Archivio del Tag ‘movimento 5 stelle’
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Rolling Stone: ma che rabbia, quel Rinaldi sempre in tivù
Ma come si permette, Antonio Maria Rinaldi, di dire quello che pensa? Come osa trascinare il suo ciuffo argenteo nei migliori salotti televisivi, da cui dispensare il suo sub-pensiero economico declinandolo sfrontatamente in romanesco? Non sa, Rinaldi, che negli studi di Giletti, di Floris e della Gruber, come in quelli di Mediaset e della Rai, devono avere accesso solo personaggi collaudati come Beppe Severgnini, Paolo Mieli, Massimo Cacciari e altri analoghi, rassicuranti esponenti del clero regolare? Se qualcuno si domandasse come mai l’Italia è classificata al 46esimo posto nella graduatoria di “Reporters sans frontières” sulla libertà d’informazione, forse una risposta potrebbe trovarla dando uno sguardo alla demolizione programmata di Antonio Maria Rinaldi, eseguita dal giovane Steven Forti sul magazine musicale “Rolling Stone”. Non vive di sola musica, “Rolling Stone”. Lo si capisce da titoli come questo: “Il troll di Salvini è meglio di Salvini”. Oppure: “Sapreste riconoscere il fascismo, se tornasse?”. O ancora, sotto una foto di Beppe Grillo: “La politica non fa più ridere”. Quanto all’autore della sommaria rottamazione cartacea di Rinaldi, per lui parlano titolazioni altrettanto eloquenti: “La bestia, ovvero del come funziona la propaganda di Salvini”. Va da sé: “Un fantasma si aggira per l’Europa: il rossobrunismo”, dal momento che “Piccoli Salvini crescono”.
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Moiso: ecco perché l’Italia è in coda, nella libertà di stampa
Secondo “Reporters sans frontières” l’Italia è solo al 46esimo posto, nel mondo, per libertà di espressione. Include la libertà di pensiero, spesso limitata da precise linee editoriali. Nel suo articolo su “Rolling Stone” contro Antonio Maria Rinaldi, a mio avviso l’autore – Steven Forti – sembra appartenere al pensiero unico, che vede sempre contrapposta una sedicente destra (che non si accorge di come il neoliberismo stia fagocitando le piccole e medie imprese) e una sedicente sinistra (che si occupa solo di diritti civili, ma si lamenta di chi rivendica la sovranità del popolo). Ora, vedendo per chi scrive Forti – riviste come “Left” e “Micromega” – mi viene in mente Che Guevara, che forse sarà proprio un idolo di Forti: mi viene in mente come proprio il Che rivendicasse la sovranità del popolo e delle Nazioni Unite. Curioso che oggi l’idea di sovranità venga criticata da chi scrive nel circuito dell’intellighenzia di sinistra. Mi sembra quasi un controsenso, anche perché senza sovranità non esiste democrazia: e se non è il popolo, a essere sovrano, sicuramente sarà sovrano qualcun altro. A una persona come Forti, che si dice appartenente a una certa corrente, mi viene da domandare: a chi, se non al popolo, dovrebbe appartenere la sovranità?Nel suo articolo, Forti rinfaccia a Rinaldi il fatto di aver criticato la gestione dell’obbligo vaccinale introdotta in Italia – quasi che di certi argomenti non ci si potesse occupare, come cittadini. Mi chiedo allora come mai, dalle pagine di “Rolling Stone”, che è una rivista di musica, ci si debba occupare di politica in maniera così superficiale. In realtà deve essere sempre possibile pronunciarsi liberamente su ambiti che non siano di specifica pertinenza professionale: si può parlare di vaccini, eccome, pur non essendo dei medici. E grazie a Dio, in Italia viene ancora data un’educazione che permette ai ragazzi di spaziare su diversi temi. Mi sembra che l’articolo di “Rolling Stone” sia frutto della solita incoerenza di un mondo, quello della sedicente sinistra, che ha smesso di avere senso critico. E ha smesso di avere la capacità di districarsi nella complessità del mondo attuale. Lo si vede sul tema dell’Europa, dove oggi chi si sente europeista non può che condannare delle istituzioni assolutamente tecnocratiche, economicistiche e antidemocratiche. Chi crede nell’Europa dei popoli non può non criticare questa Unione Europea. Idem come sopra: chi crede nella democrazia non può non rivendicare la sovranità del popolo.A luglio, in Europa, sembrò sventato il tentativo del commissario Oettinger di mettere un bavaglio al web con la scusa del copyright. In realtà poi a settembre – sempre con l’alibi della riforma del copyright – il Parlamento Europeo ha di fatto legalizzato una sorta di censura preventiva (con l’introduzione della cosiddetta “link tax” e della responsabilità assoluta per le piattaforme come YouTube e Facebook, nonché un meccanismo di filtraggio dei contenuti caricati dagli utenti). C’è chi ha considerato questo intervento una vera e propria pagina nera per la democrazia e la libertà dei cittadini, dal punto di vista dell’informazione. A livello europeo c’è quindi una vera e propria stretta, sul web. Quanto all’Italia, il nostro paese continua a non godere di una posizione privilegiata per ciò che riguarda la libertà d’informazione. Quest’anno si è attestata al 46° posto, su 180 paesi esaminati. E quando si parla di libertà di informazione non si parla solo di divieti come quelli imposti dall’Europa, ma anche di libertà di esprimere delle idee, uscendo da alcune linee editoriali.La settimana scorsa un parlamentare di spicco del Movimento 5 Stelle, Pino Cabras, faceva notare – dalla sua pagina Facebook – come alcune notizie, che pure susciterebbero grande interesse, non vengano assolutamente trattate. Un esempio: è stato dedicato pochissimo spazio al recente sbarco della Cina sul “lato oscuro” della Luna. Altra notizia: pare che degli hacker siano riusciti a entrare nel sito dell Fbi, abbiamo rubato dei documenti e li stiano pian piano divulgando (per quanto non contengano, al momento, grandi novità). Però sono tutte notizie delle quali non si parla minimamente. Come a dire che, comunque, ci sono dei temi più graditi. C’è da chiedersi in che stato sia, l’informazione italiana ed europea, di fronte ad articoli come quello di Steven Forti, che – parlando su “Rolling Stone” di Antonio Maria Rinaldi – denuncia il decadimento della politica italiana, in mano da una parte al sovranismo, e dall’altra al qualunquismo di chi, per esempio, si sente di criticare i vaccini senza avere alcuna competenza medica. Lo stesso Forti cita anche il “partito che serve all’Italia”, definendo Gioele Magaldi “complottista” e “fissato col pericolo massonico”, addirittura un vittimista convinto di essere censurato dai media. Ci sono tanti cortocircuiti, nella narrativa mediatica odierna. Davvero per Steven Forti non c’è un veto mediatico, nei confronti del Movimento Roosevelt e di Gioele Magaldi? Lo invito a fare un’intervista con noi: forse ci sono cose che scoprirebbe, che non si aspetta, e che meritano di essere considerate.(Marco Moiso, dichiarazioni pronunciate nella diretta web-streaming su YouTube con Gioele Magaldi il 19 gennaio 2019, dal titolo “Steven Forti e la scorrettezza dell’informazione”. Moiso è vicepresidente del Movimento Roosevelt).Secondo “Reporters sans frontières” l’Italia è solo al 46esimo posto, nel mondo, per libertà di espressione. Include la libertà di pensiero, spesso limitata da precise linee editoriali. Nel suo articolo su “Rolling Stone” contro Antonio Maria Rinaldi, a mio avviso l’autore – Steven Forti – sembra appartenere al pensiero unico, che vede sempre contrapposta una sedicente destra (che non si accorge di come il neoliberismo stia fagocitando le piccole e medie imprese) e una sedicente sinistra (che si occupa solo di diritti civili, ma si lamenta di chi rivendica la sovranità del popolo). Ora, vedendo per chi scrive Forti – riviste come “Left” e “Micromega” – mi viene in mente Che Guevara, che forse sarà proprio un idolo di Forti: mi viene in mente come proprio il Che rivendicasse la sovranità del popolo e delle Nazioni Unite. Curioso che oggi l’idea di sovranità venga criticata da chi scrive nel circuito dell’intellighenzia di sinistra. Mi sembra quasi un controsenso, anche perché senza sovranità non esiste democrazia: e se non è il popolo, a essere sovrano, sicuramente sarà sovrano qualcun altro. A una persona come Forti, che si dice appartenente a una certa corrente, mi viene da domandare: a chi, se non al popolo, dovrebbe appartenere la sovranità?
