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Buoni e Cattivi, la fiaba della guerra per il Fatto Quotidiano
«Uno spettro si aggira in Medio Oriente. E’ quello della tentazione. La tentazione, cioè, della guerra. Non più “prove di Terza Guerra Mondiale”, come è stato detto. Lo scenario è drammatico, i primi a capirlo sono i mercati finanziari che infatti hanno cominciato a soffrire». A scrivere è Leonardo Coen, sul “Fatto Quotidiano”, all’indomani del raid missilistico ordinato da Trump sulla base area siriana da cui, secondo gli Usa, sarebbero decollati aerei con bombe al gas Sarin destinate a far strage della popolazione di Idlib. Non ci sono ancora prove certe: per il “Fatto Quotidiano” non è importante? Poi, continua Coen, «ad inquietare e ricordare come certe situazioni di oggi assomiglino molto all’inanità del 1938 verso Hitler e alle sue mire d’espansione, c’è il silenzio di Cina ed Europa, che sembrano convitati di pietra». Suggestivo parallelismo: il giornalista del “Fatto” paragona nientemeno che Adolf Hitler, fondatore del nazismo e capo dell’allora maggior potenza militare europea, al presidente di un piccolo paese mediorientale come la Siria, che – come è a tutti noto (tranne che al “Fatto Quotidiano”?) – da cinque anni tenta di sopravvivere all’assalto di sanguinarie milizie terroriste finanziate e protette dall’Occidente.Cina ed Europa, i “convitati di pietra”, secondo Coen «si accontentano di formali condanne appellandosi ai diritti umani». Mosca e Washington? «Per ora si confrontano, ma ancora non si affrontano. Non possono. E’ un braccio di ferro troppo rischioso. E forse, sia per gli Stati Uniti, sia per la Russia, è venuto il tempo di liquidare il dittatore di Damasco e il suo regime criminale». Voilà: il presidente (eletto) diventa “dittatore”, naturalmente a capo di un “regime criminale”: nulla a che vedere con gli altri regimi, amici dell’Occidente, notoriamente campioni in tema di diritti umani: Giordania, Arabia Saudita, Qatar, Turchia e via inorridendo. Ma forse non è il caso di ricordarlo ai lettori del “Fatto”. Meglio il perfido Bashar Assad, che «per la Russia, è un alleato che la scredita e la impiomba». E per l’America, è «l’occasione buona per ricollocarsi in Medio Oriente, e dimostrare che non si è abbassata la guardia». Ricollocarsi in Medio Oriente? Viene da chiedersi dove fosse, Leonardo Coen, quando si scatenavano le “rivoluzioni colorate” in tutti i paesi arabi dopo lo storico discorso di Obama al Cairo. Dov’era, Coen, quando gli americani spianavano la Libia e facevano scannare Gheddafi? Non l’hanno vista, alla redazione del “Fatto”, la foto-ricordo di John McCain in Siria, in intimità con il “califfo” Al-Baghdadi?La narrazione che il “Fatto” offre in questo caso sembra di tipo lunare, genere fantasy. «Così, Trump minaccia. E agisce. Putin minaccia, ma non può agire. Entrambi, giocano una mano di poker: per capire chi bluffa di più. Il magnate americano rischia il salto nel buio. Putin sventola il pericolo del suo “ombrello” militare in Siria. La flotta del Mar Nero è in preallarme. Quella del Baltico, pure. I missili di Kaliningrad, l’enclave russa tra Polonia e Lituania – cioè in piena Unione Europea – sono puntati sulle capitali del Vecchio Continente. L’Alleanza Atlantica è già in allerta». E’ tutto vero, naturalmente. Ma è come spiegare la pioggia senza citare le nuvole. Primo round: nel 2013 gli Usa cercano di far cadere Assad per poter poi minacciare direttamente l’Iran, ma Putin glielo impedisce schierando la flotta russa a difesa della Siria. Secondo round: Washington “risponde” organizzando il golpe in Ucraina con l’intento di sfrattare Mosca dal Mar Nero, ma – di nuovo – Putin riesce a tenersi la Crimea. Terzo round: furioso per le sconfitte a catena, Obama dispone un mostruoso dispiegamento militare in Est Europa a ridosso della frontiera russa, senza precedenti nella storia recente. Al che, ai russi non resta – come contromossa difensiva – che la base missilistica di Kalilingrad. Missili russi puntati sull’Europa? Mai quanto quelli che l’America ha puntato contro la Russia, trasformando la Romania in una rampa di lancio. Possibile che ai lettori del “Fatto” non interessi?«In verità», continua Coen, «Trump ha riscoperto – o meglio, il Pentagono – il ruolo di gendarme globale degli Stati Uniti». Trump, il Pentagono: i Buoni. E Putin, il Cattivo? «E’ rimasto platealmente vittima delle sue ambizioni imperiali», scrive Coen, come se, evidentemente, le uniche “ambizioni imperiali” ammissibili – e davvero imperiali, lontane mille miglia dalle proprie frontiere – fossero quelle americane. Il presidente russo è rimasto addirittura «invischiato nelle complesse trame che ha tessuto per riassegnare al suo paese il ruolo di superpotenza perduto dopo la caduta del Muro di Berlino e lo sbriciolamento dell’Unione Sovietica». Non si premura di rammentare ai suoi lettori, il giornalista del “Fatto”, che – prima di mettere il naso fuori dalla Russia – Putin ha dovuto innanzitutto spegnere l’incendio della Cecenia, acceso dalla Cia, e poi quello dell’Ossezia del Sud, devastata dalla Georgia su mandato di George W. Bush. Due focolai micidiali: uno nella Federazione Russa, l’altro sulla porta di casa. Succedeva nel 2008: non così tanto tempo fa, specie se si hanno a cuore le fatali vicende del lontano 1938.“Il Fatto”, però, non è prodigo di spiegazioni. Sembra preferire il racconto lineare, unilaterale e semplificato, rassicurante. «In apparenza, dunque, l’imprevedibile Donald ha cambiato di colpo tattica nei confronti dell’amico Vladimir. E ha ritirato la mano tesa, che tanto aveva turbato i sonni dei patrioti Usa». I missili di Trump, continua Coen, «hanno sparigliato le carte della grande partita internazionale: il mondo si è diviso in due, come ai tempi della Guerra Fredda. “Sostegno totale” degli alleati degli Stati Uniti. Condanna dei suoi avversari. Le cancellerie hanno rispolverato il lessico dei blocchi contrapposti». Leonardo Coen sembra pefettamente al corrente dell’accaduto: «Assad, insistono i russi, è innocente (per forza: sono loro che l’armano e lo proteggono). I gas, una balla. I russi negano l’evidenza e le testimonianze: tutto il mondo ha visto gli effetti del gas. E questo li ha moralmente isolati». Ecco, infatti: tutto il mondo ha visto gli effetti dei gas, ma nessuno al mondo, per ora, può provare che li abbia sganciati Assad. Solo che, a quanto pare, l’identità del vero killer non è importante. Nemmeno se, come già accadde nel 2013, poi si scoprisse che l’assassino non è “il dittatore”, ma i suoi avversari?«Certo – concede Coen – la politica e la guerra se ne fregano dell’etica e della morale. Ma al tempo dell’informazione istantanea e globale, la menzogna tanto può essere utile – vedi in caso di elezioni – quanto può diventare micidiale, con le immagini cruente ed atroci dei bimbi sarinizzati». Vero, anche questo: tutto dipende però da chi la impugna, “la menzogna”. Quanto al «nuovo repentino cambio d’atteggiamento di Trump», anche su questo Leonardo Coen ha le idee chiarissime: il presidente americano «ha dovuto arrendersi allo stato delle cose: gli interessi geopolitici Usa non collimano con quelli russi». Perlomeno, «non fin quando al Cremlino ci sarà il clan putiniano, nemico della libertà d’opinione, e il potere resterà saldo in mano agli ex uomini del Kgb». E così l’album dei Cattivi è al completo. E se i russi – quasi 150 milioni di persone – sostengono all’85% un capoclan del Kgb, significa semplicemente che sono cretini? Centocinquanta milioni di cretini?Ma non è tutto: Coen informa i suoi lettori che «Trump ha cozzato contro il mondo reale: quello dei fatti, non delle verità truccate dal suo guru Stephen Bannon, ed ex direttore del sito dell’ultradestra suprematista Breitbart News, messo (finalmente) in un angolo». Bannon, altro membro d’onore del club dei Cattivi, era – per inciso – lo stratega della distensione con Mosca: via lui, infatti, ecco i missili (buoni, ovviamente). Ma, “sistemato” Bannon, l’offensiva (giornalistica) nei confronti di Putin non è ancora esaurita: «Pensava di essere il più astuto del reame, di poter contare per quel che riguardava la Siria di una certa libertà di manovra, forte anche del fatto che in Occidente c’erano movimenti estremisti anti-Ue a lui favorevoli. Invece – scrive Coen – è rimasto intrappolato dalla sua sicumera». Ben gli sta: «I gas che hanno ammazzato decine di bimbi a Khan Sheikhoun hanno dissipato in pochi minuti il paziente lavorìo militare e diplomatico del presidente russo». Non solo: «Persino il nuovo alleato turco Erdogan lo ha clamorosamente contraddetto, invocando addirittura la collera di Allah per l’ignobile azione attribuita ad Assad, o a qualche suo generale, il che non cambia la sostanza». Erdogan, cioè la Turchia (Nato) che ha protetto l’Isis nell’invasione della Siria: nemmeno questo ai lettori interessa?In più, Coen esibisce altre granitiche certezze sul bombardamento con i gas: «Gli americani avevano acquisito le prove – stavolta non inventate da Bush e Blair come al tempo della guerra in Iraq ma documentate dai satelliti – che l’attacco chimico proveniva da un aereo siriano». Le prove, ecco: ma dove sono? Ok, le hanno “acquisite gli americani”. Come le altre volte, in Siria e in Iraq? No, stavolta sono prove vere, “documentate dai satelliti”. Garantisce il “Fatto Quotidiano”. Che si diverte, ancora, a spese di Putin: mentre i Buoni “acquisivano le prove”, dunque, «lo zar si affannava a dire che si trattava di “fake news”, di balle». Chiosa Coen: «Beffardo contrappasso, l’ex tenente colonnello del Kgb che denuncia la disinformatija americana…». E ancora: «Assad è il responsabile di tutto ciò». Chi lo sostiene? Lo dicono «all’unisono» Hollande e la Merkel. Una garanzia: Hollande ha silenziato le indagini su Charlie Hebdo imponendo il segreto militare, dopo che erano emersi collegamenti tra il commando dell’Isis e i servizi francesi, mentre la Merkel, risultata coinvolta nel golpe neonazista di Kiev, ha approvato il piano Obama per militarizzare le frontiere europee con la Russia.«I missili Usa – scrive ancora Coen – sono “un avvertimento”, e pure una forma di “condanna” del “regime criminale” di Assad». La situazione: «Con Washington stanno Arabia Saudita e Giappone, Israele offre il suo “totale” sostegno, sperando che “questo messaggio forte” possa essere inteso da Teheran e da Pyongyang, ha dichiarato il premier Benyamin Netanyahu», campione del mondo in carica riguardo all’uso di armi di distruzione di massa sulla popolazione civile, il fosforo bianco sganciato su Gaza (oltre 1.300 morti, secondo l’Onu, inclusi donne e bambini). E la Turchia, cioè la base logistica settentrionale dell’operazione-Isis contro Damasco? «Ankara vorrebbe una zona “d’esclusione aerea” in Siria, considera che i missili siano stati una buona medicina». Meglio tornare al lessico calcistico: «Il Pentagono ha battuto il Cremlino? La “punizione” americana per la strage provocata dall’attacco chimico che ha un valore soprattutto dimostrativo, trova consenso nella pubblica opinione statunitense e anche in quella mondiale, scossa dall’atrocità del tiranno di Damasco. Assad si è scavato la fossa». Vinceranno i Buoni, è ovvio. E buonanotte, a tutti i lettori. Sogni d’oro.«Uno spettro si aggira in Medio Oriente. E’ quello della tentazione. La tentazione, cioè, della guerra. Non più “prove di Terza Guerra Mondiale”, come è stato detto. Lo scenario è drammatico, i primi a capirlo sono i mercati finanziari che infatti hanno cominciato a soffrire». A scrivere è Leonardo Coen, sul “Fatto Quotidiano”, all’indomani del raid missilistico ordinato da Trump sulla base area siriana da cui, secondo gli Usa, sarebbero decollati aerei con bombe al gas Sarin destinate a far strage della popolazione di Idlib. Non ci sono ancora prove certe: per il “Fatto Quotidiano” non è importante? Poi, continua Coen, «ad inquietare e ricordare come certe situazioni di oggi assomiglino molto all’inanità del 1938 verso Hitler e alle sue mire d’espansione, c’è il silenzio di Cina ed Europa, che sembrano convitati di pietra». Suggestivo parallelismo: il giornalista del “Fatto” paragona nientemeno che Adolf Hitler, fondatore del nazismo e capo dell’allora maggior potenza militare europea, al presidente di un piccolo paese mediorientale come la Siria, che – come è a tutti noto (tranne che al “Fatto Quotidiano”?) – da cinque anni tenta di sopravvivere all’assalto di sanguinarie milizie terroriste finanziate e protette dall’Occidente.
