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Saba Sardi: Gesù Cristo inventato da chi ci volle sottomessi
Autore di un libro “blasfemo”, considerato scomodo da alcuni e geniale da altri, ha raccontato le origini del concetto di divinità e la sua evoluzione dalle prime manifestazioni preistoriche fino alle attuali concezioni. Chi è, e come nasce dunque un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? E se il potere mistico fosse stato gestito dalla donna? Francesco Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Spregiatore di dogmi, assertore della libera fecondità della parola, Saba Sardi nasce a Trieste, vive e lavora a Milano. La sua è una vita spesa nelle terre di tutto il mondo nella conoscenza di etnie cosiddette primitive o nuove e misconosciute. Traduce in sei lingue e pubblica oltre 40 libri affrontando temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo. “Il natale ha 5000 anni” è una delle sue opere più note. Il libro racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano e illumina sulle radici della religiosità in un momento storico di cristallizzazione e integralismo.“Il natale ha 5000 anni” è popolato di vicende e personaggi che prendendoci per mano ci fanno percorrere il cammino dell’uomo: dodicimila anni fa l’umanità dell’Eurasia ha inventato le divinità, ma è nella crisi generale di 5000 anni fa, nell’età neolitica, che Francesco Saba Sardi individua il sorgere della necessità di speranza che porta l’uomo a desiderare la comparsa del Salvatore, del redentore capace di ricondurci alla fratellanza dei primordi. La speranza nei Figli del Cielo apparsi in maniera straordinaria, uscendo da grotte, rocce o nascendo da madri vergini, si diffonde per millenni lungo tutti i territori eurasiatici. Il Cristianesimo è solo uno dei Natali dei Figli del Cielo, ma chi è questa volta il Figlio del Cielo? Sempre lo stesso di 5000 anni fa? E cosa rappresenta per noi oggi la religione, la fede, la credenza in entità sovrumane? Abbiamo incontrato l’autore di questo complesso studio per cercare nuove risposte e maggiore chiarezza su un tema dagli echi ancestrali.Il Natale ha 5000 anni viene pubblicato per la prima volta nel 1958 per essere poi ritirato dalle librerie. La pubblicazione del 2007 dell’editore Bevivino è in realtà la seconda edizione. Cosa accadde nel 1958?Nel ’58 il mio libro fu accolto molto bene dal pubblico e molto male dalla “Civiltà Cattolica”, che dedicò un intero numero, ben 25 pagine, alla confutazione della tesi esposta nel mio libro, confutazione a cura di Padre Rosa.Che cosa ha fatto e cosa può fare paura del suo libro?Varie cose. Ad esempio, ha fatto paura il fatto che io affermassi che il Cristianesimo è un mitema, ma il mito non è bugia. Il mito è un’affermazione che sorge spontaneamente. Il Natale è un mito che sorge nell’impero eurasiatico quando nell’età neolitica l’umanità passa dal nomadismo alla stanzialità. La società stanziale inventò l’agricoltura, l’allevamento di bestiame, il maschilismo e il potere. La necessità di una società organizzata richiese l’istituzione di una gerarchia che veniva ordinata soprattutto dal cielo con l’idea della divinità.Su quali elementi basò la sua confutazione Padre Rosa?La mia tesi è inconfutabile. Padre Rosa basò la sua confutazione sul fatto che Gesù è una realtà storica e non una figura mitica. Ma anche se Gesù fosse una realtà storica questo non avrebbe nessuna importanza perché fu Paolo di Tarso il fondatore del Cristianesimo e non Cristo.Il Cristianesimo nasce e si diffonde seguendo vari rami, varie tesi come, ad esempio, la gnostica, per poi arrivare alle edizioni Paoline, e gli scritti di Paolo di Tarso diventano la base su cui si fonda il cattolicesimo per come noi oggi lo conosciamo. Come interpreta questo percorso?E’ chiaro che quando è giunto il momento di scegliere tra i vari rami del Cristianesimo si è pensato di scegliere il Dio monoteista che più conveniva a chi in quel momento gestiva il potere, in questo caso l’imperatore Costantino. Insomma, Paolo di Tarso è stato un autore che ha trovato nell’imperatore Costantino un formidabile editore.Quindi l’imperatore Costantino potendo scegliere tra diversi autori decide di editare Paolo di Tarso?Sì, e da quel momento il Cristianesimo sostituisce la Trinità Capitolina formata da Giove, Marte ed Ercole. Bisogna sottolineare il fatto che le figure e le qualità degli Dei Capitolini non soddisfacevano più gli intellettuali romani dell’epoca. Costantino unificò l’Impero donando al popolo romano un Figlio del Cielo, monoteista e nato da un Dio sensibile e più raffinato degli Dei a cui i romani erano abituati fino ad allora.Qual è secondo Lei la grande forza del Cristo?La grande forza del Cristo, così come per tutti gli Apparsi, per tutti i Figli del Cielo, consiste soprattutto nell’essere maschio. La gerarchia è maschile. Il potere maschile, il Tyrannos (in lingua turca e in latino: il pene duro), il Tiranno. Nessun potere può affermarsi se non è incarnato, così il potere si materializza in una parte del corpo e, sesso e potere diventano tutt’uno. Non c’è mai stata un’Apparsa. Mai una donna venuta a rivelare il Nuovo Mondo a promettere l’Età dell’Oro. Da quando sono stati inventati gli Dei, le Dee, le Ninfe, le Valchirie sono sempre al servizio del Signore degli Dei, il Grande Maschio.Il potere è maschio in una civiltà dominata dai maschi, ma se l’Umanità avesse camminato sulla scia dell’energia femminile, questo avrebbe fatto differenza nella nostra evoluzione?Moltissima differenza. Il potere non è donna. La donna è madre. Nella nebulosità dei nostri ricordi ancestrali si è persa l’idea delle Dee che si auto-generavano senza il ricorso dell’inseminazione maschile come la Madre Terra, metafora del suolo che risorge continuamente da se stesso. Nell’età neolitica la donna venne “domesticata”, ridotta alla condizione di inferiorità e sudditanza. Il Neolitico è stata una tragedia per l’umanità; l’invenzione della stanzialità, nel tempo ha cambiato tutto: il modo di mangiare, la concezione dello spazio. Abbiamo cessato di divertirci. Andare a caccia è divertente, il selvaggio si diverte. Zappare non è divertente, come non è divertente fare l’impiegato. Abbiamo cessato di divertirci e abbiamo inventato la guerra. La parola ha cessato di essere spontanea, non è la parola che inventa il mondo ma sono gli oggetti che iniziano ad imporre le parole.Il suo libro percorre la storia dei Figli del Cielo, dei Mitema. Quali elementi uniscono queste figure al Cristo?Come abbiamo già detto, la maschilità. Il fatto che devono affrontare dei pericoli, ad esempio, il Dio egizio Amon Ra – il Sole – deve affrontare il pericolo della notte, come il Cristo deve affrontare il buio, il Diavolo. Il fatto che sono Apparsi, il Natale è Apparso. Non è sempre necessaria una madre vergine, ma una nascita straordinaria: Mitra nasce da una roccia. Poi, l’Apparso trionfa nell’aldiquà o nell’aldilà; quello che conta è il trionfo attuale o futuro, dopo aver “rinominato” il mondo non più con la parola spontanea, ma come conseguenza dell’essersi impadronito del mondo.Quindi questi Dei nel momento in cui privano della parola spontanea diventano dei tiranni ed esercitano il loro potere dandoci le parole per comprendere il mondo?Il potere consiste nel darci il pensiero, che è parola.Tutti i profeti raccontano del ritorno dell’Età dell’Oro, anche se ognuno chiama con le proprie parole questo tempo che ci attende. Secondo Lei cosa rappresenta questa visione?Nostalgia e speranza. Speranza che ritorni il tempo felice. Il tempo in cui non si consumava la propria vita lavorando, perché cacciare o raccogliere delle radici nei boschi non è un lavoro. La civiltà per come l’abbiamo costruita ora è un disastro. Abbiamo distrutto la natura, abbiamo ucciso noi stessi. Lei crede che si possa tornare indietro? E come? Tornando alla caccia?Perché lei non crede che l’uomo possa avere tale nostalgia dei tempi felici da arrivare a distruggere quello che ha costruito fino ad ora per tornare indietro?Sì, è possibile: ma come? E’ più probabile che ci penserà la Terra stessa a ripulire l’uomo. L’Apocalisse è la fine del mondo per ricominciare. L’Età dell’Oro è apocalittica. Ci sarà un’epoca di felicità futura perché la nostalgia e la speranza sono tutt’uno. Tutti gli Apparsi, tutti i Figli del Cielo parlano di questo momento, tutti.Quindi, figure simili a Cristo esistono almeno da 5000 anni. Presumo che lei si sia documentato utilizzando testi e informazioni disponibili a chiunque…Il fatto è che abbiamo troppa informazione, e avere troppa informazione non serve a nulla. Nel Neolitico avviene la rivoluzione razionale, la ratio; il cognito prende il posto del mitema e sostituisce la poesis, l’invenzione, la poesia – che è immediatezza e spontaneità: è ciò che sopravvive ancora nei bambini.Quindi le informazioni le abbiamo, ma a causa della nostra razionalità non riusciamo ad utilizzarle?No, non riusciamo. Tutte le informazioni da cui siamo invasi nella nostra società sono composte da due parti: la prima è costituita da dogmi. Dogma è la fede e l’affermazione fideistica non ha nulla a che fare con la razionalità. La seconda parte dell’informazione è composta dalla giustificazione, la riprova. Il Vaticano, ad esempio, informa utilizzando la razionalità dell’informazione religiosa. Ratzinger non dice di continuo che il Cristianesimo è razionale? I preti non fanno altro che dare dimostrazione di Dio e delle sue manifestazioni hanno bisogno della riprova. Stiamo attraversando il grande capitolo storico della riprova, ma c’è una differenza tra religione e scienza: la scienza parte da ipotesi che debbono essere provate; la stessa cosa fa la religione, ma al posto delle ipotesi la religione mette delle certezze aprioristiche. Infatti, mentre la ricerca scientifica tenta di comprovare o smentire le ipotesi, nella religione ci sono certezze, dei dogmi che non possono essere smentiti perché smentire i dogmi significa essere degli eretici.La storia dell’Uomo è comunque piena di eretici, di uomini che hanno tentato con tutte le loro forze di smentire questi dogmi. Molti di loro, come Giordano Bruno, ad esempio, sono stati disposti a pagare con la vita. Secondo Lei, in questo momento un Giordano Bruno che tipo di opposizione incontrerebbe?Incontrerebbe un Padre Rosa che gli darebbe pubblicamente del bugiardo. Ma la chiesa è in contraddizione con se stessa: ad esempio, dichiara Cristo una realtà storica, quindi non nega l’incarnazione, ma dell’incarnazione nega la sessualità.Infatti, il suo libro mostra le immagini di antichi dipinti in cui la sessualità di Cristo non veniva negata, ma mostrata.I dipinti di cui parla sono esistiti fino al Concilio di Trento. Il Concilio di Trento è da considerarsi l’antirinascimento. La copertina del libro, ad esempio, mostra la Sacra Famiglia di Hans Baldung Grien, datata 1511. L’immagine che ha suscitato, a più riprese, scandalo mostra il Bambino Gesù sottoposto a manipolazioni genitali. A toccarlo è la nonna, Sant’Anna, mentre il bambino tende una mano al mento della madre, Maria, e l’altra scopre l’orecchio dal quale è entrato il Verbo. Da cattolici e protestanti si è cercato in vari modi di spiegare, o meglio esorcizzare, l’atto erroneamente considerato un gesto di libertà senza precedenti nell’arte cristiana, ma le erezioni di Gesù sono illustrate da una folla di dipinti rinascimentali, in più di un dipinto l’erezione è talmente palese da aver indotto più volte i censori a mascherarla con pennellate o drappeggi, quando non si è arrivati a distruggere i dipinti “incriminati”. La virilità di Gesù è una componente fondamentalissima nella concezione cristiana. Negare questa evidenza, negare la sessualità del Cristo, equivale a negare l’Ensarcosi, l’incarnazione del Figlio del Cielo, e dunque a negare il dogma stesso del Dio-uomo, questo equivale dunque a pronunciare una bestemmia.Visto che l’esistenza stessa di questi dipinti testimonia il fatto che la Chiesa non ha da sempre negato la sessualità di Cristo, come siamo arrivati alla negazione?Nel Cristianesimo possiamo distinguere tre fasi: nella prima fase, la fase Agostiniana, Dio è Padre, severo e unilaterale. Dio concede la grazia ai suoi figli ma chi non è nelle sue grazie va all’inferno. La seconda è la fase del Rinascimento: in questa fase Dio Padre viene sostituito dal figlio che ha ha doti di spontaneità e umanità, ed è davvero di carne e sangue. Il Concilio di Trento apre la terza fase del Cristianesimo, fase in cui si torna alla figura del Padre severo e indiscutibile. Naturalmente un residuo del Dio che si incarna nel Figlio, della fase rinascimentale, ha continuato a sopravvivere resistendo fino a Giovanni XXIII, ma adesso si sta tornando a Pio IX, al Sillabo. Perché la concezione dell’uomo che può e deve scegliere è impossibile da conciliare per la Chiesa, quindi si torna al Sillabo: così si pensa, così si parla, così si scrive.Come viene giustificato questo ritorno al passato della chiesa cattolica?C’è una grande giustificazione a cui partecipano anche tutti i partiti politici: “In nome della democrazia io devo scegliere per tutti”. La poesis è pericolosa. Il poeta è pericoloso perché non rispetta i dettami del potere; quindi, tutti devono essere ridotti al comune denominatore: il Sillabo e i suoi derivati. I giornali sono il Sillabo, la produttività è il Sillabo. Il poeta è la negazione del Sillabo.Lei non crede che chiunque legga ad esempio la sua intervista possa essere improvvisamente colto da una scintilla che lo renda poeta?Spero-Dispero.(Sonia Fossi, “Francesco Saba Sardi, il poeta della non-fede”, intervista pubblicata fa “Hera Magazine” e ripresa sul blog di Gianfranco Carpeoro il 27 luglio 2016. Scomparso nel 2012 ormai novantenne, Saba Sardi era stato scomunicato per “Il natale ha 5000 anni”. E’ l’autore del principale volume italiano sulla storia delle religioni, pubblicato da Mondadori. Filologo e antropologo, ha firmato opere di narrativa e saggistica, libri d’arte e diari di viaggio, mettendo insieme 50 titoli. Sterminata la schiera dei volumi da lui curati, tradotti e commentati – oltre 600 – tra i cui autori si possono citare Herman Melville, Thomas Mann, Miguel de Cervantes, Calderón de la Barca, Luis de Góngora, Victor Hugo, Hermann Hesse, Tolkien e Goethe, George Bernard Shaw, Doris Lessing, Erich Fromm. Ha tradotto dal tedesco, dal francese, dall’inglese, dal danese, dallo spagnolo e dal portoghese, dal serbocroato. Era stato scelto personalmente, come traduttore, da Georges Simenon, Gabriel Garcia Marques e Fernando Pessoa. Di Pablo Picasso scrisse l’unica biografia autorizzata dall’artista. La sua ultima opera, il saggio “Dominio”, mette a fuoco la genesi della religione, che nasce insieme alla guerra e all’improvvisa necessità di possedere territori, con la scoperta dell’agricoltura: un nuovo potere, sconosciuto ai primitivi nomadi, configurato sotto forma di dominio).Autore di un libro “blasfemo”, considerato scomodo da alcuni e geniale da altri, ha raccontato le origini del concetto di divinità e la sua evoluzione dalle prime manifestazioni preistoriche fino alle attuali concezioni. Chi è, e come nasce dunque un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? E se il potere mistico fosse stato gestito dalla donna? Francesco Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Spregiatore di dogmi, assertore della libera fecondità della parola, Saba Sardi nasce a Trieste, vive e lavora a Milano. La sua è una vita spesa nelle terre di tutto il mondo nella conoscenza di etnie cosiddette primitive o nuove e misconosciute. Traduce in sei lingue e pubblica oltre 40 libri affrontando temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo. “Il natale ha 5000 anni” è una delle sue opere più note. Il libro racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano e illumina sulle radici della religiosità in un momento storico di cristallizzazione e integralismo.
