Archivio del Tag ‘movimento 5 stelle’
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Magaldi: chi spegne verità e democrazia se la vedrà con noi
Esplodono bombe, interi paesi sprofondano nella crisi, i missili di Trump piovono sulla Siria. E i media non raccontano la verità: tacciono, mentono, restano reticenti. C’è un piano mondiale, in atto da trent’anni: finanziare guerre, terremotare le economie e silenziare l’informazione. «Ebbene, vi dico: non prevarranno. I manovratori saranno pubblicamente denunciati e fermati». Parola di Gioele Magaldi, gran maestro del “Grande Oriente Democratico” nonché autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che denuncia per la prima volta, con impressionante precisione, le trame occulte di 36 superlogge internazionali, vero e proprio “back office” del potere, al lavoro da decenni per svuotare la democrazia a vantaggio dell’élite mondialista. In collegamento con Claudio Messora su “ByoBlu”, canale web finito di recente sotto attacco (boicottaggio pubblicitario da parte di Google), Magaldi raccoglie la sfida e prepara l’affondo a Roma, l’8-9 aprile, con un forum sul futuro della democrazia con ospiti come l’economista Nino Galloni, il magistrato Ferdinando Imposimato e un giornalista come Giulietto Chiesa, bandiera storica dell’informazione indipedente. Obiettivo: costringere il sistema a dire la verità, anche con la creazione di un nuovo partito, che si impegni a stracciare i trattati europei che stanno piegando l’Eurozona.L’emergenza, oggi, colpisce in primo luogo l’informazione: gli Usa sparano missili sulla Siria per abbattere Assad, e non l’Isis, senza che la grande stampa si premuri di ricordare che è stato proprio l’Occidente a “fabbricare” lo jihadismo, come cavallo di Troia geopolitico in Medio Oriente e come alibi, in Europa, per la politica securitaria motivata dal dilagare del terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, secondo la peggiore logica della strategia della tensione. A dare fastidio sono le verità che emergono dal web, le sole rimaste? Così parrebbe, visto l’attivismo «dell’ineffabile Laura Boldrini, proconsole di una filiale internazionale, che ha iniziato anche qui in Italia a preoccuparsi di imbavagliare la libera informazione». Magaldi non ha dubbi: «Negli ultimi anni, nel mondo, chi ha prodotto “fake news” non sono tanto i blogger, i siti indipendenti, quelli che cercano – come navi corsare, benemerite – di aprire degli spiragli nel pensiero unico del mainstream». Al contrario: «Il problema è stato spesso di chi ha fabbricato notizie false, e su questo ha anche costruito guerre, speculazioni finanziarie ai danni dei popoli, verso una destrutturazione di quello che sarebbe stato un processo virtuoso di globalizzazione della democrazia».Siamo all’eterna riedizione delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, inventate di sana piana come pretesto per invare l’Iraq? Di suo, Magaldi aggiunge una lettura di taglio massonico: quanto di peggio è avvenuto, nel mondo, negli ultimi tre decenni, è stato progettato a tavolino da un’élite super-massonica apolide, decisa a mettere in atto una globalizzazione a mano armata e senza diritti, tantomeno quello all’informazione, su cui si fonda il pensiero democratico. Tutto si tiene, anche la «grottesca celebrazione dei Trattati di Roma affidata ai sedicenti europeisti che in realtà lavorano dal mattino alla sera per distruggere il progetto europeo, soffocato dall’economicismo dei tecnocrati: una camicia di forza che esaspera i nazionalismi, tra manine occulte e cancellerie asservite a interessi apolidi». Come se ne esce? «Noi – insiste Magaldi – abbiamo bisogno di un governo che abbia il coraggio di andare ai tavoli europei e dire: siamo tra i grandi contraenti del progetto europeo, vogliamo riscrivere i trattati, lavorare per un processo costituente per un’unione politica. Se ci state, bene. Altrimenti, se non si apre un dibattito, noi sospendiamo la vigenza dei trattati in Italia, accantonando tutte le retoriche europeiste o antieuropeiste».Gioele Magaldi pensa al Pdp, Partito Democratico Progressista, di cui è appena stato registrato il marchio, in vista delle prossime elezioni politiche. «Sarà un cantiere – spiega – al quale invitiamo tutti quelli che ne hanno abbastanza di sentir parlare di falsi democratici e falsi progressisti, come Bersani che ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione, trasformando il Parlamento in una caserma per imporre il sì al Fiscal Compact. Misure-capestro, suicide per l’economia italiana, imposte «da uno dei governi più nefasti della storia, guidato dal massone reazionario Mario Monti, insediato dal massone ancora più reazionario Giorgio Napolitano». In Italia Monti, Letta e Renzi. E in Francia Hollande: «Doveva essere il campione anti-merkeliano e anti-austerity. Invece, tra blandizie e minacce, si è ridoto a un ruolo ornamentale, senza una sola proposta per un vero cambio di paradigma, in Europa». Renzi? «E’ stato poco furbo: se al referendum del 4 dicembre avesse inserito l’abolizione del pareggio di bilancio, avrebbe vinto».Peggio ancora dell’ex premier, forse, «gli avventurieri che vorrebbero appropriarsi delle parole “democratico” e “progressista”, dopo aver sorretto il governo Monti». Nella visione di Magaldi, non resta che ripartire dall’Italia per tentare di invertire il corso della storia, riaccendendo la luce sulla democrazia. A questo serve il “Master Roosevelt in scienze della polis”, che offre formazione per «conoscere le reti private sovranazionali che asservono ai propri interessi i governi eletti». Un’azione «di pedagogia e consapevolezza», fino a ieri limitata alla dimensione meta-partitica. Domani estesa anche all’agone elettorale? Magaldi appare deciso. Vede la necessità di «un partito “pesante”, novecentesco, democratico e ideologico, improntato al “socialismo liberale” di Carlo Rosselli, l’antifascista che diceva: è inutile parlare di libertà politiche e civili se non si offre ai cittadini anche una dignità economica per potersi occupare della res publica». Socialismo e liberalismo: «Keynes e Beveridge, il padre del welfare europeo, erano esponenti del Liberal Party». L’ipotetico nuovo soggetto politico punterebbe sull’elettorato in fuga dal Pd, su quello del centrodestra in pieno caos (e senz’ombra di primarie), rivolgendosi anche ai 5 Stelle: «Rappresentano una speranza, per l’Italia, a patto che si rivelino all’altezza della situazione, offrendo cioè uno spettacolo diverso da quello mostrato a Roma».Un nuovo partito, dunque? Sì, sembra dire Magaldi, se l’offerta politica italiana non offre alternative serie: e cioè un cambio radicale di paradigma. Stop al dogma neoliberista, senza mezzi termini. Come? «Dicendo quello che nessuno dice chiaramente: primo punto del programma, la revisione dei trattati europei. Tutti cianciano, parlano di uscire dall’euro, ma nessuno chiede apertamente, formalmente, di farla finita con questa Ue». Insiste Magaldi: «Propongo una riforma costituzionale per eliminare il pareggio di bilancio. Ho sentito che tutti i partiti che l’hanno votata se ne lamentano, si dicono pentiti. Bene, sfidiamoli: mettiamoli alla prova». Con un nuovo partito? Non ci lasciano altra scelta, sembra concludere Magaldi, che pensa alla discesa in campo. E, citando le «reti massoniche progressiste» a cui fa riferimento, si spende per «rassicurare tutti gli operatori dell’informazione libera e tutti i cittadini», per dire che il bavaglio al web non passerà. «Questi tentativi odiosi saranno sventati. Saranno anche denunciati. E tutti coloro che oggi si stanno impegnando in questa campagna liberticida, oltre a fallire, verranno sottoposti al giudizio severissimo della pubblica opinione», che ha imparato che giornali e televisioni non spiegheranno mai che, dietro ai missili di Trump, ci sono i “padrini” dell’Isis, di cui Magaldi – nel suo libro – fa nomi e cognomi.Esplodono bombe, interi paesi sprofondano nella crisi, i missili di Trump piovono sulla Siria. E i media non raccontano la verità: tacciono, mentono, restano reticenti. C’è un piano mondiale, in atto da trent’anni: finanziare guerre, terremotare le economie e silenziare l’informazione. «Ebbene, vi dico: non prevarranno. I manovratori saranno pubblicamente denunciati e fermati». Parola di Gioele Magaldi, gran maestro del “Grande Oriente Democratico” e presidente del metapartitico Movimento Roosevelt nonché autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che denuncia per la prima volta, con impressionante precisione, le trame occulte di 36 superlogge internazionali, vero e proprio “back office” del potere, al lavoro da decenni per svuotare la democrazia a vantaggio dell’élite mondialista. In collegamento con Claudio Messora su “ByoBlu”, canale web finito di recente sotto attacco (boicottaggio pubblicitario da parte di Google), Magaldi raccoglie la sfida e prepara l’affondo a Roma, l’8-9 aprile, con un forum sul futuro della democrazia con speaker come l’economista Nino Galloni, il magistrato Ferdinando Imposimato e un giornalista come Giulietto Chiesa, bandiera storica dell’informazione indipendente. Obiettivo: costringere il sistema a dire la verità, anche con la creazione di un nuovo partito, che si impegni a stracciare i trattati europei che stanno piegando l’Eurozona.
