Archivio del Tag ‘Nelson Mandela’
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Paolo Barnard, l’appestato. E’ l’uomo più scomodo d’Italia
Ho iniziato a fare il giornalista ‘alla vecchia’ (piccoli pezzi x piccolo ma ottimo giornale, “La Gazzetta di Parma”) mentre vivevo a Londra sotto il ‘Nazismo’ Neoliberista di Margaret Thatcher. Anni ’80. Lavoravo con schiavi sociali in un tunnel a sgrassare auto, in nero. Ho vissuto come vivono gli schiavi delle ‘riforme’ del lavoro. Mi sono specializzato in politica estera vivendo anche negli Usa. Lì ho visto di peggio parlando di sadismo sociale Neoliberista, cose che in Italia arriveranno fra 20 anni. Di certo. Nel 1988 approdo alla stampa italiana importante, Mondadori, perché ho l’idea di essere il primo giornalista al mondo che intervista Roger Waters, Pink Floyd, unicamente sulle tematiche sociali di “The Wall”. Waters aveva appena rifiutato una richiesta di “Rolling Stone Magazine”. Accetta me perché nessuno si era mai interessato alle sue idee politiche. Nel 1991 inizio una collaborazione con “Samarcanda” di Michele Santoro, dove, con l’aiuto della compianta Jill Tweedy, faccio lo scoop del testimone americano che, all’insaputa del mondo intero, era rinchiuso all’Al-Rasheed hotel di Baghdad durante la I Guerra del Golfo, e che aveva smentito con foto tutta la versione della Cnn/Pentagono su bombardamenti di civili.Vengo minacciato di arresto dal deputato Giuliano Ferrara e salvato da Andreotti che, col Papa, si opponeva alla guerra. Mai incontrato Andreotti, la cosa mi fu rivelata dopo da Paolo Liguori. 1993, vengo minacciato di morte da un agente Cia a Roma, che mi dice: «Se ti offriamo 5 milioni di lire al mese per andare a fare il giornalista all’ufficio turistico del Trentino, tu accetta. Mi stai capendo?». Offerta mai giunta, perché fui allontanato dalla Rai immediatamente, quindi non ero più un pericolo. Nel 1993 scopro per primo le torture dei soldati italiani in Somalia nell’operazione “Restore Hope”, le pubblico su “La Stampa” di Torino. Silenzio generale (anni dopo, “Panorama” fece lo ‘scoop’). Nel frattempo lavoro per quasi tutte le testate nazionali di stampa, inclusi il “Corriere della Sera” e la “Voce” di Indro Montanelli, poi per Paolo Flores D’Arcais a “Micromega”, e per il “Golem” del “Sole 24 Ore” con l’ex Pm di Mani Pulite Gherardo Colombo. Sempre da esterno. Nel 1994, Roberto Quagliano, Milena Gabanelli ed io, con 4 altri, fondiamo “Report”, sotto la direzione di Giovanni Minoli (allora si chiamava “Effetto Video8”).Nello stesso anno sono in Africa a lavorare sulla guerra in Angola e soprattutto in Sudafrica, dove Mandela rischia di non poter essere eletto per via delle violenze. Vedo stragi, corpi dilaniati, rischio due volte di morire. La seconda volta ero sdraiato sul fondo di una cabina del telefono x mandare una corrispondenza, mentre dei proiettili Ak 47 mi volavano sopra la testa. Dall’altra parte del telefono un idiota mi dice: «Richiama, c’è Berlusconi in diretta». Lì decisi che l’Italia… stocazzo. All’elezione di Mandela sputtano Henry Kissinger di fronte a tutta la stampa mondiale. Nessun italiano presente. Pensai di non lasciare il paese vivo. Alla fine del 1995 intervisto in esclusiva il leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic, che faccio infuriare quando gli dico che Milosevic ha tendenze suicide e sta portando tutto il paese alla morte. Al tempo non eravamo al corrente degli accordi segreti Usa-Israele per fomentare la guerra, rivelati poi. Nel 1998 faccio un’inchiesta (“Report”, Rai3) sull’assistenza ai morenti (Hospice) del tutto inesistente allora in Italia. Sono il primo in Italia a fare un’inchiesta (“Report”, Rai3) sul debito dei paesi poveri che li sta ammazzando per il sadismo del Fondo Monetario Internazionale, che insiste nei pagamenti da parte di gente disperata. Vedo la fame, cosa sono i poveri davvero, l’orrore dell’Africa fuori dai club vacanze.Sono il primo in Italia nel 1999 a fare un’inchiesta (“Report”, Rai3) sulla globalizzazione e sugli Istituti Sovranazionali padroni del mondo, che comandano i Parlamenti di chiunque (oggi tutti lo sanno…). Da lì inizio la mia indagine sul Vero Potere, intuisco cioè che la vita di tutti noi non è comandata dai singoli governi. Sono il primo in Italia a fare un’inchiesta (“Report”, Rai3) dove denuncio Usa, Iraele e Gran Bretagna come i maggiori terroristi del mondo. Tratto il caso Palestina senza peli sulla lingua per Israele. Ricevo il plauso di Noam Chomsky, Ilan Pappe, John Pilger, fra gli altri. Sono il primo in Italia a fare un’inchiesta (“Report”, Rai3) sullo sfruttamento degli ammalati da parte delle multinazionali del farmaco, che costa alla Rai la prima querela in civile mai ricevuta, e a me l’abbandono da parte di Milena Gabanelli, “l’eroina del giornalismo libero”. Mi abbandonarono perché non si creasse un precedente in Rai dove un giornalista viene difeso e gli viene pagata l’eventuale condanna pecuniaria. In tribunale, Rai e Gabanelli chiedono la mia condanna in esclusiva, come se l’inchiesta l’avessi messa in onda io da solo! Perdo il lavoro e il reddito e non ho fondi per difendermi.Sono il primo in Italia a fare un’inchiesta (Rai Educational di Minoli) su come una Commissione di Grandi Clinici ammalati gravi, che quindi hanno conosciuto la sofferenza e la paura, saprebbe rifare la sanità in senso più umano e più efficiente. Fondiamo la Commissione, arriviamo fino al ministro della sanità Livia Turco, ma il suo governo cade poche settimane dopo. Sono il primo in Italia a scrivere un libro di altissima documentazione internazionale (archivi segreti Usa e Gb et al.) sul terrorismo occidentale nel mondo povero, sull’orrore neo-nazista d’Israele in Palestina, e di come questo nostro terrorismo in un secolo di violenze immani ha poi portato a Bin Laden e ad altri gruppi armati di resistenza nel mondo. Il libro è edito da Rizzoli Bur, col titolo “Perché ci odiano”. Scrivo altri 