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Magaldi avverte Conte: aiuti l’Italia, o scendiamo in piazza
«Il governo si sbrighi ad attuare misure immediate e concrete per assistere gli italiani rinchiusi nelle loro case, o presto scenderemo in piazza». L’annuncio, clamoroso, proviene da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. Autore del bestseller “Massoni”, edito da Chiarelettere nel 2014, nonché “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, Magaldi è il frontman italiano del circuito massonico progressista sovranazionale che si oppone all’austerity neoliberista. E’ stato il primo, sei mesi fa, ad annunciare con larghissimo anticipo lo storico dietrofront di Mario Draghi: «L’ex presidente della Bce è pronto a smentire il teorema del rigore, tornando a un’impostazione keynesiana dell’economia, cioè alla creazione monetaria teoricamente illimitata, all’occorrenza». La conferma è giunta dallo stesso Draghi, che – con il suo dirompente intervento sul “Financial Times” – ora sostiene la necessità di azzerare i vincoli finanziari dell’Eurozona. Dal grande banchiere centrale, un’inversione completa di rotta: urge ricorrere a una spesa pubblica illimitata, «come in guerra», per uscire dall’emergenza sanitaria e dalle sue spaventose conseguenze economiche, che per l’Italia si annunciano devastanti.«Attenti: Draghi non è solo», spiega Magaldi: «A passare dalla nostra parte, in queste ore, sono in tanti, tra le fila dei potenti che fino a ieri sostenevano il paradigma dell’austerity». La posta in gioco è altissima, afferma il presidente del Movimento Roosevelt: «Dietro all’emergenza sanitaria del coronavirus, e alla sua gestione di tipo cinese, si nasconde infatti un piano preciso, cinico e spietato, orchestrato da filiere oligarchiche: i nuovi “golpisti” sognano un mondo abitato da cittadini impauriti, chiusi in quarantena e privati di diritti, libertà e democrazia – oggi a causa del Covid-19, e domani del prossimo virus». Magaldi denuncia l’esistenza di un preciso piano internazionale, che utilizza il sistema-Cina come modello autoritario, sperando di estenderlo anche all’Occidente: efficienza economica, ma senza libertà democratiche. Contro questo possibile “golpe” mondiale, affidato alla nuova “polizia sanitaria” – avverte il leader “rooseveltiano” – è in atto una controffensiva poderosa, a ogni livello: il back-office del massimo potere è in subbuglio. Sarebbero in atto «rivolgimenti di portata epocale», destinati a cambiare la governance del pianeta.Ne è una prova la spettacolare risposta di Donald Trump: 2.000 miliardi di dollari pronta cassa, a disposizione degli statunitensi. «Tutto il contrario di quanto avviene in Italia: molte famiglie sono allo stremo, senza soldi per fare la spesa. E moltissimi italiani – che dal governo non hanno ancora visto un euro – non sanno neppure se riusciranno a riaprire la propria attività». Magaldi resta contrario al modello-Wuhan della quarantena imposta a tutti, ma precisa: «Si poteva comunque attuare una vera quarantena, rigidissima e tempestiva. Garantendo, al tempo stesso, che nessun italiano ne avrebbe subito danni. E invece – aggiunge – questo governo di cialtroni incapaci ha lasciato scappare i buoi prima di chiudere la stalla, favorendo l’espansione del contagio, e poi ha sprangato l’Italia senza offrire nessuna vera garanzia economica». Di qui l’annuncio: «A breve, il Movimento Roosevelt inoltrerà al governo una sorta di ultimatum, pacifico e democratico, chiedendo provvedimenti immediati per salvare l’economia del paese. In mancanza di risposte – conclude Magaldi – protesteremo apertamente, manifestando nelle piazze».Un’esternazione decisamente inaudita, in questa Italia frastornata dal coprifuoco imposto (tardivamente) da Conte. Magaldi l’ha anticipata il 30 marzo in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, tribuna web-streaming da cui già nei giorni scorsi erano scaturiti messaggi nettissimi: «A nessuno venga in mente, come pare sia stato ventilato, di ordinare ai militari di fare irruzione nelle case degli italiani». La sensazione, dice Magaldi, è quella di un governo allo sbando: incapace di frenare il contagio, impotente di fronte al tracollo degli ospedali lombardi e addirittura ridicolo, sul piano economico, non sapendo come rassicurare materialmente le famiglie che ha costretto a stare chiuse in casa. «E hanno anche il coraggio di indicare la catastrofe italiana come modello per l’Europa?». Attenzione, la pazienza ha un limite: «Le scimmiette ammaestrate hanno già smesso di esorcizzare la paura dai balconi, intonando canzoni: cosa di cattivo gusto, peraltro, visto che siamo in mezzo ai morti e al dolore. Finiti i cori, ora emergono le tensioni».Buio pesto, intanto, dalla politica italiana: se Conte emette «decretini sconclusionati che sembrano scritti, appunto, da cretini», l’opposizione non è da meno. Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia sono allineate alla filosofia-Wuhan, cucinata all’amatriciana. E Renzi, che tenta di distinguersi cianciando di riapertura delle scuole? «Mosse disperate, le sue, dettate dall’angoscia per il crollo dei consensi che sta scontando. Nemmeno lui – dice Magaldi – fa cenno al vero problema: il piano di confisca permanente della nostra libertà». Zingaretti? «Fino a poco fa brindava sui Navigli con Sala, nel segno della “Milano da bere”, un minuto prima che la situazione precipitasse». Quanto ai governatori del Nord, solo note stonate: «Ieri hanno trascurato la sanità, che in Lombardia è stata massicciamente privatizzata. E oggi si svegliano, chiedendo al governo di Roma ancora più restrizioni, non sapendo come giustificare la tragedia in corso nei loro ospedali». In che mani siamo?Ecco il punto, ribadisce Magaldi: nessuno capisce, o vuole ammettere, che il maledetto coronavirus segna un punto di non-ritorno. In altre parole: niente sarà più come prima, in Italia e nel resto del mondo. Siamo a un bivio drammatico: la fine della libertà, imposta per via sanitaria, o – al contrario – lo smantellamento (storico) del regime neoliberista fondato sulla menzogna finanziaria, che ha sventrato le economie e le società europee imponendo austerity artificiose, sanguinose e criminali. Si sta davvero capovolgendo tutto, se persino uno dei sommi “carnefici” di ieri, l’inflessibile Mario Draghi – sordo al grido di dolore della Grecia, poi immobile di fronte all’Italia travolta dallo spread – oggi scende in campo dalla parte giusta, quella del popolo, sconfessando la sua stessa storia di super-privatizzatore neoliberista. «Fateci caso», sottolinea Magaldi: «Draghi riscopre la sua origine keynesiana e cita espressamente il New Deal di Roosevelt: massiccio intervento pubblico nell’economia, salvaguardando democrazia e libertà».E’ scattato il conto alla rovescia, verso la fine dell’Unione Europea a trazione tedesca? Calma, raccomanda Magaldi: «C’è ancora in giro gente come Ferruccio De Bortoli, già pessimo direttore del “Corriere della Sera”, che ancora sostiene che lo Stato non possa aiutare tutti». Il “mostro” neoliberista è ancora vivo, anche se sta perdendo pezzi pregiati. Magaldi non fa mistero di essere in prima linea, in questa battaglia, come esponente italiano del network progressista supermassonico. In sistesi: è in corso uno spettacolare contrattacco, di fronte al “partito del virus” che, con la scusa del Covid, vorrebbe azzerare l’Italia e ridurre l’Occidente a provincia di Wuhan, in eterno, di emergenza in emergenza. Il grande potere è in frantumi: e se Trump usa il bazooka dell’helicopter money, Putin spedisce poderosi aiuti in Italia (che fanno sfigurare gli Usa). Chi ha voluto «gettare i dadi» del coronavirus, ha fatto male i suoi conti: il fronte democratico è ogni giorno più forte, avverte Magaldi. E intanto citofona a Conte: «Si sbrighi a risolvere finalmente i problemi degli italiani che ha segregato, o presto scenderemo davvero in piazza».«Il governo si sbrighi ad attuare misure immediate e concrete per assistere gli italiani rinchiusi nelle loro case, o presto scenderemo in piazza». L’annuncio, clamoroso, proviene da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. Autore del bestseller “Massoni”, edito da Chiarelettere nel 2014, nonché “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, Magaldi è il frontman italiano del circuito massonico progressista sovranazionale che si oppone all’austerity neoliberista. E’ stato il primo, sei mesi fa, ad annunciare con larghissimo anticipo lo storico dietrofront di Mario Draghi: «L’ex presidente della Bce è pronto a smentire il teorema del rigore, tornando a un’impostazione keynesiana dell’economia, cioè alla creazione monetaria teoricamente illimitata, all’occorrenza». La conferma è giunta dallo stesso Draghi, che – con il suo dirompente intervento sul “Financial Times” – ora sostiene la necessità di azzerare i vincoli finanziari dell’Eurozona. Dal grande banchiere centrale, un’inversione completa di rotta: urge ricorrere a una spesa pubblica illimitata, «come in guerra», per uscire dall’emergenza sanitaria e dalle sue spaventose conseguenze economiche, che per l’Italia si annunciano devastanti.