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“Sciogliere CasaPound? Non per fascismo, ma per mafia”
L’Anpi ha chiesto la messa fuorilegge di CasaPound come organizzazione neofascista (ai sensi della XII disposizione finale della Costituzione). Subito dopo, “Repubblica”, la Cgil e “Sinistra Italiana” si sono associati. Nel suo documento, l’Anpi si rivolge direttamente al ministro dell’interno, Matteo Salvini. «Ormai, dopo le aggressioni ai giovani del Cinema America e dopo le spedizioni contro la famiglia Rom che aveva ottenuto legalmente una casa popolare – scrive Aldo Giannuli – sono d’accordo sul fatto che la presenza di CasaPound non sia più tollerabile e la questione vada risolta una volta per tutte». Ma siamo sicuri, si domanda il politologo dell’anteneo milanese, che l’alibi “antifascista” sia la carta migliore? La XII disposizione finale della Costituzione non è immediatamente applicativa, spiega Giannuli: occorre procedere ai sensi della “legge Scelba” che sanziona la ricostituzione del disciolto partito fascista. Ovviamente, «Salvini non può sciogliere un’organizzazione motu proprio». Per farlo «occorre un a sentenza definitiva passata in giudicato, che riconosca quella organizzazione come “ricostituzione del partito fascista”».Nel 1973, continua Giannuli, Ordine Nuovo fu disciolto dopo una sentenza di primo grado che lo indicava come “partito fascista”. «La cosa suscitò molte perplessità in Aldo Moro, che era certamente antifascista ma era un giurista». L’allora ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani, come lui stesso ammise, «era cosciente di star facendo una forzatura ma decise ugualmente di farla, come misura politica». Un anno dopo toccò ad Avanguardia Nazionale, il gruppo di Stefano Delle Chiaie, «ma si era in un momento particolare, segnato da frequenti stragi e tentativi di colpo di Stato, ed è piuttosto improbabile – osserva Giannuli – che oggi un ministro dell’interno (anche a prescindere dalle sue idee politiche) possa decidere uno scioglimento dopo una sentenza solo di primo grado». Ammette lo storico: «La natura del reato è piuttosto sfuggente e offre molti appigli alla difesa». Anche se la XII disposizione dice che è vietata la ricostruzione del partito fascista “sotto ogni forma”, «sarebbe necessario ascoltare molte decine di testimoni (fra poliziotti, carabinieri, vittime di aggressioni, esperti)». Giannuli crede alla natura “fascista” di CasaPound sia dubitabile, ma sa che sul caso «si aprirebbe una discussione molto complessa e sicuramente non breve: un percorso di non meno 5 anni».Un consiglio ai firmatari dell’appello contro CasaPound? «Prendete carta bollata e penna ed andate alla Procura della Repubblica di Roma a depositare una denuncia per ricostituzione del partito fascista. Possibilmente firmate tutti la denuncia (presidente dell’Anpi, direttore di “Repubblica”, segretario generale della Cgil, segretario reggente di “Sinistra Italiana”) e curate prima un libro bianco con l’elenco degli episodi, i documenti, le foto, insomma le prove a supporto». Quello che per ora non viene aperto, continua Giannuli, è un procedimento penale a Roma contro l’occupazione irregolare dello stabile che ospita la sede nazionale del movimento guidato da Simone Di Stefano, candidato nel 2018 con un programma politico iper-sociale, apertissimo alle istanze di cui un tempo si sarebbe fatta portavoce la sinistra. Ma Giannuli resta ferocemente critico rispetto a CasaPound, e vorrebbe veder sopprimere il movimento. «Una denuncia a livello centrale, chiedendo di centralizzare tutte le inchieste periferiche – insiste – costringerebbe la magistratura a far qualcosa, magari decidere un’archiviazione di cui assumersi la responsabilità (ma non credo che ci sia un solo magistrato disposto a sfidare l’opinione pubblica in questo modo)».Peraltro, lo stesso Giannuli non ritiene che la strada della presunta “ricostituzione del partito fascista” sia quella più rapida e produttiva. «E non credo che la configurazione di CasaPound come gruppo fascista sia il profilo più esaustivo», ammette. Giannuli però non demorde: spera che contro CasaPound si possa impugnare l’articolo 416 bis, cioè – addirittura – l’associazione a delinquere di stampo mafioso. «In primo luogo – scrive – abbiamo un’impressionante serie di reati certissimi e reiterati: incitamento all’odio razziale, ripetute violenze private, intimidazioni. Ed è evidente – aggiunge – il vincolo associativo che collega i molti casi: sembra palese che non si tratti di azioni scollegate, e che è a CasaPound che esse fanno capo». Associazione a delinquere? Il problema, prosegue Giannuli, è come classificare l’associazione, se semplice o di stampo mafioso. «E qui ci sono diversi elementi da prendere in considerazione: i non infrequenti rapporti con alcuni clan romani, ma soprattutto l’uso del metodo intimidatorio». Sempre Giannuli ricorda che è esattamente sulla considerazione della valenza intimidatoria dei metodi d’azione delle organizzazioni degli imputati (anche in assenza di fatti di sangue) che la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto di poter applicare il 416 bis.L’Anpi ha chiesto la messa fuorilegge di CasaPound come organizzazione neofascista (ai sensi della XII disposizione finale della Costituzione). Subito dopo, “Repubblica”, la Cgil e “Sinistra Italiana” si sono associati. Nel suo documento, l’Anpi si rivolge direttamente al ministro dell’interno, Matteo Salvini. «Ormai, dopo le aggressioni ai giovani del Cinema America e dopo le spedizioni contro la famiglia Rom che aveva ottenuto legalmente una casa popolare – scrive Aldo Giannuli – sono d’accordo sul fatto che la presenza di CasaPound non sia più tollerabile e la questione vada risolta una volta per tutte». Ma siamo sicuri, si domanda il politologo dell’anteneo milanese, che l’alibi “antifascista” sia la carta migliore? La XII disposizione finale della Costituzione non è immediatamente applicativa, spiega Giannuli: occorre procedere ai sensi della “legge Scelba” che sanziona la ricostituzione del disciolto partito fascista. Ovviamente, «Salvini non può sciogliere un’organizzazione motu proprio». Per farlo «occorre un a sentenza definitiva passata in giudicato, che riconosca quella organizzazione come “ricostituzione del partito fascista”».
