Archivio del Tag ‘morte’
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Bergoglio: no al liberismo, la tirannia che svuota lo Stato
«Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in Borsa». I media italiani ne hanno parlato poco, ma la nuova “esortazione apostolica” di Papa Francesco, “Evangelii Gaudium” (la gioia del vangelo) contiene una potente critica al capitalismo finanziario. «Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”», scrive Bergoglio. «Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole». Conseguenza: «Grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita». Aggiunge il pontefice: «Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive».
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Truce Germania smemorata: noi le condonammo i debiti
Strana, pericolosa Germania: è risorta dalla vergogna mondiale del nazismo ricorrendo alla “politica della memoria” che l’ha riabilitata, beneficiando di un colossale taglio del debito accordatole nel ’53 (per motivi geopolitici, certo) da ben 65 paesi, tra cui l’Italia. Ma ora pare vittima di un’amnesia capitale, pretendendo che il debito altrui venga saldato, costi quel che costi, foss’anche la morte per fame dei poveri greci o la devastazione economica di un grande paese come il nostro. Per Barbara Spinelli, rischia di tornare in scena il peggio della storia europea: proprio i tedeschi stanno infliggendo al resto d’Europa la stessa “punizione” che furono i primi a subire, per mano della Francia, che dopo la Prima Guerra Mondiale demolì la Repubblica di Weimar spianando la strada alle camicie brune. Stessa ricetta degli “austeritari” di allora: deflazione spietata, super-export, crollo dei consumi interni, crescente irresponsabilità bellicosa verso i vicini.
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Un Comitato di Liberazione Nazionale contro le euro-tasse
Serve un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale, per respingere il “fascismo finanziario” dell’Unione Europea e imporre il ritorno della democrazia e della sovranità in Italia. Paolo Barnard lo spiega “verticalizzando” il problema senza giri di parole. I “sociopatici” trattati-capestro su cui si fonda l’Ue? «Esautorano Stati, Costituzioni e Parlamenti, quindi i cittadini sovrani», che non hanno mai votato né per Maastricht né tantomeno per il Fiscal Compact. Su Bruxelles il Parlamento Europeo non ha potere, i popoli europei non possono esprimersi democraticamente né difendersi. Imposizione fiscale, taglio dei deficit, austerità imposte dal regime europeo? «Sono strumenti del fascismo finanziario Ue per l’impoverimento delle masse e conseguente scadimento della democrazia». L’unica soluzione, secondo Barnard, sta nell’abolizione, «per legittima difesa», del reato di evasione fiscale. Inutile aspettarsi misure di salvezza dal governo: non le adotterà mai.«La tragedia dell’economia attuale, quella del tuo reddito, del tuo mutuo e del futuro di tuo figlio – scrive Barnard nel suo blog – è che una generazione di miserabili economisti prezzolati a suon di parcelle dal Potere ha fatto dimenticare a tutti il Dna dell’economia per l’Interesse Pubblico, quella che veramente creò la ricchezza moderna. Così ci hanno guadagnato quattro porci di speculatori, sulla pelle di milioni». Ed è successo. «Immaginate: è come se Maria De Filippi, il Gabibbo, Jovanotti e Mammuccari ci avessero fatto dimenticare che il Dna della lingua italiana sono Dante, Petrarca, Foscolo, Carducci o Pavese e Moravia – infatti è successo anche questo, e la lingua che parliamo è una cosa abominevole». Barnard cita un economista democratico di 70 anni fa, Michal Kalecki: «Basterebbe ricordare che razza di genio illuminato era costui e che cuore aveva per l’interesse della gente». Meglio si capirebbe che «la penicillina della salvezza delle nostre vite economiche è stata annientata, nascosta, con risultati orripilanti sulla vita di tutti noi».Nel 2013, l’Italia si ritrova un governo «illegittimo», sorretto da un uomo come Napolitano, accusato di “cestinare” la Costituzione. «Il potere deve tornare ai cittadini», dice Barnard, attraverso un nuovo Cln come quello sorto nel 1943. Obiettivo, abbattere il “fascismo finanziario” di Bruxelles. Come? Con una sorta di rivolta fiscale. «Azione numero 1: Il reato di evasione fiscale è abolito. Lo decidono gli italiani per legittima difesa. Evaderemo tasse fino al raggiungimento del 9% di deficit, poiché le identità macroeconomiche dimostrano oltre ogni dubbio che il deficit dello Stato è la ricchezza di cittadini e aziende per la salvezza nazionale. O l’alza il governo (unitamente a un taglio delle tasse), o l’alziamo noi con l’evasione. Vita o morte dell’Italia è in gioco». Un appello che Barnard considera patriottico: «Nel nome della patria e della Costituzione italiana, oggi la salvezza del paese passa per l’evasione fiscale delle tasse dell’Economicidio impostoci dal fascismo tecnocratico europeo».Serve un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale, per respingere il “fascismo finanziario” dell’Unione Europea e imporre il ritorno della democrazia e della sovranità in Italia. Paolo Barnard lo spiega “verticalizzando” il problema senza giri di parole. I “sociopatici” trattati-capestro su cui si fonda l’Ue? «Esautorano Stati, Costituzioni e Parlamenti, quindi i cittadini sovrani», che non hanno mai votato né per Maastricht né tantomeno per il Fiscal Compact. Su Bruxelles il Parlamento Europeo non ha potere, i popoli europei non possono esprimersi democraticamente né difendersi. Imposizione fiscale, taglio dei deficit, austerità imposte dal regime europeo? «Sono strumenti del fascismo finanziario Ue per l’impoverimento delle masse e conseguente scadimento della democrazia». L’unica soluzione, secondo Barnard, sta nell’abolizione, «per legittima difesa», del reato di evasione fiscale. Inutile aspettarsi misure di salvezza dal governo: non le adotterà mai.
