Archivio del Tag ‘Nato’
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Craig Roberts: gli uomini di Trump già si piegano al potere
«Uno dei motivi per cui la Russia ha salvato la Siria dai rovesci che voleva Washington è stato che la Russia ha compreso che il prossimo obiettivo di Washington sarebbe stato l’Iran; e che un terrorismo, sconfitto in Iran, si sarebbe spostato nella vicina Federazione Russa». Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan, lancia un allarme sulla demenziale propaganda anti-russa alla quale gli uomini di Trump si stanno piegando, forse anche solo in chiave tattica, per tranquilizzare la Cia e il Congresso, rassicurando l’establihsment sulla immutata vocazione “imperiale” della Casa Bianca. E’ comunque un errore grave, per Craig Roberts, quello commesso da Rex Tillerson e James Mattis: «Se il presidente della Exxon e un generale non sono in grado di tener testa a un Congresso imbecille, vuol dire che non sono adatti al compito che gli hanno assegnato». L’America non può scherzare col fuoco, perché «c’è un asse tra i paesi minacciati dagli Stati Uniti con il sostegno dato al terrorismo: Siria, Iran, Russia, Cina». Trump dice che vuole normalizzare le relazioni con la Russia, aprendo opportunità di business anziché conflitti? «Ma per normalizzare le relazioni con la Russia si devono anche normalizzazione i rapporti con l’Iran e con la Cina».A giudicare dalle dichiarazioni pubbliche, scrive Craig Roberts in un intervento su “Information Clearing House” che Bosque Primario ha tradotto per “Come Don Chisciotte”, il governo annunciato di Trump ha preso di mira l’Iran come paese da destabilizzare. «Tutti gli uomini nominati da Trump – il consigliere per la sicurezza nazionale, il segretario della difesa e il direttore della Cia – considerano l’Iran, in modo non corretto, uno Stato terrorista che deve essere rovesciato». Ma la Russia, aggiunge Craig Roberts, «non può permettere a Washington di rovesciare il governo di un Iran stabile, e non lo permetterà». E gli investimenti della Cina sul petrolio iraniano «portano alla conclusione che nemmeno la Cina permetterà un rovesciamento dell’Iran da parte di Washington». La Cina, ricorda Craig Roberts, ha già sofferto per i suoi investimenti persi nel petrolio libico, «come risultato del rovesciamento del governo libico fatto dal regime di Obama». Realisticamente parlando, quindi, «sembra che la presidenza Trump risulti già sconfitta dai suoi stessi uomini, indipendentemente dalla ridicola e incredibile propaganda mandata in giro dalla Cia e ritrasmessa da tutti i media negli Usa, nel Regno Unito e nel resto d’Europa».La “Reuters” riferisce che truppe americane composte da 2.700 soldati e da carri armati si stanno muovendo dalla Polonia verso il confine con la Russia. Il colonnello Christopher Norrie, comandante del 3° Armoured Brigade Combat Team, ha dichiarato: «L’obiettivo principale della nostra missione è deterrenza e prevenzione delle minacce». Una grossolana e pericolosa provocazione: l’Urss di Stalin fu colta di sorpresa ma seppe respingere il più grande esercito d’Europa, quello di Hitler, mentre «la Russia di Putin è pronta». Aggiunge Craig Roberts: «E’ incredibile che l’esercito americano stia portando avanti una esercitazione tanto provocatoria e tanto in contraddizione con la futura politica del presidente entrante. I militari americani, la Cia, e le loro puttane dei media Usa stanno anti-democraticamente seguendo una propria agenda, indipendente della politica che vorrà fare il presidente eletto». Secondo il quotidiano israeliano “Haaretz”, agenti dell’intelligence Usa hanno chiesto al governo israeliano di non condividere nessuna informazione di intelligence con l’amministrazione Trump, perché Putin avrebbe mezzi per far “pressione” su Trump e Trump dovrebbe svelare informazioni sensibili a Russia e Iran.«Possiamo vedere come tutto il complesso si muova per sabotare tutta la politica militare e della security di Trump», aggiunge Craig Roberts. «Accuse continue hanno costretto Trump a dire che forse i russi sarebbero stati coinvolti in un attacco che non c’è mai stato, né da parte della Russia né da parte di nessun altro». Il segretario di Stato designato, Tillerson, «ha dovuto dichiarare che la Russia è una minaccia nel corso della sua udienza di conferma per poter essere confermato». Idem il candidato di Trump al ruolo di segretario della difesa, Mattis: «Ha dovuto dire nella sua udienza di conferma che gli Stati Uniti devono essere pronti a confrontarsi militarmente con la Russia». Solo “un osso” gettato alla Cia? «E’ chiaro che il Congresso degli Stati Uniti è in balia dei soldi che vengono dalle donazioni del complesso militare e della security», da qui “l’obbligo” di decretare Russia “una minaccia”. Male: «L’establishment che domina gli Usa sta facendo perdere la speranza e sta mettendo dei dubbi nello stesso governo russo». Ma, si domanda Craig Roberts, dov’è finita la coscienza morale della sinistra “liberal”? «Per quale motivo questa sinistra liberale sta aiutando il complesso militare e la security pur di delegittimare Trump e di incastrarlo in modo che la sua agenda sia già morta in partenza e che la guerra termonucleare rimanga comunque una possibilità?».In altre parole: Trump è già finito? «Stiamo già perdendo fiducia, se non (ancora) in lui, in quelli che ha scelto per comporre il suo governo, ancora prima che si insedi ufficialmente». Gravissime, per Craig Roberts, le dichiarazioni di Tillerson, futuro ministro degli esteri, sulla Cina, identiche a quelle rese, a suo tempo, da Hillary Clinton, quando dichiarava che il Mar Cinese Meridionale è una zona di dominio degli Stati Uniti. Nella sua audizione di conferma, Rex Tillerson ha detto che l’accesso della Cina al proprio Mar Cinese Meridionale non sarà permesso: «Dobbiamo mandare alla Cina un chiaro segnale che, per prima cosa, devono fermare le loro costruzioni sulle isole e poi che nemmeno l’accesso a quelle isole sarà tollerato», ha detto. La risposta della Cina? Immediata, e a tono: «Tillerson – ha replicato il governo cinese – non dovrebbe essere indotto a pensare che Pechino avrà paura delle sue minacce. Se la diplomazia di Trump continuerà a mantenere i futuri rapporti tra gli Stati Uniti e la Cina a livello attuale, sarà meglio che le due parti si preparino a uno scontro militare». Nel qual caso, «Tillerson farebbe meglio a cercare di capire cosa significhi strategia nucleare, se vuol provare a far ritirare una grande potenza nucleare dai propri territori».Così, scrive Craig Roberts, Trump non è nemmeno arrivato al suo insediamento che «un idiota che ha nominato segretario di Stato ha già creato un rapporto di animosità con due potenze nucleari capaci di distruggere completamente tutto l’Occidente per l’eternità». Forse, conclude l’analista statunitense, queste dichiarazioni non sono altro che fumo negli occhi: enunciano azioni che non saranno messe in atto. Ma perché piegarsi al Congresso, rinunciando completamente alle proprie idee, se diverse da quelle esposte? «Il fatto che non sappiano stare in piedi da soli – dice Craig Roberts degli uomini scelti dal neopresidente – è una chiara indicazione che non hanno quella forza di cui Trump ha bisogno, se vuole imporre un cambiamento dall’alto». E il pericolo è reale: «Se Trump non sarà in grado di cambiare la politica estera americana, una guerra termonucleare e la distruzione della Terra sono inevitabili».«Uno dei motivi per cui la Russia ha salvato la Siria dai rovesci che voleva Washington è stato che la Russia ha compreso che il prossimo obiettivo di Washington sarebbe stato l’Iran; e che un terrorismo, sconfitto in Iran, si sarebbe spostato nella vicina Federazione Russa». Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan, lancia un allarme sulla demenziale propaganda anti-russa alla quale gli uomini di Trump si stanno piegando, forse anche solo in chiave tattica, per tranquillizzare la Cia e il Congresso, rassicurando l’establihsment sulla immutata vocazione “imperiale” della Casa Bianca. E’ comunque un errore grave, per Craig Roberts, quello commesso da Rex Tillerson e James Mattis: «Se il presidente della Exxon e un generale non sono in grado di tener testa a un Congresso imbecille, vuol dire che non sono adatti al compito che gli hanno assegnato». L’America non può scherzare col fuoco, perché «c’è un asse tra i paesi minacciati dagli Stati Uniti con il sostegno dato al terrorismo: Siria, Iran, Russia, Cina». Trump dice che vuole normalizzare le relazioni con la Russia, aprendo opportunità di business anziché conflitti? «Ma per normalizzare le relazioni con la Russia si devono anche normalizzazione i rapporti con l’Iran e con la Cina».
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Magaldi: gli Occhionero bruciati per imporre 007 infedeli?