5 libri, ma non voglio che li compriate, perché gli editori sono delle merde e non meritano soldi. Giovanni Minoli mi chiede di tornare in Rai. Gli dico no. Prima Rai e Gabanelli devono chiedermi scusa in pubblico (sì, certo). Scrivo due saggi, fra altri, intitolati “Per un mondo migliore” e “L’informazione è noi” dove parlo di concetti che forse verranno capiti fra 90 anni.Nel 2009 intuisco che tutta l’Eurozona è un immenso crimine sociale guidato da poteri forti, cioè il Vero Potere. Studio un’economia alternativa e di altissimo interesse pubblico, la Mosler Economics-Mmt (Me-Mmt), dal nome dell’economista americano Warren Mosler (un genio). La porto in Italia per primo, e nel 2010 pubblico la storia, la denuncia, e i rimedi (la Me-Mmt) del crimine chiamato Eurozona in “Il Più Grande Crimine” (online). Vengo deriso per anni da tutti, specialmente dagli economisti di ‘sinistra’. Oggi tutti ’sti pezzenti mi copiano parola per parola senza citarmi. Racconto per anni cosa sia il Vero Potere, come funziona, dico cose che appaiono alla gente e ai ‘colleghi’ come follie, ma sono io avanti 50 anni su questo perché ho vissuto fra Il Vero Potere, e infatti tutto ciò che dissi si sta avverando. Nel 2012, al palazzo dello sport di Rimini, io e altri attivisti organizziamo la più grande conferenza di economia della storia, con oltre 2.000 partecipanti paganti. Portiamo la Me-Mmt in Italia in grande stile. Nessun media, neppure quelli di quartiere ci coprono. Santoro manda una ragazzina a filmare, che poi dirà che le cassette furono… rubate.La Me-Mmt diventa un fenomeno nazionale organizzato per gruppi regionali. Facciamo migliaia di conferenze. Io vengo chiamato da “L’ultima parola”, Rai2, diverse volte, da TgCom24, da “La Zanzara”, da Radio3, e poi divengo editorialista economico di punta di “La Gabbia” a La7. Verrò cacciato per motivi, non pretestuosi ma ridicoli, da Gian Luigi Paragone di “La Gabbia” ben 3 volte. La verità la sa solo lui (e Berlusconi). Creo quindi ciò che lo stesso Warren Mosler chiama “il più grande fenomeno Me-Mmt” del mondo. Purtroppo pochi anni dopo Mosler mi accoltella alle spalle, col beneplacido del 99% dei miei collaboratori. Oplà. Divento un ‘appestato’, il primo giornalista-Ebola d’Italia. Una carriera, la mia, che va dal top nazionale al non essere più chiamato neppure da una radio di parrocchia. Sono il primo in Italia a inventarsi “La crisi economica spiegata alla nonna”, dove racconto il crimine epocale dell’Eurozona con termini comprensibili alle nonne. Oggi gentaglia economica di ogni sorta, e i miei stessi ex collaboratori, mi stanno copiando tutto senza citarmi. Sono il primo in Italia a inventarsi “La storia dell’economia (che ti dà da mangiare) spiegara al bar”. Idem come sopra, copioni inclusi. Sono il primo in Italia a inventarsi “L’economia criminale spiegata ai ragazzi attraverso i testi delle canzoni pop”. Questa non me l’hanno ancora copiata, ma fra un poco vedrete…Nella mia vita professionale ho mandato al diavolo ogni singola occasione di divenire famoso. Ho criticato aspramente (mandato a fanc…) per senso di giustizia ed etica: Minoli (disse: «Se vedo Barnard gli tiro un armadio», ma Minoli rimane un ‘grande’) – la Gabanelli (che rimane una m…) – Flores D’Arcais – Gherardo Colombo – Marco Travaglio – Beppe Grillo (che mi chiamò a Quarrata “un grande”) – Lorenzo Fazio che è il boss di Chiarelettere e del “Fatto Quotidiano” – Giuliano Amato (che mi chiamò a casa) – Vittorio Sgarbi che mi voleva in una sua trasmissione – il ministro Tremonti che mi chiamò per capire ‘la moneta’… – Cruciani e Parenzo in diverse puntate – Gianluigi Paragone – e ho rifiutato ogni singola offerta di candidatura politica, fra cui quella di Berlusconi per voce di Marcello Fiori (con testimoni). Ho ignorato un migliaio di paraculi più o meno noti che mi volevano come volto pubblico. Ho detto a Maroni in diretta Tv che è un deficiente, ho chiamato “criminali” Mario Monti, Prodi, Napolitano e molti altri, sempre in diretta Tv, mi feci cacciare dal ministero dell’industria dal ministro Piero Fassino, ho sputtanato Romano Prodi alla Commissione Europea, ho detto a Peter Gomez che è un falsario (con Travaglio) che ha ignorato la distruzione del paese per far soldi coi libri su Berlusconi. Infatti sono l’unico italiano che non ha un blog sul “Fatto Quotidiano”.Quando compresi che il 99% dei miei collaboratori nel Movimento Me-Mmt erano dei fagiani che non capiscono il Vero Potere per nulla, parecchio vigliacchini, o che erano perfidi carrieristi, li ho tutti buttati al cesso. E… ho ignorato un tal Roberto Mancini che si è alzato da un tavolo per stringermi la mano. Non sapevo che è una star del calcio…( Ho fatto volontariato per decenni in aiuto a gente che voi neppure immaginate, ho messo le mani nel dolore, nella devastazione sociale, nella morte. E forse sarà l’unica cosa che mi ricorderò quando crepo. Oggi nel panorama giornalistico e intellettuale non mi considera più nessuno. Dicono, alcuni critici, che è a causa delle mie folli provocazioni sociali che ho reso pubbliche, ma ciò è falso: il problema non erano le mie provocazioni, ma che il 99,9% del pubblico è troppo scemo per capirle. Nella realtà, e siamo seri, se un reporter da 30 anni attacca Usa, Israele, e soprattutto il Vero Potere come ho fatto io, be’, è normale essere sepolto vivo. Curiosità: piaccio alle donne, ragazzine incluse, come se fossi Johnny Depp, ma so che è solo perché sono un ‘personaggio’, e non ci vado a letto (sono vecchio e brutto come un c…). So fare le pizze e il filetto al pepe verde come un Dio. Ho un carattere micidiale, quando mi parte la furia o la rabbia sociale non mi fermo (inclusi gli 8 poliziotti che chiamavo ‘assassini’ di Cucchi e Aldrovandi, e che mi hanno spaccato un braccio, denunciato, ecc.). Ma sono un genio che ha scritto e fatto cose 100 anni avanti a tutti. Amo indossare i gioielli come le donne, e di più. Adoro la donne. Vostro PB.
