Archivio del Tag ‘migranti’
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Houellebecq: l’Europa non esiste, e la libertà sta finendo
L’Europa non esiste: è solo un incubo, dal quale ci sveglieremo. E La gamma di opinioni consentite, quelle cioè che le persone sono autorizzate a esprimere in pubblico, è in costante diminuzione. Lo afferma uno scrittore di culto come Michel Houellebecq, il cui recente bestseller “Sottomissione”, che mette in guardia la Francia da una “conquista islamica”, è stato pubblicato il giorno del massacro di Charlie Hebdo. Houellebecq è stato a sua volta preso di mira per avere sostenuto verità impopolari, ricorda Paul Joseph Watson su “InfoWars”, in una nota tradotta da “Voci dall’Estero”. Lo scrittore sarebbe tra le vittime di «una sorta di dittatura esercitata dal politicamente corretto». Secondo Houellebecq, inoltre, non esiste alcun popolo europeo che possa dare vita ad alcuno Stato democratico: in una parola, riassume “Voci dall’Estero”, l’idea di Europa unita è stata semplicemente «un’idea stupida», rivelatasi mostruosa come un brutto sogno e destinata a svanire. Lo stesso Watson avverte: Houllebecq «suona un campanello d’allarme per la libertà di parola». In un pezzo scritto per “Harper’s”, lo scrittore francese denuncia lo strangolamento della libertà di opinione. «Gli americani non sono più disposti a morire per la libertà di stampa», scrive. Ma scusate, «quale libertà di stampa?». E aggiunge: «Fin da quando avevo dodici anni ho visto la gamma di opinioni consentite sulla stampa restringersi costantemente».Lo stesso Houellebecq denuncia una nuova «battuta di caccia», in Francia, contro lo scrittore conservatore Éric Zemmour, autore di “The French Suicide”, che sostiene che la società francese sia stata fortemente danneggiata dal neoliberismo, dall’Islam e dall’ossequio al “politicamente corretto”. Recentemente, ricorda Watson su “InfoWars”, proprio Zemmour «ha fronteggiato una marea di critiche per aver avvertito che in Francia era in corso una “colonizzazione al contrario”, dovuta ai decenni di immigrazione di massa, causata dal disprezzo di sé della nazione». Nel 2002, aggiunge Watson, lo scrittore era stato addirittura portato in giudizio per odio razziale – e in seguito assolto – per avere dichiarato in un’intervista che l’Islam è «la religione più stupida». Inoltre, a periodi alterni, ha dovuto ricorrere a una scorta armata «dopo avere ricevuto minacce contro la sua vita da parte di terroristi islamici». Una storia che ricorda le gravissime intimidazioni cui fu sottoposto a partire dal 1988 Salman Rushdie, autore indiano naturalizzato britannico, “colpevole” di aver scritto il romanzo “I versi satanici”, che gli attirò la “fatwa” dell’ayatollah Khomeini. Il traduttore in italiano dell’opera, Ettore Capriolo (non protetto da nessuna scorta), nel ‘91 fu pugnalato – in modo non mortale – nella sua abitazione milanese.All’epoca però l’Europa era lontanissima da quella attuale: non si erano ancora visti gli effetti del crollo dell’Urss e mancava ancora un decennio all’11 Settembre e alle guerre che avrebbe innescato, attraverso cui l’Occidente avrebbe devastato i paesi islamici. Va da sé che il fenomeno migratorio verso il vecchio continente non fosse paragonabile, per dimensioni, all’attuale esodo. In un altro passo del suo articolo per “Harper’s”, sempre Houellebecq nota che l’Europa storicamente è sempre stata in lotta contro l’Islam, e che «quella lotta è semplicemente tornata in primo piano». L’autore francese, aggiunge Watson, «si aspetta anche che l’Unione Europea si dissolva e che la Francia diventi nuovamente un paese indipendente». Houellebecq è esplicito: «La mia convinzione – scrive – è che in Europa non abbiamo né una lingua comune, né valori comuni, né interessi comuni: in una parola, sono convinto che l’Europa non esiste, e che non costituirà mai un popolo né sosterrà una possibile democrazia (vedi l’etimologia del termine), semplicemente perché non vuole costituire un popolo». Letteralmente, chiosa Houellebecq, «l’Europa è solo un’idea stupida che si è gradualmente trasformata in un brutto sogno, dal quale alla fine ci sveglieremo».La provocazione di Houellebecq va inquadrata nella polemica montante contro il “regime mainstream” del politically correct, rispetto al quale si moltiplicano segnali di insofferenza come quelli espressi dai movimenti politici classificati come populisti e neo-sovranisti, irritati dal modello post-democratico dell’Ue che sta producendo l’attuale Disunione Europea. Quanto alla polemica con l’Islam, in cui riecheggia lo “scontro di civiltà” evocato da Oriana Fallaci, non si precisa quello che la storia dimostra: e cioè che è stata l’Europa cristiana, con le Crociate, a muovere guerra al mondo musulmano (che all’epoca dava protezione anche agli ebrei, ferocemente perseguitati dai cattolici). Se la rabbia anti-occidentale (palpabile in molti paesi arabi) è dovuta allo spietato colonialismo anglo-francese, è noto che deriva estremistica dell’Islam (fino al terrorismo, Al-Qaeda e Isis) fu deliberatamente progettata dall’intelligence Usa. Quanto alla Francia che secondo Houellebecq dovrebbe giustamente tornare sovrana, sarebbe ora che rendesse sovrane anche 14 sue ex colonie africane, che mantiene sottomesse e a cui spilla ogni anno, scandalosamente, 500 miliardi di euro.L’Europa non esiste: è solo un incubo, dal quale ci sveglieremo. E La gamma di opinioni consentite, quelle cioè che le persone sono autorizzate a esprimere in pubblico, è in costante diminuzione. Lo afferma uno scrittore di culto come Michel Houellebecq, il cui recente bestseller “Sottomissione”, che mette in guardia la Francia da una “conquista islamica”, è stato pubblicato il giorno del massacro di Charlie Hebdo. Houellebecq è stato a sua volta preso di mira per avere sostenuto verità impopolari, ricorda Paul Joseph Watson su “InfoWars”, in una nota tradotta da “Voci dall’Estero”. Lo scrittore sarebbe tra le vittime di «una sorta di dittatura esercitata dal politicamente corretto». Secondo Houellebecq, inoltre, non esiste alcun popolo europeo che possa dare vita ad alcuno Stato democratico: in una parola, riassume “Voci dall’Estero”, l’idea di Europa unita è stata semplicemente «un’idea stupida», rivelatasi mostruosa come un brutto sogno e destinata a svanire. Lo stesso Watson avverte: Houllebecq «suona un campanello d’allarme per la libertà di parola». In un pezzo scritto per “Harper’s”, lo scrittore francese denuncia lo strangolamento della libertà di opinione. «Gli americani non sono più disposti a morire per la libertà di stampa», scrive. Ma scusate, «quale libertà di stampa?». E aggiunge: «Fin da quando avevo dodici anni ho visto la gamma di opinioni consentite sulla stampa restringersi costantemente».
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2018, Immacolata Concezione gialloverde: tutti spiazzati
Chi l’avrebbe mai detto, alla fine dell’anno scorso, che il 2018 sarebbe stato un anno così. Chi avrebbe mai pensato di questi tempi a un governo giallo-verde, a Di Maio al governo, a Salvini leader più amato dagli italiani e più odiato dai media (le due cose di solito vanno insieme). Chi avrebbe mai pensato al prof. avv. Conte alla guida del governo, un Signor Nessuno che traffica coi potenti della terra… E ai grillini passati dal nulla al ministero, dalla piazza al comando. Il 2018 è stato l’anno che ha spiazzato tutti, anche coloro che volevano questa svolta. Ma era imprevisto l’esito, e soprattutto l’alleanza tra cani e gatti. Non ci sono governi in Europa che mantengono così alto il loro consenso, quasi il 60% a sei mesi dall’insediamento. Sono in gran parte governi di minoranza. Pensate a come se la passa male Macron, e la Merkel, e la May, e tutti gli altri. Per trovare un consenso popolare ancora alto dovete andare Oltreoceano, da Trump o da Bolsonaro. Il 2018 è stato l’anno del Cambiamento, non del Paese, non dello Stato, né della Sostanza delle cose, ma è cambiato davvero il verso dell’Italia, per dirla col linguaggio di un predecessore caduto sotto un plebiscito di antipatia.Il lato “eroico” è la rivolta contro il politicamente corretto, sia la politica-politicante che il soffocante correttismo ideologico. Un’insurrezione popolare contro i potentati interni ed esteri. Nel 2018 la verginità è andata al potere; l’assenza di precedenti, di curriculum e di esperienza ha contato come una virtù anziché un difetto. Vergine è il premier, che è stato concepito senza passare dalle urne, in una specie di Immacolata Concezione che è un miracolo in democrazia ma un doppio miracolo per un’alleanza populista fondata sulla sovranità degli elettori. Vergine è il suo regista, Di Maio, che si muove con padronanza, ma il suo stadio precedente non è stato l’amministrazione locale, il tirocinio professionale o la formazione di studi, ma lo Stadio san Paolo. Non è Vergine assoluto ma è novizio nel suo ruolo anche il ragazzo della Nutella, Salvini il poliziotto d’Italia che distribuisce bacioni e ruspate. La faccia del 2018 è una e trina: è in quella terna lì, i due segnalinee del Contratto e l’arbitro che media tra i due e tra l’Italia e il resto del mondo, pedinato dai due gendarmi quirinalizi, il povero Tria e lo stranito Moavero.Eppure in questi mesi si sono visti pochi cambiamenti. Molti annunci, molte dichiarazioni epocali, molto fumo, poca ciccia. Gli atti più significativi, finora, sono stati simbolici. E in buona parte non sono stati a favore dei più ma contro alcune categorie elevate a bersaglio: privilegiati veri o presunti, clandestini o criminali. Il top del gesto simbolico resta la distruzione della Reggia radical kitsch dei Casamonica, che in un colpo solo sintetizzava la lotta alla delinquenza, all’abusivismo e ai rom, versione sinti. Il valore simbolico di quella ruspa è stato enorme, e se lo sono conteso Salvini, la Raggi e Zingaretti. Non si può del resto pretendere di quadrare il cerchio e pure il triangolo: risparmiare come impone l’Europa, far crescere l’Italia, assistere chi non ce la fa. Cioè far crescere il Paese in due direzioni opposte: generando dinamismo sociale e sviluppo come pensano i leghisti, alleggerendo la pressione fiscale, e insieme frenando le opere pubbliche e distribuendo soldi a chi se la passa male, come pensano i grillini. La Manovra è infatti il tentativo surreale di pagare i debiti, risparmiandoci l’aumento dell’Iva, mandare in pensione prima con la quota 100, elevare il minimo delle pensioni e aiutare chi non ha lavoro. Un miracolo triplo così non saprebbe farlo neanche Gesùcristo. Le nozze di Cana coi fichi secchi. Da nozze così, più che figli nascono divorzi. Ma continuiamo a tifare per l’Italia unita, risorgente e sovrana.(Marcello Veneziani, “L’anno che ha spiazzato tutti”, da “Il Tempo” del 30 dicembre 2018, articolo ripreso sul blog di Veneziani).Chi l’avrebbe mai detto, alla fine dell’anno scorso, che il 2018 sarebbe stato un anno così. Chi avrebbe mai pensato di questi tempi a un governo giallo-verde, a Di Maio al governo, a Salvini leader più amato dagli italiani e più odiato dai media (le due cose di solito vanno insieme). Chi avrebbe mai pensato al prof. avv. Conte alla guida del governo, un Signor Nessuno che traffica coi potenti della terra… E ai grillini passati dal nulla al ministero, dalla piazza al comando. Il 2018 è stato l’anno che ha spiazzato tutti, anche coloro che volevano questa svolta. Ma era imprevisto l’esito, e soprattutto l’alleanza tra cani e gatti. Non ci sono governi in Europa che mantengono così alto il loro consenso, quasi il 60% a sei mesi dall’insediamento. Sono in gran parte governi di minoranza. Pensate a come se la passa male Macron, e la Merkel, e la May, e tutti gli altri. Per trovare un consenso popolare ancora alto dovete andare Oltreoceano, da Trump o da Bolsonaro. Il 2018 è stato l’anno del Cambiamento, non del Paese, non dello Stato, né della Sostanza delle cose, ma è cambiato davvero il verso dell’Italia, per dirla col linguaggio di un predecessore caduto sotto un plebiscito di antipatia.