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Ecatombe di alberi in ogni città: intralciano il wireless 5G
Altro che potature programmate fuori stagione. Un abbattimento di alberi per le strade di mezzo mondo. Una vera e propria strage di verde pubblico è in corso in Occidente. Roba mai vista prima d’ora, se non altro per l’anomala sincronicità nell’esecuzione dei tagli: Inghilterra, Scozia, Irlanda, Francia, Olanda, America e pure Italia. Decine di migliaia di alberi (anche secolari e rigogliosi) tagliati con disinvoltura alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, tra gli interrogativi dell’opinione pubblica e le proteste di chi, sgomento per l’anomala coincidenza, s’interroga sui risvolti meno evidenti spingendosi alla ricerca di verità occulte. Dietrologia? A placare gli animi non bastano le relazioni tecniche di agronomi che (legittimamente) certificano malattia e morte naturale di arbusti, fogliame e rami. Perché il problema non è tanto (e solo) saperne di più sullo stato delle piantumazioni abbattute, ma capire se esiste un motivo più subdolo e soprattutto se in tutto questo ci sia una regia nell’esecuzione: perché decine di migliaia di alberi sono stati abbattuti tutti insieme, proprio adesso? Anche in città distanti decine di migliaia di chilometri l’una dall’altra? In Europa come in America?Nella “smart city” Prato sono scesi in strada gli attivisti del comitato locale “Stop 5G”, cartelli in mano hanno accompagnato la chirurgica esecuzione mostrando slogan su un’ipotetica correlazione col wireless di quinta generazione: “Più alberi, meno antenne”, l’equazione sfilata in corteo pure nel “Friday For Future”. E’ successo così anche alle porte di Roma, dove il “Comitato Stop 5G Cerveteri” ha diffuso una nota in cui veniva chiesto al sindaco ceretano di chiarire sulla contestata demolizione. Alessio Pascucci, primo cittadino nella città della necropoli etrusca ma pure coordinatore nazionale di “Italia in Comune” (il cosiddetto partito dei sindaci fondato dal parmense Pizzarotti dove è iscritta anche una consigliera della Regione Veneto firmataria di una mozione Stop 5G), è uscito allo scoperto accusando di teorie complottiste, rettiliane e terrapiattiste i difensori dell’ecosistema che nell’“Internet delle cose” ipotizzano il mandante del sincronico abbattimento di alberi, annunciato persino in 60.000 unità a Roma dalla giunta Raggi. Mentre in Abruzzo, nell’intento di scongiurare il de profundis, le “Mamme Stop 5G” portano i loro figli nei prati per farli abbracciare agli alberi, manco fossero scudi umani nell’avanzata dell’intelligenza artificiale.Puntando su studi e consulenze d’esperti, l’inchiesta di “Oasi Sana” prova a gettare un po’ di luce, tra le ombre di una polemica che promette strascichi non solo in sedi amministrative locali. Interviste e documenti alla mano, ecco cosa ne viene fuori su alberi e 5G. Alla faccia dei negazionisti. Il nesso esiste eccome: tra natura e intelligenza artificiale, tra albero e 5G la convivenza è critica… uno dei due è di troppo! «L’acqua, di cui in genere sono ricchi gli alberi e le piante, assorbe molto efficacemente le onde elettromagnetiche nella banda millimetrica», sostiene Andrea Grieco, docente di fisica a Milano ed esperto dei problemi legati all’inquinamento elettromagnetico. «Per questo motivo costituiscono un ostacolo alla propagazione del segnale 5G. In particolare le foglie, con la loro superficie complessiva elevata, attenuano fortemente i segnali nella banda Uhf ed Ehf, quella della telefonia mobile. Gli effetti biologici sono ancora poco studiati, però alcune ricerche rilevano danni agli alberi e alle piante sottoposte a irraggiamento da parte delle Stazioni Radio Base (le antenne spesso sui tetti dei palazzi, Ndr)».Quindi il sillogismo è presto fatto: alberi = clorofilla = acqua. E le inesplorate microonde millimetriche dalle mini-antenne 5G (senza studio preliminare sugli effetti per l’uomo, nonostante le radiofrequenze siano possibili cancerogeni per l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) trovano nell’acqua e negli alberi un ostacolo nel trasporto dati, non avendo il segnale del wireless di quinta generazione lo stesso campo elettrico né la stessa penetrazione a lungo raggio dei precedenti standard 2G, 3G e 4G. In pratica, l’albero funge da barriera. Le foglie dell’albero assorbono lo spettro di banda del 5G, impedendone l’ottimale ricezione del segnale emesso dalle mini-antenne!Un documento di 46 pagine dell’autorevole Ordance Survey (si tratta dell’ente pubblico del Regno Unito incaricato di redigere la cartografia statale) sulle pianificazioni geo-spaziali del 5G stilato come manuale d’uso per pianificatori e autorità locali dal Dipartimento per la digitalizzazione, cultura, media e sport, afferma che nelle strade urbane si deve prima di tutto «valutare se l’area ha un flusso di traffico significativo e in particolare autobus e camion», per poi considerare come il segnale del 5G possa essere impattato, cioè ostacolato, «identificando tutti gli oggetti significativi in genere», con altezza «oltre i 4 metri», quali (ad esempio) «pareti alte, statue e monumenti più piccoli, cartelloni pubblicitari» e (guarda caso) «alberi di grandi dimensioni e siepi alte», poiché arbusti, foglie e rami «devono essere considerati come bloccanti del segnale» del 5G al pari di materia solida (pietra e cemento).Se durante i test di valutazione ingegneristica sulla velocità di trasmissione del 5G condotti in particolari condizioni atmosferiche (neve, pioggia intensa) il colosso americano Verizon ha individuato nelle foglie sugli alberi un problema, sempre d’oltre Manica un altro documento (già pubblicato in esclusiva su “Oasi Sana”) conferma il nesso alberi e 5G. E’ dell’Istituto per i sistemi di comunicazione dell’Università britannica di Surrey a Guildford (Est Inghilterra) e dice come i «nuovi modi con cui le autorità di pianificazione locali possono lavorare con gli operatori di reti mobili per offrire enormi opportunità future per le comunità locali (…) è ridurre le altezze dei montanti mobili in modo che siano schermati visivamente da edifici e/o alberi, visto che gli alberi rappresentano l’ostruzione più alta e più probabile. Tuttavia, ciò scherma anche i segnali a radiofrequenza e ha sconfitto l’obiettivo di una copertura affidabile» del 5G. «Le curve tracciate nel diagramma – continua il testo redatto dai cattedratici – mostrano come all’aumentare dell’altezza dell’albero, sopra la linea di irradiazione della stazione radio base, aumenta anche quella che è noto come la ‘zona di Fresnel’ o perdita di ombre».Giungendo al dunque, infine, dall’Inghilterra vengono smascherati i conflitti tra alberi e 5G, ovvero cono d’ombra e segnale wireless sui lampioni della luce: «Per evitare questa perdita di ombreggiamento ed essere al di fuori della zona di Fresnel, è necessario che l’altezza dell’albero sia almeno 3 metri inferiore rispetto all’altezza della stazione di base». In definitiva, sia gli studiosi del 5G dell’Ordance Survey che quelli di Surrey a Guildford, convergono sullo stesso punto dicendo apertamente la stessa cosa: gli alberi con altezza ricompresa tra i 4 e i 3 metri sono un intralcio, un vero e proprio ingombro per la diffusione del segnale elettromagnetico del 5G che, irradiato dai lampioni della luce, non verrebbe recepito a terra dai nuovi Smartphone! Come anticipato dal fisico Andrea Grieco, che foglie e piante assorbano l’elettrosmog è risaputo. Lo certifica anche uno studio dell’americana Katie Haggerty che, sul giornale internazionale per le ricerche forestali, ha pubblicato gli esiti sull’influenza nociva delle radiofrequenze sulle piante. «Numerosi episodi si sono stati registrati in Nord America», deduce la ricercatrice, condotti esperimenti su piante schermate e non, irradiate da campi elettromagnetici.«La morfologia e il comportamento dei due gruppi esposti a radiofrequenza erano molto simili. Piantine non schermate e finte schermate avevano tessuto fogliare che variava di colore dal giallo al verde e un’alta percentuale di tessuto fogliare in entrambi i gruppi esposti mostrava lesioni necrotiche. Le foglie nel gruppo schermato erano sostanzialmente prive di lesioni del tessuto fogliare, ma le foglie non schermate e finte schermate erano tutte influenzate in qualche misura dalla necrosi del tessuto fogliare». In conclusione, oltre che per l’umanità, l’elettrosmog è pericoloso per ecosistema e piante. E gli alberi sono un intralcio al grande business del 5G. Certo, da qui a dire che tra Europa e America decine di migliaia di alberi siano stati sicuramente abbattuti per installare nuove antenne a microonde millimetriche ce ne passa, ma è un dubbio fondato e tutt’altro che azzardato su cui le istituzioni sono chiamate a chiarire. Responsabilmente. Senza inutili giri di parole. Anche perché la verità sarà nella prova dei fatti. Su quelle stesse strade senza più verde, spunteranno come funghi antenne 5G dai lampioni della luce?(Maurizio Martucci, “Ecatombe di alberi. Intralciano il wireless del 5G”, da “Oasi Sana” del 15 aprile 2019).Altro che potature programmate fuori stagione. Un abbattimento di alberi per le strade di mezzo mondo. Una vera e propria strage di verde pubblico è in corso in Occidente. Roba mai vista prima d’ora, se non altro per l’anomala sincronicità nell’esecuzione dei tagli: Inghilterra, Scozia, Irlanda, Francia, Olanda, America e pure Italia. Decine di migliaia di alberi (anche secolari e rigogliosi) tagliati con disinvoltura alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, tra gli interrogativi dell’opinione pubblica e le proteste di chi, sgomento per l’anomala coincidenza, s’interroga sui risvolti meno evidenti spingendosi alla ricerca di verità occulte. Dietrologia? A placare gli animi non bastano le relazioni tecniche di agronomi che (legittimamente) certificano malattia e morte naturale di arbusti, fogliame e rami. Perché il problema non è tanto (e solo) saperne di più sullo stato delle piantumazioni abbattute, ma capire se esiste un motivo più subdolo e soprattutto se in tutto questo ci sia una regia nell’esecuzione: perché decine di migliaia di alberi sono stati abbattuti tutti insieme, proprio adesso? Anche in città distanti decine di migliaia di chilometri l’una dall’altra? In Europa come in America?
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Savona: nessun problema se il debito arriva al 200% del Pil
Anche da presidente della Consob, Paolo Savona non smentisce la sua fama di economista “contrarian”. Mentre l’Italia dibatte con la Ue per evitare la procedura d’infrazione a causa di un debito al 132% del Pil, l’82enne professore sardo rilancia come «istruttivo l’esempio del Giappone: se la fiducia nel paese è solida e la base di risparmio sufficiente, livelli di indebitamento nell’ordine del 200% non contrastano con gli obiettivi economici e sociali perseguiti dalla politica». È uno dei passaggi chiave della sua relazione tenuta a Milano all’incontro annuale della Consob, organismo borsistico che presiede da marzo dopo le dimissioni da ministro degli affari europei, come ricorda Fabrizio Massaro sul “Corriere della Sera”. Per Savona, sintetizza Massaro, basta che il debito salga meno di quanto cresce l’economia di un paese. Perché invece l’operazione non riesce, all’Italia? Savona parte da lontano: quando c’erano la lira e una banca centrale che poteva comprare quel debito (che è quanto accade in Giappone, e che invece l’attuale Bce non può fare), avevamo sì inflazione e svalutazione, ma il debito era stabile e le famiglie lo compravano. Ora invece i bond nazionali sono largamente in mani estere, la finanza preadatoria specula sui rendimenti.Le famiglie hanno meno Btp, e il potere di valutare il rischio del rimborso «si è trasferito sul mercato – dice Savona – senza un adeguato contrasto alla speculazione», che non di rado viene usata dall’Europa «come vincolo esterno» per far rispettare i parametri fiscali, con valutazioni che spesso «appaiono prossime a pregiudizi», quando invece i sospetti di un default sono «oggettivamente infondati». La forza dell’Italia – ricorda Savona – sta nell’enorme risparmio privato: 16.295 miliardi, quasi 10 volte il Pil, di cui 4.218 miliardi delle famiglie («una risorsa alla quale molti paesi attingono») e sulla spinta dell’export, con 43,4 miliardi di surplus. Centrodestra e centrosinistra, però, restano come sempre lontanissimi da qualsiasi soluzione salva-Italia, preferendo rinnovare il eterno la sottomissione all’Ue e la rassegnazione all’austerity neoliberista. Quelle di Savona sono «parole da film horror», secondo la vicepresidente del Pd, Anna Ascani: «Davvero vogliono bruciare decine di altri miliardi dei cittadini per interessi sul debito?». Per Mara Carfagna, di Forza Italia, «in caso di crisi del debito, la soluzione inizia con P e finisce con E: una patrimoniale pagata dagli italiani». Di «attacco al risparmio degli italiani» parla anche Benedetto Della Vedova, segretario di “+Europa”.In realtà, sottolinea Massaro sul “Corriere”, Savona ha un’altra idea: per contenere lo spread serve un «titolo europeo privo di rischio» – cioè l’eurobond, che Mario Draghi si ostina a negare: un titolo che prenda il ruolo che oggi è svolo, di fatto, dal Bund tedesco. Uno “european safe asset” emesso dal Fondo di stabilità Esm raccoglierebbe capitali e prestiti agli Stati membri applicando tassi bassissimi, in modo da neutralizzare in partenza a minaccia dello spread. «La relazione di Savona mi è piaciuta molto», ha detto il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, confermando che la Lega è oggi l’unica forza politica italiana impegnata a cercare soluzioni alternative alla crisi. Una era il progetto di Flat Tax promosso da Armando Siri, puntualmente messo fuori gioco dalla magistratura in collaborazione col giustizialismo elettoralistico dei 5 Stelle. Sullo sfondo, poi, c’è sempre anche la folle sottovolutazione del reale patrimonio italiano: non solo l’enorme risparmio privato, ma anche l’immenso giacimento dei beni culturali – è il più grande al mondo, e dunque ha un valore potenziale formidabile, eppure non viene neppure lontanamente contabilizzato dai tecnocrati di Bruxelles che si ostinano a negare deficit e liquidità al nostro paese, demonizzando prontamente persino i minibot.Anche da presidente della Consob, Paolo Savona non smentisce la sua fama di economista “contrarian”. Mentre l’Italia dibatte con la Ue per evitare la procedura d’infrazione a causa di un debito al 132% del Pil, l’82enne professore sardo rilancia come «istruttivo l’esempio del Giappone: se la fiducia nel paese è solida e la base di risparmio sufficiente, livelli di indebitamento nell’ordine del 200% non contrastano con gli obiettivi economici e sociali perseguiti dalla politica». È uno dei passaggi chiave della sua relazione tenuta a Milano all’incontro annuale della Consob, organismo borsistico che presiede da marzo dopo le dimissioni da ministro degli affari europei, come ricorda Fabrizio Massaro sul “Corriere della Sera”. Per Savona, sintetizza Massaro, basta che il debito salga meno di quanto cresce l’economia di un paese. Perché invece l’operazione non riesce, all’Italia? Savona parte da lontano: quando c’erano la lira e una banca centrale che poteva comprare quel debito (che è quanto accade in Giappone, e che invece l’attuale Bce non può fare), avevamo sì inflazione e svalutazione, ma il debito era stabile e le famiglie lo compravano. Ora invece i bond nazionali sono largamente in mani estere, la finanza preadatoria specula sui rendimenti.
