Archivio del Tag ‘migranti’
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Silenzio, parla Visco. La politica tace, e l’apocalisse avanza
«Attenzione a quelli che gridano che l’apocalisse è vicina: sbagliano». La realtà è peggiore, secondo Gioele Magaldi, perché «l’apocalisse è già in corso». Certo, «è un’apocalisse morbida, soft: un’apocalisse fredda», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt. In altre parole, «l’apocalisse è questa cosa strisciante e melensa, per cui tutto è lasciato nella stagnazione». A monte, l’economia risponde a dei dogmi. E mentre la narrazione mainstream «ci anestetizza il cervello e ci addormenta, coi giornalisti diffidati dal fare veramente il loro mestiere, dal mantenere la schiena dritta», i politici «sono resi incapaci di intendere e volere, e di agire». L’ultimo esempio? Silenzio di tomba, dall’intero schieramento gialloverde, dopo l’ultima esternazione di Ignazio Visco. Nel bocciare l’idea dei “minibot” («sarebbero solo altro debito»), il governatore di Bankitalia “ricorda” al governo chi comanda davvero: non la democrazia, ma il potere oligarchico che controlla il denaro al di sopra dei governi – e nella fattispecie quello italiano, a cui non verranno concessi i fondi necessari per dare ossigeno all’economia. In altre parole, dice Visco, “rassegnatevi all’austerity eterna”. «E’ la dottrina ipocrita del suo maestro Mario Draghi», protesta Magaldi: «Come se a dirigere l’economia europea fosse davvero il “pilota automatico” dei “mercati”, e non invece la sapiente regia di pochi oligarchi». Il problema? «Nessuno ha replicato a Visco, nemmeno Salvini e la Meloni».Se la politica subisce in silenzio un diktat del genere, si domanda Magaldi in web-streaming su YouTube, come può fare promesse agli italiani? Come si fa a tentare di risollevare l’economia, già sapendo che il potere incarnato da Visco (terminale italiano di Draghi) ti negherà i soldi necessari a sviluppare l’occupazione? Per Magaldi, il silenzio della politica di fronte a Bankitalia è sconcertante, inaccettabile. E proprio per coprire questo mutismo assordante, si preferisce ripiegare su temi innocui e irrilevanti, come quelli su cui perdono tempo Lega e 5 Stelle, litigando fra loro. «Da una parte il mainstream intrattiene gli italiani, per settimane, su una farsa come il matrimonio-fantasma di Pamela Prati, e dall’altra Roberto Fico polemizza con Salvini sull’idea di includere anche i migranti, come “nuovi italiani”, nella comunità nazionale che celebra se stessa il 2 giugno». Fiato alle trombe, titoloni sui giornali. Non una parola, invece, per ricordare a Ignazio Visco che non può essere la Banca d’Italia a dettare al governo la politica economica: che ci stanno a fare, i parlamentari eletti dal popolo, se non possono decidere niente di importante? E’ la tragica prassi della post-democrazia. Ma appunto: Salvini e Di Maio non erano stati votati proprio per metter fine a questo abuso di potere? E quindi perché tacciono, esattamente come i loro predecessori, non appena il governatore della banca centrale “spiega” loro che possono dedicarsi a qualunque cosa, tranne che al benessere dell’Italia?Non è strano neppure che la narrazione dei grandi media venda come notizia sensazionale l’ennesima “riservatissima” riunione del Bilderberg, che in realtà non ha segreti per nessuno. «Il Bilderberg – chiarisce Magaldi, autore del saggio “Massoni” che rivela il super-potere delle 36 Ur-Lodges che dominano il pianeta – è solo un’entità “paramassonica” come la Trilaterale, la Chatham House inglese, gli statunitensi Bohemian Club e Council on Foreign Relations». Organismi creati da supermassoni, ma aperti al reclutamento di “profani” eventualmente “servizievoli”. Nel 2019 fa notizia l’invito del Bilderberg esteso a Matteo Renzi? «L’ex premier – aggiunge Magaldi – aveva inutilmente bussato alle superlogge, che però non l’hanno accolto. Ora gli offrono, come magra consolazione, la passerella del Bilderberg: un salotto dove “non si tocca palla”, perché le grandi decisioni vengono prese altrove». Per esempio, nelle Ur-Lodes in cui militano gli stessi Visco e Draghi: quelli sono i veri centri di potere, che stabiliscono – come oggi in Italia – se un governo può essere messo in condizioni di sostenere i cittadini, oppure no. Ecco la verità che bisognerebbe urlare, una volta per tutte. E invece, ancora e sempre, si sceglie il silenzio.Dalla sua trincea, il Movimento Roosevelt agita esattamente questo spettro: il dominio subdolo del potere neoliberista ha sostanzialmente confiscato la democrazia, svuotandola del suo potenziale. Magaldi ricorda che il 14 luglio a Roma nascerà il “Partito che serve all’Italia”, cantiere politico per offrire agli italiani una prospettiva di riscatto basata sull’analisi sincera della situazione, mettendo a fuoco lo strapotere abusivo e inquinante dei santuari oligarchici. Salvini e Di Maio non osano replicare a Visco? Poi non lamentiamoci, dice Magaldi, se la crisi sta facendo marcire il paese. «L’apocalisse è già qui», insiste il presidente del Movimento Roosevelt: «E’ nei salari inadeguati, nelle pensioni troppo basse, nel lavoro che non si trova, nel paese che non rinnova le sue infrastrutture». Vale per l’Italia, ma anche per gli altri paesi. «L’apocalisse è nel mondo, che è pieno di sudditi e neo-sudditi. E’ nella diseguaglianza che aumenta: l’apocalisse è già qui, non c’è bisogno di paventare chissà quale evento. Viviamo in una condizione che non è accettabile, in un mondo che potrebbe dare, a ciascuno, dignità e prosperità». Che fare? Pretendere che il governo faccia valere i suoi diritti, a tutela degli italiani. E se non basta, dare vita a nuove forze politiche con un mandato inequivocabile: sfidare l’oligarchia, per restituire sovranità democratica all’Italia e all’Europa.