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Burioni chiede di spegnere “ByoBlu”, cioè l’Italia più libera
Possibile lutto per quel che resta della libertà e della democrazia in Italia: il Patto per la Scienza creato da Roberto Burioni, virologo milanese, chiede alla magistratura di spegnere “ByoBlu”, il video-blog più seguito nel paese, con 400.000 iscritti e 130 milioni di visualizzazioni complessive. L’accusa: aver dato spazio alle tesi, sul coronavirus, esposte dal nanopatologo Stefano Montanari, scienziato di livello internazionale e con fama di “eretico”, notoriamente contrario ai vaccini. Secondo Montanari, attorno al Covid-19 sarebbe stata allestita una colossale montatura allarmistica. Obiettivi: incentivare il business di Big Pharma, ingigantire il potere tecno-sanitario e rovinare intere economie, a scopo speculativo. Quanto alla scarsissima letalità del virus, in tal senso si sono pronunciati epidemiologi di fama mondiale come Ilaria Capua, che si richiama alle cifre fornite dallo stesso Istituto Superiore della Sanità: sono pochissime le persone finora morte solo per il contagio; le vittime (anche giovani) erano minacciate da gravi malattie. Il virus avrebbe quindi agito come “detonatore” letale, aggravandone le condizioni. Punti di vista, quindi. Ma il Patto per la Scienza non li accetta. Non solo: pretende che non vengano espressi. E non chiede solo che venga rimosso Montanari dal web, ma esige che sia addirittura spento “ByoBlu”.Il canale è stato fondato oltre dieci anni fa da Claudio Messora, già comunicatore parlamentare dei 5 Stelle. Il video-blog vanta numeri che i giornali, oggi, possono solo sognarsi di avere. Milioni di italiani, ogni giorno, sono abituati a ricevere informazioni vitali proprio da “ByoBlu”, che – attraverso una redazione giornalistica – sforna 4-5 lunghi servizi quotidiani, dando vita a un rigoroso esperimento di pluralismo nell’informazione: una tribuna aperta alle voci più diverse, validate giornalisticamente e spesso autorevolissime. Non si contano i grandi nomi – del pensiero, della scienza, della cultura – che gli italiani hanno potuto incontrare regolarmente su “ByoBu”, spesso in contraddittorio fra loro. Informazioni di prima mano, analisi, squarci e approfondimenti su possibili verità che i grandi media trascurano. La linea editoriale è chiaramente riconoscibile: massima libertà di espressione, senza preclusioni per nessuno, nel rispetto delle regole giornalistiche (ovvero: affermazioni sempre documentate e verificabili). Uno stile “anglosassone”, asciutto, senza timori reverenziali né tesi preconcette. E’ un fatto: l’audience di “ByoBlu”, che si sostiene solo con le donazioni degli utenti, dimostra quanto sia importante, per milioni di italiani, questa preziosa fonte di informazioni.A chiedere di privare gli italiani della voce di “ByoBlu” è Burioni, vaccinista convinto, massimo propagandista nazionale della campagna per l’obbligo vaccinale imposto dal governo Gentiloni e poi confermato dai governi Conte, nonostante la presenza dei 5 Stelle (un tempo fieramente favorevoli alla libertà vaccinale). Oltre ai libri e all’onnipresenza televisiva nei principali talkshow, lo scorso anno Burioni ha lanciato un suo manifesto politico-programmatico – il Patto per la Scienza, appunto – ottenendo il consenso di firmatari illustri: Beppe Grillo, Matteo Renzi e il giornalista Enrico Mentana. Il documento chiedeva, in sostanza, di orientare in modo rigido la stessa ricerca scientifica, privilegiando l’impostazione dei vaccinisti come Burioni. Anche qui: libere opinioni. A patto che poi – come invece avviene oggi – non si pretenda addirittura di spegnere, censurare e imbavagliare le altre voci. La denuncia contro “ByoBlu” contesta la violazione dell’articolo 656 del codice penale, cioè la “pubblicazione e diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico”. Com’è evidente a tutti, oggi l’ordine pubblico in Italia è abbondantemente “sigillato” dal coprifuoco imposto dal governo per contenre il coronavirus. Messora confida nei magistrati milanesi. Con lui, milioni di italiani.Possibile lutto per quel che resta della libertà e della democrazia in Italia: il Patto per la Scienza creato da Roberto Burioni, virologo milanese, chiede alla magistratura di spegnere “ByoBlu”, il video-blog più seguito nel paese, con 400.000 iscritti e 130 milioni di visualizzazioni complessive. L’accusa: aver dato spazio alle tesi, sul coronavirus, esposte dal nanopatologo Stefano Montanari, scienziato di livello internazionale e con fama di “eretico”, notoriamente contrario ai vaccini. Secondo Montanari, attorno al Covid-19 sarebbe stata allestita una colossale montatura allarmistica. Obiettivi: incentivare il business di Big Pharma, ingigantire il potere tecno-sanitario e rovinare intere economie, a scopo speculativo. Quanto alla scarsissima letalità del virus, in tal senso si sono pronunciati epidemiologi di fama mondiale come Ilaria Capua, che si richiama alle cifre fornite dallo stesso Istituto Superiore della Sanità: sono pochissime le persone finora morte solo per il contagio; le vittime (anche giovani) erano minacciate da gravi malattie. Il virus avrebbe quindi agito come “detonatore” letale, aggravandone le condizioni. Punti di vista, quindi. Ma il Patto per la Scienza non li accetta. Non solo: pretende che non vengano espressi. E non chiede solo che venga rimosso Montanari dal web, ma esige che sia addirittura spento “ByoBlu”.
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Paolo Barnard annuncia: abbiamo la cura per il coronavirus
«Attenti, abbiamo una cura». Di colpo, il coronavirus cambia faccia: non è più una condanna. Lo afferma un medico francese, il professor Didier Raoult. La notizia – mentre il virus fa strage in Lombardia – arriva in Italia tramite Paolo Barnard. Il grande giornalista ha rotto il suo silenzio stampa, tornando a parlare il 21 marzo con una serie di tweet e un video da tre minuti su YouTube: mostra un’email ricevuta dal dottor Wayne Marasco, della Harvard Medical School. Il messaggio: uno studio clinico francese, non ancora “randomizzato”, fornisce la concreta speranza che l’idrossiclorochina (un farmaco antimalarico, molto conosciuto e anche economico) possa avere effetti decisivi contro il Covid-19. «Questo farmaco – dice Barnard, leggendo l’email di Marasco – è già disponibile in quantità di massa: potrebbe fornire un aiuto in tempo reale per i pazienti lombardi infettati, per quelli a rischio infezione e per tutto il personale sanitario in Lombardia». Oltre che a Barnard, la mail – come riporta “Come Don Chisciotte” – è indirizzata a Giorgio Palù e Cristina Parolin, lui preside e lei professoressa dell’università di Padova. «Sottolineo – aggiunge Barnard – che alle dosi descritte nello studio francese, questo farmaco riduce anche il “viral shading”», la mobilità del virus, cioè «quando il virus va in giro nel corpo, o dal corpo va in giro nell’ambiente: quindi sostanzialmente riduce anche la contagiosità delle persone».«È molto importante», sottolinea Barnard. «Ultimo punto: associato all’antibiotico azitromicina ha dato risultati ancor più sorprendenti». Barnard si rivolge ai suoi lettori: l’appello deve arrivare al più presto alle autorità sanitarie italiane: «È un messaggio estremamente importante e di grande autorevolezza scientifica». Immediato il rilancio da parte di “Come Don Chisciotte”, sin dalle prime ore. «Sappiamo come guarire dal coronavirus», ha annunciato in esclusiva a “Les Echos” il dottor Raoult, virologo, direttore dell’Istituto Mediterraneo per le infezioni di Marsiglia. «Per la clorochina e i dati sono molto promettenti: tre quarti dei pazienti infettati non sono risultati più portatori del virus dopo 6 giorni di cura con il Plaquenil», scriveva Rosanna Spadini già il 21 marzo sul blog ispirato all’eroe di Cervantes. «Secondo l’iniziale test svolto a Marsiglia con 24 pazienti – dunque un dato ancora troppo basso per “cantare vittoria”, come spiegava bene il direttore dell’Aifa nella conferenza stampa della Protezione Civile – i risultati ottimi si sono avuti su pazienti gravi e meno gravi». Ma sempre secondo gli studi presentati da Raoult sull’”International Journal of Antimicrobial Agents”, «l’idrossiclorochina utilizzata in abbinamento all’antibiotico azitromicina, utilizzato normalmente contro la polmonite batterica, ha portato alla guarigione dei pazienti in una settimana».I pazienti trattati a Marsiglia con il Plaquenil – aggiunge sempre “Come Don Chisciotte” – sono stati comparati ad altrettanti pazienti colpiti da Covid-19 ricoverati negli ospedali di Avignone e Nizza. Ebbene, «il 90% di quelli che non sono stati trattati con il farmaco sperimentale ad oggi è ancora portatore del virus». Molti, chiarisce lo stesso Barnard su Twitter – confondono il trattamento con la clorochina, «screditato da un mese», con ciò che lui stesso ha postato da Harvard e dallo studio francese, e cioè che la soluzione proposta consiste nel sommare l’idrossiclorochina all’azitromicina. «Non fatevi intimidire da chi vi risponde che questa cura è già stata usata da settimane: impossibile, perché quel preciso protocollo è uscito solo quattro giorni fa, ed è esclusivo francese». In questo modo, osserva “Come Don Chisciotte”, proprio Barnard – tornando per pochi minuti nelle vesti di giornalista – grazie alle informazioni ricevute dal dottor Marasco di Harvard è riuscito ad anticipare la notizia: gli Stati Uniti stanno lavorando per rendere queste cure operative a livello nazionale il più presto possibile: «Questa è adesso politica sanitaria americana, in questi minuti mentre vi sto parlando». Tempo 72 ore, ed è lo stesso Trump a confermare: idrossiclorochina e azitromicina, presi insieme, hanno una chance reale di essere una delle più grandi svolte nella storia della medicina.Barnard aveva riattivato il suo profilo Twitter già il 14 marzo, sostenendo che il ceppo virale tedesco sia arrivato in Lombardia mutato: questo spiegherebbe il maggior numero di vittime. È per verificare questa tesi che Barnard ha consultato Marasco nei giorni successivi. Attenzione: Wayne Marasco è una delle massime autorità mondiali, in materia. Le sue credenziali: Department of Cancer Immunology and Aids, Dana-Farber Cancer Institute; Department of Medicine, Harvard Medical School. «La mia tesi – gli scriveva Barnard – è che la contagiosità, ma soprattutto l’orribile “fatality rate” del ceppo lombardo, sia dovuta al fatto che il ceppo arrivato in Lombardia si sia mutato in un’aggressivo “assortant strain”, e non sia quindi lo stesso Sars-CoV2 di Europa e Corea del Sud». Marasco conferma: mutazioni del CoV2 sono già avvenute in Cina. Quindi, il luminare americano «non scarta la mia ipotesi», scriveva Barnard giorni fa, auspicando che in Italia vengano svolti immediatamente «critici ed essenziali accertamenti molecolari sulle mutazioni». Il punto: è inquietante che un’autorità medica mondiale abbia accettato l’ipotesi teorica che il virus lombardo possa essere anomalo, e che auspichi accertamenti “essenziali” in merito. L’ipotesi «deve allertare anche i nostri esperti», perché «escluderla è da irresponsabili».Sul “Sole 24 Ore”, già l’11 marzo il virologo milanese Fabrizio Pregliasco confermava una «significativa “vicinanza” genetica tra il virus che ha circolato in Cina, quello tedesco e quello che sta causando i casi in Lombardia», aggiungendo: «Probabilmente, quando avremo a disposizione un numero maggiore di sequenziamenti genetici virali da valutare, potremmo capire meglio se ci sono state mutazioni in grado di rendere un ceppo più o meno aggressivo». La virologa Maria Rita Gismondo, del Sacco di Milano, si esprime in modo consonante con Barnard sull’”Huffington Post”: «In Lombardia c’è qualcosa che non comprendiamo. Si sono superati i morti della Cina in un’area infinitesimamente più piccola e in un tempo minore». Ovvero: «Sta succedendo qualcosa di strano: in Lombardia c’è un’aggressività che non si spiega. Le ipotesi possono essere tutte valide, e una è che il virus sia forse mutato». Ora, la notizia-bomba è sul tavolo della sanità italiana. Viene dalla Francia e l’ha recapitata Paolo Barnard, che si è procurato la validazione di Harvard. Co-fondatore di “Report” con la Gabanelli, Barbard è stato esiliato dalla Rai (e dal giornalismo italiano) per la scomodità delle sue inchieste. Ora è tornato, per aiutare l’Italia alle prese con la catastrofe-coronavirus.«Attenti, abbiamo una cura». Di colpo, il coronavirus cambia faccia: non è più una condanna. Lo afferma un medico francese, il professor Didier Raoult. La notizia – mentre il virus fa strage in Lombardia – arriva in Italia tramite Paolo Barnard. Il grande giornalista ha rotto il suo silenzio stampa, tornando a parlare il 21 marzo con una serie di tweet e un video da tre minuti su YouTube: mostra un’email ricevuta dal dottor Wayne Marasco, della Harvard Medical School. Il messaggio: uno studio clinico francese, non ancora “randomizzato”, fornisce la concreta speranza che l’idrossiclorochina (un farmaco antimalarico, molto conosciuto e anche economico) possa avere effetti decisivi contro il Covid-19. «Questo farmaco – dice Barnard, leggendo l’email di Marasco – è già disponibile in quantità di massa: potrebbe fornire un aiuto in tempo reale per i pazienti lombardi infettati, per quelli a rischio infezione e per tutto il personale sanitario in Lombardia». Oltre che a Barnard, la mail – come riporta “Come Don Chisciotte” – è indirizzata a Giorgio Palù e Cristina Parolin, lui preside e lei professoressa dell’università di Padova. «Sottolineo – aggiunge Barnard – che alle dosi descritte nello studio francese, questo farmaco riduce anche il “viral shading”», la mobilità del virus, cioè «quando il virus va in giro nel corpo, o dal corpo va in giro nell’ambiente: quindi sostanzialmente riduce anche la contagiosità delle persone».
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Veneziani: ci minaccia il pericolo di una dittatura sanitaria
Dopo l’esperienza del virus, sappiamo che l’eventuale minaccia totalitaria che si annida nel futuro potrà essere una dittatura sanitaria. Dittatura globale e/o nazionale, giustificata da norme anticontagio. Vi invito a un viaggio letterario e forse un po’ profetico nel futuro globale, partendo dai nostri giorni. Stiamo sperimentando sulla nostra pelle che nel nome della salute è possibile revocare la libertà, sospendere i diritti elementari e la democrazia, imporre senza se e senza ma norme restrittive, fino al coprifuoco. È possibile mettere un paese agli arresti domiciliari, isolare gli individui, impedire ogni possibile riunione di persone, decomporre la società in molecole, e tenerla insieme solo con le istruzioni a distanza del potere sanitario. Più magari un vago patriottismo ricreativo e consolatorio, da finestra o da balcone… Nessuno mette in discussione la profilassi e la prevenzione adottate, si può dissentire su singoli provvedimenti, su tempi, modi e aree di applicazione; ma nessuno vuol farsi obiettore di coscienza, renitente, se non ribelle, agli imperativi sanitari vigenti.E comunque tutti li accettiamo col sottinteso che si tratta di un periodo breve, transitorio, uno stato provvisorio d’eccezione. Ma se il rischio dovesse protrarsi, si potrebbe protrarre anche la quarantena e dunque la carcerazione preventiva di un popolo. Disperso, atomizzato, in tante cellule che devono osservare l’obbligo di restare separate (ecco come sterilizzare il populismo). Del resto, anche un’esperienza breve ma traumatica lascia segni destinati a durare e modificare il nostro rapporto col potere, con la vita e con gli altri. Il tema di fondo è antico quanto l’uomo e la politica. Il potere regge sulla paura, lo diceva Hobbes e in modi diversi Machiavelli. E lo dicevano gli antichi prima di loro. E la paura è sempre, alla fine, paura di morire. A volte si affronta e si addomestica quel timore attraverso due grandi rielaborazioni mitiche e sacrali: la visione eroica della vita o la visione religiosa ultraterrena. Se il modo in cui spendi la vita vale più della vita stessa, se l’aspettativa dell’Aldilà supera la difesa della pelle qui e ora, ad ogni costo, allora magari puoi scommettere fino in fondo.Se sei disposto a rischiare anche la vita hai una libertà che nessuno può toglierti. Ma se tutto è qui e non ci aspetta altro, né la gloria né l’eternità, allora la vita è l’assoluto e per lei siamo disposti a tutto, in balia di chiunque possa minacciarla o proteggerla. La libertà dalla paura ha anche una variante disperata: se vivi nella schiavitù e nella miseria più nera, se non hai nulla da perdere se non il tuo inferno quotidiano, allora forse sei disposto a mettere a repentaglio la tua incolumità e perfino la tua sopravvivenza. Ma se tutto sommato hai la tua casa e i tuoi minimi agi, la tua vita passabile, se non serena, allora no, la salvaguardia della salute è imperativo assoluto, e giustifica ogni rinuncia. E la nostra è una società salutista e in fondo benestante, che ha un solo, umanissimo e unanime imperativo, vivere più a lungo possibile e possibilmente bene. Di conseguenza davanti al terrore di contaminarsi e al rischio di morire, non c’è diritto, libertà, voto, opinione che tenga. Prima di tutto la salute. La voglia di sicurezza, fino a ieri esecrata, diventa una priorità assoluta. È la biopolitica.Se riscrivessimo oggi 1984 o “La Fattoria degli animali” di George Orwell, “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley o “Il Padrone del Mondo” di Robert Hugh Benson, se immaginassimo una distopia, cioè un’utopia negativa nel futuro, figureremmo un potere totalitario che usa la sanità, il contagio e la protezione dal contagio come la sua arma di dominazione assoluta. Magari non limitandosi a fronteggiare i casi di contagio ma procurandoli perfino, per esercitare poi il suo potere totalitario sulla società o su paesi che resistono alla sottomissione. Stiamo parlando di letteratura e non di realtà storica, sappiamo distinguere tra i fatti e l’immaginazione, non ci lasciamo prendere da nessuna sindrome del complotto diabolico. Però la letteratura a volte enfatizza, figura, esprime alcune latenti ma reali preoccupazioni della gente e a volte – pur nella sua narrazione fantasiosa – coglie alcune inquietanti tendenze e costeggia perfino alcune profezie. Pensiamoci, pur mantenendo lo scarto tra la realtà e l’immaginazione.Qualche giorno fa sottolineavo gli aspetti positivi della tremenda situazione che stiamo vivendo, la riscoperta di alcuni principi fino a ieri condannati: l’ordine e la disciplina, l’orgoglio nazionale e il senso della casa, solo per dirne alcuni. Ora sto sottolineando invece le controindicazioni inverse, gli effetti collaterali possibili di un terrore sanitario collettivo. Perché ogni scenario che si apre ha almeno due principali possibilità di sviluppo, oltreché di lettura, più un’infinità di varianti, gradi e sfumature. Nel frattempo patisco come voi queste interminate giornate di prove tecniche di fine umanità, con le metropoli ridotte, come aveva scritto Eugenio Montale riferendosi a Milano, a “enorme conglomerato di eremiti”. Una sera ho passeggiato da solo a Roma tra le rovine della contemporaneità, ben più spettrali e desolanti delle rovine antiche. E mi ha fatto così male che non ci riproverei più, anche se avessi una dispensa speciale per farlo. Non puoi vivere se il mondo intorno è morto. Ma restiamo in attesa di resurrezione.(Marcello Veneziani, “Il pericolo di una dittatura sanitaria”, da “La Verità” del 15 marzo 2020).Dopo l’esperienza del virus, sappiamo che l’eventuale minaccia totalitaria che si annida nel futuro potrà essere una dittatura sanitaria. Dittatura globale e/o nazionale, giustificata da norme anticontagio. Vi invito a un viaggio letterario e forse un po’ profetico nel futuro globale, partendo dai nostri giorni. Stiamo sperimentando sulla nostra pelle che nel nome della salute è possibile revocare la libertà, sospendere i diritti elementari e la democrazia, imporre senza se e senza ma norme restrittive, fino al coprifuoco. È possibile mettere un paese agli arresti domiciliari, isolare gli individui, impedire ogni possibile riunione di persone, decomporre la società in molecole, e tenerla insieme solo con le istruzioni a distanza del potere sanitario. Più magari un vago patriottismo ricreativo e consolatorio, da finestra o da balcone… Nessuno mette in discussione la profilassi e la prevenzione adottate, si può dissentire su singoli provvedimenti, su tempi, modi e aree di applicazione; ma nessuno vuol farsi obiettore di coscienza, renitente, se non ribelle, agli imperativi sanitari vigenti.