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Come (non) uscire dall’euro, versione 5 Stelle
L’unica lezione veramente importante che possiamo trarre dall’episodio di Varoufakis nel 2015 è che, se si vuole lasciare l’euro, si deve essere preparati – sia politicamente che dal punto di vista logistico. Lasciare l’euro non è un semplice punto di programma in una piattaforma politica, un qualcosa di cui parlare con nonchalance in una tavola rotonda o su cui tenere un referendum. È una questione più grossa della stessa Brexit. L’uscita da una moneta unica non può mai essere un processo ordinato, ovunque e in qualsiasi circostanza. Nel leggere questo resoconto di Gavin Jones su “Reuters” a proposito della conferenza stampa di Luigi Di Maio, ci ha colpito il fatto che il vicepresidente della Camera dei deputati, l’uomo che ha le maggiori probabilità di diventare primo ministro italiano nel caso le tendenze attuali dovessero persistere, si sta preparando a un fallimento monumentale. Di Maio, 30 anni, è un giovane uomo senza nessuna esperienza di crisi valutarie. Il modo in cui prefigura l’uscita dall’euro è incredibilmente ingenuo – attraverso un ordinato iter legislativo. In una conferenza stampa ha dichiarato che l’uscita dall’euro non è una priorità assoluta per il suo partito.E’ un po’ come dire che si sta progettando di lanciare una guerra nucleare, è vero, solo che non è in cima all’agenda. Ha detto: «Non è vero che il Movimento 5 Stelle vuole portare l’Italia fuori dall’euro… vogliamo che siano gli italiani a decidere». Ha detto che il referendum dovrebbe essere preceduto da un iter legislativo che prepari il terreno. E potrebbero anche non tenerlo, se le istituzioni europee si dimostrano assennate. L’ha messa così, senza entrare nei dettagli di cosa intende. Lo interpretiamo come voler tenere una porta aperta alla decisione di rimanere nella zona euro. Ma, purtroppo, in pratica non è così che funzionerà. Il futuro di lungo periodo dell’Italia nell’euro è davvero incerto, e si può facilmente pensare a tutta una serie di scenari, inclusi gli scenari di uscita. Ma c’è uno scenario che possiamo escludere con assoluta certezza: l’uscita dall’euro attraverso un referendum.Se i 5 Stelle vincono, il che è possibile, ci vorranno dai 2 ai 5 secondi dal primo exit poll perché i tassi di interesse italiani si impennino fino a livelli di crisi, o anche oltre, perché gli investitori dovranno scontare nel prezzo la probabilità non trascurabile di un default, dato che i referendum sono intrinsecamente imprevedibili. Nel momento in cui diventa primo ministro, Di Maio si troverà a gestire una crisi finanziaria. Non possiamo escludere un’uscita dell’Italia dall’euro a seguito di una situazione di panico nei mercati. Né si può escludere lo scenario di un governo italiano che tira fuori un piano, a lungo preparato, per introdurre una moneta parallela, con chiusura delle banche durante un lungo week-end. Ma possiamo escludere un processo ordinato grazie al quale l’Italia cambia la sua Costituzione, e quindi consente di procedere a un referendum sull’euro. Non ci si arriverà mai. Gli eventi precipiteranno ben prima.Una ragione per cui siamo così certi di questo è che la Banca Centrale Europea, che ha la capacità definitiva di mettere a tappeto qualsiasi attacco dei mercati alla zona euro, non sarà disposta o non potrà aiutare un governo che non si considera vincolato all’euro. Non potrebbe dare avvio al programma Omt per sostenere un governo non conforme. Una più probabile sequenza politica di eventi è quella che chiamiamo lo scenario Huey Long, dal nome del governatore della Louisiana che, a quanto si dice, la notte delle elezioni dichiarò ad un suo assistente la sua intenzione di non mantenere la promessa di tagliare le tasse: «Dite loro che ho mentito». Di Maio o dovrà fare come Huey Long, o dovrà preparare una legislazione di emergenza per uscire dall’euro. In ogni caso, ciò che risulta molto chiaro dall’intervista è che questo giovane uomo è del tutto impreparato. Lasciare l’euro sarebbe la più importante decisione per l’Italia dalla firma del Trattato di Roma, sessant’anni fa. Sarebbe meglio essere pronti. Non è certo un punto secondario nella lista della cose da fare.(Wolfgang Munchau, “Eurointelligence: come ‘non’ uscire dall’euro, versione 5 Stelle”, dal “Financial Times” del 24 marzo 2017, articolo tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).L’unica lezione veramente importante che possiamo trarre dall’episodio di Varoufakis nel 2015 è che, se si vuole lasciare l’euro, si deve essere preparati – sia politicamente che dal punto di vista logistico. Lasciare l’euro non è un semplice punto di programma in una piattaforma politica, un qualcosa di cui parlare con nonchalance in una tavola rotonda o su cui tenere un referendum. È una questione più grossa della stessa Brexit. L’uscita da una moneta unica non può mai essere un processo ordinato, ovunque e in qualsiasi circostanza. Nel leggere questo resoconto di Gavin Jones su “Reuters” a proposito della conferenza stampa di Luigi Di Maio, ci ha colpito il fatto che il vicepresidente della Camera dei deputati, l’uomo che ha le maggiori probabilità di diventare primo ministro italiano nel caso le tendenze attuali dovessero persistere, si sta preparando a un fallimento monumentale. Di Maio, 30 anni, è un giovane uomo senza nessuna esperienza di crisi valutarie. Il modo in cui prefigura l’uscita dall’euro è incredibilmente ingenuo – attraverso un ordinato iter legislativo. In una conferenza stampa ha dichiarato che l’uscita dall’euro non è una priorità assoluta per il suo partito.
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Misds, peggio di euro e Ttip: se passa, si piange davvero
Ricordate il mio motto su Twitter? “La news che ti stravolge la vita è quella che scivola dietro l’ombra della news che tutti pensano che gli stravolgerà la vita”. Please welcome Misds. Paolo Barnard ve lo dice da anni. “Loro” non mollano mai, mai. Lavorano 24/24 e 7/7 coi migliori cervelli del mondo, e avevano capito da un pezzo che gli artigli dell’Eurozona si erano di molto consumati. Le mega corporations di tutti i settori – dalla finanza, all’alimentazione, ai servizi, alla Information Technology – si sono dette “The best days of the Euro-feasting are over. Must find a new way to fuck these States up again”, tradotto: i giorni migliori del banchetto-Euro sono finiti. Dobbiamo trovare un altro modo per fottere ’sti Stati, ancora. Il Ttip è per ora naufragato. L’uomo con le scarpe da 5.000 dollari a Wall Street, a Chicago, o a Francoforte ha per caso sollevato un sopracciglio? No. Lui lo sa benissimo che ciò che oggi i popoli rigettano ‘up-front’, gli rientra sempre dalla porta di servizio.Ricordate la Costituzione della Ue? Rigettata nel 2005 da francesi e olandesi, rientra dalla porta di servizio nel 2007 col nome di Trattato di Lisbona. Ricordate l’infame Gats? Era il trattato per la privatizzazione di ogni servizio vitale del cittadino, dalla sanità fino all’anagrafe e all’acqua pubblica. Sepolto dai disumani sforzi di poche Ong internazionali, e di pochi media, è tornato ancor peggio col nome Tisa, oggi in vista di ratificazione. Nel Ttip la cosa in assoluto più micidiale era la clausola che permetteva alle multinazionali di trascinare interi Stati in tribunale se questi obiettavano per l’Interesse Pubblico alle loro condotte commerciali. Questa clausola si chiamava Isds (Investor-State-Dispute-Settlement, cioè Risoluzione di Controversia fra Investitore e Stato). Neppure l’infame Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) era mai arrivata a tanto. Al Wto solo uno Stato poteva trascinare in corte un altro Stato se riteneva che il secondo gli impedisse di far business. Io lo denunciai a Report (Rai3) nel 2000, sono 17 anni fa… La carne ormonata Usa tentava d’infettare l’Europa, ci fu una battaglia al Wto fra Washington e Roma, Londra, Parigi, Berlino ecc.Nel Ttip la cosa era mille volte più micidiale con l’Isds. Coll’Isds del Ttip la multinazionale Usa delle carni avvelenate poteva direttamente far causa a Roma, Londra, Parigi, Berlino ecc per costringerli a cedere. Cioè, migliaia di multinazionali potevano costringere i singoli Stati a processi infiniti e costosi come una finanziaria nazionale, tutti contro l’interesse dei cittadini che quegli Stati ancora timidamente proteggono. Vi rendete conto cosa significa? Può il governo di Roma permettersi 40 avvocati internazionali a 3.000 dollari al giorno per avvocato per, mettiamo, 250 cause di altrettante multinazionali per 10 anni? Sono 10.000 avvocati a 3.000 dollari al giorno per almeno 10 anni in totale. Fate i conti. E poi se Roma perde, i risarcimenti alle multinazionali arrivano alle migliaia di miliardi di dollari. Fate i conti. Può permetterselo oggi, quando il governo fatica a trovare gli spiccioli per gli ospedali? E poi anche peggio. Perché con il sistema Isds i processi fra la multinazionale X e lo Stato Y sarebbero stati celebrati in tribunali off-shore, quasi tutti a Londra o New York, non a casa nostra.Ok, Ttip bocciato, ma quest’infamia della disputa multinazionali contro Stati interi sta rientrando dalla porta di servizio. Non mollano mai, mai! Please, welcome