Lo scandalo della cyber-security con l’arresto dei fratelli Occhionero? Fatto scoppiare ad arte, per imporre un nuovo super-controllore gradito a Renzi (e all’ultra-destra massonica cui il leader Pd guarderebbe) ma sgradito agli ambienti della massoneria internazionale progressista. E’ la tesi, dirompente, enunciata dal massone Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014 ma completamente oscurato dai grandi media, nonostante rivelasse – in modo del tutto inedito – i più segreti retroscena del “back office” del potere, consentendo una clamorosa rilettura dell’intera storia del ‘900, inclusa quella italiana, mettendo in luce il ruolo del “convitato di pietra”, la massoneria, nella sua versione apolide, quella delle 36 Ur-Lodges che reggerebbero i grandi giochi mondiali. «Ho più volte offerto di esibire prove concrete, un dossier di 6.000 pagine – protesta Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio” – ma nessuno si è finora azzardato a smentirmi». Contro la “congiura del silenzio”, Magaldi ora interviene anche sull’ultimo caso di cronaca, quello dei fratelli Occhionero, indicando una regia interamente massonica dietro alla vicenda. Nomi eccellenti? Mario Draghi, Marco Carrai, Anna Maria Tarantola, Mario Monti. E l’onnipresente, ma invisibile, Michael Ledeen.«Giulio e Francesca Romana Occhionero hanno agito in piena sintonia e reciproca consapevolezza di quello che ciascuno faceva», dichiara Magaldi ad “Affari Italiani”. I due «sono stati coperti e protetti, per anni, accumulando molti dati sensibili a favore di chi li proteggeva e ispirava». Avrebbero accumulato, per conto terzi, «una mole infinitamente più grande di dati rispetto a quella sinora scoperta dagli investigatori». Per Magaldi, Giulio Occhionero «ambiva a far parte di una specifica Ur-Lodge», una superloggia sovranazionale, la “White Eagle”, «operante principalmente tra Usa, Regno Unito, Malta e il Medio Oriente». Della “White Eagle”, dice ancora Magaldi, fa parte Ledeen, il politologo statunitense la cui storia si è intrecciata più volte con quella italiana, anche sul caso Moro. Un altro studioso di formazione massonica, Gianfranco Carpeoro, nel libro “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione-UnoEditori) collega Ledeen anche a Licio Gelli e all’omicidio del leader socialista svedese Olof Palme, attribuendo a Ledeen anche la militanza nel B’nai B’rith, la super-massoneria israeliana controllata dal Mossad. Ma che c’entra, tutto questo, con il caso dei due italiani accusati di cyber-spionaggio?«Al fratello Occhionero – spiega Magaldi, sempre intervistato da “Affari Italiani” – stava stretta l’appartenenza ad una loggia, la “Paolo Ungari-Nicola Ricciotti Pensiero e Azione” all’Oriente di Roma, che fa parte di una obbedienza ordinaria e nazionale come il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani». Per Magaldi, il Goi sarebbe «una di quelle entità massoniche ormai in stato di declino e di relativa marginalità, rispetto a quei circuiti delle superlogge che ho iniziato a descrivere nel libro “Massoni”», di cui sta per uscire il sequel, intitolato “Globalizzazione e Massoneria”. In realtà, aggiunge Magaldi, Giulio Occhionero e la sorella Francesca Romana «coltivavano l’ambizione di essere ammessi a una specifica superloggia sovranazionale, la “White Eagle”». Per questo, «hanno agito su commissione di personaggi collegati come affiliati o come ‘compagni di strada/aspiranti affiliati’ di questa Ur-Lodge». Chiarisce Magaldi: «La massoneria sempre meno rilevante del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani c’entra poco, con questa intricata vicenda». Lo “spionaggio” ai danni di alcuni dignitari del Goi «era soprattutto un’esigenza personalistica di Giulio Occhionero, qualcosa di irrilevante per i suoi mandanti in ‘super-grembiulino’».Diverso invece il caso della “sorveglianza” del gran maestro del Goi, Stefano Bisi, che per Magaldi «va ricondotta allo spionaggio sul fratello Mario Draghi (mi dicono avvenuta anche su altre utenze rispetto a quelle sin qui individuate dagli investigatori), di cui Bisi è in qualche modo un servizievole esecutore per questioni massoniche di natura locale». Servizievole esecutore? Magaldi afferma che il ruolo di Bisi risale «ai tempi del ‘groviglio armonioso’ legato al Monte dei Paschi di Siena, allorché Draghi, come governatore di Bankitalia, non vigilò adeguatamente su alcune condotte del management della banca senese». E Bisi, come massone e giornalista (caporedattore e poi vicedirettore del “Corriere di Siena”, testata influente nella città toscana, «aveva le mani in pasta in diverse questioni Mps, ispirando la sua azione di concerto con il fratello Draghi e con la sorella libera muratrice Anna Maria Tarantola, capo della Vigilanza di Bankitalia, la quale, in virtù della sua clamorosa ‘mancata vigilanza’ sulle questioni più scabrose in capo a Mps, fu premiata dal massone Mario Monti con la nomina a presidente Rai nel 2012».Ma se questi sono piccoli risvolti italiani, continua Magaldi, «la massoneria che invece c’entra molto, con tutto questo affaire del cyber-spionaggio imputato ai fratelli Occhionero, è quella della Ur-Lodge sovranazionale neoaristocratica “White Eagle”». Chi potrebbe essere il committente del cyberspionaggio? «Se dal nome della superloggia sovranazionale coinvolta andiamo nel particolare dei personaggi che hanno fatto da tramite con Giulio e Francesca Romana Occhionero, la questione si fa clamorosa», sostiene Magaldi. Che aggiunge: «Uno dei personaggi che consiglio agli inquirenti di ascoltare con attenzione su questa vicenda è il massone conservatore e reazionario Micheal Ledeen, appunto affiliato di peso alla “White Eagle”». Un altro personaggio che secondo Magaldi «varrebbe la pena sentire come ‘persona informata dei fatti’ è Marco Carrai, wannabe supermassone, con specifica propensione proprio verso la “White Eagle”, come il suo caro amico Matteo Renzi». Nel lessico libero-muratorio, il “wannabe” è colui che chiede di essere accolto, in questo caso in una superloggia internazionale.Quale potrebbe essere l’obiettivo di questa attività di spionaggio? «Qualcuno, per anni, ha raccolto e utilizzato le informazioni sensibili che i fratelli Occhionero gli hanno passato, coprendone e proteggendone in vario modo le attività», sostiene Magaldi, che svela l’identità delle sue fonti riservate: si tratta di «cari e fraterni amici in capo a importanti strutture di intelligence militare e civile di area euro-atlantica». Queste fonti, continua Magaldi, gli hanno rivelato che «da qualche tempo, Giulio e Francesca Romana Occhionero erano diventati ‘sacrificabili’ per ottenere, cinicamente, attraverso uno scandalo fatto scoppiare ad arte sulla loro vicenda, una ristrutturazione della cybersecurity italiana a livello nazionale». Una ristrutturazione che, «sin qui, non si era potuta realizzare», e che «avrebbe potuto portare al suo vertice una persona gradita a Matteo Renzi, ma sgradita a diversi ambienti massonico-progressisti dell’intelligence italiana e statunitense, con cui quella italiana tradizionalmente collabora in modo privilegiato».Lo stesso Magaldi ha più volte fatto riferimento alla “speciale protezione” di cui avrebbe goduto il nostro paese, specie negli ultimi anni, in cui l’opinione pubblica europea è stata scossa dai devastanti attentati che hanno colpito la Francia. E nel suo libro, Magaldi sottolinea il ruolo decisivo di un super-massone di altissimo rango, come il sociologo Arthur Schlesinger Jr., collaboratore strategico della Casa Bianca, cui l’autore attribuisce un ruolo-chiave, negli anni ‘60 e ‘70, nel tentativo (riuscito) di sventare i tre diversi colpi di Stato che avrebbero posto fine alla democrazia italiana. Anche per questo, probabilmente, Magaldi invita a non sottovalutare i possibili retroscena del cyber-spionaggio, settore delicatissimo da cui dipende, davvero, la sicurezza nazionale, specie in tempi come questi, gremiti di sanguinosi attentati palesemente “inquinati” da settori deviati dell’intelligence. Attraverso i suoi contatti con i «circuiti liberomuratori progressisti sovranazionali», Gioele Magaldi dichiara di impegnarsi a vigilare «affinché nessuno strumentalizzi questo scandalo per far conferire ad ‘amici degli amici’ incarichi tali da mettere in pericolo proprio quella sicurezza nazionale informatica italiana che si pretenderebbe di voler tutelare».Lo scandalo della cyber-security con l’arresto dei fratelli Occhionero? Fatto scoppiare ad arte, per imporre un nuovo super-controllore gradito a Renzi (e all’ultra-destra massonica cui il leader Pd guarderebbe) ma sgradito agli ambienti della massoneria internazionale progressista. E’ la tesi, dirompente, enunciata dal massone Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014 ma completamente oscurato dai grandi media, nonostante rivelasse – in modo del tutto inedito – i più segreti retroscena del “back office” del potere, consentendo una clamorosa rilettura dell’intera storia del ‘900, inclusa quella italiana, mettendo in luce il ruolo del “convitato di pietra”, la massoneria, nella sua versione apolide, quella delle 36 Ur-Lodges che reggerebbero i grandi giochi mondiali. «Ho più volte offerto di esibire prove concrete, un dossier di 6.000 pagine – protesta Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio” – ma nessuno si è finora azzardato a smentirmi». Contro la “congiura del silenzio”, Magaldi ora interviene anche sull’ultimo caso di cronaca, quello dei fratelli Occhionero, indicando una regia interamente massonica dietro alla vicenda. Nomi eccellenti? Mario Draghi, Marco Carrai, Anna Maria Tarantola, Mario Monti. E l’onnipresente, ma invisibile, Michael Ledeen.
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Oliver Stone: prego che questa America non attacchi Mosca