(Paolo Barnard, “Obbligatorio leggere chi sono, prima di leggermi”, post in evidenzia nel blog di Barnard, i cui agiornamenti sono sospesi, per protesta, dall’inizio di agosto 2016, per sfiducia nel pubblico italiano).Ho iniziato a fare il giornalista ‘alla vecchia’ (piccoli pezzi x piccolo ma ottimo giornale, “La Gazzetta di Parma”) mentre vivevo a Londra sotto il ‘Nazismo’ Neoliberista di Margaret Thatcher. Anni ’80. Lavoravo con schiavi sociali in un tunnel a sgrassare auto, in nero. Ho vissuto come vivono gli schiavi delle ‘riforme’ del lavoro. Mi sono specializzato in politica estera vivendo anche negli Usa. Lì ho visto di peggio parlando di sadismo sociale Neoliberista, cose che in Italia arriveranno fra 20 anni. Di certo. Nel 1988 approdo alla stampa italiana importante, Mondadori, perché ho l’idea di essere il primo giornalista al mondo che intervista Roger Waters, Pink Floyd, unicamente sulle tematiche sociali di “The Wall”. Waters aveva appena rifiutato una richiesta di “Rolling Stone Magazine”. Accetta me perché nessuno si era mai interessato alle sue idee politiche. Nel 1991 inizio una collaborazione con “Samarcanda” di Michele Santoro, dove, con l’aiuto della compianta Jill Tweedy, faccio lo scoop del testimone americano che, all’insaputa del mondo intero, era rinchiuso all’Al-Rasheed hotel di Baghdad durante la I Guerra del Golfo, e che aveva smentito con foto tutta la versione della Cnn/Pentagono su bombardamenti di civili.
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Addio Primo Maggio, serve un Mandela dei lavoratori
Mai come questa volta, devo essere sincero, ho trovato difficoltà nel riflettere sul senso di questa ricorrenza. Difficoltà che deriva non solo dall’aver contratto il morbo di una stanca rassegnazione, ma anche dall’amarezza di osservare il radicale mutamento genetico di quello che, un tempo, era un valore fondante della società democratica. Viene alla mente un tragico parallelismo, in questi giorni di rievocazione della tragedia di Chernobyl: l’espansione della nube radioattiva i cui effetti, anno dopo anno, stanno alterando i corpi dei viventi è analoga alla diffusione del neoliberismo le cui tossine, negli ultimi decenni, hanno radicalmente trasformato il corpo sociale. Chi guardasse al lavoro oggi, a distanza di trent’anni, non ne riconoscerebbe più l’aspetto, ormai totalmente deformato. L’“esplosione legislativa” prodotta dal pensiero unico dominante negli ultimi decenni, infatti, ne ha indelebilmente segnato i tratti. Non più diritto “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.) ma lavoro povero, insufficiente a garantire la fine del mese e sempre più spesso sinonimo di debito: costante compagna della retribuzione è la “cessione del quinto”, nuova forma di corvee ai signori delle finanziarie.Non più valore, espressione di realizzazione individuale e di collettiva partecipazione al “progresso materiale o spirituale della società” (art. 4 comma 2 Cost.) ma, al contrario, plasmabile materia nelle mani di un’iniziativa economica privata ormai priva di qualsiasi limite: ecco servito il “mutamento di mansioni”, ovvero il diritto al demansionamento. Non più fondamento di una società democratica ed egualitaria, ma motore primo di radicali e multiformi diseguaglianze tra occupati e disoccupati, tra precari e stabilizzati, tra “tutele obbligatorie”, “tutele reali” e “tutele crescenti”, tra italiani e immigrati, tra lavoratori in regola, in nero o in grigio, e via discorrendo in un elenco di disparità che non ha fine. Inquieta, del resto, osservare come l’unico baluardo normativo a questa esondazione produttivista sia oggi l’art. 2087 del codice civile con la sua particolare sensibilità verso “l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, ovvero una norma coniata nell’ “anno di grazia” 1942, sotto l’egida di un folle regime totalitario.Così come lascia francamente perplessi l’atteggiamento conformista di una parte sempre maggiore della magistratura del lavoro che, in numerose pronunce, quasi fosse una “clausola di stile”, cita l’art. 41 della Costituzione, secondo cui “l’iniziativa economica privata è libera”, per giustificare l’insindacabilità di numerose – e spesso discutibili – decisioni dei datori di lavoro. La libertà dell’ iniziativa economica privata, oggi, sta diventando il “grande paravento” dietro cui si nascondono, con la garanzia dell’insindacabilità giudiziaria, anche le operazioni imprenditoriali più dubbie e spericolate. Dinanzi a questo sconfortante panorama, dunque, cosa dovrebbero fare i Cipputi di tutto il mondo? Forse rinfrancarsi pensando alle gesta del Leicester dei miracoli vicino all’incredibile conquista della Premier League o al piccolo Lugano di Zdenek Zeman ad un passo dalla conquista della coppa Svizzera, allegorie post-moderne della classe operaia che cerca di raggiungere il paradiso, nonostante e contro i giganti dell’oligarchia calcistica?Forse è meglio scolorire i fulgidi sogni e riprendere le parole pronunciate dal capo Meligqili, figlio di Dalindyebo, nel giorno della solenne festa del passaggio all’età adulta: «Qui siedono i nostri figli: giovani, sani, belli, il fiore della tribù xhosa, l’orgoglio della nostra nazione. Da poco li abbiamo circoncisi, con un rito che promette di introdurli nel mondo degli uomini; io sono qui a dirvi che questa è una promessa vuota, vana, una promessa che non potrà mai essere mantenuta… Noi siamo schiavi nel nostro paese, siamo inquilini sul nostro suolo. Non abbiamo la forza, non abbiamo il potere, non abbiamo il controllo del nostro destino nella terra sulla quale siamo nati. Questi figli andranno nelle città, a vivere nelle baracche e a bere alcool di qualità scadente, perché noi non possiamo offrire loro una terra sulla quale vivere e prosperare…».