Archivio del Tag ‘movimento 5 stelle’
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Giannuli: sinistra, non vali niente. Facci un favore, sparisci
Cara sinistra, facci una cortesia: sparisci. C’è bisogno di politici utili, che capiscano la crisi, e quindi che leggano e studino. Vendola e compagni? Possono accomodarsi all’uscita, nessuno ne sentirà la mancanza. Non uno, a sinistra del Pd, che abbia la capacità di fare un’analisi seria: cos’è davvero l’Unione Europea, cos’è la prigione dell’euro. Ecco perché non si vedono soluzioni all’orizzonte, neppure da parte dei grillini. Ed ecco spiegato il perché di tanta passione nel difendere Tispras: evidentemente, farebbero esattamente come lui. E, in Italia, si accontenterebbero di qualche poltrona elemosinata dal Pd. E’ impietoso, Aldo Giannuli, nei confronti dell’ex “sinistra radicale”, che ora si agita attorno a Sel per tentare di creare un nuovo polo, «senza idee su nulla e con un errore capitale, la fedeltà all’Ue». Durissimo, il politologo dell’ateneo milanese, già dirigente del Prc: non solo questa sinistra è compleamente inutile, ma è anche dannosa, perché confonde gli elettori e non aiuta l’Italia a vedere la luce oltre il tunnel della crisi. Prima spariscono, tutti quanti, e meglio è.In questi giorni, si affannano a difendere l’indecente Tsipras. “Non c’era altro da fare”, in Grecia? «Ma allora perché sbrodolarsela per 5 mesi e non chiudere subito, prima di svuotare le banche?». Tsipras “ci ha insegnato cosa significa lottare”? «Veramente ci ha insegnato come prenderle di santa ragione, dopo una manfrina di cinque mesi». Giannuli distingue tra dirigenti e militanti. «Per quanto riguarda i secondi il discorso è presto fatto: l’eredità del comunismo da caserma, per cui il gruppo dirigente va sempre difeso, con fede e senza riguardo per la ragione. La critica per loro è un’oziosa perdita di tempo, loro “credono”, non ragionano e sfidano impavidi il ridicolo. E poi ci sono le ragioni sentimentali: a questi militanti della sinistra, romanticamente, piace perdere, li fa sentire migliori, sfortunati ma migliori. Loro vogliono perdere ed è giusto accontentarli. E’ bene che questa sinistra perda sempre e chiudiamola qui». Dei dirigenti, invece, emerge un «assoluto cinismo»: a loro, «di Tsipras e del popolo greco non potrebbe interessare di meno». E’ solo una questione di marketing: appena 14 mesi fa avevano lanciato la lista “L’Altra Europa con Tsipras”, ora non possono rimangiarsi tutto. E’ troppo presto.Con quel “brand”, continua Giannuli, erano riusciti a superare per il rotto della cuffia lo sbarramento del 4%. «Poi la cosa, come era prevedibile e previsto, si è sfasciata due giorni dopo, fra accordi non rispettati, seggi contesi e slealtà varie», ma questo non toglie che, per ragioni di immagine, non si possa demolire «quello che è stato il marchio di impresa». Anche perché, solo pochi giorni fa, in occasione del referendum greco, «l’icona di santo Alexis era stata innalzata più luminosa che mai, senza far caso alle ambiguità e giravolte dei giorni precedenti, che facevano presagire che uso si sarebbe fatto della vittoria del “no”». Altrettanto cinico il risvolto elettorale italiano: «Il soggetto “nuovo” che sta per nascere sotto l’egida di Sel, al di là dei roboanti proclami anti-renziani, già pensa di entrare nella lista del Pd, come imposto dall’Italicum (o di coalizzarsi con il Pd se dovesse tornare il premio di coalizione)», sicché i suoi promotori «non possono presentarsi con trascorsi da estremisti che non danno affidamento». E’ tutto già scritto, insomma: questa sinistra italiana che ancora di dipinge come radicale è pronta, in realtà, ad accodarsi al Pd, proprio come un tempo si accodò a Prodi.«Questo è il cuore della questione», insiste Giannuli: «Loro farebbero ancora una volta come hanno fatto con il governo Prodi, piegandosi a votare le cose più indecenti come le missioni militari all’estero sotto comando militare americano, espellendo chi non era d’accordo. Fu così che raggiunsero l’obiettivo di perdere 3 elettori su 4 e restare fuori del Parlamento. Una sconfitta presto rimossa, a cui non ha fatto seguito alcuna riflessione critica. Per cui è evidente che oggi farebbero la stessa cosa di Tsipras, perché non hanno gli strumenti culturali per immaginare nulla di diverso». In altre parole: non hanno un’alternativa al dirigismo neoliberista autoritario dell’Ue. «Questo ci porta ad un altro aspetto drammatico della questione: i gruppi dirigenti della Brigata Kalimera non capiscono assolutamente nulla di economia monetaria e, più in generale, di economia. Secondo un suo autorevole esponente – racconta Giannuli – il cambio 1 a 1 fra marco orientale e marco occidentale fu un atto di generosità di Kohl. Peccato che, con l’arrivo dell’euro, poi quell’atto di generosità si sia spalmato su tutti gli altri paesi, per cui la Germania si è pagata la riunificazione – evitando l’equivalente di una “questione meridionale” – con il contributo del resto d’Europa. Khol è stato generoso, ma con i soldi degli altri».Secondo un altro illustre esponente di quella che Giannuli chiama “Brigata Kalimera”, «bisogna emettere liquidità evitando l’inflazione». Emettere liquidità attraverso la Bce di Draghi al guinzaglio della Merkel e di Schaeuble? «Si può provare con una novena alla Madonna di Lourdes», scrive Giannuli. Per un dirigente, ancora più autorevole, la Bce dovrebbe essere “prestatore di ultima istanza”, esattamente come lo era lo Stato nei confronti delle banche e dei soggetti di diritto privato in difficoltà. «Peccato che questa volta siano gli Stati ad aver bisogno di quel prestatore, che è un soggetto di diritto privato», replica Giannuli. «L’autorevole personaggio, che mette nelle mani di Francoforte le speranze di una Europa federale, evidentemente ignora come è fatto il board della Bce e come sono fatti i board delle banche nazionali che lo compongono». E’ come sperare che sia il lupo a far la guardia alle pecore. Nessuno si è accorto che neppure la Francia ha osato alzare la testa, tanto è grave ormai l’infiltrazione capillare dell’affarismo neoliberista privatizzatore, determinato a radere al suolo quel che resta degli Stati?Siamo nel 2015: com’è possibile dire ancora, seriamente, tante idiozie? Semplice: «Questi signori non leggono un accidenti, non sanno niente e non gli importa nulla di sapere qualcosa», scrive Giannuli. «Il loro “pensiero” politico si forma fra un articolo di “Repubblica”, una chiacchierata nella terrazza romana della signora Fulvia, un incontro alla bouvette di Montecitorio con un giornalista “bene informato” e, quando va bene, qualche veloce consultazione di Wikipedia. Mai la lettura di un libro, un seminario di studio, un convegno». Da tempo immemorabile, continua Giannuli, non compare una rivista teorica, non si fa una iniziativa di formazione, non si discute un documento politico di respiro, non si verifica un dibattito di qualche dignità. «Il risultato è un certo politico di cialtroncelli, che non sanno nulla e non pensano nulla, ma hanno solo il problema di vivere della rendita di qualche incarico istituzionale. E non sarebbe meglio che una cosa del genere sparisse definitivamente?».La sparizione storica della sinistra radicale – quella vera – era uno dei capisaldi del famigerato Memorandum di Lewis Powell, avvocato di Wall Street, ingaggiati già all’inizio degli anni ‘70 per liquidare i sindacati e la sinistra dei diritti, anche attraverso “istituzioni” come la Trilaterale e il Wto. Ora siamo al Ttip, e l’Europa fino a ieri ricchissima è letteralmente devastata dall’euro, ma né Tsipras né i suoi emuli italiani vedono il problema, nonostante il martirio della Grecia e la crisi che devasta l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Francia. Né si può sperare in una vera alternativa da parte dei pur volenterosi 5 Stelle: nonostante gli appelli ad approfondire le ragioni della crisi economica, verso una necessaria svolta sovranista, agli italiani non pervengono piani alternativi al rigore cieco. «Sono convinto – scrive Giannuli – che il M5S stia procedendo troppo lentamente nel processo di maturazione e stia facendo sciocchezze come la proposta del reddito di cittadinanza (solenne fesseria, peraltro condivisa da Sel, da Landini e, suppongo, anche da Rifondazione). Anche questo è il frutto di questo modo impressionistico e facilone di far politica e sono convinto che se il M5S non si dà una mossa, iniziando a fare più sul serio, non ha un grande futuro davanti a sé. Non si può vivere sempre di rendita delle brutture che fanno i governi in carica».Cara sinistra, facci una cortesia: sparisci. C’è bisogno di politici utili, che capiscano la crisi, e quindi che leggano e studino. Vendola e compagni? Possono accomodarsi all’uscita, nessuno ne sentirà la mancanza. Non uno, a sinistra del Pd, che abbia la capacità di fare un’analisi seria: cos’è davvero l’Unione Europea, cos’è la prigione dell’euro. Ecco perché non si vedono soluzioni all’orizzonte, neppure da parte dei grillini. Ed ecco spiegato il perché di tanta passione nel difendere Tispras: evidentemente, farebbero esattamente come lui (in Italia, si accontenterebbero di qualche poltrona elemosinata dal Pd). E’ impietoso, Aldo Giannuli, nei confronti dell’ex “sinistra radicale”, che ora si agita attorno a Sel per tentare di creare un nuovo polo, «senza idee su nulla e con un errore capitale, la fedeltà all’Ue». Durissimo, il politologo dell’ateneo milanese, già dirigente del Prc: non solo questa sinistra è compleamente inutile, ma è anche dannosa, perché confonde gli elettori e non aiuta l’Italia a vedere la luce oltre il tunnel della crisi. Prima spariscono, tutti quanti, e meglio è.
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La svolta di Grillo: basta euro, moneta sovrana o morte
«Il teatrino dell’euro proseguirà fino a quando lo vorranno gli americani, e cioè fino alla definitiva approvazione del Ttip con cui gli Usa assoggetteranno l’Europa in modo non dissimile da come l’euro ha assoggettato la periferia alla Germania». Otto anni dopo il crack di Wall Street, e a quattro anni di distanza dal funesto avvento di Monti, Beppe Grillo oltrepassa il Rubicone individuando finalmente il “nemico”, quello vero, cioè non la “casta dei ladri, della mafia e degli evasori” con cui il Movimento 5 Stelle ha finora intrattenuto il pubblico italiano. Il nemico è l’euro, l’Unione Europea che lo impone. Ma Bruxelles da sola non conta nulla. E nemmeno la Germania, che è solo il kapò del nuovo ordine europeo fondato sulla crisi, sulla paura e sulla rassegnazione punitiva. Il cervello della piovra è oltre oceano, dietro la maschera di quell’Obama che tanto preme, in ossequio ai suoi padroni, per imporre al vecchio continente la catastrofe del Trattato Transatlantico, grazie al quale gli Stati non saranno più liberi neppure di tutelare la salute dei loro cittadini: se la vedranno con tribunali di parte e avvocati d’affari, col potere di imporre micidiali sanzioni, nel caso avessero la malaugurata idea di proibire business velenosi e ostacolare industrie pericolose.Solo dopo lo schianto clamoroso della Grecia di Tispras, Beppe Grillo alza la testa, avendo a lungo ignorato ogni appello a costruire un’alternativa politica basata necessariamente su un’alternativa economica, partendo quindi dalla denuncia dell’euro come abominio monetario, puro strumento di dominazione congegnato da un’élite oligarchica che tutto privatizza, cominciando dalla moneta, per togliere allo Stato (e alla comunità pubblica dei cittadini) ogni residua ragion d’essere. In un post sul suo blog, il leader del M5S rompe gli indugi con un’analisi senza precedenti: dall’euro bisogna uscire di corsa, perché dentro la moneta unica europea non esiste possibilità di salvezza. Lo pensa anche Nigel Farage, il leader dell’Ukip, pronto a guidare la campagna referendaria del 2017 per spingere la Gran Bretagna fuori dall’Ue. Un altro referendum sarà indetto in Austria, sempre per chiedere l’uscita del paese dall’Unione Europea. Per non parlare della Francia, dove il Front National di Marine Le Pen minaccia l’uscita dall’Ue se a Parigi non sarà accordata l’uscita “morbida” dall’euro.Non da oggi, un economista di sinistra come Emiliano Brancaccio accusa l’Italia: non è stata mai neppure ventilata la minaccia di uscire dal mercato comune europeo, argomento che sarebbe fortissimo per costringere Germania e Ue ad accettare una revisione radicale dei terrificanti trattati europei. Se “Syriza” in Grecia e “Podemos” in Spagna continuano a fantasticare sulla possibilità di vivere nel benessere pur restando nell’Eurozona, in tutti questi anni il Movimento 5 Stelle è rimasto in silenzio, limitandosi a proporre il “reddito di cittadinanza” contro il rigore sociale imposto da Bruxelles e poi un referendum consultivo sulla moneta unica. Ora, di colpo, Grillo cambia marcia. Il premier greco? «Rifiutare a priori l’Euroexit è stata la sua condanna a morte: convinto, come il Pd, che si potesse spezzare il connubio “euro & austerità”, Tsipras ha finito per consegnare il suo paese, vassallo, nelle mani della Germania. Pensare di opporsi all’euro solo dall’interno presentandosi senza un esplicito piano-B di uscita ha infatti finito per privare la Grecia di ogni potere negoziale al tavolo dell’euro-debito».Aggiunge Grillo: solo Vendola, il Pd e i media ispirati da Scalfari e «dai nostalgici del manifesto di Ventotene», cioè il miraggio degli Stati Uniti d’Europa, «potevano credere ad un euro senza austerità». E oggi «sono costretti a continuare a far finta di crederci, pur di non dover ammettere l’opportunità di una uscita dopo sette anni di disastri economici». Lo stesso Grillo non brilla per tempismo: oggi, nel 2015, abbraccia le tesi sovraniste enunciate da Paolo Barnard a partire dal 2010. E lo fa dopo aver rifiutato – durante la nera stagione di Monti e Fornero – la consulenza di Warren Mosler e del team di ecomomisti della Modern Money Theory, gli stessi che permisero all’Argentina di liberarsi del cambio fisso col dollaro, che (esattamente come l’euro) condannava l’economia del paese. Ora, Grillo riconosce che «la conseguenza di questa catastrofe politica è davanti agli occhi di tutti». Ovvero: «Nazismo esplicito da parte di chi ha ridotto la periferia d’Europa a suo protettorato attraverso il debito, con ricorsi storici allarmanti». E poi: «Mutismo o esplicito supporto alla Germania da parte degli altri paesi europei vuoi per opportunismo (nord) o per subalternità (periferia)». E ancora: «Mercati finanziari che celebrano con nuovi massimi la fine della democrazia».La Grecia è tristemente eloquente: «Esproprio del patrimonio nazionale attraverso l’ipoteca di 50 miliardi di euro sui beni greci finiti nel fondo voluto da “Adolf” Schaeuble per passare all’incasso dei suoi crediti di guerra». Nessuna sorpresa: era tutto «studiato, previsto, pianificato nei minimi dettagli», perché «la Germania è sistematica nella sua strategia: prima crea un nuovo precedente e poi lo utilizza nella battaglia successiva imponendo decisioni via via più invasive della democrazia grazie al ‘chi tace acconsente’». Irlanda, Spagna e Portogallo «dovevano dimostrare che il rigore paga, sia in termini di riforme (tassazione per pagare gli interessi sul debito e svalutazione interna attraverso la compressione dei diritti dei lavoratori) che in termini di interessi sul debito riportati a casa e pagati col sangue dei paesi debitori». Per non parlare di Cipro, che «ha dimostrato che i depositi bancari, se serve, si possono attaccare, attingendo così non solo alle tasse sul reddito in nome dell’austerità, ma direttamente al patrimonio privato dei cittadini per ripagare il debito contratto».Con la Grecia, aggiunge il blog di Grillo, l’asticella è stata posta ancora più in alto, al punto di confiscare direttamente il patrimonio pubblico in un fondo la cui sede giuridica Schaeuble voleva inizialmente trasferire addirittura fuori dalla Grecia. «E’ l’Italia il destinatario finale di questi precedenti seminati lungo il percorso dell’euro-debito in nome della presunta irreversibilità dell’euro». E’ inutile far finta di non vederlo, aggiunge Grillo: «La Grecia offre dunque una nuova lezione per l’Italia, da cui faremmo bene ad imparare se vogliamo farci trovare pronti quando arriverà il nostro turno di debitori». Renzi? In questa fase storica è «una minaccia nazionale», perché è «un premier che argomenta bene contro l’austerity, ma che resta negazionista nei fatti sulla Euroexit, a digiuno di economia monetaria e con una strategia politica improvvisata». In altre parole: quello che è valso oggi per Tsipras «varrà domani per Renzi». Attenzione: «Un piano-B di uscita è essenziale per l’Italia, chiunque sia al governo», conclude Grillo. «Con un enorme debito pubblico e una economia manufatturiera orientata all’export è da irresponsabili non farsi trovare pronti ad una eventuale uscita, non necessariamente forzata da noi, ma eventualmente subita da decisioni altrui, visto che nessuno può prevedere il corso degli eventi».Ed è bene «non contare sugli altri», perché «quando arriverà il momento saremo soli». Proprio com’è successo a Tsipras, «che ha sbagliato i suoi conti sperando di trovare sostegno strada facendo dai cugini periferici, che invece si nascondevano nell’ombra del ‘questa volta non tocca a noi’». Secondo Grillo, il referendum proposto dal M5S tramite una legge di iniziativa popolare è «uno strumento essenziale», dal momento che «potrà servire a spiazzare l’avversario e a dare legittimità democratica all’Euroexit». Il leader dei 5 Stelle propone di «usare il nostro enorme debito come minaccia». Lo considera «un vantaggio che ci consente di attaccare al tavolo di ogni negoziazione futura», e non «uno spauracchio da subire per abbozzare alle richieste dei creditori». Questo, aggiunge Grillo, vuol dire «non consentire alcuna ingerenza tedesca nel nostro legittimo diritto di ridenominare il nostro debito in un’altra valuta, se e quando arriverà il momento». Grillo pensa sia anche necessario rafforzare, sa subito, gli istituti di credito italiani, perché «la minaccia di fallimento delle banche e la chiusura dei rubinetti della liquidità è ciò che alla fine ha fatto capitolare Tsipras».Grillo raccomanda addirittura di «prepararsi alla nazionalizzazione delle banche», oltre che «al passaggio ad un’altra moneta». Lo ritiene «il modo per non perdere la prima battaglia che dovremo affrontare quando arriverà il momento di staccarci dal bocchettone della Bce». Ogni piano-B, aggiunge, dovrà quindi prevedere l’introduzione di una moneta parallela, che all’evenienza potrà essere adottata per avviare il processo di uscita in maniera soft. Ancora più insolita l’analisi geopolitica di Grillo, che chiede di «tenere un occhio a Francoforte e l’altro a Washington», accusando direttamente l’élite statunitense di voler tenere in vita l’euro fino all’approvazione europea del Ttip, il trattato con gli Usa ridurranno in schiavitù l’Europa, così come ha finora fatto la Germania con l’arma della moneta unica creata su misura per Berlino. «L’euro e’ ormai una guerra esplicita tra creditori e debitori», chiosa Grillo, ormai allineato – meglio tardi che mai – alla lucida e solitaria denuncia di Barnard, rimasto inascoltato per molti anni.«E’ inutile che il nostro governo si sforzi di apparire schierato dalla parte virtuosa dei vincitori euristi e riformisti: l’euro – insiste il leader del Movimento 5 Stelle – non si può riformare dal suo interno e va invece combattuto dall’esterno, abbandonando questa camicia di forza anti-democratica». Il nostro debito è stato gonfiato dal ricorso alla finanza privata dopo il divorzio fra Tesoro e Bankitalia e poi è definitivamente esploso, restando fuori controllo, con l’adozione rovinosa della moneta “straniera”. La nostra assenza di crescita unita alla deflazione ci collocano a pieno titolo nella categoria degli sconfitti del debito? «Faremmo dunque bene a prepararci, con un governo esplicitamente anti-euro, all’assalto finale del patrimonio degli italiani», conclude Grillo. Patrimonio di famiglie e aziende ormai «sempre più a rischio, se non ci riprendiamo la nostra sovranità monetaria».«Il teatrino dell’euro proseguirà fino a quando lo vorranno gli americani, e cioè fino alla definitiva approvazione del Ttip con cui gli Usa assoggetteranno l’Europa in modo non dissimile da come l’euro ha assoggettato la periferia alla Germania». Otto anni dopo il crack di Wall Street, e a quattro anni di distanza dal funesto avvento di Monti, Beppe Grillo oltrepassa il Rubicone individuando finalmente il “nemico”, quello vero, cioè non la “casta dei ladri, della mafia e degli evasori” con cui il Movimento 5 Stelle ha finora intrattenuto il pubblico italiano. Il nemico è l’euro, l’Unione Europea che lo impone. Ma Bruxelles da sola non conta nulla. E nemmeno la Germania, che è solo il kapò del nuovo ordine europeo fondato sulla crisi, sulla paura e sulla rassegnazione punitiva. Il cervello della piovra è oltre oceano, dietro la maschera di quell’Obama che tanto preme, in ossequio ai suoi padroni, per imporre al vecchio continente la catastrofe del Trattato Transatlantico, grazie al quale gli Stati non saranno più liberi neppure di tutelare la salute dei loro cittadini: se la vedranno con tribunali di parte e avvocati d’affari, col potere di imporre micidiali sanzioni, nel caso avessero la malaugurata idea di proibire business velenosi e ostacolare industrie pericolose.
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Grazzini: euro e Ue sono nostri nemici, ditelo alla sinistra
Il destino della Grecia, dell’Europa e dell’euro si sta svelando in questi giorni. L’Unione Europea usuraia ha imposto la sua brutale autorità umiliando il governo di Alexis Tsipras contro la volontà del popolo greco. Occorre denunciare l’aggressione della Ue e di Berlino alla democrazia in Europa e difendere anche in Italia la sovranità nazionale contro la dittatura economica di un governo europeo che nessuno ha mai eletto. Diventa sempre più indispensabile sganciarsi dai vincoli dell’euro recuperando forme di autonomia monetaria – come suggerisce la proposta di “moneta fiscale” – per superare i limiti della moneta unica che deprimono la nostra economia. Il governo di sinistra di Alexis Tsipras, nonostante il No al referendum, é stato costretto ad accettare un compromesso sul debito secondo molti economisti assai peggiore di quello rifiutato coraggiosamente dal popolo greco con il referendum. Il governo di Berlino, guidato da Angela Merkel e dal duro ministro ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, ha confermato la linea dura dell’austerità folle e suicida, a tutti i costi.Difficilmente la Grecia si risolleverà dalla crisi. Il debito non è stato rimesso alla Grecia, nonostante le illusioni e le sciocche speranze della sinistra nostrana. La Ue ha imposto la sua dittatura usuraia in Europa, e la prossima vittima sacrificale a questa politica di crisi potremmo essere noi. La sinistra ha quindi nuove ed enormi responsabilità nel contrastare la politica Ue e dell’euro. Ma finora è rimasta praticamente impotente e silenziosa di fronte all’attacco europeo alle economie e alle democrazie nazionali. Solo il Movimento 5 Stelle ha denunciato ad alta voce la Unione Europea anti-democratica e la feroce gabbia dell’euro. La sinistra ha finora permesso e tollerato la meschina politica usuraia europea e l’attacco economico alla nostra sovranità nazionale in nome della prospettiva degli Stati Uniti d’Europa, e dei nobili ma sciocchi e illusori ideali sulla Pace Universale. Mentre la destra ha raccolto con crescente successo l’insofferenza, la protesta e la rabbia popolare verso questa Ue che immiserisce i popoli.La sinistra, in nome dell’Europa unita, non ha difeso la sovranità nazionale, ovvero l’unico ambito in cui è ancora possibile la democrazia (in greco: il potere del popolo). La sinistra ha accettato e difeso acriticamente la moneta unica europea, che è di gran lunga la principale espressione della dittatura monetarista e liberista sull’Europa. La sinistra proclama che gli Stati nazionali hanno esaurito il loro compito storico; e che occorre andare a tutti i costi verso l’Europa unita. Invece la democrazia alberga solo negli stati nazionali e certamente non in questa Europa. Solo grazie alla riscossa e all’autonomia nazionale, anche sul piano monetario, potremo uscire dalla crisi economica e rivitalizzare la democrazia. Perché l’Europa rischia di cadere in mano alla destra peggiore e di frantumarsi in mille nazionalismi xenofobi? Perché la destra cresce in Italia con Matteo Salvini, e in Francia con Marine Le Pen, e, in nome della difesa degli interessi nazionali, guadagna il consenso di ampi strati popolari e di lavoratori? Perché invece in Italia la sinistra sul piano politico quasi non esiste più, nonostante le antiche radici e il glorioso passato?La risposta più appropriata è: perché, in nome dell’Europa unita, la sinistra ha di fatto tollerato che si sacrificassero fondamentali interessi popolari. La dura lezione greca dovrebbe aprire finalmente gli occhi alla sinistra italiana ed europea. Per cambiare l’Europa occorre soprattutto rivendicare la sovranità nazionale, cioè il rispetto della democrazia. Le rivendicazioni democratiche e i conflitti sociali nascono innanzitutto dentro i confini nazionali per modificare le leggi e le istituzioni. Le nazioni contano ancora, e sono, e devono continuare ad essere, il luogo dei conflitti sociali, che sono il sale della democrazia. Senza il rispetto delle volontà nazionali e degli Stati nazionali non si costruirà mai l’Europa dei popoli. Nessuno ha voluto sottolineare che Tsipras ha indetto un referendum in Grecia e non un referendum europeo. Tsipras ha tentato legittimamente una via innanzitutto nazionale di uscita dalla crisi europea. Il referendum greco, e speriamo anche quello italiano, se si farà, non sono altro che tentativi di recuperare sovranità nazionale. Invece la nostra sinistra è Europeista, con la E maiuscola. Alimenta l’illusione della democrazia in tutta Europa quando le democrazie nazionali sono calpestate.Chi denuncia solo ed unicamente il pericolo di un ritorno al nazionalismo – come i grandi guru della sinistra europea, come Jurgen Habermas, Christian Marazzi e Etienne Balibar – e suggerisce di proseguire nell’integrazione europea, sperando in un inesistente e impossibile processo di democratizzazione delle istituzioni europee, e affidandosi a inesistenti grandi lotte sociali e politiche di livello continentale (?), si vota all’impotenza e si arrende di fatto all’internazionalismo senza regole del capitale. Infatti non c’è alcuna speranza di modificare istituzioni non elette e non democratiche, intergovernative, come quelle della Ue, dominate dai paesi più forti (Germania in primis) senza passare innanzitutto per le battaglie in favore dell’autonomia nazionale. Senza denunciare apertamente i vincoli della moneta unica si sacrificano la sovranità popolare e la democrazia. La Grecia dimostra che dentro questa Ue e questo euro le sovranità nazionali, la democrazia e la volontà popolare vengono sistematicamente schiacciate. Il nazionalismo tedesco prevale sulla inesistente democrazia europea.La socialdemocrazia è diventata sciovinista. Oggi i maggiori esponenti della potentissima (una volta) socialdemocrazia tedesca, Sigmar Gabriel, vicepremier del governo tedesco, e Martin Schulz, capo del Parlamento Europeo, sparano veleno contro il governo socialista greco assediato dallo strozzinaggio europeo. Il ricco socialismo tedesco attacca con maramaldesca protervia i poveri cugini socialisti greci, e si mostra apertamente sciovinista. Altro che Europa unita! Il socialismo europeo al governo è rappresentato da François Hollande e da Matteo Renzi. Il secondo lo conosciamo, ha seguito tutti i diktat europei sulle riforme strutturali; ma dovrà cercare di svincolarsi dalla mortale stretta tedesca. Renzi è troppo astuto per non sapere che, proseguendo la crisi europea e dell’euro, perderà le elezioni anche lui come tutti gli altri socialisti in Europa. Hollande invece sembra con qualche flebile distinguo il ventriloquo della Merkel.Ma anche la sinistra critica, quella (che fu) radicale e alternativa, quella che si proclama addirittura anti-capitalista, si è condannata all’impotenza perché non ha voluto denunciare e contrastare apertamente questa Unione Europea e la moneta unica. Per vetuste e astratte illusioni europeiste – e forse in parte anche per (insinuano volgarmente i maliziosi) inseguire qualche secondario posticino istituzionale – la sinistra ex radicale persegue con aristocratica nobiltà un’altra Europa, ma si dimentica di denunciare e contrastare questa Europa, l’Europa reale. Ha lasciato alla destra di Matteo Salvini e di Silvio Berlusconi il compito di attaccare l’Unione Europea in difesa degli interessi nazionali. Non a caso Salvini si spaccia come il vero difensore di Tsipras e della Grecia. Ma è un errore mortale cedere la denuncia di questa Ue e di questo euro al populismo sciovinista e xenofobo!Perché in Italia in pochi anni il Movimento 5 Stelle si è legittimamente guadagnato il 25% dell’elettorato, è diventato il secondo partito italiano, mentre la sinistra italiana teme di non superare neppure le soglie di sbarramento? La risposta è: perché questa sinistra corre verso una chimera: gli Stati Uniti d’Europa. Gran parte della nostra morbida intellighenzia di sinistra si limita a chiedere in maniera petulante un’Europa più democratica e cooperativa per riformare l’euro. Senza ottenere ovviamente alcun risultato. La nostra sinistra europeista e aristocratica propone politiche industriali comuni (?), gli eurobond (?), fondi di solidarietà (?), maggiore integrazione verso gli Stati Uniti d’Europa (?). Propone di riformare l’euro e di completare la moneta incompiuta con politiche fiscali comuni. Mentre migliaia di profughi, donne, bambini, uomini innocenti, vengono lasciati affogare nel Mediterraneo e mentre l’Europa a guida tedesca sceglie la politica del confronto/scontro con la Russia dettata dai falchi bellicisti d’oltreoceano, la sinistra chiede di “riformare” la Ue e la Bce.Perfino la Fiom-Cgil di Maurizio Landini, che viene considerata “estremista”, per quanto riguarda l’Europa si limita a chiedere la … riforma della Bce. E’ come chiedere a Berlusconi di approvare una legge severa sulla corruzione e l’evasione fiscale! Lo statuto della Bce è stato fissato a Maastricht. Per statuto la Bce deve preoccuparsi solo dell’inflazione, e non della disoccupazione e dello sviluppo economico; il suo principale azionista è la Germania della Merkel. E noi chiediamo di riformarla? Ma con quale forza? Con quale credibilità? Bisognerebbe rivoluzionare tutti i trattati, Maastricht per primo! Il governo tedesco dominato di Angela Merkel e Sigmar Gabriel non accetterà mai. Perché? Perché non gli conviene!!! Alla Germania, che persegue una politica chiaramente nazionalistica, è utile l’Europa in crisi. Luigi Zingales ha chiarito perfettamente che se scoppia la crisi dell’euro, la Germania pagherà costi assai meno elevati degli altri paesi e nell’immediato ci guadagnerà, perché tutti i capitali correranno verso la nazione più sicura e affidabile, cioè la Germania.Purtroppo la maggior parte della sinistra italiana – a parte le belle e sacrosante parole di solidarietà con il popolo greco, con Siryza e Alexis Tsipras – non ha capito quasi nulla dell’Unione Europea e dell’euro. Non ha compreso che l’Unione Europea intergovernativa, il suo braccio, la Banca Centrale Europea, e la moneta unica, sono diventate il principale strumento di lotta delle nazioni forti contro quelle più deboli, e di lotta di classe della grande finanza speculativa contro i lavoratori e lo stato sociale, grazie all’arma micidiale del debito. Altro che unione dei popoli europei! L’economia tedesca è forte ma la Grecia è stata gettata in miseria. In soli cinque anni l’Italia ha perso il 12% del Pil, il 30% degli investimenti, i redditi sono precipitati ai primi anni ‘90, c’è il 13% di disoccupazione e metà dei giovani non trova lavoro. Un disastro totale. Con la lira è certo che l’economia nazionale non sarebbe mai precipitata così in basso. I lavoratori soffrono e i ricchi diventano sempre più ricchi. Ma la destra avanza e la sinistra arretra. E forse non se ne accorge neppure.La sinistra vive su un altro pianeta. Fa come Totò che, picchiato a sangue da uno sconosciuto, ride contento perché questi si è sbagliato, non voleva colpire lui ma un’altra persona. La sinistra è contenta perché la Ue vuole la democrazia, anche se nei fatti la calpesta. Così difende le istituzioni (mai elette) della Ue invece di combatterle. La moneta unica é il problema dell’Europa malata. La sinistra (anche e soprattutto quella marxista) non ha capito una questione fondamentale. La moneta non è neutra, è centrale sia nel campo finanziario che in quello politico. La sinistra italiana non ha capito quanto per Keynes la moneta fosse l’elemento centrale dell’economia, soprattutto in tempi di crisi. Per la sinistra italiana invece il problema dell’euro è secondario. La sinistra più boriosa indica con sussiego che i problemi dell’Italia sono “ben più profondi”, sono strutturali, la moneta è un epifenomeno, in fondo l’euro può essere lasciato così, la lotta di classe riguarda l’economia reale, il resto è sovrastruttura.Invece la moneta unica è il problema centrale dell’Europa. La moneta unica non solo non permette svalutazioni – ovvero i normali riallineamenti competitivi – ed esalta gli squilibri commerciali, e quindi alimenta i debiti delle nazioni meno competitive. Soprattutto l’euro non consente di attuare manovre espansive, cioè di “riparare le crisi” come proponeva Keynes. L’euro è il bazooka usato dal governo tedesco Merkel-Gabriel e dalla Ue per abbattere le resistenze delle nazioni che, come la Grecia, cercano di opporsi all’austerità senza fine. Avere ceduto la propria moneta nazionale a istituzioni tecnocratiche non elette e non democratiche è stato un errore madornale. Senza autonomia monetaria non esiste possibilità di fare politiche autonome di bilancio e quindi i parlamenti eletti dal popolo contano poco o nulla. La democrazia è in pericolo.La moneta unica provoca l’immiserimento forzato dei paesi periferici strangolati dai debiti. Purtroppo l’euro è una trappola nella quale è facile entrare ma dalla quale è difficile uscire. Nonostante quello che predicano Salvini, Grillo e Borghi, uscire dall’euro è quasi impossibile per molti motivi tecnici, economici, politici e geopolitici, e perché metà della popolazione non vuole l’uscita. L’euro è la seconda valuta mondiale di riserva e l’uscita unilaterale scatenerebbe tutti contro di noi, Usa, Russia, Cina e paesi emergenti. Uscire dall’euro non è facile e immediato come è stato uscire dal Sistema Monetario Europeo e ritornare alla lira. Occorre trovare altre forme di “moneta democratica” per sfuggire alla depressione dell’euro.La tecnocrazia Ue può funzionare solo in quanto strumento (con poca autonomia) degli Stati egemoni e delle élite politiche e finanziarie dominanti. L’euro è una moneta concepita a Maastricht secondo i criteri del marco tedesco ed è diventato il principale strumento dell’egemonia tedesca sull’Europa e della sua politica nazionalistica. Gli stati nazionali sono ancora l’unico luogo in cui si può ancora esprimere la democrazia. Gli stati nazionali non sono ferrivecchi da buttare in nome dell’internazionalismo (del capitale!). Anzi: è necessario difendere e sviluppare l’autonomia e la democrazia nazionale. Le istituzioni europee non sono elette e non sono sottoposte a nessun controllo dei cittadini. Quelle nazionali, bene o male, sì. Occorre promuovere un nazionalismo democratico di sinistra, ovvero la difesa degli interessi nazionali sia a livello economico, industriale, che monetario e politicoDi fronte al precipitare della crisi occorre una svolta di politica economica, decisa e concreta. Occorre sganciarsi per quanto possibile dalla dittatura dell’euro, senza tuttavia uscire dall’euro. Questo è il senso della proposta di Moneta Fiscale proposta da Luciano Gallino e da altri economisti. Vogliamo che lo Stato italiano decida di emettere e distribuire gratuitamente ai lavoratori e alle aziende un titolo fiscale utilizzabile come credito sulle tasse dopo due anni dall’emissione, ma subito convertibile in euro, come qualsiasi altro titolo di Stato. Grazie alla diffusione gratuita di titoli/moneta per decine di miliardi aumenterebbe il potere d’acquisto delle famiglie, crescerebbero i consumi e gli investimenti delle aziende. Usciremmo dalla trappola della liquidità che blocca l’economia. Si tratta della possibilità di rilanciare l’economia italiana con una manovra monetaria e fiscale espansiva e democratica, decisa autonomamente dal Parlamento e dal governo italiano, senza tuttavia contravvenire e contrastare direttamente i trattati e i regolamenti vigenti nell’Eurozona. Senza uscire dall’euro, perché un’uscita unilaterale sarebbe, almeno attualmente, disastrosa e dividerebbe il popolo italiano.(Enrico Grazzini, estratti da “Le illusioni europeiste della sinistra e la dittatura della Ue”, da “Micromega” del 13 luglio 2015).Il destino della Grecia, dell’Europa e dell’euro si sta svelando in questi giorni. L’Unione Europea usuraia ha imposto la sua brutale autorità umiliando il governo di Alexis Tsipras contro la volontà del popolo greco. Occorre denunciare l’aggressione della Ue e di Berlino alla democrazia in Europa e difendere anche in Italia la sovranità nazionale contro la dittatura economica di un governo europeo che nessuno ha mai eletto. Diventa sempre più indispensabile sganciarsi dai vincoli dell’euro recuperando forme di autonomia monetaria – come suggerisce la proposta di “moneta fiscale” – per superare i limiti della moneta unica che deprimono la nostra economia. Il governo di sinistra di Alexis Tsipras, nonostante il No al referendum, é stato costretto ad accettare un compromesso sul debito secondo molti economisti assai peggiore di quello rifiutato coraggiosamente dal popolo greco con il referendum. Il governo di Berlino, guidato da Angela Merkel e dal duro ministro ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, ha confermato la linea dura dell’austerità folle e suicida, a tutti i costi.
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Giannuli: paura di agire, Syriza e Podemos come i riformisti
Nessuno si stupisca se, negli ultimi decenni, tocca sempre al centrosinistra fare il “lavoro sporco”, che – se gestito da destra – provocherebbe rivolte: non a caso, col Jobs Act, è stato il Pd renziano a rottamare lo Statuto dei Lavoratori, obbiettivo solo e sempre sognato dal “truce” Cavaliere, contro il quale si sarebbero scatenati sinistra e sindacati. Compressione dei salari, tagli alle pensioni, erosione costante e continua del welfare: è l’applicazione del vecchio “Tina” della Thatcher, “there is no alternative”. Chi può persuadere le masse popolari? Non il centrodestra, ma la sinistra ufficiale – dall’Italia fino alla Grecia di Tsipras. Il che non deve sorprendere: la socialdemocrazia ha rivelato, storicamente, di non essere in grado di gestire nessuna crisi grave, ma solo di limitare i danni “in tempo di pace”. Lo afferma Aldo Giannuli, storico e politologo dell’ateneo milanese. «Quel che resta della sinistra europea (salvo nicchie occasionali di aree radicali, peraltro, non sempre molto aggiornate) ormai si divide fra un’ala neoliberista appena mascherata che va sotto il nome di “Internazionale Socialista”, o socialdemocrazia, e una sinistra che si dice radicale (Sel, Rifondazione, Syriza, Linke e, per certi versi Podemos) ma che, in realtà, è una pallida sinistra socialdemocratica».Nel suo saggio “Il più grande crimine”, Paolo Barnard spiega che, senza la collaborazione organica dei dirigenti della sinistra europea – partiti e sindacati – l’élite neoliberista non sarebbe mai riuscita a imporre la gigantesca restaurazione sociale, di cui oggi stiamo pagando il prezzo, progettata da Wall Street già all’inizio degli anni ‘70 col Memorandum di Lewis Powell: stroncare la sinistra radicale e “comprare” i leader della sinistra moderata, in modo che spacciassero per “riforme” l’abrogazione progressiva dei diritti dei lavoratori, dopo decenni di storiche conquiste. Di lì, a seguire: il neoliberismo come pensiero unico, imposto dal Wto e dai trattati internazionali (Europa in primis), governato da potentissimi organismi lobbistici (Commissione Trilaterale, Bilderberg, Forum di Davos) e imposto, come dogma, a partire dalle università e dai media. Lo Stato è un’inutile orpello, solo il Mercato ha sempre ragione. E quindi, globalizzazione delle merci, dei capitali, della forza lavoro, con la finanziarizzazione dell’economia e la privatizzazione della finanza pubblica. Risultato: delocalizzazioni, disoccupazione, spirale di crisi senza vie d’uscita. E la sinistra dov’era? E’ stata “comprata”, dice Barbard: cooptata dal potere. Per la verità, aggiunge lo storico Giannuli, la sinistra riformista aveva già dato pessime prove, prima ancora dell’assalto finale del grande capitale finanziario.«Per capirlo – scrive Giannuli nel suo blog – è utile fare un passo indietro di quasi un secolo e mezzo». Al suo sorgere, ricorda il professore, il movimento socialista fu tutto rivoluzionario e antisistema (salvo gli inglesi, che sono sempre stati riformisti), tanto in Francia quanto in Italia, in Spagna e in Germania. «La svolta venne dopo il 1871, con la repressione della Comune di Parigi: un massacro di ferocia senza precedenti, con migliaia di comunardi fucilati o deportati. Lo shock fu molto forte e se, in seguito, questo spingerà le frange più di sinistra sulla strada dell’insurrezione armata ma preparata scientificamente (il leninismo, in primo luogo), nell’immediato la lezione venne vissuta piuttosto come un perentorio invito alla moderazione». La vittoria degli orientamenti riformisti, prima di tutto in Francia e Germania, poi in Italia e Spagna, venne fra gli anni ‘70 e i primi ‘90, proprio sulla base della riflessione sul tragico esito della Comune. «Parve che la via elettorale e riformista fosse una manifestazione di saggezza: scambiare la velocità del processo con la solidità dell’avanzata, e la sicurezza di non dover affrontare una repressione di quella gravità».Lo stesso Engels, nell’ultimo decennio della sua vita (Marx era morto nel 1883) fu molto cauto nel criticare questi orientamenti. Peraltro il clima culturale, dominato dall’evoluzionismo positivista, assecondava e sosteneva questo corso di cose: la storia aveva una sua direzione di marcia, dominata dalla legge fatale dell’evoluzione, che avrebbe spinto “naturalmente” il socialismo verso la vittoria. «Ne derivò una idea della lotta politica senza “salti”, come la natura; pertanto ogni rottura era rifiutata come un’avventura foriera di gravi pericoli. Sfortunatamente, non è vero che “natura non facit saltus”, e tantomeno la storia e la politica». Al contrario: «Esistono, quei salti, che dopo abbiamo imparato a chiamare “biforcazioni catastrofiche”, e la riprova venne subito con la crisi finanziaria del 1907, con la I guerra mondiale, con il fascismo, con la crisi del 1929… Tutti fenomeni che la socialdemocrazia non capì e non seppe affrontare: di fronte alla guerra si piegò anche a votare i crediti di guerra, poi di fronte alla crisi del dopoguerra non seppe lontanamente che fare».In Italia, il leader socialista Filippo Turati «non capì nulla del fascismo, e così i capi della socialdemocrazia tedesca di fronte al nazismo». La sconfitta del movimento operaio? «Fu equamente responsabilità delle impazienze del movimento comunista (per tutte ricordiamo l’insurrezione spartachista)», quella di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, «e delle “prudenze” della socialdemocrazia». Da allora, riassume Giannuli, «tutte le volte che un partito del movimento operaio si è trovato ad affrontare una lunga guerra di posizione è impercettibilmente scivolato in una sonnolenta routine riformista che lo ha reso incapace di riconoscere i momenti di crisi». Motivo: «Il riformismo, più o meno socialdemocratico, è pensiero politico adatto ai momenti ordinari della vita politica. Ma quando arrivano i momenti di crisi del sistema, la socialdemocrazia, essendo interna al sistema stesso, non riesce a rendersene conto e regolarmente finisce travolta più degli altri, non avendo, come i liberali, il sostegno dei poteri forti». In altre parole, «un socialdemocratico si riconosce da una cosa: che vuol fare la frittata, ma ha paura di rompere le uova. Il guaio è che quando arriva una crisi di sistema si solleva un’ondata di protesta popolare e, se a dirigerla non sei tu, lo farà un altro. Che è precisamente quello che sta accadendo».Giannuli è pessimista: «La crisi finanziaria, che è diventata crisi dell’economia reale e sta diventando crisi dell’ordine politico militare, ormai è iniziata da sette anni (forse direi otto), e le sinistre sedicenti anti-sistema (dal “Front de Gauche” alla Linke, dalla sinistra arcobaleno a “Izquierda unida”) che, in teoria avrebbero dovuto avvantaggiarsene, in realtà sono andate in crisi, hanno perso voti e in qualche caso (come l’Italia) sono proprio scomparse, mentre montano fenomeni populisti che ne coprono lo spazio». E quello che colpisce, continua Giannuli, è che militanti e dirigenti di questi partiti non si chiedano minimamente il perché dei loro insuccessi e dei successi altrui. «Hanno fatto eccezione sinora Syriza e Podemos, perché non sono stati percepiti partiti di sistema, ma aspettate che venga fuori la loro natura sostanzialmente socialdemocratica e vedrete». E il M5S? «E’ un movimento in bilico che fa un po’ eccezione, ma prima o poi dovrà misurarsi anche lui con le dinamiche della crisi». Morale: «A volte è l’essere troppo prudenti ad essere la posizione meno realistica».Nessuno si stupisca se, negli ultimi decenni, tocca sempre al centrosinistra fare il “lavoro sporco”, che – se gestito da destra – provocherebbe rivolte: non a caso, col Jobs Act, è stato il Pd renziano a rottamare lo Statuto dei Lavoratori, obbiettivo solo e sempre sognato dal “truce” Cavaliere, contro il quale si sarebbero scatenati sinistra e sindacati. Compressione dei salari, tagli alle pensioni, erosione costante e continua del welfare: è l’applicazione del vecchio “Tina” della Thatcher, “there is no alternative”. Chi può persuadere le masse popolari? Non il centrodestra, ma la sinistra ufficiale – dall’Italia fino alla Grecia di Tsipras. Il che non deve sorprendere: la socialdemocrazia ha rivelato, storicamente, di non essere in grado di gestire nessuna crisi grave, ma solo di limitare i danni “in tempo di pace”. Lo afferma Aldo Giannuli, storico e politologo dell’ateneo milanese. «Quel che resta della sinistra europea (salvo nicchie occasionali di aree radicali, peraltro, non sempre molto aggiornate) ormai si divide fra un’ala neoliberista appena mascherata che va sotto il nome di “Internazionale Socialista”, o socialdemocrazia, e una sinistra che si dice radicale (Sel, Rifondazione, Syriza, Linke e, per certi versi Podemos) ma che, in realtà, è una pallida sinistra socialdemocratica».
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Anche Tsipras al soldo dell’euro-terrorismo che ci devasta
Tsipras bifronte, eroe della liberazione greca o subdolo agente dei banchieri europei? Il debito pubblico greco è piccolo, circa 323 miliardi; perciò, vi dicono, non è grave se la Grecia lascia l’euro e se esso viene svalutato o ridenominato in dracme. Questa rassicurazione è menzognera perché i titoli di questo debito, in sé piccolo, sono usati come base per una moltiplicazione finanziaria di molte volte; inoltre, vi è una grossa massa di contratti derivati, indicizzati al titolo greco; il totale potrebbe superare i 2.000 miliardi. Perciò una svalutazione di quei titoli o una loro ridenominazione in dracme avrebbe un impatto molto forte, forse catastrofico, o destabilizzante per il business finanziario globale. E tutto questo vale per il Btp italiano molto più che per il debito greco, dato il rapporto quantitativo. Ho spiegato più approfonditamente queste cose nel mio recente, breve saggio “Sottomissione Finanziaria”, in questo blog. Ecco spiegata una buona ragione per trattenere nell’euro paesi che avrebbero bisogno ad uscirne. Una ragione che non viene resa nota all’opinione pubblica, ma che determina le scelte politiche dei suoi governanti, burattini del potere bancario.Negli anni ’70, i nostri governanti ci imposero le targhe alterne, cioè ci fecero provare il disagio della privazione dell’automobile, la paura di perdere un sistema di vita basato su di essa, per indurci ad accettare forti rincari dei prezzi dei carburanti a beneficio dei petrolieri – il tutto dietro il pretesto del risparmio energetico, che non ci fu. E anche quella veniva chiamata “austerity”! Analogamente, Tsipras forse sta usando la stessa tecnica psicopolitica per far accettare ai greci le condizioni dei padroni-beneficiari dell’euro: indice il plebiscito per lasciare al popolo la responsabilità della scelta se accettarle o no, ma condiziona per il sì questa scelta facendo provare alla gente la paura e il disagio della chiusura bancaria e della privazione dei soldi: se voteranno sì, la buona Europa concederà gli aiuti e tutto tornerà normale. Normale per un po’, perché gli effetti macroeconomici e strutturali dell’euro, cioè la divaricazione progressiva delle economie, in un anno circa riproporrebbero il problema.Sussiste un preciso elemento indiziario che suggerisce che Tsipras in realtà stia facendo il doppio gioco al servizio dei padroni dell’euro e della grande finanza nel senso suddetto, anziché per i greci – un elemento che ha in comune con Grillo e con Iglesias, l’economista spagnolo leader del partito “Podemos”: tutti e tre, in fondo, agiscono da neutralizzatori del dissenso, cercano di tenere nell’euro i loro rispettivi paesi ed evitando di parlare sia della realtà indicata nel primo paragrafo di questo articolo, sia e soprattutto della radice ultima dei problemi monetari e finanziari, ossia del fatto che usiamo una moneta creata interamente (quasi) dalle banche con operazione di prestito-indebitamento, quindi che siamo tutti (escluse le banche) impegnati nell’assurdo compito di estinguere i debiti con denaro preso a debito, e soprattutto del fatto che questo sistema è creato e imposto da una classe globale di soggetti che hanno il potere di creare e far accettare, a costo zero e senza produrre beni reali, moneta contabile, con cui comprano o finanziano (cioè indebitano) praticamente tutto e tutti, incluse le istituzioni e la politica, come ho spiegato nel mio recente articolo “La macchina del destino”. E che è questa classe sociale a governare l’Occidente. Incontrastata e irresponsabile.L’euro stesso è un sistema con cui i paesi forti (soprattutto la Germania) si fanno banchieri dei paesi “eurodeboli” (soprattutto l’Italia), accumulando crediti verso di loro, sottraendogli liquidità con gli interessi e l’imposizione di avanzi primari, e imponendo loro misure recessive che li indeboliscono ulteriormente nell’economia reale e nella competitività internazionale. Alla fine conseguono il pieno controllo di questi paesi, così come le banche conseguono il controllo delle aziende che dipendono da esse per tirare avanti. E’ un sostituto della conquista militare dei secoli scorsi. La Bce, con le sue misure di sostegno (acquisti massicci di debito pubblico dei paesi eurodeboli sui mercati secondari), in realtà svolge il còmpito di mascherare tale processo di demolizione pilotata, per rendere possibile il suo completamento. Una Bce che, mediante tali acquisti, assicura il rifinanziamento del debito pubblico a tassi minimi a paesi con un rating da spazzatura, e che quindi sarebbe logico e sano che divenissero insolventi, è come un medico che mantiene in vita una persona mediante una macchina di supporto vitale, mentre un altro le espianta gli organi, e l’imbonitore di turno chiama questo espianto “riforme” e “risanamento”, e dice che grazie ad esse il paziente è oramai fuori pericolo e si è riguadagnato rispetto, autorevolezza e fiducia sui mercati. Cerca persino (invano), attraverso il quantitative easing, di dare l’impressione di una ripresa reale.Non è fuori pericolo: se togliessimo all’Italia il sostegno artificiale e anti-mercato della Bce, i tassi (rectius: i rendimenti) schizzerebbero alle stelle e l’Italia tornerebbe alla lira. Ma tornerebbe ad essa indebolita dall’azione di governi che, col pretesto del risanamento, hanno tagliato le gambe sua economia in modo strutturale (chiusure aziendali, disoccupazione, indebitamento, emigrazione dei migliori), difficilmente reversibile, portando la pressione fiscale sulle aziende al 70%, ossia a livelli tali da renderle non competitive rispetto alla concorrenza straniera. Per non parlare del differenziale dei costi energetici.(Marco Della Luna, “Tsipras bifronte” dal blog di Della Luna del 30 giugno 2015).Tsipras bifronte, eroe della liberazione greca o subdolo agente dei banchieri europei? Il debito pubblico greco è piccolo, circa 323 miliardi; perciò, vi dicono, non è grave se la Grecia lascia l’euro e se esso viene svalutato o ridenominato in dracme. Questa rassicurazione è menzognera perché i titoli di questo debito, in sé piccolo, sono usati come base per una moltiplicazione finanziaria di molte volte; inoltre, vi è una grossa massa di contratti derivati, indicizzati al titolo greco; il totale potrebbe superare i 2.000 miliardi. Perciò una svalutazione di quei titoli o una loro ridenominazione in dracme avrebbe un impatto molto forte, forse catastrofico, o destabilizzante per il business finanziario globale. E tutto questo vale per il Btp italiano molto più che per il debito greco, dato il rapporto quantitativo. Ho spiegato più approfonditamente queste cose nel mio recente, breve saggio “Sottomissione Finanziaria”, in questo blog. Ecco spiegata una buona ragione per trattenere nell’euro paesi che avrebbero bisogno ad uscirne. Una ragione che non viene resa nota all’opinione pubblica, ma che determina le scelte politiche dei suoi governanti, burattini del potere bancario.
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Renzi consegna la Cdp ai registi della svendita dell’Italia
Il lato oscuro del “rottamatore”: Cassa Depositi e Prestiti in mano a Goldman Sachs. Con un atto d’imperio il premier ha imposto le dimissioni a Franco Bassanini, presidente di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), sostituendolo con Claudio Costamagna. L’ex-rottamatore ha deciso di entrare nel valzer delle nomine pubbliche minacciando di commissariare il Consiglio d’Amministrazione di Cdp e ottenendo, dopo lunghe trattative, la nomina del suo candidato. Claudio Costamagna ha un lungo passato in Goldman Sachs, una delle banche d’investimento e di consulenza finanziaria più grandi del mondo, che ha visto fra i suoi consulenti Mario Draghi, Romano Prodi e Mario Monti. Si aggiunga che Costamagna siede tuttora in diversi consigli di amministrazione di società quali Luxottica ed è presidente di Salini-Impregilo. Non manca un legame molto solido con l’Università Bocconi, che Costamagna ha il compito di “indirizzare verso l’internazionalizzazione” e dalla quale è stato eletto nel 2004 “uomo bocconiano dell’anno”.Perché nominare presidente di una società a controllo pubblico un uomo cresciuto negli ambienti della finanza e della grande industria privata? La risposta può trovarsi nel curriculum di Costamagna, che nel giugno 1992 ha partecipato alle famose riunioni segrete sul panfilo Britannia al largo di Civitavecchia, nelle quali banchieri anglo-americani e uomini pubblici e privati italiani decisero la linea di privatizzazioni delle aziende strategiche nazionali portata poi avanti col contributo decisivo di Romano Prodi. Claudio Costamagna è l’ultimo cavallo di Troia dell’economia italiana. Il boccone prelibato consiste nelle residue aziende strategiche a controllo pubblico, come Eni e le sue controllate, Enel e Finmeccanica, per ricordare solo le principali. Al di là delle dichiarazioni di circostanza, a confessare i reali propositi di questo commissariamento è lo stesso presidente del Consiglio, quando afferma che «l’Italia si trova oggi a un passaggio decisivo per la ripresa. Le riforme strutturali, l’attrazione degli investimenti, e una politica di bilancio basata sul taglio delle tasse sul lavoro stanno riportando il Paese alla crescita. In questo contesto il rafforzamento del ruolo di Cdp risulta ancora più cruciale».È la solita retorica governativa: l’Italia non crescerà sostenendo i redditi e creando lavoro, ma aprendosi allegramente agli investimenti esteri che, tradotto, significa cedere le eccellenze italiane e i settori strategici al profitto estero. D’altra parte basta guardare la parabola discendente della stessa Cassa Depositi e Prestiti. Nel 2003 è stata trasformata da ente di diritto pubblico in società per azioni, negli anni successivi il 18,4% delle sue azioni è passato nelle mani di diverse fondazioni bancarie che già oggi ne condizionano la politica, e negli ultimi anni, attraverso il Fondo Strategico Italiano (Fsi), ha stretto rapporti con fondi sovrani esteri che hanno cominciato a scalare le nostre società controllate dallo Stato. Al culmine della lunghissima crisi provocata dal casinò finanziario, il nostro premier rincara la dose e affida 250 miliardi di risparmi postali dei cittadini italiani all’ennesimo uomo del destino che svenderà i nostri gioielli nazionali per un piatto di lenticchie. “Ahi serva Italia, di traditori ostello”.(M5S Parlamento, “Cdp in mano a Goldman Sachs”, dal blog di Beppe Grillo del 22 giugno 2015).Il lato oscuro del “rottamatore”: Cassa Depositi e Prestiti in mano a Goldman Sachs. Con un atto d’imperio il premier ha imposto le dimissioni a Franco Bassanini, presidente di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), sostituendolo con Claudio Costamagna. L’ex-rottamatore ha deciso di entrare nel valzer delle nomine pubbliche minacciando di commissariare il Consiglio d’Amministrazione di Cdp e ottenendo, dopo lunghe trattative, la nomina del suo candidato. Claudio Costamagna ha un lungo passato in Goldman Sachs, una delle banche d’investimento e di consulenza finanziaria più grandi del mondo, che ha visto fra i suoi consulenti Mario Draghi, Romano Prodi e Mario Monti. Si aggiunga che Costamagna siede tuttora in diversi consigli di amministrazione di società quali Luxottica ed è presidente di Salini-Impregilo. Non manca un legame molto solido con l’Università Bocconi, che Costamagna ha il compito di “indirizzare verso l’internazionalizzazione” e dalla quale è stato eletto nel 2004 “uomo bocconiano dell’anno”.
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Orso: rabbia e odio esploderanno, al rogo servi e traditori
Più passa il tempo, più le osservazioni della realtà socio-politica italiana ed europea mediterranea mi spingono a trarre una sola conclusione: ci sarà una Rivoluzione, forse un dì ma non ora, e sarà inevitabilmente sanguinosa, con un tasso altissimo di violenza per regolare conti, sociali e politici, rimasti troppo a lungo in sospeso. Non so come e non so chi la farà, quella benedetta Rivoluzione, ma ci saranno grandi e catartici spargimenti di sangue, perché le abbiette falangi del collaborazionismo neoliberista avranno imperversato per interi lustri incontrastate, vessando e addirittura torturando le popolazioni. Rabbia e odio da troppo covano sotto le ceneri, senza trovare uno sfogo, mescolate a un senso diffuso di abbandono a se stessi, di concreta impotenza politica, d’impossibilità di determinare il proprio futuro. C’è la schizofrenia, suscitata ad arte dal sistema, di una realtà “reale” completamente divergente da quella virtuale dipinta dai media. Ci sono prigioni dai muri altissimi, conseguenza del ricatto economico, della paura di “fallire” individualmente e degli stili di vita truffaldini imposti in un habitat neocapitalistico.Il darwinismo sociale più feroce fa da contraltare ai risibili e vuoti diritti liberaldemocratici, mantenuti in vita propagandisticamente. La competizione pleistocenica fra dominati, per la pagnotta, che il dominio del mercato ha scatenato non porta alla civiltà, ma al suo esatto contrario. Darwinismo sociale senza welfare e competizione esasperata per una “pagnotta” sempre più misera sono il destino delle classi dominate, come in tanti, pur confusamente, dovrebbero aver intuito. Le “aspettative decrescenti” si sostituiscono prepotentemente, se permane in chi giudica un po’ di senso della realtà, a quelle crescenti di fine novecento, mentre procede il grande travaso di risorse dal lavoro (e dal piccolo capitale produttivo) al grande capitale finanziario. Nel nostro lembo d’Occidente, l’euro ha proprio questa specifica funzione di esproprio e impoverimento massivo. Grecia, Portogallo e persino Italia non dovrebbero più esistere, secondo la classe globale dominante che manovra la Troika, perché inutili alla creazione del valore finanziaria, azionaria e borsistica.Lo smottamento sociale continua, “ma il Re del Mondo ci tiene prigioniero il cuore” [“Il Re del Mondo”, Franco Battiato]. I mendicanti di Baudelaire, nel ventre della Parigi ottocentesca, avevano migliori prospettive dei nostri precari alla canna del gas. Distrutto il futuro e ottenebrate le menti, il neocapitalismo finanziario gestisce attraverso il mercato la politica, l’alimentazione, la biologia, la chimica, le nanotecnologie, la balistica, la teologia. Una superfetazione finanziaria, che esplode periodicamente in bolle e travolge i confini e le resistenze, rischia di annichilire il pianeta. La trasformazione dell’uomo è in pieno corso, ed è una diminuzione senza scampo. Magari fosse soltanto il passaggio da consumatore/produttore a precario/escluso, o la discesa in una nuova classe inferiore, nella parte più bassa della piramide sociale. “Sotto il mare sta cambiando la mia struttura e il mio corpo è sempre più uguale ai pesci. I miei capelli diventano alghe” [“Plancton”, Franco Battiato].E’ L’Italia che sconta la peggior manipolazione culturale-antropologica delle neoplebi precarie, sorta di futuri “schiavi autosussistenti” (che dovranno badare da soli alla propria sopravvivenza, pur essendo schiavi, senza alcun intervento del padrone) costretti a lavorare o semplicemente a campare con 400 euro il mese, o anche di meno. I segnali sono evidenti, perché è qui che si afferma senza contrasti la sinistra neoliberista più forte d’Europa (piddì), al soldo di Goldman Sachs e di Soros, non ci sono sommosse sociali, disordini di piazza, movimenti extraparlamentari apertamente contro, attivi e inquieti. C’è soltanto il nulla della dominazione neocapitalistica, condito con uno dei più alti tassi di corruzione del mondo (e le due cose sono collegate). Sarà l’Italia il banco di prova importante, in Occidente, del trionfo neocapitalista, perché non basterà la trasformazione in semi-Stato, espropriato di qualsivoglia sovranità e retto da infami collaborazionisti subpolitici (piddì). Si arriverà allo stadio finale, attraverso il commissariamento definitivo a cura della Troika e un esecutivo “ponte”, nominato ed esplicitamente straniero. Preludio alla dissoluzione finale delle istituzioni e al dominio dei “mercati & investitori”, esercitato in loro nome e per loro conto dagli organi sopranazionali della mondializzazione.I collaborazionisti subpolitici serviranno ancora all’inizio dello stadio finale, per ratificare in Parlamento le decisioni prese dalle élite. Questo sarà il misero ruolo, prima della sua scomparsa, della “sinistra più forte d’Europa” (piddì). Non “Romperemo l’asfalto con dei giardini colorati” [“Paranoia”, Franco Battiato], perché il riscatto sarà duro e difficile, soprattutto se il “risveglio” avverrà fuori tempo massimo. Dopo lustri d’inerzia della popolazione, torturata dai servi del grande capitale finanziario (sinistra neoliberista, piddì) e ingannata da gruppi parlamentari d’opposizione politicamente corretta (cinque stelle), dopo la latitanza di nuove élite rivoluzionarie disposte a rischiare per scardinare il sistema, la Rivoluzione in extremis (in punto di morte, letteralmente) se ci sarà non potrà che essere violentissima, costellata di roghi e di stragi di collaborazionisti, catartica come non mai, ma sommamente incerta negli esiti. Le masse straccione mosse dalla rabbia non saranno i mugik di Lenin, ma ci assomiglieranno un po’, complice la fame (quella vera) che farà capolino fra un po’, nell’Italia che si avvicinerà alla Grecia.Saranno, costoro, più feroci dei contadini poveri dell’Ottobre Rosso, nel remoto 1917, perché in una sola generazione avranno perso troppo – lavoro, reddito, futuro, dignità e diritti, cose che i contadini russi del ’17 non avevano e non si sognavano neppure. Non mi azzardo a prevedere quanti anni ci vorranno ancora (forse un lustro?) perché la corda sia ben tesa, tanto da rompersi. Non so quali gruppi e quali forze politico-sociali guideranno le masse inferocite, e con quali programmi alternativi (keynesiano dirigista-assistenziale, neocomunista?). Di certo non saranno quelli che vediamo oggi, alla guida di opposizioni finte e vigliacche – Landini, Civati, Vendola, Fassina, Cuperlo, in una la “sinistra radicale” – semplicemente inutili – il cinque stelle, Di Maio, Di Battista – o deboli perché prigioniere della liberaldemocrazia – nel nostro caso Salvini. Forse stanno aspettando, nell’ombra, ancora inconsapevoli del ruolo che affiderà loro la storia, o forse lasceranno l’opposizione debole, ingabbiata dal sistema, per seguire altre strade, più radicali e cruente. Dalle opposizioni finte e vigliacche e da quelle inutili, invece, non dovremo aspettarci niente di buono. Andranno rapidamente verso l’estinzione.(Eugenio Orso, “Una rivoluzione sanguinosa”, da “Pauper Class” del 7 giugno 2015).Più passa il tempo, più le osservazioni della realtà socio-politica italiana ed europea mediterranea mi spingono a trarre una sola conclusione: ci sarà una Rivoluzione, forse un dì ma non ora, e sarà inevitabilmente sanguinosa, con un tasso altissimo di violenza per regolare conti, sociali e politici, rimasti troppo a lungo in sospeso. Non so come e non so chi la farà, quella benedetta Rivoluzione, ma ci saranno grandi e catartici spargimenti di sangue, perché le abbiette falangi del collaborazionismo neoliberista avranno imperversato per interi lustri incontrastate, vessando e addirittura torturando le popolazioni. Rabbia e odio da troppo covano sotto le ceneri, senza trovare uno sfogo, mescolate a un senso diffuso di abbandono a se stessi, di concreta impotenza politica, d’impossibilità di determinare il proprio futuro. C’è la schizofrenia, suscitata ad arte dal sistema, di una realtà “reale” completamente divergente da quella virtuale dipinta dai media. Ci sono prigioni dai muri altissimi, conseguenza del ricatto economico, della paura di “fallire” individualmente e degli stili di vita truffaldini imposti in un habitat neocapitalistico.
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Podemos e la resa di Draghi, sta iniziando la fine dell’Ue?
Nella settimana scorsa ci sono state quattro notizie che hanno rivelato quanto sia profonda la crisi della Ue: la dichiarazione di Draghi “l’Euro non è più scontato”; la vittoria di “Podemos” in Spagna; la vittoria dei nazionalisti in Polonia; l’altalena del default greco. Iniziamo dalla prima: Draghi dice che se la tendenza a divaricare dei paesi dell’Eurozona dovesse proseguire, l’euro non sarebbe più sostenibile, non solo economicamente, ma anche politicamente e socialmente. Ma no!? Ma non mi dire! Chi lo avrebbe mai detto?! Insomma, l’euro è una architettura che non può resistere ancora a lungo alle tendenze divaricanti dell’Europa, e si approssima il momento dei conti. Ovviamente la ricetta di Draghi è la più scontata: armonizzare con le riforme la struttura sociale dei paesi dell’Unione, dove per riforme si intende essenzialmente il taglio delle pensioni, il peggioramento delle prestazioni sociali (sanità, istruzione) e la fine tendenziale della loro gratuità o del loro prezzo politico. Però… mai che si parli di armonizzare le norme fiscali …chissà perché?!Ovviamente la notizia non è quel che dice Draghi, che a questo punto è una banalità, ma che a dirlo sia lui, il gran sacerdote dell’euro. Significa che anche ai piani alti del Palazzo si iniziano a sentire gli scricchiolii della costruzione e si inizia ad ammettere che tutto possa crollare. In effetti le due notizie di Spagna e Polonia dicono proprio questo: che, se il fine dell’euro era la convergenza delle economie europee, l’operazione è fallita ed iniziano ad esserci i contraccolpi politici. Si badi che i due risultati contemporanei di Madrid e di Varsavia non delineano affatto una tendenza omogenea: hanno in comune il malessere nei confronti di questa costruzione tecnocratica e antipopolare che è la Ue, ma poi prendono strade a loro volta divaricanti, in base alla diversa posizione economico finanziaria del paese. L’ordine neoliberista, di cui la velleitaria costruzione europea è espressione nel nostro continente, si è imposto come unico assetto legittimo dei poteri, si è espresso nella dittatura del pensiero unico, ma questo ha finito per precludere la strada ad ogni ricambio interno: è la dittatura dell’esistente, che non immagina altro ordine possibile diverso da sé.Ma questo provoca a sua volta una regressione del pensiero politico che impedisce ogni ricambio di élite. Resta la protesta, ma questo non vuol dire che sia pronta una ipotesi di ricambio. Vedremo se “Podemos” saprà esprimere una progettualità più matura e capace di porsi come alternativa di sistema (ce lo auguriamo, ma abbiamo diversi dubbi). Sin qui, M5S e movimenti similari minori non sono andati molto al di là della protesta e non hanno fatto molti passi avanti sul piano del progetto. Anche Syriza, alla prova del governo, non sta fornendo una prestazione smagliante e sta, man mano, mostrando tutti i limiti della sua impostazione moderata. Questo ci porta al nodo del debito greco. Dopo molti giorni di annuncio della impossibilità di pagare la rata del debito con il Fmi, che aveva iniziato a far ballare le borse europee, di colpo sembra che, anche questa volta, Atene abbia trovato i soldi per magia e pagherà. Il che, di nuovo, fa sorgere molti dubbi sull’origine di questo denaro: hanno rotto un nuovo salvadanaio? O c’è la mano discreta di qualcuno che opera con criteri politici ed è in attesa di qualcosa? (mi piacerebbe sapere che ne pensa Lamberto Aliberti…).Quello che è difficile da credere è che ce la possano fare tassando i prelievi bancomat, a meno di non trattenere percentuali altissime di essi: se fosse stato così semplice, perché mai non farlo subito? Ma, lasciando da parte l’origine di questi capitali freschi, notiamo che questo è il modo scientifico di diventare “a Dio spiacenti ed ai nemici sui”. La finanza internazionale avrebbe ragione di non prendere più sul serio i “penultimatum” ateniesi che dicono sempre che è l’ultima volta che si paga e poi pagano regolarmente. Però facendo ogni volta una manfrina che manda in tensione le borse. Insomma: “Se i soldi per pagare li hai, paga e non fare storie”. Dal loro punto di vista, i signori della finanza non hanno tutti i torti. E, quindi, la prossima volta nessuno prenderà sul serio l’annuncio di mancato pagamento. Tsipras somiglia molto a Renzi: soffre di annuncite. Però il governo di Syriza diventa spiacente anche al suo popolo, perché a parole promette di metter fine all’austerità, poi fa un po’ di storie, ma alla fine paga, varando nuove misure di auterity. Cosa è il prelievo sui bancomat se non una nuova tassa indiretta? Magari non basterà neppure a pagare la rata in scadenza e dietro c’è altro, ma i cittadini percepiscono un nuovo taglio del loro reddito, per cui iniziano a pensare che, un po’ alla volta, Tsipras farà come chi lo ha proceduto ed accentuerà la linea dei “sacrifici”. Ma soprattutto: per quanto si può andare avanti con questi espedienti?Di rate in scadenza, pesanti quanto o più di questa, ce ne sono ancora e non poche. E la soluzione non può che essere o accettare in toto la linea di Berlino o dichiarare default una volta per tutte, apprestandosi ad uscire dall’euro. E la linea berlinese non prevede alcuna “happy end”: spremerà la Grecia sino all’ultima goccia di sangue, comprerà a prezzi di svendita ogni asset pubblico e poi butterà via la Grecia come un limone spremuto. Notiamo che della timida apertura tedesca di pagare, pur se sotto altro nome, i danni di guerra, già non si parla più. Per cui, rimandare il momento finale produce solo una emorragia di ricchezze della Grecia per poi ritrovarsi in condizioni ancora peggiori alla fine del gioco. L’altra strada è quella di dichiarare default (certamente non una misura indolore, ma meno dolorosa dell’altra e con qualche prospettiva di ripresa) e porre il problema di una uscita concordata dall’euro. E su questa strada arriveranno anche altri. La Ue e l’euro non hanno un futuro. Forse lo ha Berlino (e non è neppure sicuro che riesca) ma da sola o con pochi e scelti amici.(Aldo Giannuli, “Sta iniziando la fine della Ue?”, dal blog di Giannuli del 25 maggio 2015).Nella settimana scorsa ci sono state quattro notizie che hanno rivelato quanto sia profonda la crisi della Ue: la dichiarazione di Draghi “l’Euro non è più scontato”; la vittoria di “Podemos” in Spagna; la vittoria dei nazionalisti in Polonia; l’altalena del default greco. Iniziamo dalla prima: Draghi dice che se la tendenza a divaricare dei paesi dell’Eurozona dovesse proseguire, l’euro non sarebbe più sostenibile, non solo economicamente, ma anche politicamente e socialmente. Ma no!? Ma non mi dire! Chi lo avrebbe mai detto?! Insomma, l’euro è una architettura che non può resistere ancora a lungo alle tendenze divaricanti dell’Europa, e si approssima il momento dei conti. Ovviamente la ricetta di Draghi è la più scontata: armonizzare con le riforme la struttura sociale dei paesi dell’Unione, dove per riforme si intende essenzialmente il taglio delle pensioni, il peggioramento delle prestazioni sociali (sanità, istruzione) e la fine tendenziale della loro gratuità o del loro prezzo politico. Però… mai che si parli di armonizzare le norme fiscali …chissà perché?!
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Grazie a Renzi, il prossimo leader dell’Italia sarà Salvini
Signor Nessuno, chiacchierone, vacuo e inattendibile. Promesse non mantenute, tranne quelle fatte all’élite internazionale di potere. Riforme pericolose, interpretate da una nomenklatura incolore, sottomessa, imbarazzante. Dopo appena un anno, il pessimo Matteo Renzi ha già stancato gli italiani. Non è riuscito a fermare i grillini, e – peggio – sta spalancando praterie all’ipotetico leader del futuro prossimo, Matteo Salvini, vero vincitore delle elezioni regionali 2015. Lo sostiene Andrea Scanzi, all’indomani dello schiaffone che gli elettori hanno rifilato al Pd, che ha perso il 15% dei consensi, 2 milioni di voti in meno rispetto alle europee. «Renzi ha già il fiatone. Da vecchio democristiano quale è, dirà di avere vinto anche quando ha perso. In realtà ha preso una botta in fronte (quella fronte così inutilmente spaziosa) così grande che ancora deve accorgersene». E’ difficile perdere quando si vince 5-2: è proprio un controsenso logico palese. «Renzi però ce l’ha fatta», scrive Scanzi. Quattro regioni erano scontate (Toscana, Marche, Umbria, Puglia), eppure in Umbria «il Pd ha rischiato tanto». Inoltre, i candidati in queste Regioni «non erano renziani della prima ora», ma più spesso politici «talora anche poco ortodossi (Emiliano, Rossi)», già in pista molto prima di Renzi.«L’unica vittoria pienamente renziana è quella in Campania con De Luca, e io non me ne vanterei», annota Scanzi sul “Fatto Quotidiano”. I due candidati veramente renziani sono quelli che le hanno buscate, Alessandra Moretti (Veneto) e Raffaella Paita (Liguria), «entrambe “impresentabili”, anche se per motivi diversi». La Moretti «ha inanellato gaffe su gaffe e incarna la totale impreparazione delle droidi renzine». La Paita «è molto peggio: prosecuzione dichiarata del burlandismo, finta nuova, indagata. Il gattopardismo 2.0 ai livelli più deleteri». Il premier, continua Scanzi, aveva puntato tutto su Moretti («con tanto di video in auto agghiacciante») e Paita («inviandole le Charlie’s Angels del renzismo: Boschi, Madia, Pinotti, Serracchiani»). E naturalmente «se n’è fregato, come sempre, delle critiche. I risultati si sono visti». La Moretti, in particolare, «ha ottenuto un risultato straordinario: Zaia ha preso più del doppio dei suoi voti». Tutto era perfetto per lei: l’appoggio dei media, la rottura tra Zaia e Tosi, l’investitura del Gran Capo. «Macché. Le ha prese come se piovesse. La Moretti aveva promesso, in un tweet leggendario, che avrebbero vinto 7-0 e il suo sarebbe stato il golden gol».Poi, la Liguria: «Perdere con Toti pareva impossibile a tutti, ma Renzi ce l’ha fatta». Toti è stato sottovalutato da tutti, scrive Scanzi. «Anche negli studi televisivi, quando gli espertoni e i parlamentari (anche del Pd) ne parlavano, il loro riassunto fuori onda era: “La Paita è improponibile, ma vincerà perché Toti è un signor nessuno, al limite arriva secondo il Movimento 5 Stelle”». Vecchio problema: «L’intellighenzia tende a ritenere invotabili quelli che reputa antipatici. Tipo Toti. La solita autoreferenzialità. E nel frattempo la destra, abituata a turarsi il naso, vince». Molti, a sinistra, «anche tra i parlamentari di Sel», partito che pure in Veneto appoggiava la Moretti, «pur di non veder vincere Paita e Moretti, hanno votato Toti e Zaia». Una Waterloo, che ribadisce «quanto quelle due scelte siano state scriteriate». E così, sono gli altri a festeggiare: come il M5S, entrato nella “seconda fase”, con candidati autonomi da Grillo e Casaleggio. Il Movimento 5 Stelle è ormai la seconda forza nazionale. «Renzi ha fallito anche qui: nel non ammazzare politicamente l’unica forza che teme realmente. Lo aveva promesso e non ce l’ha fatta».Poi ci sono i presunti “sabotatori”, la lista di sinistra messa in piedi in Liguria da Civati e Cofferati. «Come fece a suo tempo la Bresso in Piemonte, i renziani – tipo la Serracchiani – hanno incolpato Pastorino e i civatiani per la (meravigliosa) sconfitta della Paita in Liguria». Alibi piuttosto comodo. «Questa “nuova” classe politica, tanto dannosa quanto caricaturale – scrive Scanzi – si caratterizza per un’arroganza carnivora smisurata. Prima ti cacciano dalle commissioni o magari dal partito; ti trattano come paria, ti bastonano ogni giorno: poi, se qualcuno nel Pd osa ribellarsi, si arrabbiano perché i sottoposti hanno osato alzare la testa». Ma non tutti sono come Bersani, «che si è ridotto a fare pure lui il testimonial della Paita nonostante le continue mazzate ricevute dai renziani». La Paita ha perso? Colpa sua e di chi l’ha candidata. E ora, chi passerà all’incasso è il trucido Salvini, in totale ascesa: ha un consenso ormai trasversale, ha sfondato anche al centro ed è il vero leader del centrodestra. Se deciderà di presentarsi con tutte le forze del centrodestra, «può eccome vincere le elezioni». Superato il Rubicone, insomma: «Fino a ieri il goffo bulletto Renzi poteva fare il gradasso» e minacciare il voto anticipato, certo di vincere. Oggi non è più così, perché «sono cambiati i rapporti di forza». E l’Italicum, «nato per uccidere il M5S», dato che premia i partiti e non le coalizioni «paradossalmente potrebbe aiutare proprio i 5 Stelle».Signor Nessuno, chiacchierone, vacuo e inattendibile. Promesse non mantenute, tranne quelle fatte all’élite internazionale di potere. Riforme pericolose, interpretate da una nomenklatura incolore, sottomessa, imbarazzante. Dopo appena un anno, il pessimo Matteo Renzi ha già stancato gli italiani. Non è riuscito a fermare i grillini, e – peggio – sta spalancando praterie all’ipotetico leader del futuro prossimo, Matteo Salvini, vero vincitore delle elezioni regionali 2015. Lo sostiene Andrea Scanzi, all’indomani dello schiaffone che gli elettori hanno rifilato al Pd, che ha perso il 15% dei consensi, 2 milioni di voti in meno rispetto alle europee. «Renzi ha già il fiatone. Da vecchio democristiano quale è, dirà di avere vinto anche quando ha perso. In realtà ha preso una botta in fronte (quella fronte così inutilmente spaziosa) così grande che ancora deve accorgersene». E’ difficile perdere quando si vince 5-2: è proprio un controsenso logico palese. «Renzi però ce l’ha fatta», scrive Scanzi. Quattro regioni erano scontate (Toscana, Marche, Umbria, Puglia), eppure in Umbria «il Pd ha rischiato tanto». Inoltre, i candidati in queste Regioni «non erano renziani della prima ora», ma più spesso politici «talora anche poco ortodossi (Emiliano, Rossi)», già in pista molto prima di Renzi.
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Elezioni 2015, siamo al day-after di un sistema che muore
Il mio motto “Chi va a votare avvelena anche te, digli di smettere” ha trovato un altro 10% di cittadini stanchi di sedersi al tavolo assieme ai bari. Questa inesorabile costante avanzata verso la contestazione globale del sistema di rappresentanza fasulla che ci opprime da quaranta anni (iniziò nel ’76 col 14% di astenuti dal voto) questa volta ha fatto presa in particolare nelle cosiddette Regioni rosse dopo aver trionfato nelle scorse elezioni nelle zone in cui l’elettorato è stato tradizionalmente ostile al centro-sinistra. Anche il cemento armato della gestione clientelare dei governi a guida Pci-Pds-Ds-Pd ha mostrato di non reggere alla infiltrazione dell’acqua cheta dei cittadini che, sempre più numerosi, ripudiano i vecchi idoli e fanno crollare gli altari. Il paese sente di non essere governato e si ribella astenendosi dal partecipare ai ludi elettorali in maniera sempre più massiccia e sprezzante. La disaffezione porta l’anarchia in ogni aspetto della vita associata. La mini-astuzia ministeriale di far votare i cittadini a cavallo della festa della Repubblica e i soldi spesi per la campagna pubblicitaria di partecipazione non hanno funzionato.È un dialogo tra sordi. Il sistema sanitario veneto era già in pareggio prima della elezione dell’enologo Zaia (è l’eredità amministrativa austroungarica) e nessuno crede veramente che l’ennesimo cappone del pollaio di Berlusconi farà miracoli in Liguria. I successi dei provocatori Salvini e Grillo sono il sintomo di una malattia, non la cura. Gli italiani aspettano una NUOVA REPUBBLICA che stronchi la selezione a rovescio della classe dirigente che viene attuata a partire dal 1958 con la riforma Fanfani che aprì la porta delle candidature agli impiegati di partito. La disaffezione verso il sistema ha investito anche l’Europa che era la sola idea nuova scaturita dalle rovine della guerra mondiale. Ora è rappresentata da un vecchietto di modesta statura fisica e intellettuale, incapace di assorbire la crisi greca (tutta la Grecia rappresenta meno del 2% del prodotto lordo europeo: chi non può assorbire una perdita del 2%?).L’Europa non fa più figli e non vuole adottare quelli provenienti da altri continenti vicini. Li lasciamo annegare mentre noi anneghiamo in solitudine nei nostri eccessi di liquidità che non sappiamo più impiegare che per comprare obbligazioni di banche sclerotizzate. Le Regioni italiane non servono ad altro che ad arricchire alcune centinaia di impiegati delle segreterie di finti partiti che cercheranno di riempirsi le tasche prima del naufragio che sanno inevitabile. Saranno anche più avidi dei predecessori. Giolitti rimproverò Mussolini alla Camera, dicendo «questo governo mangia troppo», e Mussolini di rimando: «Anche ai suoi tempi si mangiava». Risposta di Giolitti: «Sì, ma si sapeva stare a tavola». Bei tempi.(Antonio De Martini, “Il day after di un sistema che muore”, dal “Corriere della Collera” del 1° giugno 2015).Il mio motto “Chi va a votare avvelena anche te, digli di smettere” ha trovato un altro 10% di cittadini stanchi di sedersi al tavolo assieme ai bari. Questa inesorabile costante avanzata verso la contestazione globale del sistema di rappresentanza fasulla che ci opprime da quaranta anni (iniziò nel ’76 col 14% di astenuti dal voto) questa volta ha fatto presa in particolare nelle cosiddette Regioni rosse dopo aver trionfato nelle scorse elezioni nelle zone in cui l’elettorato è stato tradizionalmente ostile al centro-sinistra. Anche il cemento armato della gestione clientelare dei governi a guida Pci-Pds-Ds-Pd ha mostrato di non reggere alla infiltrazione dell’acqua cheta dei cittadini che, sempre più numerosi, ripudiano i vecchi idoli e fanno crollare gli altari. Il paese sente di non essere governato e si ribella astenendosi dal partecipare ai ludi elettorali in maniera sempre più massiccia e sprezzante. La disaffezione porta l’anarchia in ogni aspetto della vita associata. La mini-astuzia ministeriale di far votare i cittadini a cavallo della festa della Repubblica e i soldi spesi per la campagna pubblicitaria di partecipazione non hanno funzionato.