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L’Ue ha già smontato il “governo di distrazione di massa”
Dopo aver promesso di battere i pugni, pestare i piedi, digrignare i denti e strabuzzare gli occhi, i Grilloverdi hanno calato le braghe. Inflessibili coi naufraghi anche la notte di Natale, a 90° coll’Ue. Dopo tanti “Me ne frego” e “Noi tireremo dritto”, ovviamente hanno mollato. Mentre il prestanome Conte, e Tria di Forza Italia riscrivevano la “Manovra del Popolo” sotto dettatura dei commissari europei – blocco della rivalutazione delle pensioni, blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione, tagli, tasse, sanguinose clausole di salvaguardia – Di Maio e Salvini cercavano di distrarre gli italiani con la solita propaganda ridicola, e le abituali Mosse Kansas City. A ben vedere, tutto il Grilloverde è una Mossa Kansas City, un governo di distrazione di massa che fa credere agli italiani d’essere riusciti a ottenere qualche cambiamento, per impedirgli d’incazzarsi sul serio in stile Gilets Jaunes.Il trucco però funziona sempre meno, anche se dai sondaggi si nota poco: se il consenso elettorale del governo rimane intorno al 60% degli aspiranti elettori, aumentano però progressivamente indecisi e astenuti, il che significa che quel presunto 60% rappresenta un numero assoluto di voti sempre minore. Fin da bambini veniamo condizionati a credere a ogni sorta di cazzate. Babbo Natale, Mary Poppins, il Santo Graal, Giove in Sagittario. Chi non crede a nulla viene emarginato, considerato cinico, arido, immorale. Così i Cazzari professionisti hanno gioco facile a illudere le masse, sia per vendergli un’alga dimagrante che un Governo del Cambiamento. Nell’era della comunicazione sempre più fitta e accelerata però il Velo di Maya si sgrana in fretta.Il Grilloverde non manterrà nessuna delle sue iperboliche promesse – nazionalizzazione della società autostrade, abolizione della legge Fornero, 600.000 rimpatri, cinque milioni di sussidi – e presto anche ai credenti più devoti toccherà aprire gli occhi. E la fine del quantitative easing s’avvicina. La resa ai diktat di Bruxelles difficilmente salverà il Grilloverde da quello che pare comunque il suo destino manifesto, la sua principale funzione: essere d’esempio agli elettori europei di ciò che si rischia a votare il Cazzaro “sbagliato”. Perché il Grilloverde non è il figliol prodigo. È il vitello grasso.(Alessandra Daniele, “Boia che molla”, da “Carmilla” del 23 dicembre 2018).Dopo aver promesso di battere i pugni, pestare i piedi, digrignare i denti e strabuzzare gli occhi, i Grilloverdi hanno calato le braghe. Inflessibili coi naufraghi anche la notte di Natale, a 90° coll’Ue. Dopo tanti “Me ne frego” e “Noi tireremo dritto”, ovviamente hanno mollato. Mentre il prestanome Conte, e Tria di Forza Italia riscrivevano la “Manovra del Popolo” sotto dettatura dei commissari europei – blocco della rivalutazione delle pensioni, blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione, tagli, tasse, sanguinose clausole di salvaguardia – Di Maio e Salvini cercavano di distrarre gli italiani con la solita propaganda ridicola, e le abituali Mosse Kansas City. A ben vedere, tutto il Grilloverde è una Mossa Kansas City, un governo di distrazione di massa che fa credere agli italiani d’essere riusciti a ottenere qualche cambiamento, per impedirgli d’incazzarsi sul serio in stile Gilets Jaunes.
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Jack Folla: italiani mediocri e cialtroni come questi politici
«Rispetto a 20 anni fa oggi non ci sono più argini alla bestialità interiore, ciascuno tende a essere il peggio di quel che è. La generazione che giocava con i mostri da piccola lo è diventata». Giornalista, scrittore e autore tv, Diego Cugia sul finire degli anni Novanta ottenne un grande successo con il programma radiofonico “Alcatraz” e grazie al suo protagonista, Jack Folla, il dj evaso dal braccio della morte. Dietro un’esigenza morale assoluta di onestà, scrive Pasquale Rinaldis sul “Fatto Quotidiano”, attraverso il suo alter ego Jack, Cugia è stato per più d’una generazione «un fratello maggiore, anzi il Morpheus della “pillola rossa o pillola blu”, prima ancora del film Matrix. E invitava, contro le definitive salvezze, al rischio delle scelte, alla responsabilità della vita, alla serietà contro la retorica, alla saggezza contro la violenza». Dopo vent’anni di silenzio, Cugia è tornato con “Il Libro Nero”, con il quale prova a riannodare i fili di un discorso che era rimasto in sospeso. A Rinaldis, lo scrittore confida: la situazione è molto peggiorata. «Vent’anni fa, se avevi un fondo razzista, o se eri una bestia da terza elementare, un po’ te ne vergognavi. Oggi ne sei orgoglioso. Hai tre lauree? Sei un professore, scrivi libri, hai competenza nel tuo settore? Ti accuseranno di essere compromesso col ‘vecchio potere’, colluso con i corrotti, un privilegiato di merda. E questo anche se sei un intellettuale senza soldi e senza lavoro».Silenzio assoluto, oggi, all’uscita del nuovo libro di Cugia. L’autore se l’aspettava, anche perché, dice, non ha fatto il minimo passo perché ne parlassero: «Nessun critico, nessun direttore ha ricevuto da me la classica copia omaggio o una perorazione, una telefonata, un caffè». In questi anni, Cugia aveva ricevuto migliaia di email da parte degli ascoltatori di Jack: “Perché non torni? Dove sei finito?”. Dice Cugia: «Non hanno capito che l’Italia di 20 anni fa era più libera di quella di oggi. Che l’assenza di Jack non è stata una scelta, ma una condanna a vivere senza un microfono. Per raccontare loro come stanno le cose mi sono pubblicato da solo e ho aperto un canale su YouTube». Nell’Italia di oggi «i mediocri hanno vinto, hanno occupato tutto, come profetizzava Jack Folla». Continua Cugia: «Siamo comandati da un esercito di fronti basse, convinte di avere sempre diritto anche se non hanno fatto nulla per meritarsi la poltrona. È una delle più sconvolgenti illusioni ottiche della storia recente. Chi sa è ridotto a tacere, chi non sa sbraita e viene votato. Se questa è democrazia, io sono un ingegnere aerospaziale».C’è un capitolo del “Libro Nero” che s’intitola “La scintilla sacra”. «Inizio raccontando che mio papà mi insegnava da bambino i nomi delle stelle: Vega, Aldebaran, Deneb. Mi sono dimenticato la loro esatta collocazione nel cielo, sono una bestia da terza elementare anch’io, ma non dimenticherò mai la voce di mio padre che tremava dall’emozione e di rispetto per le stelle. Ce l’aveva anche per i vagabondi, gli oppressi e gli uomini fantastici. Quella vibrazione del cuore è l’imprinting, la scintilla sacra». Si domanda Cugia: «Chi contagia di bellezza i nostri giovani? Perché mai dovrebbero rialzare le loro giovani schiene già curve su smartphone tutti uguali? Nel mio piccolo ho fatto tornare Jack Folla per questo. Per donare ciò che ho ricevuto, ‘segnarli’ come io sono stato segnato. Tutti i libri che ho letto li devo a mio padre e alla sua voce che tremava di commozione per le stelle». Riguardo suo lungo esilio mediatico, lo scrittore parla di sé in terza persona: «Chi se ne frega di questo Cugia. Era benestante, ed è diventato un mendicante. Era famosetto e oggi non se lo ricorda quasi nessuno. Ha avuto una fortuna sfacciata, quel tipo: precipitare nel silenzio, nella solitudine, nel nulla. È qui che gli uomini si giocano le grandi partite. Bisogna ringraziare il proprio destino avverso. Non c’è propulsore più potente per slanciarsi verso il cielo». Aggiunge: «La partita la vinci se non ti arrendi mai, se ti rialzi dopo ogni caduta, ogni legnata. È meraviglioso».A Diego Cugia non piace l’habitat psicologico che spiega parte del consenso ai gialloverdi. «Gli italiani – dice – tendono a riconoscersi in massa in ometti autorevoli, in ‘capitani’ di piccolo corso, in ducetti. Credono di irrobustirsi identificandosi in loro. I ducetti li istigano a schierarsi contro qualcuno o qualcosa, li aizzano in tal senso e sdoganano il loro fascismo interiore, una piaga mai risolta. È l’esatto contrario di quello che dovremmo fare per migliorarci. Assumerci la totale responsabilità del mondo in cui viviamo, soprattutto se non abbiamo colpa, e unirci per contribuire a renderlo migliore, pensando ai figli dei nostri figli, e non a noi stessi». Secondo Cugia, «ci vuole una politica spirituale che guardi a fra 50 anni, non a fra mezz’ora cosa diranno i social. Ci vogliono le aquile in politica, io vedo solo tordi». Un appello: «Sveglia, fratelli, o ci faremo comandare dai maiali come nella Fattoria degli Animali di George Orwell». I “vaffa” di grillina memoria? «La storia ci insegna che quei “vaffa” lì tornano indietro: dal balcone di piazza Venezia al finire a testa in giù a piazzale Loreto». Dei 5 Stelle scrive: «Quelli che la scatoletta di tonno ora ce l’hanno in testa come un cappello».Beppe Grillo? «Un grande comico, conosce le masse e sa come esaltarle. Il suo movimento è stato anche salutare, ha dato una spallata al sistema, ha portato tanti giovani in Parlamento, è stato fantastico», dice Cugia. «Ma il potere è una brutta bestia», aggiunge. «Quando ho visto Luigi Di Maio scendere da un taxi col portabiti di Cenci a Campo Marzio, il sarto di Cesare Previti e del generone romano che bazzica in Parlamento, il sogno è finito». E’ furioso, Cugia: «Allearsi con Salvini, accettare la chiusura dei porti, rimangiarsi le promesse fatte in campagna elettorale? Maledetti. Mi avete fatto rimpiangere perfino la Dc e Kossiga che, da ragazzo, scrivevo sui muri con la kappa. Ma soprattutto mi manca l’intelligenza e lo stile di Enrico Berlinguer. Anche se l’ho votato una volta sola a 18 anni, mai stato comunista. Ma quelli erano statisti. Erano pochi già allora, oggi sembra non essercene rimasta traccia. Ma se ne stiamo parlando, vuol dire che, in qualche culla di un paesino sperduto, sta rinascendo un nuovo Antonio Gramsci. Io ci credo». Poi, certo, ci sono Salvini e Trump: «Salvini è un dittatore da operetta, Trump da game show». Un messaggio? «Volare da soli e controvento. Seguite la vostra intuizione, non il branco. E non alzate mai un muro. I muri vanno abbattuti, tutti».«Rispetto a 20 anni fa oggi non ci sono più argini alla bestialità interiore, ciascuno tende a essere il peggio di quel che è. La generazione che giocava con i mostri da piccola lo è diventata». Giornalista, scrittore e autore tv, Diego Cugia sul finire degli anni Novanta ottenne un grande successo con il programma radiofonico “Alcatraz” e grazie al suo protagonista, Jack Folla, il dj evaso dal braccio della morte. Dietro un’esigenza morale assoluta di onestà, scrive Pasquale Rinaldis sul “Fatto Quotidiano”, attraverso il suo alter ego Jack, Cugia è stato per più d’una generazione «un fratello maggiore, anzi il Morpheus della “pillola rossa o pillola blu”, prima ancora del film Matrix. E invitava, contro le definitive salvezze, al rischio delle scelte, alla responsabilità della vita, alla serietà contro la retorica, alla saggezza contro la violenza». Dopo vent’anni di silenzio, Cugia è tornato con “Il Libro Nero”, con il quale prova a riannodare i fili di un discorso che era rimasto in sospeso. A Rinaldis, lo scrittore confida: la situazione è molto peggiorata. «Vent’anni fa, se avevi un fondo razzista, o se eri una bestia da terza elementare, un po’ te ne vergognavi. Oggi ne sei orgoglioso. Hai tre lauree? Sei un professore, scrivi libri, hai competenza nel tuo settore? Ti accuseranno di essere compromesso col ‘vecchio potere’, colluso con i corrotti, un privilegiato di merda. E questo anche se sei un intellettuale senza soldi e senza lavoro».