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Carpeoro: magistratura politica, ipocrita chi si scandalizza
«Possibile che ci si scandalizzi per i collegamenti tra Palamara e il Pd? Quando la Procura di Roma era definita “il porto delle nebbie”, a nominarne il capo era Giulio Andreotti. E a Milano, Bettino Craxi tentò disperatamente di opporsi alla nomina, altrettanto “politica”, di Francesco Saverio Borrelli, futuro capo del pool Mani Pulite, messo lì apposta per distruggere il leader del Psi». L’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, si sfoga su YouTube in video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights” dopo la figuraccia di Luca Lotti, renziano di ferro messo in pista dall’ex rottamatore per tentare di influenzare i magistrati, tenendoli lontani da inchieste scomode su Matteo Renzi, suo padre Tiziano e lo stesso Lotti. «E’ giusto che gli italiani si indignino, di fronte a questo», premette Carpeoro. «Ma perché invece non si indignarono quando furono analoghe “conventicole” a fare di Borrelli il procuratore capo di Milano? La modalità è sempre la stessa». Protesta Carpeoro: «Siamo un paese ipocrita, in cui si finge di non sapere come funzionano, queste cose». Risultato: «In Italia non cade mai nessuno, per ragioni politiche. Possono anche crollare ponti, ma un politico viene fermato solo e sempre se a un certo punto gli si scatena contro la magistratura».Mesi fa, Carpeoro aveva “profetizzato” l’offensiva giudiziaria in arrivo contro la Lega. Obiettivo: disarcionare Salvini, scomodo per l’establishment italiano “consonante” coi poteri forti europei – che infatti anche oggi contestano, all’unisono, persino una misura innocua come i minibot: «Non presuppongono interessi e quindi non costituiscono debito aggiuntivo, checché ne pensi il “ragionier” Draghi», prontamente applaudito dal suo uomo in Bankitalia, il governatore Ignazio Visco. Recentissimo, peraltro, anche il taglio della testa di Armando Siri, disarcionato dalla carica di sottosegretario alla vigilia delle europee, su gentile richiesta dei 5 Stelle (in allarme, per i sondaggi sfavorevoli). Giustizialismo a orologeria? Certo, a vittima non è stata casuale: Siri era l’architetto della Flat Tax all’italiana, altra misura – come i minibot – concepita per alleggerire la situazione economica, dando ossigeno alle aziende e rilanciando occupazione e consumi. Per inciso: Siri ha ricevuto un semplice avviso di garanzia, neppure un rinvio a giudizio (l’ipotesi di accusa: potrebbe aver tentato di favorire, a pagamento, imprese del settore eolico). Non risultano esserci prove, per ora. Ma intanto l’indiziato – un cervello di rilievo strategico, nella Lega – ha dovuto abbandonare la poltrona.Per Carpeoro, è un quasi-attentato anche la richiesta, all’ex Carroccio, di “restituire” 49 milioni di euro: «Significa impedire a un partito di svolgere democraticamente l’attività politica». Non si tratta di un episodio isolato: non c’è settimana che non scattino le manette per qualche sindaco o assessore leghista. Giudiziario anche lo stop alla politica di Salvini si migranti, come dimostra il caso della nave “Sea Watch”: «L’hanno sequestrata per sottrarla al ministero dell’interno e far sbarcare i migranti», disse Carpeoro al momento del sequestro, «ma vedrete – annunciò – che poi la nave verrà dissequestrata». Detto fatto: altra “profezia” regolarmente confermata dai fatti. «Così hanno trovato il modo di fermare Salvini, e in questo modo l’Unione Europea potrà continuare a lasciarci soli di fronte agli immigrati, senza minimamente preoccuparsi – come chiede Salvini – che altri paesi, insieme a noi, se ne facciano carico». Anche qui: possibile che, dove non si riesce a fermare un leader per via politica, intervenga puntualmente un magistrato? Nel caso dei migranti, sull’Italia ricade il peso maggiore. E così per tutto: dai minibot agli sgravi fiscali, fino all’atteggiamento dell’opposizione – Pd e Forza Italia – che praticamente tifa per lo spread, cioè contro l’Italia, pur di veder cadere il governo. Autolesionismo: «Il guaio è che ci piace, farci del male da soli. E se non bastiamo – conclude Carpeoro – ci mettiamo d’accordo con gli stranieri, pur di affossare il nostro governo. Magari, con l’aiuto della magistratura».«Possibile che ci si scandalizzi per i collegamenti tra Palamara e il Pd? Quando la Procura di Roma era definita “il porto delle nebbie”, a nominarne il capo era Giulio Andreotti. E a Milano, Bettino Craxi tentò disperatamente di opporsi alla nomina, altrettanto “politica”, di Francesco Saverio Borrelli, futuro capo del pool Mani Pulite, messo lì apposta per distruggere il leader del Psi». L’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, si sfoga su YouTube in video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights” dopo la figuraccia di Luca Lotti, renziano di ferro messo in pista dall’ex rottamatore per tentare di influenzare i magistrati, tenendoli lontani da inchieste scomode su se stesso, su suo padre Tiziano Renzi e sullo stesso Lotti. «E’ giusto che gli italiani si indignino, di fronte a questo», premette Carpeoro. «Ma perché invece non si indignarono quando furono analoghe “conventicole” a fare di Borrelli il procuratore capo di Milano? La modalità è sempre la stessa». Protesta Carpeoro: «Siamo un paese ipocrita, in cui si finge di non sapere come funzionano, queste cose». Risultato: «In Italia non cade mai nessuno, per ragioni politiche. Possono anche crollare ponti, ma un politico viene fermato solo e sempre se a un certo punto gli si scatena contro la magistratura».
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Cucù, i minibot-vudù: così la Germania disinforma i tedeschi
Ai suoi lettori tedeschi, il giornalista Daniel Eckert non racconta la verità. Il suo articolo appena pubblicato su “Die Wielt” non è che l’ultimo esempio di come l’opinione pubblica europea venga regolarmente disinformata, da cronisti che sono a loro volta disinformati oppure in malafede. «Il governo italiano gioca con il fuoco», avverte Eckert: «I politici della Lega di Matteo Salvini continuano a mettere sul tavolo l’idea di una moneta parallela». E spiega: «I minibot, ora resi possibili dal Parlamento, sono un primo passo in questa direzione». Aggiunge: «Portano un nome che suona in qualche modo carino: i minibot. Ma una volta diffusi, i loro effetti potrebbero non essere carini. Perché i minibot sono uno strumento finanziario con il quale il governo populista d’Italia potrebbe scardinare l’Eurozona». Secondo l’economista keynesiano Nino Galloni, è esattamente il contrario: qualsiasi forma di moneta parallela, compresi gli eventuali minibot, serve all’Italia proprio per tentare di restarci, nell’euro. Quella che Eckert evita di porsi è la domanda fondamentale: perché. Ovvero: perché l’Italia propone i minibot? La risposta, implicita, arriva alla fine dell’articolo (tradotto da “Voci dall’Estero”). E cioè: l’Italia non ha guadagnato nulla dall’Eurozona, anzi. Ma di nuovo: perché?Qui però si ferma il giornalismo, quello di Eckert e di tanti colleghi, anche italiani. Con un’aggravante: neppure stavolta “Die Welt” spiega ai connazionali che la Germania se la gode, in Eurozona, solo grazie a privilegi esclusivi: non rispetta le condizioni-capestro che invece impone agli altri. E’ lo stesso Galloni a riassumere il senso della “vacanza europea” della Germania. Primo: le piccole banche tedesche – solo loro – si permettono il lusso di non rispettare i vincoli del Trattato di Basilea. E quindi continuano di fatto a emettere credito (quindi moneta-debito) verso l’economia reale. Secondo: il governo di Berlino non include nel bilancio la colossale spesa previdenziale: il costo delle pensioni non pesa sul debito nominale dello Stato. Terzo: nel calcolo del debito pubblico non entra neppure l’ingentissima spesa pubblica dei Lander, le Regioni. Se aggiungessimo queste voci – ha ricordato sul “Giornale” un imprenditore italiano come Fabio Zoffi, da anni attivo a Monaco di Baviera – il debito pubblico reale della Germania risulterebbe il 280% del Pil, cioè più del doppio del tanto vituperato debito italiano, per il quale il Belpaese viene sistematicamente messo in croce dai signori di Bruxelles.Se Daniel Eckert chiarisse tutto questo, probabilmente i lettori di “Die Welt” capirebbero perché l’Italia – in affanno, per disperata carenza di liquidità – tenta di giocare anche la carta dei minibot. «Sbaglia, chi pensa che siano l’anticamera dell’uscita dall’euro», sostiene su “ByoBlu” un parlamentare come Pino Cabras, in quota ai 5 Stelle: le forme di moneta parallela servono proprio a rimanere aggrappati alla moneta unica. Acrobazie italiane? Certo, perché l’Italia non gode dei privilegi della Germania e neppure di quelli della Francia, ricorda ancora Galloni, citando il franco Cfa che Parigi impone a 14 ex colonie africane. «Quella è valuta a pieno titolo, perché circola in più paesi, mentre i minibot non avrebbero valore fuori dall’Italia». Mario Draghi teme che possano aggravare il debito pubblico? Galloni lo smentisce anche su questo: «Tecnicamente, sarebbero solo “titoli di pagamento”, a valere su debiti già maturati e contabilizzati dalla pubblica amministrazione». Se poi lo Stato li accettasse come pagamento delle tasse, potrebbero anche essere scambiati come moneta: «Ma sarebbero moneta parallela solo nazionale, senza corso legale fuori dall’Italia, e in più accettabile – come mezzo di pagamento – solo su base fiduciaria, cioè con la possibilità di non accettarla».In altre parole, riassume Galloni: «I minibot sono perfettamente legali, in quanto non violano nessuna delle condizioni richiamate da Draghi: sarebbero illegali se corrispondessero all’emissione di euro o se costituissero uno stock aggiuntivo di debito pubblico, e invece non sono né una cosa né l’altra». La rabbia di Draghi, aggiunge Galloni, deriva semmai dalla piena consapevolezza di non poter intervenire sul vero problema, cioè la distribuzione della liquidità. Infatti, la Bce si occupa solo dell’erogazione complessiva della massa monetaria: «Gli euro emessi da Francoforte finiscono largamente alla finanza anziché all’economia reale, settore di cui ormai fanno parte anche gli Stati, ridotti a elemosinare credito alle banche». Con due eccezioni, appunto: la Germania (cui è permesso di non rispettare le regole Ue) e la Francia, che a sua volta “respira” grazie al franco Cfa: «Si dirà che il Cfa non viola il Trattato di Lisbona perché quello delle ex colonie francesi è un circuito chiuso. Ma se è legale il franco Cfa – chiosa Galloni – allora sono “legalissimi” i minibot italiani, concepiti per tamponare la disperata “fame” di liquidità a cui la Bce non riesce a rimediare. E questo, Draghi lo sa benissimo».Non lo sanno, di sicuro, i lettori tedeschi “informati” da Eckert, allarmatissimo all’idea che Roma vari minibot di piccolo taglio (100 euro) come pagamento di aziende che attendono di essere saldate dallo Stato, e addirittura impiegabili anche per pagare le tasse (e quindi scambiabili, da un contribuente all’altro, come pagamento alternativo agli euro). «Da quel momento in poi, è solo un piccolo passo verso una valuta parallela», scrive Eckert, che evidentemente ignora la differenza fondamentale tra “valuta” (convertibile in oro, in euro o in divise estere) e “moneta parallela” (non convertibile, né spendibile fuori dal paese). Mai e poi mai, i minibot potrebbero essere “valuta parallela”. Eppure, scrive sempre Eckert, è esattamente «quello che potrebbe mirare a fare» quel mascalzone di Matteo Salvini, «leader della Lega di destra». La prova? «Il portavoce economico della Lega, Claudio Borghi, è un acceso sostenitore dei piccoli mostri fiscali». Fantastico: la Germania bara su tutto, dopo aver raso al suolo la Grecia e sabotato l’Italia, ma a produrre i “mostri” è il terribile Claudio Borghi, universalmente noto per essere di gran lunga il più mite e prudente tra gli economisti al lavoro per tentare di tamponare la voragine-Italia creata da questa Europa a trazione franco-tedesca, sfrontatamente autocelebratasi nell’inaudito Trattato di Aquisgrana (che fa a pezzi l’idea stessa di Unione Europea).«Come per gli altri paesi dell’unione monetaria, vale anche per l’Italia: la moneta a corso legale è solamente l’euro», strilla Daniel Eckert, sfoderando accenti criminologici contro gli incorreggibili italiani. Ma sbaglia, anche qui: in base all’articolo 128 del Trattato di Lisbona, l’euro è l’unica moneta a corso legale a livello di valuta (valida anche per l’estero), mentre lo stesso trattato non esclude affatto la creazione di monete parallele, anch’esse “a corso legale”, sebbene solo entro il territorio nazionale. «Se i minibot si diffondessero in tutta l’economia italiana e venissero passati di società in società e di cittadino in cittadino, lo Stato italiano potrebbe farsi il proprio denaro», aggiunge l’ineffabile Eckert, senza domandarsi – di nuovo – perché mai gli italiani dovrebbero ricorrere a questa mossa, che crea loro un sacco di guai diplomatici. «Nel corso del tempo – aggiunge – i nuovi coupon sarebbero negoziati sul mercato e quotati ad un prezzo (presumibilmente inferiore) rispetto all’euro». Per “Die Welt”, «sarebbe l’inizio della strisciante uscita dell’Italia dall’euro». Si possono scrivere stupidaggini di questo tipo, nel 2019, su un grande giornale europeo? Eccome. E succede in quasi tutti i giornali europei, grandi e piccini.Sempre in chiave criminologica, il “detective” Eckert consulta un super-tecnocrate come Thomas Mayer, capo-economista del “Flossbach von Storch Research Institute”. Con i minibot, sostiene Mayer, si può almeno «minacciare di lasciare gradualmente l’euro, se si è costretti dall’Ue a ridurre il deficit». Un altro “guru” interpellato da Eckert, il banchiere Erik Nielsen (capo-economista di Unicredit a Londra), chiarisce che i minibot «non sono l’inizio di una nuova valuta». Ma Eckert non si dà per vinto: «La confusa politica di comunicazione di Roma – scrive – ha contribuito a confondere l’idea potenzialmente significativa di cartolarizzare il debito pubblico, con la dottrina “voodoo” di una valuta parallela». Dopo il thriller, ecco l’horror: i lettori di “Die Welt” apprendono da Eckert che l’abominevole governo italiano pratica pure la stregoneria del voodoo. Aggiunge il giornalista tedesco, come monito: in Grecia, Yanis Varoufakis aveva seguito una strategia simile durante il suo breve mandato come ministro delle finanze. «Alla fine, tuttavia, non è riuscito a prevalere contro la Troika». E certo: Ue, Bce e Fmi hanno disintegrato Atene, riducendo la Grecia a paese del terzo mondo, coi bambini uccisi dall’assenza di medicine negli ospedali. Gran bel risultato.