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La sinistra coi migranti, i gialloverdi con i Gilet Gialli europei
Leoluca Orlando e Luigi de Magistris si schierano coi migranti, mentre Luigi Di Maio (e Matteo Salvini) tifano per i Gilet Gialli, provocando l’Eliseo. Posizioni speculari: i titolari della sedicente sinistra difendono gli africani disperati, mentre gli esponenti gialloverdi scelgono gli europei che stanno male, italiani e francesi. «Gilet gialli, non mollate!», scrive Di Maio sul “Blog delle Stelle” a sostegno del movimento che da otto settimane protesta contro Emmanuel Macron. «Sappiamo cosa anima il vostro spirito e perché avete deciso di scendere in piazza per farvi sentire», scrive il vicepremier grillino. «In Francia, come in Italia, la politica è diventata sorda alle esigenze dei cittadini che sono stati tenuti fuori dalle decisioni più importanti che riguardano il popolo. Il grido che si alza forte dalle piazze francesi è in definitiva uno: “fateci partecipare!”». Fa eco il leghista Salvini, che da parte sua assicura «sostegno ai cittadini perbene che protestano contro un presidente che governa contro il suo popolo». Un vero e proprio affronto, per Nathalie Loiseau, ministro francese degli affari europei, che replica piccata: «La Francia si guarda bene dal dare lezioni all’Italia. Salvini e Di Maio imparino a fare pulizia in casa loro».La Francia non ci dà lezioni? «Proprio Macron ci aveva paragonato alla lebbra», la rimbecca Di Maio. Ha ragione: il primo ad attaccare fu proprio Macron, che non esitò a insultare l’Italia. Il suo partito dichiarò «vomitevole» la politica gialloverde sui migranti. C’è dell’altro, naturalmente: Di Maio si spinge a offrire ai Gilet Janunes la piattaforma Rousseu dei 5 Stelle per aggregare singoli e gruppi. All’orizzonte, naturalmente, una possibile alleanza in vista delle europee. Jacline Mouraud, tra i rappresentanti dell’ala moderata del movimento francese, annuncia di lavorare alla creazione del proprio partito politico: lo rivela “France Info”. Obiettivo del partito (battezzato “Les Emergents”, gli emergenti) è una grande riforma fiscale e il «ritorno del sociale» nell’agenda politica. Gilet Gialloverdi? Sicuramente utile, la protesta francese, per ridare fiato al governo Conte, costretto alla resa da Bruxelles sul deficit 2019. Un passo indietro, nella speranza di tornare all’attacco dopo le elezioni di maggio? Applaudire i Gilet Gialli – ostili a Macron, detestato dagli italiani – aiuta certamente i gialloverdi nostrani, impantanati nella palude delle promesse impossibili da mantenere, per via dell’intransigenza austeritaria dell’oligarchia tecnocratica europea.Sul fronte opposto, l’ex sinistra brancola nel buio: sposando la causa dei migranti, punta tutto sui diritti civili (e mette in ombra i diritti sociali confiscati proprio dal potere di Bruxelles, lo stesso contro cui si agitano i Gilet Gialli ora sostenuti anche dall’Italia). Intestandosi la “rivolta dei sindaci” contro il rilancio securitario di Salvini, osserva Carlo Formenti su “Micromega”, le sinistre spostano ulteriormente il baricentro dell’iniziativa politica sul tema dei diritti civili (con priorità assoluta al problema dei migranti) sperando così di dimostrare la propria superiorità morale nei confronti della controparte. In questo modo, non solo non indeboliscono l’avversario, ma – come dimostrato dall’esperienza anche recente – rischiano di rafforzarlo. La sinistra, dice Formenti, è diventata anti-statalista: i gruppi più radicali «concepiscono lo Stato nazionale come un nemico in quanto tale, perché sinonimo di gerarchia, autoritarismo, se non di totalitarismo». Poi ci sono le rivendicazioni di autogoverno di una “società civile” «identificata, di volta in volta, con questa o quella istituzione locale (Comuni, Province, Regioni o altro), per definizione “più vicina ai cittadini”», fino alle “cyber utopie” anarco-capitaliste «che hanno visto i social network (governati da imprese giganti!) scalzare progressivamente le prime comunità virtuali come candidate alla costruzione di forme di democrazia diretta alternative a partiti e corpi intermedi».Avendo sposato queste ideologie, aggiunge Formenti, «non stupisce che le sinistre coltivino l’utopia di una Unione Europea riformata, in cui si creerebbero le condizioni per una governance realmente democratica, e in cui potrebbero sbocciare i “cento fiori” delle più svariate esperienze di autogestione comunitaria locale». È su questo terreno, prosegue l’analista, che le sinistre radicali «finiscono inconsapevolmente per convergere con socialdemocratici e liberali i quali, mentre costruiscono le istituzioni sovranazionali e totalitarie delle grandi lobby finanziarie e industriali, distruggendo le tradizionali istituzioni della democrazia nazionale e del welfare, strizzano l’occhio a volontariato, Ong, no profit e persino alle forme più radicali di autonomia di una società civile chiamata a tappare i buchi di un mondo lacerato dalla colonizzazione del libero mercato». La “guerra” allo Stato-nazione in nome del mito della democrazia diretta e del localismo «non apre la strada alla costruzione di più ampi spazi di democrazia, nella cornice di istituzioni sovranazionali “flessibili”». Al contrario, «accelera il lavoro di distruzione delle garanzie costituzionali che decenni di lotta di classe avevano consentito di conquistare alle classi subalterne».Formenti cita il Subcomandante Marcos: «Nella nuova fase del capitalismo si verifica una distruzione dello Stato nazionale: si sta distruggendo il concetto di nazione, di patria, e non soltanto nella borghesia, ma anche nelle classi governanti». Ancora: «Il progetto neoliberista esige questa internazionalizzazione della storia; pretende di cancellare la storia nazionale e farla diventare internazionale; pretende di cancellare le frontiere culturali». E quindi, «un processo rivoluzionario deve cominciare a recuperare i concetti di nazione e di patria». Nozioni che appartengono sicuramente al caotico “patriottismo rivoluzionario” dei Gilet Gialli, cui ora le forze gialloverdi italiane promettono di dare manforte. Non può sfuggire la visione macroscopica dello scenario: l’ex sinistra italiana si aggrappa ai migranti per tentare di danneggiare Lega e 5 Stelle, che invece guardano alla rivolta francese per provare a colpire il nemico comune, cioè i gestori tecnocratici della Disunione Europea. E quello italiano è tuttora l’unico governo all’opposizione di Bruxelles: teoricamente, un avamposto strategico per il “secondo round” che potrebbe aprirsi dopo le europee. Sempre che – come auspica Di Maio – i Gilet Gialli tengano duro. E che la Francia, nel frattempo, non venga tramortita dai soliti “jihadisti” che sparano sulla folla, dopo aver lasciato il loro passaporto a disposizione del solerte antiterrorismo.Leoluca Orlando e Luigi de Magistris si schierano coi migranti, mentre Luigi Di Maio (e Matteo Salvini) tifano per i Gilet Gialli, provocando l’Eliseo. Posizioni speculari: i titolari della sedicente sinistra difendono gli africani disperati, mentre gli esponenti gialloverdi scelgono gli europei che stanno male, italiani e francesi. «Gilet gialli, non mollate!», scrive Di Maio sul “Blog delle Stelle” a sostegno del movimento che da otto settimane protesta contro Emmanuel Macron. «Sappiamo cosa anima il vostro spirito e perché avete deciso di scendere in piazza per farvi sentire», scrive il vicepremier grillino. «In Francia, come in Italia, la politica è diventata sorda alle esigenze dei cittadini che sono stati tenuti fuori dalle decisioni più importanti che riguardano il popolo. Il grido che si alza forte dalle piazze francesi è in definitiva uno: “fateci partecipare!”». Fa eco il leghista Salvini, che da parte sua assicura «sostegno ai cittadini perbene che protestano contro un presidente che governa contro il suo popolo». Un vero e proprio affronto, per Nathalie Loiseau, ministro francese degli affari europei, che replica piccata: «La Francia si guarda bene dal dare lezioni all’Italia. Salvini e Di Maio imparino a fare pulizia in casa loro».
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Magaldi: povero Salvini, se ora ha paura dei referendum