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Gilet Gialloverdi, ora gli italiani si aspettano risposte vere
In campagna elettorale sembravano impazziti: reddito di cittadinanza, Flat Tax, abolizione della legge Fornero. Baravano? Ovvio, ma lo facevano anche gli altri. Loro di più? Infatti hanno vinto. O meglio: hanno vinto i 5 Stelle, col doppio dei voti di Salvini. Già l’indomani, però, Di Maio disorientava il pubblico votante, dichiarandosi disposto ad allearsi con chicchessia, dalla Lega al Pd, pur di andare al governo. D’accordo, ma per fare cosa? Poi è arrivato il Contratto, con dentro quasi tutto: reddito di cittadinanza, Flat Tax, abolizione della legge Fornero. Baravano ancora? Possibile, ma forse a fin di bene: sapevano che sarebbe stata dura, con Bruxelles, ma ne erano consapevoli e si preparavano a dare battaglia. Davvero? Non si direbbe, vista la mala parata di fronte ai cani da guardia della Commissione Europea, gli stessi che invece ora si preparano a condonare all’anti-italiano Macron persino il massimo sacrilegio possibile, nell’euro-santuario: la violazione del sacro vincolo del 3% nel rapporto deficit-Pil. Prima ancora che il “governo del cambiamento” nascesse, del resto, i gialloverdi avevano dovuto ingoiare un super-rospo: il “niet” del Quirinale su Paolo Savona all’economia. Di Maio ventilò l’impeachment per Mattarella, Salvini se ne guardò bene. Oggi Di Maio è in caduta libera, mentre Salvini si muove da padrone della scena. Un caso?Salvini è abile, si dice. Ha osato rompere il tabù dell’accoglienza obbligatoria a costo di fare la faccia feroce coi più deboli, anche per smascherare l’ipocrisia egoistica dell’Ue e quella di chi – sui migranti – ha costruito carriere milionarie. Poi però è arrivato il decreto sicurezza, con limitazioni allarmanti alle libertà personali, specie quelle di chi ha motivo di esprimere la propria sofferenza sociale e quindi potrebbe protestare: pesantissime sanzioni per il blocco stradale e l’occupazione di terreni. Poi Salvini ha difeso a oltranza il topo morto che sta marcendo nella pancia del Piemonte, cioè un progetto-vergogna come il Tav Torino-Lione, notoriamente utile solo a chi costruisse tunnel e ferrovia. Infine, dopo aver chiesto mandato “a 60 milioni di italiani” per trattare con l’Ue, ha proposto alla Germania “un asse Roma-Berlino” (alla Germania, cioè al paese che più di ogni altro ha danneggiato l’Italia da quando esiste l’Eurozona). Poco dopo s’è involato verso Israele per la più classica delle genuflessioni diplomatiche, sperando di ottenere l’agognato sdoganamento come leader credibilmente moderato. Solo che si è fatto fotografare “alla Salvini”, tra soldati sorridenti e Stelle di David. Una foto lo ritrae mentre, addirittura, impugna una mitragliatrice. Non pago, il neoleghista post-padano s’è sbilanciato sul terreno della politica estera, definendo “terrorista” il network libanese Hezbollah, impegnato in Siria contro i terroristi veri, quelli dell’Isis.Baravano fin dall’inizio, i gialloverdi? Hanno preso in giro gli elettori italiani fin dal primo giorno di vita del “governo del cambiamento” o si sono semplicemente accorti di aver catastroficamente sottovalutato l’avversario? La flessione ingloriosa di fronte ai ragionieri finto-europeisti della Commissione Europea è un ultimo tentativo (tattico) per prendere tempo in attesa di una prossima controffensiva pro-Italia o è solo il classico inizio della fine, con la sepoltura delle illusioni e la rassegnazione alla consueta chemio-economia del rigore ammazza-Stati? Domande sospese ma ormai ridondanti, vista la rapida evoluzione dello scenario: i francesi nelle strade fanno tremare l’ex onnipotente Macron costringendolo alla resa, mentre il governo italiano (“populismo” in carica, regolarmente insediato) anziché rilanciare sull’onda dei Gilet Gialli si lascia prendere a sberle dal primo Moscovici di passaggio. Era sbagliato sbilanciarsi in campagna elettorale per un’espansione del deficit? Niente affatto. Però poi bisognava tenere il punto, a tutti i costi, pena la perdita della propria reputazione pubblica, italiana e internazionale. Era così assurdo, dare credito ai gialloverdi? No, perché l’espansione del deficit è esattamente la direzione appropriata – necessariamente eretica – per sconfessare il pretestuoso economicismo delle oligarchie finanziarie che utilizzano per i loro scopi la tecnocrazia di Bruxelles.Chi sono, in realtà, i due politici che avrebbero dovuto condurre una storica vertenza “sindacale” a favore dell’Italia? Di Maio è sbucato quasi dal nulla, attraverso il videogame elettorale interno messo in piedi da Grillo e Casaleggio, e prima delle elezioni vagava tra gli Usa e Londra in cerca di endorsement nei palazzi del massimo potere, quello che ha organizzato la globalizzazione unilaterale che ha messo in ginocchio anche l’Italia. Fino ad allora, sull’euro e l’Europa, i 5 Stelle erano riusciti a dire tutto e il contrario di tutto, senza mai delineare né un’analisi chiara né una linea politica definita, fino alla clamorosa pagliacciata del trasloco (tentato, ma non riuscito) tra gli ultra-euristi dell’Alde al Parlamento Europeo. La nuova Lega salviniana, per converso, è partita da posizioni radicalmente euroscettiche, arrivando a portare in Parlamento un economista keynesiano come Bagnai, salvo poi cominciare progressivamente a cedere ai soliti diktat di Bruxelles – spettacolo triste, solo in parte occultato dal quotidiano agitarsi di Salvini, nel tentativo di distrarre l’opinione pubblica dai fallimenti governativi. Al di là dei limiti strutturali di un’alleanza debole – i grillini “anticasta” e i leghisti “anti-migranti” – restano oscuri i piani della sovragestione da parte del vero potere, vista la confusione che regna sovrana dalle parti dell’esecutivo.Ancora non è dato sapere quanto durerà la coabitazione gialloverde, e se per caso i suoi sponsor dietro le quinte non abbiano già mollato Di Maio per puntare sul solo Salvini, a patto che scenda a più miti consigli – cosa che ha tutta l’aria di fare, a giudicare dalle recenti sterzate verso l’elettorato più tradizionalmente cauto. C’è un disegno di più lungo respiro, non ancora visibile? L’unica vera certezza riguarda la crisi dell’assetto europeo: la Francia in panne, la Germania in affanno, la Gran Bretagna ancora alle prese con l’irrisolta Brexit, l’Est Europa che scalpita per ritagliarsi spazi di autonomia. Salvini e Di Maio avevano illuso moltissimi spettatori, lasciando credere che l’Italia potesse diventare il motore di un cambiamento capace di smontare i dogmi dell’Ue, che hanno rapidamente impoverito il continente. Se non altro, i due esponenti gialloverdi hanno costretto gli italiani (e gli europei) a prendere atto, almeno, della necessità di una diversa narrazione: non è più possibile continuare ad accettare passivamente le politiche di rigore, che l’élite finanziaria neoliberista somministra alle nazioni attraverso i tecnocrati dell’Unione. Il funesto “ce lo chiede l’Europa” non è più proponibile, anche grazie a Salvini e Di Maio. Troppo poco, certo.Persino il tormentato governo Conte, comunque, potrebbe rivelare a posteriori una sua effettiva utilità, se domani – dopo le europee – prendesse corpo un vasto movimento politico, trasversale, disposto a rivendicare per l’Europa il diritto alla sovranità democratica, cominciando da una Costituzione Europea che insedi finalmente a Bruxelles un vero governo federale, regolarmente votato dal Parlamento Europeo eletto dai cittadini. Sogni, speranze e grandi incognite, a cominciare dalla paventata grande recessione in arrivo, che potrebbe far precipitare tutte le crisi politiche in atto. E gli italiani come reagirebbero, se dovessero arrendersi all’evidenza di una vera e propria resa? Che fine farebbe Di Maio, se non riuscisse a varare neppure l’ombra dello sbandieratissimo reddito di cittadinanza? E dove finirebbero i tatticismi del disinvolto Salvini, di fronte alla porta che l’Ue pare stia per sbattere il faccia all’Italia? Da più parti si osserva come manchi, tuttora, una classe dirigente all’altezza della situazione politica. Grazie al governo gialloverde sono caduti alcuni tabù e un bel po’ di leggende, per esempio sull’intoccabilità dei deficit. Ma resta, a monte, il macigno di un’Europa non democratica, non alleata, non amica. Anche grazie alla Lega e ai 5 Stelle, oggi gli italiani il problema lo vedono benissimo. A farsi attendere, ancora, è la soluzione.(Giorgio Cattaneo, “Bravi i gialloverdi a denunciare il rigore Ue, ma ora gli italiani si aspettano i fatti”, dal blog del Movimento Roosevelt del 14 dicembre 2018).In campagna elettorale sembravano impazziti: reddito di cittadinanza, Flat Tax, abolizione della legge Fornero. Baravano? Ovvio, ma lo facevano anche gli altri. Loro di più? Infatti hanno vinto. O meglio: hanno vinto i 5 Stelle, col doppio dei voti di Salvini. Già l’indomani, però, Di Maio disorientava il pubblico votante, dichiarandosi disposto ad allearsi con chicchessia, dalla Lega al Pd, pur di andare al governo. D’accordo, ma per fare cosa? Poi è arrivato il Contratto, con dentro quasi tutto: reddito di cittadinanza, Flat Tax, abolizione della legge Fornero. Baravano ancora? Possibile, ma forse a fin di bene: sapevano che sarebbe stata dura, con Bruxelles, ma ne erano consapevoli e si preparavano a dare battaglia. Davvero? Non si direbbe, vista la mala parata di fronte ai cani da guardia della Commissione Europea, gli stessi che invece ora si preparano a condonare all’anti-italiano Macron persino il massimo sacrilegio possibile, nell’euro-santuario: la violazione del sacro vincolo del 3% nel rapporto deficit-Pil. Prima ancora che il “governo del cambiamento” nascesse, del resto, i gialloverdi avevano dovuto ingoiare un super-rospo: il “niet” del Quirinale su Paolo Savona all’economia. Di Maio ventilò l’impeachment per Mattarella, Salvini se ne guardò bene. Oggi Di Maio è in caduta libera, mentre Salvini si muove da padrone della scena. Un caso?