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Trump disperato bombarda Assad, ma le vittime siamo noi
Cinquantanove missili Tomahawk contro la base aerea siriana da cui l’Occidente sostiene, senza alcuna prova, che sia partito l’attacco col gas Sarin che il 4 aprile ha ucciso un’ottantina di civili nella città di Idlib. Ancora una volta, annota Giampiero Venturi sul newmagazine “Difesa Online”, l’unica fonte è lo screditatissimo “Osservatorio siriano per i diritti umani”, noto per sfornare “fake news” da un minuscolo ufficio di Coventry, nel Regno Unito, gestito da una sola persona, in contatto con l’intelligence occidentale che, da ormai cinque anni, sta manipolando forze sul terreno siriano per tentare di rovesciare il governo di Bashar Assad. Sulla vicenda dell’attacco con i gas pesa il terribile precedente del 2013, quando Obama fu a un passo dal bombardamento, dopo aver incolpato da Siria per l’attacco chimico a Ghouta, alla periferia di Damasco, che poi l’Onu chiarì che fu scatenato dai miliziani ostili ad Assad. Stavolta, la Casa Bianca non ha atteso indagini e (dopo aver avvertito i russi) il 7 aprile ha bombardato la base di Ash Shayrat, uccidendo militari siriani. Autorevoli analisti americani, come Paul Craig Roberts, già da tempo avvertono che Donald Trump sarebbe caduto nelle mani dell’establishment neocon, cresciuto con Bush ma rimasto saldamente al potere con Obama e la Clinton: è il partito della guerra, che vive di armamenti e maxi-finanziamenti all’intelligence, per i quali è necessario un “nemico” che giustifichi la spesa.La mossa americana sembra originata dalla lucida disperazione di Trump, completamente isolato sul piano della politica interna: demonizzato dalla potentissima lobby Obama-Clinton, incalzato dalle false notizie sui presunti rapporti privilegiati con Mosca e costretto persino a rimangiarsi la solenne promessa di smontare la riforma sanitaria Obamacare. Trump ha l’aria di essere in un vicolo cieco: per cercare di tenere a bada il vero potere, non esita a ricorrere ai missili: non più solo una minaccia, ma ormai un fatto, destinato a intimidire anche la Corea del Nord e l’Iran, paese impegnato – insieme ai russi e ai libanesi di Hezbollah – a sostenere anche militarmente il regime di Assad, contro il quale cospirano incessantemente la Turchia, Israele, gli Emirati come il Qatar e l’Arabia Saudita, con azioni clandestine e illegali – armamento ai miliziani, protezione tattica e logistica – sotto la supervisione della Nato, che ha garantito la supremazia dell’Isis fino all’intervento dell’aviazione russa disposto da Vladimir Putin. L’attacco coi gas, destinato a rovinare Assad preparando il blitz missilistico – secondo lo stesso Venturi aveva due obbiettivi: rimuovere dall’opinione pubblica internazionale l’impatto del devastante attentato terroristico inferto alla Russia a San Pietroburgo e seppellire l’immagine del governo Assad, che – con l’aiuto di Mosca – in Siria sta ormai vincendo la guerra contro i terroristi armati dall’Occidente.Un conferma indiretta dell’entità reale del pericolo viene dai media mainstream, che continuano – in coro – a raccontare il contrario della verità. Nessuno dei grandi giornali e dei maggiori network televisivi ricostruisce l’origine della crisi siriana, emblematizzata da una foto eloquente: quella del senatore John McCain, inviato speciale di Obama, ripreso in Siria in compagnia del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, leader dell’Isis, stranamente scarcerato dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, nel 2009. Da allora, il progetto Isis – perfettamente funzionale al “partito della guerra” – ha infettato l’intero Medio Oriente, fino alla Libia, da cui partirono armi chimiche destinate alla “resistenza” siriana per ordine di Hillary Clinton. Contro questo establishment “nero”, Donald Trump giocò una parte importante della sua campagna elettorale: più che Assad mi preoccupa l’Isis, disse. Ma oggi i missili li ha scagliati contro Assad, non contro l’Isis, ben sapendo che non sono gli amici di Assad, ma quelli dell’Isis, a minacciare il suo futuro alla Casa Bianca.A questi “amici”, Trump ha gettato un osso decisivo, il generale Michael Flynn, considerato una “colomba”, fautore della distensione con la Russia, sacrificato per tentare di placare il “partito della guerra”. Errore fatale, secondo Craig Roberts: è un po’ come illudersi di potersi sbarazzare della mafia pagando il pizzo; se cedi anche una sola volta, vieni percepito come “debole” e verrai assediato fino alla capitolazione. In alternativa, sempre secondo questo ragionamento, Trump potrebbe “salvarsi” nel modo più semplice: allineandosi completamente ai neocon e preparandosi ad eseguire i loro diktat. Per esempio, con una grandinata di missili Tomahawk sulla testa dei siriani, sapendo benissimo che non c’è nessuna prova che siano stati loro a colpire la popolazione di Idlib con i gas. Gli osservatori indipendenti più scettici su Trump l’avevano detto quasi subito: il neopresidente non ha la stoffa per difendersi dal nemico interno, in un sistema che appare irrimediabilmente inquinato. Lo dimostra l’esito delle primarie dei democratici: aveva vinto Sanders, ma a è stato tolto di mezzo ricorrendo a brogli. Il “partito della guerra” puntava su Hillary Clinton. Ha perso, ma non sa perdere. E così “costringe” alla guerra Trump. Oggi contro Assad, domani contro Putin, cioè l’uomo che ha demolito l’Isis in Siria, infliggendo una sconfitta bruciante al “partito della guerra”. Siamo tutti in pericolo? A quanto pare, sì: dai media è letteralmente scomparsa la verità, che – come è noto – è la prima vittima di qualsiasi guerra. La cattiva notizia è che quella in corso, fondata sulla menzogna sistematica, è una guerra innanzitutto contro di noi.Cinquantanove missili Tomahawk contro la base aerea siriana da cui l’Occidente sostiene, senza alcuna prova, che sia partito l’attacco col gas Sarin che il 4 aprile ha ucciso un’ottantina di civili nella città di Idlib. Ancora una volta, annota Giampiero Venturi sul newmagazine “Difesa Online”, l’unica fonte è lo screditatissimo “Osservatorio siriano per i diritti umani”, noto per sfornare “fake news” da un minuscolo ufficio di Coventry, nel Regno Unito, gestito da una sola persona, in contatto con l’intelligence occidentale che, da ormai cinque anni, sta manipolando forze sul terreno siriano per tentare di rovesciare il governo di Bashar Assad. Sulla vicenda dell’attacco con i gas pesa il terribile precedente del 2013, quando Obama fu a un passo dal bombardamento, dopo aver incolpato da Siria per l’attacco chimico a Ghouta, alla periferia di Damasco, che poi l’Onu chiarì che fu scatenato dai miliziani ostili ad Assad. Stavolta, la Casa Bianca non ha atteso indagini e (dopo aver avvertito i russi) il 7 aprile ha bombardato la base di Ash Shayrat, uccidendo militari siriani. Autorevoli analisti americani, come Paul Craig Roberts, già da tempo avvertono che Donald Trump sarebbe caduto nelle mani dell’establishment neocon, cresciuto con Bush ma rimasto saldamente al potere con Obama e la Clinton: è il partito della guerra, che vive di armamenti e maxi-finanziamenti all’intelligence, per i quali è necessario un “nemico” che giustifichi la spesa.
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Navi e missili, e se questa guerra ora ci esplode addosso?