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Renzi completa il Rigor Montis: diktat Ue, ma con l’inganno
Nel 1953 quella che fu allora chiamata legge elettorale truffa non scattò perché la Democrazia Cristiana ed i suoi alleati non raggiunsero il quorum richiesto del 50%+1 dei voti validi. Quella che doveva essere un’alleanza al centro in grado di acchiappare consenso in tutte le direzioni perse invece voti ad ampio raggio, alla sua sinistra prima di tutto, ma anche alla sua destra. Il progetto autoritario allora aveva respinto, invece che attrarre. Oggi l’Italicum è molto più pericoloso della legge truffa del ‘53, che comunque assegnava un premio parlamentare consistente a chi già avesse conseguito la maggioranza assoluta dei voti. Oggi, grazie al trucco del ballottaggio che aggira la sentenza della Corte Costituzionale, un partito come il Pd che, aldilà dell’exploit delle europee, si attesta normalmente attorno al 30% dei voti validi, potrà conseguire una maggioranza assoluta priva di contrappesi e controlli. Ho detto il Pd ma in realtà avrei più correttamente dovuto dire il suo segretario presidente Renzi, che si è costruito un sistema di governo che gli darà un potere praticamente assoluto.Come ha notato eufemisticamente Eugenio Scalfari siamo a una democrazia che affida il potere all’esecutivo. Che è ciò che normalmente avviene in ogni dittatura. Renzi sarà eletto direttamente dal ballottaggio come un sindaco e godrà di un parlamento esautorato, composto da una netta maggioranza di nominati o fedelissimi. Ci sarà una sola Camera che decide su tutto sulla base degli ordini del capo del governo. Camera che nominerà gli organismi di controllo senza, scusate il bisticcio, controlli. E se pensiamo che la recente sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni sembra sia stata decisa sei contro sei, con il voto determinante del presidente, possiamo tranquillamente concludere che al nuovo Parlamento renziano basterà nominare un solo nuovo giudice costituzionale per cambiare gli orientamenti di tutta la corte.Un potere pressoché assoluto, dunque, per fare che? Quello che sta costruendo Renzi in realtà è un sistema autoritario che non è in proprio, ma è fondato su una sorta di fideiussione bancaria. Il programma fondamentale del governo è sempre quello della lettera del 5 agosto 2011 firmata da Trichet e da Draghi. Che come presidente della Bce continua a vigilare meticolosamente che quel programma stilato assieme al suo predecessore sia scrupolosamente attuato. Il 28 maggio 2013 la Banca Morgan ha presentato un documento politico che metteva sotto accusa la Costituzione italiana assieme a quelle di tutti i paesi europei “periferici” e in crisi. Queste Costituzioni, secondo quel documento, nate dopo la vittoria sul fascismo, sono segnate dal peso eccessivo della sinistra e del pensiero socialista, e per questo ostacolano le riforme liberali che servono a salvare l’euro.Con toni più brutali un editoriale de “Il Sole 24 Ore”, pochi giorni fa, polemizzava con la sentenza della Corte Costituzionale, affermando che con il pareggio di bilancio come vincolo costituzionale, gli obblighi del Fiscal Compact e il primato dei mercati globali, non ha più senso parlare di diritti indisponibili. Non crediate di avere dei diritti, si diceva una volta. I poteri forti, le grandi multinazionali, la finanza e le banche hanno da tempo deciso che il sistema di diritti sociali europeo è, per i loro concreti interessi, insostenibile. La crisi è stata un grande occasione per realizzare compiutamente un obiettivo cui si lavora da oltre trenta anni, e le riforme politiche autoritarie ne sono lo strumento. Renzi si è quindi trovato al posto giusto nel momento giusto. Guai a fare nei suoi confronti lo stesso errore di sottovalutazione compiuto dalla sinistra democratica verso Berlusconi; e non solo per il compatto sostegno che riceve dai poteri forti italiani ed europei e da tutto il sistema dei mass media. Anche Monti aveva questo stesso sostegno, per fare sostanzialmente la stessa politica, ma non ce l’ha fatta.La forza di Renzi sta proprio nella posizione e nella rappresentanza politica assunta. È un errore credere che egli sia un democristiano. No, la sua formazione politica non è tanto rilevante quanto il ruolo che ha deciso di interpretare. È questo ruolo è tutto all’interno della sconfitta e della rassegnazione della sinistra tradizionale. Matteo Renzi ha scalato il Pd, che è bene ricordare inizialmente lo aveva respinto, dopo che il vecchio e inconcludente riformismo era stato sconfitto. Egli ha usato spregiudicatezza e populismo con una classe politica disposta a tutto pur di non perdere il potere. Per capire quello che è successo dobbiamo pensare ad altri fenomeni di trasformismo di massa nella storia della sinistra del nostro paese. Crispi alla fine dell’800, Mussolini, Craxi e naturalmente Berlusconi sono tutti predecessori non casuali di Matteo Renzi.Il nostro è diventato il secondo paese cavia dell’esperimento liberista dopo la Grecia. In quel paese la Troika ha esagerato e ne è consapevole, per questo in Italia il progetto è diverso. Non negli obiettivi, che sono gli stessi, dal lavoro, alla scuola, alla sanità, alle pensioni, a tutti i diritti sociali. Si vuole arrivare alla stessa società di mercato brutalmente imposta alla Grecia, ma evitando la stessa reazione politica. Quindi più furbizia e anche tempo nelle misure da adottare e soprattutto lavoro per costruire un blocco di consenso politico attorno ad esse. A questo serve la mutazione genetica del Pd in partito della nazione. Che in realtà è un partito collaborazionista con la Troika e con tutti i poteri economici finanziari internazionali.Il partito della nazione che collabora costruisce così le sue cordate di consenso, da Marchionne ai sindacati complici, da Farinetti alla nuova Milano da bere, dai presidi a tutto quel mondo politico e sociale proveniente dalla sinistra il cui sentire di fondo può essere così riassunto: abbiamo speso tanto senza risultati, ora si guadagna. Non è vero che Renzi voglia liquidare i corpi intermedi, non è così sciocco sa che sarebbe impossibile. Quello che vuole il segretario del Pd è un corpo di organizzazioni addomesticate e funzionali e a questo sta concretamente lavorando, come dopo il Jobs Act e la “Buona scuola”, mostra il progetto di legge Civil Act sul terzo settore.Renzi è l’espressione di un progetto politico reazionario di adattamento dell’Italia ai più duri vincoli della peggiore globalizzazione, per questo battere lui ed il suo partito della nazione non sarà opera breve, né facile, ma è la condizione perché il paese possa riprendere davvero a progredire. Oggi contro Renzi sta un destra disfatta, nella quale lo stesso sistema mediatico renziano fa emergere il nazista dell’Illinois Matteo Salvini come avversario di comodo. Poi c’è il Movimento 5 Stelle che conduce lotte importanti, ma in evidente difficoltà di fronte al populismo anticasta fatto proprio dal renzismo. E infine c’è l’arcipelago delle forze della sinistra politica e sociale. La forza di Renzi è la debolezza di questo fronte, il che permette alla sua politica di destra di contare su un vasto consenso elettorale nel popolo della sinistra.Gli insegnanti che sfilavano in corteo il 5 maggio gridavano di non votare più Pd. È un segnale importante, ma insufficiente. Occorre un rottura più profonda. Occorre che tutto il corpo sociale e politico della sinistra consideri il renzismo non come un gruppo di compagni che sbagliano, ma come il primo e principale avversario. Le ambiguità ed i compromessi di chi si dichiara contro Renzi ma poi si allea con il Pd nelle elezioni locali, o dei dirigenti sindacali che lo criticano ma poi lo votano, o degli ambientalisti che sostengono Expo, tutto questo opportunismo porta solo fieno nella cascina del partito della nazione. Ci vogliono scelte nette per costruire l’alternativa a Renzi e al suo progetto, la prima e in fondo più semplice è non votare in ogni caso ed in ogni situazione per il Pd ed i suoi alleati.(Giorgio Cremaschi, “Non votare Pd, unico antidoto al potere assoluto renziano”, da “Micromega” del 21 maggio 2015).Nel 1953 quella che fu allora chiamata legge elettorale truffa non scattò perché la Democrazia Cristiana ed i suoi alleati non raggiunsero il quorum richiesto del 50%+1 dei voti validi. Quella che doveva essere un’alleanza al centro in grado di acchiappare consenso in tutte le direzioni perse invece voti ad ampio raggio, alla sua sinistra prima di tutto, ma anche alla sua destra. Il progetto autoritario allora aveva respinto, invece che attrarre. Oggi l’Italicum è molto più pericoloso della legge truffa del ‘53, che comunque assegnava un premio parlamentare consistente a chi già avesse conseguito la maggioranza assoluta dei voti. Oggi, grazie al trucco del ballottaggio che aggira la sentenza della Corte Costituzionale, un partito come il Pd che, aldilà dell’exploit delle europee, si attesta normalmente attorno al 30% dei voti validi, potrà conseguire una maggioranza assoluta priva di contrappesi e controlli. Ho detto il Pd ma in realtà avrei più correttamente dovuto dire il suo segretario presidente Renzi, che si è costruito un sistema di governo che gli darà un potere praticamente assoluto.
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Votate chiunque tranne il Pd, vero nemico storico dell’Italia
Probabilmente chi simpatizza per il Pd, una volta letto il titolo, non leggerà il pezzo, indignato. Ma farebbe molto male, perché la lettura potrebbe risultargli utile per capire il clima con il quale il Pd (ma forse il “Partito della Nazione”) dovrà misurarsi sempre più nei prossimi anni e perché. Comunque, fate pure come vi pare, sono abituato a dire quello che penso senza giri di parole. E allora, perché sostengo che il Pd sia il nemico peggiore? Per tre ragioni fondamentali: la politica economica, la politica sociale, la democrazia e la corruzione. Politica economica: il Pd, sin dal suo appoggio al governo Monti di infelice memoria, poi con il governo Letta e ora con il governo Renzi, sta perseguendo una politica fiscale che sarebbe demenziale, se non fosse deliberatamente finalizzata alla svendita del paese. Le aziende grandi e piccole soffocano e muoiono sotto il peso del prelievo fiscale e dei tassi giugulatori delle banche, l’occupazione si assesta a livello drammatici e, pur se di poco, peggiora costantemente, incurante della cosmesi dei conti fatta dal governo.Il Pd è il partito del capitale finanziario straniero che deve liquidare il patrimonio immobiliare degli italiani, per poi fare ugualmente fallimento. E’ il partito che ha svenduto Bankitalia e si appresta a svendere i pezzi nobili di Eni e Finmeccanica. L’Italia è, per colpa del Pd, terreno di caccia dei capitali francesi, americani, cinesi, quatarioti ecc. Peggio non potrebbe fare. La politica sociale non ha bisogno di commenti: il Jobs Act e la recente riforma della scuola fanno quello che la destra berlusconiana non osava neppure immaginare. La democrazia: il Pd – e prima di lui il Pds e i Ds – da venti anni guida l’attacco alla Costituzione, liquidando prima di tutto la legge elettorale proporzionale, che ne era l’architrave, poi intaccandone più pezzi, ora con un disegno organico di sistema costituzionale da repubblica del centro America. Il Partito si è conseguentemente evoluto in “partito del leader”, avendo trovato in Renzi il volenteroso Caudillo.Nel campo della giustizia ha osato anche più di Berlusconi, con una politica punitiva dei magistrati, finalizzata non ad un miglioramento della macchina giudiziaria del nostro paese ma, al contrario ad un suo peggioramento e alla subordinazione del potere giudiziario all’esecutivo. La corruzione: per anni il Pci-Pds-Ds-Pd ha goduto di una sorta di rendita di posizione di “partito della questione morale” che lo ha messo al riparo dalle ondate di protesta e dalle inchieste di una magistratura amica, troppo amica. Il risultato è stato che, al confortevole riparo di questo scudo è crescita una classe politica di lestofanti peggiore di quella del Pdl di triste memoria. Mose, Expo, Mafia Capitale, Cooperative: tutti i maggiori casi più recenti di corruzione hanno visto gli uomini del Pd in prima fila e talvolta esclusivi attori. Ora piovono avvisi di garanzia, ma in troppi fanno ancora finta di niente. Possiamo continuare così?C’è poi un motivo in più, di ordine per così dire “estetico” che mi induce a guardate la Pd come al peggiore di tutti i mali: che la destra faccia il mestiere della destra è giusto che sia così, non mi indigno certo se Salvini fa certe sparate sugli immigrati, sono un suo avversario politico dichiarato e combatto le sue deliranti proposte, allo stesso modo in cui riconosco in Berlusconi un aperto avversario da contrastare senza incertezze, ma il Pd è peggiore perché non è meno di destra degli altri, anzi lo è di più, ma si ammanta di un falso sembiante di sinistra per abbindolare quei babbei che ancora ci credono e lo votano, pensando di sostenere la reliquia del Pci. Svelare il trucco e spezzare l’imbroglio diventa una operazione di pulizia morale, prima ancora che politica. Tutto ciò premesso – e aspettando di essere contestato nel merito delle accuse che muovo al partito di Renzi – non vi sembra che sarebbe molto salutare per il paese un voto che segni una inversione di tendenza, con un iniziale calo elettorale del Pd? Qualcosa che lo avvii alla sconfitta nelle prossime politiche?Per anni abbiamo vissuto sotto l’eterno ricatto del “se-no-vince-la-destra”. Il risultato è stata la fine della sinistra. Non vi sembra l’ora di rigettare il ricatto e colpire la destra peggiore? Io, come si sa, voto M5S: non ve la sentite? Va bene, non votate M5S, votate Sel, ma, se non siete di sinistra, votate Forza Italia (tanto siamo alla fine) e persino Salvini, Fratelli d’Italia (tanto non vanno al di là di una certa soglia e, comunque, siamo ad elezioni amministrative) o chi vi pare (dipende da quanto sono orrendi i vostri gusti). Arrivo a dire persino Alfano o Sc: è un voto perfettamente inutile, ma è innocuo e comunque sono voti sottratti al Pd. E magari, se proprio non sapete chi possa essere il “meno peggio”, disperdete il voto scegliendo la classica lista del fiasco (evitate però cose come Forza Nuova o Casa Pound: non esageriamo!). Tutto, ma puniamo il Pd. E’ probabile che il lettore del Pd non sia arrivato sino a questo punto dell’articolo, vinto dal mal di stomaco: pazienza, come dire: “ce ne faremo una ragione”. Ma agli altri, a chi sente di poter condividere questo punto di vista, chiedo una cosa: segnalate il pezzo agli amici per mail o nei social, fatelo vostro e riprendetene le argomentazioni, non mi interessa neppure essere citato, ma iniziamo insieme una campagna virale contro il Pd.(Aldo Giannuli, “Perché il nemico da battere è il Pd”, dal blog di Giannuli del 10 maggio 2015).Probabilmente chi simpatizza per il Pd, una volta letto il titolo, non leggerà il pezzo, indignato. Ma farebbe molto male, perché la lettura potrebbe risultargli utile per capire il clima con il quale il Pd (ma forse il “Partito della Nazione”) dovrà misurarsi sempre più nei prossimi anni e perché. Comunque, fate pure come vi pare, sono abituato a dire quello che penso senza giri di parole. E allora, perché sostengo che il Pd sia il nemico peggiore? Per tre ragioni fondamentali: la politica economica, la politica sociale, la democrazia e la corruzione. Politica economica: il Pd, sin dal suo appoggio al governo Monti di infelice memoria, poi con il governo Letta e ora con il governo Renzi, sta perseguendo una politica fiscale che sarebbe demenziale, se non fosse deliberatamente finalizzata alla svendita del paese. Le aziende grandi e piccole soffocano e muoiono sotto il peso del prelievo fiscale e dei tassi giugulatori delle banche, l’occupazione si assesta a livello drammatici e, pur se di poco, peggiora costantemente, incurante della cosmesi dei conti fatta dal governo.