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Ue sleale con l’Italia, mentre alla Francia perdona il deficit
Lo stallo con i funzionari europei. Ministri che volano a Bruxelles per negoziare un accordo d’ultimo minuto. Grida di tradimento a casa. Oscuri avvertimenti di calamità economiche e di agitazione sociale. No, non è il serial della Brexit a Westminster ma la crisi europea che tutti sembrano avere dimenticato: il confronto tra Bruxelles e Roma sul bilancio italiano. A ottobre, la coalizione italiana di governo, compresa la Lega di estrema destra e il movimento populista Cinque Stelle (M5S) hanno presentato una bozza di bilancio con molte delle promesse elettorali dei partiti come il reddito di cittadinanza per i disoccupati e l’accantonamento di una precedente proposta di aumentare l’età pensionabile. Il bilancio avrebbe aumentato il deficit italiano al 2.4% del Pil, un tasso più alto di quello previsto dal governo precedente ma più basso del limite europeo del 3%. Ciononostante, in una mossa senza precedenti, la Commissione Europea ha bocciato il bilancio per la violazione della regola fiscale. La previsione di crescita di Roma, ha insistito, è fin troppo ottimista e il vero rapporto deficit-Pil aumenterebbe al 3%. L’Italia è stata minacciata di sanzioni.La settimana scorsa il governo a Roma ha ceduto stilando un bilancio più austero. Se sia sufficiente per placare la Commissione rimane ancora tutto da vedere. L’Italia taglia il bersaglio del deficit del 2019 al 2.04% per evitare le sanzioni Ue. La reale difficoltà dell’Italia deriva non tanto dal suo deficit annuo quanto dal suo debito, che ammonta adesso a 2.600 miliardi, circa il 133% del Pil, dietro solo alla Grecia, nell’Eurozona. Se l’Italia dovesse fare default, il fragile sistema finanziario europeo potrebbe cadere a pezzi. Così la Commissione vuole che Roma vada avanti per far quadrare i conti, e rapidamente. In Gran Bretagna, il perseguimento da parte dei Tories di una simile strategia ha squartato il tessuto sociale della nazione. In Italia, dove solo un terzo dei giovani ha un lavoro, e oltre 5 milioni di persone vivono in “povertà assoluta”, l’impatto potrebbe essere devastante. Lo stallo sul bilancio non è solo un argomento economico ma è un dibattito politico, che solleva interrogativi sulla democrazia. Bruxelles sta dicendo a Roma: «Non ci interessa il voto degli italiani. La democrazia importa meno delle nostre regole fiscali». Questo non è solo antidemocratico ma è anche politicamente pericoloso.La coalizione attuale al governo fa parte del prodotto della risposta europea all’ultima crisi del debito in Italia nel 2011. L’Ue chiese allora che il Parlamento italiano approvasse un pacchetto di misure altamente austere, imponendo quasi 60 miliardi di tagli. Il primo ministro Silvio Berlusconi dovette rassegnare le dimissioni per essere sostituito da un tecnocrate non eletto, Mario Monti, che vigilò sul programma di austerity. Venne poi rivelato che l’Ue aveva brigato per mesi per sostituire Berlusconi con Monti. Due anni dopo, quando si tennero le elezioni, la rabbia popolare sia per la sospensione delle procedure democratiche sia per le conseguenze dell’austerity condotte da Monti, respinsero il partito di Monti e fecero pregustare al Movimento 5 Stelle il suo primo successo elettorale. Cinque anni dopo, la rabbia pubblica (che proseguiva) propulsò il M5S e la destra anti-immigrati, la Lega, al potere alle elezioni di marzo scorso. Oggi la Lega è il partito più popolare in Italia. L’Ue sembra non avere imparato niente dalla storia.Il contrasto tra il trattamento europeo dell’Italia e quello della Francia è sintomatico. Fino all’anno scorso, la Francia aveva violato la regola del deficit ogni anno, dal 2008. Non è mai stata sanzionata. La capitolazione del presidente Emmanuel Macron davanti alle proteste dei Gilets Jaunes, promettendo di aumentare lo stipendio minimo e la defiscalizzazione degli aumenti delle pensioni minime, ha reso probabile lo sforamento della Francia della regola del 3% l’anno prossimo. Ai primi del 2003, la Corte europea di giustizia aveva sentenziato che i ministri delle finanze europee erano stati negligenti nel non penalizzare la Francia e la Germania per le violazioni delle regole dell’Eurozona. Quindici anni dopo, i colossi europei rimangono liberi di calpestare le regole mentre le nazioni più piccole (e meno piccole come l’Italia) devono sopportare penalità sociali. Il governo italiano ha varie politiche odiose, in particolare l’attacco brutale ai migranti da parte del ministro degli interni e leader della Lega, Matteo Salvini. Le politiche dei 5 Stelle, sebbene non siano così utopistiche, sono tuttavia tra le più progressiste della coalizione. E così quale è la reazione dell’Unione Europea? Accetta le politiche reazionarie in materia d’immigrazione ma non accetta alcun pacchetto di misure economiche per aiutare gli indigenti?(Kenan Malic, estratto da “Lo spietato trattamento europeo dell’Italia non fa che rafforzare il risentimento popolare”, articolo apparso sul “Guardian” il 16 dicembre 2018 e tradotto da Nicoletta Forcheri per “Scenari Economici”).Lo stallo con i funzionari europei. Ministri che volano a Bruxelles per negoziare un accordo d’ultimo minuto. Grida di tradimento a casa. Oscuri avvertimenti di calamità economiche e di agitazione sociale. No, non è il serial della Brexit a Westminster ma la crisi europea che tutti sembrano avere dimenticato: il confronto tra Bruxelles e Roma sul bilancio italiano. A ottobre, la coalizione italiana di governo, compresa la Lega di estrema destra e il movimento populista Cinque Stelle (M5S) hanno presentato una bozza di bilancio con molte delle promesse elettorali dei partiti come il reddito di cittadinanza per i disoccupati e l’accantonamento di una precedente proposta di aumentare l’età pensionabile. Il bilancio avrebbe aumentato il deficit italiano al 2.4% del Pil, un tasso più alto di quello previsto dal governo precedente ma più basso del limite europeo del 3%. Ciononostante, in una mossa senza precedenti, la Commissione Europea ha bocciato il bilancio per la violazione della regola fiscale. La previsione di crescita di Roma, ha insistito, è fin troppo ottimista e il vero rapporto deficit-Pil aumenterebbe al 3%. L’Italia è stata minacciata di sanzioni.