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Expo-guerra, il bazar galleggiante dell’Italia che affonda
Il nemico complotta contro l’Italia fino a farla crollare, ma la portaerei Cavour – ammiraglia della marina militare, costata 3,5 miliardi – non si dirige contro chi attenta alla vita e al futuro degli italiani, tramando per devastare l’economia, impoverire il paese e trascinarlo nella catastrofe sociale pianificata tra Bruxelles e Berlino, Wall Street e Francoforte. Al contrario, la grande nave trasformata in expò galleggiante del made in Italy bellico preferisce incrociare in acque lontane: «Si vanno a vendere altre armi ai paesi mediorientali e africani, dominati da oligarchie e caste militari, provocando un ulteriore aumento delle loro spese militari che comporterà un ulteriore aumento della povertà soprattutto in Africa», scrive il “Manifesto”. Scopo ufficiale della “campagna navale” organizzata dal governo Letta, è presentare il “sistema paese” in movimento e «rafforzare la presenza dell’Italia nelle aree geografiche considerate strategiche per gli interessi nazionali», senza trascurare la consueta ipocrisia della «assistenza umanitaria alle popolazioni bisognose».Per il ministro Mauro, il bazar navigante – ribattezzato “crociera di morte” – non andrà a vendere armi di distruzione di massa al di fuori dalle convenzioni internazionali, ma resta una «missione di promozione» che incrocerà aree dove impazzano guerre e repressioni, come ad esempio Congo, Nigeria e Kenya, o terre «dove governi potenti finanziano guerre per procura», scrivono Manlio Dinucci e Tommaso Di Francesco, indicando paesi come l’Arabia Saudita impegnata in Siria, o il Barhein con la sua “primavera” cancellata dai militari. Regioni del mondo «dove le spese sociali vengono ridimensionate se non cancellate per sostenere la sicurezza interna e le frontiere, come in Angola e Mozambico». Oman, Dubai, Doha, Gibuti, Madagascar, Sudafrica, Ghana, Senegal, e poi su fino a Casablanca in Marocco, e poi Algeri. In navigazione fino al 7 aprile 2014. Costo: 20 milioni di euro, di cui 7 a carico dello Stato e 13 dei “partner dell’industria privata”. «Soldi ben spesi: potranno usare la portaerei, lunga 244 metri e larga 39, come una grande fiera espositiva itinerante», con stand per accogliere i clienti. Prezzo amico: 200.000 euro per ogni giorno di navigazione.La portaerei non venderà certo l’immagine turistica dell’Italia: gli “ambasciatori” del paese sono le industrie di Finmeccanica come Agusta-Westland (elicotteri da guerra), Oto Melara (cannoni), Selex Es (sistemi radar e di combattimento), Wass (siluri), Telespazio (satelliti), e poi Mbda, coi suoi missili Aspide, Aster, Teseo. Poi ci sono la Intermarine (vascelli militari) e Elt, che offre apparecchiature elettroniche per la guerra aerea, terrestre e navale, mentre Beretta mette in mostra le sue pistole, accanto agli stand di lusso che presentano gli aerei executive della Piaggio e della Blackshape. «Ogni cannone, ogni missile, ogni mitraglia venduta dai commessi viaggiatori della Cavour ai governi clienti – scrivono i giornalisti del “Manifesto” – significherà meno investimenti locali nel sociale e quindi altre migliaia di bisognosi, affamati e morti, soprattutto tra i bambini, per sottoalimentazione cronica e malattie che potrebbero essere curate». Ma niente paura, sulla nave «ci sono anche gli “operatori umanitari” pronti a soccorrere i disperati che abbiamo contribuito a creare con il traffico di armi, per dimostrare quanto l’Italia sia sensibile e pronta ad aiutare “le popolazioni bisognose”».Il nemico complotta contro l’Italia fino a farla crollare, ma la portaerei Cavour – ammiraglia della marina militare, costata 3,5 miliardi – non si dirige contro chi attenta alla vita e al futuro degli italiani, tramando per devastare l’economia, impoverire il paese e trascinarlo nella catastrofe sociale pianificata tra Bruxelles e Berlino, Wall Street e Francoforte. Al contrario, la grande nave trasformata in expò galleggiante del made in Italy bellico preferisce incrociare in acque lontane: «Si vanno a vendere altre armi ai paesi mediorientali e africani, dominati da oligarchie e caste militari, provocando un ulteriore aumento delle loro spese militari che comporterà un ulteriore aumento della povertà soprattutto in Africa», scrive il “Manifesto”. Scopo ufficiale della “campagna navale” organizzata dal governo Letta, è presentare il “sistema paese” in movimento e «rafforzare la presenza dell’Italia nelle aree geografiche considerate strategiche per gli interessi nazionali», senza trascurare la consueta ipocrisia della «assistenza umanitaria alle popolazioni bisognose».
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Barnard a Grillo: non sei all’altezza dei tuoi parlamentari
Ieri io e Warren Mosler, il capo economista della ME-MMT, cioè l’economia salva vite e salva nazione di cui l’Italia ha disperato bisogno per non schiantarsi definitivamente, per non condannare i nostri giovani a 60 anni di nuova povertà, siamo stati ascoltati dalla Commissione Finanze della Camera a Roma. L’incontro è stato positivo anche se fortemente penalizzato dalle difficoltà di traduzione che hanno in qualche modo stemperato i contenuti dirompenti della ME-MMT che Warren portava in aula. Inaspettato l’interesse del Pd… il cui maggior rappresentante in Commissione ha voluto contatti stretti con Mosler per capire meglio. Il Pd! E’ proprio vero che esistono fenomeni che la scienza non saprà mai spiegare. Ma ok. A margine del suddetto evento, io e Warren Mosler siamo incappati in un gruppo di deputati del M5S, i quali hanno improvvisato una sorta di happening con noi al termine dei lavori parlamentari di quel giorno.Una quindicina di legislatori, giovani, in parte esperti di bilancio e finanza, si sono intrattenuti con i cervelli incollati a Mosler e a me fino alle nove di sera e oltre. Tralascio i contenuti tecnici della discussione perché non sono, qui, il punto. Io li ho guardati, ne ho fatto le risonanze magnetiche, quindi ben più che radiografati, e poi ho ripassato il tutto dal mio filtro di inflessibile cinismo e realismo. Parliamo, dopotutto, dei figli di Casaleggio e di Beppe Grillo, cioè di deputati di un partito azienda zeppo di seguaci acritici fino al fanatismo e che