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Macron insulta l’Italia. E’ una minaccia: rischio terrorismo
Italiani «vomitevoli». Getta la maschera, Emmanuel Macron: il finto amico del Balpaese ora accusa il ministro Salvini (e il governo Conte) di inferiorità etnico-politica. Che gli italiani fossero i nuovi “untermenschen”, per l’Eliseo, lo si era intuito il 30 marzo, quando i gendarmi francesi braccarono illegalmente a Bardonecchia, in territorio italiano, proprio un migrante africano, sorpreso su un treno e trattato come un animale. Gentiloni pigolò debolmente la sua non-protesta, dopo aver promesso di inviare soldati italiani in Niger a fare la guardia ai giacimenti di uranio per conto dei francesi, chiedendo in cambio a Parigi un aiuto per rimettere ordine nel paese che proprio la Francia ha terremotato, a danno dell’Italia: la Libia del post-Gheddafi. Ora, dopo l’esordio del governo “gialloverde” schieratosi con Trump al G7 canadese, siamo già agli insulti. Casus belli: il divieto di sbarco imposto alla nave Aquarius, carica di profughi. La situazione è pericolosa, avverte Mitt Dolcino su “Scenari Economici”: l’inaudita violenza verbale di Macron suona come una minaccia di stampo mafioso. E lascia presagire il rischio di attentati terroristici contro l’Italia proprio per colpire Salvini, vicino a Marine Le Pen e alla Russia di Putin, paese rispetto al quale il governo Conte vorrebbe revocare le sanzioni economiche varate dall’Ue.In altre parole: è il panico, non appena l’Italia esce dal letargo nel quale era sprofondata, rinunciando alla politica estera. «La sfrontatezza di Macron è un segnale pericoloso», rileva Maurizio Blondet. A inquietare Parigi sul caso Aquarius, anche la mossa della “ribelle” Corsica: l’isola, da sempre indipendentista, ha sfidato Parigi candidandosi ad affiancare l’Italia nell’accoglienza in mare, attraverso i propri porti. Da qui, probabilmente, anche l’inaudita reazione di Macron, apparentemente scomposta. In realtà, secondo Dolcino, si sta palesando un disegno eversivo: «L’Italia oggi diventa ad altissimo rischio attentati, probabilmente per colpire Salvini e il governo». Il motivo? Sintetizzato in una foto: la bandiera italiana data alle fiamme insieme a quella americana, in una dimostrazione a margine del G7. «Salvini deve fare estrema attenzione», scrive Dolcino su “Scenari Economici”: il nuovo governo «verrà presto messo in discussione, probabilmente anche mettendo sotto attacco l’Italia con accuse al ministero degli interni». In che modo? «Con il terrorismo (esterno), leggasi attentati in Italia».Dolcino propone una lettura geopolitica: ai francesi risulta indigesto l’allineamento strategico dell’Italia con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna anche in tema economico, sulla «cancellazione dei dazi per tutti». Una proposta trumpiana che Dolcino definisce «geniale e pacificatoria», ma chiaramente contraria agli interessi di Cina, Francia e Germania, «che invece prosperano ad esempio coi loro prodotti sui mercati Usa anche grazie a tariffe e dazi contro le importazioni Usa 4 o 10 volte superiori a quelli statunitensi per gli omologhi prodotti, come le automobili». Dunque, «con un tempismo incredibile», ecco che «vediamo bruciare la bandiera americana, italiana e inglese in piazza da parte dei dimostranti, addirittura durante lo svolgimento dello stesso G7». Dolcino insiste: «Salvini deve fare molta attenzione, perché quella bandiera italiana in fiamme rappresenta molto più di quanto può apparire: l’Italia diventa ufficialmente un problema di grado superiore, da risolvere da parte di coloro che volevano un fronte comune anti-Usa, fronte che può essere sommariamente condensato nei poteri che mirano a sostituirsi agli Usa al comando del Vecchio Continente».Terrorismo, dunque? Segnalando le recenti intercettazioni di armi alle frontiere terrestri del Belpaese, Dolcino ritiene che, da oggi, l’Italia sia a massimo rischio attentati sul proprio suolo. «Immagino che le forze dell’ordine sappiano bene di cosa sto parlando», aggiunge. «Faccio presente che, a prescindere dall’etichetta che potrebbe essere data a tali ipotetici – e speriamo mai attuati – attacchi (Isis, anarchici, immigrati) nel caso dovessero essere perpetrati molto probabilmente non bisognerebbe guardare molto lontano, ad est o in Medio Oriente, ma vicino, a nord e a nord-ovest». Impossibile dimenticare chi è Emmanuel Macron, incredibilmente presentato dai media come outsider della politica transalpina. Già dirigente della Banca Rothschild, Macron ha collaborato con i vari governi della presidenza Hollande, arrivando a fare il ministro dell’economia nella peggior stagione democratica della Francia, con il paese scosso dal terrorismo targato Isis. Stragi e attentati “false flag”, secondo la logica criminale della strategia della tensione: le indagini sul massacro di Charlie Hebdo, ad esempio, sono state bloccate dal segreto di Stato (segreto militare) dopo che la magistratura aveva scoperto un imbarazzante legame tra le armi del commando terrorista e un dirigente dei servizi segreti francesi, che le aveva acquistate in Belgio.Definendo “vomitevole” la nuova politica italiana – promossa a furor di popolo il 4 marzo dal 55% degli elettori – Macron svela il suo vero volto di pericoloso oligarca: è il pupillo di Jacques Attali, il supermassone reazionario che irrise la «plebaglia europa», testualmente, per essersi illusa sull’euro, credendo davvero che la moneta unica fosse stata creata per la «felicità» del popolo. Proprio Attali è uno dei maggiori architetti dell’Europa del rigore, ben incarnata dall’allievo Macron: l’attuale presidente francese, altissimo esponente dell’élite finanziaria che ha fatto praticamente sparire la democrazia in Europa insieme ai diritti del lavoro, ha infatti annunciato tagli colossali nel welfare transalpino e la riduzione drastica del pubblico impiego. Più ancora della Merkel, il supermassone neo-aristocratico Macron è il vero campione dell’eurocrazia banditesca contro la quale gli italiani hanno appena votato. Peggio: è il capo politico di un paese devastato da attentati attribuiti alla manovalanza islamista, ma tutti sinistramente contrassegnati da eloquenti simbologie massoniche, dall’epopea dei Templari sanguinosamente riproposta – in codice – nella mattanza del Bataclan, fino alla strage di Nizza del 2016 attuata il 14 luglio, data “sacra” per la massoneria progressista che – anche dalla nuova trincea italiana – sarebbe impegnata a contrastare la cupola del potere “nero” che si è impadronito dell’Europa, schiacciando i popoli nella morsa dell’austerity.Italiani «vomitevoli». Getta la maschera, Emmanuel Macron: il finto amico del Balpaese ora accusa il ministro Salvini (e il governo Conte) di inferiorità etnico-politica. Che gli italiani fossero i nuovi “untermenschen”, per l’Eliseo, lo si era intuito il 30 marzo, quando i gendarmi francesi braccarono illegalmente a Bardonecchia, in territorio italiano, proprio un migrante africano, sorpreso su un treno e trattato come un animale. Gentiloni pigolò debolmente la sua non-protesta, dopo aver promesso di inviare soldati italiani in Niger a fare la guardia ai giacimenti di uranio per conto dei francesi, chiedendo in cambio a Parigi un aiuto per rimettere ordine nel paese che proprio la Francia ha terremotato, a danno dell’Italia: la Libia del post-Gheddafi. Ora, dopo l’esordio del governo “gialloverde” schieratosi con Trump al G7 canadese, siamo già agli insulti. Casus belli: il divieto di sbarco imposto alla nave Aquarius, carica di profughi. La situazione è pericolosa, avverte Mitt Dolcino su “Scenari Economici”: l’inaudita violenza verbale di Macron suona come una minaccia di stampo mafioso. E lascia presagire il rischio di attentati terroristici contro l’Italia proprio per colpire Salvini, vicino a Marine Le Pen e alla Russia di Putin, paese rispetto al quale il governo Conte vorrebbe revocare le sanzioni economiche varate dall’Ue.