Misds. Oggi abbiamo una bella cosmesi: la Commissione Ue di Jean-Claude Juncker ci riporta la sopraccitata infamia del Pubblico Interesse con un altro nome. Sono stati costretti a questa cosmesi dopo che 3,5 milioni di europei firmarono contro il Ttip affossandolo. I bastardi della Commissione di Bruxelles hanno riformulato il trucco, l’hanno prima fatto rientrare in un trattato minore fra Canada e Ue chiamato Ceta, ma ora per il piacere degli Usa ce lo ripresentano così: Misds è la stessa identica porcata che dormiva in pancia al Ttip e che ho descritto sopra, cioè l’Isds, ma con davanti la parolina Multilaterale (la M). Be’, semplifico: ora viene chiesto allo Stato X di firmare un accordo con lo Stato Y dove entrambi accettano la porcata Isds, mentre prima il Ttip applicava la porcata Isds in massa a tutti gli Stati della Ue senza consultarli. Ohhh che miglioramento! Voi pensate che i parlamentari di Roma, tutti preoccupati dalla battaglia Pd-M5S sui vitalizi, capiranno cosa la “sacra Ue” ci chiede di firmare fra Roma e Stato X, Y, o Z?Ma peggio: la parola Multilaterale suggerisce che magari Roma abbia gli stessi diritti di far causa alle multinazionali. Macché. La proposta della Commissione lascia tutto come nell’Isds del bocciato Ttip. Saranno solo le mega corporation a poter trascinare in tribunali off-shore i singoli governi. Inoltre, ovvio no?, credete che le Ong o i sindacati possano far causa alle multinazionali se queste inquinano, causano malattie a migliaia di cittadini o fottono l’occupazione in intere Regioni? Ma va’… Zero. Cosa significa tribunali off-shore? Nella proposta della Commissione significa tribunali che giudicheranno la disputa multinazionale-Stato e che sono composti da giuristi internazionali di provata esperienza nel settore… investimenti. Ma dai? Questi sono al 100% gente come Giuliano Amato, che dal settore pubblico è finito a prendere parcelle milionarie dalla Deutsche Bank, poi è tornato al pubblico. Immaginate l’imparzialità dei giudici del Misds, giuristi che hanno militato anni al soldo della Volkswagen, della Monsanto, della Apple, della McDonald’s, della Unilever, della Dupont, della Thyssen, di Jp Morgan ecc., dove hanno preso milioni, poi tornano all’arbitrariato internazionale nel Misds. Auguri.Non so se avete capito che razza di mostruosità, da far impallidire ogni porcata che denunciammo sull’Eurozona e Bruxelles, è questo Misds. Ci sono là fuori già 75.000, settantacinque mila, mega corporations che non aspettano altro che la ratificazione del “nuovo” Misds per devastare come mai nella storia il potere di un governo di legiferare nell’Interesse Pubblico. Già oggi, dopo 40 anni di neoliberismo, neomercantilismo, di economicidio Ue, e di tutte le sinistre a baciare le pile del Vero Potere, le leggi per l’Interesse Pubblico sono ridotte a una carcassa di pollo. I bastardi ci divoreranno anche quella col Misds. E sarà sangue come mai prima nella storia (fra 10 anni mi scriverete “Barnard sei un grande! Tu l’avevi detto dieci anni fa…”).(Paolo Barnard, “Misds, scordate l’Eurozona: se passa questo si piange davvero”, dal blog di Barnard del 24 marzo 2017).Ricordate il mio motto su Twitter? “La news che ti stravolge la vita è quella che scivola dietro l’ombra della news che tutti pensano che gli stravolgerà la vita”. Please welcome Misds. Paolo Barnard ve lo dice da anni. “Loro” non mollano mai, mai. Lavorano 24/24 e 7/7 coi migliori cervelli del mondo, e avevano capito da un pezzo che gli artigli dell’Eurozona si erano di molto consumati. Le mega corporations di tutti i settori – dalla finanza, all’alimentazione, ai servizi, alla Information Technology – si sono dette “The best days of the Euro-feasting are over. Must find a new way to fuck these States up again”, tradotto: i giorni migliori del banchetto-Euro sono finiti. Dobbiamo trovare un altro modo per fottere ’sti Stati, ancora. Il Ttip è per ora naufragato. L’uomo con le scarpe da 5.000 dollari a Wall Street, a Chicago, o a Francoforte ha per caso sollevato un sopracciglio? No. Lui lo sa benissimo che ciò che oggi i popoli rigettano ‘up-front’, gli rientra sempre dalla porta di servizio.
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Flores d’Arcais: il Movimento 5 Stelle non è più votabile
Addio 5 Stelle: dalla prossima volta, meglio non andare più a votare. Lo afferma Paolo Flores d’Arcais, demoralizzato da Grillo che tratta i militanti come il peggiore dei dittatori. Astensionismo: «Scelta terribile, perché significa affidare la decisione agli altri elettori, rinunciare all’esercizio della propria sovranità elettorale», scrive il direttore di “Micromega”. Ma cos’altro resta da fare, aggiunge, se viene meno anche la possibilità del meno peggio? A far tracollare la fiducia residua nel leader, la decisione di Grillo di annullare il risultato democratico delle “comunarie” di Genova, non avendo vinto il candidato preferito dal Capo. «Dovete fidarvi di me», ha detto Grillo agli elettori appena boicottati. Di lui, invece, Flores d’Arcais non si fida più: «A questo punto sarebbe il caso che il M5S ufficializzasse nel suo non-statuto che i candidati li sceglie Grillo, e così per ogni altra nomina. Non sarebbe la tanto strombazzata democrazia-diretta-web, sarebbe almeno un’oncia di onestà». Ma non è sorpreso più di tanto, Flores d’Arcais, nel constatare che il M5S si consegna al «centralismo monocratico» dell’ex comico, solo in parte condiviso, a volte, con il consigliere “dinastico” Davide Casaleggio.Pur avendo offerto acute analisi sulla crisi (memorabile il contributo di Luciano Gallino), anche “Micromega” – come il Movimento 5 Stelle – non ha mai espresso una critica organicamente radicale contro l’establishment europeista: la rivista, che alle europee sostenne la lista Tsipras, non ha mai fatto campagne frontali contro la Commissione Europea e la Bce. E lo stesso movimento di Grillo, anziché impegnarsi in un Piano-B come quello di Marine Le Pen, si limita a chiedere un timido referendum consultivo sull’euro per sondare gli italiani, senza peraltro dare indicazioni chiare sulle sue intenzioni, in merito alla permanenza nella moneta unita. Peggio: è ancora fresco l’harakiri con cui Grillo ha “suicidato” il suo gruppo parlamentare a Strasburgo, esponendolo al ridicolo: prima il diktat del leader, l’ordine agli europarlamentari di traslocare tra gli ultra-europeisti dell’Alde in compagnia di Mario Monti, poi lo scorno del gran rifiuto dell’Alde e l’umiliante ritorno a Canossa tra le fila di Nigel Farage. Flores d’Arcais ben rappresenta una certa intellettualità italiana laico-progressista e indipendente, avvicinatasi con riluttanza ai 5 Stelle per mancanza di alternative, vista la catastrofe del Pd e l’eclissi di qualunque residua sinistra. Ma adesso anche la carta pentastellata finisce nel cestino.Per chi votare, la prossima volta? Per nessuno. In un numero precedente di “Micromega”, Flores d’Arcais si era domandato fino a quando si sarebbe potuto scegliere ancora il M5S, alle urne: domanda espressa «con rammarico, perché altri voti non di regime non se ne vedono». La misura era già colma qualche tempo fa, ammette Flores. Ma adesso «l’ukase defenestratorio di Genova costituisce la goccia che fa traboccare il vaso: nemmeno il M5S è più votabile». E così, «la prossima volta, a meno di nuove liste di cui per il momento non si vede, e nemmeno intravede, ombra, per chi prenda sul serio la Costituzione, con i suoi valori intransigenti di giustizia e libertà, diventerà ragionevole non votare». Il che non è il massimo, e il primo a saperlo – e a scriverlo – è lo stesso Flores d’Arcais. Il suo post è corredato da moltissimi commenti, alcuni contrari alla sua conclusione. Per molti grillini, militanti e simpatizzanti, il Capo ha comunque ragione. Non vedono che, da fuori, il grande potere si sta gustando lo spettacolo: la principale forza politica italiana, progettata per l’alternativa, è in realtà agli ordini di una sola persona. Ieri obbedisce su Strasburgo, oggi su Genova, domani chissà.Addio 5 Stelle: dalla prossima volta, meglio non andare più a votare. Lo afferma Paolo Flores d’Arcais, demoralizzato da Grillo che tratta i militanti come il peggiore dei dittatori. Astensionismo: «Scelta terribile, perché significa affidare la decisione agli altri elettori, rinunciare all’esercizio della propria sovranità elettorale», scrive il direttore di “Micromega”. Ma cos’altro resta da fare, aggiunge, se viene meno anche la possibilità del meno peggio? A far tracollare la fiducia residua nel leader, la decisione di Grillo di annullare il risultato democratico delle “comunarie” di Genova, non avendo vinto il candidato preferito dal Capo. «Dovete fidarvi di me», ha detto Grillo agli elettori appena boicottati. Di lui, invece, Flores d’Arcais non si fida più: «A questo punto sarebbe il caso che il M5S ufficializzasse nel suo non-statuto che i candidati li sceglie Grillo, e così per ogni altra nomina. Non sarebbe la tanto strombazzata democrazia-diretta-web, sarebbe almeno un’oncia di onestà». Ma non è sorpreso più di tanto, Flores d’Arcais, nel constatare che il M5S si consegna al «centralismo monocratico» dell’ex comico, solo in parte condiviso, a volte, con il consigliere “dinastico” Davide Casaleggio.