Giochi di guerra, sempre più pericolosi, a cui il mondo sembra assistere in modo apatico e distratto. Alla vigilia delle elezioni presidenziali, Washington non fa che alzare la posta, contro Mosca, da quando Putin ha osato opporsi alla demolizione della Siria dopo aver assistito a quella della Libia. La situazione sembra stia rapidamente precipitando, in uno scenario in cui i media russi parlano apertamente del rischio di una guerra nucleare, la Casa Bianca minaccia di colpire la Russia anche con un attacco cibernetico e il Cremlino spedisce nel Mediterraneo la più potente flotta da guerra mai uscita in missione dai tempi dell’Urss. E un grande giornalista come Robert Fisk sospetta che l’improvvisa liberazione di Mosul decisa dagli americani “serva” a trasferire in Siria i miliziani jihadisti: «L’esercito siriano, Hezbollah e gli alleati iraniani si stanno preparando a una a massiccia invasione di migliaia di “Isis fighters” che saranno cacciati dall’Iraq dopo la caduta di Mosul», scrive Fisk sull’“Independent”. «Il sospetto dell’esercito siriano è che il vero scopo, dietro la tanto strombettata “liberazione” della città irachena programmata dagli Usa, sia quello di sommergere la Siria con orde di combattenti Isis che devono abbandonare le loro capitale irachena per raggiungere la loro “mini-capitale” Raqqa all’interno della Siria stessa».E’ come se si stesse rapidamente scivolando verso il baratro: lo si capisce dalla successione degli eventi che affollano la stampa mainstream, e meglio ancora dal preciso monitoraggio offerto dal blog “Come Don Chisciotte”, che presenta lo stesso reportage di Fisk insieme a molti altri retroscena. Su “Zero Hedge”, Tyler Durden rivela che, secondo un diplomatico Nato, la Russia sta schierando nel Mediterraneo orientale la più grande forza navale dalla fine della guerra fredda, capitanata dalla portaerei Admiral Kuznetsov: oltre ai caccia Mig-29 e Sukhoi Su-33, secondo l’agenzia Tass l’ammiraglia imbarca midiciali elicotteri d’attacco come i Ka-52 Alligator, cioè la massima dotazione dell’armamento convenzionale russo, con il quale Putin proverà a chiudere la partita con l’Isis in Siria: «Vedremo un crescendo di attacchi aerei su Aleppo come parte di una strategia della Russia che vuol dichiarare vittoria», secondo la Nato. «Intensificare una campagna aerea su Aleppo orientale, dove sono intrappolate 275 mila persone, potrebbe ulteriormente peggiorare i legami tra Mosca e l’Occidente», secondo la fonte diplomatica. «Questo assalto dovrebbe essere sufficiente per consentire una strategia di uscita della Russia, se Mosca dovesse ritenere che Assad sia ormai abbastanza stabile per sopravvivere da solo».Proprio l’andamento della guerra in Siria, paese largamente riconquistato dalle forze governative dopo la discesa in campo di Mosca, sembra preoccupare i protettori occulti dell’Isis, cioè gli Stati Uniti, che hanno appoggiato sottobanco le milizie “islamiste” soprattutto attraverso l’Arabia Saudita, il Qatar e, fino a ieri, la Turchia. La Russia è sotto pressione, a partire dal golpe in Ucraina con la destabilizzazione dei confini e la rivolta del Donbass. Quello che Obama non perdona a Putin – da qui le sanzioni autolesionistiche che l’Ue è stata costretta ad adottare – è il fatto di aver osato reagire al colpo di Stato a Kiev riappropriandosi della Crimea, strategica per il controllo del Mar Nero. Una partita a scacchi: persa la Crimea, l’Occidente ha puntato tutto sull’Isis in Siria fino a minacciare la sopravvivenza di Assad. E il nuovo intervento difensivo russo, a sostegno di Damasco, è stato ancora una volta coronato dal successo. Nei piani del Cremlino, l’attacco finale su Aleppo dovrebbe disarticolare definitivamente le milizie dell’Isis, mandando all’aria i piani dei “signori della guerra” che, a partire dalla demolizione dell’Iraq, hanno continuamente gettato benzina sul fuoco in tutta la regione, sfruttando il conflitto tra sciiti e sunniti.Il pericolo cresce, quanto più si avvicina la possibile vittoria di Putin – inaccettabile, per Obama, specie alla vigilia delle elezioni, su cui incombe la “minaccia” di Trump, l’outsider che promette di porre fine alla “guerra permanente” in Medio Oriente. Così, “Nbc News” avverte che «la Cia si prepara a un possibile attacco cibernetico contro la Russia». Interrogato in proposito da Chuck Todd a “Meet the press”, il vicepresidente Joe Biden conferma: gli Usa colpiranno. «Ne abbiamo le capacità», ha detto. E l’attacco «avverrà nel momento che riteniamo opportuno e sotto le circostanze che giudichiamo garantire il maggiore impatto», come riferisce Michael Snyder su “The Economic Collapse”. In più, la “Reuters” afferma che Obama sta contemplando l’ipotesi di «un intervento militare americano diretto» contro obiettivi militari siriani, ben sapendo che i russi hanno già messo in chiaro che reagiranno coi loro missili a qualunque aggressione diretta contro le forze di Assad. Nelle televisioni moscovite, intanto, si ricomincia a parlare apertamente di rifugi antiatomici. E il Mediterrano si va riempiendo di navi da guerra, armate con testate di ogni tipo.Giochi di guerra, sempre più pericolosi, a cui il mondo sembra assistere in modo apatico e distratto. Alla vigilia delle elezioni presidenziali, Washington non fa che alzare la posta, contro Mosca, da quando Putin ha osato opporsi alla demolizione della Siria dopo aver assistito a quella della Libia. La situazione sembra stia rapidamente precipitando, in uno scenario in cui i media russi parlano apertamente del rischio di una guerra nucleare, la Casa Bianca minaccia di colpire la Russia anche con un attacco cibernetico e il Cremlino spedisce nel Mediterraneo la più potente flotta da guerra mai uscita in missione dai tempi dell’Urss. E un grande giornalista come Robert Fisk sospetta che l’improvvisa liberazione di Mosul decisa dagli americani “serva” a trasferire in Siria i miliziani jihadisti: «L’esercito siriano, Hezbollah e gli alleati iraniani si stanno preparando a una massiccia invasione di migliaia di “Isis fighters” che saranno cacciati dall’Iraq dopo la caduta di Mosul», scrive Fisk sull’“Independent”. «Il sospetto dell’esercito siriano è che il vero scopo, dietro la tanto strombettata “liberazione” della città irachena programmata dagli Usa, sia quello di sommergere la Siria con orde di combattenti Isis che devono abbandonare le loro capitale irachena per raggiungere la loro “mini-capitale” Raqqa all’interno della Siria stessa».
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Il Tpi: Milosevic innocente, estraneo alle stragi in Bosnia
Presentato come il Macellaio dei Balcani, paragonato a Hitler, destituito e demolito insieme alla Jugoslavia, quindi arrestato e lasciato marcire per cinque anni nel carcere olandese dove poi è morto, l’11 marzo 2006. Salvo poi “scoprire”, adesso, che il leader serbo Slobodan Milosevic non era il responsabile dei crimini di guerra commessi in Bosnia dal 1992 al 1995. L’orrendo massacro della guerra civile bosniaca, dice oggi il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, fu organizzato dalle milizie serbo-bosniache dello “psichiatra pazzo” Radovan Karadzic, arrestato nel 2008 e condannato a 40 anni di pena per il genociodio di Sbrebrenica, nonché per crimini di guerra e crimini contro l’umanità durante l’assedio di Sarajevo e le altre campagne di pulizia etnica contro i civili non serbi. Il principale esecutore delle “operazioni”, il generale Ratko Mladic, è stato estradato in Olanda nel 2011, presso il tribunale occidentale che adesso – a cinque anni dalla strana morte di Milosevic, vittima di un malore – dichiara che il leader di Belgrado non ha mai promosso né avallato le missioni di sterminio. Al contrario: secondo il Tpi, Milosevic avrebbe fatto di tutto per frenare Karadzic e Mladic.Interrogando Karadzic, i giudici hanno appurato che «il rapporto tra Milosevic e l’accusato si era deteriorato a partire dal 1992», scrive “InSerbia.info”, riportando stralci degli atti processuali. Se all’inizio Belgrado appoggiava i serbo-bosniaci per evitare che la secessione della Bosnia-Erzegovina (dopo quelle di Slovenia e Croazia) frantumasse definitivamente la Jugoslavia, a partire dal 1992 Milosevic si è opposto al progetto della Repubblica Serbia di Bosnia, caldeggiato da Karadzic e Mladic: «Non possiamo prenderci quello che non è nostro», disse Milosevic al leader serbo-bosniaco. Emerge inoltre la preoccupazione di Milosevic per il ricorso alla violenza nei confronti dei civili: «Tutte le componenti, compresa quella musulmana, devono essere protette». Per il leader serbo, l’obiettivo numero uno era «porre fine alla guerra», ripristinando in Bosnia un equilibrio tra le diverse etnie. A massacri compiuti, durante colloqui ufficiali con funzionari governativi, Milosevic ribadì seccamente la sua opinione: «Il più grande errore dei serbo-bosniaci è stato quello di volere una completa sconfitta dei musulmani di Bosnia». Per questo, Belgrado ridusse progressivamente il suo sostegno ai serbo-bosniaci, premendo perché accettassero i piani di pace.«Prima lo ammazzano e poi lo scagionano», commenta Francesco Santoianni su “L’Antidiplomatico”, puntando il dito contro il Tpi, un apparato «elefantiaco» (1200 dipendenti), nato come organo giudiziario delle Nazioni Unite. «Costituendosi come parte civile nel processo contro Karadzic – spiega Santoianni – gli eredi di Milosevic sono riusciti ad ottenere una sentenza che, se pur indirettamente, scagiona Slobodan Milosevic dalle accuse per le quali era stato arrestato». La corte di giustizia ha affidato le indagini a un gruppo di lavoro diretto dal professor Cees Wiebes dell’Università di Amsterdam, che in un rapporto di circa 7.000 pagine, reso pubblico nel giugno di quest’anno, scagiona Milosevic. Lo stesso Santoianni denuncia il silenzio dei media mainstream di fronte alla notizia, che smentisce di colpo la colossale montatura, basata su calunnie e orchestrata dai media, per annientare la Serbia e il suo leader. Stampa occidentale assolutamente reticente? «Non me ne meraviglio – scrive Santoianni – considerando il livello che ha raggiunto l’“informazione”, e che ha fatto sì che a diffondere questa notizia siano stati siti serbi o russi. Una delle poche eccezioni è costituita dal sito del giornale inglese del “Guardian”».Anche per Giulietto Chiesa, «è comprensibile che tutti tacciano» sulla riabilitazione di Milosevic. Tutti i grandi media del mondo, cioè «coloro che in un coro unanime lo definirono il “macellaio dei Balcani”; coloro che lo paragonarono a Hitler, iniziando la serie che sarebbe poi continuata con Saddam Hussein, con Muhamar Gheddafi, e che vorrebbero continuare con Bashar el Assad». Ed è altrettanto comprensibile, aggiunge Chiesa su “Megachip”, che tacciano «le cancellerie occidentali, in specie quella americana, che vollero la fine della Jugoslavia e la fine di Milosevic». Possono farlo, tecnicamente, perché la “riabilitazione” formale di Slobodan Milosevic non c’è ancora stata: «La sentenza che la contiene è quella che ha portato lo stesso tribunale a condannare a 40 anni di reclusione Radovan Karadzic. Dunque bisogna leggere quella lunghissima sentenza per scoprire che Milosevic non fu colpevole delle accuse per cui passò in prigione gli ultimi cinque anni della sua vita, da tutti esecrato. Il trucco è tutto qui». La sentenza contro Karadzic risale al 24 marzo di quest’anno. «Siamo quasi alla metà di agosto e tutto il mainstream mondiale non si è accorto di niente. Oppure ha ritenuto utile non accorgersi di niente».Così, continua Chiesa, «tutti i leader occidentali non sono costretti a chiedere scusa, alla Jugoslavia, alla Serbia, ai popoli europei ignari». In realtà, «a ben vedere, toccherebbe a loro adesso sedere sul banco degl’imputati. Infatti, nella sua sentenza del 24 marzo, il tribunale che processò Milosevic dice che “non è soddisfatto dell’insufficiente prova che Milosevic fu favorevole” al piano di espulsione dei musulmani bosniaci e dei croato-bosniaci dal territorio della Bosnia preteso dai serbi». La stessa sentenza, a più riprese, ribadisce – citando documenti – l’esistenza di divergenze sostanziali tra Milosevic e Karadzic in diversi passaggi cruciali della tragica crisi. Milosevic si oppose alla decisione della costituzione della “Repubblica Srpskaja”. «E tante altre circostanze, ora scoperte, rivelano quello che coloro che volevano sapere già sapevano: e cioè che Milosevic, fino alla fine, cioè fino all’inizio dei bombardamenti della Nato sulla Serbia, aveva cercato un accordo con gli occidentali e che fu la signora Albright che decise che quell’accordo non dovesse essere siglato».«Cinque anni di prigione – gli ultimi della sua vita – furono decisi nelle capitali europee e americana in spregio a ogni giustizia, in nome del sopruso con cui lo stato Jugoslavo venne fatto a pezzi», scrive Chiesa. «E la sua morte in carcere avvenne in circostanze estremamente sospette e particolarmente disumane. Ufficialmente ebbe un attacco di cuore. Ma esso arrivò due settimane dopo che il Tribunale gli aveva negato il permesso di essere curato in Russia, come aveva chiesto. Morì nella sua cella, l’ex presidente jugoslavo, tre giorni dopo che il suo avvocato aveva inviato una sua lettera al ministro degli esteri russo, in cui diceva di temere di essere avvelenato». Adesso, conclude Chiesa, «sappiamo quale fu la “giustizia” che quel tribunale perseguiva: quella dei vincitori. Scagiona ora Milosevic, ma tiene nascosta la sua decisione. Non è una distrazione. Il giudice che ha presieduto il processo contro Karadzic, il coreano O-Gon Kwon, era anche tra i giudici che stavano processando Milosevic, prima che morisse. Costui conosceva tutti gli atti di entrambi i processi. Adesso non resta che chiedersi chi paga il suo stipendio e quello dei suoi onorati colleghi».Sempre “InSerbia.info”, una delle fonti della notizia proveniente dall’Aja, sostiene che valga la pena di ricordare, ancora, le strane circostanze della morte di Milosevic, nella sua cella del carcere Tpi a Schevenigen. Da un prelievo eseguito il 12 gennaio 2006, nel sangue del detenuto era stata rilevata una sostanza come la rifampicina, un antibiotico che può provocare pericolose crisi respiratorie. L’esito non fu rivelato al paziente fino al 3 marzo,«a causa della posizione giuridica difficile in cui il dottor Falke (responsabile medico del tribunale) si trovò in virtù delle disposizioni di legge olandesi in materia di segreto medico». La presenza di Rifamicin (farmaco non prescritto) nel sangue di Milosevic «avrebbe contrastato il farmaco contro l’alta pressione che stava prendendo, aumentando così il rischio di un attacco di cuore. Quello che alla fine l’ha ucciso. «Tutto questo – conclude “InSerbia.info” – dà luogo al fondato sospetto che potenti interessi geopolitici preferirono che Milosevic morisse prima della fine del suo processo, dato il “rischio” di vederlo assolto, una volta smontate le menzogne dell’accusa». Anche per questo, forse, per la cattura di Karadzic e Mladic si attese la morte di Milosevic.L’Uomo Nero? Era innocente. Presentato come il Macellaio dei Balcani, paragonato a Hitler, considerato alla stregua di Bin Laden, Saddam, Gheddafi. Quindi destituito e demolito insieme alla Jugoslavia. Arrestato come un criminale e lasciato marcire per cinque anni nel carcere olandese dove poi è morto, l’11 marzo 2006. Salvo poi “scoprire”, adesso, che il leader serbo Slobodan Milosevic non era il responsabile dei crimini di guerra commessi in Bosnia dal 1992 al 1995. L’orrendo massacro della guerra civile bosniaca, dice oggi il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, fu organizzato dalle milizie serbo-bosniache dello “psichiatra pazzo” Radovan Karadzic, arrestato nel 2008 e condannato a 40 anni di pena per il genocidio di Sbrebrenica, nonché per crimini di guerra e crimini contro l’umanità durante l’assedio di Sarajevo e le altre campagne di pulizia etnica contro i civili non serbi. Il principale esecutore delle “operazioni”, il generale Ratko Mladic, è stato estradato in Olanda nel 2011, presso il tribunale occidentale che adesso – a cinque anni dalla strana morte di Milosevic, vittima di un malore – dichiara che il leader di Belgrado non ha mai promosso né avallato le missioni di sterminio. Al contrario: secondo il Tpi, Milosevic avrebbe fatto di tutto per frenare Karadzic e Mladic.