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Morto che parla: le bugie di Prodi e la Repubblica senza idee
Romano Prodi, ancora lui. «Due volte presidente del Consiglio», lo presenta Simona Casalini su “Repubblica”, evitando di evidenziare le funzioni rivelatrici che ne illumiano il curriculum: privatizzatore dell’Iri, presidente della Commissione Europea e advisor europeo della Goldman Sachs, la cupola di “bankster” che ha infiltrato le economie nazionali per saccheggiarle crocifiggendole al debito, come la Grecia a cui lavorò Mario Draghi. Ma, per “Repubblica”, nel giugno 2018 – con Di Maio e Salvini e al governo – Romano Prodi è ancora il “due volte presidente del Consiglio”, l’autorevole “professore” interpellato sull’Italia come fosse un economista di Sydney, un osservatore neutrale e nobilmente estraneo al disastro italiano. Al forum “La Repubblica delle Idee”, Prodi risponde alle affabili domandine del direttore del quotidiano di De Benedetti, Mario Calabresi, affiancato dal collega de “L’Espresso”, Marco Damilano. «La gente non ha più fiducia nelle democrazie», proclama soavemente Prodi, fingendo di non sapere che in quest’Europa è stata proprio la democrazia a trionfare in Gran Bretagna addirittura con un referendum, mentre ora in Italia – sempre a suon di voti – ha mandato a casa l’ex inaffondabile euro-Pd. Se c’è una notizia è proprio la riscoperta della democrazia come possibilità. E i direttori del gruppo Espresso lasciano che il super-tecnocrate italiano dica il contrario esatto della verità.Il crollo generale di fiducia – non “nelle democrazie”, com’è evidente, ma negli euro-governi non democratici – secondo Prodi nasce da «un problema di diritti», palesemente conculcati. E ammette: «Bisogna cambiare registro. La disparità è aumentata in quasi tutti i paesi del mondo proprio perché i governi democratici hanno adottato modelli fiscali e di welfare che hanno aumentato la disparità». Dov’era, il “professore”, mentre tutto ciò accadeva? Su Marte, potrebbe pensare il lettore, se non sapesse che Prodi era prima all’Iri, impegnato a tagliare le gambe all’Italia, per poi “finire il lavoro” tra Bruxelles e Palazzo Chigi, lautamente ricompensato da Wall Street. “Chi sei e da dove vieni” dovrebbero essere l’abc del giornalismo? Nei film, forse. Nella realtà, Mario Calabresi “incalza” Prodi chiedendogli di esercitare il suo apollineo intelletto misurandosi su giudizi temerari, come quello concernente la vera natura del neonato governo gialloverde. Per la precisione: l’orientamento del neo-premier. «Conte? E’ di destra», sentenzia il “professore”, per quarant’anni al servizio della destra economica neoliberista. Ormai l’Italia è spacciata, ripeteva, da Palazzo Chigi: l’economia del mondo è in mano a grandi “cluster” industriali, di fronte ai quali il made in Italy – piccola e media impresa – può solo estinguersi.Ambasciatore prescelto dall’Impero globalista per piegare le ultime resistenze della sinistra sociale, l’ipocrita Prodi – travestito da cattolico “di sinistra” – tiene ancora banco, tra gli addetti alla non-informazione quotidiana. «Quando si governa ci sono decisioni che sono di sinistra e altre di destra», pontifica il grande rottamatore dell’Italia, sfoggiando il suo cinico pragmatismo (così apprezzato, da Bruxelles a Washington). «Serve un progetto politico», brontola, pensando all’ex finta sinistra da lui un tempo guidata. Auspica «un ampio, largo dibattito collettivo nel paese». Velenose falsità, come sempre, anche sull’euro-mostro chiamato Unione Europea: «Se qualcuno si vuole male esce dall’Europa». L’euro? «L’introduzione della moneta unica doveva essere accompagnata da molte altre decisioni e invece siamo rimasti a metà». Che peccato. Ma vorrebbe suscitare tenerezza l’amarcord da coccodrillo in lacrime che riserva all’ingenua platea della “Repubblica delle Idee”: «Kohl mi disse che i tedeschi erano contro la sua introduzione ma lui lo volle a tutti i costi perchè era anche un forte simbolo di pace, raccontandomi che suo fratello era morto in guerra».Kohl, sì: il cancelliere che telefonava a Roma, dando ordini – da Berlino – al governo italiano. Per la precisione, pretendeva l’allontanamento dell’economista keynesiano e progressista Nino Galloni, il funzionario strategico che lavorava (con Andreotti) per parare i colpi mortali di Maastricht. E sua eccellenza Prodi, il “professore”? Era impegnato a smontare l’Iri, per poi prepararsi a spiegare – all’Italia ormai declassata – che avrebbe dovuto subire 25 anni di disgrazie, presentate come “sacrifici” purtroppo inevitabili, nel mondo-cluster visto come l’unico possibile dal globalizzatore fatalista e reazionario Romano Prodi, massimo architetto della “democratura” italiana sottomessa a poteri privati e famelici. Il ruolo di quei poteri, i soli e veri decisori, non è neppure lontanamente evocabile – né ora né mai – nelle sacrestie provinciali del nuovo feudalesimo imperiale e nei servili retrobottega della macchina che fabbrica notizie false e pensieri deprimenti. Il paese è in rivolta a causa del declino nel quale è stato precitato? Ovvio, per “Repubblica” ed “Espresso”, chiedere lumi proprio all’uomo che, più di ogni altro, quel declino ha organizzato, prima come privatizzatore e poi come liquidatore fallimentare del paese. Bel tipo, il “professore”: pagato dai banchieri, s’intende, ma pur sempre “di sinistra”.Romano Prodi, ancora lui. «Due volte presidente del Consiglio», lo presenta Simona Casalini su “Repubblica”, evitando di evidenziare le funzioni rivelatrici che ne illumiano il curriculum: privatizzatore dell’Iri, presidente della Commissione Europea e advisor europeo della Goldman Sachs, la cupola di “bankster” che ha infiltrato le economie nazionali per saccheggiarle crocifiggendole al debito, come la Grecia a cui lavorò Mario Draghi. Ma, per “Repubblica”, nel giugno 2018 – con Di Maio e Salvini e al governo – Romano Prodi è ancora il “due volte presidente del Consiglio”, l’autorevole “professore” interpellato sull’Italia come fosse un economista di Sydney, un osservatore neutrale e nobilmente estraneo al disastro italiano. Al forum “La Repubblica delle Idee”, Prodi risponde alle affabili domandine del direttore del quotidiano di De Benedetti, Mario Calabresi, affiancato dal collega de “L’Espresso”, Marco Damilano. «La gente non ha più fiducia nelle democrazie», proclama soavemente Prodi, fingendo di non sapere che in quest’Europa è stata proprio la democrazia a trionfare in Gran Bretagna addirittura con un referendum, mentre ora in Italia – sempre a suon di voti – ha mandato a casa l’ex inaffondabile euro-Pd. Se c’è una notizia è proprio la riscoperta della democrazia come possibilità. E i direttori del gruppo Espresso lasciano che il super-tecnocrate italiano dica il contrario esatto della verità.
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Zingales a Mattarella: decide la democrazia, non i mercati
«La decisione del presidente italiano di respingere un governo eletto non ha senso né dal punto di vista economico né da quello politico». Lo afferma l’economista bocconiano Luigi Zingales, docente universitario a Chicago e, nel 2011, favorevole al rigore imposto all’Italia dall’Ue attraverso Mario Monti. Oggi Zingales non è più un teorico dell’austerity. Lo dimostra nel modo più esplicito, firmando un’analisi su “Foreign Policy” dopo l’inaudito siluramento del governo Conte attuato in prima battuta da Mattarella. «Nel 20° secolo, quando i risultati elettorali non risultarono graditi all’élite dominante e ai suoi alleati internazionali, scesero in strada i carri armati», scrive il professore. «Nel 21° secolo la reazione è meno cruenta, ma non per questo meno aggressiva. Invece dei carri armati, viene usato il mercato delle obbligazioni». È quello che è successo in Italia il 27 maggio, «quando un governo appoggiato da una maggioranza parlamentare è stato bloccato dal presidente della Repubblica, per il timore di come il mercato obbligazionario avrebbe potuto reagire alla nomina dell’ex dirigente della Banca d’Italia, Paolo Savona, di ottantuno anni, designato come ministro dell’economia». La colpa di Savona? «Avere sviluppato un piano di emergenza per l’uscita dall’euro, nel caso che questa avvenisse. È come se il presidente degli Stati Uniti licenziasse un ministro della difesa perché appronta un piano di emergenza in caso di guerra nucleare con la Corea del Nord».Al contrario, scrive Zingales, «entrambi avrebbero dovuto invece essere elogiati per la loro previdenza». Ma ammettiamo pure che Mattarella avesse ragione, e che la nomina di Savona potesse scatenare il panico nel fragile mercato obbligazionario italiano. Allo stesso modo, aggiunge il professore, ammettiamo pure che la Costituzione gli desse il diritto di farlo. Sarebbe stata una buona scelta? È giusto che la paura dei mercati annulli il processo decisionale democratico? E’ vero, agli economisti piace l’efficienza dei mercati nell’allocazione delle risorse. «I buoni economisti, tuttavia, sanno che, per funzionare correttamente, i mercati dovrebbero operare in regime di piena concorrenza e che gli operatori sul mercato dovrebbero essere informati in modo simmetrico». Al contrario, «il mercato del debito sovrano in Europa non soddisfa nessuna delle due condizioni», sottolinea Zingales, nella riflessione ripresa da “Voci dall’Estero”: «In un mercato concorrenziale, ogni singolo attore dovrebbe essere un price-taker, ovvero la sua attività di scambio non dovrebbe avere alcun impatto sui prezzi di mercato. E invece, per sua stessa ammissione, la Bce ha un impatto sui prezzi di mercato». Si impegna infatti nell’acquisto di obbligazioni sovrane per ridurne il rendimento, pratica nota come “quantitative easing”.Di conseguenza, prosegue Zingales, il mercato obbligazionario europeo non si muove più in base al risultato delle decisioni di migliaia di operatori indipendenti è invece diventato «un “concorso di bellezza”, in cui si cerca di anticipare la prossima decisione della Bce». In un simile mercato, «la dichiarazione di un membro della Bce che il “quantitative easing” dovrebbe concludersi prima del previsto» (come ha fatto Sabine Lautenschläger, membro del comitato esecutivo della banca centrale europea) «può essere sufficiente per creare timore e aumentare lo spread tra obbligazioni italiane e tedesche». Si domanda Zingales: «È saggio vincolare le decisioni politiche di qualsiasi altro paese ai capricci di un simile mercato? Il presidente italiano, evidentemente, lo pensa. Ma farlo è pericoloso: sia dal punto di vista economico sia politico». È pericoloso dal punto di vista economico, sostiene Zingales, «perché gli economisti preparati sanno che il mercato delle obbligazioni sovrane può avere più punti di equilibrio. Di conseguenza, quando il rapporto tra debito e