Archivio del Tag ‘Nato’
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Nuova era, le bombe della Nato piegano Tripoli
Si consuma una grande tragedia, in queste ore, sulle altre sponde del nostro mare, tra Tripoli e Gaza. Sono le avvisaglie di un dramma e di un disordine più vasto, che arriverà addosso anche a milioni di cittadini europei inconsapevoli. In Libia, le notizie provengono in prevalenza dalla Nato, nel suo ruolo di armata coloniale. È una fonte interessata, ed è una fonte che finora è stata smaccatamente inattendibile. Pur scontate le sue menzogne, la spallata contro Tripoli registra un successo militare reale, perfino mettendo da parte le notizie esagerate sulle folle festanti. C’è morte e distruzione e c’è la fine di uno stato sovrano.
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Sfrattare Gheddafi? Non ancora: è l’alibi perfetto per il caos
Contrariamente a una «diffusa leggenda», non sono tanto i ribelli che combattono contro l’esercito libico e i suoi riservisti, quanto semmai la Nato. «Lo schema è ormai ben rodato: gli elicotteri Apache investono una località mitragliando tutto ciò che si muove, la popolazione fugge e l’esercito si ritira. I “ribelli” invadono allora la città, alzano la bandiera monarchica davanti alle telecamere della Cnn e poi saccheggiano le case abbandonate. Ma appena la Nato si ritira, l’esercito libico ritorna e i “ribelli” scappano, lasciandosi alle spalle una città devastata». Ogni giorno il Consiglio nazionale di Bengasi afferma di aver preso una città che perde il giorno successivo: Zwaya e Brega, le raffinerie e la stessa Misurata, di cui i “ribelli” non avrebbero tuttora il pieno controllo.
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Cia e Wikileaks: nuova Gladio per piegare la Norvegia?
False flag, depistaggio: mentre i media inquadrano gli occhi gelidi del “mostro” Breivik, il “killer solitario” di Oslo e Utøya, si sospetta che sull’isola della strage i macellai armati fossero almeno due, e nient’affatto isolati. La polizia norvegese è costretta a fare i conti con una struttura denominata “Simas”, creata dall’intelligence Usa reclutando agenti in congedo, un po’ come la Gladio italiana. La bomba nel centro di Oslo? E’ esplosa 48 dopo una strana esercitazione “antiterrorismo”. E Washington aveva messo la Norvegia in cima a una lista nera, da quando la piccola democrazia scandinava aveva annunciato il ritiro dalla Libia. Prima ancora, la Norvegia aveva rifiutato di enfatizzare l’allarme “Al-Qaeda”, irritando americani e inglesi. Fino ai sinistri avvertimenti di Wikileaks: la Norvegia sottovaluta il terrorismo. Vuoi vedere che prima o poi sarà costretta a cambiare idea?
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La Nato si avvicina al “tesoro” di Gheddafi, ormai in fuga
Muhammar Gheddafi in fuga nel deserto? La voce si rincorre con sempre maggiore insistenza dal 1° maggio, quando la Nato bombardò pesantemente la sua residenza-bunker di Tripoli, uccidendo – pare – il figlio Saif al Arab e tre nipoti del Colonnello. Come già nel 1986, quando sfuggì per un soffio alle bombe di Ronald Reagan perché avvisato all’ultimo minuto dai servizi segreti italiani su ordine del premier Bettino Craxi, sembra che anche stavolta Gheddafi sia uscito incolume dall’attentato grazie a sofisticate attrezzature tecnologiche fornite alla Libia da «un’ambasciata straniera», scrive “La Stampa”. Truppe del regime intanto in rotta anche a Misurata: l’Occidente si avvicina così al “tesoro” libico, sterminati giacimenti di greggio e di gas, nonché un’ingente riserva di denaro, miliardi di dollari.
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Libia, rischiamo una guerra mondiale con Cina e Russia
Attenti: stiamo giocando col fuoco. Che ci fa la Nato in Africa? Qualcuno crede davvero che l’Occidente spenda tutti quei soldi in bombe e portaerei perché è interessato alla libertà dei popoli oppressi, come quello libico? E perché allora non interviene anche in Bahrein o in Arabia Saudita, dove dominano regimi altrettanto dispotici? La posta in gioco è il petrolio? Non solo. L’aspetto più pericoloso è un altro: attaccando Libia e Siria, gli Usa in declino, che tra cinque anni saranno sorpassati dall’economia cinese, stanno cercando di sfrattare dal Mediterraneo la Cina e la Russia. Rischiamo seriamente un’escalation anche nucleare, che può portare alla Terza Guerra Mondiale. A dirlo non è Wikileaks, ma il professor Paul Craig Roberts, già braccio destro di Ronald Reagan.
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Misurata come Sarajevo, due reporter caduti sul campo
Misurata come Sarajevo: le forze di Gheddafi sparano a casaccio sulle case e seminano strage, uccidendo anche giornalisti e fotoreporter. Le ultime due vittime sono l’inglese Tim Hetherington e l’americano Chris Hondros, caduti sul campo il 20 aprile, sotto il colpi dell’artiglieria che da settimane sta terrorizzando la terza città libica stretta nella morsa dell’assedio. Unico collegamento col resto del mondo, il porto: le imbarcazioni dei ribelli, cariche di aiuti, sono protette dalla marina militare della Nato che presidia il golfo. Inefficace invece la copertura aerea: i tank del regime sono penetrati in città, rendendo impossibile sganciare bombe senza fare vittime civili.
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Terrore a Misurata: ribelli a mani nude contro i tank
Una città allo stremo, assediata e terrorizzata da cecchini, carri armati e cannonate, con migliaia di lavoratori stranieri intrappolati al porto e nessuno che intervenga a salvarli. E’ il dramma di Misurata, terza città della Libia, unico caposaldo dell’ovest del paese ancora in mano ai ribelli: che sono pochi e male armati, spesso solo di bombe molotov, con cui sperano di fermare i tank di Gheddafi già penetrati nei quartieri centrali, al riparo dai raid aerei che non li colpiscono per paura di far strage di civili. E’ il drammatico racconto del fotogiornalista Alfredo Bini, che è riuscito a raggiungere Misurata: «La situazione è drammatica e l’impatto sulla popolazione civile è difficile da descrivere».
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Frattini: verso il cessate il fuoco e l’esilio del Colonnello
Primo, il cessate il fuoco. Poi un corridoio umanitario, con la partecipazione della Turchia. E infine, grazie anche alla mediazione dell’Unione Africana, l’esilio per Gheddafi: la comunità internazionale lo ha messo all’indice, non può più pensare di restare al potere, anche nel caso – improbabilissimo – che riuscisse a resistere agli insorti, che grazie ai raid aerei della coalizione autorizzata dall’Onu hanno riconquistato Ajdabiya e Brega e ora marciano verso Sirte, dopo aver impedito la caduta di Misurata. Sono queste le linee-guida della “exit strategy” che l’Italia spera di presentare insieme alla Germania per tentare di metter fine rapidamente alla guerra civile in Libia.
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Libia, nessuna trattativa con Gheddafi: guerra lunga
Soluzione diplomatica per metter fine alla guerra civile in Libia? A una sola condizione: che Gheddafi sparisca. Nessuna trattativa finché il Colonnello è ancora al potere: lo dicono esplicitamente gli insorti. Si potrà negoziare una riconciliazione con l’esercito, i clan e le milizie di Tripoli, ma non con il raìs. Su questo punto convergono tutte le voci dal 25 marzo, quando la Nato ha deciso di assumere il controllo delle operazioni Onu: la «via diplomatica» evocata da Sarkozy e Cameron, “imbrigliati” dall’Alleanza Atlantica, non prevede di rispondere ai messaggi che Gheddafi sta lanciando: l’ultimo “no” è arrivato da Addis Abeba, alla riunione d’emergenza dell’Unione Africana. E la guerra si prolunga: almeno 3 mesi, secondo la Nato. Sul campo, finora, quasi 10.000 morti. Col rischio di 250.000 persone in fuga.
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Francia e Italia fanno sbandare la coalizione anti-Gheddafi
«Sono addolorato per Gheddafi», dice Berlusconi da Torino la sera del terzo giorno di “guerra umanitaria” in Libia, mentre il ministro Frattini gela l’attivismo bellico del collega La Russa, minacciosamente criticato da Bossi: l’Italia è pronta a revocare l’uso delle proprie basi se la Francia non si rassegna a sottostare al comando unificato della Nato. In mezzo al guado Barack Obama, mentre la Norvegia diserta dalla coalizione (troppo franco-inglese) e la Turchia, fino a ieri sulla linea tedesca dell’astensione, si esprime a favore della guida atlantica, che invece secondo i francesi spaventerebbe la Lega Araba già traballante nel suo appoggio. In quattro giorni, la coalizione anti-Gheddafi rischia la crisi. E il dittatore, riferiscono le agenzie, ne approfitta per massacrare Misurata.
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Libia, anche l’Italia firma l’ultimatum di guerra
Sette basi militari a disposizione, insieme ai velivoli tricolori in partenza per i cieli libici: intercettori Eurofighter, caccia F-16 e bombardieri Tornado. Missione: contribuire alla “no-fly zone” per impedire a Gheddafi di continuare a bombardare gli insorti e la popolazione che li sostiene. Di fatto: neutralizzare basi libiche, contraerea, radar e difesa missilistica. Sono le regole d’ingaggio della “guerra dell’Onu”, ultimatum scattato con l’ok del Consiglio di Sicurezza su pressione di Francia e Inghilterra – un passo indietro gli Usa, astenuta la Germania. Decisivo il silenzio-assenso di Russia e Cina, che hanno rinunciato al loro potere di veto aprendo la strada alla fine del regime di Gheddafi: un esito sul quale mette la propria firma anche l’Italia, “portaerei del Mediterraneo” e scomoda dirimpettaia del Colonnello, fino a ieri super-fornitore, grande amico e socio in affari.
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La Russia gela la riscossa travolgente di Gheddafi
Anche la Russia chiude le porte a Gheddafi: il presidente Medvedev annuncia che il Colonnello e i suoi familiari non potranno mettere più piede a Mosca e neppure condurvi operazioni finanziarie. L’annuncio del presidente russo arriva il 14 marzo, proprio mentre la travolgente controffensiva delle forze del raìs ha colto di sorpresa non solo gli insorti ma anche la diplomazia occidentale, che ancora si attarda a verificare la possibilià di una “no fly zone” che fra pochi giorni potrebbe rivelarsi ormai inutile, se gli insorti dovessero capitolare sul piano militare dopo l’ultima disperata resistenza che si va apprestando fra Brega e Bengasi, ad Adjabiya.