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Magaldi: italiani felici e reclusi a vita, aspettando altri virus?
Si colpevolizza chi indugia nel portare a spasso il cane, dopo che si è lasciato che migliaia di persone lasciassero la Lombardia per dirigersi al Sud: secondo la logica della quarantena sono potenziali untori, e si lascia tuttora che queste ondate si muovano, senza che queste persone vengano prima sottoposte a un test. Ci viene proposta una retorica da “grande fratello” orwelliano, plaudendo ai pecoroni che si mettono a cantare, a comando, dai balconi. Abbiamo scoperto quanto è facile limitare la libertà e costringere i cittadini in casa: moltissimi italiani, festosi e scodinzolanti, hanno già introiettato la segregazione della quarantena. Ma se questa emergenza durerà altri mesi, o magari un anno, staremo tutti in casa in attesa di avere lumi su quando riprenderà la vita normale? E se in futuro dovessero arrivare 2-3 virus all’anno che facciamo, sospendiamo la nostra vita? Bella mutazione antropologica: reclusi in casa per sempre? E’ questo il futuro che ci attende? Nella Seconda Guerra Mondiale, chi entrò in guerra in nome della libertà e della democrazia, contro il totalitarismo hitleriano, mise nel conto milioni di morti. E adesso noi, senza colpo ferire, saremo privati della democrazia. Non si vota più: rinviate elezioni e referendum, fino alla scomparsa del coronavirus. E se dovesse presentarsi un virus all’anno? Democrazia kaputt?
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Il Covid rovina un’azienda su 10: perderemmo 640 miliardi
Gli scenari sono due, e il primo è “ottimistico”: se l’emergenza coronavirus finisce a maggio, le imprese italiane (contando anche le ricadute nel 2021) perderanno un giro d’affari di 275 miliardi di euro. Se invece la quarantena durerà fino a dicembre, sarà la catastrofe, con la completa chiusura delle frontiere dei mercati europei: nel biennio perderemmo ricavi per 641 miliardi, di cui quasi 470 quest’anno. «Quale dei due scenari si concretizzerà? Non siamo epidemiologi, non è facile rispondere», ammette Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved, la società che da quarant’anni analizza i bilanci di tutte le imprese italiane. Timore evidente: man mano che passano le settimane, senza miglioramenti in vista, si profila davvero l’apocalisse. Secondo Cerved, riassume “Repubblica”, se si verificherà lo scenario pessimistico «rischia di fallire il 10,4% delle imprese italiane». L’inserto “Affari&Finanza”, sempre di “Repubblica”, avanza stime ancora più precise, analizzando 750.000 imprese italiane, con dati elaborati e integrati coi modelli statistici ed econometrici utilizzati da Cerved per monitorare 233 diversi settori produttivi.La prima cosa che balza all’occhio, scrive “Repubblica”, è il fatto che, se l’emergenza finisse a maggio, le imprese italiane riuscirebbero già dal prossimo anno a recuperare un livello di fatturato superiore dell’1,5% rispetto a quello ottenuto nel 2019 (secondo Cerved, 2.410 miliardi di euro). «Questo dato è interessante perché, dopo le crisi del 2008 e del 2011 – spiega Mignanelli – l’economia italiana non ce l’aveva fatta a tornare ai livelli precedenti, in parte perché il fallimento di molte aziende aveva ridotto la base produttiva». La aziende che dovessero sopravvivere si calcola che diverrebbero più forti di prima. «Anche in questo caso, però, il costo reale del Covid-19 sarebbe altissimo», scrive il giornale diretto da Carlo Verdelli. «Per stimare il giro d’affari bruciato dal virus bisogna infatti tenere conto dei progressi che molte aziende avrebbero compiuto quest’anno e il prossimo, se non fosse scoppiata l’epidemia: il fatturato, erano le aspettative fino a poche settimane fa, era atteso crescere dell’1,7% quest’anno e del 2% il prossimo, più di quanto avessero fatto nel 2019».È così che Cerved arriva a mettere nero su bianco la cifra di 275 miliardi, che fotografa i ricavi che saranno persi dalle aziende nel biennio 2020-2021, anche se si verificasse lo scenario più “benevolo”. «Una voragine che diventerebbe ancora più profonda – arrivando fino a 641 miliardi – se le cose si mettessero male davvero, e l’emergenza si protraesse fino a dicembre». Scorrendo i numeri dei settori più colpiti, aggiunge “Repubblica”, ci si rende conto di come la crisi cambierà il volto dell’Italia e del suo sistema di imprese. «Nello scenario pessimistico, infatti, il fatturato degli alberghi scenderebbe dai 12,5 miliardi del 2019 ai 3,3 miliardi di quest’anno, un crollo del 73% che sarebbe seguito a ruota da agenzie di viaggio e tour operator (meno 68%), strutture ricettive extra-alberghiere come agriturismi e b&b (meno 64%) e aeroporti (meno 50%). «Ma l’ictus produttivo e il crollo dei consumi assesterebbero una mazzata anche alla manifattura, con un crollo del 45,8% per la produzione di auto (da 39,5 a 21,4 miliardi), di veicoli industriali (da 12,7 a 6,7 miliardi) e del cruciale e diffusissimo settore dei componenti per l’automotive (da 23,3 a 12,6 miliardi), che i produttori italiani esportano o fabbricano direttamente in tutto il mondo».Un altro aspetto interessante è l’impatto sulle diverse regioni: «In cima c’è la Lombardia, “l’epicentro del terremoto”, com’è stata definita sul piano sanitario e come rischia di essere anche dal punto di vista economico, data la sua stazza produttiva». Sempre nello scenario pessimistico, rispetto a quanto avrebbero fatto con le stime ante-coronavirus, le imprese lombarde brucerebbero un fatturato di 182 miliardi, seguite dal Lazio (118 miliardi), dal Piemonte (60), dal Veneto e dall’Emilia Romagna (circa 57 per entrambe). Tanti i fattori: il diverso peso dei vari settori di attività, la propensione all’export e il fatto che i maggiori gruppi, industriali e commerciali, hanno sede a Milano e Roma. «In valori assoluti, ovviamente, l’impatto della crisi sarà più contenuto nelle regioni del Sud o in quelle più piccole». Tra le più colpite, comunque, quelle turistiche: Trentino Alto Adige, Liguria e Valle d’Aosta. «Le peggiori in assoluto, però, nello scenario “horribilis” sarebbero quelle dove l’auto pesa di più sul totale, ovvero Piemonte (meno 4,9%) e Basilicata (-5,1)».Poi c’è addirittira chi guadagna, dalla crisi: per esempio, le aziende che operano nel commercio online, nella grande distribuzione alimentare e nella farmaceutica. Se l’emergenza si protraesse, «il 2020 per molte di esse diventerebbe indimenticabile: nella grande distribuzione alimentare crescerebbero dai 108 miliardi del 2019 a 132 miliardi, nel commercio all’ingrosso dei prodotti farmaceutici e medicali da 33 a 38 miliardi, nel commercio online da 4,3 a 6,7 miliardi». Handicap tutto italiano, la debolezza della digitalizzazione. Ora, i ricavi delle aziende connesse all’informatica o all’automazione non smetteranno di crescere: «La speranza – dice Mignanelli – è che l’epidemia, che costringe le persone a casa, possa contribuire a convincere gli imprenditori – soprattutto i più piccoli – che gli investimenti in tecnologia sono necessari per aumentare la produttività».Gli scenari sono due, e il primo è “ottimistico”: se l’emergenza coronavirus finisce a maggio, le imprese italiane (contando anche le ricadute nel 2021) perderanno un giro d’affari di 275 miliardi di euro. Se invece la quarantena durerà fino a dicembre, sarà la catastrofe, con la completa chiusura delle frontiere dei mercati europei: nel biennio perderemmo ricavi per 641 miliardi, di cui quasi 470 quest’anno. «Quale dei due scenari si concretizzerà? Non siamo epidemiologi, non è facile rispondere», ammette Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved, la società che da quarant’anni analizza i bilanci di tutte le imprese italiane. Timore evidente: man mano che passano le settimane, senza miglioramenti in vista, si profila davvero l’apocalisse. Secondo Cerved, riassume “Repubblica“, se si verificherà lo scenario pessimistico «rischia di fallire il 10,4% delle imprese italiane». L’inserto “Affari&Finanza”, sempre di “Repubblica”, avanza stime ancora più precise, analizzando 750.000 imprese italiane, con dati elaborati e integrati coi modelli statistici ed econometrici utilizzati da Cerved per monitorare 233 diversi settori produttivi.
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Tentazione: usare l’emergenza per un golpe, incluso il Mes
Il coronavirus sembra non volerne sapere dei modelli matematici fatti apposta per ingabbiarlo: le cifre crescono, e così assistiamo a una moltiplicazione dell’incertezza, mentre si consuma il balletto quotidiano dell’indecisione del governo. Attenti: il momento è propizio per instaurare uno “stato d’eccezione”. Lo afferma il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, intervistato da Federico Ferraù sul “Sussidiario“. «L’emergenza – spiega Mangia – consente di fare infinite cose che in condizioni normali non si potrebbero fare», dalla nomina di un “commissario al coronavirus” fino alla firma del Mes, passando per l’introduzione forzata del wireless 5G. Esistono precedenti: all’indomani del terremoto di Messina del 1908, lo Stato neo-unitario inventò l’istituzione del decreto-legge. «La disciplina dell’emergenza si è sviluppata simultaneamente in tutta Europa, e se n’è fatto ampio uso durante e soprattutto subito dopo la Prima Guerra Mondiale: basti pensare a una calamità come l’influenza spagnola, che uccise soltanto in Italia quasi 400.000 persone». Un giurista come Santi Romano diceva che l’emergenza è una fonte del diritto: «Vale sicuramente per il coronavirus. Pensiamo al decreto-legge 6/2020 appena varato dal governo e ad altro che potrebbe arrivare».
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Radio Maria: il coronavirus è un castigo di Dio, colpa nostra
«Il coronavirus come una delle piaghe inviate da Dio sugli uomini per convertirli». La singolare tesi arriva da “Radio Maria”, l’emittente cattolica con share altissimi a livello nazionale. In uno dei programmi più seguiti – quello delle prediche di padre Livio Fanzaga, un ultrà della fede che solitamente fa riferimento ai messaggi “sovrannaturali” della Madonna di Medjugorje – è stata avanzata la singolare congettura, scrive il “Messaggero”. Sull’origine del coronavirus, «la pandemia che si è abbattuta sull’umanità», il sacerdote di Dalmine, nel Bergamasco, ha ben pochi dubbi: si tratterebbe di «un avvertimento che arriva direttamente dalla vergine di Medjugorje e che sarebbe stato veicolato attraverso i veggenti in uno dei messaggi periodici». Ai microfoni di “Radio Maria”, continua il “Messaggero”, l’epidemia viene prima accostata simbolicamente a quella raccontate dal Manzoni a Milano nel 1600, poi alla peste nera immortalata da Boccaccio nell’alto medioevo, e infine alla Spagnola che fece un’ecatombe di vittime nella prima decade del secolo scorso. Tutti segni, secondo “padre Livio”, per convertire l’umanità alla fede cattolica e al ritorno del sacro, di cui il Vaticano si considera “esclusivista”.«La natura è ormai ostile a noi e con questo coronavirus abbiamo aperto gli occhi, perché è arrivato in un momento propizio: basta ascoltare il messaggio della Madonna di Medjugorie dato a Ivan il 17 settembre, nel quale afferma che si sta realizzando il periodo di Satana». Quindi l’epidemia, prosegue il sacerdote, è vista come una punizione divina, un segnale di allerta, un avvertimento per indicare ai fedeli di ritornare alla via maestra. “Padre Livio” ricorda anche che la presunta pandemia (finora, tecnicamente, solo “epidemia”) ha avuto avvio in Cina, «un paese dove avvengono persecuzioni anticristiane». Il morbo si è poi trasferito in Italia, dove il secolarismo starebbe cancellando i tratti del sacro e le radici della fede nazionale. «Si tratta di un ammonimento che ci dice che ci vuole poco per metterci in ginocchio», e che «bisogna tenere sempre in mano la corona del rosario», avverte Livio Fanzaga. Per lui, «il tempo dei segreti si avvicina», conclude il “profeta” radiofonico, con la consueta sobrietà. E non è che l’inizio: «Ci saranno cose terribili, come guerre, epidemie, sconvolgimenti della natura».“Radio Maria”, l’emittente cattolica più ascoltata al mondo, si definisce «una radio ecclesiale privata, sostenuta unicamente dalla preghiera, dai sacrifici e dalle offerte dei suoi ascoltatori: un miracolo di volontariato». Nel 2016, “Repubblica” scriveva: «L’emittente ha ricevuto in tre anni oltre due milioni di fondi statali». Pesanti le critiche della Corte dei Conti per l’assenza di criteri per assegnarli. Forti anche le polemiche politiche per l’anatema di “Radio Maria” contro lo Stato italiano, “colpevole” di aver varato le unioni civili. Uno speaker, padre Giovanni Cavalcoli, è stato sospeso dopo le sue affermazioni sul terremoto come «castigo di Dio». Fondata nel 1987, “Radio Maria” vanta 150 conduttori, 50 tecnici e 80 studi mobili, trasmettendo in ogni continente. Il “miracolo di volontariato” diffonde le sue frequenze attraverso 84 reti in ben 77 nazioni, supportate da altre 22 stazioni radiofoniche che trasmettono anche nella lingua locale.Il direttore, “padre Livio”, classe 1940, ordinato sacerdote nell’ordine dei Padri Scolopi, nel 1966 si è laureato in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma (poi anche in filosofia alla Cattolica di Milano). Folgorato nel 1987 da un pellegrinaggio a Medjugorje, Livio Fanzaga si sente, da allora, il megafono italiano della presunta apparizione “soprannaturale” in Croazia, rispetto alla quale il Vaticano stesso resta tuttora estremamente prudente. Fanzaga è anche autore di una quantità pressoché sterminata di libelli, promossi da “Radio Maria”, i cui titoli parlano da soli: “L’umanità al bivio, Medjugorje nel tempo dell’impostura anticristica”. Oppure: “L’Apocalisse è cominciata”, “L’inganno del modernismo”, “La donna e il drago”, “Inchiesta sull’inferno”. «L’Apocalisse – scrive Fanzaga – offre una chiave di interpretazione che, per i credenti, è l’unica che permette di mettere a fuoco l’attuale fase del cammino umano, caratterizzata da un attacco virulento dell’impero delle tenebre, volto a dissolvere la fede, scompaginare la Chiesa, cancellare la presenza di Gesù Cristo e intronizzare l’uomo al posto di Dio, in modo tale che Satana possa riprendersi il dominio del mondo e trasformarlo nel suo regno di morte». Da qui al coronavirus, come si può capire, il passo è brevissimo.«Il coronavirus come una delle piaghe inviate da Dio sugli uomini per convertirli». La singolare tesi arriva da “Radio Maria”, l’emittente cattolica con share altissimi a livello nazionale. In uno dei programmi più seguiti – quello delle prediche di padre Livio Fanzaga, un ultrà della fede che solitamente fa riferimento ai messaggi “sovrannaturali” della Madonna di Medjugorje – è stata avanzata la singolare congettura, scrive il “Messaggero“. Sull’origine del coronavirus, «la pandemia che si è abbattuta sull’umanità», il sacerdote di Dalmine, nel Bergamasco, ha ben pochi dubbi: si tratterebbe di «un avvertimento che arriva direttamente dalla vergine di Medjugorje e che sarebbe stato veicolato attraverso i veggenti in uno dei messaggi periodici». Ai microfoni di “Radio Maria”, continua il “Messaggero”, l’epidemia viene prima accostata simbolicamente a quella raccontate dal Manzoni a Milano nel 1600, poi alla peste nera immortalata da Boccaccio nell’alto medioevo, e infine alla Spagnola che fece un’ecatombe di vittime nella prima decade del secolo scorso. Tutti segni, secondo “padre Livio”, per convertire l’umanità alla fede cattolica e al ritorno del sacro, di cui il Vaticano si considera “esclusivista”.
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Magaldi: ma il coronavirus fa comodo alla dirigenza cinese
E se fosse una colossale recita, quella della Cina ridimensionata dal coronavirus? Se lo domanda Gioele Magaldi, atlantista dichiarato, mai tenero con Pechino. Di più: l’autore di “Massoni”, besteller o ormai anche long-seller che svela i retroscena supermassonici del grande potere, parla di «voci inquietanti e autorevoli, benché ancora da verificare, interne al sistema-Cina». Voci che espongono la seguente versione: «Alle autorità cinesi, non è affatto dispiaciuta l’emergenza coronavirus». Motivo? E’ l’alibi perfetto «per non compromettere il prestigio della nomenklatura, di fronte alla grande frenata economica attesa da tempo, ben prima che esplodesse il virus: già i dati sul boom erano taroccati, e la picchiata comunque in arrivo era assai più grave di quanto ammesso». Non solo: una Cina messa alla frusta dall’epidemia, che ha permesso al governo di imporre ulteriori restrizioni alla libertà chiedendo ai cinesi enormi sacrifici, cambia anche la percezione del colosso asiatico. Un paese fragile, in difficoltà: non più la minacciosa superpotenza onnivora e inarrestabile. Un cinico trucco da gattopardi, dunque, per poi “risorgere” tra un paio d’anni permettendo a Xi Jinping di continuare a fare la parte dell’eroe? Di certo, se anche il panico da coronavirus fosse un gioco spregiudicato e pericoloso, è già chiara a tutti l’identità del vero, grande perdente: l’Italia.«Come al solito, c’è qualcuno che ha interesse a indebolire il nostro paese: evidente l’intenzione di colpirci, addirittura puntando a metterci tutti in quarantena, con un allarmismo devastante per l’economia nazionale. Ma dobbiamo anche essere nitidi e impietosi sulla modalità irrespondabile, sciamannata e sgangherata del governo Conte nel gestire questa supposta emergenza». Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente italiano della massoneria progressista sovranazionale, ragiona a ruota libera, nella trasmissione in web-streaming su YouTube “Massoneria On Air”. «Vi sembra possibile far chiudere anche i bar a Milano e impedire riunioni pubbliche e private, nemmeno fossimo sotto il fascismo, o in Corea del Nord? E per cosa, poi? Per un virus che, a quanto a pare, provocherebbe solo una forma di influenza, in grado di insidiare – come qualunque altra affezione influenzale – solo gli invidivui già deboli, anziani e molto malati?». Ovvio: «La nornale influenza, ogni anno, provoca delle morti. Ma non è, che per questo, chiudiamo le scuole e le università, vietiamo gli assembramenti, fermiamo il campionato di calcio».Siamo veramente alla follia, aggiunge Magaldi, a meno che non si calcoli che «c’è chi, dalla sua posizione apolide, sovranazionale, approfitta di queste situazioni per danneggiare l’Italia». Se è così, trova un alleato involontario «in questi poveracci al governo». Uno su tutti, «quell’ineffabile cicisbeo di Luigi Di Maio, improvvidamente elevato a cariche ministeriali», che ha detto ai turisti: venite pure in Italia, non c’è di che preoccuparsi. Fantastico, vero? Prima scateni il panico, scambiando il coronavirus per l’Ebola. Poi scopri che tutto questo minaccia l’economia e devasta l’immagine internazionale dell’Italia. E allora dichiari, candidamente, che in fondo il coronavirus non è la peste bubbonica di manzoniana memoria, ma solo un’influenza un po’ più fastidiosa. Ma se è così, perché traformare il Nord Italia in zona di guerra, sottoponendolo allo stato d’assedio? «Siamo alle comiche finali, davvero. L’Italia è stata la prima a bloccare i voli diretti dalla Cina, trascurando però i passaggeri provenienti da scali intermedi». Errori su errori, di gestione e di comunicazione. «Per queste cose, qualcuno poi dovrà pagare, visto che si parla di danni economici ingenti: e non è giusto che a rimetterci sia solo il popolo, e non anche i governanti».Piuttosto: «Perché invece non cogliere l’occasione, per chiedere a Bruxelles una deroga ai trattati europei?». Serve un radicale allentamento del rigore, per finanziare «il grande New Deal rooseveltiano di cui l’Italia ha bisogno, per rilanciare l’economia». Quale migliore opportunità di quella offerta dal coronavirus, che sta esibendo un’Italia piegata dall’emergenza? Ma forse è chiedere troppo, al professor-avvocato Conte, che non trova di meglio che sparacchiare a casaccio sugli ospedali lombardi. Ben altra, secondo Magaldi, è invece la capacità mostrata da Pechino nel gestire la catastrofe sanitaria, con le sue ricadute sociali, economiche e politiche. Attenti, niente è come sembra: il regime di Pechino – in apparenza, soltanto vittima della crisi scatenata dal coronavirus – è in realtà il grande beneficiario politico dell’epidemia che sta mettendo in ginocchio il popolo cinese. Sembra paradossale, ma a guadagnarci sarebbe proprio la dirigenza cinese: spettacolare diversivo, il coronavirus, all’indomani dello stop imposto da Trump con dazi e sanzioni. Risultato: Pechino ha la scusa per la grande decrescita dell’economia, e nel frattempo censura ulteriormente i cinesi e mostra al mondo un volto più umano, dimesso, sofferente.In fondo, comunque, «Trump non è altro che l’epifenomeno di una consapevolezza, per quanto tardiva, che ormai attraversa anche ambienti politici avversi alla Casa Bianca». Tutto nasce nel 1980, secondo Magaldi, su iniziativa di una potentissima superloggia massonica reazionaria, la “Three Eyes” di Kissinger: «L’ala neoaristocratica della massoneria globale ha inserito la Cina nel gioco economico mondiale, senza pretendere che si democratizzasse. Attenti: non fu sciatteria, ma una precisa intenzione». Obiettivo, costruire una specie di mostro: economicamente formidabile, ma senza democrazia. «Chi ha consentito al dirigismo cinese, non democratico e liberticida, di espandersi quasi senza limiti, voleva un’involuzione antidemocratica anche per il mondo occidentale». Fortissima la suggestione, anche subliminale, creata dal nuovo modello di Pechino: se la Cina cresce così tanto, perché non imitarla? Problema: «Si è lasciato che il governo cinese finanziasse le sue aziende, chiamate a competere con quelle occidentali che invece si vedevano privare del sostegno pubblico». Beninteso: «Ha fatto benissimo, la Cina, a sostenere la sua industria, oltretutto con risultati sbalorditivi».Anche Magaldi ammira le immense capacità dei dirigenti di Pechino: «Hanno ottenuto obiettivi impensabili, favolosi, e in tempi rapidissimi. E hanno fatto uscire dalla povertà centinaia di milioni di persone, attraverso realizzazioni straordinarie». In questo, aggiunge, il “Frankenstein” cinese va sicuramente imitato. «E’ l’Occidente, semmai, che deve tornare a consentire al pubblico di sostenere il privato, permettendogli di competere alla pari coi cinesi. E la stessa Cina, da parte sua, deve poter continuare a espandersi, ma cambiando le sue regole: non possiamo pensare che il XXI secolo sia egemonizzato da una potenza non democratica». Temi che ormai, s’è visto, occupano il posto d’onore nell’agenda statunitense: il neo-protezionismo di Trump piace pure ai democratici, se è di stampo anti-cinese. Anche per questo, probabilmente, vale la pena usare le stesse lenti – dietrologiche – per leggere meglio cosa può nascondersi, a livello speculativo, dietro a una tragedia sociale come quella del coronavirus, che sembra destinata a incidere in modo pesantissimo nell’evoluzione geopolitica. E il vero sconfitto, sembra concludere Magaldi, potrebbe essere l’Occidente: guai, se non capisse che la formula cinese (massiccio intervento dello Stato nell’economia) è la chiave vincente per scacciare la crisi neoliberista che da decenni ci opprime.E se fosse una colossale recita, quella della Cina ridimensionata dal coronavirus? Se lo domanda Gioele Magaldi, atlantista dichiarato, mai tenero con Pechino. Di più: l’autore di “Massoni”, bestseller e ormai anche long-seller che svela i retroscena supermassonici del grande potere, parla di «voci inquietanti e autorevoli, benché ancora da verificare, interne al sistema-Cina». Voci che espongono la seguente versione: «Alle autorità cinesi, non è affatto dispiaciuta l’emergenza coronavirus». Motivo? E’ l’alibi perfetto «per non compromettere il prestigio della nomenklatura, di fronte alla grande frenata economica attesa da tempo, ben prima che esplodesse il virus: già i dati sul boom erano taroccati, e la picchiata comunque in arrivo era assai più grave di quanto ammesso». Non solo: una Cina messa alla frusta dall’epidemia, che ha permesso al governo di imporre ulteriori restrizioni alla libertà chiedendo ai cinesi enormi sacrifici, cambia anche la percezione del colosso asiatico. Un paese fragile, in difficoltà: non più la minacciosa superpotenza onnivora e inarrestabile. Un cinico trucco da gattopardi, dunque, per poi “risorgere” tra un paio d’anni permettendo a Xi Jinping di continuare a fare la parte dell’eroe? Di certo, se anche il panico da coronavirus fosse un gioco spregiudicato e pericoloso, è già chiara a tutti l’identità del vero, grande perdente: l’Italia.
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Coronavirus: inutile panico al buio, senza vaccino né terapie
I provvedimenti del governo sul coronavirus sono ridicoli: tu proibisci di disputare una partita di calcio a San Siro, con 60.000 persone sugli spalti, di cui poi almeno 20.000 di quelle persone seguiranno le partite in trasferta, portando allegramente il virus dappertutto. Ma a questo non hanno pensato: pazienza. Il problema è che, di fronte una cosa di questo tipo (di cui non abbiamo chiari neanche i contorni scientifici), lo schema sociale richiede che ci sia una di queste due cose: o un vaccino, o una terapia. E noi non abbiamo né il vaccino né la terapia, al di là di come la si possa pensare sui vaccini, in generale. Sto parlando dello schema sociologico: questa società funziona perché ha dei capisaldi, dei punti di riferimento. Rispetto a un’epidemia, possono essere: un vaccino (per chi è d’accordo) o una terapia. Siccome qui non ci sono né l’uno né l’altra, di cosa stiamo parlando? Non uscire di casa, non andare al lavoro: è possibile, vivere senza uscire di casa? Penso che anche questa epidemia, come storicamente tutte le altre, si diffonderà. Ricordo che, nel Seicento, Milano aveva un intero quartiere dedicato agli appestati – il Lazzaretto – che andava dall’attuale Stazione Centrale fino a Porta Venezia.Le epidemie esistono. Poi, per strani equilibri naturali, fino a un certo punto avanzano, e dopo arretrano. Nessuno ha mai spiegato perché molte epidemie, per cui ci fu un allarmismo incredibile, poi retrocedettero da sole – e senza che ci fossero terapie efficaci. Come è sparita, la peste a Venezia nel Cinquecento? E la peste a Milano nel Seicento? Tutte le epidemie esplose a Napoli (di colera e di vaiolo, tra i marinai che provenivano dalle isole britanniche) come sono sparite? Su questo mi aspetterei delle risposte scientifiche: che non ci sono. Poi, certo, il panico non è affatto ingiustificato: a livello collettivo bisognerebbe combatterlo, ma a livello individuale la paura ce l’abbiamo tutti (chi ha figli, ha paura a mandarli a scuola). Ma a che serve, isolare territori? Funziona quando si accerta che un soggetto è contaminato, e allora bisogna metterlo in quarantena. Ma chiudere le frontiere non serve a niente, è come svuotare il mare con un secchiello. Abbiamo filtrato solo i voli diretti dalla Cina e non quelli con scali intermedi: possibile commettere un ettore così eclatante? Eccome: infatti il nostro governo era preoccupato da Inter-Sampdoria. L’ordine di priorità di questi politici non è molto razionale.Un’epidemia da virus di questo tipo, e con queste modalità di trasmissione, non la risolvi così. Qui noi recupereremo la tranquillità quando ci sarà di mezzo un vaccino, o una terapia. Il virus diffuso appositamente? Non ci credo: hanno già tanti modi comodissimi di ammazzare le persone, basta che gli vendano una certa marca di tonno… C’è ci dice che, in Cina, si è iniziato a circoscrivere le infezioni sono chiudendo le prefetture? Bene, e come si sono bloccate le epidemie precedenti? Nel Seicento, a Milano, quali prefetture abbiamo chiuso? Al porto di Genova continuano a sbarcare navi con persone provenienti dalla Cina? Ormai non è più questo il problema, visto che l’epidemia non è più solo in Cina. Se la frenata economica dovuta al virus può essere benefica, per noi? Chi lo sa. I mutamenti economici hanno sempre conseguenze imprevedibili. Magari, per questa società, è la sferzata giusta per cominciare a rivedere delle cose. Comunque: tutte le epidemie della storia, in qualche modo, sono cessate. Questa sarebbe la prima, a essere permanente.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming su YouTube “Carpeoro Racconta” del 23 febbraio 2020).I provvedimenti del governo sul coronavirus sono ridicoli: tu proibisci di disputare una partita di calcio a San Siro, con 60.000 persone sugli spalti, di cui poi almeno 20.000 di quelle persone seguiranno le partite in trasferta, portando allegramente il virus dappertutto. Ma a questo non hanno pensato: pazienza. Il problema è che, di fronte una cosa di questo tipo (di cui non abbiamo chiari neanche i contorni scientifici), lo schema sociale richiede che ci sia una di queste due cose: o un vaccino, o una terapia. E noi non abbiamo né il vaccino né la terapia, al di là di come la si possa pensare sui vaccini, in generale. Sto parlando dello schema sociologico: questa società funziona perché ha dei capisaldi, dei punti di riferimento. Rispetto a un’epidemia, possono essere: un vaccino (per chi è d’accordo) o una terapia. Siccome qui non ci sono né l’uno né l’altra, di cosa stiamo parlando? Non uscire di casa, non andare al lavoro: è possibile, vivere senza uscire di casa? Penso che anche questa epidemia, come storicamente tutte le altre, si diffonderà. Ricordo che, nel Seicento, Milano aveva un intero quartiere dedicato agli appestati – il Lazzaretto – che andava dall’attuale Stazione Centrale fino a Porta Venezia.
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Le altre foibe: furono i fascisti a inaugurare l’orrenda strage
Inizio con tre brani di un discorso pronunciato al Teatro Ciscutti di Pola da Benito Mussolini il 20 settembre 1920, dando inizio alle brutali violenze contro le popolazioni della Venezia Giulia: «Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante! Abbiamo incendiato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola…»…«Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini italiani devono essere il Brennero, il Nevoso e le (Alpi) Dinariche. Dinariche, sì, le Dinariche della Dalmazia dimenticata!… Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche». Dopo quel discorso, l’Istria fu messa a ferro e fuoco. Venti anni dopo quel discorso le truppe di Mussolini invasero Dalmazia, Slovenia e Montenegro, dando inizio a nuove stragi in nome della civiltà italiana.Dalle terre annesse all’Italia dopo la prima guerra mondiale – cioè all’ampliamento ad est dei territori di Trieste e di Gorizia, all’Istria intera, alla provincia di Fiume detta del Quarnaro ed all’enclave dalmata di Zara – le violenze fasciste e la snazionalizzazione forzata costrinsero ad andarsene più di 80.000 sloveni, croati, tedeschi e ungheresi, ma anche alcune migliaia di italiani antifascisti. Nel 1939, un anno prima che l’Italia fosse gettata nella seconda guerra mondiale, le autorità fasciste della Venezia Giulia attuarono in segreto un censimento della popolazione di quelle terre annesse venti anni prima, accertando che in esse vivevano 607.000 persone, delle quali 265.000 italiani e cioè il 44%, e 342.000 slavi detti allogeni, ovvero il 56%. Una cifra notevole nonostante l’esodo degli ottantamila, nonostante che agli slavi fossero stati italianizzati i cognomi, fosse stato vietato di parlare la loro lingua, fossero state tolte le scuole e qualsiasi diritto nazionale.Nonostante le persecuzioni subite, nonostante che migliaia di loro fossero finiti nelle carceri o al confino, e che alcuni dei loro esponenti – Vladimir Gortan, Pino Tomazic ed altri – fossero stati fucilati in seguito a condanne del Tribunale speciale fascista oppure uccisi dalle squadre d’azione fasciste a Pola (Luigi Scalier), a Dignano (Pietro Benussi), a Buie (Papo), a Rovigno (Ive) e in altre località istriane. Emblematici di queste persecuzioni contro slavi e antifascisti italiani in Istria e Venezia Giulia sono i sistemi coercitivi per inviare i contadini al lavoro nelle miniere di carbone di Arsia-Albona dove, per duplicare la produzione senza però adeguate protezioni dei minatori sui posti di lavoro, nel 1938 ci fu una tragedia (allora taciuta dalla stampa) in cui persero la vita 180 minatori, lasciando oltre mille vedove ed orfani. Emblematica di quel periodo in Istria è anche una canzoncina cantata dei gerarchi che diceva: “A Pola xe l’Arena / la Foiba xe a Pisin: butaremo zo in quel fondo / chi ga certo morbin”. E alludendo alle foibe, un’altra poesiola minacciava chi si opponeva al regime: “… la pagherà / in fondo alla Foiba finir el dovarà”.Nell’aprile del Quarantuno, infine, si arrivò all’aggressione alla Jugoslavia senza dichiarazione di guerra, seguita dall’occupazione di larghe regioni della Slovenia e della Croazia, dall’intero Montenegro e del Kosovo, infine dall’annessione al Regno d’Italia di una grossa fetta della Slovenia ribattezzata Provincia di Lubiana, di una lunga fascia della costa croata che formò il Governatorato della Dalmazia con tre provincie da Zara fino alle Bocche di Cattaro, e la creazione della nuova provincia allargata di Fiume detta “Provincia del Quarnaro e dei Territori annessi della Kupa” comprendente tutta la parte montana della Croazia alle spalle del Quarnero più le isole di Veglia ed Arbe che si univano a quelle di Cherso e Lussino. Così l’Italia incorporò nel proprio territorio nazionale regioni abitate al 99% da sloveni e croati con una popolazione di oltre mezzo milione di persone che si aggiungevano al 342.000 “allogeni” già assoggettati all’Italia ed al fascismo italiano da due decenni. Il Montenegro intero fu trasformato a sua volta in un Governatorato italiano. Il Kosovo, territorio della Macedonia, fu annesso invece alla cosiddetta Grande Albania che già dal ’39 era una colonia dell’Italia.Le violenze contro i civili dei territori annessi o occupati furono compiuti in base a “una ben ponderata politica repressiva” come ci rivela una ben nota circolare del generale Roatta del marzo 1942 nella quale si legge: «Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula dente per dente, ma bensì da quella testa per dente». A sua volta il generale Robotti, ordinando rastrellamenti a tappeto nel giugno e agosto 1942, indicava queste soluzioni alle truppe dell’XI Corpo d’Armata: «Internamento di tutti gli sloveni