«Attenzione a quelli che gridano che l’apocalisse è vicina: sbagliano». La realtà è peggiore, secondo Gioele Magaldi, perché «l’apocalisse è già in corso». Certo, «è un’apocalisse morbida, soft: un’apocalisse fredda», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt. In altre parole, «l’apocalisse è questa cosa strisciante e melensa, per cui tutto è lasciato nella stagnazione». A monte, l’economia risponde a dei dogmi. E mentre la narrazione mainstream «ci anestetizza il cervello e ci addormenta, coi giornalisti diffidati dal fare veramente il loro mestiere, dal mantenere la schiena dritta», i politici «sono resi incapaci di intendere e volere, e di agire». L’ultimo esempio? Silenzio di tomba, dall’intero schieramento gialloverde, dopo l’ultima esternazione di Ignazio Visco. Nel bocciare l’idea dei “minibot” («sarebbero solo altro debito»), il governatore di Bankitalia “ricorda” al governo chi comanda davvero: non la democrazia, ma il potere oligarchico che controlla il denaro al di sopra dei governi – e nella fattispecie quello italiano, a cui non verranno concessi i fondi necessari per dare ossigeno all’economia. In altre parole, dice Visco, “rassegnatevi all’austerity eterna”. «E’ la dottrina ipocrita del suo maestro Mario Draghi», protesta Magaldi: «Come se a dirigere l’economia europea fosse davvero il “pilota automatico” dei “mercati”, e non invece la sapiente regia di pochi oligarchi». Il problema? «Nessuno ha replicato a Visco, nemmeno Salvini e la Meloni».
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Spolpare l’Italia: solo Salvini e Meloni contro il piano-Draghi
Solo Matteo Salvini e Giorgia Meloni potrebbero scongiurare l’avvento a Palazzo Chigi di Mario Draghi, invocato da Berlusconi per affondare il traballante governo gialloverde e recuperare così un ruolo politico ammiccando alla tecnocrazia europea. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, che ha accesso a fonti riservate nell’ambito del circuito massonico internazionale. Autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che mette a fuoco la “sovragestione” che pilota i destini europei (con l’Italia il più delle volte nel ruolo di vittima), Carpeoro era stato il primo, alla vigilia delle europee, a lanciare l’allarme-Draghi: la supermassoneria reazionaria, in cui il presidente della Bce milita, sta aumentando la pressione su Super-Mario perché accetti di formare un governo “lacrime e sangue”, come quello di Monti. Le premesse ci sono tutte: l’alleanza gialloverde è al capolinea, e la crisi economica – già seria, anche a causa del mancato ampliamento del deficit – è destinata ad aggravarsi in modo artificioso, attraverso la sapiente regia politica dello spread. La solita tenaglia finanziaria, preannunciata direttamente dai tecnocrati di Bruxelles: lo provano le fughe di notizie sulle “letterine” della Commissione Europea che prospettano una severa punizione per il nostro paese, costretto a tagli sanguinosi e al probibile aumento dell’Iva.A completare il quadro, i ministeri-colabrodo da cui escono le notizie: questo è un governo che non gode della leale collaborazione di molti dirigenti e funzionari ministeriali, dice Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Certo Salvini ha vinto, alle europee, ma non ha stravinto. Altro dato: una parte della magistratura gli ha dichiarato guerra. Lo dimostra il dissequestro della nave Sea Watch, ampiamente previsto dallo stesso Carpeoro: «Un bell’escamotage, per scavalcare il ministro dell’interno. Prima si sequestra la nave, sottraendola così al controllo del governo. Poi si fanno sbarcare i migranti, e infine si dissequestra il natante. Risultato: tutti i migranti entrano in Italia, alla faccia di Salvini, e senza che nessun altro paese europeo si assuma l’onere dell’accoglienza». Tutto questo, senza contare la “guerriglia” dei 5 Stelle pro-Ong. «Stanno cercando di spingere Salvini, in ogni modo, a far saltare il governo». Ed è esattamente l’obiettivo numero uno dell’eurocrazia, che sogna di insediare Mario Draghi – in autunno – al posto di Giuseppe Conte. Obiettivo: «Finire di svendere l’Italia, cioè la metà che ancora ci resta, facendoci fare la fine della Grecia». Dettaglio: vorrebbero mettere le mani anche sui nostri beni culturali. E soprattutto: impedire che vengano un giorno conteggiati, come patrimonio di altissimo valore anche finanziario, nel rating dell’Italia. «Portaci via anche i beni culturali sarebbe la “soluzione finale”, come quella attuata da Hitler per annientare gli ebrei».Per Carpeoro, la situazione è gravissima. Uno dei problemi si chiama Luigi Di Maio: «Non che avessi molta fiducia in lui, ma si è dimostrato uno zero assoluto. E se hai degli zeri, anziché degli statisti, dove speri di andare?». Molto meglio Salvini, oggi al centro di un