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De Benedetti: entro 5 anni l’Unione Europea sarà morta
Per farsi un’idea dell’incertezza che aleggia sul destino dell’Unione Europea, basta leggere il “libro bianco” di Jean-Claude Juncker riguardo il futuro dell’Europa. Mercoledì questo documento del presidente della Commissione Europea è stato reso pubblico, e conteneva addirittura cinque possibili scenari per l’evoluzione dell’Ue da qui al 2025: “tirare avanti”, “nient’altro che il mercato unico”, “quelli che vogliono fare di più fanno di più”, “fare meno in maniera più efficiente” e “fare molto di più insieme”. La vaghezza e genericità del “libro bianco” è comprensibile. Mentre si avvicinano le elezioni in Olanda, Bulgaria, Francia, Germania e in Repubblica Ceca, non c’è praticamente nessun governo che abbia voglia di seguire le ambiziose iniziative di Juncker. Tuttavia, i governi si rendono conto che l’Europa sta creando rischi al mondo intero in una maniera che non si era più verificata dalla fine della guerra fredda negli anni 1989-91. Gli strateghi di politica estera a Berlino, Parigi e nelle altre capitali stanno rivedendo le loro posizioni a lungo condivise sull’inevitabilità dell’integrazione europea e la stabilità dell’alleanza Europa-Usa nell’ambito della sicurezza.L’Europa “a più velocità”, che incoraggia alcuni paesi a integrarsi più velocemente di altri, è tornata di moda. Questa idea, attraente in special modo per alcune parti dell’Europa occidentale, ha ricevuto sostegno da Jean-Marc Ayrault e Sigmar Gabriel, i ministri degli esteri di Francia e Germania. Un’altra idea è di aumentare la collaborazione nella difesa, in modo che in questo campo l’Ue diventi per gli Stati Uniti un partner più credibile. Al di là di queste proposte relativamente prudenti, alcuni responsabili politici e analisti indipendenti stanno pensando l’impensabile. Un esempio è il report di MacroGeo, una società di consulenza presieduta da Carlo De Benedetti, un veterano della comunità imprenditoriale italiana. Il report “L’Europa al tempo di Trump e della Brexit: disintegrazione e riorganizzazione”, arriva a conclusioni coraggiose. Afferma che l’Ue nella sua forma attuale con ogni probabilità va incontro alla decomposizione, anche se dovessero vincere le elezioni di quest’anno politici pro-integrazione come Emmanuel Macron, il centrista indipendente francese, e Martin Schulz, il socialdemocratico tedesco.«Per il ciclo elettorale 2021-22, l’Ue potrebbe entrare negli ultimi cinque anni della sua ‘reale’ esistenza», dice il report, che considera che le strutture legali formali dell’Unione con sede a Bruxelles potrebbero resistere più a lungo. Il report sostiene che, al di là di shock quali il voto britannico per l’uscita dall’Ue, i trend geopolitici di lungo termine stanno portando l’unione valutaria all’atrofia. Ai confini orientali e meridionali dell’Unione si affacciano molti problemi: l’immigrazione clandestina, Stati prossimi al fallimento, terrorismo, cambiamenti climatici e revisionismo russo. Nel frattempo, gli Stati Uniti si stanno lentamente disimpegnando dall’Europa per focalizzarsi sulla Cina e l’estremo oriente. La Germania non occuperà il posto degli Stati Uniti come potenza egemone di riferimento per l’Europa: non lascerà mai che l’eurozona diventi una “unione di trasferimenti fiscali” e, nonostante le speculazioni riguardo a un deterrente nucleare tedesco, il suo passato nel ventesimo secolo dice chiaramente che né la Germania né i suoi vicini vogliono che essa diventi la potenza militare dominante dell’Europa.La disintegrazione dell’Ue scatenerebbe «i pericolosi demoni nazionalistici del passato europeo», come teme Guy Verhofstadt, ex primo ministro belga? Gli autori del report di MacroGeo prevedono che non si avrà un’anarchica competizione tra gli Stati-nazione, bensì «l’affermazione di un nucleo centrale geoeconomico intorno alla Germania». Questo sarebbe formato dalla Germania e dai paesi che ne costituiscono la filiera industriale, cui si addice la cultura fiscale e monetaria tedesca. In maniera disarmante, gli autori suggeriscono che, «se l’Italia dovesse dividersi», l’Italia del Nord potrebbe unirsi al gruppo formato da Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e alcuni paesi scandinavi. Questa evoluzione presuppone la disgregazione dell’Eurozona a 19 paesi. I ministri delle finanze e i banchieri centrali europei ci ripetono che questo passo sarebbe devastante per le economie europee e per la stabilità finanziaria globale.Tuttavia, questa prospettiva è in discussione, e non solo nei circoli del partito di estrema destra francese, il Front National, o nel partito anti-estabilishment italiano M5S. Mediobanca, una banca d’investimenti che una volta era l’emblema del capitalismo del nord Italia, a gennaio ha pubblicato un rapporto controverso in cui suggeriva che, in termini di debito pubblico, l’Italia non soffrirebbe particolarmente lasciando l’Eurozona. Il mese scorso il Parlamento olandese ha votato per l’istituzione di una commissione d’inchiesta sui pro e contro dell’appartenenza olandese all’Eurozona, una mossa che riflette la frustrazione nei confronti della politica di tassi ultra-bassi e del programma Qe della Banca Centrale Europea. Nel valutare il futuro dell’Europa, questi sviluppi vanno presi attentamente in considerazione – forse più attentamente del “libro bianco” di Juncker.(Tony Barber, “L’Europa inizia a pensare l’impensabile, smantellare l’Eurozona”, dal “Financial Times” del 3 marzo 2017, articolo tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).Per farsi un’idea dell’incertezza che aleggia sul destino dell’Unione Europea, basta leggere il “libro bianco” di Jean-Claude Juncker riguardo il futuro dell’Europa. Mercoledì questo documento del presidente della Commissione Europea è stato reso pubblico, e conteneva addirittura cinque possibili scenari per l’evoluzione dell’Ue da qui al 2025: “tirare avanti”, “nient’altro che il mercato unico”, “quelli che vogliono fare di più fanno di più”, “fare meno in maniera più efficiente” e “fare molto di più insieme”. La vaghezza e genericità del “libro bianco” è comprensibile. Mentre si avvicinano le elezioni in Olanda, Bulgaria, Francia, Germania e in Repubblica Ceca, non c’è praticamente nessun governo che abbia voglia di seguire le ambiziose iniziative di Juncker. Tuttavia, i governi si rendono conto che l’Europa sta creando rischi al mondo intero in una maniera che non si era più verificata dalla fine della guerra fredda negli anni 1989-91. Gli strateghi di politica estera a Berlino, Parigi e nelle altre capitali stanno rivedendo le loro posizioni a lungo condivise sull’inevitabilità dell’integrazione europea e la stabilità dell’alleanza Europa-Usa nell’ambito della sicurezza.
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“Cofferati, Kyenge, Spinelli e gli altri amici di Soros in Ue”
Il magnate ungherese George Soros ci sorprende ancora: la sua fondazione, la Open Society, ha appena pubblicato un file contenente i nomi degli “Alleati fidati nel Parlamento Europeo”. Il fascicolo, come riporta “Diario del Web”, si riferisce a 226 deputati (su 751) dell’Europarlamento che sono molto vicini a Soros e sposano le sue battaglie in giro per il mondo. Nella lista troviamo anche alcune vecchie conoscenze del Belpaese, tra cui l’ex sindacalista Cgil Sergio Cofferati, l’ex ministra Kashetu Kyenge e Barbara Spinelli, eletta con “L’altra Europa con Tsipras”, cioè con i voti della sinistra “radicale” italiana. Tra gli altri “amici fidati” di Soros a Strasburgo anche svariati esponenti del Pd come Daniele Viotti, Elena Gentile e Roberto Gualtieri. Secondo Maurizio Blondet, la lista dei “Soros friends” made in Italy fugurano anche altri europarlamentari eletti sempre con il Pd, come Alessia Mosca, Luigi Morgano, Elena Ethel “Elly” Schlein, Isabella De Monte, Brando Maria Benifei e Pier Antonio Panzieri. Il dossier, secondo Blondet, avvicinerebbe questi europarlamentari alle battaglie «radicali, globaliste, anti-sovraniste e anti-Russia» orchestrate da Soros.«Si nota anche come la Open Society sia molto attiva in Ungheria, dove sta mobilitando una spontanea “primavera” per rovesciare il governo di Viktor Orban», afferma Blondet, che aggiunge: «Molti siti di informazione ungheresi hanno ricevuto aiuti finanziari da Soros, fra cui “444.hu” che ha ricevuto 49.500 dollari». SorosLeaks, ovvero: retroscena sul ricchissimo super-speculatore ungherese, che “Diario del Web” definisce «il burattinaio dell’ordine mondiale». Gli “alleati” italiani di George Soros nel Parlamento Europeo? I loro nomi sono pubblicati da Open Society, «la fondazione-ombrello del magnate ungherese con la quale finanzia i suoi progetti “rivoluzionari” in giro per il mondo». Secondo gli hacker che recentemente hanno attaccato il sito della fondazione, aggiunge “Diario”, Soros sarebbe «l’architetto o il finanziatore di più o meno ogni rivoluzione o colpo di Stato degli ultimi 25 anni», compreso il golpe in Ucraina “truccato” da sommossa popolare. «Con i suoi soldi, il ricco ungherese avrebbe cercato più volte di influenzare e determinare il corso della storia».Oltre agli “italiani”, continua “Diario del Web”, altri 13 fedelissimi apparterrebbero al Gruppo di Visegrad. «Ma questo dato non sorprende più di tanto, visto che la Open Society di George Soros pare sia molto attiva in Ungheria», dove lavora per rovesciare il governo Orban, regolarmente eletto. Non sarebbe la prima volta: «Vale la pena ricordare che George Soros è diventato famoso per aver gettato sul lastrico la Banca d’Inghilterra e aver costretto la sterlina e la lira italiana a uscire dallo Sme nel 1992», scrive “Diario”. «Il 16 settembre di quell’anno mise in atto una gigantesca operazione speculativa vendendo una enorme quantità di sterline allo scoperto, e gettando nel caos sia la Gran Bretagna che l’Italia». I due paesi furono costretti a uscire dal Serpente Monetario Europeo, «mentre Soros guadagnava una fortuna». Ad oggi è una delle 30 persone più ricche del mondo: il suo patrimonio è stimato in circa 24,9 miliardi di dollari (dati aggiornati a maggio 2016). Soros ha cercato anche di favorire la candidata democratica Hillary Clinton alle presidenziali americane, ma questa volta – come sappiamo – le cose gli sono andate male.I documenti trafugati dalla sua fondazione dagli hacker, aggiunge “Diario del Web”, rivelano un costante impegno economico per campagne elettorali, fondazioni umanitarie, associazioni per i diritti umani e società di ricerca, «allo scopo di indirizzare il consenso dell’opinione pubblica (non solo americana) verso alcune questioni particolarmente care a Soros». Non sorprende, dunque, che il magnate ungherese «abbia finanziato anche Amnesty International, che recentemente ha rivolto un durissimo attacco nei confronti di alcuni leader mondiali ritenuti responsabili dall’associazione di una “retorica incendiaria”: Donald Trump, Recep Tayyip Erdogan, Viktor Orban. Guarda caso, tutti nemici giurati di Soros». E che dire del generoso finanziamento, sempre da parte della Open Society, verso il Poynter Institute che per Facebook si occuperà della “verifica delle notizie” attraverso un progetto di fact checking? «Il celebre social network avrebbe infatti deciso di dichiarare guerra alle “fake news”, ma è facile immaginare che l’informazione possa essere filtrata a favore degli “amici” più generosi». E questo punto, conclude il blog, «viene spontaneo chiedersi anche come e perché gli europarlamentari italiani siano stati inseriti da Soros nella lista dei suoi “fedelissimi”». E attenzione: tra i Soros-friends c’è anche Guy Verhofstadt, dell’Alde, il gruppo in cui Beppe Grillo ha cercato di far confluire gli europarlamentari 5 Stelle.Il magnate ungherese George Soros ci sorprende ancora: la sua fondazione, la Open Society, ha appena pubblicato un file contenente i nomi degli “Alleati fidati nel Parlamento Europeo”. Il fascicolo, come riporta “Diario del Web”, si riferisce a 226 deputati (su 751) dell’Europarlamento che sono molto vicini a Soros e sposano le sue battaglie in giro per il mondo. Nella lista troviamo anche alcune vecchie conoscenze del Belpaese, tra cui l’ex sindacalista Cgil Sergio Cofferati, l’ex ministra Kashetu Kyenge e Barbara Spinelli, eletta con “L’altra Europa con Tsipras”, cioè con i voti della sinistra “radicale” italiana. Tra gli altri “amici fidati” di Soros a Strasburgo anche svariati esponenti del Pd come Daniele Viotti, Elena Gentile e Roberto Gualtieri. Secondo Maurizio Blondet, la lista dei “Soros friends” made in Italy fugurano anche altri europarlamentari eletti sempre con il Pd, come Alessia Mosca, Luigi Morgano, Elena Ethel “Elly” Schlein, Isabella De Monte, Brando Maria Benifei e Pier Antonio Panzieri. Il dossier, secondo Blondet, avvicinerebbe questi europarlamentari alle battaglie «radicali, globaliste, anti-sovraniste e anti-Russia» orchestrate da Soros.
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Le Pen vince o perde? Da noi è uguale, va male a Pd e M5S
Cattive notizie, per i maggiori partiti italiani – 5 Stelle e Pd – sia in caso di vittoria di Marine Le Pen, sia in caso di sconfitta della “signora” del Front National. E’ il politologo Aldo Giannuli a provare a valutare i riflessi, sul nostro paese, dell’evento europeo più atteso (e temuto), le presidenziali francesi, tra poco più di due mesi. «La prima conseguenza sarà di carattere generale e riguarderà l’Europa: se a vincere sarà la Le Pen, non c’è dubbio che salterà tutto in aria, euro, Ue e compagnia cantante». Se invece dovesse affermarsi Fillon, o più probabilmente Macron, «questo non risolverà la crisi della Ue, ma, al massimo, gli darà un po’ di fiato per qualche tempo, soprattutto se la Le Pen dovesse superare il 45%». Quanto all’Italia, in caso di vittoria della Le Pen, «ovviamente il maggior beneficiario sarebbe Salvini, che potrebbe aspirare alla leadership della destra e ad un risultato con almeno il 2 davanti per il suo partito, soprattutto se Toti e i suoi amici dovessero staccarsi da Fi». Tramonterebbe la stella del Cavaliere, che dovrebbe «rassegnarsi alla marginalità o ad accettare la leadership di Salvini», e si aprirebbe uno «scenario da incubo per il Pd», che dovrebbe «fronteggiare una marea anti-euro».Il Pd, continua Giannuli nella sua analisi, in caso di boom No-Euro «non avrebbe neppure un possibile alleato di governo (Fi)», e sarebbe «costretto a schiacciarsi contro la sua sinistra e cercare qualche intesa con il M5S». Se il segretario fosse ancora Renzi, «il suo declino acclererebbe e la crisi del Pd si approfondirebbe, con rischio di nuove scissioni». Ma lo scenario sarebbe «non bello» anche per il Movimento 5 Stelle, «che scoprirebbe che la Lega non è un possibile alleato, ma un temibile concorrente che inizierebbe a insidiare il suo elettorato». Per il Mdp – gli scissionisti bersaniani – potrebbero aprirsi spazi nel caso di crisi del Pd, «ma potrebbero ridursi se questo portasse ad una nuova segreteria più di “sinistra”» del Partito Democratico, «che potrebbe portare al rientro di almeno una parte del partito appena nato». Di riflesso, in questo caso, “Sinistra Italiana” «potrebbe giovarsi del rapido declino di Mdp». Morale: se Marine Le Pen conquista l’Eliseo, in Italia «fine della legislatura già dal giorno dei risultati, e nuove elezioni entro sei mesi».E lo scenario che vede la Le Pen sconfitta? «Ovviamente, il maggiore danneggiato sarebbe Salvini, che forse pagherebbe il prezzo di una scissione di Bossi e vedrebbe archiviato il suo sogno di diventare il leader di tutta la destra». Per contro, «questo segnerebbe il rilancio del Cavaliere, che potrebbe tornare ad essere il punto di attrazione della destra», e non solo per i leghisti e “Fratelli d’Italia”, «ma anche per la residua area di centro (Alfano, Casini, Verdini e frattaglie varie, da Tosi a Marchini a Fitto e ai resti dell’ex area Giannino)», e questo, secondo Giannuli, potrebbe riportare Forza Italia oltre il 20% e l’area di centrodestra «verso un pericoloso 34-35%». Per il Pd «sarebbe una (amarissima) mezza vittoria, perché gli darebbe l’alleato con cui fare un governo di “unione nazionale” o giù di lì, ma potrebbe farlo diventare terzo schiacciato fra la nuova destra ed il M5S: brutto affare, che riproporrebbe la crisi interna». I 5 Stelle potrebbero «uscirne bene, evitando la concorrenza della Lega», che però, in uno scenario del genere, «difficilmente potrebbe appoggiare dall’esterno un governo Di Maio, ammesso che i voti possano bastare». Ma, se (come sembra probabile) il partito di Grillo non dovesse raggiungere il 40%, «si troverebbe a fare i conti con la delusione della sua base». Risultato: «Probabile governo Fi-Pd e durata un po’ più lunga della legislatura, diciamo 2 anni».Cattive notizie, per i maggiori partiti italiani – 5 Stelle e Pd – sia in caso di vittoria di Marine Le Pen, sia in caso di sconfitta della “signora” del Front National. E’ il politologo Aldo Giannuli a provare a valutare i riflessi, sul nostro paese, dell’evento europeo più atteso (e temuto), le presidenziali francesi, tra poco più di due mesi. «La prima conseguenza sarà di carattere generale e riguarderà l’Europa: se a vincere sarà la Le Pen, non c’è dubbio che salterà tutto in aria, euro, Ue e compagnia cantante». Se invece dovesse affermarsi Fillon, o più probabilmente Macron, «questo non risolverà la crisi della Ue, ma, al massimo, gli darà un po’ di fiato per qualche tempo, soprattutto se la Le Pen dovesse superare il 45%». Quanto all’Italia, in caso di vittoria della Le Pen, «ovviamente il maggior beneficiario sarebbe Salvini, che potrebbe aspirare alla leadership della destra e ad un risultato con almeno il 2 davanti per il suo partito, soprattutto se Toti e i suoi amici dovessero staccarsi da Fi». Tramonterebbe la stella del Cavaliere, che dovrebbe «rassegnarsi alla marginalità o ad accettare la leadership di Salvini», e si aprirebbe uno «scenario da incubo per il Pd», che dovrebbe «fronteggiare una marea anti-euro».
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Se l’Italia cambia padrone, qualcuno la sta “sovragestendo”
«Matteo Renzi è un politico finito. Ha deluso tutti, non ha mai rispettato la parola data: a Bersani, Letta, Berlusconi». Ora ha anche tradito l’impegno preso con gli italiani, a cui aveva promesso di sparire dalla circolazione in caso di sconfitta al referendum. Che il “rottamatore” fosse al capolinea lo diceva, prima ancora del 4 dicembre, l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che illumina oscuri retroscena del potere italiano, «sovragestito dalla P1», struttura-ombra (mai denunciata da nessun altro) che sarebbe il vero “dominus” delle trame di palazzo, attraverso personaggi come il politologo americano Michael Ledeen, che Carpeoro presenta come esponente di vertice della super-massoneria reazionaria, anche affiliato al B’nai B’rith, cellula massonica super-segreta controllata dal Mossad. Per Carpeoro, Ledeen avrebbe “gestito” «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». La tesi dell’avvocato: «Non sono le persone a fare progetti di potere, è il potere a fare progetti sulle persone».Cambiano i musicisi, non la musica. Renzi? «Pur dicendosi “di sinistra” ha bussato per anni, inutilmente, alle porte della super-massoneria conservatrice», afferma Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”. Non gli è stato aperto: «Persino Napolitano si è rifiutato di fargli da garante». Ora, sembra arrivato l’avviso di sfratto: per via giudiziaria, tanto per cambiare. «Via Renzi, è già pronto Di Maio», diceva Carpeoro, mesi fa. Alla luce degli ultimi sviluppi, in effetti, suona meno “strano” l’improvviso voltafaccia di Grillo al Parlamento Europeo, con il rocambolesco abbandono di Farage dopo la vittoria sulla Brexit per tentare di approdare al gruppo centrista pro-euro, in cui milita Mario Monti. Come se il capo dei 5 Stelle avesse voluto inviare un segnale chiarissimo di “affidabilità”, rispetto al vero potere che gestisce l’Europa, l’economia, la finanza. Altro dettaglio, fondamentale: nel “MoVimento”, chi dissente è perduto: condannato alla pubblica esecrazione, e persino – se cambia casacca – invitato a pagare una penale.Impossibile coltivare idee diverse da quelle del Capo: è dunque un esercito di terracotta, quello che domani – tramontato Gentiloni – potrebbe prendere in mano il governo del paese? Tiene ancora banco il refrain dell’“uno vale uno”, ma – beninteso – ammesso che sia allineato con l’unico, vero Numero Uno. In libri come “Il golpe inglese”, scritto con Mario Josè Cereghino, il giornalista Mario Fasanella sostiene che l’Italia sia sempre stata “sovragestita” da poteri esterni, stranieri, economici e finanziari. Lo stesso Jobs Act, rivela Paolo Barnard, è stato scritto – due anni prima dell’adozione, da parte di Renzi – dalla potentissima “Business Europe”, think-tank che “detta le leggi” alla Commissione Europea. L’Italia politica è nel caos: il Pd si spappola, Renzi è sotto attacco (il padre indagato, nell’inchiesta che sta coinvolgendo il ministro Lotti e altri renziani) e i 5 Stelle che serrano i ranghi, dichirando guerra al dissenso interno: come se si stesse avvicinando una grande burrasca (le elezioni francesi, la Le Pen, l’euro che vacilla insieme all’Ue). Serviranno “soldati”, addestrati a obbedire? E nel caso, a chi? Chi sta “sovragestendo”, oggi, la palude italiana?«Renzi finirà asfaltato dai No, e il suo successore lo stabilirà il Vaticano», disse, mesi prima del referendum, il “profeta” Rino Formica, già ministro socialista nella Prima Repubblica. Bingo: Paolo Gentiloni è discendente della famiglia dei conti Gentiloni Silveri, “nobili di Filottrano, Cingoli e Macerata”, storicamente al servizio della Santa Sede. Dai media mainstream, sempre lontani anni luce dalle “fake news” (leggasi: notizie scomode) contro cui si sta abbattendo l’offensiva di Laura Boldrini (una legge speciale per imbavagliare il web, come se già non esistessero leggi a tutela dei cittadini diffamati), è impossibile ricavare analisi di scenario, oltre alla piccola agenda tattica di partiti e leader. Chi sta “sovragestendo” il paese, oggi, a parte il Vaticano che sicuramente “apprezza” Gentiloni? Carpeoro è pessimista: «Non emerge un piano-B che contesti l’attuale sistema, in base al quale, perché noi si stia meglio, qualcuno deve per forza stare peggio». Unico spiraglio: «La base elettorale dei 5 Stelle, animata da forti motivazioni etiche».Più ottimista invece Magaldi, che dopo aver segnalato (mai smentito da nessuno) la presenza di D’Alema, Napolitano, Monti e Padoan nella super-massoneria oligarchica, responsabile della globalizzazione antidemocratica, privatizzatrice e mercantilista, oggi scommette sul collasso del Pd, che «darebbe fiato a nuove istanze progressiste e democratiche finalmente autentiche», archiviata la “finta sinistra” che ha svenduto il paese ai potentati economici stranieri precipitando l’Italia in questa crisi senza fine. Troppo ottimista, Magaldi? Da più parti si fa notare il ritorno della “giustizia a orologeria” denunciata per anni da Berlusconi: l’inchiesta che lambisce Renzi coincide alla perfezione con il calendario della condanna in primo grado dell’alleato Verdini. Sembra un messaggio all’ex premier, mai accolto nel “salotto buono” in cui siedono molti altri italiani, da Mario Draghi a Emma Marcegaglia. Il caos cresce, e del Piano-B (restituire sovranità finanziaria a un governo finalmente eletto, autorizzato a investire denaro pubblico per produrre occupazione) non c’è neppure l’ombra.«Matteo Renzi è un politico finito. Ha deluso tutti, non ha mai rispettato la parola data: a Bersani, Letta, Berlusconi». Ora ha anche tradito l’impegno preso con gli italiani, a cui aveva promesso di sparire dalla circolazione in caso di sconfitta al referendum. Che il “rottamatore” fosse al capolinea lo diceva, prima ancora del 4 dicembre, l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che illumina oscuri retroscena del potere italiano, «sovragestito dalla P1», struttura-ombra (mai denunciata da nessun altro) che sarebbe il vero “dominus” delle trame di palazzo, attraverso personaggi come il politologo americano Michael Ledeen, che Carpeoro presenta come esponente di vertice della super-massoneria reazionaria, anche affiliato al B’nai B’rith, cellula massonica super-segreta controllata dal Mossad. Per Carpeoro, Ledeen avrebbe “gestito” «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». La tesi dell’avvocato: «Non sono le persone a fare progetti di potere, è il potere a fare progetti sulle persone».
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Sfratto a Renzi, per via giudiziaria. Il potere vuole i 5 Stelle?
Le vicende giudiziarie che stanno sfiorando Matteo Renzi «sembrano essere lo specchio di una ristrutturazione in corso dei poteri del paese», sostiene “Infoaut”. «Dopo la batosta del 4 dicembre, su cui aveva puntato tutte le sue fiches, Renzi parrebbe essere giudicato sempre più inservibile da ampie parti dell’establishment». Settori di vertice che, «per destabilizzarne la tenuta», ormai «iniziano ad utilizzare lo strumento della magistratura e delle inchieste», strumento «da sempre orientato all’azione politica nell’ottica del riequilibrio del sistema, il più utile a questo genere di operazioni». Renzi rischia di essere toccato dall’inchiesta Consip? «Se ciò accadesse sarebbe davvero difficile reggere ad un colpo del genere», osserva “Infoaut”. «Ma anche se non dovessero emergere relazioni dirette tra padre e figlio, le parole di Marroni (ad di Consip nominato dallo stesso premier) che tirano in ballo l’imprenditore Alfredo Romeo, Tiziano Renzi padre di Matteo e l’imprenditore Carlo Russo riguardo a pressioni indebite sui dirigenti Consip per indirizzare o ottenere appalti lucrosi, sembrano essere un colpo molto duro da incassare».Quantomeno a livello mediatico, continua il newsmagazine dell’area “antagonista” torinese, che dichiara di fornire “informazione di parte”, i piani dell’ex premier impegnato nella corsa del consenso verso le elezioni del 2018 sembrano essere scompaginati. «Mentre nuovi interrogatori dovranno definire la portata reale dei fatti contestati, sembra esserci il caos nelle fila del cosiddetto Giglio Magico, il gruppo di potere che ruota intorno a Renzi. Le sedi di Rignano e Scandicci del Pd sono chiuse, Renzi addirittura effettua un viaggio in Puglia senza avvertire il Pd locale per evitare contestazioni, mentre il fedelissimo Lotti, tirato in ballo nelle carte, frettolosamente si affanna a ribadire la sua onestà e la sua estraneità ai fatti». Intanto, Renzi «viene abbandonato via via da sempre più big del Pd, che dichiarano il proprio appoggio ad Emiliano o Orlando nelle primarie fissate per il prossimo 30 aprile». E se la minoranza del Pd è riuscita finalmente a scindersi, forse «più che indirizzati da motivazioni etico-politiche» Bersani e compagni «sembrano voler scendere dalla nave che affonda, prima che sia troppo tardi».Strano tempismo: «Forse c’è chi aveva fiutato, o sapeva tramite vecchi amici, che dopo il No referendario l’aria che tirava non era delle migliori e ha preso la balla al balzo». A pesare è anche «lo stesso scandalo delle decine di migliaia di nuove tessere in Campania», che aggiunge ombre al «rapporto morboso tra il Pd renziano e ambiti di potere quantomeno oscuri di quei territori». Osserva “Infoaut”: «È interessante notare che l’attacco al sistema Renzi avviene nello stesso momento in cui la giunta Raggi su Roma ha ceduto – perchè di questo si tratta, al di là di come i 5 Stelle stanno abbellendo la vicenda – sulla questione stadio, dopo la messa da parte di Berdini che suonava già come una avances ai palazzinari e agli speculatori locali». Dopo il “no” alle Olimpiadi, e mesi di clamore su ogni minuzia della giunta Raggi, «ora la sindaca romana è praticamente sparita dalla scena, mentre lo scandalo Consip emerge con un timing preciso. Che nel gotha dei poteri economici si stia iniziando ad apprezzare la prospettiva pentastellata, non fosse altro per manifesta inesistenza di alternative credibili?». Ormai le sorprese sono all’ordine del giorno, «e l’attacco giudiziario non sembra essere casuale».Di fronte alla peggiore delle ipotesi dell’accusa (corruzione e nepotismo, con il padre di Renzi che farebbe il “lavoro sporco” per il figlio, pressando il vertice della Consip, l’ente che dispensa i lucrosi appalti pubblici) «la retorica renziana della meritocrazia e della rottamazione si scioglie come neve al sole», conclude “Infoaut”, che traccia un parallelo tra quello che chiama “il sistema Renzi”, le polemiche sul ministro Giuliano Poletti e i torbidi retroscena di Mafia Capitale alle spalle della giunta Marino. Lo stesso Renzi, «pur di assicurarsi la stabilità», non ha esitato a scendere a patti con Denis Verdini, condannato in primo grado a 9 anni di reclusione per il crac del Credito Cooperativo Fiorentino. «Anche questa sentenza arriva a suo modo con un timing preciso, e sembra squalificare dal gioco uno dei potenziali neo-alleati, quantomeno a livello di spostamento di voti e prebende varie, del Pd a guida assoluta renziana». Traduzione: «Un sistema di potere sembra andare in pezzi, quali altri emergeranno?».Le vicende giudiziarie che stanno sfiorando Matteo Renzi «sembrano essere lo specchio di una ristrutturazione in corso dei poteri del paese», sostiene “Infoaut”. «Dopo la batosta del 4 dicembre, su cui aveva puntato tutte le sue fiches, Renzi parrebbe essere giudicato sempre più inservibile da ampie parti dell’establishment». Settori di vertice che, «per destabilizzarne la tenuta», ormai «iniziano ad utilizzare lo strumento della magistratura e delle inchieste», strumento «da sempre orientato all’azione politica nell’ottica del riequilibrio del sistema, il più utile a questo genere di operazioni». Renzi rischia di essere toccato dall’inchiesta Consip? «Se ciò accadesse sarebbe davvero difficile reggere ad un colpo del genere», osserva “Infoaut”. «Ma anche se non dovessero emergere relazioni dirette tra padre e figlio, le parole di Marroni (ad di Consip nominato dallo stesso premier) che tirano in ballo l’imprenditore Alfredo Romeo, Tiziano Renzi padre di Matteo e l’imprenditore Carlo Russo riguardo a pressioni indebite sui dirigenti Consip per indirizzare o ottenere appalti lucrosi, sembrano essere un colpo molto duro da incassare».
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Magaldi: dal Pd solo macerie, dov’è il Piano-B per l’Italia?
Quella italiana è la situazione più magmatica ma anche più feconda di tutta Europa. E la partita fondamentale per il futuro della democrazia nel mondo si gioca in Europa, più ancora che negli Stati Uniti, perché gli Usa, grazie all’uragano Trump, troveranno nuove condizioni di riflessione, sui valori progressisti e sui valori conservatori. Quindi, grazie alla “cura Trump”, una cura da cavallo, vedo che lì il processo virtuoso si è già avviato. Naturalmente in molti fanno fatica a capirlo, ma capiranno col tempo. In altri paesi ci sono troppi incancrenimenti, con brontosauri di epoche ormai da superare, finti socialdemocratici che finiscono con l’allearsi con partiti più o meno popolari. In Italia invece la situazione è più fluida: grazie anche al Movimento 5 Stelle, che ha rotto la finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, si sono aperti nuovi giochi, che adesso vengono moltiplicati da questa crisi interna al Pd, animata da vecchie cariatidi che vanno a costituire gruppi sedicenti democratici e sedicenti progressisti.Come un sergente di caserma, Bersani imponeva ai parlamentari del Pd di votare come un sol uomo il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione, le misure suicide e nefaste del governo Monti. Che si presenti oggi come una prospettiva progressista e pretenda di criticare Renzi sul versante dell’attenzione ai problemi sociali fa ridere i polli. Dietro Bersani, poi, ci sono giovanotti che si sono trovati a fare i capigruppo alla Camera di un grande partito come il Pd, e parlo di Roberto Speranza. Come si fa a pensare che le speranze di nuovo progressismo in Italia siano affidate a personaggi modestissimi, che hanno ancora molta gavetta da fare? Magari avrà dei talenti nascosti, di cui non ci siamo accorti, ma non ricordo, da Speranza (e nemmeno da Bersani) uno straccio di idea complessiva di sviluppo democratico del paese, in senso alternativo e progressista. L’unica alternativa mi sembra quella al potere, di Renzi. Non lo è D’Alema, vecchio arnese, brontosauro come pochi, che ha avuto la chance di governare l’Italia da Palazzo Chigi e dirigere quello che è stato il Pds-Ds. Questo personaggio, che ha fatto molti denari e che vive nel lusso, oggi diventa uno dei capifila di queste istanze socialisteggianti? Fa ridere i polli, insieme a Bersani e a Speranza.Quella del Pd è una vicenda di lotte di potere, e i cittadini la vedono come tale, nessuno si inganna. Al di là della retorica di facciata, anche all’interno del Pd tutti capiscono che è una lotta per il potere. Costoro non hanno alcuna idea diversa da quelle di Renzi, e l’hanno dimostrato nel fiancheggiamento del governo Monti, ma si sentono emarginati e marginalizzati. Vale per tutti l’esempio di Emiliano, che ha deciso di rimanere ma era tra i grandi sostenitori di Renzi. Ma Renzi non l’ha considerato troppo, nel governo della Regione Puglia, e così Emiliano l’ha fatto capire – anche pateticamente: sembrava un’amante che si sente trascurata e rimprovera il partner. Questa crisi nel Pd è un dibattito di potere – non sulle idee, non sui progetti per il paese. L’ha fatto anche Fassina, prima ancora, andando a fondare Sinistra Italiana: quando ha fatto il viceministro era del tutto accondiscendente alla linea allora di Saccomanni, salvo qualche distinguo per avere un po’ di platea, e ricordo – nell’imminenza delle elezioni 2013 – le dichiarazioni rese da Fassina e Bersani, a grandi quotidiani internazionali, per rassicurare tutti sul fatto che il governo Bersani, con Fassina candidato al dicastero dell’economia, sarebbe stato nella continuità col governo Monti.Quindi, tutti quanti – dai nuovi sgangherati gruppi parlamentari sedicenti democratico-progressisti a Sinistra Italiana – non rappresentano il futuro progressista e democratico (keynesiano, rooseveltiano) per l’Italia. L’Italia ha bisogno di una prospettiva ampia, che riguardi tanto l’economia che la vita delle istituzioni, ma anche le prospettive estere e un orizzonte di leadership nel Mediterraneo. Per far questo c’è bisogno di un nuovo soggetto politico, partitico, che si chiami “partito” e non “movimento”, come i partitini che pensano di accattivarsi gli elettori del Movimento 5 Stelle. C’è bisogno di un ritorno ai partiti solidi: non si tratta di tornare all’antico, alla Prima Repubblica, ma di recuperare il meglio dell’esperienza del passato. I partiti devono avere correnti e pluralismo: limpida dialettica interna, anziché la “notte dei lunghi coltelli” che si sta consumando nel Pd. Ho molto ottimismo, perché molte cose di muovono e, in Italia, questo magma sarà fecondissimo.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli durante la diretta a “Colors Radio” il 27 febbraio 2017, nella quale Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, ha annunciato l’imminente lancio di un nuovo partito, “democratico e progressista”).Quella italiana è la situazione più magmatica ma anche più feconda di tutta Europa. E la partita fondamentale per il futuro della democrazia nel mondo si gioca in Europa, più ancora che negli Stati Uniti, perché gli Usa, grazie all’uragano Trump, troveranno nuove condizioni di riflessione, sui valori progressisti e sui valori conservatori. Quindi, grazie alla “cura Trump”, una cura da cavallo, vedo che lì il processo virtuoso si è già avviato. Naturalmente in molti fanno fatica a capirlo, ma capiranno col tempo. In altri paesi ci sono troppi incancrenimenti, con brontosauri di epoche ormai da superare, finti socialdemocratici che finiscono con l’allearsi con partiti più o meno popolari. In Italia invece la situazione è più fluida: grazie anche al Movimento 5 Stelle, che ha rotto la finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, si sono aperti nuovi giochi, che adesso vengono moltiplicati da questa crisi interna al Pd, animata da vecchie cariatidi che vanno a costituire gruppi sedicenti democratici e sedicenti progressisti.
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Spaghetti-Trump cercasi: Emiliano, dopo Salvini e Grillo
I più spiazzati dalla vittoria di Donald Trump sono stati quelli che più avrebbero dovuto aspettarsela. Ma si sa, gli Dei rendono ciechi coloro che vogliono perdere. Da quando il fascistone è diventato presidente degli Stati Uniti, quaggiù s’è aperto il talent per la ricerca del “Trump all’italiana”, lo Spaghetti Trump. Salvini e Grillo sono in pole position da tempo, ma adesso persino il Pd ha il suo concorrente: Michele Emiliano. Nonostante il ruolo di populista di grana grossa che interpreta, però, la manovra con la quale il corpulento governatore della Puglia ha accompagnato fuori dal Pd quasi tutti gli altri antirenziani, suoi concorrenti diretti, per poi non seguirli è stata di rara sottigliezza. Adesso Emiliano è l’unico leader dell’opposizione interna al Pd (Orlando è solo un proxy di Napolitano) e quando Renzi si sarà schiantato definitivamente, potrà ereditare il partito. Renzi è un perdente che continuerà a perdere, a maggior ragione adesso che ha esaurito le cazzate da spacciare.Perderà sia le amministrative che l’eventuale referendum sui voucher. Persino le primarie aperte del Pd sono a rischio, da quando l’astuto Emiliano le ha indicate come nuova ordalia antirenziana, invitando a votare tutti coloro, dentro e fuori dal Pd, che vogliano infliggere al Cazzaro la disfatta definitiva. Per le elezioni politiche il Pd avrà quindi comunque disperatamente bisogno d’un altro leader spendibile che riesca nel compito fallito da Renzi: catalizzare il voto anti-establishment per convogliarlo nel principale partito dell’establishment. Di fronte agli elettori del Pd, Emiliano potrà vantare d’essere un oppositore leale che ha cercato di evitare la scissione per il Bene Supremo del partito, e che ora potrebbe ricomporla. Di fronte agli altri elettori, reciterà la sua solita parte di populista verace, che alle ultime regionali gli ha fruttato un vasto consenso trasversale. A prescindere dalla sua riuscita, la strategia di Emiliano per scalare il Pd è un notevole esempio della congenita doppiezza del cosiddetto centrosinistra.Non sono migliori gli scissionisti Dp, che pur continuando a sostenere il governo, progettano di raccogliere voti a sinistra del Pd, per poi rivenderli allo stesso Pd con la Grossolana Coalizione auspicata dal nefasto Scalfari, che va da Brunetta a Vendola in funzione anti-M5S. In realtà ognuna delle loro tortuose manovre avvicina al governo sia Grillo che Salvini. Che la parola “Sinistra” sia preda di certi grotteschi parassiti è una delle ovvie cause dell’avanzata delle destre. La protesta di ambulanti e tassinari inferociti davanti alla sede del Pd dove si celebrava l’ennesimo rituale bizantino è stata la perfetta rappresentazione plastica della situazione. Le bombe-carta che hanno fatto saltare in una pioggia di cocci tutti i vetri della strada non hanno scosso i piddini dalle loro procedure ossessivo-compulsive, che accelerano la rovina che vorrebbero scongiurare. Ma si sa, gli Dei rendono sordi coloro che vogliono perdere.(Alessandra Daniele, “Trump It”, da “Carmilla Online” del 26 febbraio 2017).I più spiazzati dalla vittoria di Donald Trump sono stati quelli che più avrebbero dovuto aspettarsela. Ma si sa, gli Dei rendono ciechi coloro che vogliono perdere. Da quando il fascistone è diventato presidente degli Stati Uniti, quaggiù s’è aperto il talent per la ricerca del “Trump all’italiana”, lo Spaghetti Trump. Salvini e Grillo sono in pole position da tempo, ma adesso persino il Pd ha il suo concorrente: Michele Emiliano. Nonostante il ruolo di populista di grana grossa che interpreta, però, la manovra con la quale il corpulento governatore della Puglia ha accompagnato fuori dal Pd quasi tutti gli altri antirenziani, suoi concorrenti diretti, per poi non seguirli è stata di rara sottigliezza. Adesso Emiliano è l’unico leader dell’opposizione interna al Pd (Orlando è solo un proxy di Napolitano) e quando Renzi si sarà schiantato definitivamente, potrà ereditare il partito. Renzi è un perdente che continuerà a perdere, a maggior ragione adesso che ha esaurito le cazzate da spacciare.
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Su euro e Nato, battaglie giuste: e a farle è Marine Le Pen
La mia prima manifestazione, oltre cinquanta anni fa, fu contro la guerra degli Usa in Vietnam e uno di primi slogan che ho gridato era: fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia. Non ho mai cambiato idea e non la cambio ora che la candidata presidenziale della destra francese, Marine Le Pen, propone la stessa scelta per il suo paese. Questo non mi fa paura, anzi. Il no alla Nato in Europa è stato sempre una discriminante nel mondo della sinistra. Quelle moderate, socialdemocratiche, di governo, son sempre state schierate con gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica. Quelle radicali, comuniste, di opposizione, erano contro. Lo stesso, anche se la memoria storica ricostruita dalle élites ora ha cancellato questa realtà, avveniva contro l’Euro e la sua creatura: l’Unione Europea. Nel 1979 il Pci di Enrico Berlinguer dichiarò la crisi della politica di unità nazionale con la Dc, partendo dal no a due decisioni che avrebbero cambiato la storia del continente: l’istituzione dello Sme, il sistema europeo di cambi quasi fissi che preparava l’euro, e l’installazione di una nuova generazione di missili in Europa Occidentale, missili puntati contro l’Unione Sovietica.Le motivazioni con le quali allora i comunisti italiani rifiutarono quelle due scelte potrebbero essere usate oggi contro i guasti della moneta unica e contro la folle decisione della Nato di espandersi aggressivamente fino ai confini della Russia. A tale scopo finanziando anche la guerra al popolo del Donbass da parte del governo ucraino infarcito di ministri nazifascisti. Quegli argomenti di allora sono ancora più validi oggi, ma ora non sono più sostenuti dalla maggioranza della sinistra, ma, in Francia soprattutto, dalla nuova destra populista. Che è sempre stata euroscettica, ma spesso, e in contrapposizione alla Ue, Natofanatica. Oggi invece gran parte di ciò che ufficialmente è sinistra in Europa sostiene la Nato, l’euro e l’Unione Europea. E non perché queste istituzioni siano cambiate, né tantomeno migliorate, ma perché è la sinistra stessa che è cambiata e per questo sta scomparendo.Le socialdemocrazie di governo sono state conquistate dalle politiche liberiste, se ne sono fatte complici e le hanno amministrate assieme alla vecchia destra conservatrice e liberale, di cui alla fine sono diventate una variante. Variante sul piano dei diritti civili, non di quelli sociali. Giusto battersi per il diritto al matrimonio tra coppie dello stesso sesso, ma perché contemporaneamente distruggere il diritto al lavoro e la tutela contro i licenziamenti ingiusti? Bene l’Erasmus, per chi può permetterselo, ma perché strangolare finanziariamente la scuola pubblica? E perché privatizzare la sanità e finanziare le banche? La sinistra di governo, proprio quando questa tornava ad essere al centro di tutto, ha abbandonato la questione sociale, che è stata così occupata dalla nuova destra, che nel frattempo rompeva con la sua anima liberale e di governo. Non c’è stata sinora simmetria.Mentre la nuova destra faceva sue antiche parole d’ordine della sinistra radicale – ovviamente storpiandole dentro il suo contenitore di sempre: dio, patria, famiglia – quest’ultima si rifugiava in astratti principi di buona volontà. La resa di Tsipras e Siryza alla Troika e alla Nato ha poi tolto dal campo europeo la possibilità che la rottura a destra avesse il suo immediato corrispondente a sinistra. Podemos in Spagna e il M5S in Italia, seppur partendo da collocazioni differenti, sinora son giunti alla medesima conclusione di non misurarsi esplicitamente con la rottura con euro, Ue, Nato. Rottura che così oggi è diventata ufficialmente un obiettivo della nuova destra. Che pare aver rovesciato a suo favore l’antica parola d’ordine della politica comunista dei fronti popolari antifascisti del secolo scorso: raccogliere, dal fango in cui era stata gettata dalla borghesia, la bandiera della democrazia e della indipendenza nazionale.L’Unione Europea muove scandalo per Trump che vuol concludere il muro contro i migranti iniziato da Clinton, ma poi subappalta quello stesso muro al governo fantoccio libico e a quello autoritario di Erdogan. La delocalizzazione delle fabbriche è seguita da quella degli assassinii di massa dei migranti, restaurando la così più pura tradizione coloniale del vecchio continente. Di fronte alla crisi economica permanente del sistema euro, la Germania propone l’Unione a due velocità, una per sé una per le colonie del Sud Europa, e il governo italiano acconsente. Intanto tutti i parlamenti europei tranne uno, quello tedesco, sono sottoposti ai diktat e agli arbitri della tecnoburocrazia comunitaria. Trump chiede agli europei di pagarsi la Nato, cioè di accrescere le spese e gli interventi militari mentre si distrugge lo stato sociale, e la destra e la sinistra liberale fanno improvvisamente di quell’alleanza militare un baluardo dei diritti umani.Alla base di questi sconvolgimenti politici sta la crisi irreversibile della globalizzazione, non a caso dichiarata dai governi dei due paesi, Gran Bretagna e Stati Uniti, che quaranta anni fa avevano dato a essa il massimo impulso. Crisi che in Europa sta finora proponendo solo due alternative, quella della rottura da destra e quella della conservazione ipocrita dello statu quo da parte delle vecchie élites e della loro doppia morale. Un’alternativa progressista oggi non è in campo perché gran parte della sinistra è stata condotta in un binario morto da gruppi dirigenti o venduti, o subalterni alla globalizzazione liberista. Persino nell’antagonismo radicale è comparso improvvisamente l’amore per la Ue e speriamo che ora ci sia risparmiato quello per la Nato. La sinistra comunista e anticapitalista, se vuole ancora avere un ruolo e una funzione, deve prima di tutto riprendersi i suoi obiettivi. Fuori dalla Nato, dall’euro e dalla Ue dunque, con ancora maggiore convinzione oggi che questi stessi obiettivi vengono riproposti dalla parte opposta. Solo così la sinistra può ridare attualità al socialismo e competere con, e smascherare il, nazional liberismo della nuova destra.(Giorgio Cremaschi, “Fuori dalla Nato, euro e Ue. Non cambio idea anche se Marine la pensa così”, dall’“Huffington Post” del 6 febbraio 2017).La mia prima manifestazione, oltre cinquanta anni fa, fu contro la guerra degli Usa in Vietnam e uno di primi slogan che ho gridato era: fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia. Non ho mai cambiato idea e non la cambio ora che la candidata presidenziale della destra francese, Marine Le Pen, propone la stessa scelta per il suo paese. Questo non mi fa paura, anzi. Il no alla Nato in Europa è stato sempre una discriminante nel mondo della sinistra. Quelle moderate, socialdemocratiche, di governo, son sempre state schierate con gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica. Quelle radicali, comuniste, di opposizione, erano contro. Lo stesso, anche se la memoria storica ricostruita dalle élites ora ha cancellato questa realtà, avveniva contro l’Euro e la sua creatura: l’Unione Europea. Nel 1979 il Pci di Enrico Berlinguer dichiarò la crisi della politica di unità nazionale con la Dc, partendo dal no a due decisioni che avrebbero cambiato la storia del continente: l’istituzione dello Sme, il sistema europeo di cambi quasi fissi che preparava l’euro, e l’installazione di una nuova generazione di missili in Europa Occidentale, missili puntati contro l’Unione Sovietica.