perde pezzi da tutte le parti, a tratti persino grottesco. Ma questi uomini di ieri erano un’altra cosa. Erano competenti, agguerriti, e vorrei, Dio mi sia testimone di quanto lo vorrei, dire che erano e sono una speranza per il Paese. Tutti gli assembramenti umani sono fatti di percentuali più o meno valide, questo è normale, ma se il M5S fosse fatto anche solo al 40% da legislatori come quelli che ho conosciuto ieri, avremmo un partito capace di cambiare la storia dell’Italia e dell’Europa. E qui parlo a te, Beppe Grillo.Non so quanti tuoi figli politici siano al livello di quelli con cui ho dialogato poco fa. Non lo sai neppure tu. Ma essi sono il tuo capitale. Gli altri sono numeri, che per carità servono, perché la manovalanza serve sempre in tutto, non potremmo fare senza, non costruiremmo neppure una casa senza la manovalanza, ma alla fine la Storia ci insegna che è sempre un gruppo ristretto che la cambia. E tu l’hai. Bene. Ma loro non hanno te. Beppe, tu non sei all’altezza dei tuoi deputati che io e Warren Mosler abbiamo incontrato ieri. Io ti ricordo da molti anni addietro, quando ci incrociavamo da Milena Gabanelli, o con Vermigli e Gherardo Colombo. Allora tu eri come i tuoi migliori di cui sopra. Poi cosa ti è successo? Il tuo è stato un declino impressionante, e tutto d’un colpo. Cosa sia passato fra te e Gian Roberto Casaleggio è un mistero, che forse sarà conosciuto un giorno, ma qui non importa. Di fatto Casaleggio ti ha rimpicciolito, scoordinato, deprezzato, e proprio sequestrato. Tu oggi non ci sei più, e i tuoi migliori in Parlamento sono soli.Io, la Me-Mmt, Warren e altri ci offriamo di aiutarli, se lo meritano, si meritano, questi tuoi migliori, di ergersi a Roma con l’autorevolezza di chi ha gli strumenti per cambiare l’Italia per la prima volta dopo la sua morte civica di quasi 40 anni fa. Ma tu non ci sei, non hai idee alla loro altezza, e anzi, ora tu e Casaleggio gli state mettendo imbarazzanti sciocchezze politiche e deliranti progetti internettiani fra le gambe, fra le ruote. Ma che fai, Grillo? Ma dove sei con la testa? I tuoi migliori sono soli, mi stai ascoltando? Sono soli. E ora mi rivolgo a voi che leggete queste parole, voi lettori. Come sarebbe se fra qualche ora Grillo rispondesse a questo post sul suo blog? Se magari stanotte mentre si corica pensasse a come tornare Beppe Grillo e a come tornare a essere un pari fra i suoi migliori? A come ritornare al loro fianco con la statura politica che loro si meritano. A come congedarsi da Gian Roberto Casleggio con un “grazie per tutto, ma non credo che tu e le tue idee aziendali siate ciò che i miei ragazzi necessitano per diventare statisti.” Statisti. Perché i giovani deputati di ieri ne avrebbero la stoffa. Ma sono soli.(Paolo Barnard, “Il grande capitale abbandonato da Beppe Grillo”, dal blog di Barnard del 14 novembre 2013).Ieri io e Warren Mosler, il capo economista della Me-Mmt, cioè l’economia salva vite e salva nazione di cui l’Italia ha disperato bisogno per non schiantarsi definitivamente, per non condannare i nostri giovani a 60 anni di nuova povertà, siamo stati ascoltati dalla Commissione Finanze della Camera a Roma. L’incontro è stato positivo anche se fortemente penalizzato dalle difficoltà di traduzione che hanno in qualche modo stemperato i contenuti dirompenti della Me-Mmt che Warren portava in aula. Inaspettato l’interesse del Pd… il cui maggior rappresentante in Commissione ha voluto contatti stretti con Mosler per capire meglio. Il Pd! E’ proprio vero che esistono fenomeni che la scienza non saprà mai spiegare. Ma ok. A margine del suddetto evento, io e Warren Mosler siamo incappati in un gruppo di deputati del M5S, i quali hanno improvvisato una sorta di happening con noi al termine dei lavori parlamentari di quel giorno.
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Della Luna: morte lenta, la nostra fine decisa all’estero
«Italy is going the right way», dice l’umorista Obama al fido Enrico Letta. Solo che la “giusta via” ricorda la macellazione per dissanguamento: morte lenta. Così funziona la politica economica italiana, da qualche decennio al servizio di interessi stranieri: il trucco, sostiene Marco Della Luna, sta nello svuotare il paese di tutta la sua linfa, ma lentamente, in modo che non “muoia” e che non soffra troppo, perché potrebbe ribellarsi. All’avvio dell’euro, è bastato qualche anno di bassi tassi per la finanza pubblica, per gonfiare fabbisogno strutturale e debito. «Poi, di colpo, austerità e tassi alti (spread), per creare l’emergenza, imporre il presidenzialismo de facto e la “sospensione della democrazia” a tempo indeterminato». Ma già con la riforma monetaria del 1981-83 poi col Trattato di Maastricht, era stata scardinata la Costituzione: sovranità nazionale e primato del lavoro. «Fatto questo, tutto il resto è stato in discesa»: svuotare il paese di industrie pregiate, capitali e cervelli, in favore della finanza apolide e del suo feudatario-kapò europeo, la Germania.Si è tutto tragicamente avverato: lo dicono Pil, occupazione, flussi di capitale, investimenti, quote di mercato internazionale, qualità della scuola, prospettive per i giovani e per i pensionati. Una manovra che viene da lontano: blocco dei cambi, divieto di protezioni doganali, privatizzazione della gestione delle banche centrali, politiche di tagli e nuove tasse. «Queste mosse hanno prodotto e continuano a produrre esattamente i risultati opposti a quelli promessi e per cui erano stati imposti», scrive Della Luna nel suo blog. Ed è un declino “irreversibile”: «Il che dimostra che il vero fine per cui sono stati concepiti e imposti è molto diverso da quello dichiarato, probabilmente opposto, ossia di creare disperazione, paura, miseria, distruzione, la fine delle democrazie parlamentari, della responsabilità dei governanti verso i governati, della possibilità di un’opposizione e persino di un dissenso culturale, scientifico, giuridico».Lo stesso Fmi ha riconosciuto che, su 167 paesi colpiti da misure di “risanamento” e rigore, nessuno si è risanato né rilanciato, ma tutti sono peggiorati, soprattutto in quanto a Pil e debito pubblico. «I paesi che crescono sono quelli che non applicano questa ricetta e che mantengono il dominio della loro propria moneta: i Brics. La Russia ha