Pil è alto, è sufficiente che si sparga una voce per spostare il mercato obbligazionario da un punto di equilibrio a un altro, con il rischio di default».In generale, questa eventualità è impedita dalla banca centrale nazionale. «Quando è stata creata la Bce, tuttavia, i meccanismi necessari a una banca centrale non furono previsti appositamente, con lo scopo di lasciare ai mercati l’imposizione di un vincolo disciplinare ai paesi membri». Ma questa, osserva Zingales, «è stata una decisione cattiva dal punto di vista economico, che ha reso obbligatorio che la Bce alla fine fosse costretta a intervenire attivamente». Il risultato, per gli Stati, membri è che «non sono stati disciplinati da un mercato adeguatamente funzionante, ma dalla Bce – un’istituzione composta da individui che, anche se animati dalle migliori intenzioni, possono sbagliare». Il che, sempre secondo il professore, ci porta ai pericoli dal punto di vista politico. «Qualsiasi sistema istituzionale che attribuisca a un organismo non eletto come la Bce un ruolo prevalente rispetto agli organismi eletti, senza controllo, solleva seri problemi di legittimità», scrive l’economista. Immaginiamo l’ipotesi in cui il commento di un dirigente della Bce tedesco scateni involontariamente una crisi sul mercato obbligazionario italiano, che costringa l’Italia a ricorrere a un programma del Mes e del Fmi. «Che tipo di legittimità politica avrebbe un simile risultato in Italia? Anche un paese meno affascinato da poco plausibili teorie complottiste comincerebbe a sospettare una trama tedesca».Questo sospetto «diventerebbe poi certezza», scrive Zingales, «se un commissario europeo tedesco dichiarasse che i mercati finanziari insegneranno agli italiani a non votare per i populisti». Fortunatamente, aggiunge, quest’ultimo punto è ipotetico, ma non troppo: il commissario europeo alle finanze, Günther Oettinger, ha dichiarato che sperava che «lo sviluppo negativo dei mercati» fornisse «agli elettori un segnale di non votare per i populisti di destra o di sinistra». Precisa Zingales: «Sto negando il diritto dei partner europei degli italiani di essere preoccupati per il bilancio pieno di promesse (e nessuna misura per pagarle) concordato dal Movimento Cinque Stelle e dalla Lega? Assolutamente no. Mi associo anche alle preoccupazioni espresse dall’economista tedesco Hans-Werner Sinn sul cosiddetto debito Target2 che l’Italia sta accumulando nel sistema dell’euro: debito che è il risultato di un maggior numero di investitori stranieri che vendono obbligazioni italiane piuttosto che acquistarle». Entrambe le preoccupazioni, tuttavia, «riflettono gli errori di concezione fondamentali dell’euro», sottolinea il professore. «Lo Stato dell’Indiana non si preoccupa di quanto è spendaccione lo Stato dell’Illinois, né del debito che la Federal Reserve Bank di Chicago accumula con la Federal Reserve centrale».L’Illinois è libero di scegliere i suoi governatori senza interferenze dell’Indiana (anche se alcuni conservatori fiscali preferirebbero diversamente), proprio come lo Stato dell’Illinois è libero di fare default senza trascinare con sé tutte le sue banche locali e l’intera economia locale. «Il motivo è che ci sono sufficienti istituzioni federali, dall’assicurazione contro la disoccupazione all’assicurazione sui depositi, per assorbire lo shock. E c’è un’autorità politica comune – in particolare, il Congresso degli Stati Uniti, in cui gli Stati più piccoli sono in proporzione più rappresentati – per risolvere eventuali controversie che potrebbero sorgere». Le tensioni politiche in Europa non sono quindi inevitabili, insiste Zingales. «La moneta comune europea, tuttavia, è stata creata prima delle istituzioni necessarie per sostenerla. La speranza – formulata esplicitamente da alcuni politici italiani – era che una crisi alla fine avrebbe accelerato la creazione di queste istituzioni. Ma quasi vent’anni dopo l’introduzione dell’euro e dieci anni dopo una crisi economica di quelle che si scatenano una volta in un secolo, i progressi verso la creazione di queste istituzioni in Europa sono stati minimi».Molti europei non sono d’accordo? E’ vero: considerano “incoraggianti” i progressi dell’ultimo decennio, soprattutto se confrontati con la totale immobilità dei primi dieci anni dell’euro. «Certo, per chi vive all’ultimo piano la costruzione di una pompa per drenare l’acqua non appare urgente come per chi vive in cantina. L’Italia, in Europa, vive in cantina: e sta affogando», scrive Zingales. Beninteso: «Nessun governo italiano può riformare l’Eurozona da solo». Eppure, aggiunge, «le riforme non si faranno, se non ci si prova». Il presidente francese Emmanuel Macron sembra disposto a spendere un po’ di capitale politico per promuovere una riforma dell’Eurozona, «ma ha bisogno di un alleato in Italia – la terza maggiore economia dell’area economica – per renderla una priorità». Questo, spiega Zingales, sarebbe il principale vantaggio di una coalizione tra Lega e 5 Stelle: «Entrambe le parti hanno promesso di combattere per le riforme in Europa – una promessa su cui scommettono il loro futuro politico». E quindi: «Piuttosto che criminalizzare le richieste di aiuto – conclude Zingales – l’Europa dovrebbe rimboccarsi le maniche e proporre un piano per il cambiamento. Altrimenti, non solo il “Belpaese” – come gli italiani chiamano la nostra patria – affonderà, ma affonderà l’idea stessa che nel continente si possa convivere in pace e prosperità».«La decisione del presidente italiano di respingere un governo eletto non ha senso né dal punto di vista economico né da quello politico». Lo afferma l’economista bocconiano Luigi Zingales, docente universitario a Chicago e, nel 2011, favorevole al rigore imposto all’Italia dall’Ue attraverso Mario Monti. Oggi Zingales non è più un teorico dell’austerity. Lo dimostra nel modo più esplicito, firmando un’analisi su “Foreign Policy” dopo l’inaudito siluramento del governo Conte attuato in prima battuta da Mattarella. «Nel 20° secolo, quando i risultati elettorali non risultarono graditi all’élite dominante e ai suoi alleati internazionali, scesero in strada i carri armati», scrive il professore. «Nel 21° secolo la reazione è meno cruenta, ma non per questo meno aggressiva. Invece dei carri armati, viene usato il mercato delle obbligazioni». È quello che è successo in Italia il 27 maggio, «quando un governo appoggiato da una maggioranza parlamentare è stato bloccato dal presidente della Repubblica, per il timore di come il mercato obbligazionario avrebbe potuto reagire alla nomina dell’ex dirigente della Banca d’Italia, Paolo Savona, di ottantuno anni, designato come ministro dell’economia». La colpa di Savona? «Avere sviluppato un piano di emergenza per l’uscita dall’euro, nel caso che questa avvenisse. È come se il presidente degli Stati Uniti licenziasse un ministro della difesa perché appronta un piano di emergenza in caso di guerra nucleare con la Corea del Nord».
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Scanu: sovranità svenduta illegalmente all’oligarchia Ue-Bce
Dalle parole di Mattarella, protagonista dello strano veto su Paolo Savona all’economia, fermato sulla soglia di quel ministero “in nome dei mercati”, sembrerebbe che i trattati europei abbiano ridotto a zero la nostra sovranità. Ma è davvero così? Aderendo ai trattati europei – si domanda Patrizia Scanu – abbiamo ridotto a tal punto la nostra sovranità, quantomeno cedendone una parte? E soprattutto: «Se abbiamo ceduto sovranità, era possibile farlo sulla base della nostra Costituzione?». Ovvero: «La classe politica che ha firmato quei trattati era legittimata dalla nostra Costituzione ad una cessione del genere? E se così non fosse, quali sarebbero le conseguenze e le azioni future da compiere?». In prospettiva: «Come si conciliano l’esercizio della sovranità e l’esigenza di costruire quell’Europa dei popoli che è il sogno mai realizzato della mia generazione?», si chiede Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt. «Che nozione di sovranità è adatta ad affrontare le sfide della globalizzazione? In concreto: come ci liberiamo adesso di una menzogna criminale che ci è stata raccontata per decenni?». Il gesto di Mattarella, aggiunge la Scanu, «appare rivelativo di un contenuto non espresso chiaramente per decenni, ma di importanza capitale per tutti noi: si tratta della compatibilità fra la nostra Costituzione (così invisa, per ovvie ragioni, alle élite politico-finanziarie che vorrebbero ridurci a periferia dell’Impero) e i trattati europei».Sovranità? Un concetto complesso, «lungamente dibattuto nella filosofia del diritto, in parallelo al percorso storico che porta alla formazione degli Stati moderni». Intesa come sovranità dello Stato – argomenta Patrizia Scanu – esprime l’idea che lo Stato, inteso come persona giuridica, abbia esclusivo potere nell’ambito del proprio territorio. Uno Stato indipendente da altri poteri esterni, che esercita una supremazia nei confronti dei suoi abitanti. Il filosofo Thomas Hobbes, che pure aveva una visione assolutista del potere statale, lo vedeva comunque originarsi da un “contratto sociale” stretto fra gli uomini: per contenere la violenza insita nella loro natura, gli individui cedono la sovranità allo Stato, sottomettendosi totalmente ad esso. «Nella versione più attuale, che si avvale delle riflessioni successive di Grozio, Althusius, Locke e soprattutto Rousseau, e delle discussioni dei coloni della Nuova Inghilterra fra ‘600 e ‘700 – spiega la professoressa Scanu – la sovranità non solo si origina, ma resta nel popolo, poiché gli esseri umani ne sono titolari a prescindere dall’ordinamento giuridico dello Stato». Si parla perciò di “sovranità popolare”, nel senso che i cittadini – individui liberi e sovrani, portatori di diritti – concordano di delegare allo Stato la sovranità, per far funzionare la società in modo ordinato, restandone però unici titolari.I governanti – almeno nelle democrazie indirette – sono rappresentanti del popolo, scelti ed espressi dalla sovranità popolare e agiscono in nome e per conto del popolo, che li può revocare e sostituire. Come recita l’articolo 1 della Costituzione Italiana, “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ovvero la esercita per lo più nelle modalità della democrazia indiretta e rappresentativa e nella cornice dell’ordinamento giuridico dello Stato. La Costituzione, sottolinea Patrizia Scanu, prevede anche una limitazione alla sovranità. All’articolo 11, dice: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. La Costituzione dice, insomma, che la sovranità è e resta del popolo, ma che lo Stato può accettare particolari limitazioni alla sovranità all’unico scopo di assicurare la pace e la giustizia a livello internazionale (sentite evidentemente come un bene superiore) e in condizioni di parità con altre nazioni.Ma limitare – a certe condizioni – la propria sovranità vuol dire cederla? No: limitare e cedere non sono ha stessa cosa, come ha rilevato il Gip del tribunale di Cassino, Massimo Lo Mastro, in un decreto emesso in risposta ad una opposizione all’archiviazione di una denuncia dell’avvocato Marco Mori contro Laura Boldrini. «Proprio perché senza sovranità lo Stato non esisterebbe, i limiti della Costituzione in materia di compressione del potere d’imperio dello Stato sono rigorosi». Proprio per questo, scrive Lo Mastro, il legislatore si è occupato di sanzionare penalmente la lesione del potere d’imperio dello Stato: si parla infatti di “delitti contro la personalità giuridica internazionale dello Stato” ove ne risultino integrati gli estremi soggettivi e oggettivi. Sulla base dell’articolo 11 della Costituzione, aggiunge il magistrato, la sovranità non può dunque essere ceduta, ma solo limitata. E anche le mere limitazioni hanno ulteriori “limiti”: «Fermo il divieto assoluto di cessioni, la limitazione della sovranità può avvenire unicamente in condizioni di reciprocità ed al fine esclusivo (ogni altra soluzione è stata espressamente bocciata in seno all’Assemblea Costituente) di promuovere un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni».Limitare, precisa il magistrato, significa «circoscrivere un potere entro certi limiti», ovvero «omettere di esercitare il proprio potere d’imperio (che pure deve rimanere intatto) in una determinata materia, oppure di esercitarlo all’interno di certi limiti generalmente riconosciuti dal diritto internazionale ai fini di pace e cooperazione fra le nazioni». Tutto questo, purché il contenimento del proprio potere (che “appartiene al popolo”) sia in ogni caso rispettoso dei limiti costituzionali. «La cessione di sovranità – chiosa Lo Mastro – comporta invece la consegna ad un terzo di un potere d’imperio proprio di uno Stato che così per definizione perde anche la propria indipendenza». Questo vuol dire che, se cessione di sovranità c’è stata – e c’è stata sicuramente, scrive Patrizia Scanu, visto che se per esempio la Bce è indipendente ed ha sovranità monetaria – significa che noi vi abbiamo rinunciato e abbiamo perso l’indipendenza. Una cessione dunque «non legittima»: chi l’ha permessa «ha commesso un reato». Alla lettera: «Nessun trattato europeo può avere più forza della nostra Costituzione. Un presidente della Repubblica non può subordinare la sovranità popolare ai vincoli di trattati internazionali; semmai deve fare il contrario», scrive la Scanu, visto che «ha giurato di difendere la Costituzione», non i trattati europei.Restando al popolo la sovranità, quei trattati «possono pacificamente essere ridiscussi o rigettati, purché nelle forme previste dalla Costituzione, ovvero se questa è la volontà del popolo, espressa con il voto». Questo, osserva Patrizia Scanu, «vuol dire anche che la via d’uscita da questa situazione intollerabile consiste nel riprendersi la sovranità così malamente compressa e calpestata». In altre parole: «Rivendicare sovranità – prima di tutto, sovranità monetaria – non vuol dire né tornare agli Stati nazionali del periodo pre-bellico né uscire dall’Unione Europea né necessariamente uscire dall’euro. Vuol dire al contrario portare a compimento quel processo di federazione europea che farebbe dell’Europa un contrappeso adeguato al dominio delle grandi potenze, Usa e Cina soprattutto (non certo spettatori disinteressati)». Significa «riprendersi la facoltà di emettere moneta nazionale», magari sotto forma di Stato-note o di crediti fiscali, come spiega da tempo l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: una misura percorribile anche senza uscire dall’euro. Vuol dire «riportare sotto controllo dei cittadini i poteri extranazionali, non eletti e cooptativi che ci hanno imposto questo ordine neoliberista», in primis la Commissione Europea e la Bce per «riportare in primo piano il benessere e i diritti dei cittadini, invece delle esigenze della finanza internazionale».Insiste Patrizia Scanu: «Non è pensabile una sovranità europea che si costituisca per cessione della sovranità nazionale, come sommatoria di non-Stati, perché senza sovranità popolare non c’è Stato democratico, e se i cittadini di un paese non possono esprimere la loro volontà politica, non siamo più in democrazia». Lo Stato moderno? «E’ entrato in crisi con la globalizzazione, ma non abbiamo ancora inventato una forma politica diversa». I trattati europei? «Sono contratti giuridici fra Stati nazionali, che sono i soggetti contraenti, ciascuno pienamente titolare della propria sovranità: rinunciare ad essa è un suicidio». Impossibile fare scempio in questo modo del vecchio continente: «L’Europa è troppo ricca di storia e di differenze nazionali perché esse possano essere ignorate, ma è anche effettivamente portatrice di una cultura condivisa e di una coscienza comune. Lo scenario attuale è desolante, perché disattende i principi istitutivi dell’Unione Europea». Lo ricorda lo stesso Paolo Savona nel 2015: in teoria, l’Ue aveva formalmente promesso «lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale», senza trascurare «la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri».La crisi della Grecia – osserva Savona – ha mostrato quanto la realtà sia lontana dalle enunciazioni di principio: «Invece di uscire dal paradosso di un non-Stato europeo formato da non-Stati nazionali si intende approfondire questa strana configurazione istituzionale, perché appare vantaggiosa a pochi paesi capeggiati dalla Germania». Per Patrizia Scanu, «stiamo assistendo a una feroce competizione economica fra gli Stati dell’Unione, a cominciare dal mercantilismo tedesco, a uno spaventoso trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi e dall’economia reale ai mercati finanziari». E abbiamo governi che, uno dopo l’altro, «hanno tradito lettera e sostanza della Costituzione, cedendo progressivamente quote di sovranità per loro indisponibili, rendendoci subalterni a poteri oligarchici, estranei e autoreferenziali che tutto hanno a cuore, fuorché il nostro interesse di cittadini». Prima risposta: «Prendere consapevolezza del colossale inganno perpetrato a nostro danno, con l’illusione del sogno europeo». E quindi, «ridiscutere radicalmente i trattati europei, per rifondare l’Europa su basi autenticamente democratiche». Può sembrare un paradosso, conclude Patrizia Scani, ma «chi critica l’euro e i trattati europei ha l’Europa più a cuore di chi si straccia le vesti di fronte ad ogni ipotesi di cambiamento, come stanno facendo in questi giorni i dirigenti del Pd ormai in pieno stato confusionale, e intanto svende senza contraccambio (almeno per noi) la nostra sovranità nazionale, la nostra economia e il nostro futuro».Dalle parole di Mattarella, protagonista dello strano veto su Paolo Savona all’economia, fermato sulla soglia di quel ministero “in nome dei mercati”, sembrerebbe che i trattati europei abbiano ridotto a zero la nostra sovranità. Ma è davvero così? Aderendo ai trattati europei – si domanda Patrizia Scanu – abbiamo ridotto a tal punto la nostra sovranità, quantomeno cedendone una parte? E soprattutto: «Se abbiamo ceduto sovranità, era possibile farlo sulla base della nostra Costituzione?». Ovvero: «La classe politica che ha firmato quei trattati era legittimata dalla nostra Costituzione ad una cessione del genere? E se così non fosse, quali sarebbero le conseguenze e le azioni future da compiere?». In prospettiva: «Come si conciliano l’esercizio della sovranità e l’esigenza di costruire quell’Europa dei popoli che è il sogno mai realizzato della mia generazione?», si chiede Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt. «Che nozione di sovranità è adatta ad affrontare le sfide della globalizzazione? In concreto: come ci liberiamo adesso di una menzogna criminale che ci è stata raccontata per decenni?». Il gesto di Mattarella, aggiunge la Scanu, «appare rivelativo di un contenuto non espresso chiaramente per decenni, ma di importanza capitale per tutti noi: si tratta della compatibilità fra la nostra Costituzione (così invisa, per ovvie ragioni, alle élite politico-finanziarie che vorrebbero ridurci a periferia dell’Impero) e i trattati europei».
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Telegraph: l’Ue non si illuda, la sfida italiana comincia oggi
Prepariamoci: al di là dei sorrisi e dello strano “ottimismo dei mercati”, la vera battaglia comincia solo adesso. Da una parte il governo “gialloverde”, costretto ad allentare l’austerity Ue per attuare il suo programma, e dall’altra il Quirinale, probabilissimo “custode” dello staus quo fondato sul rigore euro-tedesco. Lo sostiene sul “Telegraph” l’inglese Ambrose Evans-Pritchard, eminente analista politico-finanziario e attento osservatore della crisi italiana, vera propria cartina di tornasole dello stato di coma politico ed economico dell’Unione Europea. Il nuovo ministro dell’ecomomia, Giovanni Tria, «è un sostenitore della reflazione fiscale e dello stampare moneta per salvare gli Stati europei con un alto debito, fatto che lo porterà su una rotta di collisione con le élite politiche di Bruxelles e della Germania», afferma Pritchard. «Dopo settimane di politica che si potrebbe definire di rischio calcolato, il radicale M5S e i nazionalisti della Lega sono riusciti in gran parte a imporre la loro scelta euroscettica all’establishment politico italiano». Il professor Tria? «E’ un critico moderato ma tenace del Fiscal Compact, imposto dall’Eurozona e dall’apparato dell’Emu per accentuare l’austerità e deflazionare il debito». La sue idee in economia «potrebbero rivelarsi altrettanto minacciose, per Berlino e il regime politico dell’euro, di quelle del precedente candidato bloccato dal veto presidenziale, Paolo Savona», anche se Tria «non parla apertamente di “Piano B” per lasciare l’euro né definisce l’Unione Monetaria una “gabbia tedesca”».Mentre sostiene che «non ha senso» uscire dall’euro, Giovanni Tria dice anche che è insensato insistere con la moneta unica se i leader dell’Ue si rifiutano di renderla praticabile, scrive Evans-Pritchard in un articolo tradotto da “Come Don Chisciotte”. Il vero rischio per l’unione monetaria «è l’implosione, piuttosto che l’uscita». Per ora i mercati finanziari stanno reagendo in modo euforico all’accordo in extremis fra i partiti “ribelli” e il presidente Sergio Mattarella, finito nella bufera per il veto su Savona. L’accordo raggiunto (su pressione Usa, a quanto pare) evita la prospettiva di una protesta politica di massa «contro un “governo tecnico” che nessuno ha eletto, seguito da un voto in tempi rapidi che avrebbe probabilmente portato alla vittoria schiacciante dei due gruppi “ribelli” e alla