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Cremaschi: Governo del Cedimento, pagheranno gli italiani
Il governo si è incamminato verso il cedimento completo alla Ue. Per questo la Borsa sta festeggiando da giorni e la finanza che manovra sullo spread ha preso atto della svolta e ha cominciato ad stringere la corda. Salvini e Di Maio sono e si sono incastrati sullo spread: dopo la sua discesa, a seguito della loro disponibilità a trattare con la Ue, non potranno certo farlo risalire con frasi né tantomeno con comportamenti di rottura. D’altra parte anche la Commissione Ue ha tutto l’interesse all’accordo, perché questo confermerebbe la sovranità limitata degli Stati del sud Europa, ridarebbe forza a trattati feroci come il Fiscal Compact, che in realtà nessuno Stato sta rispettando e può rispettare. E inoltre consoliderebbe la sempre più chiara alleanza tra la nuova Europa dei governi reazionari di Kurz e Orban e quella dei vecchi governi liberisti di Macron e Merkel. Salvini e Di Maio hanno preso una cantonata devastante quando si sono illusi che i partiti e i governi che li hanno sostenuti quando chiudevano i porti, li avrebbero appoggiati anche sulle pensioni e sul reddito. Non hanno capito che i reazionari del nord ed est Europa odiano i migranti, così come disprezzano gli italiani e tutti i popoli meridionali fannulloni e spendaccioni. E neppure hanno capito che i fascisti del sud, come il partito neofranchista Vox che è appena entrato nel Parlamento regionale dell’Andalusia in Spagna, sono tanto reazionari quanto europeisti.Salvini e Di Maio hanno subìto dai mercati, dal grande padronato, dalla Ue, una pressione ben più leggera di quanto toccò alla Grecia di Tsipras nel 2014. Ma è bastato solo alludere alla stessa medicina somministrata allora dalla Troika, lo ha fatto anche Monti che ne possiede adeguate conoscenze, e i due fieri sovranisti si sono piegati come fuscelli. Dopo la tragedia greca la farsa italiana. Oramai la trattativa governo Ue ha un solo vero scopo: permettere di salvare la faccia ai gialloverdi, almeno fino alle elezioni europee. Il deficit infatti sarà ridotto dal 2,4 al 2 o anche più in basso. Questo vuol dire che, rispetto alla sua stessa manovra, il governo dovrà tagliare dai 7 ai 9 miliardi le misure che intende fare, o altre spese su altre voci. Complessivamente la manovra si configurerà come quella più liberista e austera dai tempi di Monti. Verrà stretto ancora il cappio che da più di venti anni strangola l’economia del paese, quello dell’attivo primario di bilancio. Cioè lo Stato, alla fine di tutte le partite di giro, ancora una volta restituirà ai cittadini molto meno di quello che riscuoterà in tasse e contributi.Tria ha inoltre promesso 18 miliardi di privatizzazioni all’anno per abbassare il debito. Non c’è male per chi aveva commentato la strage del Ponte Morandi riproponendo la necessità delle privatizzazioni. Ma con la disinvoltura che lo distingue è stato proprio Di Maio a propagandare la nuova grande privatizzazione. Aggiungendo che non riguarderà aziende, ma solo edifici e terreni. Se fosse vero, considerato che dopo averla regalata alla Ue questa svendita di beni pubblici sarà sottoposta a obblighi brutali, saremmo alla più grande dismissione di suolo pubblico ai privati da cento anni in qua. Nel paese dei disastri idrogeologici questa sarebbe davvero una scelta criminale. Il governo Salvini Di Maio era partito come il contestatore delle regole Ue e ne diventerà uno dei più ligi esecutori, privatizzazioni ed austerità saranno la sua vera politica, il resto propaganda. È vero dunque che la finanziaria che concorderanno Conte e Moscovici aggraverà la crisi economica, visto che l’Italia, assieme alla Germania e ad altri paesi di Europa, sta entrando in recessione. Gli industriali se ne sono accorti e, come hanno sempre fatto quando i guadagni calavano, dopo aver appoggiato il governo hanno iniziati a criticarlo. Con il solo scopo di rafforzare le posizioni liberiste di Salvini e di portarlo alla fine a guidare da solo il paese.Ma cosa resterà allora della manovra del popolo festeggiata dal balcone, tra tagli, privatizzazioni, rinvii di spesa? Ben poco. Le due operazioni bandiera, il reddito di cittadinanza e l’abolizione della legge Fornero si sgonfieranno e si ridurranno a poche misure di facciata, dello stesso segno e dimensione degli 80 euro e delle varie mance elettorali del governo Renzi. Il reddito di cittadinanza da tempo non è più tale, ma è diventato una social card come quella di Tremonti, che si aggiunge al reddito di inclusione del governo Gentiloni. Sì darà qualche soldo in più, da spendere subito e bene col bancomat di Stato, ad una ristretta platea di poveri, ma soprattutto si finanzieranno con danaro pubblico le paghe di fame di chi lavora. Se il padrone dà 400 euro al mese, lo Stato contribuirà per arrivare a 780, ammesso che questa cifra finale resti. Quindi il reddito di cittadinanza diventerà il mezzo per introdurre in Italia il sottolavoro finanziato dallo Stato, come ha fatto la famigerata legge Hartz IV, che in Germania ha prodotto milioni di lavori sottopagati. Le aziende saranno incentivate ad assunzioni precarie con salari vergognosi, perché lo Stato ci metterà una parte della paga. Come ha preteso la lega alla fine il reddito di cittadinanza diventerà soprattutto un finanziamento alle imprese.Per quanto riguarda la legge Fornero, Salvini e Di Maio dovranno sottoscrivere con la Ue la rinuncia ad ogni sua reale abolizione. Era questa infatti la misura che più preoccupava i governi europei, tutti intenzionati ad innalzare l’età della pensione. Nessun governo farebbe invece vere obiezioni di fronte a prepensionamenti temporanei, perché questi avvengono in ogni paese. Quindi il governo dovrà giurare alla Ue che i 67 anni, a crescere, dell’età della pensione per tutte e tutti non verranno toccati. Poi potrà contrattare, ovviamente coprendo i costi con altri tagli, per quanti si allargheranno le maglie della gabbia. Le ultime proposte cancellano definitivamente quota 100 come diritto valido per sempre e promettono il pensionamento anticipato, naturalmente con le penalizzazioni di legge, solo a chi avrà maturato il requisito negli ultimi due o tre anni. Per chi ci arriva dopo ciccia. Centomila prepensionamenti da spendere in campagna elettorale e poi chi s’è visto s’è visto. Questo è il tradimento più sfacciato delle promesse elettorali di Salvini e Di Maio.Tuttavia nulla cambierà fino a che l’opposizione ufficiale al governo sarà rappresentata dai residui del centrosinistra e del centrodestra e fino a che Salvini riuscirà, grazie anche ai mass media, a distrarre l’opinione pubblica con la caccia ai migranti e con la libertà di sparare. Il governo del cambiamento diventerà il governò del cedimento, ma continuerà a servire i potenti e a spadroneggiare coi più deboli, fino a che avrà di fronte chi ha fatto le stesse politiche liberiste e ora lo accusa di non farle altrettanto bene. Per questo bisogna costruire ed estendere una opposizione sociale e politica diversa, che lotti sia contro gli imbrogli e la resa di Salvini e Di Maio, sia contro l’austerità, le regole liberiste e i diktat della Ue. La Francia, in rivolta contro quel Macron che aveva votato quasi al settanta per cento, conferma che le glorie politiche oggi sono molto effimere e che le politiche di austerità divorano chi le fa, ma anche chi finge di combatterle.(Giorgio Cremaschi, “Il governo del cedimento”, da “Micromega” del 7 dicembre 2018).Il governo si è incamminato verso il cedimento completo alla Ue. Per questo la Borsa sta festeggiando da giorni e la finanza che manovra sullo spread ha preso atto della svolta e ha cominciato ad stringere la corda. Salvini e Di Maio sono e si sono incastrati sullo spread: dopo la sua discesa, a seguito della loro disponibilità a trattare con la Ue, non potranno certo farlo risalire con frasi né tantomeno con comportamenti di rottura. D’altra parte anche la Commissione Ue ha tutto l’interesse all’accordo, perché questo confermerebbe la sovranità limitata degli Stati del sud Europa, ridarebbe forza a trattati feroci come il Fiscal Compact, che in realtà nessuno Stato sta rispettando e può rispettare. E inoltre consoliderebbe la sempre più chiara alleanza tra la nuova Europa dei governi reazionari di Kurz e Orban e quella dei vecchi governi liberisti di Macron e Merkel. Salvini e Di Maio hanno preso una cantonata devastante quando si sono illusi che i partiti e i governi che li hanno sostenuti quando chiudevano i porti, li avrebbero appoggiati anche sulle pensioni e sul reddito. Non hanno capito che i reazionari del nord ed est Europa odiano i migranti, così come disprezzano gli italiani e tutti i popoli meridionali fannulloni e spendaccioni. E neppure hanno capito che i fascisti del sud, come il partito neofranchista Vox che è appena entrato nel Parlamento regionale dell’Andalusia in Spagna, sono tanto reazionari quanto europeisti.
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Magaldi: altro che Global Compact, serve una rivoluzione
Global Compact? “Ma mi faccia il piacere”, avrebbe detto Totò. Chi dovrebbe globalizzarli, i diritti? L’élite neoliberista che ha imbrogliato i francesi imponendo loro un ducetto come Macron, al quale infatti oggi la Francia si ribella? Non è più tempo di buonismi pelosi, o di dichiarazioni di principio altisonanti e destinate a restare lettera morta. Secondo Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, c’è poco da scherzare: l’Italia gialloverde traballa ingloriosamente sotto la scure dell’Ue, proprio mentre i Gilet Gialli paralizzano Parigi e almeno 7 francesi su 10 parteggiano per la rivolta di strada. E’ lo specchio perfetto, dice Magaldi, del vero volto della globalizzazione-canaglia, a senso unico, messa in piedi a esclusivo beneficio delle multinazionali finanziarie. La stessa élite vorrebbe imporre l’accoglienza illimitata dei migranti col patrocinio dell’Onu? Ridicolo, anche perché le Nazioni Unite non sono più una cosa seria. «Hanno fallito, come prima di loro la Società delle Nazioni». Che fare? «Per esempio creare una Organizzazione Mondiale delle Democrazie, capace di gestire il mondo rimettendo al centro la politica». Sogni? Sì e no: dipende da quali meccanismi si mettono in moto. «E la situazione, oggi, per molti aspetti è pre-rivoluzionaria, non solo nella Francia di Macron».In una conversazione a ruota libera su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” all’indomani della “resa” di Macron alle richieste dei Gilet Gialli, che chiedono che il governo annulli tutte le misure di austerity annunciate, Magaldi parte proprio dalle polemiche sul Global Compact. Un’intesa solo pletorica e fondata su impegni non cogenti, peraltro già boicottata da vari pesi massimi della politica mondiale. Eppure c’è chi la indica come pericoloso cavallo di Troia dell’élite neoliberista, che promuove l’emigrazione di massa per abbassare il costo del lavoro in Occidente a spese dei lavoratori autoctoni. Sdoganare l’emigrazione come fenomeno fisiologico? Mai e poi mai, protesta – sempre in web-streaming con Frabetti – un altro “roosveltiano” come Gianfranco Carpeoro: «Vorrei vedere nelle nostre strade solo studenti africani e turisti africani, non africani che abbiamo costretto a scappare dai loro paesi». Magaldi concorda: il potere che oggi difende l’esodo di massa è il primo responsabile dell’impoverimento di milioni di persone, nel cosiddetto terzo mondo. L’immigrazione va controllata, è ovvio. Ma per scoraggiarla serve