superato l’Italia in fatto di Pil e ora l’Italia è nona, fuori dal G8». Già lo si era visto col primo aumento dell’Iva, quello di Monti, aumentata dal 20 al 21%: consumi scoraggiati, crollo della domanda, ulteriore recessione. Con Letta, obbligato a non sforare il tetto europeo del 3% per il deficit, l’Iva è al 22%. Risultato? Scontato: depressione. Che poi, per Della Luna, è esattamente l’obiettivo voluto, come già per Monti. Tutto a va a rotoli? Non è certo un caso: «I vent’anni di stagnazione, declino, delocalizzazioni ed emigrazioni, senza capacità di recupero, di questo paese, nonostante i diversi cambi di maggioranze parlamentari e di inquilini del Quirinale, sono un aspetto di questo processo di lungo termine. Vent’anni inaugurati dal Britannia Party e da Mani Pulite».A questo, continua Della Luna, sono serviti l’architettura dell’Ue, del mercato comune, dei parametri di convergenza, e soprattutto di quel sistema di blocco dei naturali aggiustamenti dei cambi monetari noto come “euro”. «A questo piano hanno lavorato molti governi e gli ultimi capi dello Stato: ne ho parlato ampiamente nei miei ultimi tre saggi, “Cimit€uro”, “Traditori al governo”, e “I signori della catastrofe”», pubblicati da Arianna-Macro Edizioni. E chi ha collaborato al piano di liquidazione dell’Italia «non ha mai avuto problemi giudiziari e, se ne aveva, gli sono stati risolti». Grande svendita del paese, a bordo del famoso panfilo inglese. Fine dell’Italia, altro che Ruby o diritti Mediaset. L’attuale governante Letta? Un continuatore: la sua finanziaria 2014 è pura «policy del dissanguamento lento e pacifico in favore dei paesi e dei capitali dominanti», e si basa sui due pilastri della politica italiana degli ultimi decenni: mantenere l’Italia sottomessa alla super-casta mondiale dell’élite finanziaria e, necessariamente, continuare a foraggiare la mini-casta nazionale incaricata di portare a termine la missione, agli ordini dell’euro-regime.«Una sorta di patto: tu, casta italiana, aiutaci a estrarre tutto quello che c’è di buono per noi in Italia, e ad annientare la capacità italiana di competere con noi sui mercati; in cambio, noi ti lasceremo continuare a mangiare come sei abituata sulle spalle della cosa pubblica, dei lavoratori, dei risparmiatori – ma non troppo voracemente, altrimenti il paese collassa o insorge, vanificando l’esecuzione del piano». Naturalmente l’operazione «deve apparire all’opinione pubblica come perfettamente legittima e democratica», meglio quindi se al governo ci sono larghe intese. Parliamoci chiaro: «Che cosa può mai fare, per rilanciare un paese, un governo che non può permettersi, nemmeno per fronteggiare una tragedia nazionale, di ridurre gli sprechi e le mangerie di una partitocrazia-burocrazia ladra e incapace quanto trasversale?». E’ una casta incompetente ma «selezionata, da decenni, solo per intercettare le risorse pubbliche». Non ci saranno svolte, ma solo promesse.Poi, continua Della Luna, l’Italia è invecchiata, tecnologicamente arretrata, sorpassata per le infrastrutture e in più sovra-indebitata, vessata da maxi-interessi. E infine devastata dalla disoccupazione. Il paese vacilla: «Non vi sono abbastanza giovani lavoratori per pagare le pensioni e le cure dei vecchi». Succede tutto questo perché l’Italia «è sottomessa a potenze straniere che la condizionano e la limitano». Lo profetizzò quarant’anni fa l’economista Nikolas Kaldor: bloccando i cambi e introducendo l’unione monetaria europea, sarebbe ulteriormente aumentato il vantaggio competitivo dei più forti, che avrebbero assorbito industrie, capitali e lavoratori dai paesi più fragili. Vent’anni fa ribadivano questa previsione economisti come Paul Krugman e Wynne Godley. Quindi, «tutti quelli che hanno architettato l’euro sapevano benissimo su che scogli era diretta la nave: il loro scopo era appunto quello di farla naufragare».Le previsioni continuano ad avverarsi in modo sempre più violento da almeno sette anni, ma non è stato introdotto alcun correttivo; al contrario, sono state inasprite le misure di squilibrio e sopraffazione. E chi ha osato anche solo accennare a un referendum sull’euro – Berlusconi, Papandreou – è stato «sostituito dalla Merkel», che ha imposto governi compiacenti (Monti, Letta) patrocinati dal Quirinale. Mentre in Gran Bretagna si fa largo l’Ukip di Nigel Farage e in Francia il Front National di Marine Le Pen, due formazioni fieramente all’opposizione di Bruxelles, «l’Italia si trova nella condizione di protettorato», quasi fosse tornata alla debolezza strutturale pre-unitaria, di entità politica «messa insieme artificialmente, per volontà straniera, mediante conquiste militari». Napolitano? «Si conferma un realista e un saggio disincantato». Inutile opporsi allo strapotere di forze soverchianti: «Poiché gli italiani sono in questa condizione, bisogna farli obbedire e agire anche contro il loro interesse, onde risparmiare loro un male peggiore». La consapevolezza? «Renderebbe la gente solo più infelice e inquieta» e anche «più esposta alle violenze repressive» se osasse ribellarsi. Come dice Obama, fiduciario del Washington Consensus e dei suoi super-banchieri, quella dell’Italia è proprio la “right way”.«Italy is going the right way», dice l’umorista Obama al fido Enrico Letta. Solo che la “giusta via” ricorda la macellazione per dissanguamento: morte lenta. Così funziona la politica economica italiana, da qualche decennio al servizio di interessi stranieri: il trucco, sostiene Marco Della Luna, sta nello svuotare il paese di tutta la sua linfa, ma lentamente, in modo che non “muoia” e che non soffra troppo, perché potrebbe ribellarsi. All’avvio dell’euro, è bastato qualche anno di bassi tassi per la finanza pubblica, per gonfiare fabbisogno strutturale e debito. «Poi, di colpo, austerità e tassi alti (spread), per creare l’emergenza, imporre il presidenzialismo de facto e la “sospensione della democrazia” a tempo indeterminato». Ma già con la riforma monetaria del 1981-83 poi col Trattato di Maastricht, era stata scardinata la Costituzione: sovranità nazionale e primato del lavoro. «Fatto questo, tutto il resto è stato in discesa»: svuotare il paese di industrie pregiate, capitali e cervelli, in favore della finanza apolide e del suo feudatario-kapò europeo, la Germania.