«Le capacità, l’intelligenza, il potenziale di questi giovani andranno sperperati nello sforzo di guadagnarsi da vivere svolgendo i servizi più umili, più semplici… I doni che abbiamo offerto oggi non sono niente, se non possiamo offrire loro il dono più grande, che è l’indipendenza, la libertà». Queste dolenti parole, ascoltate da un giovane Nelson Mandela, furono il primo motore dell’indignazione e della lotta di liberazione dalla schiavitù dell’apartheid. Che in questo primo maggio, giorno di mesta riflessione e non di festa, risuonino analoghe parole: chissà mai che, nascosti tra la folla, i giovani Mandela del nuovo millennio prendano coscienza del lungo cammino che, oggi, ci separa dalla perduta libertà.(Domenico Tambasco, “Primo Maggio, un lungo cammino verso la perduta libertà”, da “Micromega” del 1° maggio 2016).Mai come questa volta, devo essere sincero, ho trovato difficoltà nel riflettere sul senso di questa ricorrenza. Difficoltà che deriva non solo dall’aver contratto il morbo di una stanca rassegnazione, ma anche dall’amarezza di osservare il radicale mutamento genetico di quello che, un tempo, era un valore fondante della società democratica. Viene alla mente un tragico parallelismo, in questi giorni di rievocazione della tragedia di Chernobyl: l’espansione della nube radioattiva i cui effetti, anno dopo anno, stanno alterando i corpi dei viventi è analoga alla diffusione del neoliberismo le cui tossine, negli ultimi decenni, hanno radicalmente trasformato il corpo sociale. Chi guardasse al lavoro oggi, a distanza di trent’anni, non ne riconoscerebbe più l’aspetto, ormai totalmente deformato. L’“esplosione legislativa” prodotta dal pensiero unico dominante negli ultimi decenni, infatti, ne ha indelebilmente segnato i tratti. Non più diritto “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.) ma lavoro povero, insufficiente a garantire la fine del mese e sempre più spesso sinonimo di debito: costante compagna della retribuzione è la “cessione del quinto”, nuova forma di corveè ai signori delle finanziarie.
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Vince il Potere, perché è radicale come i nostri antichi eroi
Alle 3 del mattino in un pub un ragazzino mi ferma e mi chiede, intelligentemente: «Scusi Barnard, ma lei è proprio sicuro che il suo RADICALISMO radicalismo feroce sia la via giusta?». Gli ho risposto: «Osserva il nostro nemico, cioè il Vero Potere delle megabanche, delle megacorporations, della megafinanza. Sono spietati nel radicalismo delle loro IDEE, AZIONI, DETERMINAZIONE idee, azioni, determinazione. Hanno ri-vinto dopo 250 anni di sconfitte proprio per questo. Non ti dice nulla?». Lavori per Hsbc? A 25 anni prendi un aereo da Londra per Seul. Arrivi, dormi 27 minuti, ti squilla il cell e il tuo boss ti chiede uno spread sulla chiusura di tutte le borse asiatiche in 60 minuti. Ne impieghi 70 di minuti, sei licenziato. Gandhi proibiva ai cuochi delle cucine nel suo Ashram di parlare e di portare mutande durante la preparazione del cibo. Una parola? Eri fuori. La Commissione Ue decide di portare in povertà 100 milioni di europei? E sia, non si fa un singolo passo indietro, neppure se i premi Nobel dell’economia più famosi del mondo gridano allo scandalo. Neppure se l’Organizzazione Mondiale della Sanità protesta per le stragi di ammalati, feti e anziani.Martin Luther King decise l’occupazione da parte dei neri americani delle mense scolastiche riservate ai bianchi nel sud degli Stati Uniti. Si fece, e non si registrò un singolo studente nero che si mosse dai tavoli Solo Per Bianchi. Chi venne prima nella Storia? Il radicalismo della megabanca Hsbc, della Commissione Ue, cioè del Vero Potere, o Gandhi e King? I secondi, ovvio. Il Vero Potere, come da me scritto e riscritto, capì negli anni ’70 che il RADICALISMO radicalismo feroce di idee, azioni e determinazione, tipico dei maggiori campioni delle rivoluzioni sociali della fine ‘800-inizio ‘900 e anni ’60, era l’arma vincente, e andava ADOTTATA adottata. Duecentocinquant’anni di sconfitte del Potere, dall’Illuminismo agli anni ’70 del XX secolo, erano state causate dall’incredibile radicalismo dei pensatori sociali. Leggetevi Benjamin Franklin, o ancor prima John Locke (scioccanti le sue idee persino oggi). Ai tempi di Abraham Lincoln, il grande uomo e i suoi collaboratori pensavano che il fatto di lavorare a stipendio per qualcuno fosse del tutto assurdo. La chiamavano SCHIAVITU’ schiavitù.Nel loro pensiero il lavoro a stipendio era tollerato SOLO solo se inteso come un passaggio verso una condizione dove il lavoratore ovviamente lavorava per se stesso e si godeva i frutti del proprio lavoro, senza avere un titolare o una classe di proprietari in mezzo alle balle. Possiamo chiamarli RADICALI radicali fino all’estremo? Sì. Il radicalismo nella propria morale, nelle posizioni politiche, terrorizza gli avversari, e se ne può solo dedurre che è