«Non avrei mai pensato che mi sarei trovato a pregare per il livello ragionevolezza di un Donald Trump. Ricordate “L’Iliade”? Secondo Omero gli dèi si libravano sopra le battaglie di ogni giorno e ne decidevano il risultato. Chi sarebbe morto e chi sarebbe vissuto. Gli dèi sono ancora in ascolto?». Così il regista Oliver Stone, letteralmente terrorizzato dall’escalation militare in corso contro la Russia, «un paese che crede che in questo momento gli Stati Uniti, con il più grande schieramento della Nato ai suoi confini dalla Seconda Guerra Mondiale di Hitler, siano abbastanza folli da preparare un attacco preventivo». Nessuno ne parla, sui grandi media, ma è così: pur già con le valigie in mano, Obama ha dato il via libera alla colossale operazione “Atlantic Resolve”, con oltre 5.000 mezzi corazzati in azione per 9 mesi sul confine russo-lituano. Silenzio assoluto anche in Italia: se Mentana denuncia Grillo per l’accusa di alimentare “fake news”, Giulietto Chiesa li rimbecca, su “Megachip”: «Questa dovrebbe essere una notizia di apertura anche per il telegiornale di Mentana. E anche per il blog di Grillo. Tacciono invece entrambi».Dagli Usa, Oliver Stone riversa su Facebook la sua angoscia: l’ormai decadente “New York Times” degenera nell’impostazione del “Washington Post” «con la sua ristagnante visione da Guerra Fredda di un mondo degli anni ’50 dove ai russsi viene data la colpa di tutto – la sconfitta di Hillary, la maggior parte delle aggressioni e dei disordini nel mondo, la volontà di destabilizzare l’Europa». In più, il “Times” «ha aggiunto la questione delle “fake news” per riaffermare il suo discutibile ruolo di voce dominante dell’establishment di Washington», cavalcando la polemica sull’ipotetico hackeraggio da parte della Russia nelle elezioni presidenziali vinte da Trump. Nel post, tradotto da “Come Don Chisciotte”, il regista cita la Cia e l’Fbi, la Nsa e il direttore della National Intelligence, James Clapper, un uomo che «come si sa, mentì al Congresso a riguardo dell’affare Snowden». Tutti in coro: Obama e la Dnc, Hillary Clinton e il Parlamento: colpa di Putin. E a fianco di questi «patrioti», aggiunge Stone, spicca in particolare il senatore John McCain, «psicotico, amante della guerra», che definisce Putin come «un delinquente, un bullo e un assassino», finendo sulla prima pagina del “Times”.«Non ricordo che i presidenti Eisenhower, Nixon o Reagan, nei periodi più neri degli anni 50/80, si siano mai riferiti ad un presidente russo in questo modo», scrive Stone. «Le invettive venivano rivolte al regime sovietico ma non erano mai Khrushchev o Brezhnev il bersaglio della loro bile. La mia ipotesi è che questa sia una nuova forma di diplomazia da parte dell’America. Se un giovane nero viene ucciso nelle nostre città od i partecipanti ad un banchetto di nozze in Pakistan vengono sterminati dai nostri droni Obama viene additato come assassino, bullo, delinquente?». I grandi giornali che ora crocifiggono Putin sono gli stessi che hanno taciuto sulle scandalose irregolarità emerse sulla Clinton, grazie all’ex ambasciatore Craig Murray, ora portavoce di Wikileaks. «Se su questo si fosse indagato correttamente si sarebbe benissimo potuti arrivare a scoprire che per Hillary Clinton questo era il “Nixon moment”». Sembra di essere tornati negli anni ‘50, «quando si supponeva che i russi fossero nelle nostre scuole, al Congresso, al Dipartimento di Stato – in sintonia con molti supporter di Eisenower/Nixon – per impadronirsi del nostro paese senza incontrare una seria opposizione». Salvo poi «sostenere la nostra necessità di andare in Vietnam per difendere la nostra libertà contro i comunisti, a 10.000 chilometri di distanza».E dopo che il Terrore Rosso finalmente se ne fu andato una volta per tutte nel 1991, continua Stone, vediamo che non è mai finita: «Il Terrore è diventato Saddam Hussein in Iraq con i suoi missili di distruzione di massa, il “fungo atomico”. E’ diventato il Demone, reale tanto quanto ogni Processo alle Streghe di Salem. E’ stato Gheddafi in Libia e poi è stato Assad in Siria. In altre parole, come in una profezia orwelliana, non è mai finita. E vi posso garantire che non si riderà mai loro in faccia – a meno che noi cittadini, ancora capaci di un pensiero autonomo nelle faccende esistenziali, diciamo “basta” a questo agire demoniaco: “Ne abbiamo abbastanza, fuori dai piedi”». Inutile sperare nel riveglio dei media. «Mio Dio, il fantasma di Izzy Stone è tornato dagli anni ’50! D’altronde lo è anche Tom Clancy dagli anni ’80. Falsi thriller verranno scritti sull’hackeraggio dei russi nelle elezioni americane. Si faranno soldi e serial Tv. Non avevo mai letto simile spazzatura isterica sul “New York Times” (chiamiamola per quello che è, “fake news”) in cui gli editoriali sono diventati diatribe oltraggiose sui presunti crimini da parte della Russia, la maggior parte dei quali presumibilmente scritti da Serge Schmemann, uno di quegli ideologi che ancora la notte guarda se ci sono russi sotto il suo letto; erano chiamati ai vecchi tempi “russi bianchi” e, come i cubani di destra a Miami, non sono capaci di accantonare il passato».Questo tipo di pensiero, agiunge Stone, ha chiaramente influenzato il Pentagono e molte delle affermazioni di generali Usa, e ha pervaso i report di quello che che il regista chiama “Msm”, sistema del mainstream media. «Quando un gruppo di pensiero controlla la nostra comunicazione nazionale, diventa veramente pericoloso. In questo spirito, io sto linkando numerosi saggi cruciali della nuova annata, sottolineando la vergogna che è diventato il Msm». Oliver Stone non ama Trump e vede che è bersaglio numero uno, insieme a Putin, del sistema mainstream. E teme che lo resterà «fino a quando non salterà sul binario anti-Cremlino grazie a qualche tipo di falsa informazione o incomprensione cucinate dalla Cia». A quel punto, «col suo modo impulsivo di fare, inizierà a combattere con i russi, e non passerà molto tempo prima che venga dichiarato lo stato di guerra contro la Russia». Basterebbe leggere Robert Parry, secondo cui i neocon hanno fabbricato il nuovo “nemico” a partire dal 1980, con lo spettro del terrorismo “islamico” attribuito all’Iran. «Come questo abbia portato al nostro disordine attuale è una brillante analisi che è sconosciuta al pubblico americano». A parte gli dèi dell’Olimpo, per trovare appigli, Oliver Stone non ha che il Dalai Lama: «Ognuno di noi, anche attraverso le nostre preghiere, può contribuire al miglioramento di questo mondo». Troppi missili, in giro: non ci resta che pregare?«Non avrei mai pensato che mi sarei trovato a pregare per il livello ragionevolezza di un Donald Trump. Ricordate “L’Iliade”? Secondo Omero gli dèi si libravano sopra le battaglie di ogni giorno e ne decidevano il risultato. Chi sarebbe morto e chi sarebbe vissuto. Gli dèi sono ancora in ascolto?». Così il regista Oliver Stone, letteralmente terrorizzato dall’escalation militare in corso contro la Russia, «un paese che crede che in questo momento gli Stati Uniti, con il più grande schieramento della Nato ai suoi confini dalla Seconda Guerra Mondiale di Hitler, siano abbastanza folli da preparare un attacco preventivo». Nessuno ne parla, sui grandi media, ma è così: pur già con le valigie in mano, Obama ha dato il via libera alla colossale operazione “Atlantic Resolve”, con oltre 5.000 mezzi corazzati in azione per 9 mesi sul confine russo-lituano. Silenzio assoluto anche in Italia: se Mentana denuncia Grillo per l’accusa di alimentare “fake news”, Giulietto Chiesa li rimbecca, su “Megachip”: «Questa dovrebbe essere una notizia di apertura anche per il telegiornale di Mentana. E anche per il blog di Grillo. Tacciono invece entrambi».
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Dietro i sorrisi di Obama, un’eredità di menzogne e di morte
Alla vigilia del passaggio di poteri alla Casa Bianca, il 2017 si apre con la strage terroristica in Turchia, due settimane dopo l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, compiuto il giorno prima dell’incontro a Mosca tra Russia, Iran e Turchia per un accordo politico sulla Siria. Incontro da cui erano esclusi gli Stati uniti. Impegnati, negli ultimi giorni dell’amministrazione Obama, a creare la massima tensione possibile con la Russia, accusata addirittura di aver sovvertito, con i suoi “maligni” hacker e agenti segreti, l’esito delle elezioni presidenziali che avrebbe dovuto vincere Hillary Clinton. Ciò avrebbe assicurato la prosecuzione della strategia neocon, di cui la Clinton è stata artefice durante l’amministrazione Obama. Questa termina all’insegna del fallimento dei principali obiettivi strategici: la Russia, messa alle corde dalla nuova guerra fredda scatenata col putsch in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni, ha colto Washington di sorpresa intervenendo militarmente a sostegno di Damasco.Ciò ha impedito che lo Stato siriano fosse smantellato come quello libico e ha permesso alle forze governative di liberare vaste aree controllate per anni da Isis, Al Nusra e altri movimenti terroristici funzionali alla strategia Usa-Nato. Riforniti di armi, pagate con miliardi di dollari da Arabia Saudita e altre monarchie, attraverso una rete internazionale della Cia (documentata dal “New York Times” nel marzo 2013) che le faceva arrivare in Siria attraverso la Turchia, avamposto Nato nella regione. Ora però, di fronte all’evidente fallimento dell’operazione, costata centinaia di migliaia di morti, Ankara se ne tira fuori aprendo un negoziato con l’intento di ricavarne il massimo vantaggio possibile. A tal fine ricuce i rapporti con Mosca, che erano giunti al punto di rottura, e prende le distanze da Washington. Uno smacco per il presidente Obama. Questi, però, prima di passare il bastone di comando al neoeletto Trump, spara le ultime cartucce.Nascosta nelle pieghe dell’autorizzazione della spesa militare 2017, firmata dal presidente, c’è la legge per «contrastare la disinformazione e propaganda straniere», attribuite in particolare a Russia e Cina, la quale conferisce ulteriori poteri alla tentacolare comunità di intelligence, formata da 17 agenzie federali. Grazie anche a uno stanziamento di 19 miliardi di dollari per la “cybersicurezza”, esse possono mettere a tacere qualsiasi fonte di «false notizie», a insindacabile giudizio di un apposito “Centro” coadiuvato da analisti, giornalisti e altri «esperti» reclutati all’estero. Diviene realtà l’orwelliano Ministero della Verità che, preannuncia il presidente del parlamento europeo Martin Schultz, dovrebbe essere istituito anche dalla Ue.Escono potenziate dall’amministrazione Obama anche le forze speciali, che hanno esteso le loro operazioni coperte da 75 paesi nel 2010 a 135 nel 2015. Nei suoi atti conclusivi l’amministrazione Obama ha ribadito il 15 dicembre il proprio appoggio a Kiev, di cui arma e addestra le forze, compresi i battaglioni neonazisti, per combattere i russi di Ucraina. E il 20 dicembre, in funzione anti-russa, il Pentagono ha deciso la fornitura alla Polonia di missili da crociera a lungo raggio, con capacità penetranti anti-bunker, armabili anche di testate nucleari. Del democratico Barack Obama, Premio Nobel per la Pace, resta ai posteri il suo ultimo messaggio sullo Stato dell’Unione: «L’America è la più forte nazione sulla Terra. Spendiamo per il militare più di quanto spendono le successive otto nazioni combinate. Le nostre truppe costituiscono la migliore forza combattente nella storia del mondo».(Manlio Dinucci, “L’eredità del democratico Barack Obama”, da “Il Manifesto” del 3 gennaio 2017).Alla vigilia del passaggio di poteri alla Casa Bianca, il 2017 si apre con la strage terroristica in Turchia, due settimane dopo l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, compiuto il giorno prima dell’incontro a Mosca tra Russia, Iran e Turchia per un accordo politico sulla Siria. Incontro da cui erano esclusi gli Stati Uniti. Impegnati, negli ultimi giorni dell’amministrazione Obama, a creare la massima tensione possibile con la Russia, accusata addirittura di aver sovvertito, con i suoi “maligni” hacker e agenti segreti, l’esito delle elezioni presidenziali che avrebbe dovuto vincere Hillary Clinton. Ciò avrebbe assicurato la prosecuzione della strategia neocon, di cui la Clinton è stata artefice durante l’amministrazione Obama. Questa termina all’insegna del fallimento dei principali obiettivi strategici: la Russia, messa alle corde dalla nuova guerra fredda scatenata col putsch in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni, ha colto Washington di sorpresa intervenendo militarmente a sostegno di Damasco.