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Priebke, gli schiavi di Auschwitz e quelli di Bruxelles
«La lugubre pagliacciata allestita attorno al cadavere di Priebke ha sortito l’effetto di attribuire anche a un personaggio del genere l’alone di vittima e di martire». Isterismo che ha fornito il pretesto per «reintrodurre in grande stile, nella legislazione, la criminalizzazione delle opinioni». Vero obiettivo: colpire ben altre convizioni, «come quelle di chi non crede alla versione ufficiale sull’11 Settembre». L’aspetto paradossale della vicenda, rileva il blog “Comidad”, sta nel fatto che «l’eredità del nazismo storico è stata raccolta proprio dal sistema di dominio vigente oggi in Europa, cioè da quella Unione Europea insignita del Premio Nobel per la Pace». I nazisti di allora? Pionieri di un esperimento sociale senza anestesia: applicare anche all’Europa i metodi più disumani fino ad allora sperimentati dal colonialismo solo in Africa, in America e in Australia. Là dove i camerati di Priebke fallirono, oggi regnano i commissari europei. E, come quella di Hitler, la loro legge non è democratica né sindacabile, anche se produce un genocidio economico.Ammiratore incondizionato del colonialismo anglosassone, osserva “Comidad”, lo stesso Hitler teorizzò nel suo “Mein Kampf” l’impiego di pratiche coloniali come la deportazione, la concentrazione e lo sterminio delle popolazioni dell’Europa dell’Est. Sino ad allora si pensava che queste tecniche fossero praticabili nelle società tribali, non certo nell’Europa dei lumi. «A guardar bene, il copyright del colonialismo nazista era ancora una volta di origine anglosassone, poiché il primo a resuscitare e usare un mito etnico a fini di destabilizzazione interna agli Stati nazionali era stato nel 1917 il ministro degli esteri britannico Balfour, allorché aveva inviato al banchiere Rothschild una lettera in cui si concedeva ai sionisti la possibilità di stabilire in Palestina un loro “focolare” nazionale», in riconoscimento di quanto gli ebrei stavano facendo per aiutare Gran Bretagna e Francia a vincere la Prima Guerra Mondiale contro la Germania. «La lettera si basava su un falso, dato che in quel periodo la stragrande maggioranza degli ebrei europei combatteva e moriva tra le file tedesche ed austro-ungariche, ma il falso funzionò al punto che in Germania molti imputarono la sconfitta nella prima guerra mondiale agli ebrei».Ma nel “Mein Kampf”, aggiunge “Comidad”, l’Ebreo diventa qualcosa di più di una razza o etnia “perfida e ostile”, dato che va a rappresentare un paradigma emergenziale che può essere riapplicato a chiunque e in ogni situazione. «Il Trattato di Maastricht del 1992 – con la sua appendice del Trattato di Lisbona del 2007 – ha ereditato e continuato questo sperimentalismo nazista, poiché ancora una volta si è trattato di trapiantare in Europa un colonialismo brutale e sbrigativo, identico a quello che il Fondo Monetario Internazionale aveva praticato per decenni in Africa, e che sino ad allora si credeva applicabile soltanto a Stati e società fragili, privi di tradizione amministrativa». Così, caduto il Muro di Berlino, anche l’Europa occidentale si è dovuta piegare alle stesse forche caudine – privatizzazioni e liquidazione del welfare – come se anch’essa fosse stata sconfitta al termine della Guerra Fredda. «Come l’antisemitismo, anche l’anticomunismo non si indirizzava solo contro un nemico definito, ma si rivelava un paradigma generale ed onnicomprensivo, a cui nessuno poteva sfuggire e che imponeva a tutti un percorso di “redenzione”».La colonizzazione dell’Europa dell’Est è diventata per il Fmi uno strumento per colonizzare anche l’Europa dell’Ovest, e i modelli di riferimento erano già stati tracciati dalle multinazionali tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale. «Nel secondo dopoguerra», continua “Comidad”, «l’oligarchia industrial-finanziaria della Germania era riuscita a riciclarsi pressoché in blocco, scaricando per intero le responsabilità di quanto accaduto sul “tiranno” Hitler. Il ruolo fondamentale svolto dal lobbying delle multinazionali tedesche – e dei loro partner americani – per quanto conosciuto e documentato è rimasto invece in ombra. Come è noto, il campo di concentramento di Auschwitz “ospitò” il più grande stabilimento chimico d’Europa, appartenente alla multinazionale tedesca Ig Farben, un cartello di imprese di cui faceva parte anche la Bayer. La Ig Farben era a sua volta in partnership con la Standard Oil dei Rockefeller. Al finanziamento del campo di Auschwitz in Polonia partecipò, manco a dirlo, anche la onnipresente Deutsche Bank».La Ig Farben di Auschwitz «rappresentò un esempio avveniristico di “relocation” aziendale, in cui lavoravano deportati, ma anche “volontari” fatti arrivare da tutta Europa, compresa la Francia; perciò – conclude “Comidad” – lo schiavismo palese era integrato con altre forme di reclutamento del lavoro che già anticipavano aspetti del modello attuale». Che ancora oggi la Polonia costituisca una delle mete privilegiate delle rilocalizzazioni aziendali «costituisce una macabra ironia della storia». Una logica aziendale estremizzata ad Auschwitz, nella sua spaventosa chiarezza genocida: «Grazie alle deportazioni di massa, la “materia prima umana” veniva a costare meno del pasto che l’avrebbe dovuta mantenere». Da qui, «per mere ragioni di budget», la sottoalimentazione dei lavoratori e l’eliminazione sistematica degli inabili al lavoro. Se nell’economia il lavoro costituisce la variabile “flessibile” per eccellenza, «certe conseguenze criminali sono ovvie e inevitabili: al punto in cui sono arrivati attualmente i giochi, non è più necessario nemmeno un Hitler, basta un Marchionne qualsiasi».Erano invece le tanto vituperate “rigidità” a conferire qualche simmetria, e quindi anche quel po’ di equilibrio, ai rapporti aziendali. Il nazismo, «di solito fatto passare per un nazionalismo estremo», al contrario «anticipò i tempi anche nello spezzare le rigidità nazionali, configurando il modello che il Trattato di Maastricht avrebbe poi pienamente realizzato», rileva “Comidad”. «Tutto dev’essere “flessibile” in Europa, tranne i Trattati, perché la loro rigidità esprime gli interessi del lobbying multinazionale». Se il parallelismo può suscitare perplessità, data la distanza storica, «resta il fatto che l’avvento di strumentazioni come il denaro elettronico apre nuove possibilità di spezzare le antiche rigidità sociali, nazionali e territoriali. Ciò rende possibile anche il controllo e lo sfruttamento della pseudo-migrazione, cioè la forma moderna di deportazione di massa».«La lugubre pagliacciata allestita attorno al cadavere di Priebke ha sortito l’effetto di attribuire anche a un personaggio del genere l’alone di vittima e di martire». Isterismo che ha fornito il pretesto per «reintrodurre in grande stile, nella legislazione, la criminalizzazione delle opinioni». Vero obiettivo: colpire ben altre convizioni, «come quelle di chi non crede alla versione ufficiale sull’11 Settembre». L’aspetto paradossale della vicenda, rileva il blog “Comidad”, sta nel fatto che «l’eredità del nazismo storico è stata raccolta proprio dal sistema di dominio vigente oggi in Europa, cioè da quella Unione Europea insignita del Premio Nobel per la Pace». I nazisti di allora? Pionieri di un esperimento sociale senza anestesia: applicare anche all’Europa i metodi più disumani fino ad allora sperimentati dal colonialismo solo in Africa, in America e in Australia. Là dove i camerati di Priebke fallirono, oggi regnano i commissari europei. E, come quella di Hitler, la loro legge non è democratica né sindacabile, anche se produce un genocidio economico.