una riconversione globale della politica, ad esempio mettendo fine al saccheggio dell’Africa. A patto comunque che non si pretenda di alzare muri: impensabile isolare le popolazioni entro le gabbie nazionali, in un pianeta ormai completamente interconnesso (e spesso felicemente, grazie al contatto tra culture diverse).Il problema semmai è nel manico, insiste Magaldi: è impossibile far applicare un qualsiasi Global Compact, così come gli stessi innumerevoli trattati sul clima, perché manca un potere decisionale democratico mondiale. Manca, per lo spesso motivo per cui finora la mondializzazione non è stata certo democratica: è stata finora condotta da oligarchie private, ricorda Magaldi, a partire dall’inizio degli anni ‘90, subito dopo il crollo dell’Urss e la nascita dell’Ue, e poi con la deregulation finanziaria e l’ingresso del colosso cinese nel Wto. Ad oggi abbiamo visto solo una globalizzazione di merci e capitali. «La libera circolazione delle persone? Si è favorita un’immigrazione incontrollata, creando competizione tra poveri e abbassamento del costo della manodopera». Altri danni, ai sistemi sociali occidentali (leggasi: lavoratori) sono stati provocati dalle delocalizzazioni industriali. Fermare tutto e tornare ai dazi nazionali degli uni contro gli altri? Pessima idea: «In passato, le politiche protezionistiche sono sfociate in guerre sanguinose. E oggi si avrebbero comunque guerre economiche cruente, alla fine non convenienti per nessuno».Per Magaldi, serve «una globalizzazione di diritti, opportunità e democrazia». Facile a dirsi, certo. Ma intanto, chi lo dice, nel mainstream politico dominato da polemiche sempre più accese? «In Italia – aggiunge Magaldi – l’immigrazione rischia di diventare solo un mezzo, strumentale, per creare tensioni sociali (e in questo caos, poi, sappiamo che le solite “manine” si muovono in termini opachi)». Che fare? Semplice, in teoria: dobbiamo «mettere all’ordine del giorno mondiale una rivalutazione della politica, che deve tornare a essere il centro decisionale di ogni cosa che riguardi i livelli locali e globali». E cioè: «Ripensare gli interessi globali, valorizzando gli equilibri e le risorse locali». Sarebbe la migliore risposta a questa globalizzazione, «sorretta dall’ideologia neoliberista e gestita soprattutto da poteri privati». Al contrario, bisogna «puntare una globalizzazione gestita, a livello apicale, da poteri politici globali». Dovevano farlo prima la Società delle Nazioni e poi l’Onu. Due fallimenti storici. Una cosa è certa: così non si andrà lontano. Meglio allora «pensare a una trasformazione dell’Onu, verso una nuova politica democratica che abbia l’ultima parola nei grandi processi decisionali».Sbaglia, chi pensa di poter contrastare poteri sovranazionali e apolidi (cioè incarnati da avventurieri senza patria), rintanandosi «nel fittizio calduccio delle comunità nazionali». Quelle stesse comunità, sostiene Magaldi, le vedremmo «sempre scosse da poteri più ampi, di natura globale: che vanno contrastati e ricollocati nella loro giusta dimensione da poteri politici altrettanto globali». Poteri che – a quel punto – potrebbero anche costruire democraticamente un vero Global Compact, ben diverso da questa aleatoria dichiarazione d’intenti non vincolante («molto rumore per nulla, salvo enunciazioni sottoscrivibili, a favore dell’estensione dei diritti umani, se non sapessimo che sono soltanto parole»). In altri termini: «Se vogliamo essere concreti, bisogna che gli organi preposti ad attuare questi principi abbiano un potere cogente, però democratico e non calato dall’alto». Premessa: «Dobbiamo essere capaci di riflettere sulla natura del mondo che vogliamo». Prima di scrivere qualsiasi Global Compact, cioè, occorrerebbe disporre di una vera Organizzazione Mondiale delle Democrazie, «che sostituisca l’attuale Onu ed escluda anche dal circuito commerciale delle merci e dei capitali i paesi privi di standard democratici, premendo su di essi – anche con sanzioni economiche – perché i loro regimi evolvano verso forme democratiche».La verità, insiste Magaldi, è che questo tipo di globalizzazione – l’unica vista finora – ha deluso molti, perché al primo posto non c’è la diffusione mondiale della democrazia e dei diritti. Ultima cartina di tornasole: i francesi. «Alle elezioni sono stati obnubilati dalla mistificazione mediatica: bastava guardare cos’era Macron, consulente economico di Hollande e poi ministro del governo Valls voluto da Hollande». Appunto: «In che modo poteva rappresentare una soluzione di continuità rispetto a Hollande che, eletto a furor di popolo per rappresentare il campione anti-austerity e anti-Merkel in Europa, aveva tradito tutte le aspettative? Le ha tradite anche Macron». Al primo turno, Macron aveva ottenuto solo pochi decimali più dei concorrenti, «poi al ballottaggio contro Marine Le Pen avrebbe vinto chiunque». Oggi la democrazia francese appare bloccata: «Fintanto che un certo tipo di opposizione si radicalizzerà in gruppi politici infecondi, l’altro candidato avrà sempre la meglio». Vincerà sempre il più “moderato”, si sarebbe detto un tempo. Non è più vero: «In Francia come altrove, oggi la parola “moderazione” non significa più nulla», se è vero che Macron – dietro l’apparenza – era il candidato dell’élite economica più pericolosamente estremista, come dimostra l’esasperazione di massa dei Gilet Gialli.Insurrezione, la loro – non proprio rivoluzione, «che però ha un enorme valore per lo spirito messo in evidenza», sottolinea Magaldi: «Qui c’è un popolo, un’avanguardia popolare largamente sostenuta dal paese, che dice basta: denuncia l’insostenibilità di salari che, al netto delle tasse, non consentono di arrivare alla fine del mese. Ed è la fotografia, appunto, di una cattiva globalizzazione, dove i ricchi sono sempre più ricchi, mentre per la gran parte della popolazione la fetta da spartire si è ridotta, e la classe media è stata compressa persino nella ricca e opulenta Francia». Qualunque economista, oggi, ammette che è cresciuta enormemente la disuguaglianza: si è fatto enorme il divario tra ricchi e poveri, in questa «iniqua e stupida modalità di gestire la globalizzazione». Stupida ma, beninteso, «figlia di un’impostazione raffinata, perversa e intelligente nel produrre i suoi effetti, che spero – dice Magadi – saranno l’occasione per produrre una grande rivoluzione democratica».La stupidità di questi globalizzatori, spiega il presidente del Movimento Roosevelt, sta «nel pensare che si poteva impunemente gestire la globalizzazione in questi termini, e che in Francia – dopo il bluff e la delusione di Hollande – si poteva impunemente imporre al popolo francese un damerino, un cicisbeo inconsistente come il fratello massone Macron, fintamente progressista e fintamente europeista». Un personaggio che invece di proporsi come presidente della Francia, «propinando ricette economiche analoghe a quelle del suo più modesto alter ego italiano Matteo Renzi», avrebbe fatto meglio a «rimanere nella sua vita privata di collaboratore bancario», uomo di fiducia della filiera Rothschild. «Oggi più che mai – aggiunge Magaldi – gestire il futuro dell’Europa è un compito che richiede persone con uno spessore molto diverso. Purtroppo invece abbiamo una classe dirigente europea che è fatta di cialtroni e di mediocri. E infatti, «da bravo cialtrone», dopo aver sbagliato «adesso Macron fa atto di contrizione e torna sui suoi passi», rimangiandosi i provvedimenti che hanno provocato la rivolta dei Gilet Gialli.«Io credo che Macron dovrebbe invece dimettersi», taglia corto Magaldi. E già che c’è, all’ex enfant prodige dell’Eliseo converrebbe «confessare che stessa costruzione della sua presidenza è figlia di una visione sbagliata dei rapporti sociali ed economici». Lo stesso Magaldi ne approfitta per citare il filosofo statunitense John Rawls, massone progressista come i Roosevelt, i Kennedy e lo stesso Keynes, tutti sostenitori del libero mercato integrato nel welfare: «Non c’è niente di male nell’arricchirsi, purché non si tolga agli altri l’essenziale per una vita dignitosa e felice. Invece, la pretesa perversa che ha guidato sin qui la globalizzazione e la stessa Europa, sia a livello di tecnocrazie continentali che di singoli governi, è che i ricchi possano arricchirsi a dismisura, mentre masse di diseredati si debbono contendere le periferie e la stessa classe media, ormai scomparsa, vede ridotta sempre di più la propria capacità di spesa, in un mondo occidentale che peraltro è ricco di opulenza – altro che penuria di risorse! – ma sono sempre di meno quelli che possono approfittarne in modo adeguato». Questa, aggiunge Magaldi, «è la pretesa, la hybris, l’arroganza infingarda» dell’attuale élite neoliberista.Quanto ai Gilet Gialli, «sebbene questa non credo sia una rivoluzione ma un’insurrezione ancora scomposta», il clima generale – francese, ma anche europeo e mondiale (senza contare l’Italia, dove si gioca una partita importante) – secondo Magaldi «è quello che in qualche modo precede una rivoluzione, spero pacifica e democratica». Il governo italiano, fra l’altro, «ha il dovere di guardare a quello che accade in Francia, e di capire che – così come ha deluso le aspettative Macron – rischia di deludere le aspettative del popolo italiano (e anche di altri popoli, che guardano all’Italia come a una possibile avanguardia)». Stiano attenti, i gialloverdi: «Con una spallata potrebbero abbattere questo Mago di Oz collettivo, di cui Macron era parte». O meglio: “potevano”, con una spallata, «tener davvero fede a quell’atteggiamento muscolare che Salvini realizza soltanto a chiacchiere». E invece l’Italia «sta come uno scolaretto che si fa prendere per le orecchie e si fa riscrivere la manovra per restare dentro quegli stessi parametri astratti che adesso Macron, campione di quei parametri e di quella cattiva Europa, si appresta a violare in modo netto». Ora è “pentito” e “contrito”, Macron: ma se farà quello che oggi promette, cioè quello che chiedono i Gilet Gialli, andrà ben oltre i limiti imposti dall’Europa all’Italia. In altre parole: ne vedremo delle belle. Insiste Magaldi: fidatevi, tutto è in rapida evoluzione. E clima lascia presagire esiti rivoluzionari.Global Compact? “Ma mi faccia il piacere”, avrebbe detto Totò. Chi dovrebbe globalizzarli, i diritti? L’élite neoliberista che ha imbrogliato i francesi imponendo loro un ducetto come Macron, al quale infatti oggi la Francia si ribella? Non è più tempo di buonismi pelosi, o di dichiarazioni di principio altisonanti e destinate a restare lettera morta. Secondo Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, c’è poco da scherzare: l’Italia gialloverde traballa ingloriosamente sotto la scure dell’Ue, proprio mentre i Gilet Gialli paralizzano Parigi e almeno 7 francesi su 10 parteggiano per la rivolta di strada. E’ lo specchio perfetto, dice Magaldi, del vero volto della globalizzazione-canaglia, a senso unico, messa in piedi a esclusivo beneficio delle multinazionali finanziarie. La stessa élite vorrebbe imporre l’accoglienza illimitata dei migranti col patrocinio dell’Onu? Ridicolo, anche perché le Nazioni Unite non sono più una cosa seria. «Hanno fallito, come prima di loro la Società delle Nazioni». Che fare? «Per esempio creare una Organizzazione Mondiale delle Democrazie, capace di gestire il mondo rimettendo al centro la politica». Sogni? Sì e no: dipende da quali meccanismi si metteranno in moto. «E la situazione, oggi, per molti aspetti è pre-rivoluzionaria, non solo nella Francia di Macron».