infatti l’unica arma per vincere contro un nemico altrettanto radicale, il Vero Potere. Malcom X fu ucciso per questo. Il suo radicalismo morale non solo spaventò il governo degli Stati Uniti – che con l’Fbi infiltrò l’organizzazione religiosa in cui Malcom X militava, la Nazione dell’Islam, addirittura piazzando un agente come guardia del corpo di Malcom – ma ancor più terrorizzò la stessa Nazione dell’Islam e il suo corrottissimo leader, Elijah Muhammad. Come noto, furono i sicari di Elijah Muhammad ad assassinare Malcom X nel febbraio del 1965. Chi sarebbe oggi nella Storia Malcom X se avesse abbracciato l’opposto del radicalismo, cioè il COMPROMESSO compromesso nella morale, nelle azioni, nella determinazione?Il radicalismo delle idee, azioni, determinazione è bastato a una singola donna, la birmana premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, per mettere in croce uno dei regimi più incoercibili del mondo oggi, quello birmano. La Suu Kyi è prigioniera politica in Birmania dal 1989, avendo fondato nel pieno della dittatura militare un movimento pacifista per la democrazia. Al di là delle controversie che la circondano, è indiscutibile che la radicalità incredibilmente tenace di Aung San Suu Kyi, ripeto, confinata all’isolamento, è stata l’unica arma che fino ad oggi ha portato uno spiraglio di speranza a quel paese. Pochi sanno che Aung San Suu Kyi era felicemente sposata con un accademico di nome Michael Aris, da cui ebbe due figli. Dopo l’arresto, il regime le offrì ripetutamente di rinnegare la sua lotta per avere il permesso di rivedere la sua famiglia. Lei: no. Quando Aris si ammalò e fu in punto di morte, l’offerta le venne ripetuta. Lei: no. Oggi la dittatura birmana è di fatto incapace di mantenere il paese sotto la griglia di ferro che usava in passato. Ci sono voluti 26 anni di radicalità di Aung San Suu Kyi e dei suoi seguaci per arrivare a questo. Dove sarebbe arrivato il compromesso in Birmania? Da nessuna parte.Gli esempi sono infiniti, Mandela dopo quasi 30 anni di prigionia fu liberato, e le prime parole che pronunciò furono le stesse dette il giorno in cui varcò la soglia della cella 30 anni prima: «La nostra lotta continua, e se necessario sarà armata». La sua radicalità non si era mossa di un millimetro e aveva abbattuto un altro nemico crudelmente radicale (purtroppo Mandela cedette quando fu al potere). No compromessi per Nelson a spaccar pietre in un carcere sudafricano per tre decadi. Non v’è dubbio, come obiettano in molti, che la radicalità è però un’arma a doppio taglio. La faccio breve e semplice: in mano a un mostro come Pol Pot produsse uno degli orrori più agghiaccianti della Storia. Ma l’obiezione non regge. Il rigore della ricerca medica salva milioni di vite al giorno, oggi, certo che nelle mani di Josef Mengele… Suvvia, non perdiamo tempo.Riprendendo per un attimo le idee di Abraham Lincoln – «il lavoro stipendiato è una schiavitù che necessariamente deve essere superata» – e guardando cosa IL COMPROMESSO il compromesso ha fatto a quelle organizzazioni ormai putrescenti e buffonesche che sono i sindacati occidentali oggi, be’, la distanza fra l’americano e queste ultime è di proporzioni cosmiche, come di proporzioni cosmiche è l’umiliazione del lavoro oggi e la vittoria del Vero Potere sui diritti dei lavoratori. Io sono ferocemente radicale nelle mie idee e azioni, perché, ripeto, ferocemente radicale è il Vero Potere contro cui lotto. Se punto i piedi su un principio non mi smuove neppure un dinosauro, e certo, pago i prezzi, la mia biografia parla chiaro: sono scomparso dalla scena, abbandonato dal pubblico, sepolto vivo dai media. Persino i miei ex collaboratori nella lotta economica che ho pionierizzato qui in Italia, la Mosler Economics-Mmt, trasudano invece di compromessi e non mi hanno affatto compreso. Ok. Ma quanto scritto sopra rimane in me e da lì non mi muovo. Sono praticamente da solo qui in Italia in questa dottrina del radicalismo, e il Vero Potere canta e balla e brinda. Fossimo un esercito, lo avremmo prima terrorizzato, e poi sbranato.(Paolo Barnard, “Il Vero Potere vince perché i suoi maestri sono Gandhi, Malcom X o M.L. King”, dal blog di Barnard del 20 agosto 2015).Alle 3 del mattino in un pub un ragazzino mi ferma e mi chiede, intelligentemente: «Scusi Barnard, ma lei è proprio sicuro che il suo radicalismo feroce sia la via giusta?». Gli ho risposto: «Osserva il nostro nemico, cioè il Vero Potere delle megabanche, delle megacorporations, della megafinanza. Sono spietati nel radicalismo delle loro idee, azioni, determinazione. Hanno ri-vinto dopo 250 anni di sconfitte proprio per questo. Non ti dice nulla?». Lavori per Hsbc? A 25 anni prendi un aereo da Londra per Seul. Arrivi, dormi 27 minuti, ti squilla il cell e il tuo boss ti chiede uno spread sulla chiusura di tutte le borse asiatiche in 60 minuti. Ne impieghi 70 di minuti, sei licenziato. Gandhi proibiva ai cuochi delle cucine nel suo Ashram di parlare e di portare mutande durante la preparazione del cibo. Una parola? Eri fuori. La Commissione Ue decide di portare in povertà 100 milioni di europei? E sia, non si fa un singolo passo indietro, neppure se i premi Nobel dell’economia più famosi del mondo gridano allo scandalo. Neppure se l’Organizzazione Mondiale della Sanità protesta per le stragi di ammalati, feti e anziani.