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Gli italiani, il cavaliere e la morte: vince la menzogna
Terroristi? Evidentemente, «se ne sentiva il bisogno». Così, giusto per “nobilitare” – per contrasto – un establishment ben poco virtuoso, con troppi peccati da farsi perdonare. Gli italiani, il Cavaliere e la morte: non l’uomo di Arcore, ovviamente, ma la figura equestre ritratta da Albrecht Dürer, cui si ispira Leonardo Sciascia per un romanzo della fine degli anni ’80 che sembra scritto ieri, anzi oggi. Il protagonista, un dolente poliziotto – schivo e taciturno, condannato (come lo scrittore stesso) da un tumore di quelli che non lasciano scampo – intuisce fin dalle prime battute che la strana rivendicazione seguita all’omicidio di un potente, l’avvocato Sandoz, non proviene affatto da chissà quale organizzazione eversiva. Strana sigla, i “figli dell’ottantanove”. Domanda: «Sono stati creati per uccidere Sandoz o Sandoz è stato ucciso per creare i figli dell’ottantanove?».Le pagine de “Il cavaliere e la morte” sembrano parlare direttamente ai giorni nostri, così affollati di pacchi-bomba e buste con proiettili recapitate a uomini di potere. Nel romanzo, la cellula terroristica «non esiste, ma la si vuole far esistere», sicuri che una nuova bandiera rivoluzionaria potrà «sedurre le menti deboli, gli annoiati, i vocati alle cause perse e al sacrificio», nonché ovviamente «i violenti che vogliono dar nobiltà ai loro istinti». Inevitabilmente, l’indagine incrocia il buco nero dei servizi segreti: è da un antico contatto personale che l’investigatore deduce le tessere mancanti per risalire al vero movente dell’omicidio e quindi comprendere meglio il metodo adottato, quello del depistaggio finto-terroristico. Due piccioni con una fava: l’eliminazione di un fastidioso competitore e la “creazione” di una comoda sigla eversiva, utilissima per firmare altri omicidi, diffondere paura, giustificare la repressione e criminalizzare l’opposizione.E’ lo schema, ferreo e implacabile, della famigerata strategia della tensione: «Occorre che ci sia il diavolo perché l’acqua santa sia santa». Sciascia disegna la sua storia verso un finale comunque inatteso e spiazzante, con una lingua personalissima e una capacità introspettiva nella quale raramente il noir contemporaneo osa addentrarsi. Il suo poliziotto è un uomo colto, che pensa – con Ungaretti – che “la morte si sconta vivendo”, e si aggira in un paesaggio in cui le citazioni letterarie (da Tolstoj a Pirandello, da Proust a Gadda) abitano con rassegnazione una latitudine dimessa, in cui persino il diavolo è «talmente stanco», ormai, «da lasciar tutto agli uomini», che sanno «fare meglio di lui», rubandogli il mestiere. A vincere è l’arte sopraffina della menzogna, che sforna capri espiatori con la complicità di figure grottesche eppure tragicamente autentiche: come il “grande giornalista” ben deciso a scrivere, come sempre, il contrario della verità.(Il libro: Leonardo Sciascia, “Il cavaliere e la morte”, Adelphi, 91 pagine, 8 euro).Terroristi? Evidentemente, «se ne sentiva il bisogno». Così, giusto per “nobilitare” – per contrasto – un establishment ben poco virtuoso, con troppi peccati da farsi perdonare. Gli italiani, il Cavaliere e la morte: non l’uomo di Arcore, ovviamente, ma la figura equestre ritratta da Albrecht Dürer, cui si ispira Leonardo Sciascia per un romanzo della fine degli anni ’80 che sembra scritto ieri, anzi oggi. Il protagonista, un dolente poliziotto – schivo e taciturno, condannato (come lo scrittore stesso) da un tumore di quelli che non lasciano scampo – intuisce fin dalle prime battute che la strana rivendicazione seguita all’omicidio di un potente, l’avvocato Sandoz, non proviene affatto da chissà quale organizzazione eversiva. Strana sigla, i “figli dell’ottantanove”. Domanda: «Sono stati creati per uccidere Sandoz o Sandoz è stato ucciso per creare i figli dell’ottantanove?».
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Orsi: Napolitano è il garante della scomparsa dell’Italia
Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un paese che, in soli vent’anni, è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale a una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico-istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, coi ricavi dalla tassazione diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil superiore al 3% e un debito pubblico sopra il 130%, destinato a peggiorare ulteriormente. Ancora dieci anni, e del nostro paese non resterà più nulla. Lo afferma il professor Roberto Orsi della London School of Economics and Political Science. Il declino: una classe politica miope, pronta a imporre tasse in nome della stabilità. Ieri Monti, oggi Letta. Un disastro: «Terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente. E il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d’Europa».Il governo, scrive Orsi in un’analisi pubblicata da “Affari Italiani”, sa perfettamente che la situazione è insostenibile. Ma per ora è in grado soltanto di ricorrere ad un aumento estremamente miope dell’Iva (22%), che deprime ulteriormente i consumi. «Vacui» i proclami circa la necessità di spostare il carico fiscale dal lavoro e dalle imprese alle rendite finanziarie: tutti sanno che non accadrà. Politici e stampa mainstream annunciano una ripresa imminente? Perfettamente possibile, un trimestre positivo, per un’economia che ha perso l’8% del suo Pil. Ma chiamare “ripresa” un eventuale +0,3% «è una distorsione semantica, considerando il disastro economico degli ultimi cinque anni: più corretto sarebbe parlare di una transizione da una grave recessione a una sorta di stagnazione». Numeri impietosi: il 15% del settore manifatturiero, che in Italia (prima della crisi) era il più grande in Europa dopo quello tedesco, è stato distrutto. E circa 32.000 aziende sono scomparse. «Questo dato, da solo, dimostra l’immensa quantità di danni irreparabili che il paese subisce».Nell’Europa di Maastricht, quella della camicia di forza rappresentata dalla moneta unica, l’Italia è entrata nel peggior modo possibile, con una cultura politica «enormemente degradata». Negli ultimi decenni, osserva Orsi, l’élite italiana «ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione: l’Italia non avrebbe potuto affrontare l’ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori». La leadership del paese, continua il professor Orsi, non ha mai riconosciuto che l’apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell’Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader nei loro settori. Poi la tagliola dell’Eurozona: l’Italia «ha firmato i trattati sull’euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità». Non solo: «Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell’Ue sapendo perfettamente che l’Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini». Oggi, l’Italia è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono certa «la scomparsa completa della nazione».Da noi, il livello di tassazione sulle imprese è il più alto dell’Ue, e uno dei più elevati al mondo. Questo, insieme alla catastrofe dello Stato, sta spingendo gli imprenditori all’estero – non solo verso destinazioni che offrono lavoratori a basso costo (Oriente, Asia meridionale), ma anche verso la vicina Svizzera e la stessa Austria dove, nonostante i costi relativamente elevati di lavoro, le