autentico assedio, su ogni fronte (politico, mediatico, giudiziario). «Ma nemmeno Salvini è adeguato alla situazione», ammette Carpeoro: al leader della Lega mancano l’esatta visione della situazione e una sufficiente capacità di proiezione nel futuro. Molta tattica, ma senza una vera strategia. Nel gioco s’è infilato in contropiede l’anziano Berlusconi, che per uscire dall’angolo s’è inventato la carta Draghi: «Una mossa abile e raffinata per tornare ad avere un ruolo politico, in questo caso alleandosi con la tecnocrazia Ue». Ma nemmeno Berlusconi ha fatto bene i suoi conti: «Si è presentato come il garante dell’ordine europeo, è vero, ma non ha capito che l’Europa non ha nessuna paura del sovranismo. In più, dalle elezioni la burocrazia Ue è uscita rafforzata, non certo indebolita».Forse, il Cavaliere riuscirà davvero a spianare a Draghi la strada per Palazzo Chigi (nel caso, con la determinante collaborazione dei poteri forti, Quirinale e Bankitalia in testa, aiutati dall’impennarsi dello spread e dal consueto gioco al massacro delle agenzie di rating). Ma alla fine Forza Italia si sfalderà: «E’ un partito pieno di Casini e di Alfani, tutta gente con la valigia sempre pronta». I grillini? Ormai in caduta verticale: la base non riesce a esprimere un’alternativa alla sciagurata leadership di Di Maio, «telecomandato da un Davide Casaleggio che ormai si consulta regolarmente con personaggi come Tajani e Jacques Attali, l’eminenza grigia di Macron». Il Pd zingarettiano? Encefalogramma politicamente piatto: si limita a sperare che Conte (cioè Salvini) cada, lasciando il posto a Draghi. «E con Draghi, Salvini non avrebbe nessuna possibilità di sopravvivenza, al governo». Unica chance: «Lui e la Meloni hanno i numeri per tentare di resistere, ed entrambi hanno forti ambizioni personali». Escluse, ovviamente, le elezioni anticipate: Salvini e Meloni vincerebbero, potendo poi governare insieme. Come finirà? Male, secondo Carpeoro, perché – tanto per cambiare – mezza Europa spera di banchettare sul cadavere dell’Italia, dopo aver spolpalto gli italiani con il consueto appoggio dei “collaborazionisti” interni. «Duecento anni fa, l’Italia non esisteva neppure: era in mano a signorotti che si vendevano allo straniero per far fuori lo starerello confinante. Non è cambiata molto, la situazione». E oggi stiamo per toccare il fondo, con una crisi sociale che minaccia di farsi devastante. «Se non altro, più scuro di mezzanotte non può fare. E ormai ci siamo».Solo Matteo Salvini e Giorgia Meloni potrebbero scongiurare l’avvento a Palazzo Chigi di Mario Draghi, invocato da Berlusconi per affondare il traballante governo gialloverde e recuperare così un ruolo politico ammiccando alla tecnocrazia europea. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, che ha accesso a fonti riservate nell’ambito del circuito massonico internazionale. Autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che mette a fuoco la “sovragestione” che pilota i destini europei (con l’Italia il più delle volte nel ruolo di vittima), Carpeoro era stato il primo, alla vigilia delle europee, a lanciare l’allarme-Draghi: la supermassoneria reazionaria, in cui il presidente della Bce milita, sta aumentando la pressione su Super-Mario perché accetti di formare un governo “lacrime e sangue”, come quello di Monti. Le premesse ci sono tutte: l’alleanza gialloverde è al capolinea, e la crisi economica – già seria, anche a causa del mancato ampliamento del deficit – è destinata ad aggravarsi in modo artificioso, attraverso la sapiente regia politica dello spread. La solita tenaglia finanziaria, preannunciata direttamente dai tecnocrati di Bruxelles: lo provano le fughe di notizie sulle “letterine” della Commissione Europea che prospettano una severa punizione per il nostro paese, costretto a tagli sanguinosi e al probabile aumento dell’Iva.
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Finti sovranisti, innocui: il banco vince sempre, anche in Ue
Il risultato delle elezioni europee ‘migliora’ il quadro politico sia nazionale che continentale, ma solo marginalmente, perché come sempre ha vinto il Banco, cioè la Banca, essendo il gioco truccato. Cattolici, liberali, socialisti, nazionalisti e “sovranisti” si sono tenuti tutti all’interno del perimetro del modello, delle regole e dei meccanismi del capitalismo finanziario mondialista e della sua gerarchia di scopi e poteri, senza metterli in discussione, sebbene sappiano benissimo che sono essi il fomite dei mali sociali, economici ed ecologici che hanno promesso di risolvere – mali che hanno prudentemente imputato ad altre cause. Nessuno di essi è antisistema. Hanno recitato entro il teatrino delle divergenze predisposto per loro, entro il range di posizioni (fintamente) critiche autorizzato dal potere reale. Dietro la facciata di apparente alternatività tra le forze politiche in lizza elettorale, questo dato di fondo le accomuna tutte: tutte hanno cooperato nello spiegare al popolo bue i problemi che lo affliggono, dall’economia all’immigrazione, in termini irrealistici, semplicistici, emotivi – termini fuorvianti, quindi innocui per gli interessi forti. La politica, infatti, è l’arte del possibile, del pragmatismo, che, per raccogliere voti, si fa credere altro.I problemi economici (recessione, disoccupazione, indebitamento) sono stati presentati alla base come frutto di un’errata o avara posizione della cricca eurocratica, e come se si trattasse di conquistare il diritto a fare più deficit, e senza prospettare un piano B per il caso che le cose non cambieranno. Non è stata denunciata la monopolizzazione privatistica del potere monetario e finanziario nelle mani di un cartello sovranazionale, il quale ha da decenni deciso una politica globale di restrizione dello sviluppo reale, di finanziarizzazione della società e della politica, di centralizzazione del potere delle proprie mani, di sottomissione delle istituzioni, dei governi, dei parlamenti, attraverso il loro indebitamento programmato e a strozzo che li rende ricattabili e burattinabili, con enormi incrementi nella diseguaglianza, che hanno portato una minuscola élite al controllo della maggioranza del reddito e della ricchezza, e massacrato i diritti dei lavoratori. E poi li chiamano “populisti”.Neppure si è messo in discussione, prospettando un piano B per il caso di rifiuto dei dovuti correttivi, lo statuto e la gestione delle Bce, né la politica bancaria-monetaria europea che assegna all’Italia metà della liquidità pro capite che dà alla Francia e alla Germania, né il sistematicamente mancato rispetto tedesco dei limiti di surplus commerciale. Il problema dell’immigrazione è stato presentato e travisato in termini di mercanti di esseri umani, di affarismo dell’accoglienza e di abuso da parte degli stessi migranti. Non hanno spiegato, perché non si potevano mettere in urto con Cina, Francia, Belgio e altri paesi, che l’immigrazione sostitutiva di massa, o invasione, è spinta dal fatto che la Cina si sta accaparrandosi le terre africane, e gli occidentali le materie prime; e tutto questo produce le ondate di migranti economici e conflitti che degenerano in croniche guerre e guerriglie locali.Questi due problemi fondamentali, quello economico e quello migratorio, hanno cause e interessi retrostanti così potenti che non si possono nominare al grande pubblico, né li si può additare come avversari da combattere, ma si additano cause e colpevoli abbordabili. I partiti politici “sovranisti” e “populisti” italiani non hanno nemmeno messo in discussione l’impostazione di fondo dell’Unione Europea che, sin dalla sua progettazione, che, sotto la pelle d’agnello di Ventotene, pianifica e sta attuando la concentrazione del potere e delle risorse del continente nelle sue aree più efficienti, ossia in Germania e parte della Francia e dell’Olanda, a spese degli altri paesi. Nessuno ha descritto gli effetti e la funzione dell’Euro a questo disegno strategico, intenzionale. Nessuno ha promesso che porterà l’Italia fuori dall’euro, se l’euro non verrà riformato in modo tale che non abbia più quell’effetto. Nessuno ha fatto un conto oggettivo dei danni e benefici dell’Ue (politica agricola, politica fiscale, politica monetaria): sarebbe stato troppo rivelatore! Dove sono allora il sovranismo e il populismo, all’atto pratico?I partiti creduti sovranisti non sono realmente sovranisti anche perché non hanno messo in luce il problema della posizione appunto subalterna dell’Italia rispetto agli interessi di altri paesi dell’Ue, non hanno proposto una soluzione realistica a questa condizione che ci condanna alla sistematica e progressiva spoliazione e deindustrializzazione e africanizzazione. Si sono limitati a dire che avranno più forza nel Parlamento Europeo, mentre in ogni caso i vari partiti “sovranisti” europei sono e rimangono una minoranza in quel Parlamento, e sono divisi tra loro perché portatori di interessi nazionali in buona parte contrapposti. Non è che Lega e 5 Stelle stiano sprecando le opportunità per mettere in luce e in discussione un sistema di potere contrario agli interessi nazionali: stanno semplicemente evitando di scontrarsi con esso per non essere licenziate. Almeno fino ad oggi.(Marco Della Luna, “Il Banco vince sempre”, dal blog di Della Luna del 27 maggio 2019).Il risultato delle elezioni europee ‘migliora’ il quadro politico sia nazionale che continentale, ma solo marginalmente, perché come sempre ha vinto il Banco, cioè la Banca, essendo il gioco truccato. Cattolici, liberali, socialisti, nazionalisti e “sovranisti” si sono tenuti tutti all’interno del perimetro del modello, delle regole e dei meccanismi del capitalismo finanziario mondialista e della sua gerarchia di scopi e poteri, senza metterli in discussione, sebbene sappiano benissimo che sono essi il fomite dei mali sociali, economici ed ecologici che hanno promesso di risolvere – mali che hanno prudentemente imputato ad altre cause. Nessuno di essi è antisistema. Hanno recitato entro il teatrino delle divergenze predisposto per loro, entro il range di posizioni (fintamente) critiche autorizzato dal potere reale. Dietro la facciata di apparente alternatività tra le forze politiche in lizza elettorale, questo dato di fondo le accomuna tutte: tutte hanno cooperato nello spiegare al popolo bue i problemi che lo affliggono, dall’economia all’immigrazione, in termini irrealistici, semplicistici, emotivi – termini fuorvianti, quindi innocui per gli interessi forti. La politica, infatti, è l’arte del possibile, del pragmatismo, che, per raccogliere voti, si fa credere altro.