Chi glielo spiega, a Matteo Salvini, che non porta fortuna mettersi contro i referendum? Quello di fine 2016 costò la vita, politicamente, a Matteo Renzi – che peraltro l’aveva proposto, tirandosi la zappa sui piedi. Stavolta a riparlarne è il Movimento 5 Stelle, sempre più nell’angolo a causa dell’iper-attivismo del leader della Lega. Attingendo al serbatoio dei loro tradizionali cavalli di battaglia (molti dei quali messi in soffitta: vaccini, euro, spese militari, sanzioni alla Russia), i 5 Stelle ora riesumano l’istituto referendario come strumento di democrazia diretta. L’idea è semplice: valorizzare il voto, abbassando il quorum necessario per rendere valida la consulazione. Tutto liscio? Nemmeno per idea: a mettersi di traverso è proprio Salvini, che – via Twitter – fa sapere di non fidarsi di un’espressione popolare troppo libera. Nel senso: se diventasse facilissimo indire referendum, le decisioni importanti potrebbero dipendere dall’iniziativa di pochissimi. Una posizione che Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, accoglie come sbalorditiva: ma come, proprio Salvini non si era appena proclamato paladino del nuovo sovranismo populista? Che succede, ora? Anche il capo della Lega avrebbe paura del popolo, come un Mario Monti qualsiasi?La stagione della pazienza politica è finita, annuncia Magaldi in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: dopo la resa a Bruxelles, il governo gialloverde (e Salvini in particolare) sembra non riuscire più a farne una giusta. Premessa: a Salvini, dice Magaldi, va riconosciuto di esser riuscito a trasformare la Lega Nord regionalista in un partito serio, con un progetto nazionale, e per giunta con una traiettoria post-keynesiana. Lo stesso Salvini ha candidato e poi piazzato alla guida delle commissioni finanza di Camera e Senato due economisti come Claudio Borghi e Alberto Bagnai, contrarissimi al falso paradigma del rigore Ue. Ma perché poi scivolare su una materia delicata come il “decreto sicurezza”, e addirittura manifestare timore per l’apertura dei 5 Stelle verso referendum più popolari e facili da indire? «Noi del Movimento Roosevelt – chiarisce Magaldi – siamo favorevoli, da sempre, a referendum addirittura senza quorum. Qualcuno – aggiunge – dovrebbe spiegare a Salvini che anche i partiti come il suo dovrebbero esserlo: senza il vincolo del quorum, il risultato sarebbe valido in ogni caso. E questo, a maggior ragione, dovrebbe motivare i partiti, inclusa la Lega, a spronare i loro elettori a partecipare a un confronto autenticamente popolare e democratico».«Andate al mare», raccomandò Craxi nel ‘91, sperando di far naufragare – per mancanza di quorum – il referendum promosso da Mario Segni per introdurre il sistema elettorale maggioritario, poi alla base della sciagurata Seconda Repubblica. Se c’è una cosa che da 25 anni ci è stata tolta, insiste Magaldi, è proprio la democrazia sostanziale. E il referendum è uno strumento fondamentale per riavvicinare i cittadini alla politica: un irrinunciabile esercizio di democrazia diretta, prezioso per migliorare la stessa democrazia rappresentativa. Possibile che non se ne renda conto, il sovranista Salvini? Forse, aggiunge Magaldi, in questi giorni è troppo occupato a difendersi dal coro di insulti piovutigli addosso da tanti sindaci e altrettanti zombie dell’ex-sinistra, che lo accusano di cannibalizzare i poveri migranti, discriminandoli con ferocia “fascista” e xenofoba. «In alcuni aspetti quel decreto non piace neanche a me, laddove limita la libertà di protesta», premette Magaldi, che però aggiunge: «Come mai gli accusatori di Salvini tacciono, di fronte al silenzio di Mattarella? Il capo dello Stato poteva benissimo non firmarlo, quel decreto, rinviandolo alle Camere e invitando il Parlamento a ridiscuterlo. Mattarella non l’ha fatto. Ma i tanti sindaci anti-Salvini si guardano bene dal rinfacciarglielo».Un’osservazione, questa, che non sfiora nemmeno lontanamente i media mainstream: la cattiva informazione è ormai un’emergenza nazionale, secondo Magaldi, che annuncia «un 2019 di fuoco» grazie alle iniziative editoriali che il Movimento Roosevelt si prepara a mettere in campo. «Tra le altre cose, la nuova editrice che sta nascendo pubblicherà libri in più lingue: al mainstream sarà meno facile farli passare sotto silenzio, come è stato per il mio bestseller “Massoni”», uscito nel 2014 e letteralmente oscurato, senza cioè che nessun talksow si sia mai sognato di invitare l’autore. E a proposito: l’ostracismo continua. Su “Rolling Stone”, in un articolo sull’economista Antonio Maria Rinaldi, Steven Forti definisce Magaldi «lo scrittore complottista fissato con il pericolo massonico che cerca di farsi pubblicità con il vittimismo dicendo di essere censurato dai mass media». In due righe, un capolavoro comico: Magaldi è notoriamente ostile al complottismo, in più è orgogliosamente massone. Se Forti l’avesse letto, quel libro, avrebbe scoperto che il pericolo di cui parla, semmai, è rappresentato da una parte della massoneria internazionale. Quanto al vittimismo, Magaldi si mette a ridere: «Sono stato zitto per quattro anni, evitando di protestare. Tutti i potenti d’Italia l’hanno letto, il mio libro, e così pure i giornalisti, ma le televisioni non ne hanno parlato mai, neppure per sbaglio. Fate voi».Chi glielo spiega, a Matteo Salvini, che non porta fortuna mettersi contro i referendum? Quello di fine 2016 costò la vita, politicamente, a Matteo Renzi – che peraltro l’aveva proposto, tirandosi la zappa sui piedi. Stavolta a riparlarne è il Movimento 5 Stelle, sempre più nell’angolo a causa dell’iper-attivismo del leader della Lega. Attingendo al serbatoio dei loro tradizionali cavalli di battaglia (molti dei quali messi in soffitta: vaccini, euro, spese militari, sanzioni alla Russia), i 5 Stelle ora riesumano l’istituto referendario come strumento di democrazia diretta. L’idea è semplice: valorizzare il voto, abbassando il quorum necessario per rendere valida la consultazione. Tutto liscio? Nemmeno per idea: a mettersi di traverso è proprio Salvini, che – via Twitter – fa sapere di non fidarsi di un’espressione popolare troppo libera. Nel senso: se diventasse facilissimo indire referendum, le decisioni importanti potrebbero dipendere dall’iniziativa di pochissimi. Una posizione che Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, accoglie come sbalorditiva: ma come, proprio Salvini non si era appena proclamato paladino del nuovo sovranismo populista? Che succede, ora? Anche il capo della Lega avrebbe paura del popolo, come un Mario Monti qualsiasi?
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Salvini e il decreto-migranti: la pacchia è finita, ma per noi
Possiamo entrare nel merito delle questioni, per qualche minuto? Perché la verità è che dovremmo svegliarci tutti, non solo in sindaci ribelli, soprattutto chi ancora oggi pensa che il pugno di ferro di Salvini sia sinonimo di sicurezza sociale. Perché chiunque abbia un minimo di buonsenso dovrebbe avere la lucidità di leggersi il decreto cosiddetto sicurezza e chiedersi se davvero la sua vita migliorerà, discriminando chi sta sotto di lui nella piramide sociale. Perché, come a Lodi con il caso mense, è difficile non vedere le discriminazioni dentro il decreto sicurezza. Negare l’iscrizione all’anagrafe ai richiedenti asilo, per dire, vuol dire negare loro le cure sanitarie e ai loro figli la possibilità di andare a scuola. E cancellare la protezione umanitaria, trasformando dalla sera alla mattina decine di migliaia di persone in clandestini che non possono nemmeno cercare una casa o un lavoro che non sia irregolare. Parliamo di buonsenso, però, ancor prima che di umanità. Perché col decreto sicurezza la pacchia finirà nelle periferie, nei quartieri popolari, non certo nelle Ztl dove abitano i buonisti, i radical chic e pure Matteo Salvini.Meno bambini a scuola, più baby gang nelle strade. Meno persone che curano i loro malanni, più contagi ed epidemie. Meno persone dentro un circuito abitativo e lavorativo legale, più manodopera per caporali e mafie. Dov’è la sicurezza in tutto questo? Dov’è che finisce la pacchia? Davvero pensate che le 50mila persone cui sarà revocata la protezione umanitaria e consegnato un decreto di espulsione se ne torneranno di loro spontanea volontà “a casa loro”? Davvero pensate che ogni richiedente asilo si presenterà ai cancelli dei “centri per il rimpatrio’, sapendo che dovrà passare sei mesi da detenuto? La verità è che nel nome della rabbia accumulata in anni di propaganda xenofoba e securitaria – nonostante i reati in calo, nonostante il crollo degli sbarchi antecedente all’era Salvini – stiamo costruendo un sistema che aumenta i livelli di insicurezza sociale, anziché ridurli. Che mette sotto stress le comunità locali e le periferie, anziché migliorarne le condizioni di vita.Che nel nome dell’ideologia e del consenso di Salvini alle prossime elezioni europee, mette una pressione enorme sulle spalle dei sindaci e degli amministratori, di qualunque colore siano. Peraltro, nel contesto di una legge di bilancio che toglie loro un sacco di soldi. E possono pure farvi schifo Leoluca Orlando, Luigi De Magistris, Dario Nardella, Antonio Decaro, Beppe Sala e tutti gli altri sindaci che si sono schierati contro il decreto sicurezza. Potete pure giudicare strumentale la loro protesta e illegittima la loro minaccia di disobbedienza. Ma vi conviene – per il vostro bene, non certo per la faccia di Salvini o Di Maio – pensare seriamente al merito della questione. Perché, qualunque esse saranno, poi le conseguenze del decreto sicurezza sarete voi, saremo noi, a pagarne il conto.(Francesco Cancellato, “Lettera aperta a chi applaude Salvini: col decreto sicurezza la pacchia è finita per voi”, da “Linkiesta” del 4 gennaio 2019).Possiamo entrare nel merito delle questioni, per qualche minuto? Perché la verità è che dovremmo svegliarci tutti, non solo in sindaci ribelli, soprattutto chi ancora oggi pensa che il pugno di ferro di Salvini sia sinonimo di sicurezza sociale. Perché chiunque abbia un minimo di buonsenso dovrebbe avere la lucidità di leggersi il decreto cosiddetto sicurezza e chiedersi se davvero la sua vita migliorerà, discriminando chi sta sotto di lui nella piramide sociale. Perché, come a Lodi con il caso mense, è difficile non vedere le discriminazioni dentro il decreto sicurezza. Negare l’iscrizione all’anagrafe ai richiedenti asilo, per dire, vuol dire negare loro le cure sanitarie e ai loro figli la possibilità di andare a scuola. E cancellare la protezione umanitaria, trasformando dalla sera alla mattina decine di migliaia di persone in clandestini che non possono nemmeno cercare una casa o un lavoro che non sia irregolare. Parliamo di buonsenso, però, ancor prima che di umanità. Perché col decreto sicurezza la pacchia finirà nelle periferie, nei quartieri popolari, non certo nelle Ztl dove abitano i buonisti, i radical chic e pure Matteo Salvini.