«La Commissione e altri paesi preferirebbero non minacciare una uscita dell’Italia», dice Thomas Mayer, secondo cui «Salvini ha carte migliori oggi, rispetto a Varoufakis nel 2015», riferendosi all’importanza dell’economia italiana rispetto a quella ellenica. L’Italia, riconosce infine lo stesso Eckert, è la terza economia più grande nell’Eurozona dopo Germania e Francia, ma «a differenza di altre economie», il Belpaese, pure membro fondatore della Comunità Europea del 1957, «non ha apparentemente beneficiato dell’appartenenza all’unione monetaria». Evviva. «Soprattutto dopo la crisi finanziaria – aggiunge Eckert – la debolezza degli europei del Sud è divenuta sempre più evidente: l’indice della Borsa di Milano oggi è allo stesso livello di dieci anni fa, e il Dax è più che raddoppiato nello stesso periodo. Mentre altre importanti economie europee possono indebitarsi a tassi d’interesse pari a zero o appena marginali – continua Eckert, sempre senza mai chiedersi il perché – i partecipanti al mercato dei capitali italiani richiedono il 2,6% per i titoli di Stato decennali». E la Grecia ridotta alla fame, che il giornalista definisce «agitata», ora «paga solo leggermente di più, il 2,8%».“Die Welt” ricorda che il debito italiano «è uno dei più alti del mondo», pari a oltre il 130% del Pil. «Secondo le normative dell’Ue, è consentito un massimo del 60%». Bravo Eckert: evita di ricordare che il debito nominale della Germania è attorno all’80% (quindi oltre la soglia Ue). Ma soprattutto: non sa, o finge di non sapere, che il debito pubblico tedesco – quello vero – è oltre il triplo della cifra dichiarata. Su queste basi omertose e omissive, reticenti e quindi disastrosamente fuorvianti, il “professor” Eckert – senza curarsi di informare davvero i lettori tedeschi – si permette di aggiungere che, visto il boom elettorale delle europee, in cui «i populisti di destra hanno raddoppiato la loro percentuale di voti», arrivando a superare il 34%, ora «l’uomo politico della Lega potrebbe impostare le eventuali elezioni anticipate come un voto sull’indipendenza del paese da Bruxelles». Anche qui: per quale motivo, tutto questo dovrebbe accadere? Ma niente da fare: alle domande, Eckert preferisce le risposte: «Da sola, la minaccia di una valuta parallela potrebbe destabilizzare l’Eurozona». Ah, questi italiani: pazzi criminali. «Con un debito totale di 2,3 trilioni di euro, Roma ha un enorme potenziale di minaccia». Brrr, che paura…Ai suoi lettori tedeschi, il giornalista Daniel Eckert non racconta la verità. Il suo articolo appena pubblicato su “Die Wielt” non è che l’ultimo esempio di come l’opinione pubblica europea venga regolarmente disinformata, da cronisti che sono a loro volta disinformati oppure in malafede. «Il governo italiano gioca con il fuoco», avverte Eckert: «I politici della Lega di Matteo Salvini continuano a mettere sul tavolo l’idea di una moneta parallela». E spiega: «I minibot, ora resi possibili dal Parlamento, sono un primo passo in questa direzione». Aggiunge: «Portano un nome che suona in qualche modo carino: i minibot. Ma una volta diffusi, i loro effetti potrebbero non essere carini. Perché i minibot sono uno strumento finanziario con il quale il governo populista d’Italia potrebbe scardinare l’Eurozona». Secondo l’economista keynesiano Nino Galloni, è esattamente il contrario: qualsiasi forma di moneta parallela, compresi gli eventuali minibot, serve all’Italia proprio per tentare di restarci, nell’euro. Quella che Eckert evita di porsi è la domanda fondamentale: perché. Ovvero: perché l’Italia propone i minibot? La risposta, implicita, arriva alla fine dell’articolo (tradotto da “Voci dall’Estero”). E cioè: l’Italia non ha guadagnato nulla dall’Eurozona, anzi. Ma di nuovo: perché?
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Renzi al Bilderberg con Gruber, ma il vero potere è altrove
La 67ma riunione del gruppo Bilderberg si terrà a Montreux, in Svizzera, dal 30 maggio al 2 giugno. Politica, economia, industria, finanza e media: tra i circa 130 partecipanti, nella “delegazione” italiana ci saranno Matteo Renzi, Stefano Feltri del “Fatto Quotidiano” e Lilli Gruber. Lo conferma, in una nota, l’“Huffington Post”. Saranno trattati 11 grandi temi globali in quattro giorni, tra questi anche ambiente e futuro: “Un ordine strategico stabile”, “Quale futuro per l’Europa?”, “Cambiamenti climatici e sostenibilità”. E poi “Cina”, “Russia”, “Il futuro del capitalismo”, “Brexit”. E ancora: “L’etica dell’intelligenza artificiale”, “I social media come arma”, “L’importanza dello spazio”, “Le minacce cyber”. «A iniziare le conferenze del gruppo – scrive l’“Huffington” – fu un’idea del magnate statunitense David Rockefeller. La prima riunione si tenne il 29 maggio del 1954 all’Hotel Bilderberg nei Paesi Bassi e il punto focale dell’incontro fu la crescita dell’antiamericanismo che si respirava in Europa occidentale». Lo stesso Bilderberg oggi spiega che a Montreux è invitato «un gruppo eterogeneo di leader politici ed esperti dell’industria, della finanza, del mondo accademico, del lavoro e dei media».Fondato nel 1954, il Bilderberg Meeting è una conferenza annuale «progettata per favorire il dialogo tra Europa e Nord America», spiega lo stesso club sul proprio sito. Ogni anno, tra 120-140 leader politici ed esperti dell’industria, della finanza, del lavoro, del mondo accademico e dei media sono invitati a prendere parte al Meeting. Circa due terzi dei partecipanti provengono dall’Europa e il resto dal Nord America; circa un quarto dalla politica e dal governo e il resto da altri campi. Il Bilderberg si definisce «un forum per discussioni informali su questioni importanti». Gli incontri «si svolgono secondo la Chatham House Rule, che stabilisce che i partecipanti sono liberi di utilizzare le informazioni ricevute, ma né l’identità né l’affiliazione degli oratori o di altri partecipanti possono essere rivelate». Grazie alla natura privata del Meeting, i partecipanti «prendono parte come individui piuttosto che in qualsiasi veste ufficiale, e quindi non sono vincolati dalle convenzioni del proprio ufficio o da posizioni prestabilite». In quanto tali, «possono prendere tempo per ascoltare, riflettere e raccogliere idee». Non vi è alcun ordine del giorno dettagliato, non vengono proposte risoluzioni, non vengono votate né emesse dichiarazioni politiche.Da anni, il Bilderberg fa parlare di sé lasciando trapelare (o addirittura presentando apertamente) la lista degli invitati. «Tanta sovraesposizione – sostiene il saggista Gianfranco Carpeoro, acuto analista delle dinamiche del potere – sembra fatta apposta per lasciare al riparo, nell’ombra, i veri centri di potere». Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni”, spiega che il Bilderberg (come la Trilaterale e la Chatham House inglese, il Council on Foreign Relations statunitense, il Gruppo dei Trenta, la stessa Bce) sono in realtà istituzioni “paramassoniche”, cioè progettate da massoni ma aperte a “profani”. In pratica, cinghie di trasmissione del vero potere, che per Magaldi è esercitato – in modo occulto – dalle 36 superlogge sovranazionali che hanno in mano governi, finanza e geopolitica. Fanno parte di questa categoria i think-tanks come l’Aspen Institute, il Forum di Davos, il Club di Roma. Sono gli incubatori dell’attuale mondialismo, che le Ur-Lodges di segno neo-conservatore hanno sostanzialmente imposto al pianeta dopo il crollo dell’Urss, al termine di una lunga preparazione avviata nel 1971 con il Memorandum neoliberista di Lewis Powell (Wall Street) e completata nel 1975 con il manifesto “La crisi della democrazia”, saggio firmato da Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki su commissione della Trilaterale.Attraverso l’analisi della massoneria di potere, nel suo lavoro editoriale Magaldi sintetizza la traiettoria dell’Occidente nell’ultimo mezzo secolo: l’espansione del progressismo varato da Roosevelt in base alla dottrina economica di Keynes (benessere diffuso) proseguì fino alla presidenza di Lyndon Johnson, ma – dopo l’omicidio di Jfk – fu brutalmente fermata da altri due delitti politici, l’assassinio di Bob Kennedy e Martin Luther King. In Europa, l’Italia fu il campo di battaglia che vide opporsi le due anime della supermassoneria: un funzionario kennediano come Arthur Schlesinger jr. fu determinante nel neutralizzare i tre tentativi di golpe condotti nella pensiola. E al colpo di Stato dei colonnelli in Grecia, i progressisti risposero nel ‘74 con la Rivoluzione dei Garofani in Portogallo, fatta scattare non a caso il 25 aprile, per ricordare la liberazione antifascista dell’Italia. Quattro anni dopo fu rapito e ucciso Aldo Moro, politico che intendeva preservare la sovranità italiana di fronte al nuovo globalismo che stava già progettando l’Ue. Poco prima del sequestro, Moro fu minacciato e intimidito a Washington da Kissinger: fu lo stratega del golpe cileno ad “avvertire” il leader democristiano che avrebbe rischiato la vita, insistendo con l’alleanza con il Pci di Berlinguer.Nel suo libro, Magaldi rivela che Kissinger è stato l’eminenza grigia della “Three Eyes”, la superloggia che più di ogni altra, prima dell’11 Settembre, si è impegnata per fermare l’avanzata dei diritti sociali in Occidente. Sempre Magaldi sostiene che la P2 di Gelli non era che il braccio operativo italiano della “Three Eyes”. In un recente convegno a Milano, il Movimento Roosevelt – di cui Magaldi è presidente – ha ricordato le figure di Olof Palme e Thomas Sankara. Due massoni progressisti, assassinati nella seconda metà negli anni ‘80 alla vigilia dell’avvento della globalizzazione neoliberista del pianeta, che avrebbe incluso anche la Cina e che oggi colpisce duramente l’Africa: lo stesso Sankara, leader carismatico del Burkina Faso, si era opposto alla schiavitù finanziaria del debito. Palme, unico premier europeo ucciso mentre era in carica, fu freddato a Stoccolma nel 1986. Un uomo scomodo: fautore del miglior welfare europeo e dell’impegno diretto dello Stato nell’economia sociale, avrebbe ostacolato la nascita di questa Ue, di segno oligarchico. Un anno dopo l’omicidio Palme scomparve da Roma il professor Federico Caffè: era considerato il maggior economista keynesiano d’Europa, capace di fornire agli Stati gli strumenti per consentire ai governi di sostenere finanziariamente le economie, puntando al benessere dei cittadini.Il neoliberismo è oggi la nuova religione universale: ne fanno professione anche Lilli Gruber, Matteo Renzi e lo stesso Mattia Feltri, ospiti del Bilderberg. La teologia neoliberale prevede che siano gli attori finanziari a decidere le politiche degli Stati, a prescindere dalle elezioni: i governi sono ricattati dal debito statale, che si chiama ancora “pubblico” ma è stato privatizzato, essendo detenuto da fondi d’investimento privati. Di qui il dogma dello “Stato minimo”: obbligo di tagliare la spesa pubblica, fino a ridurre a zero il ruolo sociale dello Stato con il pareggio di bilancio. Una linea politica risultata disastrosamente evidente in Italia con l’avvento di Monti nel 2011, fedele esecutore dell’austerity imposta da Bruxelles. Nel frattempo, alla crisi sociale determinata dal rigore finanziario si è accompagnata l’esplosione del caos geopolico planetario, innescato dal crollo dell’Urss e deflagrato con l’attentato del 2001 alle Torri Gemelle, per arrivare fino al terrorismo targato Isis. Una dinamica infernale, che Magaldi riconduce alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpha” creata dai Bush per esportare in tutto il mondo la strategia della tensione. Obiettivo: imporre a mano armata la globalizzazione neoliberista. Una narrazione, questa, da cui restano lontanissimi politici come Renzi e giornalisti come Mattia Feltri e Lilli Gruber, che non ha mai neppure citato il libro di Magaldi (ben noto invece ai signori del Bilderberg e a tutti i veri potenti di questi anni, da Napolitano a Draghi).La 67ma riunione del gruppo Bilderberg si terrà a Montreux, in Svizzera, dal 30 maggio al 2 giugno. Politica, economia, industria, finanza e media: tra i circa 130 partecipanti, nella “delegazione” italiana ci saranno Matteo Renzi, Stefano Feltri del “Fatto Quotidiano” e Lilli Gruber. Lo conferma, in una nota, l’“Huffington Post”. Saranno trattati 11 grandi temi globali in quattro giorni, tra questi anche ambiente e futuro: “Un ordine strategico stabile”, “Quale futuro per l’Europa?”, “Cambiamenti climatici e sostenibilità”. E poi “Cina”, “Russia”, “Il futuro del capitalismo”, “Brexit”. E ancora: “L’etica dell’intelligenza artificiale”, “I social media come arma”, “L’importanza dello spazio”, “Le minacce cyber”. «A iniziare le conferenze del gruppo – scrive l’“Huffington” – fu un’idea del magnate statunitense David Rockefeller. La prima riunione si tenne il 29 maggio del 1954 all’Hotel Bilderberg nei Paesi Bassi e il punto focale dell’incontro fu la crescita dell’antiamericanismo che si respirava in Europa occidentale». Lo stesso Bilderberg oggi spiega che a Montreux è invitato «un gruppo eterogeneo di leader politici ed esperti dell’industria, della finanza, del mondo accademico, del lavoro e dei media».