aziende trovano uno Stato «pronto a collaborare con loro, anziché a sabotarli». Aggiunge Orsi: «La scomparsa dell’Italia in quanto nazione industriale si riflette anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli, con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, così come in Nord America e Asia orientale». Chi è istruito e produce valore pensa solo a emigrare. Così, «l’Italia è diventato un luogo di saccheggio demografico per gli altri paesi più organizzati, che hanno l’opportunità di attrarre facilmente lavoratori altamente addestrati a spese dello Stato italiano, offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non potranno mai avere in Italia».Inoltre, siamo entrati «in un periodo di anomalia costituzionale», dopo che i partiti nel 2011 hanno «portato il paese ad un quasi-collasso», evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Chi comanda, oggi? «Il paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall’ufficio del presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d’Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell’Ue e dei mercati finanziari a qualsiasi costo. Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del presidente della Repubblica, che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell’ordine repubblicano. L’interventismo del presidente – aggiunge Orsi – è particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e del governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale».Per il professore della London School of Economics, «l’illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il presidente, la Banca d’Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese». Errore: «Saranno amaramente delusi», perché «l’attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l’intenzione, di salvare il paese dalla rovina». Sarebbe facile, aggiunge Orsi, sostenere che Monti ha aggravato la già pesante recessione. Ma Letta sta seguendo esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. «I tecnocrati – spiega l’economista – condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il paese». Letta, Napolitano e le loro coorti di tecnici «sono in realtà i garanti della scomparsa dell’Italia».A sconcertare, è la rapidità del declino: di questo passo, «in meno di una generazione non rimarrà nulla dell’Italia nazione industriale moderna». Entro un decennio, «intere regioni, come la Sardegna o la Liguria, saranno così demograficamente compromesse che non potranno mai più recuperare». Riflette Orsi: «I fondatori dello Stato italiano 152 anni fa avevano combattuto, addirittura fino alla morte, per portare l’Italia a quella posizione centrale di potenza culturale ed economica all’interno del mondo occidentale, che il paese aveva occupato solo nel tardo medioevo e nel Rinascimento. Quel progetto ora è fallito, insieme con l’idea di avere una qualche ambizione politica significativa e il messianico (inutile) intento universalista di salvare il mondo, anche a spese della propria comunità». Per il professor Orsi, «a meno di un miracolo, possono volerci secoli per ricostruire l’Italia».Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un paese che, in soli vent’anni, è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale a una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di completo caos politico-istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato sta crescendo, coi ricavi dalla tassazione diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil superiore al 3% e un debito pubblico sopra il 130%, destinato a peggiorare ulteriormente. Ancora dieci anni, e del nostro paese non resterà più nulla. Lo afferma il professor Roberto Orsi della London School of Economics and Political Science. Il declino: una classe politica miope, pronta a imporre tasse in nome della stabilità. Ieri Monti, oggi Letta. Un disastro: «Terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente. E il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d’Europa».
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Cari africani, vi ingannano: l’Europa non è il paradiso
Cari africani, vi stanno ingannando: l’Europa Felix esiste solo sui giornali, alla radio, in televisione e al cinema. Ecco perché l’emigrazione di massa continua ad aumentare. Fuggono dalla povertà, certo, ma non basta: se così fosse – sostiene Marcello Foa – i racconti di chi da noi non ce l’ha fatta, e vive spesso in condizioni peggiori e più disumane che nel proprio paese, dovrebbero bastare per scoraggiare i propri connazionali a intraprendere l’avventura. E le notizie sconvolgenti di stragi come quelle di Lampedusa dovrebbero rappresentare il più formidabile deterrente. La verità è che in Africa queste notizie sovente non arrivano. «Anzi, i media continuano a diffondere il mito di un’Europa idilliaca, paradiso terrestre dove tutto è facile, dove la gente è bella, agiata, sorridente». Fino a quando questo mito non sarà smontato, la battaglia contro l’immigrazione “clandestina” non sarà mai vinta.Nella maggior parte del continente nero, scrive Foa nel suo blog sul “Giornale”, le scuole esaltano l’Europa come culla della democrazia, dei diritti umani e del progresso. «E i ragazzi, persino i bambini alle elementari, subliminalmente, iniziano a desiderarla». Quando diventano adulti, la simpatia si trasforma in bramosia: «L’Europa è uno spot, dove tutto brilla». La distorsione della realtà è accentuata dai racconti di chi lavora nel Vecchio Continente e, per orgoglio, mente sulle proprie condizioni: «Non potendo ammettere il fallimento di fronte alla famiglia, s’inventa una vita di successi. E basta poco per proiettare un’immagine di benessere: un vestito elegante, qualche regalino, la foto al volante di un’auto di marca. Così il mito cresce e si propaga di villaggio in villaggio».Secondo Foa, quando gli africani decidono di emigrare, «non conoscono neppure le nostre consuetudini sociali» e sono «talmente sprovveduti da non conoscere neppure le condizioni climatiche». Ciò che manca, insiste il giornalista, è una comunicazione adeguata. «Dobbiamo essere noi occidentali a smontare il mito dell’immigrazione, non ai nostri occhi ma a quelli degli africani. Nel loro interesse prima ancora del nostro. Perché l’illusione è fonte di tragedia, fonte di crudeltà. E fino a quando non verrà smascherata, il dramma continuerà a perpetuarsi, con la morte in mare o una vita d’inferno, immorale e inaccettabile, nella “scintillante” Europa».Cari africani, vi stanno ingannando: l’Europa Felix esiste solo sui giornali, alla radio, in televisione e al cinema. Ecco perché l’emigrazione di massa continua ad aumentare. Fuggono dalla povertà, certo, ma non basta: se così fosse – sostiene Marcello Foa – i racconti di chi da noi non ce l’ha fatta, e vive spesso in condizioni peggiori e più disumane che nel proprio paese, dovrebbero bastare per scoraggiare i propri connazionali a intraprendere l’avventura. E le notizie sconvolgenti di stragi come quelle di Lampedusa dovrebbero rappresentare il più formidabile deterrente. La verità è che in Africa queste notizie sovente non arrivano. «Anzi, i media continuano a diffondere il mito di un’Europa idilliaca, paradiso terrestre dove tutto è facile, dove la gente è bella, agiata, sorridente». Fino a quando questo mito non sarà smontato, la battaglia contro l’immigrazione “clandestina” non sarà mai vinta.
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La fine di Lizzani: vivere è un diritto, non un dovere
«Poter morire con dignità è una conquista ancora da fare. Ci vuole una legge». L’oncologo Umberto Veronesi commenta così il tragico suicidio dell’ultranovantenne regista Carlo Lizzani, gettatosi dalla finestra come Mario Monicelli. Ex ministro della sanità e autore di testi sul diritto all’eutanasia, Veronesi chiede che si torni a parlare di “fine vita” perché morti come quella di Lizzani sono anche «una forte forma di denuncia e di protesta». Lo ha sostenuto anche il figlio: se in Italia fosse stato possibile, il padre avrebbe chiesto l’eutanasia. Purtroppo, invece – in Italia come anche in molte parti d’Europa – il diritto di spegnersi con dignità non è ancora riconosciuto, dice Veronesi. «Non è possibile immaginare Mario Monicelli che si alza dal letto di un ospedale, che apre la finestra e si butta giù, o i tanti che lo fanno senza avere titoli di giornale. Ci sono mille modi di interrompere la propria vita più serenamente. E’ necessario avviare un dibattito serio».Un terzo dei suicidi, annota Flavia Amabile della “Stampa”, è a carico di chi ha più di 65 anni: metà degli anziani soffre di depressione. «E’ un problema vero», conferma Veronesi, che più che di “depressione” preferisce parlare di “demotivazione alla vita”: «Sono persone che pensano: sono anziano, non sto bene, sono di peso alla società e alla famiglia, perché devo vivere?». Sul tema, è stata presentata una richiesta di legge di iniziativa popolare, supportata dalle necessarie firme. «Se si dovesse avviare l’iter di legge si parlerà finalmente di questo complesso tema», osserva il professor Veronesi, anche se poi la legge non dovesse essere approvata. «Non dimentichiamo quello che accadde negli anni Settanta con l’interruzione di gravidanza». Sia in quel caso che ora, si tratta di un problema molto sentito dagli italiani: in tanti hanno un parente anziano che “non ce la fa più” e minaccia di farla finita. «Abbiamo tremila suicidi in Italia, tutti purtroppo tragici. La maggior parte si impiccano o si buttano giù dalla finestra. Sono un po’ di meno quelli che si asfissiano con il gas perché è un’operazione lunga, complessa. Ancora di meno quelli che usano i barbiturici perché spesso non funzionano. Rari quelli che si ammazzano con un colpo di pistola perché le armi non si trovano facilmente».È un insieme di vicende tragiche su cui dovremmo ricominciare a riflettere, aggiunge Veronesi. «Se si è stanchi di vivere si ha anche il diritto di andarsene, la vita è un diritto ma non un dovere. Nessuno può toglierti la vita, ma decidere di troncarla da soli è un diritto». I cattolici, osserva la giornalista della “Stampa”, sostengono che la vita sia un dono e di conseguenza non si è liberi di interromperla, né prima della nascita né dopo. Verissimo, risponde lo scienziato, «ma esiste anche l’autodeterminazione». Ed in Italia, oltre ai cattolici, «esistono dieci milioni di atei e agnostici», senza contare «milioni di persone che professano religioni diverse». Quindi: «Chi è fedele agli insegnamenti della Chiesa li segua, ma non può pretendere di invadere la legge civile. Chi non è credente ha il diritto di non ascoltare i dettami della religione».Certo, bisognerebbe provare a vivere sempre e comunque, ma «la decisione spetta solo a noi», e perciò «non è giusto mettere la nostra vita nelle mani di medici che ci torturano con macchine capaci di far vivere un corpo senza coscienza, senza ricordi, senza pensieri». La sopravvivenza artificiale garantita dal cosiddetto “accanimento terapeutico” «è una forzatura», quando invece «bisognerebbe assecondare la natura». Per Veronesi, “eutanasia” è un pessimo termine: «Preferisco parlare di desistenza dalle cure, di aiutare a morire». E qualsiasi sia il termine, che cosa direbbe agli italiani che non hanno più voglia di vivere? «Di procurarsi una corda o di aprire una finestra: non c’è altra soluzione legittima o accettabile. È assurdo, perché uccidersi non è reato. Anche il tentato suicidio non è punibile. Allora, perché è reato aiutare qualcuno se questa persona ha scritto chiaramente qual è la sua volontà?».«Poter morire con dignità è una conquista ancora da fare. Ci vuole una legge». L’oncologo Umberto Veronesi commenta così il tragico suicidio dell’ultranovantenne regista Carlo Lizzani, gettatosi dalla finestra come Mario Monicelli. Ex ministro della sanità e autore di testi sul diritto all’eutanasia, Veronesi chiede che si torni a parlare di “fine vita” perché morti come quella di Lizzani sono anche «una forte forma di denuncia e di protesta». Lo ha sostenuto anche il figlio: se in Italia fosse stato possibile, il padre avrebbe chiesto l’eutanasia. Purtroppo, invece – in Italia come anche in molte parti d’Europa – il diritto di spegnersi con dignità non è ancora riconosciuto, dice Veronesi. «Non è possibile immaginare Mario Monicelli che si alza dal letto di un ospedale, che apre la finestra e si butta giù, o i tanti che lo fanno senza avere titoli di giornale. Ci sono mille modi di interrompere la propria vita più serenamente. E’ necessario avviare un dibattito serio».
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Migranti: diritti e traghetti sicuri, o non siamo più umani
Traghetti. La prima cosa che ci vuole sono traghetti sicuri verso porti accoglienti. Quand’anche i politici non possano dirlo apertamente, è questa la prima ovvia necessità se si vuole evitare che il Canale di Sicilia si trasformi in una nuova Fossa delle Marianne. Quel tratto di mare non è di per sé insidioso per la navigazione; diventa tale quando lo solcano barche malconce e stipate all’inverosimile. Peggio dei vagoni merci diretti a Auschwitz esattamente settant’anni fa, se proprio vogliamo fare il calcolo del numero di persone ammucchiate in una superficie più o meno analoga. La differenza è che ad Auschwitz ci si andava deportati a morire, contro la propria volontà. Mentre sulle carrette del mare le persone si imbarcano volontariamente, pagando cifre con cui sugli aerei si viaggia in business class, nella speranza di vivere.