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Barnard: ci sveglieremo in altro pianeta, e nessuno ne parla
«Casaleggio vide lungo: voleva creare la società civile del click da casa, tutto si fa in casa sul divano, in rete», ma «era un principiante: Facebook-Vr sarà la più devastante paralisi civica dlla storia, un fenomeno che non sfiorò neppure i sogni del padre della paralisi civica programmata, Edward Bernays». Parola di Paolo Barnard, secondo cui il dilagare della cosiddetta realtà virtuale, da Zuckerberg a Oculus con i visori “Rift Headset”, ben fotografa i mutamenti epocali ormai dietro l’angolo: «Il mondo si sta letteralmente trasformando in un altro pianeta», mentre in Italia le news sono ancora firmate da Grillo e Formigoni, Mediaset-Vivendi, Gentiloni e Poletti. Il capo di stato maggiore dell’esercito britannico e il suo futuro omologo americano, scrive Barnard, stanno preparando gli eserciti alla guerra futura, che sarà “cyber”. Alla “Bbc” il generale Richard Barrons ha detto: «Non ci saranno più bombardieri e soldati, ma “cyber fighters”. La Russia di Putin ha fatto il primo passo, in questo, ed è avanti: hanno un milione di programmatori già affiliati a 40 reti illegali. Silicon Valley, Google e Nsa stanno arrancando dietro a Mosca».Le guerre, aggiunge il generale Barrons, saranno combattute «infiltrando le infrastrutture vitali di un paese avversario». Esempio: «Una notte le luci di tutta la Francia salteranno, e nel panico i francesi scopriranno che sono saltati anche i back-up, i server saranno tutti muti. Una potenza Nato messa in ginocchio in meno di un secondo, senza bombe». E che dire dell’energia? «Le rinnovabili uccideranno gli idrocarburi», scrive Barnard nel suo blog. «Questo lo si è capito ai massimi livelli in Usa, Cina, Arabia Saudita, ma soprattutto fra i colossi d’investimento. Chi segue “Carbon Tracker” si fa un’idea della furiosa corsa dei poteri mondiali per l’energia di domani, ma soprattutto del potenziale di conflitti mostruosi per la spartizione della torta. Tutti i paradigmi politici legati all’energia sono saltati, e l’energia è tutto. Miliardi di poveri del mondo rischiano di finire nelle mani degli investitori per accendere una lampadina, mille volte più di quanto non lo siano già oggi».Oltre ai conflitti “cyber”, poi, rimane l’atomica: «Se ci sarà conflitto nucleare sarà in due luoghi: il mar del Sud della Cina, dove gli Usa stanno tentando di tagliare le comunicazioni mercantili ed energetiche di Pechino; oppure nel Jammu-Kashmir, dove fra India e Pakistan la miccia atomica è letteralmente tutti i giorni a un centimetro dal fuoco», sostiene Barnard. Per non parlare della finanza: «Tutta Europa, e tutta la vita economica di ogni vivente oggi in Ue, è appesa al filo del “tapering” della Bce di Draghi. Il “tapering” è il momento certo e già annunciato nel quale la Bce finirà di tenere viva l’Europa comprandogli trilioni di euro di assets (statali e privati) che altrimenti nessuno vorrebbe o che avrebbero prezzi stracciati e tassi alle stelle». Il quantitative easing di Draghi «è oggi l’oggetto di discussione frenetica di tutti gli Ad di ogni singolo istituto finanziario del pianeta. C’è il totale panico, ed è panico vero», ma in Italia a tener banco sono solo la Raggi, Equitalia, i 104 indagati del Pd.Poche settimane fa, aggiunge Barnard, il più grande gruppo assicurativo del mondo, Ing, ha convocato un seminario con oltre 600 esperti mondiali sulla “glocalization”. Letteralmente, per Google: «Diffusione su scala mondiale, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, di elementi culturali, idee, stili di vita propri di realtà locali». Ma anche: «Strategia economica e politica volta a correggere gli aspetti più problematici della globalizzazione, sfruttandone le opportunità per valorizzare a livello mondiale il ruolo di governi, mercati o imprese locali». Per Wikipedia, il neologismo introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman significa: «Adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, così da studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti internazionali». E quindi: «La creazione o distribuzione di prodotti e servizi ideati per un mercato globale o internazionale, ma modificati in base alle leggi o alla cultura locale», nonché «l’uso di tecnologie di comunicazione elettronica, come Internet, per fornire servizi locali su base globale o internazionale. Craigslist e Meetup sono esempi di applicazioni web glocalizzate». E infine: «La creazione di strutture organizzative locali, che operano su culture e bisogni locali, al fine di diventare multinazionali o globali. Questo comportamento è stato seguito da varie aziende e corporation, ad esempio dall’Ibm».Per Barnard, «è il fenomeno inverso della vecchia globalizzazione e dell’“outsourcing” dei posti di lavoro verso paesi a manodopera per pochi centesimi (Cina, Thailandia, Messico, Bangladesh)». Domanda: perché la “glocalization” sta diventando un altro tema di fibrillazione dei colossi e delle think-tank del mondo occidentale? «Perché anche qui tutti i paradigmi della produzione industriale sono saltati: siamo in un incubo d’incognite su cosa accadrà nel processo di “glocalization” ai nostri impieghi, alle nostre economie. Un intero mondo è di nuovo saltato in frantumi nel cosmo». Da noi chi ne parla? Nessuno. «Oggi le parole di filosofia politica e morale più impressionanti escono dalla bocca di uomini come Ray Dalio, Ceo di Bridgewater, hedge fund “monster”. O da Bill Gross, l’ex Re Mida di Pimco, il più grande gestore di “fixed income” del mondo», investitori in azioni private e titoli di Stato. «Parlano di informazione, di moralità nell’economia, delle strutture sociali, del senso della morte persino, ma lo fanno però con la conoscenza degli strumenti dei padroni del mondo, cioè con la conoscenza del motore che fa vivere o morire 7 miliardi di umani. Questo fa una differenza incredibile». Perfettamente inutili, dice Barnard, «gli sproloqui di filosofi o intellettuali contemporanei», perché «non sanno nulla del motore che fa vivere o morire 7 miliardi di umani». Conclusione: tutto sta cambiando alla velocità della luce, e nessuno ce lo spiega.«Casaleggio vide lungo: voleva creare la società civile del click da casa, tutto si fa in casa sul divano, in rete», ma «era un principiante: Facebook-Vr sarà la più devastante paralisi civica dlla storia, un fenomeno che non sfiorò neppure i sogni del padre della paralisi civica programmata, Edward Bernays». Parola di Paolo Barnard, secondo cui il dilagare della cosiddetta realtà virtuale, da Zuckerberg a Oculus con i visori “Rift Headset”, ben fotografa i mutamenti epocali ormai dietro l’angolo: «Il mondo si sta letteralmente trasformando in un altro pianeta», mentre in Italia le news sono ancora firmate da Grillo e Formigoni, Mediaset-Vivendi, Gentiloni e Poletti. Il capo di stato maggiore dell’esercito britannico e il suo futuro omologo americano, scrive Barnard, stanno preparando gli eserciti alla guerra futura, che sarà “cyber”. Alla “Bbc” il generale Richard Barrons ha detto: «Non ci saranno più bombardieri e soldati, ma “cyber fighters”. La Russia di Putin ha fatto il primo passo, in questo, ed è avanti: hanno un milione di programmatori già affiliati a 40 reti illegali. Silicon Valley, Google e Nsa stanno arrancando dietro a Mosca».
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Chi ha ucciso Olof Palme? Un atto di guerra, contro tutti noi
«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.Ieri, prima di Al-Qaeda e dell’Isis, c’erano altre sigle in circolazione: Gladio, Stay Behind. Accusate di aver organizzato attentati come quello costato la vita all’uomo simbolo dell’Europa democratica e ostile alla guerra, Olof Palme. «Tell our friend the Swedish palm will be felled». Firmato: Licio Gelli. Messaggio ricevuto il 25 febbraio 1986 da Philip Guarino, esponente repubblicano Usa vicinissimo a George Bush senior e stretto collaboratore di Michael Ledeen, «storico e giornalista le cui vicende sono torbidamente intrecciate con l’intelligence americana», scrive Carpeoro. «Legatissimo alla Cia e appartenente alle logge massoniche di stretta emanazione Nato», negli anni ‘80 Ledeen è stato consulente strategico per i servizi statunitensi sotto Reagan e Bush. «Su posizioni neoconservatrici e reazionarie da sempre», Ledeen è stato consulente del Sismi quando il servizio era diretto dal generale Giuseppe Santovito, affiliato alla P2.Fu sponsor di Craxi e consulente di Cossiga, «per tutelare la Gladio», anche come “esperto” durante il sequestro Moro. Il faccendiere Francesco Pazienza ne indicò il ruolo anche nel depistaggio delle indagini sull’attentato a Wojtyla: fu lui, disse Pazienza, a “inventare” la fantomatica “pista bulgara”. Il nome di Ledeen, sostiene Carpeoro, è collegabile – tramite Licio Gelli – anche al giallo, tuttora irrisolto, della morte di Olof Palme, che segnò l’inizio della fine della grande stagione del benessere europeo. Nel profetico romanzo “Nel nome di Ishmael”, lo scrittore italiano Giuseppe Genna include l’assassinio di Palme tra gli oscuri misfatti della “Rete Ishmael”, dove gli omicidi eccellenti vengono sempre fatti precedere dalla raccapricciante uccisione – rituale – di un bambino, a scopro propriziatorio. E’ un mondo, quello di “Ishmael”, che ricorda sinistramente quello degli attentati di oggi, intrisi di simbologie: la data-cardine dell’epopea dei Templari ricorre nella strage del Bataclan, come il 14 luglio – la Presa della Bastiglia, cara alla massoneria illuminista – nella mattanza di Nizza.Olof Palme viene “abbattuto” il 27 febbraio: nell’anno 380 coincide con l’Editto di Tessalonica, in cui l’Impero Romano proclama religione di Stato il cristianesimo, gettando così le basi per un altro “impero”, il più longevo della storia. E sempre il 27 febbraio, ma del 1933, i nazisti incendiano il Reichstag per dare inizio al Terzo Reich. E se l’esoterismo (deviato) ha a che fare con Palme, vale ricordare che ancora un 27 febbraio, quello del 1593, viene incarcerato Giordano Bruno. Un caso, quella data, per la fine di Olof Palme? Era pur sempre il capo della P2 l’italiano Licio Gelli che, dal Sudamerica, recapitò quell’enigmatico messaggio a Washington, all’indirizzo di Guarino, sua vecchia conoscenza: «Alcuni anni prima – scrive Enrico Fedrighini sul “Fatto Quotidiano” – avevano entrambi sottoscritto un affidavit a favore di un finanziere, Michele Sindona». Era pericoloso, Olof Palme? Assolutamente sì: lo dice l’elenco dei suoi potentissimi nemici. Al premier svedese guardavano le sinistre europee: dopo aver «spogliato la monarchia svedese degli ultimi poteri formali di cui godeva», Palme aveva varato clamorose riforme sociali che avevano portato a un aumento del potere dei sindacati all’interno delle aziende, ricorda “Il Post”. «Ma fu grazie alla politica estera che Palme divenne famoso in tutto il mondo». Si scagliò contro la guerra Usa in Vietnam, «paragonando i massicci bombardamenti sul Vietnam del Nord ai massacri dei nazisti», dichiarazione che «spinse il governo degli Stati Uniti a ritirare il suo ambasciatore in Svezia».Olof Palme, continua il “Post”, fu ugualmente critico nei confronti dell’Unione Sovietica: attaccò la repressione della Primavera di Praga nel 1968 e poi l’invasione dell’Afghanistan nel 1979. Criticò il regime di Augusto Pinochet in Cile, l’apartheid in Sudafrica, la dittatura di Francisco Franco in Spagna, la corsa agli armamenti nucleari e le disuguaglianze globali. L’Onu aveva affidato a Olof Palme il delicato incarico di arbitrato internazionale fra Iraq e Iran, in guerra da sei anni. «Una guerra sanguinosa, sporca, un crocevia di traffico d’armi e operazioni coperte: l’Iran stava ricevendo segretamente forniture di armi attraverso una rete formata da pezzi dell’apparato politico-militare Usa; i proventi servivano anche a finanziare l’opposizione dei Contras in Nicaragua», ricorda Fedrighini sul “Fatto”. Palme scoprì «qualcosa di ancora più grave, di più spaventoso». Ovvero: la rete che forniva armi all’Iran sembrava agire con strutture operative ramificate all’interno di diversi paesi dell’Europa occidentale, anche nella civilissima Scandinavia. Scoperte che Palme avrebbe fatto il giorno stesso della sua morte, a colloquio con l’ambasciatore iracheno.La sera andò al cinema, con la moglie, dopo aver licenziato la scorta. Fu colpito mentre si allontanava a piedi dopo la proiezione. Dal buio sbucò «un uomo con un soprabito scuro», armato di Smith & Wesson 357 Magnum. Due colpi, alla schiena. Le indagini delle autorità svedesi non portarono a nulla. Lo scrittore svedese Stieg Larsson, autore di “Uomini che odiano le donne”, aveva condotto indagini riservate sul caso, accumulando 15 scatoloni di dossier, inutilmente consegnati alla polizia e alla Säpo, il servizio segreto reale, «nella vana speranza che facessero luce sulla tragedia», scrive “Repubblica”. «Larsson lanciò un’accusa precisa: i colpevoli erano i servizi segreti del Sudafrica razzista. Ma non fu ascoltato». Lo ha rivelato lo “Svenska Dagbladet”, il primo quotidiano svedese, poco dopo la morte del romanziere, deceduto nel 2004 per un infarto. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, anche Stieg Larsson «è stato probabilmente giustiziato». Lo suggeriscono troppe “coincidenze”, a partire dalla data della morte, 9.11.2004, il cui «valore numerico-rituale» è 8, cioè “giustizia”. Lo scrittore «muore come il personaggio del suo terzo libro, “La ragazza che giocava con il fuoco”: muore cioè di infarto, nella redazione del suo giornale».Per Franceschetti, sono circostanze che richiamano «la legge del contrappasso, utilizzata dall’organizzazione che si chiama Rosa Rossa», e che – sempre secondo Franceschetti – adotta, per le sue esecuzioni “eccellenti”, proprio la procedura in base alla quale Dante Alighieri organizza l’Inferno nella Divina Commedia: punizioni simboliche, commisurate alle azioni compiute durante la vita. Nulla che, in ogni caso, abbia potuto contribuire a far luce sull’omicidio Palme, per il quale venne condannato in primo grado nel 1988 un pregiudicato, Christer Patterson, prosciolto poi in appello del 1989 per mancanza di prove. Ma anche Patterson, come Stieg Larsson, non sopravivisse: «Il 15 settembre 2004, Patterson contatta Marten Palme», il figlio dello statista ucciso. «Desidera incontrarlo, ha qualcosa di importante da confidargli sulla morte del padre», racconta sempre Fedrighini sul “Fatto”. «Il giorno dopo, Patterson viene ricoverato in coma al Karolinska University Hospital con gravi ematomi alla testa. Muore il 29 settembre per emorragia cerebrale, senza mai aver ripreso conoscenza».Chi tocca muore: non era rimasta senza spiacevoli conseguenze neppure la divulgazione, nell’aprile 1990, ad opera del quotidiano svedese “Dagens Nyheter”, del telegramma inviato da Licio Gelli a Guarino nel 1986, tre giorni prima dell’omicidio Palme. Contattando i colleghi svedesi, ricorda Fedrighini, un giornalista del Tg1, Ennio Remondino, rintracciò e intervistò le fonti, due agenti della Cia, che confermarono la notizia del telegramma, «rivelando anche l’esistenza di una struttura segreta operante in diversi paesi dell’Europa occidentale, denominata Stay Behind (nella versione italiana, Gladio), coinvolta da decenni in traffici d’armi ed azioni finalizzate a “stabilizzare per destabilizzare”». L’intervista con uno dei due, Dick Brenneke, venne trasmessa dal Tg1 nell’estate del 1990, provocando «la reazione furibonda di Cossiga, il licenziamento in tronco del direttore del Tg1 Nuccio Fava e il trasferimento di Remondino all’estero come inviato sui principali fronti di guerra».Dopo oltre un quarto di secolo, il buio è sempre fitto: «L’arma del delitto non è mai stata trovata, e l’omicidio di Olof Palme è un caso ancora aperto». Per Gianfranco Carpeoro, il killer politico di Palme è già noto, si chiama “sovragestione” ed è tuttora in azione, in Europa, fra attentati e stragi. Carpeoro si sofferma in particolare sul possibile ruolo di Michael Ledeen, deus ex machina di tante operazioni coperte che hanno segnato la nostra storia recente, al punto che a metà degli anni ‘80 l’ammiraglio Fulvio Martini, allora capo del Sismi, lo fece allontanare dall’Italia come “persona non grata”. «Ledeen è membro dell’American Enterprise Institute», organismo che, «dopo l’11 Settembre, si è reso leader di un’enorme operazione di lobbismo per dirigere la politica estera Usa verso l’attuale e rovinosa “guerra al terrorismo globale”, sponsorizzando intensamente l’invasione dell’Afghanistan, l’occupazione dell’Iraq, e tentando ripetutamente di provocare l’aggressione dell’Iran». Fonti americane lo segnalano oggi nel team-ombra di Trump, impegnato a sabotare gli accordi sul nucleare con Teheran.Consulente di vari ministri israeliani, continua Carpeoro, «Ledeen è stato anche tra i capi del Jewish Institute for National Security Affairs (Jinsa), al cupola semi-segreta collegata al B’nai Brith, la superloggia massonica ebraica che sovragestisce le relazioni inconfessabili tra l’esercito israeliano, alcuni settori del Pentagono e l’apparato militare industriale americano». Ledeen, continua Carpeoro, riuscì anche a sabotare i rapporti fra Italia e Usa durante il sequestro dell’Achille Lauro, traducendo in diretta – in modo infedele – le parole che Ronald Reagan rivolse a Bettino Craxi. Il suo nome, poi, riaffiora durante lo scandalo Nigergate: come svelato dai giornalisti italiani Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, Ledeen avrebbe scelto il Sismi «per trasmettere alla Cia falsi documenti a riprova dell’importazione di uranio dal Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein», poi utilizzati da Bush come “prova” dell’armamento “nucleare” di Saddam, alibi perfetto per scatenare la Seconda Guerra del Golfo, l’invasione dell’Iraq e l’uccisione dello stesso Saddam, in possesso di segreti troppo scomodi per la Casa Bianca.Nel film “L’avvocato del diavolo”, Al Pacino (il diavolo) rimprovera il suo allievo, Keanu Reeves: «Sei troppo appariscente», gli dice: «Guarda me, invece: nessuno mi nota, nessuno mi vede arrivare». A pochissimi, in Italia, il nome Michel Ledeen dice qualcosa, nonostante abbia avuto un ruolo in moltissime pagine della nostra storia, fino a Di Pietro (in contatto con Ledeen all’epoca di Mani Pulite) e ora «con Beppe Grillo» e con lo stesso Matteo Renzi, «attraverso Marco Carrai». Per Gioele Magaldi, Ledeen milita nella Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, fondata dal clan Bush, con al seguito personaggi come Blair, Sarkozy, Erdogan. La “Hathor” avrebbe avuto un ruolo nell’11 Settembre, nella creazione di Al-Qaeda e poi in quella dell’Isis, avendo affiliato lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi. Nuovo ordine mondiale, da mantenere ad ogni costo scatenando il caos attraverso la guerra e il terrorismo? Carpeoro la chiama, semplicemente, “sovragestione”. Spiga che le sue “menti” si richiamano alla teoria della “sinarchia” del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: l’élite illuminata ha il diritto divino di imporsi sul popolo, anche con la violenza, uccidendo i paladini dei diritti democratici. Come sarebbe, oggi, l’Europa, con uomini come Olof Palme? Quattro anni prima di essere trucidato, Palme aveva varato il rivoluzionario Piano Meidner: un nuovo modello di partecipazione, che coinvolgeva i lavoratori nella gestione delle imprese, condividendone anche gli utili. Olof Palme “doveva” morire. E con lui, noi europei.«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.
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Tank sul fronte russo, comincia l’ultima guerra di Obama
La notizia ha dell’incredibile, ma è vera: per la stampa tedesca, stiamo assistendo alla più grande operazione di riposizionamento dell’esercito Usa in Germania dal 1990. «Più di 2.000 carri armati, obici, jeep e automezzi stanno per essere impiegati nelle esercitazioni Nato nell’Europa dell’Est che dureranno nove mesi», scrive Johannes Stern. Lo stato maggiore della Bundeswehr conferma: colossale dislocazione di forse Usa e Nato in Polonia e negli Stati baltici, proprio mentre Obama tenta – anche con la “guerra delle spie” – di incendiare la frontiera orientale, alla vigilia dell’insediamento di Donald Trump, ostacolato in ogni modo. La situazione starebbe precipitando, dopo l’impegno della Russia per la liberazione di Aleppo, a lungo ostaggio di milizie “Isis” capeggiate da leader del Caucaso e dai combattenti di Al-Nusra, altrimenti detta “Al-Qaeda in Siria”, formazione creata, protetta e armata dall’intelligence occidentale. Persa la Siria, ora si enfatizza l’operazione “Atlantic Resolve”, spettacolare (e pericolosa) provocazione alle frontiere con la Russia, cui Obama non perdona l’aver reagito al golpe americano in Ucraina mantenendo il controllo della Crimea.A scandire le news, nei primissimi giorni del 2017, sono le fonti delle forze armate tedesche, racconta Stern in un articolo su “Wsws” ripreso da “Come Don Chisciotte”: oltre 2.500 mezzi militari Usa hanno appena raggiunto la Germania «per essere trasportati in Polonia ed in altri paesi dell’Europa Centrale e dell’Est». Il materiale deve «arrivare nel periodo compreso fra il 6 e l’8 gennaio a Bremerhaven via mare e quindi essere trasferito in Polonia per via ferroviaria e convogli militari a partire approssimativamente dal 20 gennaio», cioè il giorno in cui dovrebbe finalmente installarsi Trump alla Casa Bianca. Sempre secondo comunicati diffusi dall’esercito statunitense in Europa, continua Stern, altri 4.000 militari e 2.000 carri armati «contribuiranno a rafforzare la forza di dissuasione e difesa dell’alleanza». Il colonnello Todd Bertulis dell’Eucom, il comando Usa in Europa di stanza a Stoccarda, ha affermato che l’operazione assicurerà che «la potenza di fuoco necessaria verrà schierata in Europa nel posto giusto al momento giusto». E il generale Frederick “Ben” Hodges, comandante delle forze americane in Europa, aggiunge: «E’ una risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ed alla sua illegale annessione della Crimea».Il che è palesemente falso, ricorda Johannes Stern: «In Ucraina non è la Russia l’aggressore, ma lo sono Usa e Nato», dal momento che «Washington e Berlino, in stretta collaborazione con le forze fasciste, hanno organizzato un colpo di Stato contro il presidente filorusso, Viktor Yanukovych, agli inizi del 2014, insediando a Kiev un regime nazionalista, fanaticamente antirusso». Mossa che «ha fatto esplodere la ribellione separatista da parte delle regioni russofone nella parte orientale del paese». Una rivolta che Mosca ha sostenuto, e che il governo di Kiev, sorretto dalle armi e dai soldi occidentali, ha tentato senza successo di reprimere con la forza. «Quanto successo in Ucraina è stato sfruttato dagli Usa, dall’Unione Europea e dalla Nato per imporre sanzioni economiche e diplomatiche alla Russia ed espandere drammaticamente le forze militari della Nato lungo il suo confine occidentale». E ora, «volendo giocare d’anticipo rispetto al 20 gennaio, inizio del mandato del nuovo presidente eletto Usa Donald Trump», che ha chiesto di abbassare il livello della tensione con la Russia, «forze contrarie all’interno dell’intelligence militare Usa e dell’establishment politico stanno cercando un’escalation nel confronto con Mosca».Ad aprire il fuoco è lo stesso generale Hodges, secondo cui la Russia si starebbe «preparando per la guerra», con «ministeri già mobilitati». Nulla di inevitabile, per ora, «ma Mosca si sta preparando per questa evenienza». Lo spiegamento delle truppe da combattimento Usa, osserva Stern, fa parte della preparazione della Nato per una possibile guerra contro la Russia, «il culmine di una continua espansione della Nato verso est», in aperta violazione degli storici accordi conclusi con Gorbaciov in cambio del ritiro dell’Urss dall’Est Europa. Evidente l’altra guerra, sotterranea, in corso a Washington: mentre Trump scoraggia il futuro della Nato in chiave anti-russa, il senatore John McCain (fotografato tempo fa in Siria con il “Califfo” Abu-Bark Al-Baghdadi) ha appena visitato gli Stati Baltici per rassicurarli sul fatto che il supporto degli Stati Uniti continuerà. In un’intervista alla radio dell’Estonia, McCain ha chiesto un ulteriore rafforzamento delle forze Nato contro la Russia. E ha dichiarato che ogni «membro credibile» del Congresso americano vede il presidente russo Vladimir Putin «per quello che è», ovvero «un delinquente, un prepotente e un agente del Kgb».Nella pericolosa escalation nei confronti della potenza nucleare Russia, che pone le premesse per una Terza Guerra Mondiale, la Bundeswehr ha un ruolo centrale, osserva Stern: «Senza il supporto delle forze armate tedesche non possiamo andare da nessuna parte», ha affermato il generale Hodges. E il generale Peter Bohrer, vicecapo del Joint Support Service, è d’accordo: «In passato la Germania era uno Stato di frontiera, oggi siamo una zona di transito ed uno dei compiti-chiave è fornire un comune supporto». Aggiunge Stern, con un occhio alla storia: «La Germania, che avanzò sull’Europa dell’Est nella sua guerra di sterminio 75 anni fa, si prepara a mandare truppe da combattimento nei paesi baltici». In un’intervista al giornale militare “Bundeswehr Aktuell”, il generale Volker Wieker ha confermato che la Germania ha concordato con Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna al summit della Nato tenutosi a Varsavia di «prendere il comando con chi formasse un gruppo di battaglia». Si conta di «acquisire la cosiddetta “capacità operativa completa” per la metà dell’anno”». Un video riportato dal “Frankfurter Allgemeine Zeitung” mostra le manovre di un battaglione tedesco a Grafenwöhr, contro «un attacco nemico al confine russo-lituano». Ancora pochi giorni, per capire se Trump – qualora riuscisse a insediarsi davvero nello Studio Ovale – spegnerà rapidamente l’incendio.La notizia ha dell’incredibile, ma è vera: per la stampa tedesca, stiamo assistendo alla più grande operazione di riposizionamento dell’esercito Usa in Germania dal 1990. «Più di 2.000 carri armati, obici, jeep e automezzi stanno per essere impiegati nelle esercitazioni Nato nell’Europa dell’Est che dureranno nove mesi», scrive Johannes Stern. Lo stato maggiore della Bundeswehr conferma: colossale dislocazione di forze Usa e Nato in Polonia e negli Stati baltici, proprio mentre Obama tenta – anche con la “guerra delle spie” – di incendiare la frontiera orientale, alla vigilia dell’insediamento di Donald Trump, ostacolato in ogni modo. La situazione starebbe precipitando, dopo l’impegno della Russia per la liberazione di Aleppo, a lungo ostaggio di milizie “Isis” capeggiate da leader del Caucaso e dai combattenti di Al-Nusra, altrimenti detta “Al-Qaeda in Siria”, formazione creata, protetta e armata dall’intelligence occidentale. Persa la Siria, ora si enfatizza l’operazione “Atlantic Resolve”, spettacolare (e pericolosa) provocazione alle frontiere con la Russia, cui Obama non perdona l’aver reagito al golpe americano in Ucraina mantenendo il controllo della Crimea.
