rivelano che il 70% degli elettori statunitensi non credono più ai grandi media, dai network televisivi al “New York Times”, tutti schierati con la Clinton e ridotti a mero strumento di propaganda dell’establishment, di cui Trump è visto come antagonista.«Illusionismo, puro gioco delle parti», sostiene Fausto Carotenuto, analista internazionale, ai microfoni di “Border Nights”: «Si scontrano due gruppi di potere, sempre gli stessi: uno è definito conservatore, quello che appoggia la Clinton, e l’altro si definisce progressista ma è ancora più ipocrita del primo». Super-massoneria occulta: quella che Gioele Magaldi, progressista, ha messo in piazza tra le pagine del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere). Un altro esponente della cultura massonica italiana, Gianfranco Carpeoro, autore del recentissimo saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Uno Editori), avverte: «La novità è che il vertice di quel potere è spaccato, come dimostra l’appoggio dato a un candidato come Sanders». Grandi defezioni, nelle alte sfere, avrebbero propiziato la stessa candidatura Trump. Diserzioni così preoccupanti, secondo Carpeoro, da spingere “l’ala destra” del super-potere a ricorrere in modo sistematico anche alla strategia della tensione, come si deduce dal moltiplicarsi di sanguinosi attentati in Europa, organizzati da quella che Carpeoro chiama “sovragestione”, ovvero: elementi di vertice che si avvalgono di settori dei servizi segreti, che all’occorenza reclutano kamikaze jihadisti.Il vertice della piramide è diviso? Lo dimostra il testa a testa fra Hillary e Trump. E una delle massime eminenze grigie del super-potere massonico, Zbigniew Brezinzki, qualche settimana fa aveva avvertito: ora basta con la guerra fredda, è tempo di sedersi attorno a un tavolo con Putin e coi cinesi, perché questa escalation porta solo al rischio di una catastrofe. Attenzione: Brzezinski è stato uno dei massimi architetti della globalizzazione “imperiale”. Il pericolo di un collasso è concreto, sostiene Giulietto Chiesa: «I padroni universali sanno quello che sta succedendo, e più o meno – tra di loro – se lo dicono». Chiesa cita dichiarazioni recenti, molto inquietanti: da Rockefeller, secondo cui «la Terza Guerra Mondiale è inevitabile: dovremmo metterci d’accordo coi russi, ma temo che non ce la faremo», a Rotschild, che avverte: «Sta per terminare il più grande esperimento finanziario mai realizzato nella storia», la finanza monetarista svincolata dall’economia reale, «e adesso stiamo entrando in acque inesplorate». E Larry Summers, ex segretario al Tesoro, aveva profetizzato: la crescita del Pil mondiale si fermerà attorno al 2005. «Ci stanno dicendo che si sta avvicinando una catastrofe, la fine di questo capitalismo finanziario. Non c’è da stupirsi, quindi, dei preparativi di guerra cui stiamo assistendo».Tra i nuovi “catastrofisti” si iscrive anche il finanziere Carlo De Benedetti, che al “Corriere della Sera” dichiara: «Sta arrivando una crisi gigantesca, che metterà in forse tutta la democrazia nel mondo». Giulietto Chiesa è pessimista: «Tutti quelli che pensano che non succederà niente, perché alla fine ci si metterà d’accordo, si sbagliano. Non sono “i cattivi” che vogliono la guerra, è la situazione che non è sanabile: siamo governati da imbecilli, in un mondo totalmente diviso tra ricchi e poveri come mai nella storia dell’umanità». Lo stesso Carpeoro, nei mesi scorsi, è tornato più volte sul tema: «Il nuovo ordine mondiale è fatalmente incompiuto, provano sempre a realizzarlo ma non ci riescono mai fino in fondo, perché litigano tra loro». Una rissa pericolosa, che può anche esplodere – sotto forma di terrorismo e bombe, domani anche atomiche? Difficile credere che tutto sia appeso, davvero, al solo parrucchino di Trump: non può essere un caso che un super-potente come James Comey, capo dell’Fbi, scenda in campo – a due passi dal voto – per tentare di sbarrare la strada della Casa Bianca ai “padroni” di Hillary Clinton, i “signori della guerra”. Zero fair-play, dicono i commentatori mainstream: la campagna più brutta della storia