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Dai padroni oscuri nel 2019 avremo altre finte rivoluzioni
Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia, create per condizionarci, assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti: l’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi, l’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan». Queste stesse tendenze si sono manifestate anche nel 2017 e nel 2018. E certamente continuerà in questo modo nel 2019, aggiungendo l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra il fronte guidato dal Qatar ed il fronte guidato dall’Arabia Saudita. E sempre nel 2015-2016-2017 scrivevamo: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Questo è con grande precisione quello che è poi avvenuto e che avrà ulteriori sviluppi nel 2019. La Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti solo apparentemente anti-sistema, le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre parafasciste, le forti voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche…Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature. Foriere di forti tempeste, di feroci scontri, ma anche di maggiori spazi per la libertà delle coscienze. Come già per lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante – come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani. Da una parte sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico, ma dall’altra anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane. Una modalità molto diversa da quella “gesuitica” fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica.Di fronte alle varie risposte positive delle coscienze in risveglio, che non si sono fatte sedurre più di tanto dai disegni di centralizzazione e verticalizzazione, i gruppi di manipolazione mondialisti hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione, e ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali. Visto che non ci convinciamo con le “buone”, loro stanno liberando nuovamente i “cattivi” evidenti, e hanno riaperto il ring degli scontri e della devastazione. Ma speriamo bene, soprattutto nelle risposte delle coscienze. Il ruolo di Putin va interpretato nella stessa direzione. Non si tratta di un “salvatore”, come molti in modo ingenuo interpretano il ruolo di questo sanguinario feudatario del potere, ma di una delle pedine fondamentali del “divide et impera” che si affaccia come nuova stagione della manipolazione, e che vedremo svilupparsi ancora nel 2019. Anche in Italia il patto d’acciaio gesuita-massonico, che ha prodotto papato e renzismo, e che ha falcidiato le fila dei vecchi avversari politici ed economici, sia ai livelli locali che nazionali, comincia a mostrare alcune crepe.Il gioco politico – con la evidente crisi dello sfrontato e ridicolo renzismo, e del decotto Pd – si è riaperto, come prevedevamo già dal 2017. L’influenza della presidenza Trump e degli ambienti conservatori internazionali si è già fatta sentire negli equilibri politici italiani, con l’improvviso risorgere della destra leghista. Una destra che, dietro la sentita esigenza di ordine e sicurezza, nasconde ed esercita una sollecitazione anti-coscienza all’odio e all’egoismo. Avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un Cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe. Una presidenza del Consiglio e altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi. Bravi idealisti, illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera Grillo ormai ridotta al silenzio. E che sono e saranno i primi a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti – a beneficio delle coscienze – anche nel 2019.Ora queste due appendici italiane del divide et impera mondiale, la destra parafascista della Lega e il gesuitico Cinquestelle, convivono con difficoltà nel governo, pur di sostituire la classe dirigente precedente, ormai decotta e non più utile al potere vero, preparando la stagione di un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si porrà come nuova destra egoica e conservatrice, e il M5S come nuova sinistra fintamente progressista. Un nuovo teatrino fatto per illuderci che un cambiamento della politica sia avvenuto, concedendo qualcosa alle masse e sacrificando con nostra soddisfazione vecchi gruppi politico-affaristici, pur di consentire ai soliti poteri occulti di continuare a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale. Il progetto di Unione Europea è ormai entrato in una fase di crisi: il vento del divide et impera, sulla spinta della Brexit, delle proteste di piazza francesi, delle spinte leghiste, pentastellate, ungheresi, austriache, polacche, soffia forte sulle strutture europee, accompagnato dalle spaccature create dalla artificiosa e forzata emergenza immigratoria. Tutto ciò avrà un peso nelle elezioni per il Parlamento Europeo del 2019, e da queste potrebbe emergere un nuovo equilibrio delle strutture europee.Un cambiamento possibile perché nulla cambi, in fondo, nella tenuta dei grandi poteri dietro le quinte, sul modello di quanto sta gattopardescamente avvenendo in Italia. Come già detto lo scorso anno, le forze mondialiste cercheranno in ogni modo di sfruttare anche questa crisi per creare ulteriori emergenze e ricompattarci sotto ulteriori perdite di sovranità. Ma non è detto riescano. Dipenderà molto dal grado di risveglio dell’opinione pubblica. I governi delle grandi potenze occidentali continueranno a perseguire i disegni dei loro padroni oscuri, ammantandosi di perbenismo e dell’immagine ipocrita di finte democrazie. Mentre il volto anti-umano della emergente potenza cinese sarà ancora più evidente, e la grande civiltà indiana continuerà a sprofondare in un gretto e volgare materialismo. E l’Africa, apparentemente abbandonata e lasciata al proprio destino, sarà sempre più da una parte terreno del conflitto di religioni e culture, e dall’altro territorio di conquista delle armate economiche neocolonialiste straniere. E i paesi islamici continueranno a svolgere il ruolo di vittime e di volano della creazione di vortici di violenza, odio e paura con effetti anti-coscienza in tutto il mondo. Mentre un Israele sempre più fanatico, duro e nazionalista continuerà a svolgere un ruolo squilibrante in tutto il Medio Oriente.Le grandi forze industriali continueranno a inquinare e devastare l’ambiente, e i loro padroni oscuri useranno in modo crescente il disastro creato dai loro stessi strumenti per evidenziare l’emergenza climatica e spingere il mondo a creare nuove forme di governance mondiale e le nazioni a cedere sovranità. Anche in questo caso la presidenza Trump sembra ostacolare temporaneamente questi progetti (ma forse favorirli a più lunga scadenza, inducendo un ulteriore peggioramento dell’emergenza ambientale). L’attacco portato alla salute dei corpi attraverso la perversa strategia mondiale di obbligo vaccinale – partita proprio dall’Italia – continuerà certamente con forza, attraverso il malefico strumento di vaccini appositamente alterati per indurre problemi alle coscienze in risveglio. Prepariamoci a una lotta dura e intensa, nella quale avremo l’appoggio del Cielo. Fino ad ora questa operazione ha prodotto come risultato un forte risveglio di coscienze, in numero crescente. Questo effetto continuerà anche nel 2019, soprattutto a causa dell’aumento delle reazioni “avverse” ai vaccini, alle quali l’opinione pubblica sarà sempre più attenta.Anche nel 2019 ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste, come l’Europa, per toglierci sovranità, democrazia e libertà esteriori. Faranno tutto questo, come nel 2018 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze. Quel risveglio che per la prima volta nella storia umana sta producendo masse importanti – anche se non ancora maggioritarie – capaci di una epocale rivoluzione interiore: quella di mettere gli esseri della natura, gli animali e gli altri esseri umani, quanto meno sullo stesso piano di se stessi. Quella rivoluzione interiore che per la prima volta fa in modo che tanta gente – almeno un terzo dell’umanità – cominci a pensare che non siamo venuti qui per predare tutto quello che incontriamo, ma per vivere in armonia con la natura e volendo l’uno il bene dell’altro. Cominciando finalmente ad amare il nostro prossimo come noi stessi. Ecco, anche nel 2019 grandi e oscuri poteri di manipolazione cercheranno di bloccare o rallentare questa rivoluzione delle coscienze, il cui effetto sarà un giorno la liberazione dell’umanità proprio da quei poteri.(Fausto Carotenuto, estratto da “Come sarà il 2019?”, post pubblicato su “Coscienze in Rete” il 29 dicembre 2018. Già analista geopolitico dell’intelligence Nato, Carotenuto è approdato a una visione spiritualistica del mondo, condensata nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”, pubblicato da UnoEditori. Carotenuto considera i gesuiti come il vertice della piramide vaticana, e giudica altrettanto negativamente la massoneria nel suo complesso, in quanto organismo di ispirazione mondialista, a suo parere interamente funzionale a un disegno di dominio).Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia, create per condizionarci, assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti: l’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi, l’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan». Queste stesse tendenze si sono manifestate anche nel 2017 e nel 2018. E certamente continuerà in questo modo nel 2019, aggiungendo l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra il fronte guidato dal Qatar ed il fronte guidato dall’Arabia Saudita. E sempre nel 2015-2016-2017 scrivevamo: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Questo è con grande precisione quello che è poi avvenuto e che avrà ulteriori sviluppi nel 2019. La Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti solo apparentemente anti-sistema, le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre parafasciste, le forti voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche…
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Comanda il denaro: la politica obbedisce e il popolo subisce