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Italia in guerra in Libia? Ora aspettiamoci i nostri Bataclan
Aspettiamoci pure il nostro Bataclan: arriverà presto, grazie all’appoggio dell’Italia ai bombardamenti americani sulla Libia. Lo sostiene Massimo Fini, che accusa gli Stati Uniti: «Prima costituiscono in Libia un governo fantoccio, quello di Al-Sarraj, che fino a poco tempo fa era così ben visto dalla popolazione libica che era costretto a starsene, con i suoi ministri, su un barcone imboscato nel porto di Tripoli. Adesso che questo governo ha ottenuto l’appoggio della fazione di Misurata, ma non quello del governo antagonista di Tobruk e tantomeno delle altre mille milizie che agiscono in Libia, gli Stati Uniti gli han fatto chiedere il loro soccorso. Qualcosa che somiglia molto alla richiesta di ‘aiuto’ dei paesi fratelli quando l’Urss invadeva l’Ungheria e la Cecoslovacchia che erano insorte contro i governi filosovietici». Secondo gli americani, i loro raid su Sirte e altrove saranno “di precisione”. «Speriamo che non abbiano gli stessi effetti dei ‘missili chirurgici’ e delle ‘bombe intelligenti’ usati nella prima Guerra del Golfo del 1990», replica Fini, ricordando che in quella guerra, secondo dati ufficiali del Pentagono, morirono 167.000 civili, tutti arabi, fra cui 48.000 donne e 32.195 bambini.Naturalmente, Al-Sarraj s’è affrettato ad assicurare che il suo governo respinge qualsiasi intervento straniero senza la sua autorizzazione. «Il fantoccio di Tripoli – scrive Fini sul “Fatto Quotidiano”, in un articolo ripreso da “Come Don Chisciotte” – sa benissimo che una guerra aperta e dichiarata alla Libia compatterebbe tutti i libici di qualsiasi fazione», grazie all’orgoglio nazionale. «E questo andrebbe a tutto vantaggio dell’Isis, che è il gruppo più forte, meglio armato, più determinato, che in breve tempo ingloberebbe anche le altre milizie». Ma ciò che dice al-Sarraj «è una barzelletta a cui è difficile credere, sia perché ciò che nega è già avvenuto, sia perché è alle dirette dipendenze del governo americano a cui è legata la sua sopravvivenza». Sicché, «gli Usa faranno quello che vorranno», e inoltre «sul terreno sono già presenti truppe speciali americane, inglesi e francesi». Dopo aver raso al suolo il regime di Gheddafi – contro gli interessi dell’Italia – trasformando la Libia in un inferno terroristico, adesso la ri-bombardano, continua Fini. «Non c’è niente da fare, passano gli anni e i decenni ma noi non riusciamo a liberarci della pelosa tutela dell’‘amico amerikano’».Nel 1999, ricorda il giornalista, partecipammo all’aggressione alla Serbia (gli aerei americani partivano da Aviano), guerra anche questa a cui l’Onu s’era dichiarata contraria. E anche con la Serbia noi italiani avevamo solidi rapporti di amicizia che risalivano addirittura ai primi del ‘900, quando a Belgrado si pubblicava un quotidiano intitolato “Piemonte”: «I serbi infatti vedevano nell’Italia che si era da poco unita un esempio per conquistare la propria indipendenza sotto le forme di una monarchia costituzionale». Non era obbligatorio aderire alla guerra anti-serba, aggiunge Fini, «tant’è che la piccola Grecia, che fa parte anch’essa della Nato, si rifiutò di parteciparvi». Adesso è il turno della Libia, secondo round. E noi «saremo costretti a fornire la nostra base di Sigonella dove sono presenti una dozzina di droni e di caccia americani. Bel colpo». Finora il governo Renzi, seguendo la linea di Angela Merkel, si era tenuto prudentemente ai margini del caos mediorientale, «e per questo l’Isis non aveva colpito né noi né i tedeschi (gli attentati terroristici in Germania sono stati fatti da psicopatici, sulle cui azioni poi l’Isis ha messo il cappello)». Adesso, invece, «dovremo attenderci anche in Italia attacchi dell’Isis che più viene colpita in Medio Oriente e più, logicamente, porta la guerra in Europa. Vedremo come reagiranno le mamme italiane quando avremo anche noi i nostri Bataclan».Aspettiamoci pure il nostro Bataclan: arriverà presto, grazie all’appoggio dell’Italia ai bombardamenti americani sulla Libia. Lo sostiene Massimo Fini, che accusa gli Stati Uniti: «Prima costituiscono in Libia un governo fantoccio, quello di Al-Sarraj, che fino a poco tempo fa era così ben visto dalla popolazione libica che era costretto a starsene, con i suoi ministri, su un barcone imboscato nel porto di Tripoli. Adesso che questo governo ha ottenuto l’appoggio della fazione di Misurata, ma non quello del governo antagonista di Tobruk e tantomeno delle altre mille milizie che agiscono in Libia, gli Stati Uniti gli han fatto chiedere il loro soccorso. Qualcosa che somiglia molto alla richiesta di ‘aiuto’ dei paesi fratelli quando l’Urss invadeva l’Ungheria e la Cecoslovacchia che erano insorte contro i governi filosovietici». Secondo gli americani, i loro raid su Sirte e altrove saranno “di precisione”. «Speriamo che non abbiano gli stessi effetti dei ‘missili chirurgici’ e delle ‘bombe intelligenti’ usati nella prima Guerra del Golfo del 1990», replica Fini, ricordando che in quella guerra, secondo dati ufficiali del Pentagono, morirono 167.000 civili, tutti arabi, fra cui 48.000 donne e 32.195 bambini.