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Polvere di Stelle: ko l’ambigua Scientology dei Casaleggio
Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.Facile cascare nel delirio collettivo provocato dalla genialità dell’esperimento di Gianroberto Casaleggio, però il M5S non è una forza politica nata dal basso, ma una semplice riproduzione della prima società di Casaleggio, la Webegg, gruppo per la consulenza delle aziende in Rete, controllata da I.T. Telecom Spa. Esperimento cui Casaleggio ha lavorato alla fine degli anni Novanta, quando da amministratore delegato cominciò a testare nei forum intranet dell’azienda i meccanismi di formazione e produzione del consenso attraverso la propaganda virale. Testi e regia dei Vday infatti, gli eventi antecedenti alla nascita del Movimento, erano in pratica decisi dalla Casaleggio. Grillo è stato l’uomo immagine, il frontman del consenso elettorale che poteva raccogliere e rilanciare la rabbia che saliva da più parti della società civile e incrementare il sentimento d’indignazione contro il sistema. In questa prima fase il MoV sosteneva alcune istanze che poi smentirà tutte: l’uscita dalla Nato, il rifiuto assoluto di comparire sulle tv, la decrescita felice, il plauso ad uno stile di vita francescano, un deciso sovranismo, una forte critica all’euro e all’Unione Europea.Gianroberto Casaleggio ha progettato attentamente la sua scalata al potere, tutelando con cura paranoica la fuga di notizie sulla sua storia professionale, anche se ai più attenti molte cose non erano sfuggite. Lo stesso Gianroberto teorizzava spesso sul potere degli ‘influencers’, i piazzisti di prodotti sul mercato, o fake persuaders, coloro che orientano il consenso degli utenti, creando e dirottando correnti di pensiero per finalità di marketing, anche politico. La persuasione funziona perfettamente quando è invisibile, e il marketing più efficace è quello che s’insinua subdolamente nella nostra coscienza, attraverso un processo di propagazione virale riprodotta sui social, simulando magnificamente l’autonomia delle nostre opinioni, che in realtà sono di altri. Il guru del web riuscì ad incastrare Grillo nell’avventura politica che si stava aprendo nel 2005, e con l’apertura del blog di Grillo cominciò la traversata nel deserto del nuovo partito populista. Tutta la comunicazione veniva studiata sistematicamente da Casaleggio, e Grillo serviva da amplificatore seducente e accattivante dei depistaggi ideologici, veri o presunti, della nuova creatura politica.Il blog fu subito ispiratore di liste civiche e di meetup territoriali, cui le persone partecipavano con grande entusiasmo, sentendosi protagonisti, esponenti preziosi del MoV, in realtà venivano spesso ignorati dai vertici, a meno che rispondessero ai canoni elettorali che facevano loro comodo, giovani, fotogenici, malleabili, succubi e dotati molto più di soft skills che di hard skills, più attitudini che competenze. Una volta eletti, una ‘squadra di esperti’ li avrebbero guidati nelle proposte e nei dibattiti politici. L’ipnosi collettiva scatenò effetti immediati, eliminò la sensazione d’impotenza, perché era taumaturgico gridare un “vaffa” verso i decrepiti e corrotti politici della casta, e illuse sulla possibilità di un riscatto, che poteva trovarsi finalmente a portata di mano. Il sogno si sa è sempre più forte del realismo, ed è la carica emozionale indispensabile per muovere le coscienze attraverso “parole guerriere”. Ma il riscatto non può arrivare, perché il MoV è una controrivoluzione, l’anarchismo interno in realtà è guidato dalla diarchia Casaleggio (oggi unico proprietario del simbolo e della società srl) e Di Maio, tutti gli altri stanno sotto.La selezione della classe dirigente è uno dei problemi seri, perché in Parlamento sono arrivate persone che non hanno mai letto la Costituzione, oppure diretti dipendenti, comprati a suon di promesse e di pretese. «Descrivere il potere dei Casaleggio è come comporre un puzzle», dicono due ex collaboratori del MoV, Nicola Biondo e Marco Canestrari nel loro ultimo libro di recente pubblicazione “Il sistema Casaleggio”. «Ci sono migliaia di pezzettini: associazioni aperte e chiuse, avvocati, notai, relazioni, contatti, incontri, cene, convegni, partiti politici, aziende pubbliche e private. Frammenti di racconto che presi da soli non hanno un grande significato. Bisogna ricostruire e collegare i tasselli con pazienza, per capire come ciascuno sia parte di uno schema coerente. Il paravento dietro cui si nasconde questo inganno è l’asserita volontà di costruire un nuovo modello di democrazia, la “democrazia diretta”, governata da un’applicazione web di pessima qualità chiamata Rousseau». Peraltro, secondo Davide Casaleggio, Rousseau dovrebbe sostituire i processi democratici esistenti oggi in Occidente: «Il Parlamento diventerà superfluo», ha profetizzato in un’intervista del luglio 2018.La scalata ai vertici del partito è avvenuta al momento della scomparsa di Gianroberto, quando il figlio Davide si è assicurato un ruolo assolutamente anomalo: non ha una carica politica eppure gestisce l’attività del MoV, come presidente dell’Associazione Rousseau, tesoriere e amministratore unico. Ma mentre Casaleggio ha il potere di governare i dati degli iscritti, le procedure di votazione dei candidati, le proposte da presentare in Parlamento, i soldi versati dai donatori e dai parlamentari (300 euro al mese, 6 milioni in 5 anni di legislatura, quindi soldi pubblici che vanno ad un’associazione privata), al contrario il movimento non può indicare i vertici, non può influenzare le decisioni, non può modificare le regole interne. Il nuovo statuto del partito, datato 30 dicembre 2017 e scritto dall’avvocato Luca Lanzalone (ora in carcere), blinda l’accordo tra l’Associazione e il partito. Gli strumenti informatici del MoVimento saranno forniti da Rousseau, per sempre, e il regolamento per le candidature quantifica la cifra di 300 euro al mese.Ora da un po’ di tempo si parla di una segreteria politica, di una rete territoriale, ma nulla lascia prevedere che il MoV possa trasformarsi in qualcosa di diverso rispetto ad uno strumento attraverso il quale i Casaleggio hanno concentrato nelle loro mani influenza e potere. Dopo il voto sulla Diciotti poi si è capito che gli iscritti sono pronti a ratificare qualsiasi proposta, se pilotati nel modo giusto da video orientati al lavaggio di cervello. Anche oggi, nel dopo tracollo alle europee, a decidere è solo un piccolo direttorio di poche persone, Casaleggio, Di Maio, Bugani. Il MoV si è presentato all’opinione pubblica italiana attraverso tre messaggi chiari: noi siamo il movimento della trasparenza, della legalità, della democrazia diretta. In realtà in questo non-partito, un soggetto non eletto da nessuno, attraverso un’associazione privata di nome Rousseau, controlla la gestione e le attività di un MoV, in maniera unidirezionale.Il conflitto di interessi, ambiguo e opaco, meriterebbe di essere messo a fuoco in modo netto: a quale titolo il capo di una srl impone a dei parlamentari eletti senza vincolo di mandato l’obbligo di essere sudditi di un’associazione privata? E comunque spiega perfettamente il crollo del MoV alle europee, perché se il partito del “né destra né sinistra” ha potuto raccattare moltissimi voti alle ultime politiche, proprio grazie all’ambiguità del proprio messaggio poliedrico e multilaterale, poi però di fronte alle sfide di governo non riesce più a gestire il consenso. Del MoV delle origini è rimasto solo un brand elettorale, svuotato di ogni energia progettuale di ampio respiro, adagiatosi costantemente su toni da political newsjacking perpetua, ostinatamente regolata su spot propagandistici di grande effetto, semplici, immediati, capaci di colpire l’immaginario collettivo. Ma la rappresentanza politica di istanze democratiche dovrebbe essere un’altra cosa…(Rosanna Spadini, “Polvere di Stelle”, da “Come Don Chisciotte” del 29 maggio 2019).Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.