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Spannaus: poteri opachi dietro la rissa tra Salvini e Di Maio
Poteri opachi potrebbero strumentalizzare la guerra interna ai gialloverdi. Lo sostiene Andrew Spannaus, giornalista americano, fondatore di “transatlantico.info” e consigliere delegato dell’Associazione stampa estera di Milano, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. Lo scontro intestino, in effetti, continua senza tregua: «Di Maio vuole stanziare per la famiglia i soldi avanzati dal reddito di cittadinanza, introdurre il salario minimo a 9 euro e nuovi criteri, solo tecnici, per le nomine in sanità». Ma il capo politico dei 5 Stelle, aggiunge Ferraù, ha pure stigmatizzato «le camionette delle forze dell’ordine» alla Sapienza, dove parlava Mimmo Lucano, e «una tensione sociale palpabile come non si avvertiva da anni». Pronta la risposta: «Di Maio e Zingaretti parlano di razzismo che non c’è», ha replicato Salvini: «Gli italiani non sono violenti, né egoisti, né razzisti. Pd e 5 Stelle si sono forse coalizzati anche contro autonomie, Flat Tax e per aprire i porti ai clandestini?». Il capo della Lega rilancia quindi su autonomia, tasse e decreto sicurezza bis. Ce n’è quanto basta – osserva Ferraù – per rendere esplosivo il prossimo Consiglio dei ministri, l’ultimo prima del voto europeo. «In campagna elettorale bisogna distinguersi», premette Spannaus. Prima, però – aggiunge – i distinguo e le repliche erano reciproci ma senza andare allo scontro. «Adesso invece la situazione sembra quasi fuori controllo».Il governo terrà? «Mi auguro che le due forze siano in grado di gestire la competizione elettorale senza andare alla rottura», dice Spannaus: «Ne va della loro fortuna». Prima delle inchieste – prosegue Ferraù – Salvini diceva di voler governare altri quattro anni. I 5 Stelle anche, perché erano in difficoltà e non volevano andare al voto. Ma adesso? «Salvini intende raddoppiare il consenso delle politiche e io credo che ci andrà vicino», sostiene Spannaus. «Se non arriverà al 30% la sua sarà vista come una sconfitta, in modo un po’ ingannevole perché la Lega sarà comunque il primo partito italiano. Se invece dovesse superare il 33-34%, sarà tentato di passare all’incasso». Lo farà? «Lui stesso dovrebbe valutare attentamente le prospettive». Insomma, far saltare il governo non conviene? «Il voto europeo non cambierà la composizione del Parlamento», sottolinea il giornalista americano. Un’ovvietà, certo. «Ma è il primo dato con cui fare i conti». Eventuali elezioni anticipate, «oltre ad arrivare in vista della legge di bilancio, sarebbero un’incognita». Perché, ragiona Spannaus, «o si ha la certezza di superare il 40%, oppure con l’attuale sistema elettorale occorre allearsi».Per Salvini, «ribaltare la maggioranza parlamentare a suo favore sarebbe molto difficile» e probabilmente neppure auspicabile, «soprattutto nel momento in cui, alla luce del risultato europeo, dovesse risultare più forte». Riflette Ferraù: e se il Movimento 5 Stelle si rivelasse in Italia ciò che è stato Syriza in Grecia, il partito che ha raccolto il voto anti-establishment ma poi ha governato attuando l’austerity europea? «Non mi spingerei così avanti», frena Spannaus. «Nei fatti, soprattutto a breve termine, il M5S potrebbe anche avere questo ruolo, ma che possa fare intenzionalmente una virata pro-establishment mi pare improbabile e controproducente», sostiene il giornalista. «Questo governo – aggiunge – è totalmente diverso dagli altri governi in Europa. E mi auguro che Di Maio e Salvini se ne siano accorti. Pur litigando, mantiene un consenso del 55%, forse superiore». Velo pietoso sulle opposizioni: «Le critiche che provengono dagli altri partiti si riducono a quella di litigare senza affrontare i problemi del paese», taglia corto Spannaus. I litigi dentro il governo gialloverde, invece, fino a prima della contrapposizione frontale, «sono avvenuti sul da farsi, sulle tasse, sullo sblocca-cantieri». E quindi: si può rimproverare all’esecutivo Conte di non averlo fatto in modo abbastanza incisivo o sufficiente. «Ma dire, come fa Zingaretti, “meno litigi e più lavoro” è la confessione di una penosa mancanza di proposte».La controffensiva grillina ha trovato un alleato nelle inchieste della magistratura, osserva Ferraù: si sta dunque ripetendo il copione di Tangentopoli, quando le inchieste risparmiarono il maggiore partito della sinistra? Per Spannaus, i 5 Stelle «potrebbero avere indirettamente un ruolo strumentale in un gioco di interessi più ampio», anche se la loro posizione non è paragonabile a quella del Pci-Pds negli anni ‘90. «Ricordiamoci che i 5 Stelle nascono come partito anti-casta, dunque la loro prima ragion d’essere è l’anticorruzione. Oggi si sono trovati ad approfittare di un momento favorevole. Ma effettivamente un rischio c’è». Quale? «Quello di prestarsi al gioco di cui sopra, perdendo lo slancio che questo governo potrebbe avere». Da straniero, Spannaus aggiunge un’osservazione: «Che dei politici vengano indagati o arrestati a tre settimane da un appuntamento elettorale, mi sembra fuori dal mondo». E quindi cosa dobbiamo aspettarci? «Il problema più grande è la prossima manovra», sostiene il giornalista, pensando alle ristrettezze finanziarie alle quali Bruxelles ha costretto l’Italia, negandole il pur minimo aumento del deficit proposto dall’esecutivo.«In occasione dell’ultima legge di bilancio il governo italiano ha lanciato una sfida all’Ue sull’austerity, ma per evitare la procedura di infrazione ha dovuto chinare il capo all’automatismo delle clausole di salvaguardia. E al rinvio del problema. Per negoziare con più probabilità di successo è necessario che il governo sia unito e che il consenso delle due parti si mantenga alto». Scenario probabile: un rimpasto, dopo le europee, per dare più spazio alla Lega. Conclude Ferraù: dobbiamo attenderci un’offensiva “antisovrana” dell’establishment, italiano ed europeo? «Questa offensiva – conferma Spannaus – è pronta a scattare ogni volta che il governo fa qualcosa per contravvenire alle regole europee. Chi osteggia questo governo, dentro e fuori dall’Italia, cerca ogni occasione per fargli male. Mi stupirei se Salvini e Di Maio, presi dalla campagna elettorale, lo avessero dimenticato». Cosa dovrebbero fare, i due ex amici gialloverdi? «Del loro meglio – risponde Spannaus – per gestire la conflittualità senza spezzare l’impulso del governo. E andare avanti».Poteri opachi potrebbero strumentalizzare la guerra interna ai gialloverdi. Lo sostiene Andrew Spannaus, giornalista americano, fondatore di “transatlantico.info” e consigliere delegato dell’Associazione stampa estera di Milano, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. Lo scontro intestino, in effetti, continua senza tregua: «Di Maio vuole stanziare per la famiglia i soldi avanzati dal reddito di cittadinanza, introdurre il salario minimo a 9 euro e nuovi criteri, solo tecnici, per le nomine in sanità». Ma il capo politico dei 5 Stelle, aggiunge Ferraù, ha pure stigmatizzato «le camionette delle forze dell’ordine» alla Sapienza, dove parlava Mimmo Lucano, e «una tensione sociale palpabile come non si avvertiva da anni». Pronta la risposta: «Di Maio e Zingaretti parlano di razzismo che non c’è», ha replicato Salvini: «Gli italiani non sono violenti, né egoisti, né razzisti. Pd e 5 Stelle si sono forse coalizzati anche contro autonomie, Flat Tax e per aprire i porti ai clandestini?». Il capo della Lega rilancia quindi su autonomia, tasse e decreto sicurezza bis. Ce n’è quanto basta – osserva Ferraù – per rendere esplosivo il prossimo Consiglio dei ministri, l’ultimo prima del voto europeo. «In campagna elettorale bisogna distinguersi», premette Spannaus. Prima, però – aggiunge – i distinguo e le repliche erano reciproci ma senza andare allo scontro. «Adesso invece la situazione sembra quasi fuori controllo».
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Magaldi oscurato su Facebook: “Spieghino, o li denuncio”
Gioele Magaldi oscurato da Facebook: «Da qualche giorno non posso più accedere alla mia pagina, da cui peraltro sono spariti tutti i contenuti. Nel caso ci fosse del dolo, a Facebook farò una causa coi fiocchi», avverte il presidente del Movimento Roosevelt, in web-streaming su YouTube il 13 maggio con Fabio Frabetti di “Border Nigths”. E aggiunge: «Mi auguro che sia solo un problema tecnico momentaneo, perché i miei contenuti (politico-culturali) non sono certo considerabili “inappropriati”, da Facebook». Magaldi è un personaggio pubblico piuttosto noto. «Anche nel caso si trattasse solo di un inconveniente – dice – resta comunque il danno: lo conferma una sentenza del tribunale di Pordenone, che – come ricorda l’Associazione Forense Emilio Conte – il 10 dicembre 2018 ha condannato Facebook a ripristinare il profilo di un utente arbitrariamente chiuso, infliggendo anche il pagamento di una penalità per ogni giorno di ritardo». Magaldi è perfettamente consapevole dell’occhiuta “sorveglianza” di Facebook alla vigilia delle elezioni europee: il social network ha appena chiuso 23 pagine italiane, con 2,4 milioni di follower, accusate di diffondere “fake news”.
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Torino, il Salone della Censura anticipa il governo Pd-M5S?