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Lo 007 confessa: la Turchia dietro la strage di Bruxelles
I servizi segreti turchi dietro alla strage di Bruxelles? A lanciare direttamente la pista di Ankara, coinvolgendo nientemeno che il presidente Erdogan, sono i “nemici” storici della Turchia, i curdi, in questo caso affiancati da un paese come la Russia, anch’essa entrata in rotta di collisione coi turchi dopo l’abbattimento di un bombardiere Sukhoi impegnato nell’unica efficace campagna militare finora condotta in Siria contro l’Isis. Un impegno, quello russo, che ha preso in contropiede l’Occidente e ha oltretutto permesso di giungere alla denuncia, documentata, del supporto turco allo Stato Islamico attraverso basi logistiche alla frontiera e soprattutto il contrabbando di petrolio. La Turchia sul banco degli imputati ora anche per le bombe esplose a Bruxelles? La notizia la fornisce il 24 marzo Nahed Al Husaini, corrispondente da Damasco del sito statunitense di contro-informazione “Veterans Today”: intercettazioni russe avrebbero portato alla cattura, da parte dei miliziani curdi, di un responsabile dell’intelligence di Ankara. L’uomo avrebbe confessato che gli attentati di Bruxelles sarebbero stati progettati a Raqqah su ordine di Erdogan.«Le forze popolari curde che combattono in Siria hanno oggi [24 marzo] catturato un alto funzionario dei servizi segreti turchi che, “sottoposto ad interrogatorio”, ha coinvolto il presidente Erdogan», scrive “Veterans Today” in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «A Veterans Today – aggiunge Nahed Al Husaini – è stato dato accesso alle confessioni registrate che hanno rivelato il ruolo del Mit (Milli Istihbarat Teskilati, l’intelligence turca) nelle esplosioni di Bruxelles ed i piani per effettuare ulteriori attacchi in Europa. Il “funzionario sospetto” ha confessato il suo ruolo nella pianificazione – a Raqqah – dell’attacco di Bruxelles, in collaborazione con l’Isis». L’informazione che ha portato alla cattura del funzionario, scrive “Veterans Today”, deriva da un’intercettazione effettuata dai russi: le forze di Mosca non sarebbero state direttamente coinvolte nell’operazione, ma si presume che unità di “Spetsnaz”, i corpi speciali russi, potrebbero essere state messe a disposizione dei curdi, come supporto.Secondo le affermazioni estorte al funzionario catturato, i servizi segreti turchi gestirebbero un centro di pianificazione operativa collocato in un complesso sotterraneo di Raqqah, la “capitale” del Califfato in Siria. «Il centro, costruito al di sotto di un impianto di atletica, contiene scorte di armi chimiche e biologiche, tra le quali il gas sarin, il virus per l’influenza suina e tonnellate di materiali per la produzione di altri tipi di gas», scrive ancora Nahed Al Husaini. «Gli Stati Uniti, coordinandosi con l’unità siriana “Tigre”, colpirono quel complesso nell’ottobre del 2014, nell’ambito di una di quella mezza dozzina di operazioni altamente segrete effettuate congiuntamente. L’operazione portò alla cattura di alcuni ufficiali del Qatar, dell’Arabia Saudita e della Turchia». “Veterans Today” dichiara di aver ricevuto un resoconto dell’interrogatorio da Haissam Bou Said, segretario generale del Desi, Dipartimento sicurezza e informazioni per l’Europa, secondo cui «dietro agli orribili attentati suicidi c’è proprio il Mit».Sempre secondo questa fonte, «alcune cellule terroristiche turche erano state impiantate anni fa in Europa, in collaborazione con un’infrastruttura del crimine organizzato attiva nel traffico degli esseri umani e della droga, al lavoro con gruppi israeliani e sauditi per effettuare attacchi terroristici “false flag”», cioè “sotto falsa bandiera”, secondo il copione (italiano) della “strategia della tensione”. Il presidente turco Erdogan, sempre secondo la fonte di “Veterans Today”, avrebbe introdotto le cellule terroristiche addestrate dal Mit «nascondendole all’interno del flusso di profughi, attentamente orchestrato, per poi indirizzarle presso le comunità della criminalità turca, con sede in Germania, Belgio e Olanda». Per l’intelligence Usa, «da oltre un decennio la criminalità organizzata turca è concentrata a Monaco di Baviera, che è il “ground zero” per gli attacchi terroristici che dovrebbero colpire gli Stati Uniti alla vigilia delle prossime elezioni presidenziali».Da anni, il presidente turco è al centro di crescenti polemiche, anche per via del giro di vite autoritario sulla stampa nazionale, che ha portato giornalisti in carcere. Contestato da più parti anche la violenza della repressione interna affidata alla polizia, Erdogan ha tentato di coinvolgere la Nato nello scontro con la Russia, con l’abbattimento del jet di Mosca. Ma non è tutto: nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi scrive che lo stesso Erdogan è affiliato alla superloggia segreta “Hathor Pentalpha”, fondata dai Bush. Si tratta di un club super-massonico internazionale definiti “del sangue e della vendetta”, di cui farebbero parte anche Tony Blair, inventore del falso storico delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, e il francese Sarkozy, protagonista della guerra in Libia contro Gheddafi. La “Hathor Pentalpha” avrebbe avuto un ruolo di primo piano nel maxi-attentato dell’11 Settembre, per poi lasciare la propria “firma” anche nell’Isis, acronimo che richiama la dea egizia Iside, chiamata anche Hathor.I servizi segreti turchi dietro alla strage di Bruxelles? A lanciare direttamente la pista di Ankara, coinvolgendo nientemeno che il presidente Erdogan, sono i “nemici” storici della Turchia, i curdi, in questo caso affiancati da un paese come la Russia, anch’essa entrata in rotta di collisione coi turchi dopo l’abbattimento di un bombardiere Sukhoi impegnato nell’unica efficace campagna militare finora condotta in Siria contro l’Isis. Un impegno, quello russo, che ha preso in contropiede l’Occidente e ha oltretutto permesso di giungere alla denuncia, documentata, del supporto turco allo Stato Islamico attraverso basi logistiche alla frontiera e soprattutto il contrabbando di petrolio. La Turchia sul banco degli imputati ora anche per le bombe esplose a Bruxelles? La notizia la fornisce il 24 marzo Nahed Al Husaini, corrispondente da Damasco del sito statunitense di contro-informazione “Veterans Today”: intercettazioni russe avrebbero portato alla cattura, da parte dei miliziani curdi, di un responsabile dell’intelligence di Ankara. L’uomo avrebbe confessato che gli attentati di Bruxelles sarebbero stati progettati a Raqqah su ordine di Erdogan.
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Mini: tutto quello che non ci dicono, sul Califfo Al-Baghdadi
Mentre Russia e Turchia si scambiano insulti e accuse è tornata di moda la madre di tutte le accuse: il sedicente Califfo Al-Baghdadi sarebbe il prodotto “involontario” del sistema di detenzione adottato dagli americani. Avrebbe ideato e creato il mostro Isis sotto il naso dei suoi secondini. La tesi è suggestiva, ma non convince. Su Al-Baghdadi si sa poco o nulla e la stessa ex moglie appena liberata in Libano dopo uno scambio di prigionieri con Al Nusra ha dichiarato: «Dicono che sono la moglie ma io non lo so. Ho divorziato da mio marito sette anni fa», (2008?) «e non era quello che è ora». C’è da crederle. Perchè l’alternativa è credere alle biografie più o meno ufficiali e più o meno fantasiose che in realtà sembrano riferirsi a persone diverse. Prima della guerra Al-Baghdadi era forse un introverso imam in una piccola moschea di provincia, forse era un impiegato di bassa categoria, forse un ladruncolo di periferia. Un compagno all’università islamica lo definisce “insignificante”.Questo profilo collima con la descrizione dei guardiani del campo di detenzione statunitense di Camp Bucca che lo ebbero ospite nel 2004. Secondo i registri del Pentagono la Commissione di revisione e rilascio lo propose per la liberazione alla fine dello stesso anno in quanto “prigioniero di basso livello”. Altre fonti, tra cui le dichiarazioni del colonnello Kenneth King già comandante di Camp Bucca affermano che Al-Baghdadi fu detenuto dal 2005 al 2009. Nei centri di detenzione come Camp Bucca e Camp Addler stazionavano comuni cittadini, delinquenti e attivisti islamici. Al-Baghdadi non sembrava appartenere a questi ultimi. Tuttavia in quel periodo nasceva l’esigenza americana di organizzare milizie sunnite per contrastare il nascente potere sciita in Iraq. Furono addestrati centinaia di ex miliziani, militari ed ex agenti segreti di Saddam Hussein. Nei luoghi di detenzione furono reclutati jihadisti, mercenari e soprattutto sunniti in funzione antisciita.Inoltre, una buona parte degli internati iracheni rilasciati dalle commissioni di verifica furono arruolati nelle file degli stessi gruppi di fuoco e d’informatori al servizio degli americani o delle compagnie private di sicurezza. Di fatto, quando gli americani iniziarono a sostenere e organizzare le bande anti Assad in Siria, alcuni gruppi jihadisti come Al Nusra si trovarono mescolati ai militari siriani defezionisti, ai ribelli organizzati e ad altri gruppi di tagliagole. Non è detto che avessero un centro comune al quale rispondere, ma non era neppure necessario. Avevano l’addestramento per fare da soli in nome di chiunque. Se Al-Baghdadi non fu arruolato e indottrinato non si capisce cosa gli abbiano dato da mangiare, bere e fumare perché improvvisamente un predicatore da quattro soldi o un oscuro impiegato diventa un genio.Si dice che nel 2006 (mentre era in galera) fosse membro del comitato sharia dei Mujiaheddin dell’Msc che in quell’ anno divenne Isi: emanazione di al Qaeda e futuro Isis o Isil. Probabilmente esercitava l’autorità all’interno dello stesso campo di detenzione. Forse era un abile mediatore e doppiogiochista. Comunque era un fenomeno. Una volta uscito, questo Al-Baghdadi assunse la direzione dell’Isi. Dal 2010 organizzò e diresse centinaia di attacchi terroristici, sfidò apertamente l’autorità di al Qaeda, assorbì i foreign fighters di Al Nusra e combattè contro le odiate milizie sciite di Muqtada al Sadr. Fu dato per assassinato nel 2012, ma le stesse autorità irachene lo smentirono. Nel 2014 cacciò da Raqqa la fazione di Al Nusra ancora fedele ad Al Qaeda e si proclamò Califfo. Apparentemente fece tutto da solo. La moglie ha ragione, non è lui.(Fabio Mini, “Cosa non sappiamo del Califfo”, dal “Fatto Quotidiano” del 5 dicembre 2015, intervento ripreso da “Megachip”).Mentre Russia e Turchia si scambiano insulti e accuse è tornata di moda la madre di tutte le accuse: il sedicente Califfo Al-Baghdadi sarebbe il prodotto “involontario” del sistema di detenzione adottato dagli americani. Avrebbe ideato e creato il mostro Isis sotto il naso dei suoi secondini. La tesi è suggestiva, ma non convince. Su Al-Baghdadi si sa poco o nulla e la stessa ex moglie appena liberata in Libano dopo uno scambio di prigionieri con Al Nusra ha dichiarato: «Dicono che sono la moglie ma io non lo so. Ho divorziato da mio marito sette anni fa», (2008?) «e non era quello che è ora». C’è da crederle. Perchè l’alternativa è credere alle biografie più o meno ufficiali e più o meno fantasiose che in realtà sembrano riferirsi a persone diverse. Prima della guerra Al-Baghdadi era forse un introverso imam in una piccola moschea di provincia, forse era un impiegato di bassa categoria, forse un ladruncolo di periferia. Un compagno all’università islamica lo definisce “insignificante”.