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Veneziani: chi odia i Mostri di oggi sogna i Draghi di domani
In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.La chiamata alle armi contro il nazismo tornante produrrà effetti elettorali minimi, se non ridicoli, a vantaggio delle forze che si oppongono al Mostro. Nella realtà presente non c’è nessuno che possa sfidare seriamente il governo in carica con qualche possibilità di sostituirvisi. E tantomeno in caso di elezioni politiche anticipate: non si può governare senza affiancarsi, e in posizione di minoranza, a uno dei due mostri in questione. O governi con la Lega o governi coi grillini. Non c’è altra soluzione. Nella sua formidabile performance in cui sembra restaurato come la pellicola di un vecchio film, Berlusconi Settebellezze finge di essere ancora lui il leader del centro-destra con un’incrollabile fede in se stesso – un caso di sconfinata auto-ammirazione. Immagina che la Lega possa rientrare nell’ovile e farsi dirigere da lui, che a suo dire è la Mente, mentre loro sono le braccia o i piedi, personale di servizio o di locomozione.La sinistra fa ancora peggio: attacca il Mostro per antonomasia, Salvini, ma assicura che non si fidanzerà col Mostricciattolo, cioè l’alleato Di Maio. Dopo il voto magari ci sarà il distinguo: nessuna alleanza con Di Maio ma con un Figo, per esempio, sì. Ma intanto la loro fattura di morte sul governo, in che cosa concretamente si traduce? In un sogno proibito, che Berlusconi ha appena accennato, che Mattarella non ha mai pronunciato, e che la sinistra finge di non conoscere. Il sogno è Draghi. Mario Draghi, Sir Marius Drake per la letteratura globish. Al governatore della Bce scade il suo mandato a ottobre, e potrebbe diventare la carta da giocare da parte dell’Europa e delle forze d’opposizione anti-sovraniste d’Italia. Nessuno è così fesso e suicida da augurarsi di tornare alle urne con la probabilità di veder confermato a furor di popolo Salvini e la Lega come il primo leader e il primo partito d’Italia.Allora cosa si spera? Che grillini e leghisti non riescano a superare i malumori accumulati nella campagna elettorale e le palesi divergenze su quasi tutto, unite a una plateale insofferenza reciproca. E che si separino. Dall’altra parte l’Europa agiterà lo spettro del crollo italiano, e allora implorerà Draghi – o un suo succedaneo – di caricarsi del compito. Draghi è stato, va detto, un efficace presidente della Bce, a volte ha tolto le castagne dal fuoco e si è inventato qualche piano marshall finanziario per sostenere gli Stati e sorreggere le banche. Ma è omogeneo all’Establishment euro-globale da una vita. Continuiamo a ricordare il suo ruolo chiave ai tempi dello Yacht Britannia, quando l’Italia privatizzò e svendette i suoi gioielli su ordine dei superiori, sulla nave di Sua Maestà che batteva bandiera inglese. Ma quel che più spaventa è il film già visto. Un paese espropriato della sua sovranità, tramortito e spaventato a colpi di spread e di agenzie di rating, che si affida al grand commis delle istituzioni europee. Ieri Monti, domani Draghi. Mario I e Mario II, euroconcessionari di zona. E buonanotte ai populisti, ai sovranisti, agli elettori.Ipotesi probabile, possibile oppure no? Non ci azzardiamo a fare pronostici ma la furia distruttiva delle opposizioni, della sinistra in particolare, conduce a questa soluzione, con la benedizione di Mattarella. Noi lo abbiamo accennato giorni fa, poi abbiamo sentito e letto conferme in giro, abbiamo visto Berlusconi entusiasmarsi all’ipotesi Draghi e cercare di metterci su il cappello, ricordando che lo aveva mandato lui, non il suo governo, ma proprio lui, alla Banca Centrale Europea. Magari Draghi preferisce pensare al Quirinale o ad altro, vista la brutta fine del suo predecessore e omonimo, il bocconiano funesto Mario I, dei Monti di pietà. E dopo aver visto l’aborto di Cottarelli. A dir la verità, la ricetta grillina in economia, così velleitaria e così fallimentare, ci porta diritti a un governo tecnico tipo Draghi.A chi piace l’ipotesi Draghi, nulla da dire. Ma a chi questa ipotesi non piace o addirittura inquieta, a chi crede che sia un bene non negoziabile la sovranità popolare, nazionale e politica, rispetto al protettorato eurocratico, l’alternativa è chiara: o voti i sovranisti o voti tutti gli altri, della cooperativa Draghi. La scelta sovranista si traduce in primis in Salvini, il Nemico Assoluto e il Bersaglio Concentrico di questa folta truppa di poteri forti e alleati finti. O la Meloni, per chi crede utile votare sovranista ma favorire la caduta del governo coi grillini. A chi piace Drago Draghi e il suo codazzo, non resta che sperare in una vittoria mutilata dei sovranisti e in uno sfascio imminente del governo e del paese, per consentire l’arrivo del Soccorso Globale, voluto dall’Europa, dalla Sinistra, e a fasi alterne da Berlusconi. Chi detesta i grillini al governo ma non vuole arrendersi al Banco dei Pegni, non può che puntare sui sovranisti. Questa è la posta in gioco, Mostri contro Draghi.(Marcello Veneziani, “I Mostri di oggi, i Draghi di domani”, da “La Verità” del 26 maggio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.
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Magaldi: politica tribale, a fari spenti nella notte dell’Europa
Dove saremmo, oggi, se Zingaretti avesse imparato la lezione de “La notte della sinistra”, il lucidissimo saggio di Federico Rampini che spiega come proprio il centrosinistra abbia tradito i più deboli? E dove sarebbe lo stesso Di Maio, se avesse varato un vero reddito di cittadinanza, anziché distribuire (a pochi) quella penosa “tessera annonaria della povertà”, che gli stessi beneficiari si vergognano a esibire? Quanto a Salvini: è sicuro di sapere che farsene, dello squillante successo appena ottenuto alle europee? «Il 34% è un gran risultato, ma Renzi superò addirittura il 40%. Poi sparì dalla scena, in un attimo. E oggi tutto si muove ancora più in fretta». Il problema? «La politica è in preda a scontri di tipo tribale, fondati solo sull’appartenenza al proprio clan». Così si viaggia a fari spenti, lacerati e divisi, in un’Europa ancor meno amica dell’Italia: Ppe e Pse dovranno ricorrere a formazioni ultra-euriste (i liberali dell’Alde o i Verdi, neoliberisti pure loro) per neutralizzare la crescita, comunque insufficiente, dei cosiddetti sovranisti. Secondo Gioele Magaldi ci rimetterà l’Italia, tutta intera, grazie a partiti finora capaci solo di scannarsi, insultarsi e demonizzarsi a vicenda. Terranno conto, dunque, del duro monito che viene dalle consultazioni europee del 26 maggio?Per il presidente del Movimento Roosevelt, in campagna elettorale le forze in campo hanno dato una pessima prova di sé: il Pd ha puntato tutto sulla grottesca criminalizzazione della Lega, nemmeno fosse una reincarnazione del fascismo mussoliniano. Salvini, dal canto suo – persa la partita con Bruxelles sul deficit – se l’è presa coi negozietti di cannabis terapeutica, schierandosi coi più retrivi tradizionalisti (contro le famiglie gay) e agitando rosari e crocefissi nei comizi. «Per non parlare di Di Maio, la cui inadeguatezza come leader si è dimostrata lampante», dice Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Bel tomo, il portavoce dei grillini: prima flirta a Parigi coi Gilet Gialli irritando Macron, poi s’inchina alla Merkel (che proprio con Macron ha firmato il Trattato di Aquisgrana, celebrando lo strapotere nazionalistico dell’asse franco-tedesco, in barba allo spirito dell’Ue). Ma peggio: dall’alto dell’attuale 17% (un abisso: 6 milioni di voti persi per strada, in un anno), Di Maio «sarà contento dell’ipocrita crociata discriminatoria intrapresa contro i massoni», fingendo di non sapere che il governo gialloverde pullula di “grembiulini”. «E sarà contento di aver affossato Armando Siri, oggetto per ora di un semplice avviso di garanzia, facendo passare la Lega per una sorta di sentina del malaffare e agitando una pretesa moralità politica che, evidentemente, per i 5 Stelle viene prima della legge, della giustizia amministrata dallo Stato di diritto».Nella prima conferenza stampa post-elettorale, «irrisoria e propagandistica», Matteo Salvini ha fornito «un’irreale valutazione delle forze in campo in Europa». Poi in seconda battuta si è corretto, annunciando un impegno frontale sull’emergenza economica. Ma attenzione, avverte Magaldi: «Non è la prima volta che Salvini dice cose interessanti e poi, alla prova dei fatti, tutto si risolve in nulla». Il leader della Lega ha comunque annunciato di voler sfoderare in campo economico la stessa grinta finora esibita solo sul tema-immigrazione. Vuole dare un ruolo di rilievo a personaggi come Bagnai e Borghi, allo stesso Siri (Flat Tax) e ad Antonio Maria Rinaldi. La promessa: l’economia dev’essere al centro delle preoccupazioni della Lega nel governo italiano, guardando all’Europa. «Magari fosse così», commenta Magaldi. «Queste cose, comunque, le dovrebbero dire tutti, anche il Pd. Come sistema-paese, tutti dovrebbero essere più coesi nel rappresentare le esigenze del popolo italiano e del nostro territorio, che ha bisogno di ingenti investimenti per rilanciare l’occupazione. Tutto ciò accadrebbe, se davvero in Europa ci si preoccupasse della disoccupazione, del benessere dei popoli e della diminuzione delle disuguaglianze. Così non è stato, e così non è».Sulla carta, aggiunge Magaldi, le dichiarazioni di Salvini sono molto interessanti: «Sembra quasi che abbia ascoltato ciò che alla Lega andiamo dicendo da mesi, in pubblico e in privato. Cioè: a fare la differenza non sono gli atteggiamenti truci e smargiassi, ma l’impegno sui temi economici. E ripeto, vale anche per il Pd: non c’è speranza, per questo paese, senza un cambio di paradigma politico-economico». Se il neoliberismo resterà al potere – più tagli, più tasse – non cambierà proprio nulla, a Bruxelles. «Se però il Pse e lo stesso Pd ripartissero da Olof Palme, gigante della socialdemocrazia europea, rompendo con la “terza