per rimpiazzarli con gli italiani» e per «far coincidere le frontiere razziali e politiche»: «Esecuzione di tutte le persone responsabili di attività comunista o sospettate tali». Infine, «Si ammazza troppo poco!». Mi limiterò a un piccolo territorio alle spalle di Fiume e ad un solo mese, luglio del 1942. Nelle borgate di Castua, Marcegli, Rubessi, Viskovo e Spincici furono incendiate centinaia di case e fucilate decine di persone come “avvertimento”. Nel Comune di Grobnik, il villaggio di Podhum fu completamente raso al suolo per ordine del prefetto Temistocle Testa.All’alba del 13 luglio, per “vendicare” due fascisti scomparsi il giorno prima da quel villaggio, furono dapprima saccheggiate e poi incendiate 484 case, portati via mille capi di bestiame grosso e 1300 pecore, deportati nei campi di concentramento in Italia 889 persone (412 bambini, 269 donne e 208 uomini anziani) e fucilate altre 108 persone. Uno sterminio. I fascisti italiani, passati al servizio del tedeschi dopo il settembre 1943, continuarono a battersi “per l’italianità” dei territori ceduti al Terzo Reich. Fra tanti sia ricordato l’episodio di Lipa (30 aprile 1944) dove 269 vecchi, donne e bambini sorpresi quel giorno in paese, furono sterminati: parte fucilati, parte rinchiusi in un edificio e dati alle fiamme. Di tali eccidi ce ne furono a centinaia in Istria, nel territorio quarnerino, in Slovenia, in Dalmazia, in Montenegro, ovunque arrivarono i militari fascisti e le altre formazioni inviate da Mussolini. Nei miei scritti ho documentato lo sterminio di 340.000 civili slavi fucilati e massacrati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre 1943 nel corso dei cosiddetti “rastrellamenti” ed operazioni di rappresaglia contro le forze partigiane insorte.Ho anche scritto, ma non sono stato il solo in Italia, di altri 100.000 civili montenegrini, croati e sloveni deportati nei capi di concentramento approntati dalla primavera all’estate del 1942 dall’esercito italiano per rinchiudervi vecchi, donne e bambini colpevoli unicamente di essere congiunti e parenti dei “ribelli”. In quei campi disseminati dalle isole di Molat e Rab/Arbe in Dalmazia fino a Gonars nel Friuli ed altri in tutto lo Stivale, morirono di fame, di stenti e di epidemie circa 16.000 persone nel giro di poco più di un anno di deportazione. Tutto questo viene taciuto nella Giornata del Ricordo che si celebra in Italia da una decina d’anni. Si ricordano soltanto le nostre perdite: il dolore dei nostri connazionali costretti a lasciare le terre concesse all’Italia dopo la prima guerra mondiale, il dolore delle famiglie degli infoibati nel settembre 1943 in Istria e nel maggio 1945 a Trieste, Gorizia e Fiume subito dopo l’ingresso delle truppe di Tito.È giusto, è doveroso ricordare foibe ed esodo, le nostre vittime, i nostri dolori, ma non si dovrebbero tacere il contesto storico, le colpe del fascismo che portarono alla sconfitta ed alla perdita di quelle regioni. Non si dovrebbero tacere o volutamente ignorare le vittime delle popolazioni slave oppresse, martoriate e decimate dapprima nel ventennio fascista in Istria ed a Zara, ma soprattutto nella seconda guerra mondiale. Sulla bilancia e nel contesto storico vanno messi, dunque, anche i dolori che noi abbiamo arrecato agli altri.(Giacomo Scotti, estratto dal’articolo “Sulle Foibe un giorno per tutti i ricordi”, apparso sul “Manifesto” il 5 febbraio 2014 e ora ripubblicato integralmente il 10 febbraio 2020, vista la sua scottante attuatità. Saggista e storico, da giovane antifascista emigrò in Istria e visse tra Pola e Fiume. Dal 1986 vive tra Italia e Croazia, dove ha ricevuto numerosi riconoscimenti).Inizio con tre brani di un discorso pronunciato al Teatro Ciscutti di Pola da Benito Mussolini il 20 settembre 1920, dando inizio alle brutali violenze contro le popolazioni della Venezia Giulia: «Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante! Abbiamo incendiato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola…»…«Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini italiani devono essere il Brennero, il Nevoso e le (Alpi) Dinariche. Dinariche, sì, le Dinariche della Dalmazia dimenticata!… Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche». Dopo quel discorso, l’Istria fu messa a ferro e fuoco. Venti anni dopo quel discorso le truppe di Mussolini invasero Dalmazia, Slovenia e Montenegro, dando inizio a nuove stragi in nome della civiltà italiana.
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Greta, Sala e Salvini: Trio-Apocalisse della neo-Inquisizione
Vietato respirare, senza il permesso dell’autorità. Nel 2020, due politici italiani gareggiano nel nuovissimo sport: il sindaco di Milano declassa il fumatore al rango di quasi-delinquente, mentre il capo della Lega dà dello spacciatore al ragazzo della porta accanto. Due pagine eroiche della nuova politica italiana che riscrive le leggi in giornata, a colpi di sondaggi, calpestando diritti e libertà. Due crociate – contro la sigaretta e “la droga” – che si trasformano in capitoli della nuova Inquisizione. Bersaglio: il cittadino, un tempo convinto di essere tutelato dall’ordinamento repubblicano. «Il problema di Palermo è il traffico», dice Benigni nel film “Johnny Stecchino”. Per Sala, analogamente, sono i fumatori a rendere irrespirabile l’aria di Milano. Su “Libero”, Vittorio Feltri lo smonta in tre parole: «Prima di vietare il fumo, si spengano le caldaie che soffocano la cittadinanza e impongono il blocco della circolazione solo d’inverno: infatti, quando in primavera si fermano, lo smog non c’è più». Quanto a Salvini, che a Bologna citofona a un giovane tunisino chiedendogli se è vero che sia uno spacciatore, «il gesto è così paradossale che conviene persino augurarsi che quel ragazzo sia davvero uno spacciatore, perché ormai la citofonata rende inutile la verità».Lo afferma Vincenzo Muscatiello, docente di diritto penale all’università di Bari, intervistato dal “Sole 24 Ore”: quel gesto, dice il professore, ha travolto i principi della nostra civiltà. Diffamazione, calunnia, violazione della privacy? «Quello che colpisce – afferma Muscatiello – è l’inutilità giuridica di un gesto che, nella “costruzione del nemico”, contiene l’indifferenza al vero e al giusto, e soprattutto l’idea, spesse volte ripetuta, che la sanzione mediatica debba abitare forme sbrigative e superficiali, aperte al pregiudizio, chiuse alle prove contrarie». Se a Bologna il nemico è “lo spacciatore” (vero, presunto o immaginario, non importa), a Milano il nuovo pericolo pubblico è il fumatore, cui si vieta di accendere sigarette all’aperto, per ora solo nei luoghi affollati. “Greta colpisce ancora”, verrebbe da dire, considerando il gretinismo mediatico universale che ormai attribuisce solo all’uomo la responsabilità del surriscaldamento terrestre, in barba alla storia del pianeta (glaciazioni e periodi torridi) e ignorando gli scienziati che, a centinaia, ripetono che i modelli matematici su cui si basa il neo-millenarismo gretino sono pieni di falle, non superando mai i limiti di una climatologia solo teorica. Ma il punto è un altro: a chi importa, la verità?Il messaggio è inequivocabile: siamo colpevoli. Noi, non i grandi avvelenatori. Noi fumatori, noi cittadini: tutti. E’ un atto di dolore, quello che si pretende: un atto medievale di sottomissione. Non importa se Greta è un idolo delle Sardine, se il rude securitario Salvini è la loro bestia nera, e se Sala (in quota al formidabile Pd) passa per governatore progressista e illuminato. Tutti e tre fanno lo stesso mestiere, e in fondo stanno dalla stessa parte: grazie a loro siamo tutti virtuali colpevoli, anziché presunti innocenti. Greta, Sala e Salvini compiono la stessa operazione: pescano a piene mani in materie complesse e utilizzano vere e proprie tragedie, proponendo non-soluzioni immediate e illusorie, ingiuste e grottesche. Il risultato è identico: vessazioni, per tutti. Nessuno può più sentirsi al sicuro. Altro vantaggio: ancora una volta, il polverone consente di eludere i problemi, quelli veri. E’ il massimo dell’ipocrisia: si condanna senza processo il fumatore (di sigarette o cannabis, a questo punto è uguale) mentre si impongono vaccini polivalenti in batteria, senza spiegarne la necessità né dimostrarne la sicurezza. E si tace sull’allarme medico-scientifico per la diffusione ormai incombente del wireless 5G. Il giorno che Greta, Sala e Salvini si metteranno a parlare di vaccini e 5G, allora saranno più credibili.Vietato respirare, senza il permesso dell’autorità. Nel 2020, due politici italiani gareggiano nel nuovissimo sport: il sindaco di Milano declassa il fumatore al rango di quasi-delinquente, mentre il capo della Lega dà dello spacciatore al ragazzo della porta accanto. Due pagine eroiche della nuova politica italiana che riscrive le leggi in giornata, a colpi di sondaggi, calpestando diritti e libertà. Due crociate – contro la sigaretta e “la droga” – che si trasformano in caposaldi della nuova Inquisizione. Bersaglio: il cittadino, un tempo convinto di essere tutelato dall’ordinamento repubblicano. «Il problema di Palermo è il traffico», dice Benigni nel film “Johnny Stecchino”. Per Sala, analogamente, sono i fumatori a rendere irrespirabile l’aria di Milano. Su “Libero“, Vittorio Feltri lo smonta in tre parole: «Prima di vietare il fumo, si spengano le caldaie che soffocano la cittadinanza e impongono il blocco della circolazione solo d’inverno: infatti, quando in primavera si fermano, lo smog non c’è più». Quanto a Salvini, che a Bologna citofona a un giovane tunisino chiedendogli se è vero che sia uno spacciatore, «il gesto è così paradossale che conviene persino augurarsi che quel ragazzo sia davvero uno spacciatore, perché ormai la citofonata rende inutile la verità».