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“Migranti parassiti, peccato ne crepino ancora troppo pochi”
Laura: «Sai a che punto mi hanno portato questo governo, l’invasione e lo schifo di gente che arriva? Che quando sento notizie come 700 morti penso: meno male, 700 delinquenti parassiti in meno. Esasperazione ai limiti». E Diego: «Stiamo a pensare a 700 migranti che affogano in mare quando ci sono 50 milioni di italiani che affogano nella merda. Coglioni!». Chiosa Salvatore: «Sempre troppo pochi, spiace dirlo, ma si stessero in Africa a coltivarsi la terra così evitano di crepare annegati, ed evitassero di sfornare a livello industriale tutti ’sti marmocchi e cui non sono in grado di dare un tozzo di pane! Questa gente invece non vuole cambiare le brutte abitudini di vita. Noi con Salvini». A esprimersi così sono italiani, per lo più giovani: quello che “Mazzetta” ha messo insieme, esplorando Twitter, è «un campionario dei commenti più disgustosi alla grande carneficina del Canale di Sicilia», scrive Claudio Martini. Una catastrofe morale e sociale che rivela il vero motivo per cui, semplicemente, lo spettacolo della carneficina non avrà fine: sui migranti si scarica la paura della crisi, senza pietà. E nessun politico oserà cercare vere soluzioni.«Non mi interessa se affondano, basta che non entrino», scrive Marco. «Sempre troppo pochi», sintetizza Giorgio. Crepino pure in fondo al mare, non sono che «700 terroristi in pastura», ovvero «pappa per gli squali», «mangime per i pesci», chiariscono Lorenzo, Giulio e Sergio. «Peccato… così pochi», scrive Silvia. «Peccato che ci sono dei superstiti», dice Moreno. In fondo, sono «700 parassiti in meno da mantenere», aggiunge Franco: «Affondasse anche il Parlamento con tutto il governo e avremmo fatto bingo». Più ne muoiono e meglio è, sostiene Luca. Che aggiunge: «Questi crepano e io bevo felicemente un costoso vino per festeggiare. Olè!». Maria si preoccupa della religione dei migranti annegati: «Speriamo siano tutti musulmani». E comunque, chiosa Claudio: «Pochi, sempre troppo pochi». Che dire, di fronte a questo? «In un mondo più giusto – scrive Martini, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – queste persone andrebbero messe su un apposito barcone e lasciate alla deriva. Nel mondo in cui realmente viviamo, queste persone votano. Ed è proprio questa la ragione principale dell’impossibilità di risolvere il problema dell’immigrazione». L’apartheid, il segregazionismo Usa e i vari fascismi conobbero un sostegno di massa: «Così è anche per la mattanza dei migranti africani».Per risolvere il problema, avverte Martini, ci sono due vie, alternative tra loro. La prima è quella del blocco navale, «naturalmente sponsorizzata dai Nazisti dell’Illinois, ma anche da Renzi, il quale, ricordiamolo, è responsabile del passaggio da “Mare Nostrum” a “Triton”, ovvero del taglio dei due terzi delle risorse destinate al soccorso in mare dei migranti». Questa proposta, ovviamente, «non può aver alcun riflesso pratico finché non si è disposti a sparare sulle imbarcazioni dei migranti, per la banale ragione che quelli non si fermano». Occorrerebbe pertanto un pattugliamento costante (e costoso) delle coste libiche e tunisine, composto da unità pronte ad annientare le imbarcazioni che tentano di forzare il blocco. «Al decimo affondamento è presumibile che i migranti si scoraggino, e che smettano di tentare la fortuna sui barconi». Naturalmente, aggiunge Martini, questa via è del tutto impercorribile: «Nessun politico, militare o funzionario si assumerebbe mai la responsabilità di simili crimini contro l’umanità. Tali crimini sono però l’elemento che darebbe effettività al blocco navale. In ultima analisi, non ci sarà alcun blocco navale: chi ve ne parla spacciandolo per soluzione è un cialtrone e/o un ipocrita».L’altra soluzione è quella di approntare una linea di traghetti tra le coste libiche e un qualche porto siciliano. Questa proposta, «assai meno paradossale di quel che appare», è stata avanzata da alcuni studiosi seri del fenomeno, e implicherebbe numerosi vantaggi: impedirebbe le stragi, stroncherebbe le organizzazioni criminali (i migranti pagherebbero alla linea di traghetti il biglietto che ora pagano agli scafisti), farebbe risparmiare fior di quattrini alla marina militare, e permetterebbe un controllo preventivo, anche sotto il profilo sanitario, delle persone che intendono migrare in Italia. «In una battuta: se la Tirrenia avesse cominciato a fare questo tipo di operazioni dieci anni fa, oggi non avrebbe i conti in rosso, e si sarebbero salvate molte migliaia di vite umane». Questa soluzione, tuttavia, implica altre iniziative, di notevolissima portata. L’afflusso di immigrati andrebbe regolato, gestito, organizzato. Al netto dei richiedenti asilo, andrebbe preparato un programma di avviamento al lavoro, vincolato al buon comportamento del soggetto e dotato di un termine: ad esempio, si potrebbe prevedere di concedere all’immigrato una permanenza, e un impiego, della durata di 5 o 10 anni. Si tratterebbe pertanto di un programma di lavoro garantito. Il programma, tuttavia, non potrebbe includere solo gli immigrati, ma anche i cittadini italiani, pena un’intollerabile disparità di trattamento.Anche così facendo, comunque, occorrerebbe cercare di limitare i numeri degli arrivi. «Per farlo, sarebbe necessario prendere sul serio il leit-motiv di tutti gli xenofobi, aiutare gli stranieri a casa loro». Ma cosa può significare questa espressione? «Se vogliamo darvi un senso – scrive Martini – gli Stati europei dovrebbero investire alcune decine di miliardi di euro l’anno nell’indutrializzazione (possibilmente compatibile con l’ecosistema) dei paesi dell’Africa sub-sahariana. Gli impieghi sarebbero innumerevoli: dall’introduzione di metodi moderni e meccanizzati per l’irrigazione dei suoli, all’introduzione di reti di servizi efficienti negli agglomerati urbani, all’installazione di centrali di produzione di energia rinnovabile (si pensi al solare); il tutto realizzabile da una forza lavoro retribuibile in misura trascurabile (per gli standard occidentali, non per quelli sub-sahariani: si pensi a stipendi da 100 euro al mese in Mali)». Come è evidente, le soluzioni sarebbero molteplici, ma «il problema è che non sono praticabili». Chi mai potrebbe varare un piano così giusto e intelligente?«La Lega Nord, e tutti i partiti consimili, sarebbero favorevoli a che l’Europa investisse alcuni decimali del suo Pil nei paesi da cui provengono gli immigrati? La risposta è prevedibile: un rotondo no. “Aiutarli a casa loro” va bene come slogan per evitare di affrontare il problema, non come soluzione pratica». La verità, conclude Martini, è che possiamo inventarci tutte le soluzioni più variopinte, ma «verranno tutte invariabilmente affondate dal feroce egoismo dei commentatori di cui sopra, che sono massa elettorale per soddisfare la quale si prodigano Salvini e Renzi, Berlusconi e Grillo (e Sarkozy, Merkel, Farage, Le Pen, Cameron, Rutte)». Non è una questione che si possa «pensare di affrontare gratis, senza concedere qualcosa, senza fare alcun sacrificio (ampiamente ripagato nel lungo termine)». Impossibile risolvere nulla, senza «mettere tra le premesse del problema la necessità di rispettare la dignità dei migranti, anche a costo di togliervi il principio della conservazione del quattrino con ogni mezzo». E quindi tanti saluti e arrivederci, «al prossimo affondamento».Laura: «Sai a che punto mi hanno portato questo governo, l’invasione e lo schifo di gente che arriva? Che quando sento notizie come 700 morti penso: meno male, 700 delinquenti parassiti in meno. Esasperazione ai limiti». E Diego: «Stiamo a pensare a 700 migranti che affogano in mare quando ci sono 50 milioni di italiani che affogano nella merda. Coglioni!». Chiosa Salvatore: «Sempre troppo pochi, spiace dirlo, ma si stessero in Africa a coltivarsi la terra così evitano di crepare annegati, ed evitassero di sfornare a livello industriale tutti ’sti marmocchi a cui non sono in grado di dare un tozzo di pane! Questa gente invece non vuole cambiare le brutte abitudini di vita. Noi con Salvini». A esprimersi così sono italiani, per lo più giovani: quello che “Mazzetta” ha messo insieme, esplorando Twitter, è «un campionario dei commenti più disgustosi alla grande carneficina del Canale di Sicilia», scrive Claudio Martini. Una catastrofe morale e sociale che rivela il vero motivo per cui, semplicemente, lo spettacolo della carneficina non avrà fine: sui migranti si scarica la paura della crisi, senza pietà. E nessun politico oserà cercare vere soluzioni.