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L’Onu: Israele collabora con l’Isis. Vuole il petrolio del Golan
Un colonnello israeliano catturato in Iraq con miliziani dell’Isis, e un dossier ufficiale dell’Onu che denuncia il ruolo di Israele nel supporto al Califfato. Motivo? Mettere le mani sul petrolio siriano, dopo che la società Genie Energy, in cui figura anche Dick Cheney, ha scoperto nel Golan un immenso giacimento. Ma nulla di tutto ciò affiora sui media mainstream, protesta il professor William Engdhal, consulente strategico e docente universitario negli Usa. Clamorosa la cattura dell’ufficiale israeliano, il colonnello Yusi Oulen Shahak, sorpreso “a brache calate assieme all’Isis” dall’esercito iracheno. Secondo l’agenzia iraniana “Fars”, l’ufficiale era legato al “Battaglione Golani” dell’Isis, insieme a cui l’ufficiale avrebbe «partecipato alle operazioni terroristiche della fazione takfirita» dei miliziani jihadisti. Dal 30 settembre, cioè «da quando sono iniziati gli efficaci bombardamenti russi», scrive Engdhal, sono emersi dettagli sempre più imbarazzanti sul «ruolo alquanto sporco» giocato da Washington, dalla Turchia di Erdogan e anche da Israele. Già a fine 2014 il “Jerusalem Post” aveva scoperto un rapporto delle Nazioni Unite «largamente ignorato e politicamente esplosivo», che descrive come l’esercito israeliano sia stato visto cooperare con i combattenti dell’Isis.La missione Undof, cioè la forza di peacekeeping dell’Onu stanziata al confini tra Israele e Siria presso le Alture del Golan dal 1974, ha rivelato che «Israele ha collaborato strettamente con le forze terroriste di opposizione siriane», incluso il fronte Al-Nusra (Al-Qaeda) e lo Stato Islamico, «mantenendo stretti contatti negli ultimi 18 mesi». In un servizio su “Journal-Neo” tradotto da “Come Don Chisciotte”, Engdhal scrive che diventa sempre più chiaro che almeno una fazione dell’amministrazione Obama ha “fabbricato” e usato l’Isis per cacciare Assad e demolire la Siria, riducendola come la Libia. Sulla lista nera, «i neocon che ruotano attorno all’ex direttore della Cia, nonché boia della resistenza irachena, il generale David Petraeus», e il generale John Allen, già inviato speciale di Obama per la coalizione anti-Isis, nonché l’ex segretario di Stato Hillary Clinton. Il generale Allen, sostenitore della “no-fly zone” tra Siria e Turchia (che Obama ha respinto) è stato significativamente rimosso il 23 ottobre, dopo l’avvio dei bombardamenti russi. Ma è altrettanto importante il ruolo di Israele: «E’ ormai consolidato che il Likud di Netanyahu e le forze armate israeliane lavorino a fianco ai guerrafondai neocon, così come lo è l’opposizione del primo ministro Benjamin Netanyahu all’accordo di Obama sul nucleare iraniano», scrive Engdhal.«Israele considera Hezbollah, il partito islamico sciita appoggiato dall’Iran, con sede nel Libano, come il nemico principale». Alleato dell’Iran (e di Hamas a Gaza), Hezbollah combatte a fianco all’esercito siriano contro l’Isis in Siria. Fino a ieri, il Califfato ha potuto espandere il suo controllo proprio grazie al generale Allen. E non solo: accanto all’Isis c’era sempre anche Israele. «Almeno dal 2013 – continua Engdhal – le forze armate israeliane hanno apertamente bombardato quelli che ritenevano fossero gli obiettivi di Hezbollah in Siria. Un’indagine ha infatti rivelato come Israele stesse colpendo le forze armate siriane e alcuni obiettivi di Hezbollah che stavano efficacemente contrastando l’Isis e altri gruppi terroristi. In questo modo Israele sta attualmente aiutando di fatto l’Isis», così come i bombardamenti anti-Isis del generale Allen, protratti per un anno. «Che una fazione del Pentagono abbia lavorato in segreto per addestrare, armare e finanziare quella che oggi chiamiamo Isis (o Is) in Siria, è oggi provato nero su bianco», spiega Engdhal. Nell’agosto del 2012, un documento del Pentagono classificato come “segreto”, poi successivamente desecretato sotto la pressione dell’Ong “Judicial Watch”, ha descritto con precisione la nascita di quello che è diventato in seguito l’Isis, sorto dallo Stato Islamico dell’Iraq, quindi affiliato ad Al-Qaeda.Il documento del Pentagono riportava che «c’è la possibilità di impiantare un’entità statale salafita nella Siria orientale (Hasaka e Der Zor), e questo è esattamente ciò che vogliono le potenze che sostengono l’opposizione ad Assad, al fine di isolare il regime siriano, considerato l’avamposto strategico dell’espansione sciita». Sul banco degli imputati, insieme agli Usa, anche il Qatar, la Turchia, l’Arabia Saudita. E, dietro le quinte, Israele. «La creazione di “un’entità salafita nella Siria orientale,” oggi territorio dell’Isis, era nell’agenda di Petraeus, del generale Allen e di altri al fine di distruggere Assad», prosegue Engdhal. «E’ questo che porta l’amministrazione Obama in stallo con la Russia, la Cina e l’Iran, riguardo alla bizzarra richiesta Usa di rimuovere Assad prima che venga distrutto l’Isis». Questo gioco, continua l’analista, è oggi alla luce del sole. «E mostra al mondo la doppiezza di Washington nell’appoggiare quelli che la Russia definisce correttamente “terroristi moderati” contro un Assad regolarmente eletto». E lo Stato ebraico? «Che Israele si trovi inoltre in mezzo alla tana di ratti delle forze di opposizione terroristiche in Siria è stato confermato nel recente rapporto dell’Onu. Ciò che il rapporto non menzionava era invece il perché Israele avesse un interesse così forte per la Siria, specialmente per le alture del Golan»Già: perché Israele vuole rimuovere Assad? I documenti Onu, di cui il mainstream continua a non parlare, mostrano come le forze armate israeliane abbiano tenuto contatti regolari con membri del cosiddetto Stato Islamico fin dal maggio 2013. L’Idf, l’esercito israeliano, ha dichiarato che simili contatti ci sono stati “solo per fornire cure mediche a civili”, ma l’inganno «è stato svelato quando gli osservatori dell’Undof hanno accertato contatti diretti tra forze dell’Idf e soldati dell’Isis, fornendo anche assistenza medica a combattenti dello Stato Islamico». Il rapporto delle Nazioni Unite identifica ciò che i siriani hanno definito un “crocevia di movimenti di truppe tra l’Idf e l’Isis”, argomento che l’Undof – 1.200 osservatori sul campo – ha portato davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. A partire dal 2013 e dall’escalation di attacchi israeliani contro la Siria lungo le Alture, ufficialmente per ricercare “terroristi di Hezbollah”, la stessa Undof è soggetta a massicci attacchi da parte dei terroristi dell’Isis e di Al-Nusra. Si registrano anche rapimenti, omicidi, furti di materiale e munizioni Onu, di veicoli e di altri beni, nonché il saccheggio e la distruzione delle varie strutture.Il Golan – ricco di giaciementi di petrolio – pare sia l’obiettivo a cui punta Netanyahu, che ha chiesto a Obama «di riconsiderare il fatto che Israele ha illegalmente occupato una parte delle alture», a partire dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967 tra Israele e i paesi arabi. Il 9 novembre Nethanyahu ha chiesto a Obama, apparentemente senza successo, di appoggiare formalmente l’annessione israeliana delle Alture del Golan illegalmente occupate, sostenendo che l’assenza di un governo siriano funzionante “dà luogo a diverse valutazioni” riguardo al futuro di quell’area così strategicamente importante. «Certamente – aggiunge Engdhal – Netanyahu non ha dato nessuna spiegazione plausibile sul fatto che le forze israeliane, assieme ad altre, sono state responsabili dell’assenza di un governo siriano funzionante a causa del loro supporto all’Isis ed al fronte qaedista Al-Nusra». Quando l’Undof ha iniziato a documentare nel 2013 i contatti sempre più frequenti tra l’esercito di Israele da una parte e l’Isis ed Al-Qaeda dall’altra lungo le Alture del Golan, la Genie Energy, una semi-sconosciuta compagnia petrolifera di Newark, nel New Jersey, assieme ad una sua controllata isreliana, la Afek Oil e Gas, iniziò a muoversi nelle Alture per delle esplorazioni petrolifere, col permesso del governo Netanyahu.Quello stesso anno, continua Engdhal, gli ingegneri dell’esercito di Israele sostituirono la recinzione di confine con la Siria, rimpiazzandola con una barriera dotata di filo spinato, sensori, radar e telecamere a infrarossi, come quelle del muro costruito da Israele lungo la West Bank palestinese. Yuval Bartov, geologo capo della controllata israeliana della Genie Energy, l’Afek Oil e Gas, ha annunciato alla Tv israeliana “Channel 2” che la sua compagnia ha scoperto un consistente giacimento petrolifero sulle Alture del Golan, profondo 350 metri: «A livello mondiale, i giacimenti hanno in media lo spessore di 20 o 30 metri, mentre questo è 10 volte più spesso», ha dichiarato Bartov. «Parliamo quindi di una quantità rilevante». Attenzione: nel vertice della Genie Energy siedono personaggi come Dick Cheney, ex vicepresidente Usa, e James Woosley, già direttore della Cia e famigerato neo-con. Con loro anche altre personalità di spicco, come quella di Lord Jacob Rothschild. «Nessuna persona sana di mente suggerirebbe che vi sia un legame tra i rapporti dell’esercito di Israele con l’Isis ed altri terroristi anti-Assad in Siria, specialmente lungo le alture del Golan, e la scoperta dei giacimenti da parte della Genie Energy nello stesso posto, o con i recenti appelli di Netanyahu al “ripensamento” sulle Alture del Golan ad Obama», conclude Engdhal. «Questo suonerebbe troppo simile ad una “teoria della cospirazione”, mentre tutte le persone ragionevoli sanno bene che non esistono cospirazioni ma solo coincidenze».Un colonnello israeliano catturato in Iraq con miliziani dell’Isis, e un dossier ufficiale dell’Onu che denuncia il ruolo di Israele nel supporto al Califfato. Motivo? Mettere le mani sul petrolio siriano, dopo che la società Genie Energy, in cui figura anche Dick Cheney, ha scoperto nel Golan un immenso giacimento. Ma nulla di tutto ciò affiora sui media mainstream, protesta il professor William Engdhal, consulente strategico e docente universitario negli Usa. Clamorosa la cattura dell’ufficiale israeliano, il colonnello Yusi Oulen Shahak, sorpreso “a brache calate assieme all’Isis” dall’esercito iracheno. Secondo l’agenzia iraniana “Fars”, l’ufficiale era legato al “Battaglione Golani” dell’Isis, insieme a cui l’ufficiale avrebbe «partecipato alle operazioni terroristiche della fazione takfirita» dei miliziani jihadisti. Dal 30 settembre, cioè «da quando sono iniziati gli efficaci bombardamenti russi», scrive Engdhal, sono emersi dettagli sempre più imbarazzanti sul «ruolo alquanto sporco» giocato da Washington, dalla Turchia di Erdogan e anche da Israele. Già a fine 2014 il “Jerusalem Post” aveva scoperto un rapporto delle Nazioni Unite «largamente ignorato e politicamente esplosivo», che descrive come l’esercito israeliano sia stato visto cooperare con i combattenti dell’Isis.