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Avevamo Olof Palme, poi sull’Europa hanno spento la luce
Nessuno sceglie, nessuno parla, nessuno denuncia. Nessuno decide: come se non fosse tempo di determinazioni importanti. Ciascuno, nel frattempo, gioca la sua partita, nelle retrovie, lontanissimo dal match decisivo. Gentiloni, Renzi, Grillo e tutti gli altri. Capitani e comparse, chi è di scena? Di chi è il turno? Beppe Sala? Virginia Raggi? I padri nobili del referendum che doveva salvare l’Italia o affossarla? Dopo esser riuscito solo in parte a esaudire i desideri del grande potere, fingendo di risollevare le sorti del paese, il piazzista Renzi prova a stilare il calendario del suo glorioso ritorno – ma senza smettere di scherzare, senza nemmeno provare a mettersi dalla parte giusta, quella degli italiani stritolati dalla morsa dell’oligarchia che ha affidato l’Europa (e l’Italia in paticolare) alle amorevoli cure della Bce e dalla Commissione Europea. Al governo non ci sono politici: c’è il Fiscal Compact, c’è il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione da Mario Monti con il voto bipartisan di Berlusconi e del silente Bersani, l’uomo secondo cui, misteriosamente, il Pd sarebbe qualcosa di diverso dal supremo potere cui obbedisce la nomenklatura di Bruxelles che taglia sovranità e democrazia, rottama e privatizza gli Stati, riduce i cittadini a sudditi.Gli italiani votano No al referendum, e prontamente viene sistemato a Palazzo Chigi l’ectoplasma del governo appena battuto, inutilmente bocciato dagli elettori. Nel frattempo un calendario provvidenziale scatena le tempestive bufere giudiziarie che scuotono le due città più importanti, dirompenti e chiassose, quasi come gli attentati dinamitardi che insanguinano la tenebrosa Turchia di Erdogan, sponsor Nato dell’Isis, o le bombe russe e siriane cadute su Aleppo, dove giornali e televisioni scoprono che una guerra devastante si è trasformata in un martirio di popolazioni, ma si guardano bene dal ricordare al pubblico chi l’ha iniziata, quella guerra, chi l’ha finanziata e armata, chi – dalla Casa Bianca – l’ha protetta con la menzogna quotidiana, con l’intelligence e i missili, con la disinformazione più cieca. L’Italia (governo) ha tifato per Hillary e Obama, ha fatto la òla per il Ttip, ha approvato le sanzioni alla Russia, ha belato ininterrottamente a Bruxelles, ha lasciato che la Germania macellasse la Grecia. E alla fine ha provato persino a recitare il copione della diversità, invocando – ma solo per finta, per scherzo – un allenamento dell’austerity, cioè della norma fisiologica adottata dal regime Ue per depotenziare l’Europa, riducendola a comparsa internazionale, nel momento in cui – caduto il Muro di Berlino – poteva finalmente giocare la protagonista.Il peccato originale? Fu commesso trent’anni fa, il 1° marzo 1986, con l’assassinio di Olof Palme in Svezia. Lo scrive Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. Nella sua ricostruzione, Palme fu ucciso da un complotto rimasto oscuro, del quale però alcune tracce – anche scritte – portano a un certo Licio Gelli e al suo “principale”, il politologo americano Michael Ledeen, ancora in circolazione e più che mai influente, anche nel retrobottega del governo Renzi. Olof Palme, leader socialdemocratico, era il padre del moderno welfare europeo, il massimo profeta della filosofia politica dell’interesse pubblico, la promozione del benessere diffuso, l’estensione dei diritti, la democrazia avanzata in cui si coniugano libertà e socialismo, lavoro e dignità, pari opportunità per tutti. Era il prototipo, Olof Palme, di un’Europa diversa: un’Europa amica, autorevole, giusta. Un’Europa che non abbiamo mai visto, che mai avrebbe sprofondato gli Stati nella catastrofe della crisi, lasciandoli in balìa di incursoni e predoni, con mano libera nei palazzi del potere locale grazie a una piccola casta di governatori asserviti, di vassalli obbedienti, di mediocri traditori travestiti da algidi burocrati o, all’occorrenza, da sulfurei masanielli dal roboante eloquio (ma dall’innocuo agire). L’infima Italia del 2016, il paese dove nessuno propone vere vie d’uscita, sembra la fotografia perfetta di questa Europa pericolosamente in avaria.Nessuno sceglie, nessuno parla, nessuno denuncia. Nessuno decide: come se non fosse tempo di determinazioni importanti. Ciascuno, nel frattempo, gioca la sua partita, nelle retrovie, lontanissimo dal match decisivo. Gentiloni, Renzi, Grillo e tutti gli altri. Capitani e comparse, chi è di scena? Beppe Sala? Virginia Raggi? I padri nobili del referendum che doveva salvare l’Italia o affossarla? Dopo esser riuscito solo in parte a esaudire i desideri del grande potere, fingendo di risollevare le sorti del paese, il piazzista Renzi prova a stilare il calendario del suo glorioso ritorno – ma senza smettere di scherzare, senza nemmeno provare a mettersi dalla parte giusta, quella degli italiani stritolati dalla morsa dell’oligarchia che ha affidato l’Europa (e l’Italia in particolare) alle amorevoli cure della Bce e dalla Commissione Europea. Al governo non ci sono più politici: c’è il Fiscal Compact, ormai; c’è il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione da Mario Monti con il voto bipartisan di Berlusconi e del silente Bersani, l’uomo secondo cui, misteriosamente, il Pd sarebbe qualcosa di diverso dal supremo potere cui obbedisce la nomenklatura di Bruxelles che taglia sovranità e democrazia, rottama e privatizza gli Stati, riduce i cittadini a sudditi.
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Berlino: altro sangue, sull’altare di un potere nel panico
Ankara, Zurigo, Berlino. Il più grosso è ovviamente a Berlino, 9 morti una cinquantina di feriti – modus operandi simile all’attentato di Nizza del 14 luglio; è la prima volta che un vero attentato “alla francese” colpisce la Germania. La Francia ha ed ha avuto le mani in pasta in Siria, fa i giochi sporchi da anni; Berlino è rimasta neutrale. A Zurigo, uno sconosciuto ha sparato in un centro islamico. Ad Ankara, ucciso da un poliziotto l’ambasciatore russo. E’ troppo presto per dire qualcosa di più preciso. L’assassinio di Ankara è stato rivendicato, più precisamente esaltato, dall’Is e da Al-Qaeda, certo, come no: attraverso il “Site” di Rita Katz. E’ un indizio abbastanza preciso. Anche Obama, anche al Dipartimento di Stato, e alla Cia, hanno ottime ragioni per esaltare l’omicidio, prima di dover traslocare. A che scopo?, mi chiede qualcuno. Che domanda: uno degli scopi della strategia della tensione, l’ondata sincrona di attentati l’ha già ottenuto dentro di voi: vulnerabili, esposti ad un’aggressione che può colpirvi in ogni momento, perché il nemico, musulmano, è folle.Lo è, infatti; solo pensate che è quel nemico musulmano che vi hanno imposto di accettare a centinaia di migliaia, masse troppo subitanee che manca il tempo di integrare, giovani maschi per lo più, per cui le fanciulle europee sono una provocazione sessuale; quanti di loro sono criminali e pregiudicati? Jihadisti? Ma se provate a fare questa domanda siete razzisti, egoisti, privi di carità. La centrale che vi obbliga ad accoglierli tutti è la stessa che vuol farvi paura – e giustamente – per questa invasione inassimilabile. Contraddizione? Ma questo è uno dei suoi strumenti più preziosi nella strategia della tensione, vi lacera fra due pulsioni opposte, due discrasie cognitive, fra senso di colpa e urto irrazionale di rabbia, voglia di uccidere. E’ un successo. Perché la strategia della tensione in Europa, in queste ore? Mentre Aleppo è liberata? Mentre Obama fa le valige? Putin, limpido, ha spiegato: «L’assassinio (dell’ambasciatore) è una provocazione mirante a impedire il miglioramento delle relazioni russo-turche, minare il processo di pace in Siria promosso da Russia, Turchia, Iran ed altri paesi interessati a risolvere il conflitto in Siria».Per noi europei, la strategia della tensione ha uno scopo quasi tradizionale: farci travolgere dal terrore che è dovunque, odiare i musulmani mentre ci obbligano ad accoglierli; significa che ci sentiamo insicuri – e perciò chiediamo un governo forte, autoritario, con una polizia che censuri i siti – non solo gli islamici, anche i nostri: ne va della nostra vita! Leggi speciali d’emergenza, legge marziale. O stringiamoci tutti sotto l’ombrello della Nato, che ci difende dai jihadisti… L’oligarchia di Bruxelles travolta dalle critiche e contestazioni, dal crescere del “populismo”, l’Unione Europea che vede incagliato il suo progetto sovrannazionale, può trovarvi il suo tornaconto: imporre ordine e disciplina, recuperare “autorità”. E’ presto per dirlo. Aspettiamo i media di domani, cosa dicono, quali ricette invocano, quale capo o “fratello” per l’emergenza, capace di calmare i nostri terrori: sono le parole d’ordine a cui ci faranno obbedire. Quale il prossimo “Je suis Charly”?(Maurizio Blondet, estratto da “State calmi, è strategia della tensione”, post pubblicato sul sito di Blondet il 19 dicembre 2016).Ankara, Zurigo, Berlino. Il più grosso è ovviamente a Berlino, 9 morti una cinquantina di feriti – modus operandi simile all’attentato di Nizza del 14 luglio; è la prima volta che un vero attentato “alla francese” colpisce la Germania. La Francia ha ed ha avuto le mani in pasta in Siria, fa i giochi sporchi da anni; Berlino è rimasta neutrale. A Zurigo, uno sconosciuto ha sparato in un centro islamico. Ad Ankara, ucciso da un poliziotto l’ambasciatore russo. E’ troppo presto per dire qualcosa di più preciso. L’assassinio di Ankara è stato rivendicato, più precisamente esaltato, dall’Is e da Al-Qaeda, certo, come no: attraverso il “Site” di Rita Katz. E’ un indizio abbastanza preciso. Anche Obama, anche al Dipartimento di Stato, e alla Cia, hanno ottime ragioni per esaltare l’omicidio, prima di dover traslocare. A che scopo?, mi chiede qualcuno. Che domanda: uno degli scopi della strategia della tensione, l’ondata sincrona di attentati l’ha già ottenuto dentro di voi: vulnerabili, esposti ad un’aggressione che può colpirvi in ogni momento, perché il nemico, musulmano, è folle.