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Curioso, il finanziere di Renzi punta sul crollo Mps. E vince
A volte può bastare un annuncio a effetto, per fermare il terremoto. Se invece l’annuncio non arriva, e se il terremoto si chiama Monte dei Paschi di Siena, ci rimetteranno sia i rispamiatori di Mps che i contribuenti, che saranno poi chiamati a sostenere la banca. Ci rimettono tutti? Non proprio. C’è anche chi specula sul crollo, per farci soldi a palate. Per esempio Davide Serra, il finanziere di Renzi, ospite fisso alla Leopolda da cui impartisce lezioni politiche contro operai e sindacati. Tutto questo, sostiene il blog “Senza Soste”, si chiama scandalo. Perché è impossibile non vedere la concertazione degli eventi, il silenzio del premier che non è intervenuto per impegnarsi su Mps e la fiduciosa attesa di Serra, un broker che gioca al ribasso, sicuro di vincere. «Sì, proprio lui, l’amministratore delegato del fondo Algebris, che ha la gigantografia di Mandela in ufficio a Londra, comprata ad un’asta dove c’era Angela Merkel, e che chiede di sanzionare chi fa sciopero in Italia. Insomma lo sponsor finanziario più noto di Matteo Renzi».Nell’ambiente, Serra è noto come operatore che fa vendite allo scoperto: acquista in anticipo l’obbligo di vendita di azioni e obbligazioni a una determinata data, sperando che nel frattempo il loro valore crolli, in modo da rivendere guadagnandoci, senza aver prima acquistato neppure un titolo. «Grossomodo è quello che è accaduto realmente, quando Serra ha incassato forti dividendi dal crollo in borsa di Mps», scrive “Senza Soste”. In questi casi, la vigilanza bancaria può segnalare la posizione di vendita ribassista allo scoperto, e la Consob qui lo ha fatto prima che il titolo crollasse. «Ma può fare anche un’altra cosa: può direttamente vietare la vendita allo scoperto per impedire comportamenti speculativi. La Consob naturalmente non ha vietato nulla, il titolo Mps ha finito di crollare e Serra ha guadagnato». Cosa poteva fare il governo? «Elementare: tutelare i risparmiatori Mps, e i contribuenti che dovranno ripianare la voragine di Siena».Sarebbe bastato «portare il presidente del Consiglio davanti ai microfoni, gesto che gli riesce benissimo, per dichiarare che si sarebbe fatto di tutto per salvare Mps, in modo da far risalire il titolo e contenere i danni sia ai risparmiatori che ai contribuenti». Questo però avrebbe mandato in fumo la scommessa di Serra sul crollo della banca toscana. Così, Palazzo Chigi rischia di apparire come «il più gigantesco covo di insider trading del paese», una postazione privilegiata «dove si detengono informazioni riservate, ad esempio, su Mps e, guarda te il caso, dove gli amici del presidente del Consiglio su Mps finiscono per guadagnarci». Conclude “Senza Soste”: «Una volta poi smantellato il sistema locale del credito in Toscana poi qualcuno pagherà: contribuenti e rispamiatori, ad esempio. Bravi bischeri che votate Pd, continuate così: votate chi lascia, noi e voi, in mutande».A volte può bastare un annuncio a effetto, per fermare il terremoto. Se invece l’annuncio non arriva, e se il terremoto si chiama Monte dei Paschi di Siena, ci rimetteranno sia i rispamiatori di Mps che i contribuenti, che saranno poi chiamati a sostenere la banca. Ci rimettono tutti? Non proprio. C’è anche chi specula sul crollo, per farci soldi a palate. Per esempio Davide Serra, il finanziere di Renzi, ospite fisso alla Leopolda da cui impartisce lezioni politiche contro operai e sindacati. Tutto questo, sostiene il blog “Senza Soste”, si chiama scandalo. Perché è impossibile non vedere la concertazione degli eventi, il silenzio del premier che non è intervenuto per impegnarsi su Mps e la fiduciosa attesa di Serra, un broker che gioca al ribasso, sicuro di vincere. «Sì, proprio lui, l’amministratore delegato del fondo Algebris, che ha la gigantografia di Mandela in ufficio a Londra, comprata ad un’asta dove c’era Angela Merkel, e che chiede di sanzionare chi fa sciopero in Italia. Insomma lo sponsor finanziario più noto di Matteo Renzi».
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Sternhell: basta apartheid, il mondo libero isoli Israele
Chiedere ad Abu Mazen di riconoscere Israele come Stato ebraico significa pretendere che i palestinesi ammettano la loro sconfitta storica e riconoscano la proprietà esclusiva degli ebrei del paese. Ciò che si chiede loro è rinnegare la loro identità nazionale, accettando una resa storico-culturale prima ancora che politica. Ciò che mi preoccupa di più è l’idea di “pace” che oggi permea trasversalmente Israele: un’idea diventata senso comune per la maggioranza dell’opinione pubblica israeliana. E’ qualcosa di più e di più grave di una idea di pace a costo zero. E’ la convinzione che l’unica pace accettabile sia la resa incondizionata dei palestinesi. Se si chiede a un cittadino medio israeliano se è per la pace o per la guerra, risponderà pronto che lui vuole la pace. Ma la “psicologia di una nazione” emerge quando si scava nell’idea di pace. E’ qui che si nasconde l’arretramento. Una pace senza giustizia è un esercizio retorico destinato a un misero fallimento.La giustizia, in questo caso, è tale se riconosce e rispetta i diritti di tutti e non solo di chi esercita il monopolio della forza. Nel mio paese chi si considera di sinistra evoca spesso la necessità di battersi per la giustizia sociale. Ma come è possibile realizzare la giustizia sociale senza definire la giustizia come un valore universale? Quali sono i confini della giustizia e della sua attuazione? Questo ci riporta all’ occupazione. La giustizia non è solo il diritto a un alloggio decente per gli ebrei, è anche il diritto alla libertà per un popolo che vive sotto occupazione. Prima che in politica, la sinistra ha perso la sua battaglia nel campo della cultura, del confronto di visioni. A 68 anni dalla nascita d’Israele, ad affermarsi sembra essere il revisionismo sionista di Jabotinsky, quello che affida a Israele una sorta di ruolo “messianico”, da popolo eletto; una idea per cui a essere centrate è “Eretz Israel”, la sacra Terra d’Israele, piuttosto che “Medinat Israel”, lo Stato d’Israele.In questa visione lo Stato non esiste per garantire la democrazia, l’uguaglianza, i diritti umani o anche una vita dignitosa a tutti; esiste per garantire il dominio ebraico sulla Terra di Israele e per assicurarsi che nessuna entità politica supplementare è qui stabilita. Tutto è ritenuto lecito per raggiungere tale fine, e nessun prezzo è considerato troppo elevato. Ma tutto ciò non ha nulla a che vedere con la “modernità”. Inesorabilmente Israele si sta trasformando sempre più in una entità anacronistica. Uno Stato di apartheid? Non si tratta di un rischio, è qualcosa che già si sta determinando nella realtà quotidiana, negli atti compiuti dalle autorità e nella percezione di sé e dell’altro che ne è il tratto ideologico: l’idea per cui se il palestinese, o l’arabo israeliano, vuol essere “tollerato” deve accettare la propria inferiorità. Quello che così facendo si è creato è un “popolo di espropriati”. Espropriati non solo delle loro terre ma della loro identità, del loro essere più profondo.Purtroppo, la strada per il Sudafrica è stata pavimentata, e potrà essere smantellata solo se il mondo libero, l’Occidente, porrà Israele di fronte a un aut-aut: fermare l’annessione e smantellare la maggior parte delle colonie e lo stato dei coloni, o essere emarginato. Fuori e dentro Israele è aperto da tempo un dibattito sul boicottaggio dei prodotti che provengono dagli insediamenti. Il boicottaggio è soprattutto un modo civile, non violento ma concreto, per protestare contro il colonialismo e l’apartheid prevalente nei Territori. Una tesi condivisa da molti intellettuali israeliani. E’ un bene che sia così, ed è un bene per Israele, per la sua immagine nel mondo. Gli intellettuali israeliani sono i migliori ambasciatori del sionismo, ma rappresentano la società israeliana, non la realtà coloniale. Pensano che calpestare i diritti dei palestinesi in nome dei nostri diritti esclusivi per la terra, e in virtù di un decreto divino, contamini la storia ebraica di una macchia indelebile.C’è chi vede proprio nel sionismo la radice ideologica e l’esperienza politica “fatta Stato” che è alla base dell’espansionismo israeliano, ma non è così: questa è una caricatura del sionismo, o comunque ne è una traduzione politica strumentale, in alcuni casi funzionale ad ammantare di idealità positiva una pratica intollerabile. Il sionismo si fonda sui diritti naturali dei popoli all’autodeterminazione e all’autogoverno. Questi diritti naturali dei popoli valgono per tutti, inclusi i palestinesi. Resto fermamente convinto che il sionismo ha il diritto di esistere solo se riconosce i diritti dei palestinesi. Purtroppo, gli insediamenti realizzati dopo la guerra del ’67 oltre la Linea Verde rappresentano la più grande catastrofe nella storia del sionismo: hanno creato una situazione coloniale, proprio quello che il sionismo voleva evitare. Da questo punto di vista, per come è stata interpretata e per ciò che ha innescato, la Guerra dei Sei Giorni è in rottura e non in continuazione con la Guerra del ’48. Quest’ultima fondò lo Stato d’Israele, quella del ’67 si trasformò, soprattutto per la destra ma non solo per essa, da risposta di difesa ad un segno “divino” di una missione superiore da compiere: quella di edificare la Grande Israele.(Zeev Sternhell, dichiarazioni rilasciate a Umberto De Giovannangeli per un’intervista pubblicata da “L’Unità” e ripresa dal blog di Gad Lerner il 5 maggio 2014. Sternhell,79 anni, è considerato il più autorevole storico israeliano, insignito nel 2008 dal Premio Israele per le Scienze Politiche, massima onorihicenza culturale del paese. Tra le sue opere, “Nascita d’Israele. Miti, storia, contraddizioni”).Chiedere ad Abu Mazen di riconoscere Israele come Stato ebraico significa pretendere che i palestinesi ammettano la loro sconfitta storica e riconoscano la proprietà esclusiva degli ebrei del paese. Ciò che si chiede loro è rinnegare la loro identità nazionale, accettando una resa storico-culturale prima ancora che politica. Ciò che mi preoccupa di più è l’idea di “pace” che oggi permea trasversalmente Israele: un’idea diventata senso comune per la maggioranza dell’opinione pubblica israeliana. E’ qualcosa di più e di più grave di una idea di pace a costo zero. E’ la convinzione che l’unica pace accettabile sia la resa incondizionata dei palestinesi. Se si chiede a un cittadino medio israeliano se è per la pace o per la guerra, risponderà pronto che lui vuole la pace. Ma la “psicologia di una nazione” emerge quando si scava nell’idea di pace. E’ qui che si nasconde l’arretramento. Una pace senza giustizia è un esercizio retorico destinato a un misero fallimento.