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Magaldi: dietro al terrore, menti massoniche e 007 traditori
«Le menti e le mani che hanno prima pianificato ed effettuato gli attentati a “Charlie Hebdo” e poi le terribili stragi di venerdì 13 novembre 2015 sono le stesse, identiche. E sono menti e mani che amano particolarmente le simbologie della tradizione esoterica e massonica occidentale… in modo impressionante», afferma Gioele Magaldi, segnalando una sinistra coincidenza storica: «Non ho ancora sentito nessuno, a livello di mainstream mediatico, ricordare che il venerdì 13 ottobre del 1307, proprio in Francia, il re Filippo il Bello ordinò l’arresto dei Templari. Da allora, quella data ha assunto una rilevanza fondamentale in determinati ambienti appunto esoterici e massonici, e persino nella produzione letteraria e filmografica». Autore del bestseller “Massoni. Società a responsabilità illimitata”, Magaldi ha denunciato già nel 2014 i piani criminali della superloggia “Hathor Pentalpha”, creata dai Bush reclutando anche leader come Blair, Sarkozy ed Erdogan per una sorta di strategia della tensione (mondiale) inaugurata l’11 Settembre con l’attacco alle Torri, che diede il via alla “guerra infinita”.«I tragici fatti di Parigi, sia del 7 gennaio che dello scorso 13 novembre 2015, sono anzitutto opera di coloro che hanno creato a tavolino prima Al Qaeda e poi l’Isis», insiste Magaldi, intervistato da Lorenzo Lamperti per “Affari Italiani”. «Chi ha voluto realizzare la strage di Parigi, facendola compiere proprio un venerdì 13, ha mandato un segnale preciso di natura infra-massonica». Magaldi, già “gran maestro” della loggia Monte Sion e poi leader del Grande Oriente Democratico, si riserva di spiegare in seguito di che “segnale infra-massonico” si tratti e perché, «al lume delle notizie riservate che mi sono pervenute», dice, «sia stato scelto egualmente l’autunno per questo attentato, ma non il mese di ottobre, bensì quello di novembre». Magaldi afferma di annoverare «diversi amici fraterni onesti e scrupolosi, tra i quadri e i dirigenti dei servizi d’intelligence (di diverse nazioni) operanti in Francia e in particolare a Parigi». Gli hanno “suggerito” che «senza una falla grossa come una casa nell’operato degli stessi servizi segreti occidentali e francesi (qualche agente infedele che, evidentemente, ha “collaborato” con i terroristi, tradendo con infamia i propri doveri e la propria dignità di uomo e di servitore dello Stato), quello che è accaduto venerdì 13 novembre non sarebbe mai potuto accadere».Troppo facile, il “lavoro” dei killer: «Ma stiamo scherzando? Terroristi che arrivano indisturbati a pochi passi da dove si muove il presidente della Repubblica e che vanno a fare il più atroce attentato in un locale che avrebbe dovuto essere scientificamente guardato a vista da servizi d’intelligence e sicurezza, in quanto già attenzionato in precedenza per possibili atti di terrorismo e violenza? Senza la connivenza di apparati deviati dell’intelligence militare e civile, tutto ciò non sarebbe stato assolutamente possibile». Puntuali, i riflessi politici dopo la strage: il procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Franco Roberti, ha detto che “dobbiamo esser pronti a cedere una parte delle nostre libertà” di comunicazione. Un Patriot Act all’italiana? «Se Franco Roberti si è espresso cosi, il Movimento Roosevelt, entità politica metapartitica da me presieduta, chiederà ufficialmente le sue dimissioni», avverte Magaldi. Dimissioni «per manifesta incompatibilità ideologica con i principi e i fondamenti di quelle istituzioni democratiche e liberali che egli, con le strutture da lui guidate, dovrebbe difendere dalle minacce del terrorismo e della malavita organizzata».Magaldi ricorda che il massone progressista Benjamin Franklin, uno dei massimi padri della nascita della prima Repubblica costituzionale e democratica al mondo, gli Stati Uniti d’America, soleva affermare: «Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza». E dire che la soluzione, quella vera, sarebbe a portata di mano: «Se solo si volesse (ma non si vuole, perché lo show del terrorismo hollywoodiano a cura dell’Isis fa comodo a molti), si dovrebbe procedere con un’azione militare poderosa, per via aerea ma soprattutto via terra, concertata tra tutte le maggiori potenze almeno nominalmente democratiche, preferibilmente sotto l’egida dell’Onu». Un’azione risoluta, «per spazzare via il cosiddetto Califfato dell’Isis dalla faccia della terra». Se solo si volesse, aggiunge Magaldi, in poco tempo i miliziani dell’Isis sarebbero travolti. «Solo che, per essere credibile, legittimato, giustificabile e ben accetto, al presente come per il futuro, un tale intervento militare, una volta conseguita la vittoria, dovrebbe essere seguito rapidamente e seriamente dalla costruzione di infrastrutture materiali e immateriali, culturali, istituzionali ed economiche».Se si vuole la pacificazione occorre un colossale investimento, quindi, per «trasformare quei territori martoriati medio-orientali (ora dominati dal Califfato) in società libere, democratiche, laiche, con un grande dispendio di risorse per aiutare la popolazione locale». Attenzione: «Non si tratta di fingere di “esportare la democrazia”, come volevano far credere all’opinione pubblica mondiale i farabutti massoni contro-iniziati che, tramite la superloggia sovranazionale Hathor-Pentalpha (si legga il primo volume della serie di “Massoni”, per capire di che si tratti), andarono a mettere a ferro e fuoco l’Iraq nei primi anni ‘2000 e altri territori in tempi successivi». Per Magaldi si tratta di costruirla davvero una vita democratica, libera, laica, pluralista e pacifica in quello che ora è l’habitat totalitario, integralista e ierocratico dell’Isis, ma anche nel resto del Medio Oriente. «E per farlo, occorre che i governi delle maggiori potenze democratiche mondiali collaborino con gli ambienti islamici più laici e moderati dell’area nord-africana e medio-orientale».C’è il rischio che ora, in Europa, prendano sempre più forza i populismi e gli estremismi, come Le Pen in Francia o Salvini in Italia? Falso allarme: «E’ uno spauracchio, questo della possibile avanzata dei movimenti populistici ed estremistici, agitato strumentalmente da coloro che poi, per far fronte a questa eventuale avanzata, propongono governi consociativi che, per loro natura, annullano la normale dialettica democratica tra forze politiche alternative». Governi consociativi come quello di Mario Monti, che poi favoriscono l’approvazione, quasi sempre con scarso dibattito politico-mediatico, di misure legislative contrarie all’interesse del popolo sovrano ma assai utili ad interessi privati sovranazionali e apolidi: «Si ricordi l’approvazione totalitaria e silenziata del funesto Fiscal Compact, ad opera del governo Monti, in Italia, e altri provvedimenti simili presi in tutta Europa». Magaldi non tifa certo per i populismi e gli estremismi, tanto più se di natura neo-nazionalistica, ma osserva che «i gruppi dirigenti di questi movimenti, solitamente, quando vanno al governo, si dimostrano del tutto docili e subalterni a quegli stessi poteri apolidi che di consueto si servono di maggioranze consociative e formalmente “moderate”».Magaldi punta il dito contro la regia occulta una certa massoneria internazionale, ma coi dovuti distinguo: «Non bisogna confondere il carattere cinico e apolide delle élites massoniche neoaristocratiche e reazionarie, cui mi sto riferendo, e che in alcuni loro segmenti sono responsabili dell’atroce strage di Parigi del 13 novembre scorso, dal positivo cosmopolitismo dei gruppi massonici progressisti, per i quali la patria non è la propria nazione, ma ogni luogo dove occorra combattere per la democrazia, la libertà e i valori racchiusi nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata all’Onu il 10 dicembre 1948, grazie al “matrocinio” della libera muratrice Eleanor Roosevelt». Proprio nel nome dei Roosevelt, Eleanor e il marito Franklin Delano, promotore del New Deal che resuscitò l’America dalla Grande Depressione sulla base delle ricette macro-economiche di un altro massone, il grande economista John Maynard Keynes, ha dato vita al suo movimento italiano. Missione: democratizzare la politica, sfidando l’egemonia culturale dell’élite che terremota gli Stati con “armi di distruzione di massa” come l’austerity, basata sul taglio dell’investimento pubblico per dare mano libera all’oligarchia finanziaria. Dietro all’economia c’è un vertice politico occulto, insiste Magaldi, dominato da elementi massonici di stampo neo-feudale. E’ un disegno preciso, che avanza tra macerie e vittime. E va fermato nel solo modo possibile: con la democrazia.«Le menti e le mani che hanno prima pianificato ed effettuato gli attentati a “Charlie Hebdo” e poi le terribili stragi di venerdì 13 novembre 2015 sono le stesse, identiche. E sono menti e mani che amano particolarmente le simbologie della tradizione esoterica e massonica occidentale… in modo impressionante», afferma Gioele Magaldi, segnalando una sinistra coincidenza storica: «Non ho ancora sentito nessuno, a livello di mainstream mediatico, ricordare che il venerdì 13 ottobre del 1307, proprio in Francia, il re Filippo il Bello ordinò l’arresto dei Templari. Da allora, quella data ha assunto una rilevanza fondamentale in determinati ambienti appunto esoterici e massonici, e persino nella produzione letteraria e filmografica». Autore del bestseller “Massoni. Società a responsabilità illimitata”, Magaldi ha denunciato già nel 2014 i piani criminali della superloggia “Hathor Pentalpha”, creata dai Bush reclutando anche leader come Blair, Sarkozy ed Erdogan per una sorta di strategia della tensione (mondiale) inaugurata l’11 Settembre con l’attacco alle Torri, che diede il via alla “guerra infinita”.
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Uranio e diamanti, gli Usa in Africa coi tagliagole Seleka
La scorsa settimana, decine di civili sono stati uccisi in scontri tra milizie cristiane e musulmane nella capitale della Repubblica Centrafricana, Bangui. L’ultimo ciclo di violenza è stato innescato dopo che un tassista musulmano è stato attaccato e decapitato da bande armate di machete. Fatto che a sua volta ha portato a rappresaglie contro le comunità cristiane. Il responsabile degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite Stephen O’Brien ha avvertito che il paese è sull’orlo del disastro, con più di 40.000 persone che hanno abbandonato la capitale nei giorni scorsi. In totale, circa 2,7 milioni di persone – la metà della popolazione – sono a rischio di essere tagliati fuori dagli aiuti umanitari da cui dipendono per la sopravvivenza. Il peggioramento del conflitto confessionale sta semplicemente rendendo troppo pericolosa l’opera delle agenzie di soccorso. A poter aggiungere benzina a questa crisi è la rivelazione della scorsa settimana che forze speciali Usa sono in collegamento con una delle milizie nella Repubblica Centrafricana.Il gruppo con il quale le forze Usa hanno instaurato un collegamento è conosciuto come i ribelli Seleka, i cui membri sono a maggioranza musulmana. Negli ultimi due anni, i Seleka si sono impegnati in una guerra di bassa intensità con la fazione cristiana rivale “anti-Balaka” in una lotta di potere per il controllo del paese. La Repubblica Centrafricana è ricca di oro, diamanti, legname e uranio. Lo Stato, senza sbocco al mare, ha una massa equivalente a quella della sua ex potenza coloniale francese, ma una popolazione inferiore al 10% della Francia. Dall’ottenimento dell’indipendenza dalla Francia nel 1960, il paese ha assistito a cinque colpi di Stato, alcuni con il coinvolgimento segreto francese. Migliaia di civili sono stati uccisi finora nel ciclo di violenza settaria che dura da due anni, con milioni di sfollati, che spesso cercano rifugio in nascondigli di fortuna nella giungla. Il reale pericolo è che il percepito sostegno americano per un lato rispetto all’altro potrebbe innescare una strage ancora su maggiore scala.La scorsa settimana, il “Washington Post” ha riferito che le forze speciali americane avevano istituito una base nella giungla del nord-est della Repubblica Centrafricana, dove la milizia Seleka ha la propria roccaforte. «Il Pentagono non aveva precedentemente rivelato che stava cooperando con i Seleka ed otteneva informazioni dai ribelli. L’accordo ha messo le truppe americane in una posizione scomoda», secondo il “Post”. L’obiettivo dichiarato delle forze armate statunitensi è dare la caccia ad un noto signore della guerra, Joseph Kony, che gestisce un gruppo di guerriglia conosciuto come l’Esercito di Resistenza del Signore (Lord’s Resistance Army – Lra). Kony e il suo Lra sono da ritenersi responsabili di atrocità di massa e del