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Roberts: chi spara su Trump lo consegna ai neocon affiliati
Le nomine di Trump: sarà ancora Goldman Sachs a comandare la politica economica americana? Come ha già scoperto “The Donald”, appena eletto, la verità è che «non c’è scelta, se non tra gli affiliati», dice Paul Craig Roberts, sottosegretario al Tesoro nel governo Reagan. «Nella maggior parte dei casi è così». Ovvero: i nuovi eletti «sono poca cosa, per gli affiliati, che sono soliti mangiarseli vivi». Esempio: la squadra dei “californiani” di Ronald Reagan «fu niente, in confronto agli affiliati di George Bush», il padre. «La parte di governo formata dagli uomini di Reagan ci mise un sacco di tempo a partorire i risultati che sperava». Poi c’è il Senato: visto che il Congresso è controllato dai repubblicani, significa che «rimane nelle mani di senatori con particolari interessi, che mirano a proteggere i loro piani da possibili nomine ostili». E un Trump «sotto attacco prima ancora della sua investitura ufficiale», decisamente «non può permettersi di ritardare la lotta per la conferma delle nomine». Dunque l’ascesa di Steve Mnuchin al Tesoro significa che sarà ancora Goldman Sachs a dettar legge alla Casa Bianca? «Possibile, ma non possiamo saperlo per certo. Non ci resta che aspettare e vedere».Mnuchin lasciò Goldman Sachs 14 anni fa, scrive Craig Roberts in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «Girava film a Hollywood e ha avviato un’attività in proprio». Molte persone, di fatto, «hanno lavorato per Goldman Sachs e per la New York Bank», per poi diventare «critici inflessibili nei confronti delle banche», come raccontano Nomi Print e Pam Martens. Anche l’abituale co-autore di Craig Roberts, Dave Krenzler, «è un ex frequentatore di Wall Street». Secondo l’analista indipendente, «i commentatori stanno saltando alle conclusioni basandosi sulle passate associazioni dei nominati». In realtà, «Mnuchin fu uno dei primi sostenitori di Trump». Quindi ora l’ex finanziere appoggerà Trump nel suo tentativo di riportare in America i posti di lavoro per la classe media? E lo stesso Trump è sincero? «Non lo sappiamo». L’unica certezza è che Trump «ha attaccato il falso accordo di “libero scambio” che ha spogliato l’America dai posti di lavoro per la classe media come fecero Pat Buchanan e Ross Perot. Sappiamo anche che i Clinton costruirono la loro fortuna come agenti dell’Uno per Cento, gli unici ad aver avuto guadagno dalla delocalizzazione dei posti di lavoro americani».Secondo Craig Roberts, «non tutti i miliardari sono degli oligarchi», e il rapporto di Trump con il settore finanziario «è quello di un comune debitore». Con le banche, «ha un rapporto scadente». E che dire, poi, dei «generali dalla testa calda» appena nominati, alla difesa e alla sicurezza nazionale? «Entrambi sembrano trovare la loro fine in Iran, il che è stupido e infelice». Per contro, il generale Flynn «denunciò il regime di Obama per aver rifiutato il consiglio della Dia ed aver sostenuto l’Isis nel rovesciare Assad», mentre il generale Mattis «fu colui che disse a Trump che la tortura non funziona». Entrambi questi generali, «per quanto cattivi possano sembrare», per Craig Roberts «sono comunque un miglioramento rispetto a chi li ha preceduti: entrambi hanno dimostrato indipendenza rispetto alla linea neo-conservatrice che supporta Isis e torture».Il nemico numero uno, per Craig Robers, è costituto da quelli che chiama “gli affiliati”, cioè i super-massoni della piramide del potere reale, non elettivo. «E’ da tenere a mente anche che esistono due tipi di affiliati», scrive: «Quelli che rappresentano l’agenda degli interessi particolari; gli altri che seguono la corrente per partecipare attivamente alla vita politica della nazione. Coloro che non si allineano con la maggioranza vengono estromessi». Un posto in Goldman Sachs «è un buon viatico per la ricchezza», certo. «Che Mnuchin l’abbia lasciato 14 anni fa può significare che non rappresentava un buon partito per Goldman Sachs, che a loro non piaceva o viceversa che lui non gradiva loro». Che Flynn e Mattis abbiano preso una posizione indipendente riguardo l’Isis e le torture «li dipinge come degli anticonformisti». Tutti e tre questi nominati «appaiono forti e sicuri nelle loro convinzioni, nella loro confidenza con l’ambiente politico», il che «li qualifica come il personale di cui Trump ha bisogno per raggiungere qualsivoglia obbiettivo».Trump, ricorda Craog Roberts, è stato l’unico fra tutti i candidati alla presidenza a dichiarare di non vedere motivi di conflitto con la Russia. L’unico, anche a interrogarsi «sul perché la Nato continui ad esistere a 25 anni dal collasso dell’Unione Sovietica». Solo Trump «ha dichiarato di voler riportare in America i posti di lavoro per la classe media». Ha detto che avrebbe irrigidito la politica dell’immigrazione: «Si tratta di razzismo o di protezione della cittadinanza?». Inutile sparare su Trump senza dargli il tempo di agire: meglio invece «basarci sulle sue promesse e vincolare l’amministrazione Trump al loro mantenimento». E inoltre, «dovremmo anche far sì che Trump si renda conto delle terribili conseguenze che derivano dal degrado ambientale», visto che l’ecologia (fonti rinnovabili) è assente dalla sua agenda. Ma, oggi, «più Trump viene criticato, più è facile per i neoconservatori offrirgli il loro appoggio ed entrare a far parte del governo». Per adesso «non ne ha ancora nominato alcuno, ma c’è da scommettere che Israele spinge per delle nomine fra questi».I neocon «hanno il controllo dei media e comandano fra gli esperti, fra i dipartimenti universitari per gli affari esteri e fra la comunità politica internazionale. Sono un pericolo costante». Il temperamento di Trump «lo porta ad essere più incline a rappresentare il presidente che risolleva le sorti dell’America in declino, piuttosto che colui che usa la carica presidenziale per arricchirsi». Perciò, conclude Craig Roberts, «ci troviamo di fronte ad un’occasione di cambiamento che una volta tanto viene dall’alto invece che avere origine da sanguinose rivolte di strada». E quindi: «Diamo al governo Trump un’occasione. Potremmo rivoltarci dopo che ci avrà deluso».Le nomine di Trump: sarà ancora Goldman Sachs a comandare la politica economica americana? Come ha già scoperto “The Donald”, appena eletto, la verità è che «non c’è scelta, se non tra gli affiliati», dice Paul Craig Roberts, sottosegretario al Tesoro nel governo Reagan. «Nella maggior parte dei casi è così». Ovvero: i nuovi eletti «sono poca cosa, per gli affiliati, che sono soliti mangiarseli vivi». Esempio: la squadra dei “californiani” di Ronald Reagan «fu niente, in confronto agli affiliati di George Bush», il padre. «La parte di governo formata dagli uomini di Reagan ci mise un sacco di tempo a partorire i risultati che sperava». Poi c’è il Senato: visto che il Congresso è controllato dai repubblicani, significa che «rimane nelle mani di senatori con particolari interessi, che mirano a proteggere i loro piani da possibili nomine ostili». E un Trump «sotto attacco prima ancora della sua investitura ufficiale», decisamente «non può permettersi di ritardare la lotta per la conferma delle nomine». Dunque l’ascesa di Steve Mnuchin al Tesoro significa che sarà ancora Goldman Sachs a dettar legge alla Casa Bianca? «Possibile, ma non possiamo saperlo per certo. Non ci resta che aspettare e vedere».