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Gilet Gialli di tutto l’Occidente, impoveriti dal neoliberismo
Dagli anni ’80 in poi è risultato chiaro che c’era un prezzo che le società occidentali avrebbero dovuto pagare per adattarsi a un nuovo modello economico e che tale prezzo consisteva nel sacrificio della classe lavoratrice. Nessuno ha pensato che la ricaduta avrebbe colpito anche il grosso della classe medio-bassa. Ora è ovvio, comunque, che il nuovo modello non ha indebolito solo le fasce proletarie ma la società nel suo insieme. Il paradosso è che questo non è il risultato del fallimento del modello economico globalizzato ma del suo successo. Nelle ultime decadi l’economia francese, come quella dell’Europa e degli Stati Uniti, ha continuato a creare ricchezza. Così siamo mediamente più ricchi. Il problema è che contemporaneamente sono aumentate anche la disoccupazione, l’insicurezza e la povertà. La questione centrale, dunque, non è se un’economia globalizzata sia efficiente ma cosa fare quando questo modello non riesce a creare e sviluppare una società coerente. In Francia, come in tutti i paesi occidentali, si è passati nel giro di poche decadi da un sistema che economicamente, politicamente e culturalmente integrava la maggioranza a una società disomogenea che, pur creando sempre più ricchezza, avvantaggia solo quelli che sono già ricchi.Il cambiamento non è dovuto a una cospirazione, a una scelta deliberata di far fuori i poveri, ma a un modello in cui l’occupazione è sempre più polarizzata. Questo si verifica insieme a una nuova geografia: l’occupazione e la ricchezza sono sempre più concentrate nelle grandi città. Le regioni deindustrializzate, le aree rurali, le città di medie e piccole dimensioni sono sempre meno dinamiche. Ma è in questi luoghi – nella Francia periferica (come pure in un’America periferica e in un’Inghilterra periferica) – che vive la maggior parte della classe lavoratrice. Così, per la prima volta, i “lavoratori” non vivono più nelle aree dove si crea l’occupazione, generando uno shock sia sociale che culturale. I “lavoratori” non vivono più nelle aree dove si crea l’occupazione, generando uno shock sia sociale che culturale. E’ in questa Francia periferica che è nato il movimento dei Gilets Jaunes. Come è in queste regioni periferiche che è nato il movimento populista occidentale. L’America periferica ha portato Trump alla Casa Bianca. L’Italia periferica – il Mezzogiorno, le aree rurali e le piccole città industriali del nord – hanno generato l’ondata populista. Questa protesta è condotta dalle classi che nei tempi passati erano il punto di riferimento fondamentale del mondo politico e intellettuale che le ha dimenticate.Così se l’aumento del costo del carburante è stata l’occasione per la nascita del movimento dei giubbotti gialli, non ne è stata la causa determinante. La rabbia ha radici più profonde, è il risultato di una recessione economica e culturale che ha avuto inizio negli anni ’80. Nello stesso tempo logiche economiche e territoriali hanno fatto sì che il mondo delle élites si chiudesse in se stesso. Questo isolamento non è solo geografico ma anche intellettuale. Le metropoli globalizzate sono le nuove cittadelle del 21° secolo – ricche e disuguali, dove anche per la vecchia classe media non c’è più posto. Invece, le grandi città globali funzionano su una doppia dinamica: invecchiamento e immigrazione. E’ questo il paradosso: la società aperta si risolve in un mondo sempre più chiuso alla maggioranza dei lavoratori. Il divario economico tra la Francia periferica e le metropoli corrisponde alla separazione fra una élite e il suo entroterra popolare. Le élites occidentali hanno gradualmente dimenticato un popolo che non vedono più. L’impatto dei Gilets Jaunes, e il supporto che trovano nell’opinione pubblica (otto su dieci francesi approvano le loro iniziative), hanno sorpreso i politici, i sindacati e gli intellettuali, come se avessero scoperto una nuova tribù amazzonica.La funzione del giubbotto giallo, si rammenti, è quella di rendere visibile sulla strada chi lo indossa. E qualunque sia l’esito del conflitto, i Gilets Jaunes lo hanno vinto sul piano di quello che veramente conta: la guerra della rappresentanza culturale. Gli individui appartenenti alla classe lavoratrice e alla classe medio-bassa sono di nuovo visibili e, accanto a loro, i luoghi in cui vivono. Il loro bisogno è in primo luogo quello di essere rispettati, di non essere più considerati “deplorable”. Michel Sandel è nel giusto quando sottolinea l’incapacità delle élites di prendere in seria considerazione le aspirazioni dei più poveri. Queste aspirazioni in fondo sono semplici: salvaguardia del loro capitale culturale e sociale e salvaguardia del loro lavoro. Perché questo abbia successo bisogna porre fine alla “secessione” delle élites e adattare l’offerta politica della destra e della sinistra alle loro richieste. Questa rivoluzione culturale è un imperativo democratico e sociale – nessun sistema può sopravvivere se non integra la maggioranza dei suoi cittadini più poveri.(Christophe Guilluy, “La Francia è profondamente spaccata. I Gilet Gialli sono solo un sintomo”, dal “Guardian” del 2 dicembre 2018; articolo tradotto da Maria Grazia Cappugi per “Come Don Chisciotte”. Guilluy è l’autore di “Twilight of the Elites: Prosperity, Periphery and the Future of France”).Dagli anni ’80 in poi è risultato chiaro che c’era un prezzo che le società occidentali avrebbero dovuto pagare per adattarsi a un nuovo modello economico e che tale prezzo consisteva nel sacrificio della classe lavoratrice. Nessuno ha pensato che la ricaduta avrebbe colpito anche il grosso della classe medio-bassa. Ora è ovvio, comunque, che il nuovo modello non ha indebolito solo le fasce proletarie ma la società nel suo insieme. Il paradosso è che questo non è il risultato del fallimento del modello economico globalizzato ma del suo successo. Nelle ultime decadi l’economia francese, come quella dell’Europa e degli Stati Uniti, ha continuato a creare ricchezza. Così siamo mediamente più ricchi. Il problema è che contemporaneamente sono aumentate anche la disoccupazione, l’insicurezza e la povertà. La questione centrale, dunque, non è se un’economia globalizzata sia efficiente ma cosa fare quando questo modello non riesce a creare e sviluppare una società coerente. In Francia, come in tutti i paesi occidentali, si è passati nel giro di poche decadi da un sistema che economicamente, politicamente e culturalmente integrava la maggioranza a una società disomogenea che, pur creando sempre più ricchezza, avvantaggia solo quelli che sono già ricchi.
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Barnard: torniamo Italia, via da questa chemio-Eurozona
L’Italia deve uscire dall’Eurozona. L’Italia si deve ricordare come stavamo – sì, certo, con le nostre mafie, le mazzette, i politucoli puzzoni, le parrocchiette industriali – quello che volete, ma come stavamo prima di diventare un intero popolo di straccioni che spendono una moneta tedesca. Ma vi ricordate? Si lavorava, si compravano case e si risparmiava per i figli più di chiunque altro al mondo. L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di un gruppo di ragazzetti stellati che vogliono farci tutti più onesti e corretti, ma che concordano in pieno col mantenere 60 milioni d’italiani annichiliti sotto la Chemioeconomia della moneta tedesca. L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di non vedere più Rom e neri per strada, ma che invece ce ne faremmo tantissimo di avere un ‘duro con l’Europa’ che lo fosse davvero, e non un falsario cagasotto bulletto che ci ha ingannati perché tira proprio lui a diventare un Vip proprio in quell’Europa.L’Italia deve, prima di tutto, raccontare ai suoi cittadini cosa devono e dovranno pagare per tornare italiani, proprio i prezzi uno dopo l’altro, con precisione di somme e di tempi, e chiedersi: siamo disposti a pagarli per pochi anni, o forse solo mesi, per poi però tornare italiani? Rispondete sì o no. L’Italia deve allo stesso tempo raccontare ai suoi cittadini, anzi, ricordargli, quali sono i premi che dopo la burrasca gli pioveranno addosso se molliamo la moneta tedesca della Chemioeconomia. E che premi. Questo è un paese che solo-solo accettasse i prezzi della sfida all’abominio della moneta tedesca, poi diventa il Paradiso, e allora sì che andranno fatti i muri alle frontiere, ma non contro i Rom e i neri, contro australiani, tedeschi, olandesi, americani, belgi, russi…Non ci vuole molto. Basta stare compatti e stretti gli uni agli altri per il poco tempo della tempesta. Poi, mentre ci piovono addosso quei premi, ricordarsi sempre di questa regola al ministero del Tesoro: con moneta sovrana italiana, la spesa pubblica sarà maggiore delle tasse, e si scrive deficit senza nessun riguardo per le %, per tutto il tempo necessario fino a che l’ultimo disoccupato sarà stato assunto, fino a che i pensionati poveri saranno solo un brutto ricordo, fino a che le parole malattia e liste d’attesa saranno introvabili su Google Italia. L’Italia deve tornare Italia, e questa è la via. L’Italia deve.(Paolo Barnard, “L’Italia deve”, dal blog di Barnard del 6 dicembre 2018).L’Italia deve uscire dall’Eurozona. L’Italia si deve ricordare come stavamo – sì, certo, con le nostre mafie, le mazzette, i politucoli puzzoni, le parrocchiette industriali – quello che volete, ma come stavamo prima di diventare un intero popolo di straccioni che spendono una moneta tedesca. Ma vi ricordate? Si lavorava, si compravano case e si risparmiava per i figli più di chiunque altro al mondo. L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di un gruppo di ragazzetti stellati che vogliono farci tutti più onesti e corretti, ma che concordano in pieno col mantenere 60 milioni d’italiani annichiliti sotto la Chemioeconomia della moneta tedesca. L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di non vedere più Rom e neri per strada, ma che invece ce ne faremmo tantissimo di avere un ‘duro con l’Europa’ che lo fosse davvero, e non un falsario cagasotto bulletto che ci ha ingannati perché tira proprio lui a diventare un Vip proprio in quell’Europa.
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La lotteria dell’universo e i numeri sbagliati del pianeta
La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.Il messia. Alla mia destra, aveva detto, e alla mia sinistra. Sedevano a tavola, semplicemente. Avevano sprecato un sacco di tempo in chiacchiere inconcludenti, e lo sapevano. Con colpevole ritardo, dopo inenarrabili vicissitudini dai risvolti turpemente malavitosi, si erano infine rimessi al nuovo sire, l’inviato dall’alto. Familiarmente, tra loro, lo chiamavano messia, essendo certi che avrebbe fatto miracoli e rimesso le cose al loro posto, ma non osavano consentirsi confidenze di sorta: ne avevano un timoroso rispetto. Quell’uomo incuteva soggezione, designato com’era dal massimo potere superiore. Non restava che ascoltarlo, in composto silenzio, assecondandolo in tutto e sopportandone la postura da tartufo. La sua grottesca affettazione si trasformava inevitabilmente, per i servi, in squisita eleganza. Gareggiavano, i sudditi, in arte adulatoria. Stili retorici differenti, a tratti, permettevano ancora di distinguere i servitori seduti a destra da quelli accomodati a sinistra.Tungsteno. L’isoletta era prospera e felice, o almeno così piaceva ripetere al governatore, sempre un po’ duro d’orecchi con chi osava avanzare pretese impudenti, specie in materia di politica economica, magari predicando la necessità di sani investimenti in campo agricolo. Il popolo si sentì magnificare le virtù del nuovo super-caccia al tungsteno, ideale per la difesa aerea. Ma noi non abbiamo nemici, protestarono. Errore: potremmo sempre scoprirne. Il dibattito si trascinò per mesi. I contadini volevano reti irrigue, agronomi, serre sperimentali, esperti universitari in grado di rimediare alle periodiche siccità. Una mattina il cielo si annuvolò e i coloni esultarono. Pioverà, concluse il governatore, firmando un pezzo di carta che indebitava l’isola per trent’anni, giusto il prezzo di un’intera squadriglia di super-caccia al tungsteno.Stiamo pensando. Stiamo pensando alla situazione nella sua inevitabile complessità, alle sue cause, alle incidenze coincidenti ma nient’affatto scontate. Stiamo pensando a come affrontare una volta per tutte la grana del famosissimo debito pubblico, voi capite, il debito pubblico che è come la mafia, la camorra, l’evasione fiscale, l’Ebola, gli striscioni razzisti negli stadi, la rissa sui dividendi della grande fabbrica scappata oltremare, l’abrogazione di tutto l’abrogabile. Perché abbiamo perso? Stiamo pensando a come non perdere sempre, a come non farvi perdere sempre. Stiamo pensando, compagni. E, in confidenza, di tutte queste problematiche così immense, così universali, così globalmente complicate, be’, diciamocelo: non ne veniamo mai a capo. Il fatto è che non capiamo, compagni. Non capiamo mai niente. Ma, questa è la novità, ci siamo finalmente ragionando su. Stiamo pensando. Una friggitoria di meningi – non lo sentite, l’odore?Unni. Scrosciarono elezioni, ma il personale di controllo era scadente e il grande mago cominciò a preoccuparsi, dato che i replicanti selezionati non erano esattamente del modello previsto. Lo confermavano a reti unificate gli strilli dei telegiornali, allarmati anche loro dall’invasione degli Unni. Non si capiva quanto fossero sinceri i loro slogan, quanto pericolosi. Provò il dominus ad armeggiare con i soliti tasti, deformando gli indici borsistici, ma non era più nemmeno certo che il trucco funzionasse per l’eternità. Vide un codazzo di Bentley avvicinarsi alla reggia e si sentì come Stalin accerchiato dai suoi fidi, nei giorni in cui i carri di Hitler minacciavano Mosca. Ripensò ai tempi d’oro, quando gli asini volavano e persino gli arcangeli facevano la fila, senza protestare, per l’ultimissimo iPhone.(Estratto da “La lotteria dell’universo”, di Giorgio Cattaneo. “Siamo in guerra, anche se non si sentono spari. Nessuno sa più quello che sta succedendo, ma tutti credono ancora di saperlo: e vivono come in tempo di pace, limitandosi a scavalcare macerie. Fotogrammi: 144 pillole narrative descrivono quello che ha l’aria di essere l’inesorabile disfacimento di una civiltà”. Il libro: Giorgio Cattaneo, “La lotteria dell’universo”, Youcanprint, 148 pagine, 12 euro).La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.