reclutamento di bambini soldato. Originario dell’Uganda, Kony e l’Lra guadagnarono notorietà quando l’ente di beneficenza statunitense Invisible Children diffuse un video quasi quattro anni fa che pubblicizzava le violazioni commesse del gruppo.Con le varie celebrità americane che avallavano il video, il presidente Usa Barack Obama inviò forze speciali in quattro paesi africani con la missione di rintracciare Kony ed i suoi complici. Questi paesi sono l’Uganda, il Sud Sudan, la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana. Finora, Kony ha eluso la cattura, anche se Washington ha posto una taglia di 5 milioni di dollari sulla sua testa. Si ritiene che egli sia rintanato in una zona remota della giungla a cavallo tra i confini dei quattro paesi africani in cui le forze speciali degli Stati Uniti operano. Il terreno è costituito da una fitta giungla con poche strade e si dice copra un’area delle dimensioni della California. «Immaginate la ricerca di 200 criminali in un’area delle dimensioni della California coperta dalla giungla», afferma un funzionario militare statunitense citato dal “Post”. «Tra bracconieri, commercio di avorio e l’Lrs, non si sa chi è chi».In questa caccia sfuggente al signore della guerra Kony ed al suo Lra, i militari americani si stanno rivolgendo alla milizia Seleka per “informazioni”. Ma, come noto, quel legame con i Seleka sta causando qualche preoccupazione tra le truppe Usa sul terreno. Questo perché i Seleka hanno guadagnato una reputazione per le atrocità alla pari con quelle di Kony e dell’Lra, tra cui l’assassinio di civili, lo stupro di donne e il reclutamento di bambini soldato nei loro ranghi. Il “Post” riferisce: «Secondo i funzionari militari statunitensi, la squadra di truppe Usa a Sam Ouandja [la base nella giungla della Repubblica Centrafricana nord-orientale] si incontra regolarmente con i capi Seleka, ottiene informazioni dai ribelli e talvolta fornisce assistenza medica ai lealisti Seleka». Il documento aggiunge: «La cooperazione è un argomento delicato. Il Pentagono non pubblicizza i suoi rapporti con i Seleka e ha rifiutato di commentare in dettaglio le interazioni».La riluttanza del Pentagono a “pubblicizzare i propri rapporti” non è sorprendente. Nel 2013, la statunitense Human Rights Watch ha registrato un regno di terrore sotto i Seleka nella Repubblica Centrafricana, riferendo come le sue forze «hanno distrutto numerosi villaggi rurali, saccheggiato diffusamente nel paese e violentato donne e ragazze». “Hrw” ha riferito sulle uccisioni extragiudiziali perpetrate dai Seleka, alcune che coinvolgono l’assassinio di bambini con il taglio della gola. In un attacco brutale il 15 aprile 2013, il gruppo per i diritti ha riferito: «La milizia Seleka ha ucciso la 26enne moglie e la figlia diciottenne di un autista di camion, il cui veicolo volevano per trasportare merci rubate. Un testimone ha descritto come i Seleka hanno sparato al bambino nlla testa, prima di uccidere la madre mentre si avvicinava alla porta della casa di famiglia». In base alle sue scoperte, “Hrw” ha raccomandato che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe imporre sanzioni a tutti i capi Seleka.In un’altra atrocità riportata a maggio 2014, i militanti Seleka hanno ucciso 11 fedeli in una chiesa nella capitale Bangui, lanciando granate nell’edificio e attaccando la congregazione con armi da fuoco. Ma il Pentagono sta ora in collegamento con questa stessa milizia nella sua missione che dovrebbe rintracciare il signore della guerra Joseph Kony e il suo esercito di sbandati. I Seleka non sono certo l’unica milizia fuorilegge, operante nella Repubblica Centrafricana. La cristiana anti-Balaka ha perpetrato altrettante atrocità contro la minoritaria comunità musulmana del paese. Il presidente ad interim Catherine Samba Panza, che ha dovuto tornare in fretta dalla recente Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York a causa del deterioramento della situazione nel paese, ha accusato elementi del deposto presidente François Bozizé anche di orchestrare le violenze. Bozizé, che è cristiano, si era già avvalso della patrocinio della ex potenza coloniale francese, prima di essere cacciato dal paese dai Seleka nel marzo 2013.Il punto è che la tragedia che si svolge in Repubblica Centrafricana mostra come l’ingerenza da parte delle potenze occidentali serve a versare benzina sul fuoco di un esplosivo conflitto intestino. La dubbia missione delle forze speciali Usa nelle giungle dell’Africa – suppostamente per la cattura di un signore della guerra – sta avendo l’effetto di allineare Washington in una guerra civile che si va inasprendo, e al fianco di elementi le cui mani grondano di sangue. La scena è stata preparata per un’intensificazione ancora più sanguinosa. Il coinvolgimento di Washington può finora apparire come un fattore clandestino, ma non è meno incendiario. Si tratta di un ruolo incendiario che Washington interpreta ripetutamente, come visto in altri conflitti in corso, dalla Siria all’Iraq passando per l’Ucraina.(Finian Cunningham, “La mano nascosta di Washington nella guerra in Africa Centrale”, da “Stampa Libera” del 9 ottobre 2015).La scorsa settimana, decine di civili sono stati uccisi in scontri tra milizie cristiane e musulmane nella capitale della Repubblica Centrafricana, Bangui. L’ultimo ciclo di violenza è stato innescato dopo che un tassista musulmano è stato attaccato e decapitato da bande armate di machete. Fatto che a sua volta ha portato a rappresaglie contro le comunità cristiane. Il responsabile degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite Stephen O’Brien ha avvertito che il paese è sull’orlo del disastro, con più di 40.000 persone che hanno abbandonato la capitale nei giorni scorsi. In totale, circa 2,7 milioni di persone – la metà della popolazione – sono a rischio di essere tagliati fuori dagli aiuti umanitari da cui dipendono per la sopravvivenza. Il peggioramento del conflitto confessionale sta semplicemente rendendo troppo pericolosa l’opera delle agenzie di soccorso. A poter aggiungere benzina a questa crisi è la rivelazione della scorsa settimana che forze speciali Usa sono in collegamento con una delle milizie nella Repubblica Centrafricana.
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Karzai ammette: Al-Qaeda? Mai esistita, era un’invenzione
L’ex presidente afghano Hamid Karzai, intervistato l’11 settembre 2015 da un giornalista di “Al Jazeera”, spazza via 14 anni di narrativa ufficiale occidentale dichiarando che Al-Qa’ida è una mera invenzione. Lo dice senza alcun tentennamento: «Per me è un’invenzione. Non ho mai ricevuto un solo rapporto da una qualunque fonte afghana su Al-Qa’ida o su quello che stessero facendo. Noi non li vediamo, non riusciamo a visualizzarli, per noi non esistono. Non ho mai ricevuto rapporti dalla nostra intelligence, o dalla nostra gente. Non ho mai avuto a che fare con loro». Il video con l’intervista (sottotitolato in italiano da “luogocomune” e ripreso da “Pandora Tv”) non è stato ancora citato con rilievo dai nostri grandi media. Eppure la notizia è importante. La traduciamo anche in un semplice concetto: gli enormi costi economici e umani dell’invasione dell’Afghanistan da 14 anni in qua sono imposti ai popoli sulla base di un pretesto inventato. Esattamente come fu per la guerra in Iraq. Ulteriore traduzione: si corre a cercare negli occhi degli altri popoli pagliuzze da chiamare “criminali di guerra”, mentre abbiamo travi conficcate nei nostri democratici occhi occidentali. Come definire altrimenti un Tony Blair?
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“Ucciso in Siria generale israeliano che guidava gli jihadisti”
Arriva da fonte Usa e viene confermata da fonti libanesi la notizia che, il 26 giugno, con un attacco improvviso dell’aviazione siriana, sono rimasti uccisi un generale israeliano e 20 leader delle milizie dell’organizzazione terrorista “Al Nusra” ed altri gruppi, inclusi alcuni elementi del personale militare di collegamento dell’Arabia Saudita e del Qatar. Questo attacco dell’aviazione siriana aveva per obiettivo le forze militari straniere che operano all’interno della Siria. Un secondo attacco dell’aviazione siriana era avvenuto nella località di Sidon, contro un gruppo di cecchini di nazionalità cecena che avevano passato il confine della Giordania nella zona di Nassib, controllata dai miliziani di Al Nusra. Entrambi gli attacchi sono stati due poderosi colpi sferrati dalle forze siriane contro il nemico che stava pianificando l’operazione “Southern Storm” che avrebbe impegnato circa 15.000 miliziani con la collaborazione di Israele, della Turchia e delle autorità giordane. L’operazione doveva avere luogo per l’8 luglio e ha subito una battuta d’arresto grazie al lavoro dell’intelligence siriana che è riuscita a individuare per tempo il luogo dove si è riunita la squadra israeliana che si era recata ad Al Karak, nella provincia sud di Daraa.Al Karak o Al Karek è una città di 20.000 abitanti, sulla parte orientale del Mar Morto, all’interno della Giordania. Famosa per il suo castello crociato, Al Karak è facilmente raggiungibile da Israele per mezzo di elicotteri che volano sopra il Wadi Karak per evitare il rilevamento. Al generale israeliano era stato affidato il comando dell’operazione Tempesta del Sud, e assieme a una squadra israeliana si era recato in tale località per incontrarsi con i leader del gruppo di “Al-Nusra”, con cui Israele collabora da tempo, con il “Free Syrian Army”, con le brigate di “Al-Muthana” e “Al-Ezz”. Secondo i testimoni presenti alla riunione, il generale israeliano, dopo aver ringraziato i leader dei vari gruppi, aveva promesso aiuti militari, supporto logistico e di intelligence ed era rimasto a cena con loro. Il piano della “Southern Storm” prevedeva un attacco su tre direzioni su Daara da parte di 15.000 miliziani in 4 gruppi separati. La riunione si era svolta presso i locali di un vecchio magazzino utilizzato dai terroristi come deposito.Il comando israeliano aveva provveduto alla spedizione di missili anticarro Tow e Laaw, insieme con i missili tedeschi Milan, che erano stati consegnati in precedenza ai gruppi terroristi, per mezzo di voli effettuati in Giordania, e poi convogliati in Siria. Alcune di queste munizioni, fornite da Israele ai terroristi, provenivano dalle scorte israeliane recentemente sostituite dagli Stati Uniti dopo che Israele ha dichiarato di averle utilizzate in attacchi su Gaza. Il generale israeliano, assieme ad altri 20 comandanti dei miliziani, si era trasferito per una riunione presso una casa distante poche miglia, casa che è stata individuata e distrutta con precisione nell’attacco dell’aviazione siriana, di cui rimangono adesso le rovine fumanti. Nello stesso attacco sono rimasti uccisi altri 80 miliziani che si trovano nella zona in presidio e scorta ai leader terroristi. Le operazioni dei terroristi vengono coordinate da un centro di comando (Moc) che si trova in Giordania, che dispone di un collegamento satellitare e apparati elettronici di intelligence collegati con una la centrale della Cia situata in Giordania, così come è collegata con il grande centro logistico di intelligence saudita esistente ad Amman. Questa volta l’intelligence siriana è riuscita a prevenire le mosse del nemico ed annientare il suo centro di comando, bloccando le operazioni.(“Le forze siriane, con una azione lampo a Daraa, uccidono un generale israeliano riunito con i comandanti dei gruppi terroristi”, da “Controinformazione” del 4 luglio 2015).Arriva da fonte Usa e viene confermata da fonti libanesi la notizia che, il 26 giugno, con un attacco improvviso dell’aviazione siriana, sono rimasti uccisi un generale israeliano e 20 leader delle milizie dell’organizzazione terrorista “Al Nusra” ed altri gruppi, inclusi alcuni elementi del personale militare di collegamento dell’Arabia Saudita e del Qatar. Questo attacco dell’aviazione siriana aveva per obiettivo le forze militari straniere che operano all’interno della Siria. Un secondo attacco dell’aviazione siriana era avvenuto nella località di Sidon, contro un gruppo di cecchini di nazionalità cecena che avevano passato il confine della Giordania nella zona di Nassib, controllata dai miliziani di Al Nusra. Entrambi gli attacchi sono stati due poderosi colpi sferrati dalle forze siriane contro il nemico che stava pianificando l’operazione “Southern Storm” che avrebbe impegnato circa 15.000 miliziani con la collaborazione di Israele, della Turchia e delle autorità giordane. L’operazione doveva avere luogo per l’8 luglio e ha subito una battuta d’arresto grazie al lavoro dell’intelligence siriana che è riuscita a individuare per tempo il luogo dove si è riunita la squadra israeliana che si era recata ad Al Karak, nella provincia sud di Daraa.