«Il liberalismo si è imposto in modo autoritario, portando con sé impoverimento generalizzato, precarietà, disoccupazione di massa e concorrenza forzata per il lavoro». Per lo scrittore francese Michel Onfray, il neoliberismo ha ormai gettato la maschera: «E’ un sistema economico che ha promesso tutto ma non ha mantenuto niente», scrive Onfray su “L’Espresso”, guardando al caos che ci assedia, con «una plebe che vuole fare piazza pulita, ma senza progetti». Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, seguita nel 1991 dal crollo dell’Unione Sovietica, il capitalismo ha potuto espandersi senza più freni: è allora, ricorda Onfray, che siamo precipitati nell’accelerazione atomica della globalizzazione, «voluta con tanto ardore dal capitalismo liberale più duro», che poi «ha trovato un alleato inaspettato nella sinistra liberale e, in seguito, ancor più paradossalmente, nella sinistra anti-liberale». Per Onfray, il mercato «odia le frontiere, disprezza il locale e ciò che ha messo radici, combatte una guerra spietata contro i paesi, riempie di merda le nazioni, orina contro i popoli e ama soltanto i flussi multiculturali che abbattono le frontiere, sradicano il mondo, devastano ciò che è locale, spaesano i paesi, fustigano le nazioni, diluiscono i popoli a esclusivo beneficio del mercato, l’unico a contare e a dettare legge», per usare «la definizione chimicamente pura del liberalismo».Il capitale, aggiunge il filosofo transalpino, vuole l’abolizione delle frontiere per porre fine una volta per tutte a ciò che nell’ambito delle nazioni e dei paesi è stato ottenuto con secoli di lotte sociali. Lo se Stato teoricamente prevede una sicurezza sociale e offre scuole gratuite, il pensionamento a un’età decorosa, diritti del lavoro e un autentico progresso sociale, il neoliberismo si fa beffe delle tutele sociali e pratica la medicina con due pesi e due misure, o quella dei poveri o quella dei ricchi. «Dispone di un sistema di istruzione, certo, ma a misura di genitori facoltosi in grado di pagare le rette per la loro progenie e privo di utilità per i genitori indigenti». E poi «ignora i limiti dell’orario di lavoro e fa sgobbare i lavoratori tutta la giornata, tutta la settimana, tutta la vita, come ai tempi della schiavitù». E’ un sistema che «non conosce il codice del lavoro e trasforma gli operai, gli impiegati, i salariati, i proletari, i precari, gli stagisti in soggetti sottomessi, che devono sobbarcarsi ogni tipo di corvè». Quel che vuole il nuovo capitale, neoliberismo «nella sua versione di destra come nella sua versione di sinistra», è l’affermazione dei sempre più ricchi, a scapito dei sempre più poveri. «Da qui la sua ideologia che prevede l’abolizione delle frontiere, degli Stati e delle tutele di qualsiasi tipo – simboliche, reali, giuridiche, legali, culturali, intellettuali».Non appena viene meno tutto ciò che protegge i deboli dai forti, scrive Onfray, questi ultimi «possono disporre dei deboli a loro piacere, e i deboli possono essere terrorizzati dal fatto di trovarsi in costante concorrenza, possono essere sfruttati con posti di lavoro precari, maltrattati con contratti a tempo determinato, imbrogliati con gli stage di formazione, minacciati dalla disoccupazione, angosciati dalle riconversioni, messi kappaò da capetti che giocano anche con i loro stessi posti di lavoro». Evaporato lo Stato, è il mercato a dettare legge. «Giocando la carta del liberalismo – aggiunge Onfray – la sinistra al governo spinge nella medesima direzione del capitalismo con i suoi banchieri». E giocando invece la carta dell’antiliberalismo, «la sinistra definita radicale spinge nella medesima direzione», premiando la finanza. Queste due modalità d’azione della sinistra, aggiunge il filosofo, hanno gettato il popolo alle ortiche: «Non ci sarebbero più operai, impiegati, proletari, poveri contadini, ma soltanto un popolo-surrogato, un popolo di migranti in arrivo da un mondo non giudeo-cristiano, con i valori di un Islam che assai spesso volta le spalle alla filosofia dei Lumi. Questo popolo-surrogato non è tutto il popolo, ne è soltanto una parte che, però, non deve eclissare tutto ciò che non è».Il proletariato? «Esiste ancora, e così pure gli operai». Esistono ancora anche gli impiegati (per non parlare dei precari, più importanti che mai). «La pauperizzazione analizzata così bene da Marx è diventata la vera realtà del nostro mondo: i ricchi sono sempre più ricchi e sempre meno numerosi, mentre i poveri sono sempre più poveri e sempre più numerosi». Se nell’ambito dell’Europa si pratica l’islamofilia empatica, aggiunge Onfray, fuori dalle sue frontiere il liberalismo che ci governa pratica un’islamofobia militare. «Al potere, in Francia, la sinistra socialista ha rinunciato al socialismo di Jaurès nel 1983 e in seguito, nel 1991, ha rinunciato al pacifismo del medesimo Jaurès prendendo parte alle crociate decise dalla famiglia Bush, che così ha dato all’apparato industriale-militare che lo sostiene l’occasione di accumulare benefici immensi, conseguiti grazie alle guerre combattute nei paesi musulmani». Queste guerre «si fanno nel nome dei diritti dell’uomo: di fatto, si combattono agli ordini del capitale che ha bisogno di esse per dopare il suo business e migliorarne artificialmente le prestazioni». Usare armi, insiste Onfray, significa poterne costruirne altre, collaudandole sul campo. A chiudere il conto, poi, provvede il business della ricostruzione, che – sempre ai soliti monopolisti – garantisce «introiti smisurati».Se all’Occidente importasse qualcosa, dei diritti umani, eviterebbe di allearsi con paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, la Corea del Nord e la stessa Cina, che secondo Amnesty International non rispettano i diritti dell’uomo. «Queste false guerre per la democrazia, che di fatto sono vere e proprie guerre coloniali – sottolinea Onfray – prendono di mira le comunità musulmane». Dal 1991 hanno provocato 4 milioni di morti tra le popolazioni civili dei paesi coinvolti. «Come si può anche solo immaginare che l’Umma, la comunità planetaria dei musulmani, non sia solidale con le sofferenze di quattro milioni di correligionari?». Di conseguenza, aggiunge Onfray, non ci si deve stupire se in virtù di quella che Clausewitz definì la “piccola guerra”, quella che i deboli combattono contro i forti, l’Occidente gregario della politica statunitense si trova adesso esposto alla reazione che assume la forma di terrorismo islamico. «La religione continua a essere “l’oppio dei popoli”, e l’oppio è tanto più efficace quanto più il popolo è oppresso, sfruttato e, soprattutto, umiliato. Non si umiliano impunemente i popoli: un giorno quei popoli si ribelleranno, è inevitabile. E la cultura musulmana ha mantenuto potentemente quel senso dell’onore che l’Occidente ha perduto».Il ritorno del popolo alle urne, per Onfray, è una risposta «alla bassezza di questo mondo capitalista e liberale che è impazzito». Dalla caduta del Muro di Berlino, le ideologie dominanti «hanno assimilato la gestione liberale del capitalismo all’unica politica possibile». L’Europa di Maastricht «è una delle macchine con le quali si impone il liberalismo in maniera autoritaria, ed è un vero colmo per il liberalismo: negli anni Novanta, la propaganda di questo Stato totalitario maastrichtiano ha presentato il suo progetto asserendo che esso avrebbe consentito la piena occupazione, la fine della disoccupazione, l’aumento del tenore di vita, la scomparsa delle guerre, l’inizio dell’amicizia tra i popoli». Dopo un quarto di secolo di questo regime trionfante e senza opposizione, «i popoli hanno constatato che ciò che era stato promesso loro non è stato mantenuto e, peggio ancora, che è accaduto esattamente il contrario: impoverimento generalizzato, disoccupazione di massa, abbassamento del tenore di vita, proletarizzazione del ceto medio, moltiplicarsi di guerre e incapacità di impedire quella dei Balcani, concorrenza forzata in Europa per il lavoro».A fronte di questa evidenza, il popolo sembra prepararsi a reagire. «Per il momento si affida a uomini e donne che si definiscono provvidenziali». Certo, il doppio smacco di Tsipras con “Syriza” in Grecia e di Pablo Iglesias con “Podemos” in Spagna «mostra i limiti di questa fiducia nella capacità di questo o quello di cambiare le cose restando in un assetto di politica liberale». Per Onfray, anche Beppe Grillo e i suoi 5 Stelle «vivono un flop di egual misura». La Francia, che nel 2005 ha detto “no” a questa Europa di Maastricht, «ha subito una sorta di colpo di Stato compiuto dalla destra e dalla sinistra liberale» che, nel 2008, hanno imposto tramite il Parlamento «l’esatto contrario di ciò che il popolo aveva scelto». Onfray si riferisce al Trattato di Lisbona, ratificato da Hollande e dal partito socialista, come pure da Sarkozy e dal suo partito. «Gli eletti del popolo hanno votato contro il popolo, determinando così una rottura che ora si paga con un astensionismo massiccio o con decine di voti estremisti di protesta». Altri paesi ancora che hanno manifestato il loro rifiuto nei confronti di questa configurazione europea liberale – Danimarca, Norvegia, Irlanda, Svezia, Paesi Bassi – sono dovuti tornare a votare per rivedere le loro prime scelte. «La Brexit è in corso, e assistiamo in diretta a una sfilza di pressioni volte a scavalcare la volontà popolare».Oggi, riassume Onfray, il popolo «sembra deciso a voler fare tabula rasa di tutti coloro che, vicini o lontani, hanno avuto una responsabilità precisa nel creare la terribile situazione nei loro paesi». Lo scenario contro cui si ribella è quello innescato dalla globalizzazione neoliberista, «alle prese con le guerre neocoloniali statunitensi, davanti ai massacri planetari di popolazioni civili musulmane e a guerre che distruggono paesi come Iraq, Afghanistan, Mali, Libia e Siria, provocando migrazioni di massa di profughi in direzione del territorio europeo». Un panorama sul quale si staglia ingloriosamente «l’inettitudine dell’Europa di Maastricht, forte con i deboli e debole con i forti». Rabbia e frustrazione: è il carburante che, in Francia, spinge in strada i Gilet Gialli. «Una volta ottenuta questa tabula rasa – conclude Onfray – non è previsto che ci sia alcun castello nel quale riparare, perché è impossibile che vi resti un castello». A quel punto, aggiunge, «sembra che non ci resterà che un’unica scelta: la peste liberale o il colera liberale». Trump e Putin? «Non potranno farci nulla: è il capitale a dettar legge. I politici obbediscono e i popoli subiscono».«Il liberalismo si è imposto in modo autoritario, portando con sé impoverimento generalizzato, precarietà, disoccupazione di massa e concorrenza forzata per il lavoro». Per lo scrittore francese Michel Onfray, il neoliberismo ha ormai gettato la maschera: «E’ un sistema economico che ha promesso tutto ma non ha mantenuto niente», scrive Onfray su “L’Espresso”, guardando al caos che ci assedia, con «una plebe che vuole fare piazza pulita, ma senza progetti». Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, seguita nel 1991 dal crollo dell’Unione Sovietica, il capitalismo ha potuto espandersi senza più freni: è allora, ricorda Onfray, che siamo precipitati nell’accelerazione atomica della globalizzazione, «voluta con tanto ardore dal capitalismo liberale più duro», che poi «ha trovato un alleato inaspettato nella sinistra liberale e, in seguito, ancor più paradossalmente, nella sinistra anti-liberale». Per Onfray, il mercato «odia le frontiere, disprezza il locale e ciò che ha messo radici, combatte una guerra spietata contro i paesi, riempie di merda le nazioni, orina contro i popoli e ama soltanto i flussi multiculturali che abbattono le frontiere, sradicano il mondo, devastano ciò che è locale, spaesano i paesi, fustigano le nazioni, diluiscono i popoli a esclusivo beneficio del mercato, l’unico a contare e a dettare legge», per usare «la definizione chimicamente pura del liberalismo».