delle elezioni Usa. Forse anche la più drammatica, cruciale, pericolosa.Non è strano che, a una settimana dal voto, l’Fbi riapra le indagini sullo staff di Hillary Clinton, terremotando inevitabilmente i sondaggi, già in fibrillazione? Non è strano che il direttore della prestigiosa polizia federale osi un gesto simile, alla vigilia dell’election day, come se non ne temesse le conseguenze? Forse non è poi così sorprendente, se si rileggono – oggi, a qualche mese di distanza – alcune ricostruzioni provenienti dall’Italia: Trump non è (solo) la “bomba a mano” incontrollabile descritta dai media mainstream, ma è anche e soprattutto una “scommessa coperta”, un Cavallo di Troia abilmente lanciato nel campo repubblicano alla stessa élite super-massonica “progressista” che, nel campo opposto, aveva appoggiato il socialista Bernie Sanders. Trump doveva servire a fermare Jeb Bush, Sanders a ostacolare l’ascesa della Clinton. Oggi questo ruolo è stato ereditato dallo stesso Trump, ma il copione non cambia. E il “pericolo” non è Hillary, ma i poteri fortissimi che l’hanno scelta come esecutrice del loro volere, così come scelsero personaggi “neocon” come Victoria Nuland, introdotta nel team di Obama con l’obiettivo di destabilizzare la Russia attraverso la sfida alle frontiere, cominciando dal golpe in Ucraina travestito da rivoluzione.
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Foa: Hillary ci trascina in guerra con Putin. Renzi? Esegue
Fra Donald Trump e Hillary Clinton io non mi chiedo chi è il migliore dei due, ma chi è il meno peggio, il meno pericoloso. Paradossalmente, conoscendo bene Hillary e vedendo i disastri che ha fatto in Libia, nel mondo arabo e in Siria all’inizio della guerra, quando era segretario di Stato, e sapendo che Hillary Clinton in realtà è una “neocon”, ovvero una rappresentante degli orientamenti del neo-conservatorismo estremo che ha guidato la politica Usa dal 2011 a oggi coi risultati disastrosi che vediamo, ebbene io dico che tra i due è molto meno rischioso Trump, non foss’altro perché vuole una distensione con la Russia, mentre Hillary – come Obama – preme per un conflitto con la Russia. E io rabbrividisco al solo pensiero di un conflitto tra Stati Uniti e Russia, in Europa, con il rischio che vengano usate le armi atomiche. E’ veramente una follia, e per questo penso che Trump sarebbe meno pericoloso di Hillary.I soldati italiani che saranno inviati al confine con la Russia? E’ gravissimo, ma purtroppo non è sorprendente. Renzi, che fa le sue sparate pubbliche contro l’Unione Europea e qualche tempo fa, anche con un certo coraggio, si era schierato con posizioni favorevoli o simpatizzanti nei confronti della Russia, poi quando l’America ti dice (tramite la Nato) che bisogna mandare soldati in Lituania, Estonia, al confine con la Russia, non ha il coraggio di opporsi, perché alla fine chi comanda sono gli Stati Uniti – e nessun leader europeo, tranne poche eccezioni, ha il coraggio di dire no, di anteporre gli interessi nazionali. Questo è un altro aspetto che non viene dibattuto, e invece è molto significativo: per me questa decisione è scandalosa, perché ci espone al rischio di una rappresaglia diretta da parte della Russia, rischio che non possiamo permetteci di correre, e soprattutto lancia un messaggio sbagliatissimo: l’Italia è amica della Russia e deve evitare queste forme di provocazione. Purtroppo, invece, l’evidenzia dimostra che, se Washington dice “bisogna che voi mandiate i soldati”, l’Italia poi china la testa e manda i soldati. Dovremmo veramente chiederci se tutto questo è davvero nel nostro interesse.La Russia non ha fatto nulla per provocare gli Stati Uniti. Ma gli americani, nei loro disegni strategici, sono convinti che la Russia debba essere controllata. Sono convinti che, controllando lo spazio eurasiatico, possano mantenere la leadership nel mondo e mettere in un angolo la Cina. Putin non è un leader allineato. Inizialmente lo era; ma poi, quando l’America ha iniziato a occuparsi dell’Ucraina, si è reso conto che non poteva fidarsi degli americani ed è cominciata questa schermaglia, inizialmente verbale, e poi sfociata nelle sanzioni. Il vero obiettivo degli Stati Uniti è provocare l’uscita di scena di Putin: sostituirlo con un leader russo che sia in realtà molto amico degli Usa, come peraltro era Eltsin. E per far questo sono disposti a tutto: l’arma delle sanzioni, l’arma delle minacce.Ma attenzione: i russi non sono un piccolo paese come l’Iraq, o un paese che può essere facilmente messo sotto pressione come qualunque piccolo paese occidentale. La Russia resta una grande potenza, dotata di una certa intelligenza e di un servizio di intelligence raffinato. E infatti le risposte che vediamo sono veramente fuori dagli schemi. Il problema è che questo disegno degli americani rischia di portare il mondo a una nuova guerra mondiale, a una guerra nucleare. Il rischio, purtroppo, è molto concreto. E io sono davvero preoccupato: se fino a oggi non ci siamo arrivati è perché la Russia è riuscita a mantenere i nervi molto saldi. Ma, mi chiedo: c’è davvero bisogno di spingerci fino a questo punto? La risposta, ovviamente, potere immaginarla.(Marcello Foa, dichiarazioni rilasciate alla trasmissione web-radio “Border Nights” del 18 ottobre 2016, condotta da Fabio Frabetti in collaborazione con Stefania Nicoletti – un lungo colloquio radiofonico, in cui Foa si è espresso in modo approfondito e circostanziato sulla scandalosa reticenza dei media mainstream soprattutto in relazione ai gravissimi abusi commessi da Hillary Clinton).Fra Donald Trump e Hillary Clinton io non mi chiedo chi è il migliore dei due, ma chi è il meno peggio, il meno pericoloso. Paradossalmente, conoscendo bene Hillary e vedendo i disastri che ha fatto in Libia, nel mondo arabo e in Siria all’inizio della guerra, quando era segretario di Stato, e sapendo che Hillary Clinton in realtà è una “neocon”, ovvero una rappresentante degli orientamenti del neo-conservatorismo estremo che ha guidato la politica Usa dal 2011 a oggi coi risultati disastrosi che vediamo, ebbene io dico che tra i due è molto meno rischioso Trump, non foss’altro perché vuole una distensione con la Russia, mentre Hillary – come Obama – preme per un conflitto con la Russia. E io rabbrividisco al solo pensiero di un conflitto tra Stati Uniti e Russia, in Europa, con il rischio che vengano usate le armi atomiche. E’ veramente una follia, e per questo penso che Trump sarebbe meno pericoloso di Hillary, che attraverso la Fondazione Clinton si è fatta finanziare dall’Arabia Saudita e dal Qatar, i due paesi arabi accusati di sostenere l’Isis.
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Craig Roberts: Hillary tutela l’1% che lucra sulla guerra
Hillary è il candidato dell’1% e Trump quello del 99%, che l’oligarchia vuole distruggere attraverso i media. Se pure vincesse Trump, poco potrebbe contro questo 1% affamato di potere che controlla i posti chiave a Washington e su cui né il popolo americano né gli alleati esteri, diventati ormai vassalli, esercitano più alcun controllo. Su “Counterpunch”, Paul Craig Roberts evidenzia l’assurdità della campagna presidenziale americana, che discute delle tasse di Trump invece della minaccia sempre più inevitabile di una guerra con la Russia scatenata dall’oligarchia al potere. «Cosa deve pensare il mondo guardando la campagna presidenziale americana? Nel corso del tempo le campagne politiche americane sono diventate più irreali e meno legate alle preoccupazioni degli elettori, ma quella attuale è così irreale da essere assurda», afferma Craig Roberts, già viceministro di Reagan. «La delocalizzazione dei posti di lavoro americani da parte delle multinazionali e la deregolamentazione del sistema finanziario degli Stati Uniti hanno portato al fallimento economico dell’America. Si potrebbe pensare che questo sia un argomento da campagna presidenziale».L’ideologia neo-conservatrice dell’egemonia mondiale degli Stati Uniti li sta portando con i loro vassalli ad un conflitto con la Russia e la Cina, scrive Craig Roberts, in un post ripreso da “Voci dall’Estero”. «I rischi di una guerra nucleare sono più alti che in qualsiasi altro momento nella storia». Questo sì, è «un argomento da campagna presidenziale». Invece, «i problemi sono l’uso legale delle leggi fiscali da parte di Trump e il suo atteggiamento non ostile verso il presidente russo Putin», al punto che «si potrebbe pensare che il problema sia l’atteggiamento estremamente ostile di Hillary verso Putin (“il nuovo Hitler”), che promette un conflitto con una grande potenza nucleare». Per quanto riguarda il giovarsi delle leggi fiscali, Pat Buchanan ha sottolineato che Hillary «ha utilizzato a suo vantaggio una deduzione grande quasi come quella di Trump». Durante gli anni in Arkansas, la Clinton «si è anche avvalsa di una detrazione fiscale su una lista di indumenti usati donati a un ente di beneficenza, tra cui 2 dollari per un paio di mutande usate da Bill».Il “dibattito” tra i vice-presidenti, poi, ha rivelato che il candidato del Partito Democratico «è così ignorante da pensare che Putin, che è democraticamente eletto e ha un enorme sostegno pubblico, è un dittatore». Questo, continua Craig Roberts, è quello che sappiamo sui due candidati alla presidenza. «Hillary ha una lunga lista di scandali, da Whitewater e Vince Foster a Bengasi e alla violazione dei protocolli per la sicurezza nazionale». La candidata democratica «è stata comprata e pagata dagli oligarchi di Wall Street, delle mega-banche e del complesso militare industriale, nonché da interessi stranieri». Prova ne sono «i 120 milioni di dollari del patrimonio personale dei Clinton e i 1.600 milioni di dollari della loro fondazione». In altre parole, «Goldman Sachs non ha pagato 675.000 dollari a Hillary per tre discorsi di 20 minuti per la saggezza che contenevano». Al contrario, «quello che sappiamo in merito a Trump è che l’oligarchia non lo sopporta e ha ordinato al Ministero della Propaganda, cioè i media statunitensi, di distruggerlo».Chiaramente, continua Craig Roberts, «Hillary è il candidato dell’1%, e Trump è il candidato del resto di noi». Purtroppo, però, «circa la metà del 99% è troppo stupida per conoscere tutto questo». Inoltre, «se Trump dovesse finire alla Casa Bianca, non significa che potrebbe prevalere sull’oligarchia», che infatti «è radicata a Washington e controlla cariche di politica economica ed estera, think tank e altri gruppi di lobbisti, e i media». Il popolo? «Non controlla nulla». E oggi, «cosa pensa il mondo quando vede condannare Donald Trump perché non vuole la guerra con la Russia o la delocalizzazione dell’economia americana?». E i “vassalli” di Washington – britannici, canadesi, australiani, giapponesi – dove vedono nella politica americana una leadership degna del sacrificio della loro sovranità e dell’indipendenza della loro politica estera? «Dove vedono anche solo un briciolo di intelligenza?». E ancora: «Perché il mondo guarda al governo più stupido, vigliacco, arrogante, corrotto e criminale del pianeta come una guida? La guerra è l’unica destinazione a cui Washington può condurre».Hillary è il candidato dell’1% e Trump quello del 99%, che l’oligarchia vuole distruggere attraverso i media. Se pure vincesse Trump, poco potrebbe contro questo 1% affamato di potere che controlla i posti chiave a Washington e su cui né il popolo americano né gli alleati esteri, diventati ormai vassalli, esercitano più alcun controllo. Su “Counterpunch”, Paul Craig Roberts evidenzia l’assurdità della campagna presidenziale americana, che discute delle tasse di Trump invece della minaccia sempre più inevitabile di una guerra con la Russia scatenata dall’oligarchia al potere. «Cosa deve pensare il mondo guardando la campagna presidenziale americana? Nel corso del tempo le campagne politiche americane sono diventate più irreali e meno legate alle preoccupazioni degli elettori, ma quella attuale è così irreale da essere assurda», afferma Craig Roberts, già viceministro di Reagan. «La delocalizzazione dei posti di lavoro americani da parte delle multinazionali e la deregolamentazione del sistema finanziario degli Stati Uniti hanno portato al fallimento economico dell’America. Si potrebbe pensare che questo sia un argomento da campagna presidenziale».