Torino, la città più inquinata d’Italia – aria irrespirabile – ha una sinistra caratteristica: da decenni tende a sottrarre, anziché aggiungere. Comicamente, Juventus City cadde ai piedi di Sergio Marchionne: bagno di folla per il lancio della nuova Cinquecento, gioiellino-simbolo del manager che avrebbe trasferito a Detroit e nel resto del mondo quel che rimaneva della Fiat, svuotando Mirafiori. L’ex sindaco Sergio Chiamparino, poi presidente della potentissima Compagnia di San Paolo e ora governatore del Piemonte, ha riempito le piazze del capoluogo con le gloriose “madamine”, che invocano posti di lavoro fingendo di credere alla panzana siderale della linea Tav Torino-Lione. La città che in trent’anni – successi della Juve a parte – ha fatto sorridere il paese solo per la pronuncia televisiva di Luciana Littizzetto (e di Piero Chiambretti, per fortuna) generalmente riesce a fare notizia così, con i manifestanti NoTav aggrediti e malmenati al corteo del Primo Maggio. E con vicende fantozziane e imbarazzanti come la censura “antifascista” imposta all’editrice Altaforte al Salone del Libro, stanca kermesse editoriale che celebra la finta rinascita, mai davvero avvenuta, dell’ex capitale industriale e sindacale.Torino è sempre tristemente bella, misteriosamente inerte, lievemente depressiva. Ha inanellato un piccolo record italiano di sciagure altamente evocative, dalla tragedia del Grande Torino al rogo del cinema Statuto, fino alla carneficina in piazza San Carlo scatenata dal panico tra la folla che assisteva, dal maxischermo, a una partita della squadra bianconera (ancora lei). A due passi dall’ex cinema, nell’omonima piazza, torreggia il lugubre monumento che commemora i lavoratori caduti nell’800 al cantiere del Traforo del Fréjus voluto da Cavour. Il Fréjus esiste ancora, ci passa il velocissimo Tgv francese sulla linea valsusina Torino-Modane, ma forse i torinesi se ne dimenticano. Non sanno che esiste già, una Torino-Lione, e che l’Italia ha appena speso quasi mezzo miliardo di euro per ammodernare quel traforo, rendendolo perfettamente adatto al transito dei treni con a bordo i Tir e i grandi container navali? Dove hanno la testa, i torinesi, quando si lasciano trasformare in docile gregge (sotto la guida carismatica delle “madamine” di Chiamparino) da chi ha tutta l’aria di volersi aggrappare, come un parassita senza speranza, al miraggio miliardario dell’inutile ferrovia-doppione in valle di Susa? E’ lontanamente immaginabile che qualcosa del genere possa accadere nella vicinissima Milano, che dopo l’Expo è balzata al secondo posto (dietro a Roma) tra le mete turistiche italiane?A illuminare indirettamente il male oscuro di Torino ha provveduto, di recente, un giornalista di razza come Gigi Moncalvo, autore di saggi esplosivi (“Agnelli segreti” e “I lupi e gli agnelli”) subito spariti, misteriosamente, dalle librerie. In due diverse puntate della trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, una sugli Agnelli e l’altra sui Caracciolo, Moncalvo si domanda come sia possibile che la grande stampa italiana ignori completamente le notizie-bomba che provengono dalla collina torinese, dove gli eredi dell’Avvocato si lacerano in guerre all’ultimo sangue per contendersi il tesoro dell’ex patron della Fiat: miliardi di euro “riparati” all’estero, lontano dal fisco italiano (nonostante i fiumi di denaro statale concessi per la cassa integrazione). C’è anche il forziere – 9 miliardi in lingotti d’oro – custodito nel blindatissimo Freeport di Ginevra, insieme ai “risparmi” – dice sempre Moncalvo – dei migliori galantuomini del pianeta, narcos sudamericani e oligarchi russi. Possibile che nessuno ne parli? Ebbene sì: solo in Italia il kolossal tratto dal romanzo “The silence of the lambs” uscì col titolo taroccato (il silenzio degli innocenti, anziché degli agnelli) per un riflesso di autocensura preventiva, nel timore che la parola proibita – agnelli – potesse turbare la quiete sabauda della real casa.E se ora Torino fa notizia come sempre, cioè con qualcosa di sgradevole (il conformismo da parata, in salsa “antifascista”, per mettere al bando un editore che lo Stato considera perfettamente legale), c’è chi si mette addirittura in sospetto: vuoi vedere che dietro la manfrina anti-Salvini, inscenata da Chiamparino in tandem con la sindachessa pentastellata Chiara Appendino, si nascondono i prodromi della prossima, possibile manovra di palazzo per “sposare” i 5 Stelle con l’incolore Pd di Zingaretti? Non che ne manchino le premesse, dopo le entrate a gamba tesa di Roberto Fico sui migranti, l’allineamento di Giulia Grillo sul decreto Lorenzin (obbligo vaccinale), quindi la genuflessione di Di Maio alla Merkel e, soprattutto, la clamorosa cacciata di Armando Siri dal governo Conte. In compenso, Salvini – nel mirino – risponde da par suo, aprendo la più tragicomica caccia alle streghe della storia, quella contro i negozi di cannabis “light”. Con buona pace delle speranze dell’Italia gialloverde, morte e sepolte dopo la resa a Bruxelles. Nel 2008, Veltroni scelse proprio Torino per lanciare il formidabile Pd, il partito che avrebbe sorretto il governo Monti e varato la legge Fornero e il pareggio di bilancio in Costituzione. Sarà ancora l’ambigua e depressa Torino, capitale della censura, a inaugurare l’ennesima non-svolta concepita per consegnare il paese all’orizzonte dell’austerity eterna?(Giorgio Cattaneo, “Fatale Torino, capitale della censura: il bavaglio a CasaPound (contro Salvini) prepara un’intesa di governo tra Pd e 5 Stelle?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 12 maggio 2019).Torino, la città più inquinata d’Italia – aria irrespirabile – ha una sinistra caratteristica: da decenni tende a sottrarre, anziché aggiungere. Comicamente, Juventus City cadde ai piedi di Sergio Marchionne: bagno di folla per il lancio della nuova Cinquecento, gioiellino-simbolo del manager che avrebbe trasferito a Detroit e nel resto del mondo quel che rimaneva della Fiat, svuotando Mirafiori. L’ex sindaco Sergio Chiamparino, poi presidente della potentissima Compagnia di San Paolo e ora governatore del Piemonte, ha riempito le piazze del capoluogo con le gloriose “madamine”, che invocano posti di lavoro fingendo di credere alla panzana siderale della linea Tav Torino-Lione. La città che in trent’anni – successi della Juve a parte – ha fatto sorridere il paese solo per la pronuncia televisiva di Luciana Littizzetto (e di Piero Chiambretti, per fortuna) generalmente riesce a fare notizia così, con i manifestanti NoTav aggrediti e malmenati al corteo del Primo Maggio. E con vicende fantozziane e imbarazzanti come la censura “antifascista” imposta all’editrice Altaforte al Salone del Libro, stanca kermesse editoriale che celebra la finta rinascita, mai davvero avvenuta, dell’ex capitale industriale e sindacale.
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Magaldi: il coraggio di una vera rivoluzione per il XXI secolo
Da Berlusconi in avanti, passando per Monti e soprattutto per Renzi, sono tutti piuttosto bravini a raccogliere il consenso, ma poi non sanno che farne: per impiegarlo in modo utile, e soprattutto mantenerlo, bisognerebbe operare con coraggio in direzioni precise – e questo non accade. Se oggi si può avere coraggio senza rischiare la vita, come invece Olof Palme e Thomas Sankara, è perché si è seduti sulle spalle di questi giganti: loro sono stati assassinati, ma le loro idee sono qui, pronte per essere usate. Un governo italiano che avesse davvero coraggio e determinazione dovrebbe dire, agli altri paesi e alle istituzioni Ue: in democrazia si parte da una Costituzione e da politiche unitarie, e questo oggi in Europa non c’è. Quindi: o avviamo una fase costituente di questo tipo, tenendo conto del fatto che il modello dell’austerità neoliberista ha fallito miseramente, oppure – se i partner non ci stanno – l’Italia sospende la vigenza dei trattati europei e inizia a organizzare in modo diverso la propria società, auspicando in tutte le sedi possibili un processo costituzionale e federativo. Non è molto difficile né da dire né da spiegare alla pubblica opinione. Per farlo, però, bisogna appunto avere quel coraggio che hanno avuto personaggi come Rosselli, Palme e Sankara.Coraggio che manca ai nostri politicanti di oggi, tutti preoccupati di abbaiare e di litigare per avere qualche percentuale irrisoria in più alle elezioni europee. Ma poi – una volta al potere – si limitano a vegetare, facendo i propri affari, dimenticandosi di quello che avevano promesso per raccogliere il consenso elettorale. Palme e Sankara sono stati assassinati quando il neoliberismo non voleva ostacoli davanti a sé, nemmeno ideologici, e men che meno da parte di statisti influenti e capaci di bloccare quello che doveva accadere all’inizio degli anni ‘90. Oggi, soffiare sul fuoco della violenza per fermare una rivoluzione anti-neoliberista non appare più una soluzione percorribile, per tante ragioni. C’è ormai una platea di cittadini, in Italia e nel mondo, che vedono ormai con chiarezza quello che non funziona. Tutti i politici che parlano di cambiamento, e poi si dimostrano essere dei bluff, ci mettono poco a essere sbugiardati dal corpo elettorale.Paolo Becchi, già ideologo dei 5 Stelle, oggi – con il libro “Italia sovrana” – si presenta come ideologo di un nuovo sovranismo, interessante nella sua declinazione intellettuale: la contrapposizione tra globalismo e sovranismo. Ma una volta scelto il sistema, globale o nazionale, poi tutto cambia se viene gestito con presupposti neoliberisti o keynesiani, post-democratici o democratici, liberal-conservatori o social-liberali. Di quale ideologia e cultura politica vogliamo nutrire il nostro futuro, nel XXI secolo? Quella dell’inganno neoliberista, secondo cui socialismo e liberalismo sono antitetici, e quella dell’inganno neoaristocratico, secondo cui basta servire su un piatto ai cittadini la ritualità della democrazia, dimenticando la sostanza? Oppure vogliamo richiedere un’idea equilibrata di gestione delle nostre società, nella quale il libero mercato e lo stesso capitalismo non siano demonizzati, ma trovino una complementarità nelle istanze sociali, cioè in un socialismo che è fatto di integrazioni, contrappesi e di una ritrovata autorevolezza di ciò che è pubblico?Pubblico e privato non sono antitetici. La narrazione neoliberista è stata all’insegna della svalutazione di ciò che è pubblico e statuale, della lentezza dei processi democratici rispetto all’esigenza di trattare la cosa pubblica come un’azienda che produce efficienza e profitti. Il mondo della libera impresa, che è storicamente collegato all’affermarsi delle democrazie, è un mondo diverso da quello della sfera pubblica, dove il core business non è la produttività in senso economicistico, bensì quella rete di servizi sociali, civili e materiali, infrastrutturali, che consente lo sviluppo di una vita felice, equilibrata. Le istituzioni pubbliche sono adatte a offrire un’uguaglianza delle opportunità, distinguendosi così dalle (giuste) leggi competitive del libero mercato. Le istituzioni pubbliche parlano di cooperazione, non di competitività.Il Movimento Roosevelt intende offrire un orizzonte ideologico nuovo, da abitare, per i cittadini del XXI secolo. Serve una rivoluzione culturale, perché non basta una semplice riforma dell’esistente. C’è bisogno di affrontare, pacificamente ma in modo deciso e forte, tutta una serie di poteri che non gradiscono questa conversione verso la democrazia sostanziale. La globalizzazione in atto è un processo che offre, piano piano, una disabitudine alla democrazia. E le contrapposizioni violente – su scala locale e internazionale – servono proprio a impedire un approccio di pace e armonia sociale. Quelli come noi vogliono costruire un orizzonte di eliminazione del conflitto sociale, attraverso una compesazione per le diseguaglianze prodotte dal mercato: va bene la disparità generata dal merito individuale, ma in cambio bisogna offrire a tutti i cittadini del globo gli elementi di base che consentono di avere un progetto di vita dignitoso. E’ una cosa che sembra semplice, ma in realtà oggi è rivoluzionaria. Esiste una nuova ideologia, il socialismo liberale, declinabile anche da angolazioni politiche diverse. E l’Italia può fare con orgoglio quello che ha già fatto nei secoli passati: offrire per prima una pietanza politico-culturale e ideologica agli altri popoli, agli altri paesi.Dall’Italia sono sempre partite le primizie – buone e cattive – che poi hanno influenzato il resto del mondo: la civiltà giuridica promana da Roma, l’universalismo giuridico viene dall’Italia romanizzata. E non dimentichiamo la lezione del Rinascimento, una sorta di manifesto ideologico-culturale che diventò poi storia concreta, trasformando le istituzioni e il modo stesso di concepire la realtà. Quel grande italiano che fu Giovanni Pico della Mirandola, con la “Oratio de hominis dignitate” costruì una nuova antropologia: l’antropologia dell’uomo artista, mago e scienziato, che non si limita a chinare il capo come creatura peccaminosa, bisognosa di redenzione, che quindi non ardisce conoscere e mettersi in rapporto dialettico con la natura. Da lì nasce l’idea dell’uomo che può trasformare le cose – la società, la natura stessa. Poi c’è il Risorgimento: i nostri eroi risorgimentali erano presi a modello in tutto il mondo, da popoli che anelavano all’autodeterminazione.C’è stato anche il fascismo, naturalmente: altra primizia italiana. Una dottrina post-democratica e di fatto neoaristocratica, tuttavia affascinante per i tanti che si lasciarono influenzare da quella che – per me, che sono fieramente democratico – non è che una perversione. Siamo orogliosi di essere italiani, senza che questo ci spinga a pensare che abbia davvero un futuro la contrapposizione tra sovranismo e globalismo. Sto molto apprezzando il libro di Paolo Becchi, “Italia sovrana”, e il senso in cui lui parla di sovranismo. Però credo che la sfida vera sia quella di “glocalizzare” la democrazia, uscendo da questo film che contrappone i nazionalismi alle oligarchie globali, come se globalizzare i rapporti fosse per ciò stesso sinonimo di diminuzione della democrazia. Io credo piuttosto che si possano globalizzare anche i diritti universali. Ma come fare, se non si ha una visione globale di questi diritti, e se ciascuno si preoccupa soltanto di recuperare la sovranità del proprio Stato e del proprio popolo?Alla fine, questo è un nazionalismo non aggressivo, teso a sottrarre alle oligarchie apolidi il controllo della moneta, dell’economia, della società e delle istituzioni. Ma come possiamo però immaginare un XXI secolo in cui non ci curiamo di tanti territori, dove le popolazioni non sono mai nemmeno passate per processi democratici?In fondo, anche il processo risorgimentale italiano metteva insieme più Stati e staterelli coi propri usi, tradizioni, dialetti e lingue. Eppure c’era un sentimento di italianità che univa tutti. Ma la lingua italiana era quasi artificiale, creata per unire popoli che parlavano lingue diverse, e si è affermata definitivamente solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, grazie alla Rai. Il Movimento Roosevelt è convinto che l’Italia possa insegnare molto a molti, e che l’orgoglio patriottico (non nazionalistico) del nostro paese possa essere un fattore coesivo, per una proposta politico-culturale convincente.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella video-chat su YouTube del 6 maggio 2019. Presidente del Movimento Roosevelt, Magaldi ripercorre le tappe di quella che chiama “rivoluzione rooseveltiana”: dopo il convegno a Londra il 30 marzo sul New Deal keynesiano di cui avrebbe bisogno l’Europa, è seguita l’assise milanese del 3 maggio sul socialismo liberale, in omaggio a Rosselli, Palme e Sankara. Il 14 luglio, a Roma, lo stesso Magaldi sarà tra i promotori del “Partito che serve all’Italia”, cantiere politico per offrire un’alternativa agli elettori, superando le timidezze del governo gialloverde, incapace di opporsi al paradigma neoliberista del rigore Ue).Da Berlusconi in avanti, passando per Monti e soprattutto per Renzi, sono tutti piuttosto bravini a raccogliere il consenso, ma poi non sanno che farne: per impiegarlo in modo utile, e soprattutto mantenerlo, bisognerebbe operare con coraggio in direzioni precise – e questo non accade. Se oggi si può avere coraggio senza rischiare la vita, come invece Olof Palme e Thomas Sankara, è perché si è seduti sulle spalle di questi giganti: loro sono stati assassinati, ma le loro idee sono qui, pronte per essere usate. Un governo italiano che avesse davvero coraggio e determinazione dovrebbe dire, agli altri paesi e alle istituzioni Ue: in democrazia si parte da una Costituzione e da politiche unitarie, e questo oggi in Europa non c’è. Quindi: o avviamo una fase costituente di questo tipo, tenendo conto del fatto che il modello dell’austerità neoliberista ha fallito miseramente, oppure – se i partner non ci stanno – l’Italia sospende la vigenza dei trattati europei e inizia a organizzare in modo diverso la propria società, auspicando in tutte le sedi possibili un processo costituzionale e federativo. Non è molto difficile né da dire né da spiegare alla pubblica opinione. Per farlo, però, bisogna appunto avere quel coraggio che hanno avuto personaggi come Rosselli, Palme e Sankara.