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Magaldi: siamo in guerra, siate eroi o finirete come Renzi
Oggi, dalle parti del governo, ci si può ancora godere qualche buon sondaggio: qualunque manovra, ancorché modesta, è pur sempre meglio dell’esercizio provvisorio. Ma fra sei mesi o un anno, la gente guarderà le proprie scarpe. E se saranno rotte com’erano un anno fa o due anni fa, prima che arrivasse il governo gialloverde, quelle scarpe se le toglierà e inizierà a tirarle, insieme ai pomodori, addosso ai presunti eroi del cambiamento. Quindi attenzione, cari amici gialloverdi del governo Conte: o si fa sul serio, a partire dal 2019, oppure farete – purtroppo – la fine che hanno fatto i vostri predecessori, cioè tutti quelli che di cambiamento hanno solo e sempre parlato. I governi dell’ultimo quarto di secolo hanno governato secondo i dettami di oligarchie massoniche neo-aristocratiche: si sono appecoronati, lasciandosi comprare un tanto al chilo, e hanno eseguito copioni scritti per loro da altri. Adesso il governo gialloverde ha al suo interno anche dei massoni sedicenti progressisti, e all’esecutivo – dal mondo massonico progressista – arriva il seguente messaggio: abbiate il coraggio di essere degli eroi, anche perché ci guadagnereste pure in termini elettorali e di durata, sul palcoscenico politico.Non sappiamo se questi suggerimenti saranno accolti. Certo, qualcuno potrebbe dire che il governo si è barcamenato, tra suggerimenti di segno opposto. In una prospettiva di autentico cambiamento, Paolo Savona al Senato ha evocato l’esigenza di un nuovo corso rooseveltiano, recependo appieno la narrativa politico-economica proposta dal mondo massonico progressista. Purtroppo però la manovra varata non si traduce in massicci piani di rilancio delle infrasttrutture, dell’occupazione, della sicurezza idrogeologica. Si resta invece in balia di una sorta di timore reverenziale verso la minaccia di tirate d’orecchie da parte dell’Europa. E così, per evitare la procedura d’infrazione, si assottiglia il già magro piano di misure volte ad abbandonare il paradigma del rigore e dell’austerità. Sembra che il governo Conte, schiacciato tra istanze opposte e contrarie – quelle dei massoni progressisti e quelle dei massoni neo-aristocratici – cerchi di barcamentarsi. Però questa cosa non funziona: barcamenarsi significa, alla fine, dar ragione ai massoni neo-aristocratici, che (attraverso i propri maggiordomi e camerieri) occupano indebitamente le istituzioni dell’attuale Disunione Europea. Opporsi a questi signori, invece, significa andare verso una vera Europa, e impegnarsi – come Italia – a costruirla, questa vera Europa, da protagonisti.La manovra del governo Conte è molto al di sotto delle aspettative, ma molti esponenti dell’area gialloverde annunciano di volerla migliorare nel 2019. A noi del Movimento Roosevelt farebbe piacere vedere un’evoluzione del governo Conte, più in linea con quelle che erano le attese. Della Seconda Repubblica diamo un giudizio storico, di fallimento complessivo. La Terza Repubblica comincerà solo col ritorno allo spirito originario della Costituzione, eliminando le cattive modifiche introdotte e vivificando le parti della Carta non adeguatamente declinate (e magari introducendo anche qualche perfezionamento). Avremo una Terza Repubblica quando al governo ci sarà qualcuno che lancerà finalmente un paradigma alternativo a quello neoliberista, egemone da troppi decenni, e quando – da parte dei governanti – ci sarà un atteggiamento consapevole della grandezza dell’Italia, potenziale ma anche attuale. L’Italia è un grande paese, che vive rappresentato al di sotto delle sue possibilità. L’Italia potrebbe recitare un ruolo leader nel Mediterraneo, in Africa e nel Medio Oriente. E potrebbe recitare un ruolo importante nel continente europeo, per costruire un’Europa veramente forte, democratica e popolare – ma non lo fa. L’Italia potrebbe essere anche un ponte tra Oriente e Occidente: lo è stata storicamente, ma riesce a esserlo solo a intermittenza, senza lungimiranza e senza valorizzare queste sue attitudini.In una Terza Repubblica, avremmo discorsi dei presidenti della Repubblica meno fasulli, meno retorici, meno gonfi di fumo e poveri di arrosto. Avremmo discorsi in cui il capo dello Stato si farebbe carico di interpretare le esigenze della nazione, parlando una lingua riconoscibile dai cittadini, senza menare il can per l’aia ingannando la platea. Mattarella dovrebbe fare autocritica, anzitutto, per come ha gestito il suo rapporto con la formazione del governo Conte e per come ha mortificato ingiustamente una fugura come quella di Paolo Savona impedendo che accedesse al ministero dell’economia. Mattarella ha presentato se stesso come il garante di un atteggiamento appecoronato, del sistema-Italia, verso diktat che non sono europei, non sono europeisti: sono solo il frutto contingente di una pessima ideologia, quella neoliberista, che ha corrotto qualunque sogno di integrazione politica europea. Mattarella si è fatto ragioniere occhiuto, e ha partecipato allo spavento per i risparmi degli italiani – messi in discussione da cosa? Se fosse stato un vero europeista, semmai, il presidente della Repubblica si sarebbe dovuto adoperare per promuovere l’eliminazione del problema dello spread alla radice, puntando a un’integrazione dei buoni del Tesoro (eurobond). Avrebbe dovuto, semmai, chiedere un surplus di democrazia nelle istituzioni europee.Queste cose Mattarella non le fa, ma non le ha fatte nessun suo predecessore. Non solo: Mattarella e i costituzionalisti del Qurinale non hanno detto una parola su quei profili dubbi del “decreto sicurezza” di Salvini. Invece partecipano, Mattarella e altri, al fiume di delegittimazione di Salvini sul piano di presunte xenofobie – che non ci sono mai state: la Lega ha eletto il primo parlamentare di colore in Italia. In questo triste crepuscolo di Forza Italia, del Pd e di altri partiti ormai in putrefazione, tutti epigoni di quella che è stata la Seconda Repubblica, la credibilità è davvero ai minini termini. Lo confermano i sondaggi: magari aumentano i cittadini disillusi dal troppo poco che ha fatto il governo, ma non cresce certo il consenso delle forze che vi si oppongono. La situazione è tale, che un capo dello Stato serio dovrebbe dire, oggi, agli italiani: scusatemi, perché forse ho attentato alla Costituzione quando (per un mio pregiudizio politico e ideologico) ho impedito che diventasse ministro dell’economia un galantuomo come Paolo Savona. Scusatemi, dovrebbe dire Mattarella, perché non ho fatto i giusti rilievi costituzionali (e non ho rimandato quindi alle Camere) il “decreto sicurezza” di Salvini, che forse contiene elementi illiberali – e lo dico io, che difendo Salvini da ogni attacco strumentale, e credo ancora che Salvini possa maturare politicamente, con tutta la Lega, verso una cifra politica adeguata alle sfide del XXI Secolo.Il vero punto è questo: Salvini è stato più muscolare degli altri, ma solo a parole. Il governo Conte, la Lega e i 5 Stelle vanno spronati a fare di più e di meglio. Questa manovra è riuscita male, così come l’atteggiamento con l’Europa. Si vuol dire che ogni tanto bisogna anche saper ripiegare e essere diplomatici? Va bene, staremo a vedere. Ma attenzione ai cortigiani, che oggi sono adulatori anche di Salvini: ricordo la fine che ha fatto Renzi, che era corteggiato e adulato, osannato e presentato nei sondaggi come l’uomo dell’anno (e degli anni). Ecco un’altra cosa che il presidente della Repubblica dovrebbe dire: italiani, cessate di essere servili e cortigiani. Cessate di essere stupidamente tifosi, com’è accaduto negli ultimi raccapriccianti episodi attorno al mondo calcistico: se proprio uno deve avere il coraggio di andare incontro alla morte, lo faccia per degli ideali importanti, non per una sciarpa e il tifo per una squadretta di calcio – con tutto il rispetto per la grande passione sportiva italiana. Italiani, siate seri: così dovrebbe dire un presidente della Repubblica autentico (lo disse Garibaldi in una delle sue avventure eroiche, e l’ultima stagione eroica dell’Italia è stata proprio il Risorgimento, pur tra mille retoriche).Insomma, il presidente della Repubblica dovrebbe dire: forse ho sbagliato, in questi anni, ma vi prometto che d’ora in avanti il mio ruolo di garante delle istituzioni sarà quello, anche in sede europea e mediterranea, di chi si adopera per favorire un reale Piano Marshall per l’Africa e un ruolo importante dell’Italia nel Mediterraneo. Tanto più che Mattarella proviene da quella sinistra democristiana che aveva in Aldo Moro un grandissimo esponente e un uomo di Stato che – fino a che non l’hanno ammazzato – aveva sicuramente gestito da par suo, insieme ad altri, un ruolo importante del nostro paese in varie questioni mediorientali e internazionali. Mattarella dovrebbe dire: mi adopererò perché l’Europa sia vera, democratica, popolare, con istituzioni non post-democratiche, non oligarchiche, non tecnocratiche. Questo dovrebbe dire: mi adopererò perché in Italia tornino la giustizia e la mobilità sociale, perché si vada verso il diritto al lavoro inserito nella Costituzione, cosicché il dibattito non sia più arenato tra reddito di cittadinanza (farlocco) o redditi integrativi di incerta applicazione. Questo dovrebbe dire: mi adopererò, come presidente della Repubblica, per far fare un salto di qualità a questa nazione.Noto peraltro che le persone sono più attente, alla questione della “res publica”: ne parlano di più, sono più smaliziate. Anche tra le persone semplici le antenne sono ben ritte. Quindi bisogna essere ottimisti, per il 2019 e per gli anni che verranno, perché forse l’Italia potrà davvero riannodare i fili della sua storia, e gli italiani potranno forse tornare a vivere qualche stagione eroica, com’è accaduto in secoli passati. Il governo Conte? Se sceglie la via del barcamenarsi farà la fine di Matteo Renzi, un grande “barcamenatore”: faceva la voce grossa e parlava di rinnovamento ma non rinnovava niente; stava lì a tenere buoni tutti, lanciando speranze poi tutte disattese. I rappresentanti del governo Conte sanno bene cosa dicono gli uni e gli altri, i progressisti e i neo-aristocratici, ma la scelta di barcamenarsi non è possibile. Questa è una guerra: lo dico con mitezza, perché è una guerra che si può combattere pacificamente e democraticamente. Ma è una guerra, nella quale si scontrano due visioni diverse della società. Una è una visione democratica e progressista, imperniata sulla giustizia, sulla mobilità sociale e sulle prosperità diffusa. L’altra visione è invece imperniata sulla post-democrazia, cioè su una neo-aristocrazia (che va a braccetto, sul piano economico, con quella ideologia neoliberista che ha ammorbato l’orbe planetario negli ultimi decenni). Per il bene di tutti, l’Italia deve tornare a recitare un ruolo importante. E faccio questa previsione: il 2019 vedrà un’accelerazione di parecchi processi.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming su YouTube “Gioele Magaldi Racconta” del 31 dicembre 2018. Autore del bestseller “Massoni”, nonché esponente del circuito massonico progressista internazionale, Magaldi annuncia per il 2019 un’intensa offensiva mediatica da parte del Movimento Roosevelt, di cui è presidente, e parallelamente prevede un’incisiva attività politica da parte del costruendo “Partito che serve all’Italia”, i cui attivisti torneranno a riunirsi a Roma il 10 febbraio, dopo l’assemblea prenatalizia alla quale hanno partecipato, a vario titolo, personalità come quelle di Nino Galloni, Claudio Quaranta, Antonio Maria Rinaldi e Ilaria Bifarini).Oggi, dalle parti del governo, ci si può ancora godere qualche buon sondaggio: qualunque manovra, ancorché modesta, è pur sempre meglio dell’esercizio provvisorio. Ma fra sei mesi o un anno, la gente guarderà le proprie scarpe. E se saranno rotte com’erano un anno fa o due anni fa, prima che arrivasse il governo gialloverde, quelle scarpe se le toglierà e inizierà a tirarle, insieme ai pomodori, addosso ai presunti eroi del cambiamento. Quindi attenzione, cari amici gialloverdi del governo Conte: o si fa sul serio, a partire dal 2019, oppure farete – purtroppo – la fine che hanno fatto i vostri predecessori, cioè tutti quelli che di cambiamento hanno solo e sempre parlato. I governi dell’ultimo quarto di secolo hanno governato secondo i dettami di oligarchie massoniche neo-aristocratiche: si sono appecoronati, lasciandosi comprare un tanto al chilo, e hanno eseguito copioni scritti per loro da altri. Adesso il governo gialloverde ha al suo interno anche dei massoni sedicenti progressisti, e all’esecutivo – dal mondo massonico progressista – arriva il seguente messaggio: abbiate il coraggio di essere degli eroi, anche perché ci guadagnereste pure in termini elettorali e di durata, sul palcoscenico politico.