distruzione totale del centro politico italiano». Lorenzo Codogno, ex capo economista del Tesoro, avverte che discesa dello spread potrebbe essere una falso indizio: Codogno «teme una lunga guerra di trincea tra il governo “ribelle” e il presidente Mattarella, sull’Europa e sulla disciplina fiscale». A sua volta, per Silvia Ardagna (Goldman Sachs) l’esuberanza del mercato è «fuori luogo». La Ardagna pensa che «i lunghi mesi di confronto sulle regole di spesa riapriranno la questione dell’Italexit e del futuro dell’euro».Le proposte della coalizione guidata da Conte, ricorda Evans-Pritchard, ammontano ad un allentamento di bilancio pari al 6% del Pil. E quindi «sono fondamentalmente incompatibili con l’attuale architettura monetaria, d’ispirazione tedesca». Il “contratto” di governo comprende infatti Flat Tax e reddito di cittadinanza, nonché un costoso rinnovo della riforma Fornero delle pensioni e l’inversione dell’aumento dell’Iva. Se ne occuperà in primis proprio Giovanni Tria, «da sempre un fustigatore del mercantilismo tedesco». Il nuovo ministro dell’economia, spiega Evans-Pritchard, sostiene che Berlino abbia effettivamente usato l’Unione Monetaria per garantirsi un vantaggio competitivo strutturale, che ha portato a un permanente e illegale avanzo di conto corrente [bilancio delle partite correnti] pari all’8,5% del Pil, a scapito dei partner dell’Eurozona. Il meccanismo di autocorrezione è bloccato, e gli Stati debitori del Sud Europa sono intrappolati in un circolo vizioso. Il presunto rimedio della svalutazione interna per recuperare redditività porta a una distorsione di tipo restrittivo [decrescita] per l’Eurozona nel suo complesso e ha una fatale contraddizione: soffoca il Pil nominale di quelle economie che sono già in difficoltà e distorce ulteriormente la traiettoria del debito. Alla lunga, è sicuramente autodistruttivo.Nel saggio “Ripensare il tabù della monetizzazione dei disavanzi per salvare l’euro”, il professor Tria scrive che il tentativo di ripristinare la sostenibilità del debito attraverso l’austerità è fallito: «L’unica via d’uscita è un forte stimolo fiscale per aumentare la domanda e colmare il divario di produttività, accompagnato da condizionati e temporanei finanziamenti monetari a livello europeo». Negli ambienti delle banche centrali, osserva Evans-Pritchard, questa politica è conosciuta come “helicopter money”, ed è un anatema per la Bundesbank e per la cultura ordoliberista tedesca. «Il saggio attinge pesantemente al lavoro del britannico Adair Turner, un campione a livello globale del finanziamento monetario e controllato dei deficit, per i paesi caduti in una trappola di liquidità». Che il professor Tria e l’alleanza Lega-M5S stiano attivamente spingendo per l’Italexit – o “Libertalia”, come alcuni preferiscono dire – è una discussione finanche oziosa, scrive l’analuista inglese. «Entrambi accettano che in Italia un referendum sull’euro sia incostituzionale. Ma, avendo ben studiato ogni aspetto del fiasco in Grecia, sono passati a tattiche più sottili. Stanno preparando delle soluzioni per minare l’Unione Monetaria dall’interno, se l’Ue rifiutasse di accettare il fatto compiuto dei loro piani di bilancio». Il che sarebbe «un ricatto», secondo Clemens Fuest, direttore dell’istituto tedesco Ifo.Il piano Lega-M5S per la creazione di una valuta parallela, i Minibot, è ancora nel “contratto” per il governo. «La proto-lira può essere attivata in qualsiasi momento come mezzo di autodifesa qualora la Bce aumentasse la posta, limitando la liquidità del sistema bancario italiano o ricorrendo al pretesto delle garanzie collaterali per fermare il roll-over [rinnovo] dei titoli obbligazionari italiani». Il momento in cui il governo Conte emetterà questa valuta parallela «sarà quello della fine dell’euro», avverte il professor Costas Lapavitsas dell’università di Londra. Gli ottimisti pro-Europa hanno interpretato il consenso sui ministri da parte di Mattarella come un passo indietro della Lega e dei 5 Stelle, «ma potrebbe anche essere visto come una dissimulata marcia indietro dello stesso presidente, un residuo non eletto della “vecchia casta”, che stava operando in una zona grigia della sua autorità costituzionale», scrive Evans-Pritchard. «Si era ben presto reso conto, dalle reazioni viscerali che aveva causato, che stava giocando con il fuoco. Prima mettendo il veto al professor Savona e poi cercando d’imporre un regime tecnocratico privo del sostegno del Parlamento, impegnato in politiche espressamente rifiutate a marzo dalla grande maggioranza degli elettori italiani. Come ha detto Savona in una e-mail che è trapelata, il presidente non capiva che la nazione era “in ribellione”. Ma ora senz’altro l’ha capito».Per l’analista inglese, resta comunque «una strana ingenuità, fra gli insider dell’Ue e gli investitori stranieri, sull’identità politica dei ribelli Lega-Grillini». Pensano che Giancarlo Giorgetti sia un lealista pro-euro? Lo scorso settembre, in televisione, spiegava perché l’Italia dovrebbe abbandonare la moneta unica, «per evitare di essere ridotta a un deindustrializzato guscio vuoto». Lo stesso Di Maio, a dicembre, aveva accusato l’austerità imposta dalla Merkel per la chiusura di 573 aziende al giorno nel Sud. «Se non ci liberiamo dell’euro il Mezzogiorno italiano, diventerà una terra desolata e spopolata». Secondo Evans-Pritchard, «è un’ipotesi molto coraggiosa scommettere che l’alleanza Lega-grillini possa cambiare, come ha fatto Syriza in Grecia, abbandonando le sue fondamentali promesse elettorali per mantenere l’Italia nell’euro. L’Ue dovrebbe poterli incontrare a metà strada, se vuole evitare il disastro, accettando la fine del Fiscal Compact. Ma se lo fa – aggiunge il notista del “Telegraph” – rischia di perdere il consenso politico tedesco per il progetto dell’euro». Un gruppo di 154 economisti tedeschi avverte che la scivolata dell’Eurozona verso una “unione del debito” sta minando i poteri di bilancio del Bundestag e costituisce una crescente minaccia per la democrazia tedesca. L’Istituto Ifo vuole un meccanismo legale per permettere ad un qualsiasi paese di lasciare l’euro: e il presupposto è che la stessa Germania possa averne bisogno. «Se l’Ue consente agli italiani di fare ciò che vogliono sulla spesa, i tedeschi non lo accetteranno», prevede Lapavitsas: «L’euro morirebbe comunque, ma in un modo diverso. Sarebbe solo una morte più lenta».Prepariamoci: al di là dei sorrisi e dello strano “ottimismo dei mercati”, la vera battaglia comincia solo adesso. Da una parte il governo “gialloverde”, costretto ad allentare l’austerity Ue per attuare il suo programma, e dall’altra il Quirinale, probabilissimo “custode” dello staus quo fondato sul rigore euro-tedesco. Lo sostiene sul “Telegraph” l’inglese Ambrose Evans-Pritchard, eminente analista politico-finanziario e attento osservatore della crisi italiana, vera propria cartina di tornasole dello stato di coma politico ed economico dell’Unione Europea. Il nuovo ministro dell’ecomomia, Giovanni Tria, «è un sostenitore della reflazione fiscale e dello stampare moneta per salvare gli Stati europei con un alto debito, fatto che lo porterà su una rotta di collisione con le élite politiche di Bruxelles e della Germania», afferma Pritchard. «Dopo settimane di politica che si potrebbe definire di rischio calcolato, il radicale M5S e i nazionalisti della Lega sono riusciti in gran parte a imporre la loro scelta euroscettica all’establishment politico italiano». Il professor Tria? «E’ un critico moderato ma tenace del Fiscal Compact, imposto dall’Eurozona e dall’apparato dell’Emu per accentuare l’austerità e deflazionare il debito». La sue idee in economia «potrebbero rivelarsi altrettanto minacciose, per Berlino e il regime politico dell’euro, di quelle del precedente candidato bloccato dal veto presidenziale, Paolo Savona», anche se Tria «non parla apertamente di “Piano B” per lasciare l’euro né definisce l’Unione Monetaria una “gabbia tedesca”».
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Massoni, manovre, bugie e omissioni sull’Italia gialloverde
Un presidente della Repubblica che ammette a reti unificate che il paese è ostaggio dei mercati finanziari privati. L’oligarchia euro-tedesca che minaccia apertamente la fine dell’Italia. E l’uomo di Trump che si precipita a Roma per ostacolare i terminali di Berlino e, infine, premere in senso opposto sull’establishment conservatore. Obiettivo: far nascere un governo ibrido e sotto ipoteca, con promesse impossibili da mantenere senza prima scardinare il paradigma teologico europeista del rigore suicida, imposto a mano armata dalla massoneria reazionaria che ha in mano la governance della Germania, della Bce e dell’Unione Europea. L’analista geopolitico Federico Dezzani sottolinea il ruolo di primo piano svolto dall’asse angloamericano nella crisi italiana, evidenziando le mosse di Steve Bannon e dell’ambasciatore statunitense Lewis Eisenberg, che ha incontrato Salvini e Di Maio a fine marzo. Quindi i britannici: «Lo stesso Movimento 5 Stelle è un prodotto più inglese che americano, come dimostrano la lunga carriera di Gianroberto Casaleggio presso il colosso dell’informatica inglese Logica Plc e il doppio passaporto, italiano e britannico, del figlio Davide». Sempre secondo Dezzani, Londra ha giocato un ruolo decisivo nella nascita del governo giallo-verde «attraverso il “protestante” Jorge Mario Bergoglio che, a sua volta, ha schierato l’ancora influente Conferenze Episcopale Italiana».
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Sovranismo yankee anti-Ue: ora l’Italia è sotto tutela Usa
Ho iniziato a parlare dell’esistenza di una Via Yankee al Sovranismo, più o meno da quando ho iniziato a identificarmi, da un punto di vista marxista, con tale categoria politica. Dunque, intorno al 2012. Infatti, dall’avvento dell’austerity del governo Monti nel 2011, si è immediatamente palesato che, a fronte della rigidità tedesca che indirizzava le posizioni dell’Unione Europea imponendo politiche di macelleria sociale a Grecia e Italia, da parte degli Stati Uniti vi era un atteggiamento decisamente più elastico nei confronti della spesa pubblica e del bilancio statale. La Troika che impartiva ordine ai governi euro-mediterranei, in altre parole, risultava essere composta dal “poliziotto buono” Fmi e dal “poliziotto cattivo” Commissione Europea. Così, molte figure pubbliche che in quel periodo e a vario titolo si pronunciavano contro l’austerity – per esempio Paolo Barnard, ma anche Stefano Fassina – enunciavano altresì esplicitamente la necessità di cercare sponda politica negli Stati Uniti e nel Fondo Monetario per uscire dalla trappola mortale del Fiscal Compact e dal controllo tedesco sulla nostra economia. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti.
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Email privata, il Corriere ‘brucia’ Savona: attacca Mattarella
«Mattarella non ha capito che ormai il popolo si è ribellato e deve dare una risposta». Firmato: Paolo Savona. A diffondere l’email è Massimo Franco, editorialista del “Corriere della Sera” e ospite fisso di Lilli Gruber su La7. Un elegante, impeccabile esponente di quell’establishment – composto da personalità come quelle di Paolo Mieli e Massimo Cacciari – mai espressosi, finora, né in termini analitici sull’economia dell’Eurozona, né tantomeno sulle rivelazioni ormai conclamate riguardo all’identità “supermassonica” del potere europeo, che attraverso istituzioni come la Bce e la Banca d’Italia condiziona la formazione di qualsiasi governo. Il 31 maggio, mentre è in corso l’ultima trattativa in extremis tra Salvini e Di Maio per riesumare il governo “gialloverde” (su pressione degli Usa, secondo “Il Sussidiario”), Massimo Franco provvede a rompere le uova nel paniere, con una “notizia” che potrebbe seppellire l’eventuale, ulteriore spendibilità del nome di Savona. «L’email è arrivata ieri – scrive Franco – allegata a quella di un amico che rivolgeva al “Corriere” critiche al limite dell’insulto. È datata 23 maggio, e reca l’indirizzo di posta elettronica del professor Paolo Savona, candidato al ministero dell’economia per conto della Lega».In risposta agli encomi sinceri e sperticati del suo interlocutore, il professore scriverebbe: «Il mio silenzio sdegnoso li offende più di una risposta». Mattarella? Non avrebbe compreso che ormai gli italiani si sono ribellati allo strapotere dell’élite: è necessario dare una riposta politica esauriente agli elettori. «È la conferma di un’irritazione profonda e covata a lungo nei confronti del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella», scrive Franco, che attribuisce a Savona «una netta scelta di campo». All’inquilino del Quirinale, aggiunge l’editorialista, Savona non perdona «di avere bocciato l’indicazione ultimativa di Salvini a suo favore, per l’ostilità dichiarata e storica alla moneta unica europea, alla Bce di Mario Draghi, al Trattato di Maastricht». Come dire: Paolo Savona ha gettato la maschera, anche se poi il 27 maggio aveva rotto il suo «sdegnoso silenzio» per denunciare la «scomposta polemica» sul suo nome, aggiungendo poi – il giorno seguente – un comunicato nel quale denunciava: «Ho subito un grave torto dalla massima istituzione del paese, sulla base di un paradossale processo alle intenzioni di voler uscire dall’euro». Come dire: Paolo Savona non era sincero, nascondeva il suo vero progetto. Meditava di uscire dall’euro in gran segreto, una volta raggiunta la poltrona di ministro dell’economia.Il problema – aggiunge Massimo Franco – è che a ospitare le sue parole è stato il sito “Scenari Economici”, che «osserva l’euro e i vincoli finanziari sottoscritti dall’Italia con l’Ue come una sciagura». Da quel pulpito digitale, prosegue con gratuito sarcasmo l’editorialista, Savona aveva già scritto una lettera al capo dello Stato il 22 agosto del 2015 intimandogli: «No a cessioni di sovranità», che sempre Massimo Franco definisce «un attacco insieme a Mattarella, alla Bce di Draghi e alla Germania». Ma soprattutto, poche settimane dopo, il 5 ottobre del 2015, lo stesso Savona aveva presentato, sempre su “Scenari Economici”, una “Guida pratica all’uscita dall’euro”, dopo 16 anni di drammatica crisi economica imposta all’Italia da una moneta unica governata da un’oligarchia bancaria privata. Basandosi su un rapporto della multinazionale finanziaria giapponese Nomura e dell’economista britannico Roger Bootle, Savona spiegava in che modo – come extrema ratio – sopravvivere a una eventuale fuoriuscita dall’euro: segretezza e non divulgazione, per evitare fughe di capitali in previsione di una svalutazione tra il 15 e il 25%, mettendo in campo contromisure per ridurre il boom dello spread e il crollo della Borsa, il pericolo della speculazione e di rappresaglie da parte dell’Eurozona.Perfettamente in linea con la “politica della paura” ufficializzata da Mattarella, a proposito delle “rivelazioni” su Savona, Massimo Franco Scrive: «Insomma, uno scenario da incubo, che secondo il professore poteva essere attutito con una procedura segreta, affidata a pochi funzionari-chiave delegati a preparare l’uscita in un mese; a comunicarla agli alleati della zona euro e alle organizzazioni monetarie internazionali di venerdì, a Borse chiuse; per poi reintrodurre la Lira dal lunedì successivo. Senza escludere un default e una riduzione unilaterale del debito italiano per i nostri creditori». L’uscita dall’euro non era neppure lontanamente ipotizzata dal “contratto” di governo firmato da Di Maio e Savini, ma evidentemente per il “Corriere della Sera” non conta: al giornalone, pronto a genuflettersi nel 2011 davanti a Mario Monti, plaudendo alla riforma Fornero e alla rottamazione dell’economia italiana, oggi interessa soprattutto che Paolo Savona resti fuori dall’eventuale governo. Il “Corriere della Sera”, del resto, è uno dei cardini del mainstream mediatico italiano, ancora tramortito dal crollo del Pd e dal boom dei 5 Stelle e della Lega. Un’élite post-giornalistica reticente e omertosa, ancora incredula di fronte agli eventi e spaventata dallo scetticismo degli italiani, che ormai ai giornali tendono a non credere più.«Mattarella non ha capito che ormai il popolo si è ribellato e deve dare una risposta». Firmato: Paolo Savona. A diffondere la presunta email è Massimo Franco, editorialista del “Corriere della Sera” e ospite fisso di Lilli Gruber su La7. Un elegante, impeccabile esponente di quell’establishment – composto da personalità come quelle di Paolo Mieli e Massimo Cacciari – mai espressosi, finora, né in termini analitici sull’economia dell’Eurozona, né tantomeno sulle rivelazioni ormai conclamate riguardo all’identità “supermassonica” del potere europeo, che attraverso istituzioni come la Bce e la Banca d’Italia condiziona la formazione di qualsiasi governo. Il 31 maggio, mentre è in corso l’ultima trattativa in extremis tra Salvini e Di Maio per riesumare il governo “gialloverde” (su pressione degli Usa, secondo “Il Sussidiario”), Massimo Franco provvede a rompere le uova nel paniere, con una “notizia” che potrebbe seppellire l’eventuale, ulteriore spendibilità del nome di Savona. «L’email è arrivata ieri – scrive Franco – allegata a quella di un amico che rivolgeva al “Corriere” critiche al limite dell’insulto. È datata 23 maggio, e reca l’indirizzo di posta elettronica del professor Paolo Savona, candidato al ministero dell’economia per conto della Lega».
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Via 250 miliardi di debito: è questo a spaventare l’oligarchia
Ma davvero credete che il problema fosse il professor Paolo Savona? A terrorizzare l’oligarchia Ue, afferma Fabio Conditi, è il “contratto” firmato da Di Maio e Salvini per il “governo del cambiamento”. Trenta punti, «dove per la prima volta si mette completamente in discussione il sistema monetario e bancario attuale e le politiche di austerity che ci propinano da anni». Lo spunto rivoluzionario: la volontà di cancellare 250 miliardi di euro di debito pubblico, cioè i titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia, al cui governatore – per la prima volta nella storia – il presidente della Repubblica ha “affidato” il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, “invitato” da Mattarella a conferire con Ignazio Visco, uomo vicinissimo a Mario Draghi e all’euro-sistema dominato dalla Germania. Paolo Savona? Usato come pretesto, per sabotare la pulsione sovranista. «Ma voi pensate davvero che il presidente della Repubblica e i poteri che rappresenta – scrive Conditi su “Come Don Chisciotte” – si siano realmente preoccupati della grande esperienza di questo arzillo professore che nella sua vita, pur avendo vissuto all’interno delle istituzioni, ha manifestato qualche opinione critica verso l’euro senza aver mai denunciato il sistema del debito?».Qualcuno – si domanda Conditi, presidente dell’associazione Moneta Positiva – ha provato a capire che cosa, all’interno di quel programma “gialloverde”, spaventa l’attuale sistema al punto da costringere il presidente della Repubblica a rischiare l’impeachment, facendo cadere sul nascere – con mossa platealmente irrituale, politicamente sconcertante – il primo governo voluto dalla maggioranza degli italiani? Conditi mette in fila una serie di indizi e segnali, sul clima che in Italia starebbe vorticosamente cambiando verso una progressiva presa di coscienza. Parla da solo il successo della trasmissione televisiva del 4 maggio su “Canale Italia”, in cui Conditi – insieme a Nino Galloni, Marco Mori, Giovanni Zibordi, Giovanni Lazzaretti e Paolo Tintori – ha spiegato, in prima serata, “come si creano i soldi”, ovvero «come lo Stato può e deve creare soldi e come il debito pubblico può essere cancellato». Il 23 maggio è Carlo Freccero, nel super-prudente salotto di Lilli Gruber su La7, a gelare la conduttrice e il suo sodale, Massimo Giannini, dichiarando con semplicità «due verità scomode e rivoluzionarie: che il debito può essere cancellato e che uno Stato sovrano non può fallire perchè può sempre stampare soldi». Reazioni: la Gruber preoccupata, Giannini imbarazzato.Poi la mossa inaudita di Mattarella il 27 maggio, il siluramento di Savona. L’indomani, Conditi è tornato negli studi di Canale Italia – con Vito Monaco, Marco Mori, Gianfranco Amato e il cantautore Povia. La sintesi: «Da oggi l’articolo 1 della Costituzione deve essere riscritto. L’Italia è una Repubblica non democratica fondata sulla schiavitù. La sovranità appartiene alla finanza che la esercita nelle forme e nei limiti dei mercati finanziari». La decisione di Mattarella? Inaccettabile. E carica di conseguenze: di fatto, ha esposto il Quirinale a una crisi inaudita. La scusa? Per le sue critiche all’euro, Savona spaventa i mercati finanziari: per questo, secondo Mattarella, sarebbero a rischio i risparmi degli italiani. Per Conditi, il vero motivo del devastante sabotaggio del governo Conte è un altro: «Il programma di governo del M5S e della Lega contiene secondo noi alcuni obiettivi che non sono ritenuti accettabili dal potere economico e finanziario che in Italia ha sempre condizionato le nostre scelte politiche degli ultimi 40 anni». Mattarella? «Non doveva e non poteva esercitare questa sua prerogativa, rifiutando un governo formato da partiti e movimenti regolarmente eletti, che hanno la maggioranza in Parlamento e hanno stipulato un accordo di governo addirittura votato e approvato dai cittadini». Lo stop a Conte imposto il 27 maggio resta «un atto grave e pericoloso per la democrazia».Attenzione, però: «Se sono stati costretti ad una mossa così ingenua come quella di non far nascere un governo che, per la prima volta da anni, è stato regolarmente votato e voluto dalla maggioranza dei cittadini italiani – aggiunge Conditi – significa che il vento del cambiamento sta finalmente spirando nella direzione giusta». Quel famoso “contratto”, «volente o nolente, ha davvero la capacità di incidere e realizzare un cambiamento reale in questo paese a vantaggio di tutti, e non solo dei soliti privilegiati: per questo motivo non lo vogliono». Cosa prevede, infatti? Un provvedimento di inaudita importanza: la cancellazione di 250 miliardi di euro di debito pubblico, titoli di Stato detenuti da Bankitalia. Non solo: c’è anche «la possibilità per lo Stato di stampare Minibot, cioè una moneta di Stato». Ancora: «La creazione di un sistema di banche pubbliche, una per gli investimenti ed un’altra per il credito». Tutto questo, per finziare «politiche economiche espansive al posto delle politiche di austerity». Per esempio: reddito di cittadinanza, pensioni dignitose e abattimento delle tasse. Anche una sola di queste ipotesi – sottolinea Conditi – farebbe «vedere i sorci verdi al potere economico e finanziario che ci ha ridotto in schiavitù». Sicché, «vederle tutte insieme deve aver fatto prendere un coccolone nei piani alti: sono soddisfazioni che non hanno prezzo».Pur tra mostruose difficoltà politiche, ben rappresentate dalla minaccia telecomandata dello spread e dall’inaudito boicottaggio del presidente della Repubblica (il primo nella storia a rifiutare un candidato ministro per motivi ideologico-politici), i 5 Stelle la Lega – secondo Fabio Conditi – hanno comunque «imboccato finalmente la strada giusta». In estrema sintesi: «Il 99% della popolazione più povera deve essere unito per combattere contro quell’1% che ci vuole schiavi del debito e rassegnati alla miseria». E’ un fatto: nonostante le posizioni inizialmente distanti, il “contratto” di governo è stato costruito con fatica e in modo trasparente. Conditi incoraggia grillini e leghisti: «Avete una squadra di governo, avete la maggioranza della popolazione che vi approva, avete contro il potere economico e finanziario mondiale: l’unico errore che potete fare è tornare indietro sui vostri passi». Lo spread? Neutralizzabile con una sola mossa, secondo Conditi: «Basterebbe emettere titoli di Stato a valenza fiscale, cioè utilizzabili alla scadenza anche per pagare le tasse: in questo modo non ci sarebbe più il rischio che lo Stato possa non rimborsarli e quindi sarebbero impossibili le manovre speculative al ribasso di questi giorni. Inoltre queste nuove emissioni sarebbero più “appetibili” per gli investitori perché meno rischiose».Questo per dire che i mercati – quelli veri – non coincidono esattamente con i ristretti gruppi del potere oligarchico europeo che manovrano lo spread come una clava. Al menù del riscatto, Conditi aggiunge anche il Sire, sistema di riduzione erariale. «Serve assolutamente un sistema di pagamenti alternativo a quello del sistema bancario italiano, dove circoli uno strumento monetario a valenza fiscale che non possa essere “bloccato” dalla Bce e dalla Commissione Europea». Esiste un modo, quindi, per respingere il rigore (che è interamente politico) senza neppure violare i trattati-capestro su cui si fonda il sistema Ue. Con il Sire, dice Conditi, «si possono tranquillamente finanziare – senza fare debito – sia il reddito di cittadinanza che soprattutto la Flat Tax. In pratica come succede alla Coop, paghi le tasse normali, ma te ne restituisco una parte in buoni-sconto per le tasse future». E vogliamo parlare della banca centrale italiana, presso cui Mattarella ha “spedito” il povero Conte? «E’ necessario che lo Stato riprenda il controllo totale di Bankitalia – chiosa Conditi – riacquistando le quote di partecipazione attualmente in mano alle istituzioni e banche private». Per il resto, avanti tutta: euro o non euro, si tratta di riconquistare la sovranità della moneta: «Sarà comunque di proprietà dei cittadini e libera dal debito».Ma davvero credete che il problema fosse il professor Paolo Savona? A terrorizzare l’oligarchia parassitaria Ue, afferma Fabio Conditi, è il “contratto” firmato da Di Maio e Salvini per il “governo del cambiamento”. Trenta punti, «dove per la prima volta si mette completamente in discussione il sistema monetario e bancario attuale e le politiche di austerity che ci propinano da anni». Lo spunto rivoluzionario: la volontà di cancellare 250 miliardi di euro di debito pubblico, facendoli acquistare dalla Banca d’Italia, al cui governatore – per la prima volta nella storia – il presidente della Repubblica ha “affidato” il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, “invitato” da Mattarella a conferire con Ignazio Visco, uomo vicinissimo a Mario Draghi e all’euro-sistema dominato dalla Germania. Paolo Savona? Usato come pretesto, per sabotare la pulsione sovranista. «Ma voi pensate davvero che il presidente della Repubblica e i poteri che rappresenta – scrive Conditi su “Come Don Chisciotte” – si siano realmente preoccupati della grande esperienza di questo arzillo professore che nella sua vita, pur avendo vissuto all’interno delle istituzioni, ha manifestato qualche opinione critica verso l’euro senza aver mai denunciato il sistema del debito?».
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L’Italia ultimo baluardo di una Germania ormai accerchiata
Si fa sempre più concitata la situazione in Italia ed in Europa, sintomo che la rottura dei vecchi equilibri è vicina. Domenica 27 maggio, il presidente della Repubblica ha posto il veto alla nomina dell’euroscettico Paolo Savona al ministero dell’economia, affossando così il fragile governo M5S-Lega: nonostante l’incarico per la formazione di un nuovo esecutivo sia stato assegnato all’ex-Fmi Carlo Cottarelli, è ormai inevitabile che la XVIII legislatura volga velocemente al termine, presumibilmente nel prossimo autunno. Si potrebbe addirittura dire che la mossa di Mattarella sia un clamoroso regalo allo schieramento M5S-Lega, che consentirà ai populisti di galvanizzare l’elettorato e fare il pieno di voti alle urne. Sullo scenario italiano e sulla sua collocazione nel più ampio contesto internazionale, avevamo scritto 48 ore prima che Mattarella, con una mossa inaspettata, stroncasse sul nascere il governo Conte: in particolare, sottolineavamo come il governo M5S-Lega fosse stato assemblato dagli angloamericani per scardinare l’Eurozona monopolizzata da Berlino, spingendola ad abbandonare la moneta unica.Una Germania, dicevamo, che continua a trarre enormi benefici dalla moneta unica ma, anziché impegnarsi nel progetto europeo, si sta sempre più allontanando dall’orbita atlantica per avvicinarsi alle grandi potenze euroasiatiche. Cina e Russia. Lasciando intatto l’impianto analitico, non resta che incardinare gli ultimi sviluppi. Partiamo con la figura del presidente della Repubblica. Sergio Mattarella entra al Quirinale nel febbraio 2015, quando Palazzo Chigi è occupato da Matteo Renzi, l’Eliseo da François Hollande, Downing Street “dall’europeista” David Cameron, la Casa Bianca da Barack Obama, la Cancelleria Federale da Angela Merkel e la Bce da Mario Draghi. Quasi nessuno dei suddetti politici è più in carica. In questi ultimi due anni, l’Occidente è stato investito dall’ondata “populista” che ha spinto l’Inghilterra fuori dall’Unione Europea (ponendo così fine alla carriera di Cameron), l’euroscettico Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca e Matteo Renzi è stato travolto alle politiche dello scorso marzo. All’Eliseo si è invece insediato l’ex-Rothschild Emmanuel Macron che, curiosamente, ha sviluppato un strettissimo legame con Trump, posizionando la Francia su posizioni rigorosamente atlantiche (si pensi al recente bombardamento tripartito della Siria).Sono sopravvissuti, faticosamente, solo in due, gli ultimi custodi del vecchio ordine euro-atlantico in fase di profonda ristrutturazione: Angela Merkel e Mario Draghi. La cancelliera ed il governatore della Bce sono accomunati da una peculiarità: entrambi hanno legato il proprio nome alla sopravvivenza dell’euro. La prima, come si notò già durante la crisi greca del 2015, difendendo a spada tratta l’integrità dell’Eurozona; il secondo pronunciando il celebre “whatever it takes” che, nel bene e nel male, ha garantito la sopravvivenza dell’Eurozona per sei anni. Sono proprio la Merkel e Draghi ad avere esercitato le pressioni su Mattarella perché bloccasse la nomina a ministro dell’economia di Paolo Savona, riconducibile invece all’establishment anglosassone schierato su posizioni euro-scettiche (come la stessa Mediobanca cui Savona è da sempre vicino). Mattarella, anche con una certa coerenza con la sua carriera da democristiano di sinistra ed “europeista”, si è piegato alle richieste di Berlino, ponendo così il veto sul nome di Savona. La mossa è senza speranza e, più che altro, serve a testimoniare la sua personale volontà di difendere sino alla fine la moneta unica.La nomina di Cottarelli, destinata quasi certamente a naufragare, gonfia infatti ulteriormente le vele dei populisti, che marciano verso le prossime elezioni con certezza di vittoria: aumentanti ulteriormente i loro seggi parlamentari, potranno riproporsi al cospetto di Mattarella con qualsiasi lista di ministri, avendo la sicurezza che siano accettati, Savona compreso. Sempre che, ovviamente, l’82enne ex-protetto di Cossiga non sia destinato a incarichi ancora più prestigiosi del ministero dell’economia. Chiuse le urne e certificata la vittoria dei populisti, si porrà infatti il problema di Sergio Mattarella, il cui mandato si conclude formalmente nel 2022. Davvero qualcuno pensa che il presidente della Repubblica, già inimicatosi l’attuale Parlamento, possa sopravvivere al prossimo, spostato su posizioni ancora più intransigenti? No, la “Terza Repubblica” vorrà eleggere il proprio capo dello Stato, che dovrà soprattutto essere in sintonia con gli Stati Uniti di Trump e la Gran Bretagna post-Brexit: ecco perché non sarebbe azzardato scommettere sulla salita di Paolo Savona al Quirinale. Il veto di Mattarella è stato accolto con sollievo dalla stampa tedesca, che ha visto allontanare nell’immediato il rischio di un odiatissimo governo italiano “anti-europeista”. Chi, invece, aveva aperto al governo giallo-verde, usando toni concilianti che hanno sorpreso molti (ma non noi), è stata la Francia di Macron: “La mano tesa di Macron a Conte: impazienti di lavorare insieme”, titolava la “Repubblica” la sera del 25 maggio.L’apertura di Macron al governo giallo-verde si inquadra nella crescente convergenza tra Parigi e Washington, recentemente culminata con la visita di Macron alla Casa Bianca: Francia e Stati Uniti si stanno avvicinando anche in funzione anti-tedesca ed è questo il motivo per cui l’inquilino dell’Eliseo ha salutato con cordialità l’esecutivo giallo-verde. Tanto i francesi stanno rafforzano i legami con gli Usa e l’Inghilterra, tanto parallelamente si stanno allontanando dalla Germania: il gelo con cui i tedeschi hanno accolto le proposte con cui Macron intende riformare l’Eurozona, indica che il motore franco-tedesco appartiene ormai più all’immaginario che alla realtà. In definitiva, “l’accerchiamento” della Germania procede: gli angloamericani hanno già attirato dalla loro la Francia di Macron, lavorano per ricreare l’Intermarium a guida polacca e, col prossimo governo populista, aggiungeranno anche l’Italia allo schieramento anti-tedesco, mossa decisiva perché Roma è pur sempre un paese fondatore dell’Unione Europea. Il “tedesco” Sergio Mattarella sarà inesorabilmente destinato alle dimissioni nel nuovo contesto geopolitico. La fine dell’Eurozona, per come la conosciamo oggi, incombe: oltre Atlantico, si lavora perché sia Germanexit.(Federico Dezzani, “L’ultima resistenza del ‘filotedesco’ Mattarella. A grandi tappe verso l’accerchiamento della Germania”, dal blog di Dezzani del 28 maggio 2018).Si fa sempre più concitata la situazione in Italia ed in Europa, sintomo che la rottura dei vecchi equilibri è vicina. Domenica 27 maggio, il presidente della Repubblica ha posto il veto alla nomina dell’euroscettico Paolo Savona al ministero dell’economia, affossando così il fragile governo M5S-Lega: nonostante l’incarico per la formazione di un nuovo esecutivo sia stato assegnato all’ex-Fmi Carlo Cottarelli, è ormai inevitabile che la XVIII legislatura volga velocemente al termine, presumibilmente nel prossimo autunno. Si potrebbe addirittura dire che la mossa di Mattarella sia un clamoroso regalo allo schieramento M5S-Lega, che consentirà ai populisti di galvanizzare l’elettorato e fare il pieno di voti alle urne. Sullo scenario italiano e sulla sua collocazione nel più ampio contesto internazionale, avevamo scritto 48 ore prima che Mattarella, con una mossa inaspettata, stroncasse sul nascere il governo Conte: in particolare, sottolineavamo come il governo M5S-Lega fosse stato assemblato dagli angloamericani per scardinare l’Eurozona monopolizzata da Berlino, spingendola ad abbandonare la moneta unica.
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Foa e Mélenchon: umiliare l’Italia, il piano è euro-tedesco
«L’establishment europeista ha deciso di spezzare le reni all’Italia, come ha già fatto con la Grecia». Per Marcello Foa, lo scenario che si profila è il seguente: «Scatenare una crisi paurosa del debito pubblico italiano, spingendo lo spread a livelli mai visti». Ovvero: «Provocare il panico, fino al momento in cui l’Italia verrà commissariata e Mattarella invocherà per il bene supremo del paese la fiducia a Cottarelli (già in carica) e/o l’introduzione di misure straordinarie, come il rinvio sine die delle elezioni e la conseguente distruzione della reputazione e della popolarità di Salvini e di Di Maio, che verranno indicati come i responsabili di questa crisi». Se il piano avrà successo, aggiunge Foa sul “Giornale”, servirà da monito a tutti i paesi europei dove i movimenti “populisti” sono in ascesa. E comporterà la definitiva sottomissione dei popoli europei alle oligarchi. «Come dire: colpirne uno per educarne cento. Perché queste sono le logiche, indegne e autoritarie». Per questo motivo, sottolinea Foa, «opporsi è un dovere civico e morale: il piano deve fallire». In ogni caso, scrive Giampaolo Rossi sempre sul “Giornale”, proprio il capo dello Stato è al centro di questo incredibile «disastro istituzionale», che sta mettendo in pericolo l’Italia. La scena è eloquente: il paese è indifeso, con il presidente della Repubblica che si piega apertamente al potere – più forte – dei cosiddetti “mercati”.«Berlino fatica a formare il governo italiano»: così si esprime sulla situazione italiana il leader di ‘La France Insoumise’, Jean-Luc Mélenchon, attraverso un articolo sul suo blog. Con la lucidità che lo contraddistingue, rileva “L’Antidipliomatico”, l’esponente della gauche francese afferma: «La catastrofe è consumata, in Italia. Uno dei paesi fondatori dell’Unione Europea è stato colpito dai fulmini della Commissione Europea e dei suoi padroni berlinesi. L’Unione Europea ha mostrato il suo pugno di ferro. Piuttosto che avallare la nomina di un ministro delle finanze sconveniente per Berlino, il presidente della Repubblica italiana ha fatto terra bruciata». Estremamente esplicito il giudizio di Mélenchon sul ruolo svolto da Sergio Mattarella: «Il deplorevole presidente italiano – scrive il leader della sinistra francese – compie il suo ruolo con la consapevolezza rude di tutti i curatori fallimentari. Nomina un dirigente del Fondo Monetario Internazionale soprannominato ‘Mister Tagli’. Tutto è detto, con questo soprannome», che ben illustra le presunte virtù di Carlo Cottarelli. Rincara la dose Mélenchon: «Quali motivazioni ha, questo presidente, per compiere una tale violazione della volontà popolare espressa dal voto degli italiani?».«Il presidente italiano – continua Mélenchon – ha invocato, come argomento finale, il rischio di aumentare il divario tra i tassi di interesse tedeschi e italiani. Il guinzaglio, che tiene tutti i paesi per la gola». Come ai bei tempi dello Sme, il “serpente monetario” europeo, in cui «il valore della valuta di ciascun paese dell’Unione Europea era fisso rispetto a quello degli altri, e quindi del più forte». In questo momento, aggiunge il politico francese, «la moneta unica mostra chiaramente che cos’è: non protegge alcun paese, li allinea tutti sulla politica economica della Germania». Jean-Luc Mélenchon, infine, indica chi sono i veri responsabili di quella che si profila come la più grave crisi istituzionale italiana: «L’unica e sola responsabilità per la situazione viene dai dettami di Bruxelles e dalla brutalità dei governanti tedeschi. Berlino lotta per trovare burattini convincenti in Italia per garantirsi il suo dominio». Di fronte a questo, l’inquilino del Quirinale non ha opposto alcuna resistenza: ha anzi dichiarato apertamente, nel suo sconcertante discorso alla nazione, che all’Italia conviene piegarsi alla legge del più forte.«L’establishment europeista ha deciso di spezzare le reni all’Italia, come ha già fatto con la Grecia». Per Marcello Foa, lo scenario che si profila è il seguente: «Scatenare una crisi paurosa del debito pubblico italiano, spingendo lo spread a livelli mai visti». Ovvero: «Provocare il panico, fino al momento in cui l’Italia verrà commissariata e Mattarella invocherà per il bene supremo del paese la fiducia a Cottarelli (già in carica) e/o l’introduzione di misure straordinarie, come il rinvio sine die delle elezioni e la conseguente distruzione della reputazione e della popolarità di Salvini e di Di Maio, che verranno indicati come i responsabili di questa crisi». Se il piano avrà successo, aggiunge Foa sul “Giornale”, servirà da monito a tutti i paesi europei dove i movimenti “populisti” sono in ascesa. E comporterà la definitiva sottomissione dei popoli europei alle oligarchie. «Come dire: colpirne uno per educarne cento. Perché queste sono le logiche, indegne e autoritarie». Per questo motivo, sottolinea Foa, «opporsi è un dovere civico e morale: il piano deve fallire». In ogni caso, scrive Giampaolo Rossi sempre sul “Giornale”, proprio il capo dello Stato è al centro di questo incredibile «disastro istituzionale», che sta mettendo in pericolo l’Italia. La scena è eloquente: il paese è indifeso, con il presidente della Repubblica che si piega apertamente al potere – più forte – dei cosiddetti “mercati”.
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L’impresentabile Cottarelli, contro l’Italia che voleva Savona
L’Italia è vistosamente in subbuglio, dopo la decisione del presidente Mattarella di non consentire la nascita del “governo del cambiamento” bloccando – in modo controverso – la nomina di Paolo Savona, ministro designato all’economia. In attesa che si chiarisca il profilo giuridico della decisione, da più parti ampiamente contestata (fino alla possibile richiesta di impeachment nei confronti del capo dello Stato), emerge in mille rivoli un sentimento popolare che si sta rivelando maggioritario: l’amarezza per una decisione percepita come una beffa, uno schiaffo alla cosiddetta sovranità popolare. Eloquente lo stesso discorso del presidente della Repubblica dopo il licenziamento di Giuseppe Conte: impossibile nominare un ministro che rischi di irritare i mercati finanziari privati, da cui ormai dipende la finanza pubblica. A questo è ridotta la sovranità democratica, in nome della quale si chiede ai cittadini di partecipare alle elezioni? Di fatto, il capo dello Stato ha compiuto un’azione che secondo molti osservatori non ha precedenti, imponendosi sui partiti eletti nel bocciare un candidato ministro per le sue idee politiche. E come se nulla fosse accaduto, mentre il paese intero si interroga sul proprio destino, un tecnocrate del Fondo Monetario Internazionale accetta con la massima disinvoltura l’incarico di presidente del Consiglio.