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Cosa ci manca per essere come Rosselli, Palme e Sankara
Quando parliamo di costruire il futuro, spesso facciamo uso di sogni e visioni. Oggi, qui, invece, possiamo partire dalla realtà, che non di rado è meno piacevole. La realtà ci dice che Thomas Sankara è morto giovane e non è diventato il padre nobile di un’Africa democratica, più consapevole ed economicamente evoluta, che infatti ancora non c’è. La realtà ci dice che Carlo Rosselli non è sopravvissuto al fascismo e non ha potuto contribuire direttamente a rendere l’Italia e l’Europa postbelliche più libere e felici. E la realtà dice anche che Olof Palme non è diventato segretario generale delle Nazioni Unite. Sono stati assassinati e, soprattutto, nessuno ha potuto, o saputo, prendere il loro posto. Eppure sono stati degli esempi, per noi. Prendiamo Sankara: ha realizzato un piano tutto interno al Burkina Faso, coinvolgendo per quattro anni sette milioni di africani abbandonati a sé stessi e alla propria povertà. Ha fatto costruire scuole, ospedali, pozzi, dighe, strade, campi sportivi. Ha promosso la piantumazione del Sahel, e lo sviluppo agricolo e dell’allevamento. Ha esteso le cure sanitarie a tutti, consentito un aumento della vita media e favorito la prevenzione dell’Aids. Ha reso possibile l’istruzione diffusa e ha consentito a tutti di dire il proprio pensiero alla radio nazionale, senza filtri e senza mediazioni.Ha impegnato l’esercito in opere civili, e convertito parte dei fondi militari destinandoli a progetti di sviluppo. Ha liberato la donna dal giogo culturale maschile e proibito le mutilazioni genitali femminili, valorizzando quindi gli aspetti culturali costruttivi del suo paese e intervenendo su quelli deteriori. Ha chiesto di cancellare il debito estero di origine coloniale. Un presidente non ancora quarantenne ha realizzato tutto ciò in quattro anni. L’emozione che sentiamo di fronte alle azioni di Sankara è un pugno nello stomaco per la nostra coscienza, perché ci fa vedere quanto e quanto in fretta è possibile cambiare. Palme ha proposto un mondo senza dittature, che controlla le armi nucleari, cancella l’apartheid, distribuisce la ricchezza e rende i lavoratori piccoli azionisti delle aziende per le quali prestano la propria opera. Rosselli ha insegnato a coinvolgere tutti, nelle decisioni che riguardano tutti, al fine di raggiungere il benessere per tutti: liberalismo come metodo, socialismo come fine.Potremmo forse considerare questi tre leader degli idealisti o, peggio, degli ingenui. Ingenuo sarebbe colui che guarda solo i propri ideali, incapace di comprendere il mondo per quello che è. Si dice che in politica il contrario dell’ingenuità sia invece il realismo, cioè la capacità di guardare la dura realtà e governare le masse di conseguenza, senza illusioni, per raggiungere quello che si può. Eppure, Sankara per conoscere il suo paese girava le città e le campagne anche in bicicletta, pagava il mutuo e quando morì c’erano pochissimi soldi sul suo conto corrente; aveva ben presenti i suoi nemici e sapeva quale pericolo rappresentavano per lui; Palme si oppose alla guerra in Vietnam (che gli Usa persero, e tale sconfitta dimostrò quanto fossero falsi i motivi per i quali era stata combattuta); Rosselli previde che l’esito della parabola nazifascista sarebbe stato una guerra fratricida. Che cosa accomuna questi tre leader? Tutti hanno usato in modo costruttivo le risorse materiali e mentali a disposizione, per raggiungere obiettivi di valore. Usare la cooperazione al posto della competizione, che ha nella guerra la sua fine più stupida e ingloriosa, non è certo mancanza di realismo politico.Il vero realismo politico è conoscere la miseria della nostra razza e, con i propri principi spirituali, trovare soluzioni per modificarla (la miseria, non la razza). Se siamo dunque qui a parlare di Rosselli, Palme e Sankara come dei “nostri esempi” è perché abbiamo perso quegli stessi esempi per strada considerandoli inconsciamente “idealistici”, e abbiamo dormito il sonno della ragione e della coscienza: tutti noi, sia le masse dei governati sia le élite dei cosiddetti leader, progressisti compresi. Il problema è proprio che Palme, Rosselli e Sankara sono ancora i nostri fari (fuori di noi) e non parte del nostro Dna (dentro di noi). È questo il paradosso della leadership: dichiariamo di seguirla ma non l’abbiamo interiorizzata. Guardiamo i nostri capi attuali. Non soltanto i soliti Kim, Putin, Trump, Erdogan, Orban, Bolsonaro, Maduro, Macron, Merkel, May e così via. Mi riferisco anche alle alte cariche dello Stato in Italia, nazionali e locali, rappresentanti della Costituzione che loro dovrebbero difendere. Quando siamo chiamati a un referendum si dimenticano di ricordare che, proprio secondo la Costituzione, l’esercizio del voto è dovere civico (guadagnato per noi da milioni di soldati e civili morti nell’ultimo conflitto mondiale).E noi non pensiamo che, se anche i politici “tradiscono le decisioni referendarie”, in Parlamento noi possiamo votare ancora (e ancora, e ancora) per ribaltare quei tradimenti, informandoci e dedicando mezz’ora del nostro tempo per mettere una croce sulla scheda. Gli stessi politici naturalmente non ricordano ai giornalisti il loro dovere di informare i cittadini prima del voto perché possano conoscere per deliberare. Tutti tacciono e, quando i parlamentari alterano l’esito referendario, la volta dopo noi ce ne stiamo a casa “per protestare”, come bambini incapricciati. È normale che, appena prima del referendum sulla Brexit, il “Sun” titolasse dando ancora indicazioni su come votare? Una decisione così importante avrebbe dovuto essere stata presa dai lettori di quel tabloid settimane prima del voto: un voto che non può essere cambiato dopo cinque anni, come nelle elezioni generali, ma che avrà impatto per decenni sulla vita del Regno Unito. Come è possibile che gli elettori abbiano deciso sulla base di un titolo di giornale?I nostri politici non hanno più, o non hanno mai avuto, la spiritualità di Sankara, Rosselli e Palme. E noi non abbiamo quel livello di spiritualità che, se fosse presente, ci farebbe rendere conto che avere capi politici come i nostri non è normale. Diceva Oscar Wilde che il coraggio è sparito dalla nostra razza o forse non lo abbiamo mai avuto veramente… perché, aggiungeva, ci facciamo governare dal terrore della società (che è la base della morale) e dal terrore di Dio (che è la base della religione). In un mondo governato dai principi spirituali, un presidente come Sankara sarebbe considerato un buon amministratore della cosa pubblica, e non un rivoluzionario; un politico normale, che con il cuore e la ragione dei buoni padri di famiglia favorisce la felicità di quelli che dipendono da lui. I politici diversi sarebbero visti come anomalie geneticamente modificate, involucri privi della coscienza, cioè della capacità di distinguere ciò che crea sofferenza da ciò che produce benessere. Il modello di leadership delle nostre società è invece quello del capobranco con il suo gregge, modello che produce povertà e dolore e che nessun essere spirituale accetterebbe mai come “normale”.Molti nostri predecessori sono morti sperando che noi avremmo raccolto la loro eredità di cambiamento. Finora non lo abbiamo fatto a sufficienza. Ma le crisi della coscienza sono salutari perché la risvegliano. Che cosa possiamo fare noi oggi di diverso? Quando ci troviamo di fronte a un problema, una crisi, un conflitto, qualcosa che non ci piace, possiamo guardarci dentro e interpellare la nostra scala dei valori, e se riusciamo anche la nostra scintilla divina; poi possiamo ripensare alla scintilla divina che ha animato persone come Palme, Rosselli e Sankara, collegarci ad essa e chiederci: “Ma io, lasciando perdere tutte le distorsioni che mi hanno raccontato sul realismo politico, che cosa farei in questa situazione seguendo i miei principi?”. E poi, possiamo agire di conseguenza. Se lo facessimo, a quel punto ci accorgeremmo che, come non siamo rivoluzionari noi, non lo erano nemmeno Rosselli, Palme e Sankara. Erano uomini con la U maiuscola e la schiena dritta, che hanno fatto semplicemente ciò che andava, ragionevolmente, fatto.(Zvetan Lilov, “Rosselli, Palme, Sankara e noi: il paradosso della leadership”, intervento al convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli, Thomas Sankara e contro la crisi globale della democrazia” organizzato dal Movimento Roosevelt il 3 maggio 2019 a Milano).Quando parliamo di costruire il futuro, spesso facciamo uso di sogni e visioni. Oggi, qui, invece, possiamo partire dalla realtà, che non di rado è meno piacevole. La realtà ci dice che Thomas Sankara è morto giovane e non è diventato il padre nobile di un’Africa democratica, più consapevole ed economicamente evoluta, che infatti ancora non c’è. La realtà ci dice che Carlo Rosselli non è sopravvissuto al fascismo e non ha potuto contribuire direttamente a rendere l’Italia e l’Europa postbelliche più libere e felici. E la realtà dice anche che Olof Palme non è diventato segretario generale delle Nazioni Unite. Sono stati assassinati e, soprattutto, nessuno ha potuto, o saputo, prendere il loro posto. Eppure sono stati degli esempi, per noi. Prendiamo Sankara: ha realizzato un piano tutto interno al Burkina Faso, coinvolgendo per quattro anni sette milioni di africani abbandonati a sé stessi e alla propria povertà. Ha fatto costruire scuole, ospedali, pozzi, dighe, strade, campi sportivi. Ha promosso la piantumazione del Sahel, e lo sviluppo agricolo e dell’allevamento. Ha esteso le cure sanitarie a tutti, consentito un aumento della vita media e favorito la prevenzione dell’Aids. Ha reso possibile l’istruzione diffusa e ha consentito a tutti di dire il proprio pensiero alla radio nazionale, senza filtri e senza mediazioni.