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Che amara delusione, quest’anno: l’Italia è rimasta schiava
Se dovessi provare a definire l’anno che si chiude con una sola parola, utilizzerei il termine “delusione”. Questa delusione nasce dalla realizzazione che, qualunque governo possa venire a formarsi in Italia, la nostra situazione non potrà mai cambiare in modo sostanziale. Certo, si potranno dare 100 euro in più a chi è povero, e magari mandare in pensione qualche mese prima chi se lo è meritato, ma la realtà complessiva che ci circonda non potrà mai cambiare più di tanto: siamo una nazione schiava. Schiava economicamente, a causa di un debito che ci schiaccia in maniera insopportabile, e che ci toglie ogni margine di manovra per cambiare efficacemente la nostra organizzazione sociale. Schiava politicamente, perché siamo legati mani e piedi al Patto Atlantico, e da quello non possiamo uscire. Schiava ideologicamente, perché legati a certi dettami del pensiero unico che viene controllato ferocemente dai media di sistema, e che impedisce una qualunque mutazione sostanziale nelle opinioni delle masse.Intendiamoci, non sto dicendo che mi aspettavo una rivoluzione travolgente da parte del nuovo governo giallo-verde. Non sono un ingenuo, e ho vissuto abbastanza a lungo da capire che certe mutazioni possono avvenire solo nel corso del tempo. Ma quando vedo un governo i cui rappresentanti erano palesemente a favore di un’uscita dall’Euro(pa), e ora si ritrovano invece a piegare la testa ai dettami di Bruxelles, mi coglie un senso di frustrazione e di impotenza. Quando vedo un governo i cui rappresentanti erano palesemente contrari alle vaccinazioni obbligatorie, e ora invece sembrano diventati i camerieri di Big Pharma, mi coglie un senso di frustrazione e di impotenza. Quando vedo un governo che sosteneva apertamente che gli F-35 sono dei bidoni ingovernabili, e ora invece ne tessono le lodi come se fossero dei gioielli di tecnologia futuristica, mi coglie un senso di frustrazione e di impotenza. Quando vedo un governo che era apertamente a favore dell’abolizione delle sanzioni contro la Russia, e ora invece ha completamente smesso di parlare di questo argomento, mi coglie un senso di frustrazione e di impotenza.Forse il senso della storia sta proprio qui, nella distanza che esiste fra le aspettative e la realtà, e nello sforzo che ogni generazione deve compiere per coprire quella distanza. Ma di certo questo non è stato un anno entusiasmante rispetto a questo tipo di progresso. Questo non significa naturalmente che dobbiamo smettere di fare il nostro lavoro. Per quel che mi riguarda, continuerò imperterrito a seguire la strada che mi detta la mia coscienza, anche perchè vedo che la crescita di consapevolezza collettiva è comunque in atto, e non si è affatto arrestata. Questo mi basta e avanza per continuare a fare quello che faccio. Forse stiamo solo vivendo la parte bassa di un’onda lunga, della quale non vediamo che i risvolti negativi, perché sono i più vicini a noi. Magari queste fluttuazioni fanno parte di un ciclo più ampio, la cui summa totale sarà comunque positiva. Lo spero con tutto il cuore, e spero che anche molti di voi la pensino allo stesso modo.(Massimo Mazzucco, “2018, l’anno della delusione”, dal blog “Luogo Comune” del 31 dicembre 2018).Se dovessi provare a definire l’anno che si chiude con una sola parola, utilizzerei il termine “delusione”. Questa delusione nasce dalla realizzazione che, qualunque governo possa venire a formarsi in Italia, la nostra situazione non potrà mai cambiare in modo sostanziale. Certo, si potranno dare 100 euro in più a chi è povero, e magari mandare in pensione qualche mese prima chi se lo è meritato, ma la realtà complessiva che ci circonda non potrà mai cambiare più di tanto: siamo una nazione schiava. Schiava economicamente, a causa di un debito che ci schiaccia in maniera insopportabile, e che ci toglie ogni margine di manovra per cambiare efficacemente la nostra organizzazione sociale. Schiava politicamente, perché siamo legati mani e piedi al Patto Atlantico, e da quello non possiamo uscire. Schiava ideologicamente, perché legati a certi dettami del pensiero unico che viene controllato ferocemente dai media di sistema, e che impedisce una qualunque mutazione sostanziale nelle opinioni delle masse.
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2018, Immacolata Concezione gialloverde: tutti spiazzati
Chi l’avrebbe mai detto, alla fine dell’anno scorso, che il 2018 sarebbe stato un anno così. Chi avrebbe mai pensato di questi tempi a un governo giallo-verde, a Di Maio al governo, a Salvini leader più amato dagli italiani e più odiato dai media (le due cose di solito vanno insieme). Chi avrebbe mai pensato al prof. avv. Conte alla guida del governo, un Signor Nessuno che traffica coi potenti della terra… E ai grillini passati dal nulla al ministero, dalla piazza al comando. Il 2018 è stato l’anno che ha spiazzato tutti, anche coloro che volevano questa svolta. Ma era imprevisto l’esito, e soprattutto l’alleanza tra cani e gatti. Non ci sono governi in Europa che mantengono così alto il loro consenso, quasi il 60% a sei mesi dall’insediamento. Sono in gran parte governi di minoranza. Pensate a come se la passa male Macron, e la Merkel, e la May, e tutti gli altri. Per trovare un consenso popolare ancora alto dovete andare Oltreoceano, da Trump o da Bolsonaro. Il 2018 è stato l’anno del Cambiamento, non del Paese, non dello Stato, né della Sostanza delle cose, ma è cambiato davvero il verso dell’Italia, per dirla col linguaggio di un predecessore caduto sotto un plebiscito di antipatia.Il lato “eroico” è la rivolta contro il politicamente corretto, sia la politica-politicante che il soffocante correttismo ideologico. Un’insurrezione popolare contro i potentati interni ed esteri. Nel 2018 la verginità è andata al potere; l’assenza di precedenti, di curriculum e di esperienza ha contato come una virtù anziché un difetto. Vergine è il premier, che è stato concepito senza passare dalle urne, in una specie di Immacolata Concezione che è un miracolo in democrazia ma un doppio miracolo per un’alleanza populista fondata sulla sovranità degli elettori. Vergine è il suo regista, Di Maio, che si muove con padronanza, ma il suo stadio precedente non è stato l’amministrazione locale, il tirocinio professionale o la formazione di studi, ma lo Stadio san Paolo. Non è Vergine assoluto ma è novizio nel suo ruolo anche il ragazzo della Nutella, Salvini il poliziotto d’Italia che distribuisce bacioni e ruspate. La faccia del 2018 è una e trina: è in quella terna lì, i due segnalinee del Contratto e l’arbitro che media tra i due e tra l’Italia e il resto del mondo, pedinato dai due gendarmi quirinalizi, il povero Tria e lo stranito Moavero.Eppure in questi mesi si sono visti pochi cambiamenti. Molti annunci, molte dichiarazioni epocali, molto fumo, poca ciccia. Gli atti più significativi, finora, sono stati simbolici. E in buona parte non sono stati a favore dei più ma contro alcune categorie elevate a bersaglio: privilegiati veri o presunti, clandestini o criminali. Il top del gesto simbolico resta la distruzione della Reggia radical kitsch dei Casamonica, che in un colpo solo sintetizzava la lotta alla delinquenza, all’abusivismo e ai rom, versione sinti. Il valore simbolico di quella ruspa è stato enorme, e se lo sono conteso Salvini, la Raggi e Zingaretti. Non si può del resto pretendere di quadrare il cerchio e pure il triangolo: risparmiare come impone l’Europa, far crescere l’Italia, assistere chi non ce la fa. Cioè far crescere il Paese in due direzioni opposte: generando dinamismo sociale e sviluppo come pensano i leghisti, alleggerendo la pressione fiscale, e insieme frenando le opere pubbliche e distribuendo soldi a chi se la passa male, come pensano i grillini. La Manovra è infatti il tentativo surreale di pagare i debiti, risparmiandoci l’aumento dell’Iva, mandare in pensione prima con la quota 100, elevare il minimo delle pensioni e aiutare chi non ha lavoro. Un miracolo triplo così non saprebbe farlo neanche Gesùcristo. Le nozze di Cana coi fichi secchi. Da nozze così, più che figli nascono divorzi. Ma continuiamo a tifare per l’Italia unita, risorgente e sovrana.(Marcello Veneziani, “L’anno che ha spiazzato tutti”, da “Il Tempo” del 30 dicembre 2018, articolo ripreso sul blog di Veneziani).Chi l’avrebbe mai detto, alla fine dell’anno scorso, che il 2018 sarebbe stato un anno così. Chi avrebbe mai pensato di questi tempi a un governo giallo-verde, a Di Maio al governo, a Salvini leader più amato dagli italiani e più odiato dai media (le due cose di solito vanno insieme). Chi avrebbe mai pensato al prof. avv. Conte alla guida del governo, un Signor Nessuno che traffica coi potenti della terra… E ai grillini passati dal nulla al ministero, dalla piazza al comando. Il 2018 è stato l’anno che ha spiazzato tutti, anche coloro che volevano questa svolta. Ma era imprevisto l’esito, e soprattutto l’alleanza tra cani e gatti. Non ci sono governi in Europa che mantengono così alto il loro consenso, quasi il 60% a sei mesi dall’insediamento. Sono in gran parte governi di minoranza. Pensate a come se la passa male Macron, e la Merkel, e la May, e tutti gli altri. Per trovare un consenso popolare ancora alto dovete andare Oltreoceano, da Trump o da Bolsonaro. Il 2018 è stato l’anno del Cambiamento, non del Paese, non dello Stato, né della Sostanza delle cose, ma è cambiato davvero il verso dell’Italia, per dirla col linguaggio di un predecessore caduto sotto un plebiscito di antipatia.