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Amodeo, lettera a Saviano: non racconti la verità sul potere
Gentile Saviano, vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza. Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per “Dossier Magazine”, poi per il famoso quotidiano campano il “Roma” e il “Giornale di Napoli”. Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul “Roma” che sul “Giornale di Napoli”. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato ed un altro e quindi tra un articolo ed un altro e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro:18 ottobre 2004 omicidio Albino, 29 ottobre 2004 omicidio Secondigliano: scoppia la faida, 5 novembre 2004 carabinieri feriti a Secondigliano, 13 novembre 2004 omicidio Peluso in pizzeria, 21 novembre 2004 ragazza accoltellata a Santa Lucia, 22 novembre 2004 omicidio di piazza Ottocalli, 26 novembre 2004 omicidio a Secondigliano di Gelsomina Verde (in assoluto il più efferato di tutta la faida), 19 dicembre 2004 intervista esclusiva alla vittima dell’agguato. L’ultimo mio articolo apparso sulla prima pagina del “Roma” riguardava l’omicidio di Nunzio Giuliano dell’omonimo storico clan. Sono articoli pubblicati negli stessi anni e riguardanti le stesse faide di quelli che tu hai scopiazzato dai colleghi e ricopiato per intero nel tuo “Gomorra” e per i quali hai subito la sentenza di condanna per plagio. A me nel 2005 sono stati corrisposti per tutti gli articoli 2.117,70 euro, di cui netti 1.800 euro (allego prova documentale). Posso immaginare che più o meno siano queste le cifre che guadagnavano anche i giornalisti campani a cui hai copiato pezzi di articoli per pubblicarli nel tuo libro multimilionario.Ma andiamo avanti. Nel raccogliere materiale per gli articoli di cronaca puoi immaginare quante botte io abbia preso, quanti cellulari mi abbiano strappato da mano, quanti registratori distrutto e quante intimidazioni subite. Così decisi che era diventato troppo rischioso e passai alla cronaca politica. Un altro settore che ti interessa. Ho aperto un blog di inchiesta giornalistica e pubblicato video-inchieste sulle organizzazioni della finanza speculativa che nel 2011 aveva rovesciato il governo in diversi paesi europei tra cui l’Italia, analizzando i legami tra queste organizzazioni e i politici e tecnici arrivati al governo, dimostrando in maniera documentata che avevano fatto cartello contro i popoli e contro le democrazie con la complicità dei nostri media mainstream. Probabilmente sono proprio le organizzazioni a cui stai facendo appello tu in questi mesi esortandoli a rovesciare nuovamente un governo democraticamente eletto.Sono rimasto sorpreso della tua visita a Macron. La prima volta che io lo vidi ero nascosto fuori al Marriott Hotel di Copenaghen con un cecchino che seguiva dall’alto ogni mio passo (come dimostra il video postato in rete) e lui stava per fare il suo ingresso alla riunione del Bilderberg 2014. Ossia l’incontro a porte chiuse dei più importanti membri della finanza speculativa. Quelli che scrivono che “la democrazia non è sempre applicabile”; che dovremmo “stracciare le nostre Costituzioni”; che bisogna favorire le tecnocrazie non elette per superare gli “eccessi di democrazia”. In pratica quelli che disprezzano i popoli.Tutte le mie ricerche sui legami tra politici, media e cartello finanziario speculativo sono state pubblicate in due libri, l’ultimo dei quali, “La Matrix Europea”, è stato definito dal compianto Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione (giudice istruttore caso Moro) il miglior libro sull’argomento – citando le sue parole: «Il tuo libro è importante come strumento di verità e libertà ma è assediato da silenzio e omertà. Mi congratulo con te per la tua ricerca che è preziosa per tutti noi cittadini di una società in cui le ingiustizie e diseguaglianze sono enormi. Il tuo libro mi ha fatto capire molte cose, chiaro, preciso, documentato coraggioso, incisivo. Ma non è facile far capire agli altri la verità». Il presidente mi chiese poi pubblicamente di collaborare con lui per una ricerca sul tema, ma dovetti rifiutare perché non mi sentivo tutelato.Stai tranquillo Saviano, non sto facendo uno spot al mio lavoro, immagino che per deformazione professionale penseresti questo. A differenza dei tuoi libri, che ce li ritroviamo davanti anche in autogrill mentre prendiamo un caffè, il mio dopo una breve apparizione è sparito dai radar. Nonostante abbia un proprio codice Isbn se lo richiedi nelle librerie sembra che non sia mai esistito. Spero sia stato solo un errore dell’editore. Eppure i temi trattati nel libro sono stati oggetto di alcuni video su YouTube. Uno dei quali ormai punta ai 6 milioni di visualizzazioni (sì, hai capito bene, 5 milioni di visualizzazioni già superate con un video di 18 minuti, ossia un tempo assolutamente proibitivo per YouTube). E non è stato un caso. Ho superato ben 4 volte un milione di visualizzazioni anche quando ho dimostrato come vengono manipolate le interviste da parte di alcune note trasmissioni televisive del mainstream per punire chi prova a toccare argomenti che non dovrebbe toccare. Numeri enormi, mai raggiunti da nessuno in Italia e forse neanche in Europa per video che trattavano questo tipo di argomenti.Pensa che il video più visualizzato sul tuo “Gomorra Channel” ha raggiunto 477.000 visualizzazioni contro i miei 5 milioni. Per intenderci, sommando tutti i video caricati sul canale “Gomorra Channel” si raggiungono meno della metà delle visualizzazioni di un mio solo video. Nonostante “Gomorra” sia una serie televisiva, un film al cinema e tu, Saviano, sei inseguito da tutti gli editori, gli autori televisivi e sei presente in numerosi programmi in Tv. E allora cos’è che spinge tanta gente a guardare i video di uno sconosciuto? Sei d’accordo con me che i conti non tornano? Te lo spiego subito: tu sei stato molto bravo ad attaccare i criminali comuni, molti dei quali già in carcere con l’ergastolo, ma facendo sempre la massima attenzione a non attaccare il sistema dominante in politica (quello che la manovra) né il ruolo dei media, spesso usati come braccio armato da questi poteri forti. Sei diventato il cavallo di Troia che fa comodo ad un certo tipo di sistema per entrare nelle case degli italiani con una voce che possa fingersi amica, credibile, spostando l’attenzione sui criminali comuni senza mai toccare gli interessi del potere dominante né dei media che lo coprono.Ecco di chi sei diventato voce. Ecco perché ti celebrano. Ecco perché sei in tutte le Tv. Una volta ci sono andato anche io in Tv alla trasmissione “In Onda” di Luca Telese su La7 ma è stata la prima e l’ultima volta, perché tirai in ballo giornalisti, media e politici che partecipavano alle riunioni di organizzazioni del cartello finanziario speculativo che hanno interessi diametralmente opposti a quelli dei popoli. Sai come intitolarono la trasmissione? “La web guerra dei blogger antisistema”. Quando dici certe verità non sei un eroe, sei un “anti”. Eppure ti assicuro che la crisi economica – che io dimostravo essere stata indotta dai membri del cartello finanziario speculativo di cui facevo nomi e cognomi – ha fatto, indirettamente, molti più morti tra imprenditori e lavoratori che si sono suicidati di quanti ne abbia fatti, tra i criminali, la più sanguinosa delle faide di camorra. Ha fatto chiudere molte più aziende lo Stato per eseguire i diktat del capitale che i camorristi con il racket. Ma questo il pensiero unico dominante tra i media non ce lo fa sapere. E tu sei diventato l’icona di questo pensiero unico. Tu che parli di solidarietà verso i migranti, di accoglienza tout court pur sapendo bene che la maggior parte di quelli che arrivano dall’Africa sono in realtà i nuovi schiavi deportati dal capitalismo per abbassare il costo del lavoro e annichilire i diritti sociali nei paesi dove vengono accolti.Gente disposta a tutto, come li definisce un noto filosofo: «Merce umana nell’economia globale per le nuove pratiche dello sfruttamento neofeudale», pronta ad essere sostituita ai lavoratori europei che invece richiederebbero diritti sociali e rivendicazioni salariali. Tu conosci questa pratica infame. Ma la copri, la appoggi. Per questo meriti programmi in Tv. Poi ti vedo attaccare Salvini indossando la maschera del paladino dei più poveri, e mentre con una mano reggi quella maschera, con l’altra tiri acqua al mulino di quella sinistra che ha svenduto i lavoratori e i loro diritti al cartello finanziario europeo e che è passata “dalla lotta per i lavoratori contro il capitale alla lotta per il capitale contro i lavoratori”, che ha sacrificato volontariamente sull’altare dei globalizzatori i lavoratori italiani per gli interessi di una Europa che si è dimostrata il baluardo del capitalismo speculativo contro le classi lavoratrici ed i popoli europei. Perché queste cose non le racconti? Anzi, perché le neghi?Taci, perché preferisci essere esaltato dai media per interessi commerciali e contribuire al loro asfissiante, martellante, fuorviante lavoro di propaganda a favore del pensiero unico di chi intende dirigere le sorti dei nostri governi.Oltre “Gomorra”, che ha soltanto fini commerciali, tu sei considerato un “intellettuale” amico dei popoli. E come può un intellettuale del genere, con il tuo seguito, preoccuparsi dei rimborsi trattenuti dalla Lega, senza mai menzionare i miliardi e miliardi di euro che ogni anno finiscono nelle mani di azionisti privati che si sono autonominati creatori e gestori della moneta del popolo? Tu questi argomenti non li toccherai mai. Io, invece, ho dovuto subire intimidazioni, ritorsioni, agguati mediatici, censure. Ed è per questo, che in seguito ad altri episodi che hanno coinvolto me ed i miei colleghi, ho deciso 3 anni fa di chiudere il blog, smettere di scrivere. Ma il mio è solo un esempio di quello che accade a centinaia di ragazzi che hanno provato a fare questo mestiere senza volersi allineare al pensiero unico dominante. Per concludere: io non sono un politico, non sono un ministro, non sono un capopartito; non puoi trovare altri interessi nella mie parole se non la voglia di ristabilire la verità. Te lo dico da ex giornalista. Da ex scrittore. Per farti capire che parliamo la stessa lingua. E te lo dico nel mio dialetto perché anche quello ci accomuna. “Robè, vir e fa l’ommmm”.(Francesco Amodeo, lettera aperta a Roberto Saviano pubblicata su “Scenari Economici” il 27 novembre 2018 – “Lettera di un ex giornalista di cronache di camorra a Saviano: perché non racconti la verità?”).Gentile Saviano, vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza. Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per “Dossier Magazine”, poi per il famoso quotidiano campano il “Roma” e il “Giornale di Napoli”. Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul “Roma” che sul “Giornale di Napoli”. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato e un altro, e quindi tra un articolo e un altro, e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro: