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L’Iran e la Guerra di Israele, cui Rabin avrebbe posto fine
Che intenzioni hanno, esattamente, le divinità della guerra? Dove porterà l’assassinio dell’eroe nazionale iraniano Qasem Soleimani, trucidato dai droni di Trump il 2 gennaio del fatidico 2020? “Terremoto” è forse la parola più adatta a rappresentare il sanguinoso caos che ha come epicentro ancora una volta Israele, infiammando i suoi i vicini di casa. A essere colpito è il più potente di essi, la Persia, ma l’agguato mortale contro il leggendario capo dei Pasdaran – stratega della guerra di liberazione contro l’Isis in Siria – potrebbe giovare al regime di Teheran: la carta dell’orgoglio nazionale sarà usata per silenziare le proteste degli iraniani che invocano democrazia, esasperati anche dalla crisi economica prodotta dall’embargo filo-sionista americano. Speculazione politica spicciola anche negli Usa, infatti: il ricorso al patriottismo militarista è sventolato da un Trump in difficoltà, assediato dall’impeachment e proiettato verso le cruciali elezioni di novembre. Calcoli paralleli, fra Teheran e Washington, sulla pelle del generale Soleimani? Il raid terroristico statunitense, destinato a rinfocolare l’odio dei musulmani verso la superpotenza atlantica protettrice di Israele, ricorda in modo sinistro un altro fatale omicidio, lontano nel tempo: quello di Yitzhak Rabin, freddato il 4 novembre 1995 a Tel Aviv per aver finalmente stretto un vero accordo di pace coi palestinesi, destinato a disinnescare per sempre il Medio Oriente.Due anni prima, a Oslo, il progressista Rabin si era accordato con Arafat per gettare le basi, per la prima volta, di un patto che avrebbe portato alla nascita dello Stato di Palestina. Sarebbe stato la fine dell’alibi che per mezzo secolo aveva sorretto le peggiori oligarchie musulmane, sotterraneamente alleate delle oligarchie ebraiche del sionismo: la tensione permanente, per giustificare il rispettivo potere. Neutralizzato l’Egitto come paese leader del panarabismo storico, letteralmente distrutto l’Iraq di Saddam e invasa la Siria degli Assad, sono emerse in modo sempre più vistoso le due nuove potenze regionali, Ankara e Teheran. La Turchia di Erdogan salì alla ribalta nel 2010 denunciando il martirio di Gaza e l’aggressione alla Freedom Flotilla, carica di aiuti umanitari. L’Iran degli ayatollah si è proteso verso la maggioranza sciita degli iracheni, ben deciso a fortificare gli altri suoi caposaldi attorno a Israele, Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza. Ancora una volta, il fronte che si proclama anti-israeliano ha giocato in difesa: e proprio il generale Soleimani si era appena distinto, in Siria, accanto ai russi e ai libanesi di Hezbollah, per liberare il paese dalle milizie terroriste protette dall’Occidente. Quando infine la coalizione anti-Isis (iraniani e russi, siriani e curdi) ha sconfitto sul campo l’esercito dei tagliagole, lo stesso Trump si è preso il lusso di eliminare la pedina dell’intelligence atlantica, il “califfo” Al-Bahdadi, anch’esso (ufficialmente, almeno) ucciso con un raid dal cielo.La tragedia si colora di farsa non appena si dà un’occhiata all’Italia, dove la Rai si è rifiutata di trasmettere l’intervista di Monica Maggioni al presidente siriano Bashar Assad, la prima dopo un decennio di guerra. La notizia stava nelle accuse di Assad verso i protettori occulti dell’Isis, le potenze occidentali (Francia in primis) e i loro satelliti mediorientali, incluso Israele. Nel 2015, Matteo Renzi non osò schierare truppe italiane in Libia, nonostante la protezione promessa da Obama. Oggi, assente l’Italia, sarà la Turchia a dislocare 9.000 soldati a guardia di Tripoli, a due passi dai terminali strategici dell’Eni. Silenzio di tomba da Conte e Di Maio, stavolta persino battuti – se possibile – da Salvini, che non trova di meglio che esultare per l’assassinio del generale Soleimani, impegnato a sollevare gli iracheni contro il governo coloniale della superpotenza che ha distrutto l’Iraq, facendone il vivaio dell’Isis. Il film dell’orrore che stiamo vivendo, letteralmente esploso insieme alle Torri Gemelle l’11 settembre del 2001, non sarebbe nemmeno cominciato se, nell’autunno del ‘95, non fossero andati a segno i colpi del fanatico sionista Yigal Amir, colono ebreo di estrema destra, terrorizzato dall’idea che Israele potesse convivere, alla pari, con gli “scarafaggi” palestinesi. Con la sua Beretta, Amir esplose due colpi calibro 380: sparò alla schiena di Rabin, e di milioni di persone che speravano davvero nel miracolo della pace.Dieci anni prima, in una capitale del Nord Europa – la remotissima Stoccolma – aveva fatto la stessa fine il grande leader socialdemocratico Olof Palme, grande sostenitore della causa palestinese. Quei colpi di pistola – dalla Svezia a Tel Aviv – è come se avessero centrato il cuore del mondo, paralizzandolo per decenni. Fino ad allora, il terrorismo era stato qualcosa di vagamente collegabile a una guerra tra oppressi e oppressori: i Fedayin palestinesi colpivano obiettivi precisi, entità ritenute responsabili di crimini. Non erano stragisti mercenari come l’oscura manovalanza di Al-Qaeda e dell’Isis. Erano guerriglieri spesso orfani, con alle spalle una catena di sofferenze e lutti famigliari. Sia pure in modo sanguinoso, avevano contribuito a mobilitare la comunità internazionale verso una soluzione storica, che mettesse fine al disastro innescato da confini di carta, disegnati nel deserto dopo il crollo dell’Impero Ottomano e poi con la creazione in Palestina del solo Stato ebraico. La stessa popolazione di Israele è stata costretta a convivere con l’incubo permanente della strage. Oggi, gli impresari del terrore sono tornati all’opera: finito il lavoro in Siria, ricominciano dall’Iraq e dalla Libia mettendo nel mirino l’Iran. Rispetto a ieri, se non altro, nel Medio Oriente è ricomparsa la forza stabilizzatrice della Russia. Dove porteranno, ora, i nuovissimi incendi innescati nella regione? Sembra continuare un gioco antico: opposti estremismi, nemici apparenti e alleati sotterranei. Dalla politica, buio pesto. Solo ipocrisia, e sangue.Che intenzioni hanno, esattamente, le divinità della guerra? Dove porterà l’assassinio dell’eroe nazionale iraniano Qasem Soleimani, trucidato dai droni di Trump il 2 gennaio del fatidico 2020? “Terremoto” è forse la parola più adatta a rappresentare il sanguinoso caos che ha come epicentro ancora una volta Israele, infiammando i suoi i vicini di casa. A essere colpito è il più potente di essi, la Persia, ma l’agguato mortale contro il leggendario capo dei Pasdaran – stratega della guerra di liberazione contro l’Isis in Siria – potrebbe giovare al regime di Teheran: la carta dell’orgoglio nazionale sarà usata per silenziare le proteste degli iraniani che invocano democrazia, esasperati anche dalla crisi economica prodotta dall’embargo filo-sionista americano. Speculazione politica spicciola anche negli Usa: il ricorso al patriottismo militarista è sventolato da un Trump in difficoltà, assediato dall’impeachment e proiettato verso le cruciali elezioni di novembre. Calcoli paralleli, fra Teheran e Washington, sulla pelle del generale Soleimani? Il raid terroristico statunitense, destinato a rinfocolare l’odio dei musulmani verso la superpotenza atlantica protettrice di Israele, ricorda in modo sinistro un altro fatale omicidio, lontano nel tempo: quello di Yitzhak Rabin, freddato il 4 novembre 1995 a Tel Aviv per aver finalmente stretto un vero accordo di pace coi palestinesi, destinato a disinnescare per sempre il Medio Oriente.
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L’ennesimo anno disastroso, che stavolta ci aprirà gli occhi
Quali prove ci attendono, come umanità, per il 2020? Certamente le forze anticoscienza continueranno a creare crisi, guerre, emergenze, aggressioni chimiche, fisiche, farmacologiche, alimentari, psichiche, culturali. Continueranno a sforzarsi di devastare la Natura, l’Arte, la Scienza, la Cultura, l’Economia, la Politica, il Diritto, la Terra, le corporeità e le relazioni umane… E nel farlo continueranno a presentarci con grande enfasi mediatica dei cattivi da odiare, ma anche dei falsi profeti da amare e da seguire: lupi travestiti da agnelli nelle religioni, in politica, nella finanza, nella cultura, nell’arte. Cercheranno da una parte di sedurci nelle direzioni sbagliate e dall’altra di incuterci terrore, ansia, paura, rabbia, odio, depressione, indifferenza. Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia – create per condizionarci – assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti. L’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi. L’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan».Queste stesse tendenze si sono manifestate anche nel 2017, nel 2018 e nel 2019. E certamente continuerà in questo modo nel 2020, aggiungendo l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra il fronte guidato dal Qatar ed il fronte guidato dall’Arabia Saudita. Proprio i due fronti che stanno ora producendo la pericolosa crisi libica a due passi dalle nostre coste. E sempre nel 2015-2016-2017 scrivevamo: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Questo è con grande precisione quello che è poi avvenuto e che avrà ulteriori sviluppi nel 2020. La Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti solo apparentemente anti-sistema, le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd e del 5 Stelle, il risorgere delle destre parafasciste, le forti voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche…Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita massonico – sia pure ancora dominante – ha comunque delle forti incrinature. Indispensabili per il gioco del “divide et impera” dei grandi poteri oscuri, e quindi foriere di forti tempeste, di feroci scontri, ma anche di maggiori spazi per la libertà delle coscienze. Come già per lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante. Come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani. Da una parte sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico, ma dall’altra anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane. Una modalità molto diversa da quella “gesuitica”, fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica.Di fronte alle varie risposte positive delle coscienze in risveglio, che non si sono fatte sedurre più di tanto dai disegni di centralizzazione e verticalizzazione, i gruppi di manipolazione mondialisti hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione ed ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali. Visto che non ci convinciamo con le “buone”, loro stanno liberando nuovamente i “cattivi” evidenti, e hanno riaperto il ring degli scontri e della devastazione. I Trump e i Salvini svolgono proprio questa funzione. Il ruolo di Putin va interpretato nella stessa direzione. Non si tratta di un “salvatore”, come molti in modo ingenuo interpretano il ruolo di questo sanguinario feudatario del potere, ma di una delle pedine fondamentali del “divide et impera” che si affaccia come nuova stagione della manipolazione, e che vedremo svilupparsi ancora nel 2020.Anche in Italia il patto d’acciaio gesuita-massonico, che ha prodotto papato e renzismo, e che ha falcidiato le fila dei vecchi avversari politici ed economici, sia ai livelli locali che nazionali, ha cominciato nel 2018 e 2019 a mostrare alcune crepe. Il gioco politico – con la evidente crisi dello sfrontato e ridicolo renzismo, e del decotto Pd – si è riaperto, come prevedevamo già dal 2017. L’influenza della presidenza Trump e degli ambienti conservatori internazionali si è già fatta sentire negli equilibri politici italiani, con l’improvviso risorgere della destra leghista. Una destra che, dietro la sentita esigenza di ordine e sicurezza, nasconde ed esercita una sollecitazione anti-coscienza all’odio e all’egoismo. E avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe.Una presidenza del Consiglio ed altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi. Bravi idealisti, illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera, Grillo, ormai ridotta al silenzio o a incomprensibili deliri di parole vuote. E che sono e saranno i primi a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti – a beneficio delle coscienze – anche nel 2020. Nel 2018-2019 queste due appendici italiane del divide et impera mondiale, la destra parafascista della Lega e il gesuitico cinquestelle, hanno convissuto con difficoltà nel governo, pur di sostituire la classe dirigente precedente, ormai decotta e non più utile al potere vero. E hanno preparato il terreno per l’attuale stagione di un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si pone come guida della destra egoica e conservatrice e un M5S in decomposizione – insieme al Pd – come nuova sinistra fintamente progressista.Un nuovo teatrino fatto per illuderci che un cambiamento della politica sia avvenuto, concedendo qualcosa alle masse e sacrificando con nostra soddisfazione vecchi gruppi politico-affaristici – anche a colpi di magistratura – pur di consentire ai soliti poteri occulti di continuare a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale. Il progetto di Unione Europea, entrato negli scorsi anni in una fase di crisi, cerca ora di riprendere la corsa alla centralizzazione anti-umana. L’uscita dei riottosi britannici dall’Ue e di Salvini dal governo favorisce la ripresa di un programma di verticalizzazione molto forte per i prossimi anni. Le spinte sovraniste non sono state sufficienti a determinare equilibri diversi nel nuovo Parlamento Europeo. Anche per l’evidente “tradimento” di alcuni partiti che si dicevano contrari al centralismo europeo, come il cinquestelle, e che ora ne sono diventati una importante stampella.I governi delle grandi potenze occidentali continueranno a perseguire i disegni dei loro padroni oscuri, ammantandosi di perbenismo e dell’immagine ipocrita di finte democrazie, mentre il volto anti-umano della emergente potenza cinese sarà ancora più evidente e la grande civiltà indiana continuerà a sprofondare in un gretto e volgare materialismo. E l’Africa, apparentemente abbandonata e lasciata al proprio destino, sarà sempre più da una parte terreno del conflitto di religioni e culture e dall’altro territorio di conquista delle armate economiche neocolonialiste straniere. E i paesi islamici continueranno a svolgere il ruolo di vittime e di volano della creazione di vortici di violenza, odio e paura con effetti anti-coscienza in tutto il mondo, mentre un Israele sempre più fanatico, duro e nazionalista continuerà a svolgere un ruolo squilibrante in tutto il Medio Oriente. Foriero di possibili crisi, perfino nucleari, con l’emergente potenza persiana.Le grandi forze industriali continueranno a inquinare e devastare l’ambiente, e i loro padroni oscuri useranno in modo crescente i disastri creati dai loro stessi strumenti per evidenziare una emergenza climatica solo in piccola parte di origine antropica, volta a spingere la gente a sostenere la creazione di nuove forme di governance mondiale e le nazioni a cedere sovranità. Anche in questo caso la presidenza Trump sembra ostacolare temporaneamente questi progetti (ma forse favorirli a più lunga scadenza, inducendo un ulteriore peggioramento di alcune particolari emergenze ambientali). Tutta l’attenzione viene e verrà rivolta ad un non problema, quello della anidride carbonica, sulla base del quale le grandi finanziarie e le multinazionali si apprestano a guadagnare migliaia di miliardi dei nostri soldi, sotto forma di grandi ed estesi cambi di tecnologie; mentre altre tecnologie elettromagnetiche (come il 5G), alimentari, farmaceutiche, industriali e mililtari, volute dagli stessi poteri e ancora più dannose, stanno per circondarci completamente.I soliti gruppi, con i loro strumenti (Onu, Club di Roma, Goldman Sachs) creano campagne planetarie di disinformazione (la povera Greta, etc), ed enormi capitali nostri verranno spesi con la scusa di riparare danni che non sono di origine antropica, invece di usarli per l’adattamento delle strutture e dell’economia umana ad un cambio climatico in gran parte naturale, del quale nessuno parla. L’attacco portato alla salute dei corpi attraverso la perversa strategia mondiale di obbligo vaccinale – partita proprio dall’Italia – continuerà certamente con forza, attraverso il malefico strumento di vaccini appositamente alterati per indurre problemi alle coscienze in risveglio. Fino ad ora questa operazione ha prodotto come risultato un forte risveglio di coscienze, in numero crescente. Questo effetto continuerà anche nel 2020, soprattutto a causa dell’aumento delle reazioni “avverse” ai vaccini, alle quali l’opinione pubblica sarà sempre più attenta. Anche nel 2020 ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste, come l’Europa, per toglierci sovranità, democrazia e libertà esteriori.Faranno tutto questo, come nel 2019 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze. Quel risveglio che per la prima volta nella storia umana sta producendo masse importanti – anche se non ancora maggioritarie – capaci di una epocale rivoluzione interiore: quella di mettere gli esseri della Natura, gli animali e gli altri esseri umani quanto meno sullo stesso piano di se stessi. Quella rivoluzione interiore che per la prima volta fa in modo che tanta gente – almeno un terzo dell’umanità – cominci pensare che non siamo venuti qui per predare tutto quello che incontriamo, ma per vivere in armonia con la Natura e volendo l’uno il bene dell’altro, cominciando finalmente ad amare il nostro prossimo come noi stessi. Proprio per reazione alle nefandezze compiute contro di noi, anche nel 2020 altri cuori ed altre menti si apriranno alla voglia di bene. Come è avvenuto fino ad ora: i tentativi di bloccare i risvegli si sono spesso risolti per reazione in ulteriori ondate di prese di coscienza.(Estratto da “Come sarà il 2020?”, previsioni pubblicate il 30 dicembre 2019 da “Coscienze in Rete”, network fondato da Fausto Carotenuto, già analista geopolitico dell’intelligence Nato).Quali prove ci attendono, come umanità, per il 2020? Certamente le forze anticoscienza continueranno a creare crisi, guerre, emergenze, aggressioni chimiche, fisiche, farmacologiche, alimentari, psichiche, culturali. Continueranno a sforzarsi di devastare la Natura, l’Arte, la Scienza, la Cultura, l’Economia, la Politica, il Diritto, la Terra, le corporeità e le relazioni umane… E nel farlo continueranno a presentarci con grande enfasi mediatica dei cattivi da odiare, ma anche dei falsi profeti da amare e da seguire: lupi travestiti da agnelli nelle religioni, in politica, nella finanza, nella cultura, nell’arte. Cercheranno da una parte di sedurci nelle direzioni sbagliate e dall’altra di incuterci terrore, ansia, paura, rabbia, odio, depressione, indifferenza. Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia – create per condizionarci – assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti. L’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi. L’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan».
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Capodanno, sventata strage in Russia. Putin: grazie, Trump
In un comunicato stampa ufficiale, Vladimir Putin ha ringraziato Donald Trump e l’agenzia di sicurezza federale degli Usa per una soffiata che ha permesso di sventare una serie di attentati terroristici. «Gli attacchi, che si sarebbero dovuti compiere nella città baltica di San Pietroburgo, avrebbero dovuto interessare più punti della città», scrive Andrea Massardo su “InsideOver”, l’inserto geopolitico del “Giornale”. La notizia: «L’intervento dell’unità investigativa americana ha permesso alle forze dell’ordine russe di intervenire in tempo per evitare il compiersi degli attentati». Nell’azione, aggiunge Massardo, sarebbero stati coinvolti due cittadini russi con l’intenzione di colpire l’antica capitale degli Zar durante le celebrazioni del capodanno, col rischio di coinvolgere un numero molto alto di persone. «Nonostante il clima teso che interessa le due nazioni per le questioni riguardanti il gasdotto del Mar Baltico e la difficile situazione di guerra civile che interessa l’Ucraina – sottolinea Massardo – i due leader sono stati in grado di tenere in piedi le comunicazioni necessarie per gestire al meglio la crisi». Fattore, questo, molto importante «nell’evidenziare come, in situazioni esterne alle logiche economiche e politiche internazionali, i due paesi siano in grado di cooperare nonostante le difficoltà nella gestione della politica estera e nonostante le due linee di pensiero spesso agli antipodi».La notizia potrebbe rivelare retroscena anche più clamorosi, a proposito della “sovragestione” occulta del cosiddetto neoterrorismo, di marca Isis, sostanzialmente pilotato da settori deviati dell’intelligence. Lo sostiene il simbologo Gianfranco Carpeoro, massone e avvocato di lungo corso (vero nome, Pecoraro), nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la regia “supermassonica” di spezzoni dei servizi segreti che avrebbero orchestrato i più sanguinosi attentati europei degli ultimi anni, a cominciare da quelli messi a segno in Francia (Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza). «Vedo un ritorno di quel tipo di terrorismo», aveva detto Carpeoro un mese fa nella sua video-chat su YouTube, con Fabio Frabetti di “Border Nights”, dopo il riaffiorare dei nuovi segnali di violenza, per iniziativa di “kamizake” in apparenza isolati. «Temo siano il preludio di una escalation, verso un attentato stragistico di grandi proporzioni», era stata la previsione dell’avvocato. Quello appena sventato in Russia – per capodanno, addirittura – sarebbe dunque potuto essere il maxi-attentato così precisamente paventato da Carpeoro, anche sulla base di informazioni provenienti dal network massonico internazionale? E in questo caso: che significato rivestirebbe la tempestiva collaborazione tra il massone Trump e il massone Putin? E’ noto infatti che entrambi i presidenti militano in superlogge sovranazionali, in costante contatto tra loro al di là dei protocolli della politica estera.«Non è la prima volta che, grazie alla collaborazione americana viene sventato un attentato in Russia», ricorda comunque Massardo sul quotidiano diretto da Sallusti: «Due anni fa la stessa città di San Pietroburgo sarebbe stata il bersaglio di un altro attacco, questa volta alla cattedrale di Kazan». Anche in quel caso, spiega il reporter, l’intervento di Washington aveva permesso di anticipare i dinamitardi, permettendone la cattura prima che il gesto fosse stato portato a compimento. E anche in quella situazione, «i ringraziamenti di Putin per il presidente americano Trump e per i servizi investigativi d’oltreoceano non erano mancati, evidenziando come la collaborazione internazionale sia pietra fondante della lotta ai terrorismi internazionali». Attenzione: com’è gli Usa sono stati in grado di sventare attentati, dimostrando di conoscere le intenzioni degli attentatori? La risposta è nella domanda: come ha ricordato il presidente siriano Bahar Assad nell’intervista concessa a Monica Maggioni (e poi non trasmessa dalla Rai), le milizie terroristiche attive per anni in Siria erano state reclutate, finanziate, armate e addestrate da apparati militari Nato. Una celebre foto immortala il senatore John McCain, inviato speciale di Obama in Medio Oriente, a colloquio in Siria con Abu Bakr Al-Baghdadi, il capo dell’Isis che ora gli Usa hanno dichiarato di aver ucciso (senza mostrarne le prove, come già per Osama Bin Laden).La Russia è naturalmente nel mirino dei gestori del terrorismo, dopo l’intervento militare in Siria che ha salvato il governo di Assad e liberato il paese, invaso dalle milizie jihadiste. Evidente che gli sponsor clandestini dell’Isis – Turchia in testa, ma anche Francia e Gran Bretagna – hanno cambiato politica, cessando di garantire il proprio appoggio ai terroristi, peraltro (secondo molti osservatori) “assistiti” in modo discreto anche da paesi come Israele e Arabia Saudita, tutti alleati degli Usa. Con Trump, la musica è cambiata: il presidente succeduto a Obama ha sostanzialmente smilitarizzato l’area, lasciando campo libero al Cremlino. Potrebbe quindi essere una semplice conseguenza, dunque, la collaborazione con Mosca anche sul piano della lotta al terrorismo: con Trump, la Casa Bianca avrebbe “staccato la spina” a quei settori del cosidetto Deep State (Cia, Pentagono) sospettati di condurre sottobanco una sorta di strategia della tensione, con l’utilizzo spregiudicato di cellule terroristiche che agiscono dietro il paravento del fanatismo islamista. Che la Russia resti comunque un obiettivo dell’eversione lo dimostrerebbe anche il recente attentato-kamikaze compiuto da uno sparatore solitario, che ha aperto il fuoco nel palazzo dei servizi segreti a Mosca: l’antipasto dell’escalation sventata a San Pietroburgo?Come già sottolineato due anni fa, scrive ancora Massardo sul “Giornale”, anche stavolta Putin ha tenuto a precisare come il legame che unisce le unità investigative russe e americane nelle questioni di sicurezza internazionale e lotta al terrorismo sia rodata ed efficiente, per il merito di entrambe le fazioni. L’avvicinamento dimostrato dall’ennesimo scampato pericolo, secondo il giornalista, potrebbe persino riaprire il dialogo tra i due colossi mondiali, attualmente ai ferri corti non solo riguardo all’Ucraina, ma anche al Medio Oriente, con differenti alleati e tentativi di inserirsi nelle aree sotto influenza rivale. «Nonostante al momento tali contatti si siano limitati alle unità investigative dei due paesi e ai rapporti tra i due presidenti – aggiunge Massardo – non è escluso che nuovi canali di comunicazione vengano aperti nel prossimo futuro». Ragione in più per concludere che il neoterrorismo sia uno strumento squisitamente politico, anche se inconfessabile: a seminare strage si può anche inviare uno squilibrato, alterato da droghe o da tecniche di condizionamento mentale, ma alle sue spalle agisce una sapiente regia, che ne protegge le mosse. Non è un caso che tutti i terroristi in azione sul suolo europeo in questi anni siano stati immediatamente uccisi, prima che i magistrati potessero interrogarli. L’aiuto americano a San Pietroburgo vuol forse dire, dunque, che il vertice del massimo potere ha finalmente messo fuori gioco gli insospettabili impresari, altolocati, del più efferato e cinico stragismo “false flag”, compiuto sotto falsa bandiera?In un comunicato stampa ufficiale, Vladimir Putin ha ringraziato Donald Trump e l’agenzia di sicurezza federale degli Usa per una soffiata che ha permesso di sventare una serie di attentati terroristici. «Gli attacchi, che si sarebbero dovuti compiere nella città baltica di San Pietroburgo, avrebbero dovuto interessare più punti della città», scrive Andrea Massardo su “InsideOver“, l’inserto geopolitico del “Giornale”. La notizia: «L’intervento dell’unità investigativa americana ha permesso alle forze dell’ordine russe di intervenire in tempo per evitare il compiersi degli attentati». Nell’azione, aggiunge Massardo, sarebbero stati coinvolti due cittadini russi con l’intenzione di colpire l’antica capitale degli Zar durante le celebrazioni del capodanno, col rischio di coinvolgere un numero molto alto di persone. «Nonostante il clima teso che interessa le due nazioni per le questioni riguardanti il gasdotto del Mar Baltico e la difficile situazione di guerra civile che interessa l’Ucraina – sottolinea Massardo – i due leader sono stati in grado di tenere in piedi le comunicazioni necessarie per gestire al meglio la crisi». Fattore, questo, molto importante «nell’evidenziare come, in situazioni esterne alle logiche economiche e politiche internazionali, i due paesi siano in grado di cooperare nonostante le difficoltà nella gestione della politica estera e nonostante le due linee di pensiero spesso agli antipodi».
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Dezzani: l’Italia fu sabotata, partendo da piazza Fontana
A distanza di cinquant’anni dalla strage di Piazza Fontana, l’Italia è ancora sovrastata dalla stessa cappa di disinformazione: la “strategia della tensione” che, portata avanti dallo Stato o perlomeno da ampi settori dello Stato, avrebbe dovuto facilitare una “svolta a destra” della politica, fermando l’avanzata del Pci nel mondo bipolare della Guerra Fredda. La strage di Piazza Fontana fu invece l’inizio di una campagna destabilizzante contro l’Italia che, dalla Libia alla Somalia, stava guadagnando molte posizioni internazionali cavalcando il “terzomondismo”. Le bombe cessarono nei primi anni ‘90 perché, distrutti la Prima Repubblica e lo Stato imprenditore, non servivano più. Il 12 dicembre di cinquant’anni fa il salone della centralissima Banca Nazionale dell’Agricoltura fu devastato da un ordigno esplosivo: 17 morti ed un’ottantina di feriti segnavano l’inizio dei cosiddetti “anni di piombo”. La strage di piazza ha tre livelli di interpretazione: salendo dall’uno all’altro, ci si avvicina sempre di più alla verità. Il primo livello, presto abbandonato già in quegli anni, è quello della strage “anarchica”, compiuta dal ballerino e bakuninista Pietro Valpreda.Il secondo livello è quello della strage “nera” compiuta da Ordine Nuovo, avvalendosi di ampie connivenze negli uffici dello Stato, in primis l’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno con allora a capo Federico Umberto D’Amato. Tale livello è quello tuttora dominante: la cosiddetta “strategia della tensione”, per spaventare l’opinione pubblica, preparare il terreno per una svolta a destra (mai arrivata) e arrestare l’avanzata del Pci che, se fosse arrivato al potere, avrebbe messo in forse (ma sarà poi vero?) la collocazione dell’Italia nello schieramento occidentale, portando il paese fuori dalla Nato. Il terzo livello è quello su cui abbiamo più volte scritto, in primis ricordando la triste fine di Aldo Moro che, lungi dall’essere un apatico e rassegnato meridionale, era in realtà una delle mente più fini e audaci della politica estera italiana. Il terzo livello colloca infatti la strage di Piazza Fontana all’interno dello scenario internazionale dell’epoca: come Piazza Fontana, anche tutti gli altri “misteri di Italia” trovano la loro spiegazione razionale negli equilibri del periodo e, in particolare, nella condotta italiana tra Malta, Libia, Somalia e Urss.Questo sarà un lavoro veloce e quindi ricorreremo a tanti ritagli di giornale. Agosto 1969: Aldo Moro entra alla Farnesina, all’interno dell’esecutivo di Mariano Rumor. Agli esteri, Moro rimane per i tre anni successivi. Tre anni decisivi per la politica estera italiana, considerati che gli ultimi “dividendi” della politica di allora sono stati incassati fino al 2011, soltanto otto anni fa, quando Muammur Gheddafi è stato prima rovesciato con un intervento Nato e poi brutalmente assassinato. È infatti proprio in Libia che deve essere collocato l’inizio del “terzo livello” della strage di Piazza Fontana. Primi di settembre 1969: un colpo di Stato “filo-nasseriano” rovescia re Idris, installato sul trono di Libia dagli inglesi dopo la guerra. L’incruento putsch gode del pieno appoggio dell’Italia che, in quella fase, cavalca il nazionalismo arabo ed in particolare il nasserismo per guadagnare posizioni ai danni di inglesi e francesi. Una delle prime mosse dei “giovani ufficiali libici”, tra cui emerge ben presto un trentenne Muammur Gheddafi, è quella infatti di rescindere il trattato di sicurezza firmato con Londra nel 1953, obbligando gli inglesi a lasciare il paese.Gli americani fanno buon viso a cattivo gioco, vuoi perché la nuova Libia si mantiene equidistante tra i due blocchi, vuoi perché “la quarta sponda” è sempre stata marginale nella geopolitica del Mediterraneo, vuoi perché sono anni davvero difficili per la superpotenza americana, alle prese col Vietnam ed un’economia claudicante. L’Italia non lascia, ma raddoppia: a distanza di pochi mesi soltanto, la Somalia, che si stava spostando su posizioni sempre più filo-atlantiche, è teatro di un colpo di Stato: il presidente Abdirashid Shermarke è assassinato e tra le file dei “congiurati” emerge ben presto Mohammed Siad Barre, uscito dalla scuola allievi sottoufficiali carabinieri di Firenze.Come la Libia, anche la Somalia rientra dunque “nella sfera d’influenza italiana”, portandosi anch’essa su posizioni non allineate e ammiccando discretamente all’Urss. In neanche tre mesi l’Italia ha messo a segno due grandi risultati ed un terzo l’avrebbe conseguito negli anni successivi, sostenendo Dom Mintoff a Malta. Che fare? Semplice, si ricorre al terrorismo, per tarpare le ali alla risorgente Italia. E si noti, per uscire dal solito provincialismo che affligge la modestissima “intellighenzia” italiana, che la medesima “strategia della tensione” con fini destabilizzanti è usata anche contro Germania e Giappone che, però, possono vantare una solidità delle istituzioni ed una tenuta sociale sconosciute all’Italia. Si arriva così a Piazza Fontana, che avrebbe dovuto avere anche uno strascico di sangue nella capitale. E, si noti, l’attentato coincide con lo stesso giorno in cui si aprono a Mosca le trattative per il rinnovo dell’accordo commericiale italo-sovietico.Inizia quindi la strategia della tensione volta non a impedire la conquista del potere da parte del Pci, ma a tenere perennemente sotto scacco l’Italia che, forte di una classe dirigente di livello e dell’economia mista ereditata dal fascismo, proseguirà comunque la difesa degli interessi nazionali: nonostante il terrorismo “nero”, le Brigate Rosse, i “palestinesi”, Lotta Continua, etc. etc. Le bombe cesseranno solo nel 1993 quando, complice l’avvento del mondo unipolare, gli angloamericani saranno finalmente liberi di liquidare la Prima Repubblica (archiviando due correnti politiche, quella cattolica e quella socialista, che tanto avevano dato all’Italia) e smantellare lo Stato imprenditore. Se la Francia è stata oggetto di una violenta serie di attentati negli ultimi anni, tutto invece tace nel nostro paese: perché, semplicemente, non servono le stragi per indirizzare la navicella Italia verso la tempesta perfetta.(Federico Dezzani, “Quella sera in piazza Fontana, oltre la strategia della tensione”, dal blog di Dezzani del 12 dicembre 2019).A distanza di cinquant’anni dalla strage di Piazza Fontana, l’Italia è ancora sovrastata dalla stessa cappa di disinformazione: la “strategia della tensione” che, portata avanti dallo Stato o perlomeno da ampi settori dello Stato, avrebbe dovuto facilitare una “svolta a destra” della politica, fermando l’avanzata del Pci nel mondo bipolare della Guerra Fredda. La strage di Piazza Fontana fu invece l’inizio di una campagna destabilizzante contro l’Italia che, dalla Libia alla Somalia, stava guadagnando molte posizioni internazionali cavalcando il “terzomondismo”. Le bombe cessarono nei primi anni ‘90 perché, distrutti la Prima Repubblica e lo Stato imprenditore, non servivano più. Il 12 dicembre di cinquant’anni fa il salone della centralissima Banca Nazionale dell’Agricoltura fu devastato da un ordigno esplosivo: 17 morti ed un’ottantina di feriti segnavano l’inizio dei cosiddetti “anni di piombo”. La strage di piazza ha tre livelli di interpretazione: salendo dall’uno all’altro, ci si avvicina sempre di più alla verità. Il primo livello, presto abbandonato già in quegli anni, è quello della strage “anarchica”, compiuta dal ballerino e bakuninista Pietro Valpreda.
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Brexit, Sapelli: asse coi tedeschi, o la Francia ci stritolerà
Il terremoto Boris Johnson è arrivato e la sterlina è schizzata alle stelle. Questo conferma che gli oligopoli finanziari, quelli che fanno girare la giostra dei mercati, premiano soprattutto la stabilità politica. Se c’è, i mercati sono neutrali e molto più democratici della politica economica europea, che in qualche modo dipende dal peso politico degli Stati nazionali. E la sterlina alle stelle vuole anche dire che non si prevedono le massicce fughe di capitali che tutti hanno finora minacciato. L’Europa che deve ritrovare un equilibrio di potenza, come successe dopo il Congresso di Vienna quando gli inglesi, che avevano dovuto occuparsi dell’Europa perché Napoleone era stato sconfitto, decisero poi di disinteressarsene. E non mi pare siano successi grandi sconquassi, se non che il peso della Prussia divenne predominante. Il conflitto tra due nazioni che non possono non andare d’accordo, ossia Francia e Germania, si dispiegherà pienamente. E a farne per prima le spese, a meno che non si faccia una mossa audace (cioè un’alleanza economica e politica con la Germania) sarà l’Italia, perché l’Italia è tradizionalmente esposta sul Mediterraneo.Se nell’Ottocento era un mare franco-inglese e dopo la Seconda Guerra Mondiale è diventato un lago atlantico dominato dagli americani, oggi abbiamo una Russia prepotentemente in campo con l’appoggio della Turchia, che ha siglato un accordo con la Libia ispirato dai francesi, proprio con l’obiettivo di indebolire la presenza italiana. Quindi o l’Italia si allea in qualche modo con la Germania, che pure non abbandonerà certo i nemici francesi (con cui i tedeschi restano alleati, a partire dall’industria militare), o i francesi ci estrometteranno dal Mediterraneo. Anche perché i francesi sono molto spregiudicati: studiano ancora la “guerre economique”, hanno una diplomazia di rango e una classe dirigente di altissimo profilo. L’Europa è un impero senza Costituzione, dipende dalle Corti di giustizia, dai colpi di mano; però ha una formidabile tecnocrazia, un potere non eletto che può fare tutto quello che vuole. Conterà molto chi influenza questa tecnocrazia, dove i francesi sono molto presenti, così come gli spagnoli e altri paesi piccoli.Il Parlamento Europeo non fa le leggi: a cosa serve? Lo si vede anche nella questione, molto brutta, del Mes. E’ un trattato internazionale e non un accordo Ue: è stato concepito così, su influenza tedesco-francese, proprio perché non si fidano del Parlamento Europeo. Mentre l’Italia non ha peso nella burocrazia europea, e infatti negli ultimi 30 anni i nostri rappresentanti a Bruxelles sono stati veicolo degli interessi dominanti: Prodi dei francesi e Monti soprattutto dei tedeschi e contro gli Stati Uniti. L’Eurosummit ha accolto la richiesta dell’Italia di modificare, e non finalizzare, le conclusioni del negoziato. Se anche Conte, Gualtieri, Amendola e Sassoli, i quadrumviri della subordinazione, dicono che bisogna modificare il Mes, vuol dire che quelli che criticavano il Mes, come il governatore Visco e il presidente dell’Abi Patuelli, non erano poi così sprovveduti. Dalla Lagarde alla Bce non dobbiamo aspettarci niente: non sa neanche di cosa parla. È una donna raffinata, elegante, ma non credo che sia molto più preparata su questi temi di Di Maio: legge quello che le dicono i suoi suggeritori. L’importante è che siano suggerimenti buoni.E Francia e Germania sembra che stiano cambiando su un punto: bisogna abbandonare le politiche di austerità. Ecco perché spero che la Lagarde sia condizionata bene, anche dagli americani. Se non vogliamo, come nessuno di noi vuole, che l’Europa cada a pezzi e che l’euro fallisca (perché sarebbe una catastrofe immane), bisogna fare della Bce una vera banca centrale e mettere il Parlamento Europeo sopra tutto e non sotto a tutti. Superare le politiche di austerità sarebbe una virata molto auspicabile, per l’Italia, ma mi sorprende la trasformazione di Gualtieri: prima di diventare ministro ha condotto battaglie quasi solitarie, come contro il bail-in, senza fanatismi e con professionalità, mentre ora è diventato pro-austerity. A cosa può servire una politica italiana ancora molto litigiosa e rissosa? Questo non è il momento di dilaniarsi, è il momento in cui c’è bisogno di un’unione nazionale, perché l’Italia è sull’orlo del baratro, vedi i casi Ilva e Popolare di Bari.Le Pmi non ce la fanno a tenere in piedi tutto il corpaccione dell’Italia. Allora la classe politica deve capire che su alcuni punti – problemi europei, euro, politica industriale, occupazione, patto dei produttori – bisogna lavorare tutti assieme. Come in un conclave: finché non arriva la fumata bianca, si sta lì. Altrimenti, è la fine. La partita della Brexit? Ho sempre sostenuto che l’Inghilterra torna nel suo alveo naturale, che è quello di un potere transatlantico. È innaturale che sia entrata nell’Unione Europea. Infatti è successo solo nel 1976, spinta dal fatto che gli americani non potevano avere solo la Nato e la bomba atomica francese per contrastare l’Unione Sovietica, che allora aveva una superiorità nei missili a medio-raggio. Londra, che era nell’Efta, entra nella Comunità Europea per apportare il suo apparato atomico, come deterrente all’avanzata dell’Urss in Europa. La Brexit segna una sconfitta per gli inglesi? L’Inghilterra non perde niente. È più l’Europa che perde la Gran Bretagna.Va anche detto che l’Europa non ha mai capito gli inglesi. Basta vedere che cosa hanno fatto della “common law” o come hanno imbastardito le regole, creando dei mostri giuridici, della superiore civiltà giuridica anglosassone, fondata sulla libertà e non sull’autoritarismo di Stato come nell’Europa continentale. L’Europa è il pantano, Inghilterra e Stati Uniti sono il luogo del vento e degli uragani. Non a caso Trump ha già chiesto un “grande accordo commerciale”. La cosiddetta Anglosfera sarà l’avamposto dell’Occidente nella sfida con la Cina? È importante che Londra non si metta nelle mani di cinesi e sauditi. E la diplomazia americana, molto più evoluta e raffinata di Trump, si è subito messa in moto per un solido accordo commerciale. Primo, perché ha imparato a sue spese la follia degli inglesi quando nel 1997, rispettando un trattato che era stato firmato in condizioni del tutto diverse, hanno abbandonato Hong Kong. Secondo, perché con questo accordo si tirano dietro il Canada, l’Australia e alcuni paesi africani, Nigeria e Kenya in testa.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Marco Biscella per l’intervista “Subito un patto con Berlino, o siamo spacciati”, pubblicata sul “Sussidiario” il 14 dicembre 2019).Il terremoto Boris Johnson è arrivato e la sterlina è schizzata alle stelle. Questo conferma che gli oligopoli finanziari, quelli che fanno girare la giostra dei mercati, premiano soprattutto la stabilità politica. Se c’è, i mercati sono neutrali e molto più democratici della politica economica europea, che in qualche modo dipende dal peso politico degli Stati nazionali. E la sterlina alle stelle vuole anche dire che non si prevedono le massicce fughe di capitali che tutti hanno finora minacciato. L’Europa che deve ritrovare un equilibrio di potenza, come successe dopo il Congresso di Vienna quando gli inglesi, che avevano dovuto occuparsi dell’Europa perché Napoleone era stato sconfitto, decisero poi di disinteressarsene. E non mi pare siano successi grandi sconquassi, se non che il peso della Prussia divenne predominante. Il conflitto tra due nazioni che non possono non andare d’accordo, ossia Francia e Germania, si dispiegherà pienamente. E a farne per prima le spese, a meno che non si faccia una mossa audace (cioè un’alleanza economica e politica con la Germania) sarà l’Italia, perché l’Italia è tradizionalmente esposta sul Mediterraneo.
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Le finte rivoluzioni del 2019: la previsione di Carotenuto
«Cari amici, nel 2019 aspettiamoci altre finte rivoluzioni». Era il 29 dicembre dell’anno “gialloverde”, quello in cui gli italiani si erano illusi di poter avere un governo a 5 Stelle, deciso a farsi rispettare in Europa e a restituire giustizia sociale in Italia. Dodici mesi dopo, eccoci qua: alle prese con Greta e con le Sardine. Seppellito da Grillo il famoso “uno vale uno”, archiviato l’inguardabile Salvini vestito da poliziotto. Il copione è cambiato: piazze sempre piene, ma per lo sciopero climatico o i flash-mob contro “il fascismo”. Animi sempre accesi, naturalmente: contro qualcosa, o qualcuno, che (esattamente come prima) non è mai chi comanda, davvero. Autore della “profezia” sul 2019, Fausto Carotenuto, già analista politico dell’intelligence Nato. Previsioni peraltro già formulate a partire dal 2015: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Nel 2018, la messa a fuoco si è fatta progressiva: il caos sulla Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti «solo apparentemente anti-sistema». E poi le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre “parafasciste”, le voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche.«Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature. Foriere di forti tempeste, di feroci scontri», scriveva Carotenuto su “Coscienze in Rete”, esattamente un anno fa. «Come già per Matteo Salvini in uniforme da poliziotto lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante – come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani». Da una parte, scriveva Carotenuto, «sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico», ma dall’altra «anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane». Secondo l’analista, «una modalità molto diversa da quella “gesuitica”, fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica».I gruppi di manipolazione mondialisti, scriveva sempre Carotenuto, «hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione, e ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali». Temi che, manco a dirlo, non sono neppure sfiorati né dai “gretini” né dalle Sardine: i baby-ecologisti non menzionano nessuna delle minacce reali, a partire dal 5G, mentre gli odiatori di Salvini ignorano del tutto il primo problema italiano, l’Unione Europea. Tutto questo accade, anche, dopo il crollo del governo gialloverde: la Lega all’opposizione, e i 5 Stelle (dimentichi di ogni promessa) aggrappati alle poltrone del Conte-bis. «Avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un Cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe. Una presidenza del Consiglio e altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi».Bravi idealisti, «illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera Grillo ormai ridotta al silenzio». Sono e saranno i primi, scriveva Carotenuto, «a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti nel 2019». L’analista intravedeva «un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si porrà come nuova destra egoica e conservatrice, e il M5S come nuova sinistra fintamente progressista». Dietro le quinte, «i soliti poteri occulti» continuano «a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale». Oggi, a un anno di distanza, Carotenuto è estremamente preoccupato dal Conte-bis: lo vede come un terminale pericoloso del potere centralista. Grazie alla sua debolezza politica (lo zombie Zingaretti, il defunto M5S) l’esecutivo giallorosso guidato da Conte, «espresso dal medesimo network di potere vaticano che gestiva Andreotti», è perfetto per infliggere all’Italia un’overdose di rigore: guerra al contante e inasprimento fiscale, fino all’incubo del Mes. E nelle piazze, “gretini” e Sardine, a cantare Bella Ciao. «Anche nel 2019 – scriveva Carotenuto – ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste. Faranno tutto questo, come nel 2018 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze».«Cari amici, nel 2019 aspettiamoci altre finte rivoluzioni». Era il 29 dicembre dell’anno “gialloverde”, quello in cui gli italiani si erano illusi di poter avere un governo a 5 Stelle, deciso a farsi rispettare in Europa e a restituire giustizia sociale in Italia. Dodici mesi dopo, eccoci qua: alle prese con Greta e con le Sardine. Seppellito da Grillo il famoso “uno vale uno”, archiviato l’inguardabile Salvini vestito da poliziotto. Il copione è cambiato: piazze sempre piene, ma per lo sciopero climatico o i flash-mob contro “il fascismo”. Animi sempre accesi, naturalmente: contro qualcosa, o qualcuno, che (esattamente come prima) non è mai chi comanda, davvero. Autore della “profezia” sul 2019, Fausto Carotenuto, già analista politico dell’intelligence Nato. Previsioni peraltro già formulate a partire dal 2015: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Nel 2018, la messa a fuoco si è fatta progressiva: il caos sulla Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti «solo apparentemente anti-sistema». E poi le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre “parafasciste”, le voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche.
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Rizzo: senza l’euro stavamo meglio, l’Ue opprime gli italiani
«Quello che è successo in Europa dipende dall’aver anticipato la parte monetaria rispetto a quell’unificazione politica mai arrivata», dice qualcuno. In realtà non si è trattato di un errore, ma di un qualcosa di voluto e premeditato dai grandi poteri. La ricchezza di metà del pianeta è concentrata nelle mani di pochissimi, e questo si ripercuote nella vita di tutti noi. Quello che non funziona, dalla sanità al sociale, dipende da questo. Siamo obbligati ad avere il pareggio di bilancio in Costituzione, i padri costituenti si rivolteranno nella tomba. Sono dinamiche volute dalla grande economia e appoggiate da una politica supina prima, e supina oggi. Il Movimento 5 stelle e la Lega hanno raccolto i voti sulla critica serrata all’Ue e poi si sono rimangiati tutto. Sono andati lì per battere i pugni e sono tornati con le ginocchia sbucciate, perché a Bruxelles si sono inginocchiati. La Bce e il Fmi, Mario Draghi e Christine Lagarde, contano più del presidente del Consiglio italiano: ma li ha per caso eletti qualcuno? Queste organizzazioni sovranazionali contano più dei governi: siamo nel mondo della globalizzazione capitalista, dove un’impresa è più forte dello Stato. La Apple si è rifiutata di decriptare lo smartphone di un terrorista. Una cosa impensabile, alcuni decenni fa. La dittatura finanziaria ed economica è la peggior cosa che esista.Non può essere un singolo paese, da solo, a ribellarsi alla dittatura dei mercati. L’Italia non ha mai avuto una sovranità effettiva, e non appena le personalità importanti sono uscite dalla falsariga di ciò che era determinato per il paese, sono state fatte fuori (Mattei, Craxi per Sigonella, Berlusconi per le vicende di Gheddafi e Putin). In Italia abbiamo centinaia di bombe atomiche e non sappiamo dove sono, anche andando al governo non potremmo farci niente. Bisogna riunire i popoli. Non bisogna contrapporre gli italiani ai tedeschi o agli spagnoli, ma unificare la maggioranza dei popoli. Potremmo lavorare meno e lavorare tutti. La ricchezza potrebbe essere redistribuita, visto che il progresso tecnologico ci permetterebbe di vivere meglio. La moneta è un accordo tecnico. L’euro è stato costruito a tavolino: gli italiani l’hanno provato sulla loro pelle. Quello che costava mille lire costa un euro, ma gli stipendi non sono raddoppiati. Da quando c’è l’euro le cose vanno peggio, nel nostro paese. C’è chi dice: sarebbero andate ancora peggio, senza la moneta unica, ma non c’è la prova di questo. Quando un lavoratore prendeva due milioni di euro stava bene, oggi con mille euro è al palo.Arriveremo al 2030 dove l’1% della popolazione avrà la ricchezza dei due terzi del mondo: stiamo andando verso una società neomedievale. A New York si stanno costruendo dei grattacieli antimissile. Larga parte del pianeta sarà disastrato dal punto di vista ambientale e della sicurezza, ma allo stesso tempo ci saranno delle isole felici blindate. Già oggi ci sono appartamenti venduti a 100 milioni di dollari per 100 metri quadrati, cifre mostruose. Nel resto del mondo moriremo tutti di fame. Lo Stato è forte: ogni anno ha 850 miliardi da spendere. La crisi del governo gialloverde con l’Ue era relativa a circa 15 miliardi, tra “quota 100″ e reddito di cittadinanza (una piccola parte). Possiamo decidere cosa spendere. Serve un piano nazionale di messa a punto del nostro territorio. Potremmo assumere giovani geometri, ingegneri, architetti per evitare di pagare i danni da alluvioni e calamità naturali. Questa società è basata solo sul profitto, ma sulla salute non si può guadagnare. La sanità privata serve a chi la fa, non all’utenza. L’istruzione e i trasporti dovrebbero essere pubblici: hanno fatto apposta, a distruggerli, per favorire la loro privatizzazione. L’Europa dei popoli purtroppo oggi non esiste, esiste solo l’Europa dell’euro e delle grandi banche. Non dobbiamo essere dipendenti da Bruxelles, per fare una riforma. Bisogna uscire dall’Ue in un processo collettivo, rivoluzionario, che coinvolga i popoli. Quello italiano non è mai stato troppo avvezzo alle rivoluzioni, ma potrebbe anche imparare molto presto.(Marco Rizzo, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti nella video-intervista “Una rivoluzione dei popoli per uscire dall’euro”, pubblicata sul canale video di “Money.it” il 23 gennaio 2019).«Quello che è successo in Europa dipende dall’aver anticipato la parte monetaria rispetto a quell’unificazione politica mai arrivata», dice qualcuno. In realtà non si è trattato di un errore, ma di un qualcosa di voluto e premeditato dai grandi poteri. La ricchezza di metà del pianeta è concentrata nelle mani di pochissimi, e questo si ripercuote nella vita di tutti noi. Quello che non funziona, dalla sanità al sociale, dipende da questo. Siamo obbligati ad avere il pareggio di bilancio in Costituzione, i padri costituenti si rivolteranno nella tomba. Sono dinamiche volute dalla grande economia e appoggiate da una politica supina prima, e supina oggi. Il Movimento 5 stelle e la Lega hanno raccolto i voti sulla critica serrata all’Ue e poi si sono rimangiati tutto. Sono andati lì per battere i pugni e sono tornati con le ginocchia sbucciate, perché a Bruxelles si sono inginocchiati. La Bce e il Fmi, Mario Draghi e Christine Lagarde, contano più del presidente del Consiglio italiano: ma li ha per caso eletti qualcuno? Queste organizzazioni sovranazionali contano più dei governi: siamo nel mondo della globalizzazione capitalista, dove un’impresa è più forte dello Stato. La Apple si è rifiutata di decriptare lo smartphone di un terrorista. Una cosa impensabile, alcuni decenni fa. La dittatura finanziaria ed economica è la peggior cosa che esista.
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La truffa 5 Stelle: il cancro che ha impedito il cambiamento
Quest’anno il Movimento 5 Stelle ha celebrato il decimo anniversario della sua nascita suicidandosi. Per andare al governo, s’è svenduto a tutti i Mattei che accusava d’avere distrutto il paese, portando Salvini al 33% dei votanti, e resuscitando Renzi. Ha dato via libera a tutte le rovinose Grandi Opere che prometteva di bloccare. Ha obbedito a tutti i diktat Ue, Usa, Nato, Bce, come il più diligente dei droni. Ha occupato tutte le poltrone, poltroncine, seggiole, seggiolini e sgabelli che è riuscito a raggiungere. Ha rifinanziato i lager libici. Ha illuso i riders, i truffati dalle banche, i terremotati, i lavoratori di centinaia di crisi aziendali, per poi abbandonarli. Ed ha ovviamente perduto tre quarti dei voti, riducendosi a cercare di ritirare la propria lista dalle elezioni regionali per eccesso di ribasso, come si fa coi titoli fallimentari in borsa. Un vero e proprio record.Ministro del lavoro, ministro dello sviluppo economico, ministro degli esteri, vicepremier, capo politico del M5S, anche la carriera di Luigi Di Maio è da record: in 18 mesi ha ricoperto ben cinque alte cariche, senza mai esercitarne davvero nessuna, perché totalmente privo delle capacità e delle competenze necessarie. Era più qualificato il cavallo senatore di Caligola. Al momento, Gigi il Fenomeno è commissariato da Grillo, che lo trattiene per un orecchio dallo scappare a iscriversi alla Lega insieme ai suoi “fedelissimi”. Incapaci, strafottenti, voltagabbana, quelli della banda di Maiana condividono tutte le principali caratteristiche del loro capo corrente, e sono fra i peggiori parassiti che la politica italiana abbia mai prodotto, il che è tutto dire. Con loro, il Movimento 5 Stelle è diventato l’infestazione che prometteva di debellare. La malattia di cui si fingeva la cura.Grillo cerca adesso pateticamente di salvarne i resti riciclandoli come minions del Pd, come d’alemiana “costola della sinistra”. Il Movimento 5 Stelle non è di sinistra. E non è neanche equidistante, trasversale, ortogonale, post-ideologico, o qualche altra stronzata del genere. Il Movimento 5 Stelle è di destra. Il qualunquismo è di destra. Ed è una truffa. Un buco nero che ha inghiottito e neutralizzato più d’un decennio di proteste e speranze che altrimenti avrebbero potuto fare la differenza. Dieci anni nei quali l’Italia sarebbe potuta cambiare davvero. Un’arma di distrazione di massa, che invece di realizzare il cambiamento promesso l’ha di fatto impedito. Il Movimento 5 Stelle è di destra, ed è una truffa. Quindi è l’alleato ideale del Pd.(Alessandra Daniele, “Decàde”, da “Carmilla” del 1° dicembre 2019).Quest’anno il Movimento 5 Stelle ha celebrato il decimo anniversario della sua nascita suicidandosi. Per andare al governo, s’è svenduto a tutti i Mattei che accusava d’avere distrutto il paese, portando Salvini al 33% dei votanti, e resuscitando Renzi. Ha dato via libera a tutte le rovinose Grandi Opere che prometteva di bloccare. Ha obbedito a tutti i diktat Ue, Usa, Nato, Bce, come il più diligente dei droni. Ha occupato tutte le poltrone, poltroncine, seggiole, seggiolini e sgabelli che è riuscito a raggiungere. Ha rifinanziato i lager libici. Ha illuso i riders, i truffati dalle banche, i terremotati, i lavoratori di centinaia di crisi aziendali, per poi abbandonarli. Ed ha ovviamente perduto tre quarti dei voti, riducendosi a cercare di ritirare la propria lista dalle elezioni regionali per eccesso di ribasso, come si fa coi titoli fallimentari in borsa. Un vero e proprio record.
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Carpeoro: grillini ko, governo Draghi o elezioni anticipate
«Se la candidatura Draghi si profila nel modo giusto, spacca i 5 Stelle e nasce il governo Draghi». Se invece l’ex presidente della Bce non riuscirà a “profilarsi nel modo giusto”, a quel punto «si andrà alle elezioni». E Draghi è più probabile che faccia il presidente del Consiglio o della Repubblica? «Prima l’uno e poi l’altro, direi». Parola di Gianfranco Carpeoro, saggista e acuto osservatore della politica italiana. Era stato il primo, l’8 settembre scorso, a scommettere sulla vita brevissima del Conte-bis, destinato a cadere «entro 90 giorni». Sostituito da un altro esecutivo, dominato da una figura di garanzia per l’establishment? Già allora, Carpeoro non escludeva neppure il voto anticipato: a certe condizioni, disse, «lo scenario-elezioni diventerà probabile al 99%». Ci siamo? «La fibrillazione dei 5 Stelle è molto importante, per cui non so se reggono: credo che la mia previsione sui 90 giorni si avvererà», conferma oggi a Fabio Frabetti di “Border Nights”, in web-streaming su YouTube. «Col tipo di contrapposizione che ha avuto col Pd in tutti questi anni, il Movimento 5 Stelle non poteva reggere un’alleanza».Mentre il governo annaspa tra Ilva, Mes ed emergenza-Venezia, i 5 Stelle (umiliati in Umbria) ora vengono dati al 5% in Emilia, ma sulla piattaforma Rousseau sconfessano Di Maio, che proponeva di non partecipare alle regionali emiliane, per evitare l’ennesima débacle. La scadenza dei “90 giorni” per il Conte-bis, insediato a inizio settembre, ormai è vicinissima. Superata la manovra finanziaria (riallineata all’Ue), si accettano scommesse sulla longevità politica di Conte: che cada prima o dopo Natale, poco cambia. A spaventare i “giallorossi” è il voto regionale in Emilia, il 26 gennaio, col rischio che la Lega possa strappare la Pd la storica roccaforte “rossa”. In ogni caso, i grillini si avvicinano alla meta sconfitti in partenza: sondaggi impietosi, per loro, a prescindere dal nome del futuro presidente della Regione. Dal quasi 33% ottenuto alle politiche del 2018, un anno dopo i penstellati erano precipitati al 17% alle europee, dimezzando i voti. E ora, dopo soli tre mesi al governo col Pd, stanno letteralmente sparendo insieme al loro portavoce, Di Maio.Colpa essenzialmente di un colossale flop politico: il reddito di cittadinanza ridotto a parodia di welfare, e il tradimento (spettacolare) di tutte le promesse elettorali. Ilva e Tap, trivelle in Adriatico, Muos e F-35, Tav Torino-Lione. Capitolo pietoso, i vaccini: confermato l’obbligo vaccinale istituito da Beatrice Lorenzin. Peggio: in primavera, lo stesso Grillo firmò (con Renzi) il “patto per la scienza” redatto dal vaccinista Claudio Burioni, per tagliare le gambe alla libera ricerca sui danni da vaccino. Sempre da Grillo, in agosto, il via libera all’accordo col nemico storico dei 5 Stelle, il Pd, siglato con la benedizione di Renzi. All’ex rottamatore, secondo Carpeoro, i grandi poteri hanno proposto un accordo: se ci aiuti a mettere in piedi il Conte-bis, ti faremo finalmente entrare nel salotto buono. Indizio: l’invito al meeting 2019 del Bilderberg, che pure resta una semplice vetrina. «In realtà – afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” – Renzi aveva ripetutamente bussato, ma senza esito, alla superloggia internazionale Maat, quella di Barack Obama». Sul suo rientro in campo, prudenza: Italia Viva è ferma al 5%. «Improbabile che i grandi gestori supermassonici del consenso intendano investire davvero su di lui», dice Magaldi.Altro attore in primo piano sulla scacchiera italiana, il premier Conte: non è affatto “venuto dal nulla”, ma «è l’espressione dello stesso potere vaticano a lungo incarnato dal cardinale Achille Silvestrini», sostiene Fausto Carotenuto, già analista dell’intelligence Nato: «E’ il network che garantì per decenni il potere di Giulio Andreotti». Ma il vero convitato di pietra è Mario Draghi, più che controverso protagonista della storia italiana recente: tecnocrate di prima grandezza, già dirigente della Goldman Sachs e poi di Bankitalia, prima ancora che della Bce. Da direttore generale del Tesoro, dopo la visita al panfilo Britannia il 2 giugno 1992 (dove il gotha della finanza anglosassone progettò la svendita di un’Italia terremotata da Mani Pulite e minata dallo smembramento dell’Iri affidato a Prodi), Draghi “lubrificò” la grande privatizzazione del paese, che raggiunse il suo culmine col governo D’Alema. Nel suo saggio, Magaldi presenta il super-banchiere come affiliato a 5 influenti Ur-Lodges, tutte di stampo reazionario: punta di lancia del potere neoliberista, post-democratico e neo-feudale che ha varato la spietata austerity europea.Ora, la sorpresa: insieme a Christine Lagarde, che ne ha preso il posto alla Bce (invocando il ritorno alla “moneta del popolo”), lo stesso Draghi ha evocato la Modern Money Theory, cioè il ritiorno alla piena sovranità monetaria, senza più vincoli al deficit. Per Magaldi si tratterebbe di un segnale preciso: Draghi e Lagarde, «già massoni neoaristicratici», avrebbero addirittura «chiesto di entrare nei circuiti della massoneria progressista, rooseveltiana e post-keynesiana, che preme per la riconquista della democrazia sostanziale», anche restituendo agli Stati il loro potere illimitato di spesa a beneficio di cittadini e aziende. Sarà questo il “modo giusto” in cui potrebbe “profilarsi” l’eventuale candidatura di Draghi, cui allude Carpeoro? Un Draghi “pentito” del rigore finora inflitto, dal massacro sociale impartito alla Grecia fino al pareggio di bilancio rifilato all’Italia, tramite Monti e Napolitano? Un Super-Mario dalle mille vite, capace di convincere persino gli smarriti grillini a evitare le elezioni anticipate, di cui peraltro hanno il terrore?Un conto però è profilare ipotesi, un altro è schematizzare impropriamente un quadro che resta fluido e contraddittorio. Sulla carta, l’alternativa è rappresentata dalla Lega di Salvini, che però – tramite Giorgetti – avrebbe fatto sapere di essere pronta ad appoggiare Draghi al Quirinale, dopo Mattarella, se l’ex capo della Bce (pezzo da novanta dell’establishment che “sovragestisce” l’Italia) non si opponesse a un governo Salvini, nel caso in cui la situazuione, magari dopo il voto emiliano, precipitasse verso le elezioni anticipate. Fabio Frabetti annota: Salvini, come un tempo Berlusconi, ha presenziato al rito della presentazione ufficiale dell’ultimo libro di Bruno Vespa. Carpeoro invita a non enfatizzare l’episodio: è vero, «Vespa è il cerimoniere di un certo establishment, che sfrutta il cavallo che più gli conviene al momento, per poi buttarlo via». Ma intanto «è interessato innanzitutto a vendere i suoi libri, utilizzando allo scopo il politico più à la page». Se proprio c’è da spendere un nome, per il futuro immediato, non c’è storia: Carpeoro indica Mario Draghi.«Se la candidatura Draghi si profila nel modo giusto, spacca i 5 Stelle e nasce il governo Draghi». Se invece l’ex presidente della Bce non riuscirà a “profilarsi nel modo giusto”, a quel punto «si andrà alle elezioni». E Draghi è più probabile che faccia il presidente del Consiglio o della Repubblica? «Prima l’uno e poi l’altro, direi». Parola di Gianfranco Carpeoro, saggista e acuto osservatore della politica italiana. Era stato il primo, l’8 settembre scorso, a scommettere sulla vita brevissima del Conte-bis, destinato a cadere «entro 90 giorni». Sostituito da un altro esecutivo, dominato da una figura di garanzia per l’establishment? Già allora, Carpeoro non escludeva neppure il voto anticipato: a certe condizioni, disse, «lo scenario-elezioni diventerà probabile al 99%». Ci siamo? «La fibrillazione dei 5 Stelle è molto importante, per cui non so se reggono: credo che la mia previsione sui 90 giorni si avvererà», conferma oggi a Fabio Frabetti di “Border Nights”, in web-streaming su YouTube. «Col tipo di contrapposizione che ha avuto col Pd in tutti questi anni, il Movimento 5 Stelle non poteva reggere un’alleanza».
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Russia derubata: l’imbroglio americano del Muro di Berlino
Torgau, 25 aprile 1945: si abbracciavano commossi, su un ponte dell’Elba, i soldati russi e americani che avevano combattuto insieme per liberare l’Europa dal nazismo. Ma la storia li avrebbe traditi: la pace sarebbe svanita, perché l’Occidente non sarebbe stato ai patti. Altre lacrime, stavolta in mondovisione, il 9 novembre 1989. Cadeva il Muro di Berlino, che aveva diviso in due l’ex capitale di Hitler per 28 anni. Altro tradimento: gli Usa non avrebbero rispettato la solenne promessa fatta a Gorbaciov di non estendere la Nato verso l’Est Europa. Da allora, finita la guerra fredda e franato l’argine geopolitico dell’Urss, è svanita la pace vagheggiata dall’uomo della Perestrojka: e il mondo è precipitato nel feroce caos della guerra asimmetrica universale, terroristica e senza più frontiere, scatenata dall’élite occidentale globalista e neoliberista contro il resto del mondo. Doveva essere una festa della riconciliazione, il crollo del Muro, e invece è stato l’inizio di un trennennio buio per moltissimi popoli, travolti dalle “guerre americane” (e in Europa, dall’austerity). Ma il destino del pianeta era segnato, da quando scomparve Franklin Delano Roosevelt il 12 aprile 1945. A differenza di Truman, che ne prese il posto, il presidente del New Deal non avrebbe ingannato l’Unione Sovietica, riconoscendole anzi il merito storico di aver stroncato il nazismo a Stalingrado, invertendo il corso della storia oltre un anno prima dello Sbarco in Normandia.E’ la tesi che Giulietto Chiesa espone del provocatorio saggio “Chi ha costruito il muro di Berlino?”, che esplora i decisivi albori del dopoguerra – da Hiroshima alla guerra fredda – frugando, carte alla mano, tra i segreti della nostra storia più recente. Al punto in cui erano, chiusi nell’angolo – sostiene Chiesa – nel 1961 i sovietici non potevano far altro che innalzare quell’odioso, maledetto muro: non avevano i soldi per rispondere ad armi pari alla micidiale offensiva statunitense in Germania Est, realizzata violando tutti gli accordi tra le superpotenze. Per esempio, la decisione (condivisa da Roosevelt e Stalin) di progettare insieme il futuro della Germania, in modo bilaterale. Via Roosevelt, il voltafaccia americano si fece palese. E Berlino, insieme alla Germania Ovest, divenne il perno su cui investire per puntare all’unico crollo che interessasse davvero a Washington: quello di Mosca. Se a Yalta i vincitori si erano accordati lealmente per co-gestire l’imminente dopoguerra, a Potsdam nell’estate del ‘45 gli americani decisero di cambiare passo: le atomiche sul Giappone sarebbero state una minaccia diretta all’Unione Sovietica. Un anno prima, del resto, a Bretton Woods il sistema capitalista (”miracolato” dal New Deal ma pronto a emarginare lo stratega progressista Keynes) aveva stabilito il gold standard, la supremazia del dollaro come valuta internazionale e il ruolo “imperiale” del Fmi rispetto alle banche centrali, tranne quella americana.Non c’è bisogno di dichiararsi anticomunisti per ammettere che, ovunque abbia conquistato il potere, quell’ideologia abbia sistematicamente deluso, tradito e represso il popolo, imponendo un’oligarchia dittatoriale capace di macchiarsi dei peggiori crimini. Preoccupa, semmai, che il Parlamento Europeo abbia appena votato una mozione che equipara il comunismo al nazismo: in 150 anni, ricorda lo storico Alessandro Barbero, la parola “comunismo” ha unito milioni di persone che speravano in un modo migliore, più giusto e solidale, mentre – com’è noto – il nazismo aveva come primo obiettivo il primato “razziale” germanico e lo sterminio degli ebrei. L’aspetto più inquietante, nel caotico dopoguerra (secondo Giulietto Chiesa, e non solo) riguarda lo strano feeling tra l’élite statunitense e la Germania nazista sconfitta: subito dopo lo spettacolare Processo di Norimberga, scrive Chiesa, furono almeno 20.000 i criminali nazisti reclutati da Washington per dar vita ai propri apparati di sicurezza come la Cia, ma anche la Nato e lo stesso esercito della Germania Occidentale, paese scelto – almeno dal 1947, a quanto pare – come leva strategica per scardinare la presa sovietica sull’Est Europa, fino poi a far crollare il regime di Mosca.Eterogenesi dei fini: paradossalmente, osserva Chiesa, è proprio “grazie a Hitler” (aiutato sottobanco dalla finanza facente capo a Rockefeller e Allen Dulles, poi capo della Cia) che l’America ha potuto diventare la superpotenza “imperiale”, unica padrona dei destini europei. «L’Europa che abbiamo ereditato – sostiene Giulietto Chiesa, già militante comunista e a lungo corrispondente da Mosca per “L’Unità” – è il risultato della sottrazione della vittoria alla Russia, dell’impossessarsi della vittoria da parte degli Usa e della fine dell’impero britannico, sostituito dall’impero americano». La sua ricostruzione della crisi di Berlino – culminata con la costruzione del Muro – è decisamente inconsueta. Nel 1946, subito dopo Norimberga, gli Usa decidono di rivalutare il marco della Germania Occidentale di quasi 5 volte il suo valore, nonostante gli accordi iniziali sulla co-gestione, con i russi, del futuro del paese. Tra parentesi: la battaglia di Berlino, culminata il 2 maggio del ‘45, aveva messo l’Armata Rossa nelle condizioni di dilagare in gran parte del territorio tedesco. «Stalin invece si fermò a Berlino, fedele al patto siglato a Yalta con Roosevelt». Salito Truman alla Casa Bianca, «di colpo l’Occidente vuole mezza Germania per sé, inclusa la parte occidentale di Berlino». E cosa fa? Rivaluta la moneta. «Risultato: a Berlino Ovest, da un giorno all’altro, si guadagna 4 volte tanto».Chiesa parla di «banconote preparate segretamente già dal 1947». A Berlino, alla vigilia della costruzione del Muro, 50-60.000 lavoratori dell’Est fanno i pendolari: lavorano nella zona Ovest, passando liberamente da un settore all’altro. All’improvviso, con l’impennata valutaria del marco occidentale, succede questo: all’Est, pane e benzina costano 4 volte meno, quindi i berlinesi dell’Ovest corrono a svuotare i negozi dell’Est. In parallelo, comincia l’esodo: 200.000 tedeschi lasciano Berlino Est per trasferirsi a Berlino Ovest. «In due anni e mezzo, traslocarono quasi 2 milioni di persone». L’Urss, ancora devastata dall’invasione nazista, non aveva i soldi per reagire sul piano economico-finanziario: «Nella Germania Orientale, Mosca aveva promosso infrastrutture avanzate: ospedali, università, centri di ricerca. Ma il livello di vita era quello socialista, come in Urss». Conclusione: «Il Muro di Berlino fu un atto elementare difensivo, al quale non ci si poteva sottrarre (se non arrendendosi)». Si dirà: ha stravinto, in ultima analisi, il modello economico più convincente. L’unico (dei due) capace di motivare gli individui, lasciandoli liberi di parlare, pensare ed esprimersi democraticamente, e soprattutto di conquistare in tempi brevi una condizione di notevole benessere.Giulietto Chiesa non si nasconde, ovviamente, le aberrazioni dello stalinismo: «C’erano stati milioni di arresti, le deportazioni in Siberia, l’industrializzazione mediante lavoro forzato». Eppure, aggiunge, «in quel momento la dirigenza sovietica aveva un enorme consenso popolare: finita la guerra, i russi pensavano che sarebbe cessata anche la repressione, e che si sarebbe cominciato finalmente a vivere, anche in Russia, in condizioni diverse». Attenzione: «La Russia aveva vinto la guerra, sul suo territorio. Aveva avuto 20 milioni di morti: non voleva, né poteva, considerarsi battuta». Orgoglio, e non solo: l’Unione Sovietica aveva sconfitto il nazismo, ereditando solo macerie. Città distrutte, industrie rase al suolo: un sacrificio immenso. L’America? Intatta. Nello Sbarco in Normandia, il 6 giugno 1944, gli alleati ebbero 4.400 morti e quasi 8.000 feriti. Cifre che impallidiscono di fronte a Stalingrado, battaglia decisiva per le sorti della Seconda Guerra Mondiale, protrattasi dal 17 luglio 1942 al 2 febbraio dell’anno seguente. Bilancio: mezzo milione di soldati sovietici uccisi e 650.000 feriti, oltre un milione di perdite inflitte ai tedeschi e ai loro alleati. L’attuale demonizzazione del comunismo pretesa (per legge) dall’Unione Europea finisce per mettere in ombra la storia, scippando un’altra volta la Russia: che, secondo Chiesa, quel dannato Muro fu costretta a erigerlo, dopo esser stata ingannata dall’ex alleato americano.(Il libro: Giulietto Chiesa, “Chi ha costruito il muro di Berlino? Dalla guerra fredda alla nascita della bomba atomica sovietica, i segreti della nostra storia più recente”, Uno Editori, 160 pagine, euro 13,90).Torgau, 25 aprile 1945: si abbracciavano commossi, su un ponte dell’Elba, i soldati russi e americani che avevano combattuto insieme per liberare l’Europa dal nazismo. Ma la storia li avrebbe traditi: la pace sarebbe svanita, perché l’Occidente non sarebbe stato ai patti. Altre lacrime, stavolta in mondovisione, il 9 novembre 1989. Cadeva il Muro di Berlino, che aveva diviso in due l’ex capitale di Hitler per 28 anni. Altro tradimento: gli Usa non avrebbero rispettato la solenne promessa fatta a Gorbaciov di non estendere la Nato verso l’Est Europa. Da allora, finita la guerra fredda e franato l’argine geopolitico dell’Urss, è svanita la pacificazione vagheggiata dall’uomo della Perestrojka: siamo precipitati nel feroce caos della guerra asimmetrica universale, terroristica e senza più frontiere, scatenata dall’élite occidentale globalista e neoliberista contro il resto del mondo e contro le stesse democrazie. Doveva essere una festa della riconciliazione, il crollo del Muro, e invece è stato l’inizio di un trentennio buio per moltissimi popoli, travolti dalle “guerre americane” (e in Europa, dall’austerity). Ma il destino del pianeta era segnato, da quando scomparve Franklin Delano Roosevelt il 12 aprile 1945. A differenza di Truman, che ne prese il posto, il presidente del New Deal non avrebbe ingannato l’Unione Sovietica, riconoscendole anzi il merito storico di aver stroncato il nazismo a Stalingrado, invertendo il corso della storia oltre un anno prima dello Sbarco in Normandia.
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5 Stelle ricattati dal potere che utilizza tutti, anche la Lega
Nelle elezioni in Umbria, la coalizione Pd-M5S la preso una legnata terribile. Lo si sapeva, era attesa. Ma probabilmente è andata al di là delle proporzioni che tutti si aspettavano. A parte quello che dicono i talkshow, sempre manipolati, ora cosa ci si può attendere, realisticamente? L’alleanza tra 5 Stelle e Pd è stata facilitata dal “babau” Salvini che “creava un sacco di problemi per l’Italia” (il che era anche vero, perché tutto il mondo del potere si era esercitato – coi mercati, con l’Europa – contro il governo precedente). Salvini, per qualche motivo (qualche ricatto, o qualcosa del genere) è stato costretto a buttare all’aria il governo gialloverde, e così si è formato quello che prima non si poteva formare: senza il “babau” Salvini, Pd e 5 Stelle non avrebbero mai fatto maggioranza insieme. Certo non è facile, la coesistenza di questi due soggetti: bisogna che ci siano delle contingenze esterne che la rendano sempre più possibile. Ora, elezioni regionali sembrano essere state una legnata, per i due alleati (e lo sono), ma d’altra parte li costringono – ancora di più – a stare insieme fino alla fine della legislatura, perché se si va alle elezioni prendono una batosta anche a livello nazionale e perdono il governo.Quindi, invece di chiarire se questo governo deve rimanere in carica o no, queste elezioni lo rafforzano – a meno che (il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi) qualche gruppo di grillini o di renziani non immagini una strada diversa e mandi tutto all’aria. Vedremo, ma innnazitutto: perché si è verificata, questa batosta? I grillini hanno tradito la loro base. Come nel resto d’Italia, anche in Umbria il Movimento 5 Stelle si era formato combattendo contro Berlusconi e contro il Pd. Questa è stata la loro storia. In Umbria avevano lottato soprattutto contro il Pd, in tutti i modi. In Umbria, il Pd era l’arroganza del potere, il rapporto con il capitale e con i poteri forti, e nessun ascolto dei territori. Questo è stato, il gruppo incarnato dal Pd, per decine di anni. E gli uomini del Movimento 5 Stelle (consiglieri regionali, comunali) erano cresciuti in Umbria facendo questa battaglia. Ho parlato con tanti di loro. Quando il M5S si è alleato col Pd, dicevano: «E adesso noi che facciamo? Ci avevamo messo la faccia, e adesso la perdiamo». Aggiungevano: «Speriamo che il disastro elettorale sia di proporzioni limitate». Ma secondo me nemmeno loro se l’aspettavano, che finisse proprio così.C’è stato il tradimento di tutta una classe di attivisti 5 Stelle (come anche nel resto d’Italia, peraltro: quindi, se la stressa cosa viene riproposta in giro per l’Italia, immaginatevi cosa succede). Ma ormai la gente cominicia a non credere più ai burattini di Grillo. In mezzo a loro ci sono tante persone per bene, ma ormai lo si è capito: Grillo ha deciso di andare col Pd, coi poteri forti. Ha deciso di favorire la finta rivoluzione fatta dai poteri forti attraverso l’elettronica, l’industria del “green new deal”, e così il Tap, il Tav, il Muos, i vaccini. Quindi la gente ormai se n’è accorta. Ci vorrà un po’ di tempo, ma diciamo che il Movimento 5 Stelle è in via di spegnimento. A favore di chi? Dei poteri forti, ovviamente. Attualmente, in Parlamento il M5S ha una massa enorme di deputati e senatori che non avrebbe, se si fosse votato adesso, ma insieme a quelli del Pd (che anch’essi prenderebbero una discreta legnata) hanno tutto l’interesse a portare a termine la legislatura, a maggior ragione dopo la batosta in Umbria. Ma pensate al potere oscuro che li controlla entrambi: è un potere verticista, mondializzante, europeista. Pensate a come li controlla meglio, adesso. Non possono sgarrare, né protestare, perché rischiano di andare tutti a casa.E allora farà ancora più disastri, il pericolosissimo governo Conte-bis. E’ stato formato da gente del Club di Roma, dell’Unione Europea, di Goldman Sachs e da gente dei peggiori poteri, inclusi i gesuiti e certe massonerie. E’ un governo di guerra, muove guerra alle coscienze, e trasferirà ancora più fondi dalle nazioni all’Ue: è punta di lancia dell’europeismo e della maggioranza europea verticalizzante. Farà ancora più danni, perché costringerà facilmente a stare zitti i deputati e i senatori che lo sostengono: dovranno accettare tutto, altrimenti andranno a casa. Riuscirà, questa operazione? Speriamo di no. Se non riuscisse, cosa succederebbe? Magari, la destra andrebbe al governo. Ma non aspettiamoci rivoluzioni: la destra dipende dagli stessi poteri, il suo mestiere è solo di fare “bau-bau”. Quindi avremmo un governo di destra che verrebbe attaccato in tutti i modi. Verrebbe messa in crisi l’Italia, fino a ricondurci all’ovile dei funzionari del potere. Quello che è stato fatto adesso verrebbe riproposto. Cosa dobbiamo fare? Svegliarci, non credergli più. E continuare a fare quello che diciamo sempre: lavoriamo, non pensando a questi felloni, ma a quello che possiamo fare attorno a noi. Organizziamoci in piccole comunità e associazioni, gruppi d’acquisto etico-solidali. Facciamo il lavoro in orizzontale: è dal livello orizzontale che sorgerà una società nuova, non da questi felloni.(Fausto Carotenuto, “Elezioni in Umbria: la batosta Pd e M5S. Perché? Cosa cambia in Parlamento?”, video-editoriale su YouTube registrato il 29 ottobre 2019. Già analista politico dei servizi segreti Nato, Carotenuto è ora animatore del network “Coscienze in Rete”).Nelle elezioni in Umbria, la coalizione Pd-M5S la preso una legnata terribile. Lo si sapeva, era attesa. Ma probabilmente è andata al di là delle proporzioni che tutti si aspettavano. A parte quello che dicono i talkshow, sempre manipolati, ora cosa ci si può attendere, realisticamente? L’alleanza tra 5 Stelle e Pd è stata facilitata dal “babau” Salvini che “creava un sacco di problemi per l’Italia” (il che era anche vero, perché tutto il mondo del potere si era esercitato – coi mercati, con l’Europa – contro il governo precedente). Salvini, per qualche motivo (qualche ricatto, o qualcosa del genere) è stato costretto a buttare all’aria il governo gialloverde, e così si è formato quello che prima non si poteva formare: senza il “babau” Salvini, Pd e 5 Stelle non avrebbero mai fatto maggioranza insieme. Certo non è facile, la coesistenza di questi due soggetti: bisogna che ci siano delle contingenze esterne che la rendano sempre più possibile. Ora, elezioni regionali sembrano essere state una legnata, per i due alleati (e lo sono), ma d’altra parte li costringono – ancora di più – a stare insieme fino alla fine della legislatura, perché se si va alle elezioni prendono una batosta anche a livello nazionale e perdono il governo.
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Niccolai, il fascista “eretico” che fece votare le idee del Pci
«Ricordo una sera a Pisa, in una scalcagnata 500 guidata da un militante di Cecina, Altero Matteoli, divenuto poi ministro. Nel sedile posteriore, in condizioni disumane, sedevano attorcigliati Niccolai e Tatarella; benché ragazzo, mi avevano lasciato il posto davanti, come si usa per cavalleria con le donne, i disabili e gli intellettuali». Così lo scrittore, filosofo e politologo Marcello Veneziani ricorda Giuseppe Niccolai, esponente “eretico” del Msi, di cui a Pisa – sua città natale – la sinistra e l’Anpi ha appena contestato la memoria, dopo che il Comune, a trent’anni dalla sua morte, gli ha intitolato un piazzale. Chi era Niccolai? «Un politico galantuomo, un missino eretico che sognava di ricucire la ferita storica tra fascisti e comunisti e combattere insieme contro la mafia e il potere, i potentati economici e la servitù americana». “Beppe”, lo ricorda Veneziani, «fu un limpido marziano che visse nell’era ideologica integrale, il Novecento, assorbendo le sue passioni ma non i suoi livori». Quella volta a Pisa, Veneziani lo incontrò perché era in possesso di appunti inediti di Berto Ricci, altro «fascista eretico dalla mente lucida e il cuore puro», che poi furono pubblicati con la prefazione di Indro Montanelli. Sceso da quella Cinquecento, «Niccolai maneggiava i quaderni di Ricci con religiosa devozione».In principio, riassume Veneziani su “La Verità”, Niccolai fu tra i fondatori del Msi nel segno di “legge e ordine”. Poi si andò spostando verso una sinistra nazionale e “spirituale”, auspicando di ricucire la frattura del ’14 coi socialisti, spingendosi persino a quella del ’21 coi comunisti. «Non condivise però la linea di Pino Rauti di sfondare a sinistra; sognava altre sintesi». Niccolai morì il 31 ottobre dell’89, «nove giorni prima che cambiasse il mondo, col Muro crollato e la caduta del comunismo, e da noi la fine della Prima Repubblica». L’anno prossimo sarà il centenario della sua nascita. «Quando morì, Niccolai lasciò un vuoto», scrive Veneziani, «ma era lo stesso vuoto che lo circondava quando era in vita». “Beppe” dissentiva da Almirante, e spesso era all’opposizione nell’opposizione, distante pure da Rauti. «L’avevano sistemato in una teca, con l’etichetta di coscienza critica, per venerarlo e accantonarlo». Conoscendolo, «era amabile e inquieto, tutt’altro che un fascistone prepotente con le certezze granitiche, in bianco e nero». Fascista, Niccolai lo era stato davvero, «ma sulla sua pelle: volontario in Africa, e poi – per fedeltà al suo fascismo, prigioniero degli americani nel “fascist criminal camp” ad Hereford, come l’artista Alberto Burri, lo scrittore Giuseppe Berto e Roberto Mieville, futuro capo dei giovani missini della prima ora».A Pisa, continua Veneziani, Niccolai fu l’antagonista storico di Adriano Sofri, che mobilitò Lotta Continua per impedire un suo comizio il 5 maggio del ’72. «Negli scontri con la polizia morì un anarchico, Serantini, e anche per vendicare lui pochi giorni dopo fu ucciso Calabresi. Ma Niccolai difese il “nemico” Sofri quando fu accusato d’omicidio», aggiunge Veneziani. Da parlamentare, l’amico “Beppe” «fece memorabili interventi in commissione antimafia contro le collusioni politiche, soprattutto democristiane, e fu elogiato anche da Leonardo Sciascia, allora parlamentare di sinistra». Non solo: «Denunciò le stragi e le responsabilità dei servizi segreti; e riuscì a scucire la verità ai magistrati veneziani sull’aereo Argo 16 della nostra aeronautica abbattuto dagli israeliani nel novembre del ’73 a Venezia uccidendo i militari italiani a bordo, accusati di aver salvato alcuni terroristi arabi che preparavano un attentato a un aereo di linea israeliano». Un’operazione filo-araba, condotta dall’allora ministro degli esteri Aldo Moro (cinque anni più tardi “sistemato” con l’opaca operazione terroristica affidata alle Brigate Rosse).A Niccolai, Veneziani era accomunato «dal gusto ardito dell’eresia e dalla rivoluzione conservatrice, da amici comuni come Giano Accame e il pisano Gino Benvenuti». Si scoprirono entrambi «figli di presidi di liceo, cresciuti con una buona biblioteca in casa». Quando Veneziani fu silurato dall’editoria di destra per le sue simpatie verso il socialismo tricolore di Craxi, Niccolai scrisse un pezzo solidale sul suo foglio, “L’Eco della Versilia”, e ribadì la sua protesta al congresso missino di Sorrento nel 1987, «dove fu la voce stonata nel congedo di Almirante dalla guida del Msi». Non era un vecchio arnese, Niccolai: «Nell’Msi fu con l’ala modernizzatrice di Mimmo Mennitti: voleva aprire il ghetto missino, dialogare col Craxi patriota e sognava di ricucire con la sinistra». Raccontava che l’ultimo Mussolini aveva raccomandato ai suoi fedelissimi: «Se crolla il fascismo, seguite Pietro Nenni». Veneziani lo ricorda come «uno spirito critico e appassionato, pensante e romantico, magari impolitico». Nel 1988 fu espulso dal Msi: aveva fatto votare alla direzione del partito un ordine del giorno contro i potentati economici. Solo più tardi si seppe che quel documento l’aveva ripreso, pari pari, da una relazione del comitato centrale del Pci. «Niccolai raccontò al “Corriere della Sera” la beffarda verità, e Fini lo cacciò perché all’epoca aveva orrore delle contaminazioni con la sinistra». Ma il suo scopo non era goliardico, assicura Veneziani: non voleva prendere in giro il suo partito, ma dimostrare che i pregiudizi ideologici impediscono convergenze su temi condivisi. «Era un marziano allora, figuratevi ora. Ad avercene…».«Ricordo una sera a Pisa, in una scalcagnata 500 guidata da un militante di Cecina, Altero Matteoli, divenuto poi ministro. Nel sedile posteriore, in condizioni disumane, sedevano attorcigliati Niccolai e Tatarella; benché ragazzo, mi avevano lasciato il posto davanti, come si usa per cavalleria con le donne, i disabili e gli intellettuali». Così lo scrittore, filosofo e politologo Marcello Veneziani ricorda Giuseppe Niccolai, esponente “eretico” del Msi, di cui a Pisa – sua città natale – la sinistra e l’Anpi ha appena contestato la memoria, dopo che il Comune, a trent’anni dalla sua morte, gli ha intitolato un piazzale. Chi era Niccolai? «Un politico galantuomo, un missino eretico che sognava di ricucire la ferita storica tra fascisti e comunisti e combattere insieme contro la mafia e il potere, i potentati economici e la servitù americana». “Beppe”, lo ricorda Veneziani, «fu un limpido marziano che visse nell’era ideologica integrale, il Novecento, assorbendo le sue passioni ma non i suoi livori». Quella volta a Pisa, Veneziani lo incontrò perché era in possesso di appunti inediti di Berto Ricci, altro «fascista eretico dalla mente lucida e il cuore puro», che poi furono pubblicati con la prefazione di Indro Montanelli. Sceso da quella Cinquecento, «Niccolai maneggiava i quaderni di Ricci con religiosa devozione».