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Carpeoro: P1, la sovragestione ha piegato il governo Conte
Si chiama P1, è una loggia massonica di cui il Grande Oriente d’Italia non ha mai ammesso l’esistenza. Ne parla Gianfranco Carperoro nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016. Tesi: la P2 di Gelli, affollata di “numeri due” del potere, serviva anche da copertura (eventualmente “sacrificabile”) per la P1, vera cabina di regia della “sovragestione” italiana, all’epoca della strategia della tensione. A fondare la P1 – di concerto con ambienti Nato, come quelli della loggia toscana Benjanin Franklyn – fu Eugenio Cefis, l’uomo che prese il posto di Enrico Mattei alla guida dell’Eni, dopo l’attentato del 1962 che costò la vita al grande protagonista della rinascita dell’Italia come potenza industriale mediterranea, nel dopoguerra, grazie all’allenza paritaria con i paesi arabi per lo sfruttamento del petrolio. Ma che c’azzecca, la P1, nell’attualità politica italiana del 2018? C’entra eccome: è stata lei a piegare il governo Conte, fiaccandone la resistenza e costringendolo a capitolare di fronte al diktat di Bruxelles sul deficit. Obiettivo: far venir meno la fiducia degli italiani verso Lega e 5 Stelle. E come avrebbe agito, la P1? Nel solito modo: a livello mediatico. «La specialità della P1 è la cosiddetta “macchina del fango”».Secondo Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, non è da trascurare il profilo istituzionale della “sovragestione”: «Nelle ultime settimane è stato particolarmente rovente il telefono di Mario Draghi», che avrebbe agito anche di concerto con il Quirinale per premere su Conte. Sempre secondo Carpeoro, sono più che sospetti gli attacchi a orologeria sferrati contro i leader gialloverdi: prima Salvini, cui la magistratura chiede di versare una cifra folle (49 milioni di euro, tale da paralizzare l’attività politica della Lega) e poi Di Maio, infangato dalla vicenda del padre, accusato di ricorrere al lavoro nero nella sua azienda. «Erano avvertimenti preliminari. Bisognava tener duro e non lasciarsi intimorire. Invece, come s’è visto, il governo ha ceduto». Secondo Carpeoro, con la P1 non si scherza: «E’ da quell’ambiente che è nato il progetto Gladio, che resta la cosa peggiore che gli Usa abbiano inflitto all’Italia, per paura che il nostro paese potesse dialogare con l’Unione Sovietica, all’epoca della guerra fredda. Per questo – aggiunge Carpeoro – è stato ucciso lo stesso Mattei. E i responsabili di quell’omicidio furono gli uomini di Gladio».Mattei voleva un’Italia forte e autorevole nel Mediterraneo. Il suo aereo esplose in volo sul cielo di Bascapè, nell’Oltrepo Pavese. Aldo Moro, l’uomo dell’intesa col Pci di Berlinguer, fu liquidato attraverso un opaco intreccio di terrorismo e servizi segreti. Finì invece in esilio ad Hammamet il leader socialista Bettino Craxi, che aveva osato schierare i carabinieri a Sigonella per impedire che gli Usa arrestassero i dirottatori palestinesi della nave da crociera Achille Lauro e il mediatore Abu Abbas, inviato da Arafat per risolvere la crisi. E adesso, non appena l’Italia riprova ad alzare la testa – foss’anche nel modo discutibile dei gialloverdi, comunque in controtendenza rispetto al rigore predicato da Bruxelles – ecco che il governo italiano si ritrova nei guai. Non è un caso, sostiene Carpeoro: c’è chi lavora nell’ombra, da decenni, per mantenere sottomesso il nostro paese. Forse non tutto è perduto, aggiunge l’analista: è possibile che, vista la forza soverchiante dell’avversario e il suo immenso potere di ricatto, Salvini e Di Maio abbiano optato per una ritirata solo tattica, in attesa delle europee. Molto potrebbe dipendere dal voto di maggio: «Se in Europa vinceranno i progressisti, la partita per l’Italia potrebbe riaprirsi. Se invece si affermerà il fronte reazionario, peggio per noi: Bruxelles potrebbe aprire la procedura d’infrazione contro l’Italia per eccesso di debito pubblico. Un’eventualità evitata dai governi precedenti, proni com’erano ai voleri dell’oligarchia europea».Si chiama P1, è una loggia massonica di cui il Grande Oriente d’Italia non ha mai ammesso l’esistenza. Ne parla Gianfranco Carperoro nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016. Tesi: la P2 di Gelli, affollata di “numeri due” del potere, serviva anche da copertura (eventualmente “sacrificabile”) per la P1, vera cabina di regia della “sovragestione” italiana, all’epoca della strategia della tensione. A fondare la P1 – di concerto con ambienti Nato, come quelli della loggia toscana Benjamin Franklyn – fu Eugenio Cefis, l’uomo che prese il posto di Enrico Mattei alla guida dell’Eni, dopo l’attentato del 1962 che costò la vita al grande protagonista della rinascita dell’Italia come potenza industriale mediterranea, nel dopoguerra, grazie all’allenza paritaria con i paesi arabi per lo sfruttamento del petrolio. Ma che c’azzecca, la P1, nell’attualità politica italiana del 2018? C’entra eccome: è stata lei a piegare il governo Conte, fiaccandone la resistenza e costringendolo a capitolare di fronte al diktat di Bruxelles sul deficit. Obiettivo: far venir meno la fiducia degli italiani verso Lega e 5 Stelle. E come avrebbe agito, la P1? Nel solito modo: a livello mediatico. «La specialità della P1 è la cosiddetta “macchina del fango”».
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Barnard: Assange sta marcendo per noi, e nessuno lo aiuta
L’intellettuale che rispetto più al mondo, Noam Chomsky, da 70 anni ripete alla società civile una sola cosa: “Organize”, cioè agite nella vita reale per l’interesse comune. Lo conosco bene, siamo sempre in contatto, e da quando avevo 28 anni io non ho fatto altro: “Organize”. Oggi ho sessant’anni, sono parecchio stanco, ma non smetto, ed eccomi sotto l’ambasciata dell’Ecuador a manifestare contro la neo-rivelata incriminazione di Julian Assange da parte degli Usa. Non c’è un cane, ed è più o meno così da anni ormai, salvo sparute apparizioni di gruppetti per poche ore. Avevo allertato giornalisti e attivisti inglesi per mesi, ma nessun collega, neppure principiante idealista o blogghettaro, si fa vivo. Ma sui social internazionali (non quelli italiani) la mia iniziativa ha registrato decine di migliaia di approvazioni, sembrava aver scatenato una valanga, dalla Gb al Canada, Usa, Spagna, dalla Polonia persino, o paesi scandinavi. Sui social sembra che milioni di attivisti stiano freneticamente agendo per Assange. Ma dov’è tutta sta gente? Perché sotto ’sto terrazzino miserrimo da mesi e mesi non succede più niente di massiccio e costante? I social, quelli che: col click cambiamo tutto e spacchiamo il culo…La madre di Assange mi ha scritto, e mi conferma che le condizioni di questo eroe civico sono ormai disperate per lo stato d’isolamento da 6 anni. Le ho risposto che c’è motivo di denunciare il governo inglese per crimine di tortura, secondo la Convenzione dell’Onu contro la tortura del 1983 ratificata in legge nazionale da Londra nel 1987. La convenzione specifica che si definisce tortura “grave sofferenza inflitta, fisicamente o mentalmente, a una persona”, che è ciò che la Gran Bretagna sta facendo a Julian Assange. Assange sa che se lascia l’ambasciata sarà estradato dagli inglesi negli Stati Uniti, dove non esiste rispetto di alcuna legge sul pianeta quando si parla di “Interesse Nazionale”, nel nome del quale i presidenti ordinano quotidianamente la tortura dei sospetti, gli omicidi extra-giudiziali, i sequestri di persona e la detenzione “incomunicado” senza limiti. E Washington accusa Assange proprio nel nome dell’Interesse Nazionale.Vogliono macellare Assange, ma non perché abbia rivelato nomi o messo in crisi i servizi segreti o influenzato le elezioni. Balle. Il vero motivo per cui Assange va macellato lo spiegò nel 1983 il più influente pensatore politico dell’America moderna, Samuel P. Huntington, quando scrisse: «Il Potere rimane forte quando rimane nell’oscurità. Se lo si mostra alla luce (conoscenza dei cittadini) esso inizia a evaporare». Stanno macellando chi vi tutela, chi davvero fa informazione contro i Poteri, nell’indifferenza di tutti, degli italiani sopra a tutti, coi nostri eroi pentastellati che mettono un lecchino leghista a garanzia della “libera informazione” (sic) invece di offrire cittadinanza e rifugio a un eroe mondiale dell’informazione che tutela tutti. Qui fa un freddo cane, sotto quel terrazzino.(Paolo Barnard, “@Ecuadorian Embassy? Assange?”, dal blog di Barnard del 27 dicembre 2018).L’intellettuale che rispetto più al mondo, Noam Chomsky, da 70 anni ripete alla società civile una sola cosa: “Organize”, cioè agite nella vita reale per l’interesse comune. Lo conosco bene, siamo sempre in contatto, e da quando avevo 28 anni io non ho fatto altro: “Organize”. Oggi ho sessant’anni, sono parecchio stanco, ma non smetto, ed eccomi sotto l’ambasciata dell’Ecuador a manifestare contro la neo-rivelata incriminazione di Julian Assange da parte degli Usa. Non c’è un cane, ed è più o meno così da anni ormai, salvo sparute apparizioni di gruppetti per poche ore. Avevo allertato giornalisti e attivisti inglesi per mesi, ma nessun collega, neppure principiante idealista o blogghettaro, si fa vivo. Ma sui social internazionali (non quelli italiani) la mia iniziativa ha registrato decine di migliaia di approvazioni, sembrava aver scatenato una valanga, dalla Gb al Canada, Usa, Spagna, dalla Polonia persino, o paesi scandinavi. Sui social sembra che milioni di attivisti stiano freneticamente agendo per Assange. Ma dov’è tutta sta gente? Perché sotto ’sto terrazzino miserrimo da mesi e mesi non succede più niente di massiccio e costante? I social, quelli che: col click cambiamo tutto e spacchiamo il culo…