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McGovern: l’America fa paura, come la Germania nel 1933
Donald Trump dovrebbe “perdonare” gli americani per la loro ignoranza e condurre «un assalto frontale contro il “New York Times” e il “Wall Street Journal”, che ai cittadini hanno raccontato il contrario della verità». Se farà davvero un accordo strategico con Putin, il neopresidente «dimostrerà la sua serietà». Parola di Ray McGovern, ex dirigente della Cia. «Non sappiamo se Trump riuscirà a governare in modo indipendente dall’establishment: Jimmy Carter ci provò, ma non ci riuscì». L’unica buona notizia è che Hillary ha perso: «Si allontana così il rischio di una guerra nucleare», che McGovern – curatore del briefing quotidiano alla Casa Bianca dal 1963 fino al 1990 – giudicava concreto, con la Clinton al comando. Ma non c’è da stare allegri: «La situazione ricorda quella della Germania all’indomani dell’incendio del Reichstag nel 1933, che lanciò Hitler». Il problema? «Gli americani vivono sotto minaccia, dall’11 Settembre». Prima Bush, poi Obama, hanno calpestato la Costituzione in nome della sicurezza. E tutto, sulla base di rischi inventati di sana pianta, come le inesistenti armi di Saddam. Pessimo affare: l’America è nei guai, quindi anche il mondo. C’è solo da sperare che Trump sia sincero, e che non venga mangiato vivo dal super-potere.«Credo che a breve vedremo di che pasta è fatto, Donald Trump», dice McGovern a Giulietto Chiesa, in una video-intervista concessa a “Pandora Tv”. «A parire dall’11 settembre 2001 – dice – gli americani si sentono spaventati, in pericolo: ed è stato l’establishment ad alimentare queste paure». Ora tocca a Trump: riuscirà a non farsi spolpare subito da Wall Street e dal Pentagono? A quanto sembra, le aperture verso la Russia lo confermerebbero. Poi c’è il fronte interno: «Le elezioni si vincono e si perdono sulle questioni economiche». Ufficialmente, «il tasso di disoccupazione è tornato ai livelli di oltre dieci anni fa, ma le persone sono ancora senza lavoro, o costrette a fare due lavori». Trump ha intercettato il malumore della gente comune, che «si sente abbabndonata, non gli piace quello che ha fatto il governo e ha sentito di non contare nulla». Ma la propaganda di Trump – sessismo, razzismo – è stata violenta: «Quello che mi fa paura è che ci troviamo in una situazione non molto diversa da quella che si manifestò dopo l’incendio del Reichstag», dice McGovern. E le premesse per l’esasperazione popolare, aggiunge, portano la firma di Bush e Obama.A partire dall’11 Settembre, insiste Ray McGovern, negli Usa sta prendendo piede una reazione simile a quella della Germania alla vigilia sdel nazismo: «La gente normale è spaventata e crede che la Costituzione debba fare un passo indietro per lasciare spazio a “nuove leggi”: i tedeschi le chiamarono “leggi d’emergenza”, noi Patriot Act. Leggi che infrangono la Costituzione». Ci vogliono anni prima che la Carta stabilisca che sono incostituzionali, ma «nel frattempo, molta viene viene arrestata e incarcerata, illegalmente». Per esempio, il presidente Obama può ancora arrestare qualcuno senza neppure un processo e sbatterlo a Guantanamo, fintanto che è in corso la “guerra al terrorismo”. «Sarebbe legale? No. E’ stata varata, questa legge? No, ma è stata scritta. Quindi, potrebbe essere considerata legale». Nessuno è più libero di criticare il governo, insiste l’ex alto funzionario Cia. «E’ una cosa maledettamente seria. E’ sui libri, è scritta, e ha già un effetto deterrente su ciò che le persone fanno o dicono». Lo stesso Obama ha sorvolato ripetutamente la Costituzione: «Come la mettiamo coi i “presunti terroristi” che il presidente ha ordinato di uccidere in Afghanistan e in Pakistan? Alcuni di loro erano cittadini americani, sono stati privati della loro vita senza un regolare processo. Ma il ministro della giustizia di Obama, Eric Holder, diceva: no, noi non lo facciamo, il giusto processo, lo facciamo già qui alla Casa Bianca, senza bisogno di nessun tribunale».«La cosa più triste», aggiunge McGovern, è che negli Usa «la professione legale si comporta in modo vergognoso: approva la tortura». Tutto merito di «un pugno di avvocati», che hanno dato il loro ok nel silenzio generale dei colleghi, «tutti molto riluttanti, troppo impegnati col loro prossimo ricco contratto». Persino gli psicologi, «utilizzati per avallare le tesi di Bush, dissero che non c’erano state torture: avevano corrotto anche loro». Ma, in compenso, «l’ordine degli psicologi li radiò dall’albo». Lo fecero «perché vincolati alla stessa regola dei medici: non fare del male». McGovern rivendica la “pulizia” di interi settori dell’intelligence: «Sapevamo, anche prima della guerra in Iraq, che le prove delle armi di distruzione di massa di Al-Qaeda e Saddam Hussein erano solo vecchi stracci, cioè che non esistevano. Lo abbiamo fatto presente, ma il presidente voleva la sua guerra, e così è stato». E la stampa? Non pervenuta: si è allienata al potere. Da allora è diventata il megafono della Casa Bianca, prima sotto Bush e poi con Obama. «I media hanno raccontato agli americani che la Russia ha “invaso” la Crimea il 23 febbraio 2014, anziché dire la verità: e cioè che noi, gli Stati Uniti, il giorno prima avevamo fatto un colpo di Stato in Ucraina contro la Russia».Riuscirà Trump a imporre una narrazione veritiera degli eventi? Sarebbe bello, sospira McGovern, dopo che la Clinton ha definito “killer” un leader come Putin, sostenuto da oltre l’80% dei russi. «Credo che Trump ce la possa fare», dice l’ex dirigente Cia, ma dovrà dire ai grandi media: «Ci avete mentito, non ci avete riportato i fatti reali e i problemi dell’Europa». Trump ha l’opportunità di smentire il mainstream, facendo un accordo con Putin. Gli europei? Ne saranno disorientati: «La cattiva notizia, per loro, sarà che dovranno spendere di più per la loro difesa. Ma la buona notizia è che la gente si chiederà: perché?». Già: se la Russia non è più una minaccia, perché investire ancora nella Nato? Allora, dice McGovern, sulla stampa americana cominceremmo a leggere cose del tipo “ok, avevamo esagerato: è vero, non abbiamo più bisogno di incrementare la difesa”. «Se hai a che fare con un popolo che non è stato nutrito di informazioni corrette, devi cominciare a farlo. E Trump lo può fare». Funzionerebbe: «La stampa lo seguirà e dirà: ah è vero, la Russia non è poi così male. Putin? Sta parlando col nostro presidente, quindi non dev’essere così cattivo». Ma lo stesso McGovern è il primo a sapere che, prima, bisogna fare i conti con l’oste: «La stampa è controllata dalle mega-corporations che fanno soldi con l’industria delle armi».Donald Trump dovrebbe “perdonare” gli americani per la loro ignoranza e condurre «un assalto frontale contro il “New York Times” e il “Wall Street Journal”, che ai cittadini hanno raccontato il contrario della verità». Se farà davvero un accordo strategico con Putin, il neopresidente «dimostrerà la sua serietà». Parola di Ray McGovern, ex dirigente della Cia. «Non sappiamo se Trump riuscirà a governare in modo indipendente dall’establishment: Jimmy Carter ci provò, ma non ci riuscì». L’unica buona notizia è che Hillary ha perso: «Si allontana così il rischio di una guerra nucleare», che McGovern – curatore del briefing quotidiano alla Casa Bianca dal 1963 fino al 1990 – giudicava concreto, con la Clinton al comando. Ma non c’è da stare allegri: «La situazione ricorda quella della Germania all’indomani dell’incendio del Reichstag nel 1933, che lanciò Hitler». Il problema? «Gli americani vivono sotto minaccia, dall’11 Settembre». Prima Bush, poi Obama, hanno calpestato la Costituzione in nome della sicurezza. E tutto, sulla base di rischi inventati di sana pianta, come le inesistenti armi di Saddam. Pessimo affare: l’America è nei guai, quindi anche il mondo. C’è solo da sperare che Trump sia sincero, e che non venga mangiato vivo dal super-potere.
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Ma perché votare No, se poi comanda la mafia euro-Ue?
«L’orrenda verità è che qui in Italia ci possono lasciare un Senato, due, otto, o toglierlo e farne uno di bambù, o possono farne uno coi Sette Nani, Totti e la Blasi, ma qui in Italia non cambia nulla». Per Paolo Barnard, l’unico No che avrebbe senso, il 4 dicembre, «sarebbe quello di un’Italia dove la cittadinanza poi si fa sentire, sia dalla Camera che dal Senato, per riprendersi i suoi diritti», che ci sono stati “scippati”, nell’ultimo quarto di secolo, da governi e Parlamenti sostanzialmente d’accordo sul grande piano: rottamare l’Italia, asservendola al super-potere del business imposto da Bruxelles con la revoca della sovranità nazionale. Se si capisce questo, perché mai votare? «Per mantenere un sistema bicamerale che dal 1992 a oggi ha solo firmato la distruzione d’Italia? E’ questo il sistema bicamerale che volete mantenere?», si domanda Barnard. Senza un vero No al regime Ue e all’Eurozona, ogni altro voto è perfettamente inutile, sostiene il giornalista, autore del saggio “Il più grande crimine”, nel quale mostra come l’Italia sia stata “terminata”, per volere dell’élite finanziaria, col pieno consenso dei politici al potere, di destra e di sinistra.La lista degli eventi catastrofici è sterminata: «Governi tecnici fino all’ultimo D’Alema, poi Monti e Letta», quindi «le 14, diventate poi più di 36, nuove flessibilità sul lavoro dal ‘Baffetto’ in poi», senza contare «gli interventi militari», cioè «crimini contro l’umanità» in Kosovo, Afghanistan, Iraq, poi «l’appoggio italiano al disastro libico». Ma anche «i salvataggi bancari da Tremonti in poi, per ben oltre 110 miliardi di euro». E soprattutto: «I Trattati di Maastricht, Lisbona, Europact, Six Pack, Fiscal Compact, Pareggio di Bilancio in Costituzione». E ancora: l’Efsf, il Mes, l’European Semester e tutto l’impianto dell’Eurozona, «che certificarono la più indicibile perdita di sovranità monetaria, parlamentare e costituzionale della storia d’Italia, e lo sprofondamento del paese nei Piigs», da cui «lo scannatoio-pensioni della riforma Fornero/Modigliani, l’attacco all’articolo 18 e la finanziarizzazione del diritto di pensionamento, il Jobs Act e il resto dell’abominio della nano-economia di Renzi», con in mezzo «le spending review di Cottarelli e Grilli, il massacro civile dei Patti di Stabilità dei Comuni».Barnard denuncia anche «la violazione di 17 articoli della Costituzione italiana per mano dei governi Monti e Letta col benestare di Napolitano», nonché «la continuata umiliazione di Roma che bela pietà a Bruxelles prima di poter passare una legge di bilancio, o per poter spendere 10 euro per i cataclismi naturali o per l’arrivo dei migranti, mentre Francia e Germania se ne sbattono il cazzo di Bruxelles dal primo giorno dell’entrata in Eurozona». Da segnalare anche «la mancata regolamentazione delle più fallite banche di tutta Europa con 360 miliardi di euro di buchi contabili», e poi «gli aumenti di Iva proiettati al 24% e una pressione fiscale oscillante dal 44 al 72% reali, la seconda più alta al mondo». E chi ha votato questo abominio? Chi non vi si è opposto? «Risposta: una Camera dei Deputati, e un Senato, italiani. E adesso mi si viene a dire che l’apocalisse della democrazia italiana è l’eliminazione di quel Senato? Ah, perché prima invece ci tutelava?». Per Barnard, mantenere un Senato in Italia, «dopo la sua vomitevole performance degli ultimi 24 anni», ha un senso «solo e la cittadinanza capisce che non è una questione di avere Camere, Senati, sgabuzzini e tinelli», ma sovranità vera.La questione, insiste Barnard, è «avere una cittadinanza che capisca cosa pretendere da Camere e Senati, e che pretenda subito: via dall’Eurozona dell’economicidio, via dall’Europa dei tecnocrati, dal mostro di Bruxelles». Bisogna «riprendersi tutte le sovranità: legislative, monetarie, costituzionali». Occorre «capire le operazioni monetarie per ottenere la piena occupazione, il dominio pubblico sul sistema finanziario e la supremazia dell’interesse pubblico sui profitti del settore privato», e cioè «espandere il deficit di Stato a moneta sovrana, fino alla rinascita del paese». Ma Barnard è ultra-pessimista: «Nulla mai cambierà, per noi, anche con una o due Camere, due o cinque Senati, perché quell’opinione pubblica che capisca cosa pretendere da un Parlamento non ce l’abbiamo». In Gran Bretagna c’è un bicameralismo ‘snello’ che ha una specie di Senato, i Lords, che costano la metà del nostro Senato e non possono bocciare le leggi della Camera. «Ma di chi è il merito della più grande rivoluzione europea dal 1848, quella esplosa il 23 giugno con Brexit? Non certo del loro bicameralismo ‘snello’. E’ dei britannici, che si sono fatti sentie dalla politica sul tema vitale per il loro paese, ovvero la fuga dall’Unione Europea dell’economicidio». Da noi invece c’è solo Grillo, conclude Barnard: un «buffone stellato», che agli speculatori non fa nessuna paura.«L’orrenda verità è che qui in Italia ci possono lasciare un Senato, due, otto, o toglierlo e farne uno di bambù, o possono farne uno coi Sette Nani, Totti e la Blasi, ma qui in Italia non cambia nulla». Per Paolo Barnard, l’unico No che avrebbe senso, il 4 dicembre, «sarebbe quello di un’Italia dove la cittadinanza poi si fa sentire, sia dalla Camera che dal Senato, per riprendersi i suoi diritti», che ci sono stati “scippati”, nell’ultimo quarto di secolo, da governi e Parlamenti sostanzialmente d’accordo sul grande piano: rottamare l’Italia, asservendola al super-potere del business imposto da Bruxelles con la revoca della sovranità nazionale. Se si capisce questo, perché mai votare? «Per mantenere un sistema bicamerale che dal 1992 a oggi ha solo firmato la distruzione d’Italia? E’ questo il sistema bicamerale che volete mantenere?», si domanda Barnard. Senza un vero No al regime Ue e all’Eurozona, ogni altro voto è perfettamente inutile, sostiene il giornalista, autore del saggio “Il più grande crimine”, nel quale mostra come l’Italia sia stata “terminata”, per volere dell’élite finanziaria, col pieno consenso dei politici al potere, di destra e di sinistra.