via” inaugurata dai vari Blair e Clinton, che ha prodotto solo rovine, allora persino il partito di Zingaretti avrebbe la chance di tornare a interpretare le esigenze di quel “popolo della sinistra” di cui parla benissimo il libro di Rampini, che racconta – senza sconti – quello che è stato il suicidio del centrosinistra mondiale, rispetto alla rappresentanza degli interessi degli ultimi. E’ ovvio che poi gli ultimi cerchino di essere rappresentati politicamente altrove, magari dai cosiddetti populisti». Ma il consenso non è per sempre, neppure in quel caso: lo racconta alla perfezione il crollo dei 5 Stelle, che in soli 12 mesi hanno dimezzato i loro voti. Motivo: «Il reddito di cittadinanza si è rivelato una presa in giro».Secondo Magaldi, un vero reddito universale – 500 euro a tutti, senza condizioni (con l’unico obbligo di spenderli, quei soldi) – sarebbe perfettamente sostenibile, perché farebbe volare i consumi, risollevando l’economia. I 5 Stelle pagano oggi in modo catastrofico la loro ambiguità, e sono anche riusciti a sabotare l’altro provvedimento anti-crisi – la Flat Tax – “gambizzando” il suo inventore, Armando Siri. Il Pd zingarettiano, dal canto suo, non ha ancora prounciato una sola parola di autocritica sull’infame tradimento della Seconda Repubblica, in cui il centosinistra – fino a Renzi e Gentiloni – ha svenduto i diritti sociali, dopo aver persino sostenuto il governo Monti e l’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione. Comodo, oggi, lamentarsi del successo di Salvini. Il quale, peraltro, non è ancora andato oltre i proclami, in materia economica. Cambierà qualcosa, dopo l’inutile bagarre elettorale delle europee? Solo ad un patto, dice Magaldi: che cessi la guerra per bande, di stampo tribale, che oppone i diversi partiti con toni più calcistici che politici. Sono soltanto alibi, per evitare di affrontare il vero problema: se non trovano il coraggio di sfidare il falso dogma del rigore, ancora di casa a Bruxelles, questi partiti consegneranno il paese al declino, alla rassegnazione più desolata di fronte a una crisi che sembra eterna.Dove saremmo, oggi, se Zingaretti avesse imparato la lezione de “La notte della sinistra”, il lucidissimo saggio di Federico Rampini che spiega come proprio il centrosinistra abbia tradito i più deboli? E dove sarebbe lo stesso Di Maio, se avesse varato un vero reddito di cittadinanza, anziché distribuire (a pochi) quella penosa “tessera annonaria della povertà”, che gli stessi beneficiari si vergognano a esibire? Quanto a Salvini: è sicuro di sapere che farsene, dello squillante successo appena ottenuto alle europee? «Il 34% è un gran risultato, ma Renzi superò addirittura il 40%. Poi sparì dalla scena, in un attimo. E oggi tutto si muove ancora più in fretta». Il problema? «La politica è in preda a scontri di tipo tribale, fondati solo sull’appartenenza al proprio clan». Così si viaggia a fari spenti, lacerati e divisi, in un’Europa ancor meno amica dell’Italia: Ppe e Pse dovranno ricorrere a formazioni ultra-euriste (i liberali dell’Alde o i Verdi, neoliberisti pure loro) per neutralizzare la crescita, comunque insufficiente, dei cosiddetti sovranisti. Secondo Gioele Magaldi ci rimetterà l’Italia, tutta intera, grazie a partiti finora capaci solo di scannarsi, insultarsi e demonizzarsi a vicenda. Terranno conto, dunque, del duro monito che viene dalle consultazioni europee del 26 maggio?
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L’inutile boom di Salvini: a Bruxelles resta al potere il rigore
«Meteor-Matteo, il cazzaro che vince le europee saturando i media, è una replica in saldo. Rispetto a Renzi nel ’14, Salvini ha 7 punti in meno, e calcolata l’astensione il suo 34% in realtà significa meno di 2 elettori su 10. Al tramonto però anche i nani proiettano lunghe ombre». Così Alessandra Daniele su “Carmilla” commenta l’esito – largamente atteso – delle europee: la Lega sopra il 34% e il Pd che risale al 22,7 sorpassando i grillini, franati fino al 17%. «Il rovinoso crollo grillino è una replica renziana in fast-forward: in meno d’un anno di governo, il Movimento 5 Stelle Spente ha già perduto metà degli elettori». La primissima esperienza politico-mediatica di Beppe Grillo, ricorda la Daniele, fu commentare da comico una maratona elettorale nei primi anni ’80 dell’ascesa di Craxi. «Ieri sera, nessuno dei grillini ha avuto il coraggio di apparire davanti alle telecamere per commentare il suicidio di massa che hanno compiuto favorendo l’ascesa di Salvini. Il cerchio s’è chiuso». E Zingaretti? «Ha esultato molto più di quanto il misero recupero del suo partito lo autorizzasse a fare», specie dopo aver candidato “frontman” come Giuliano Pisapia e Carlo Calenda, campioni di grigiore assoluto.Osserva ancora Alessandra Daniele: «Il Pd festeggia perché Salvini è il nemico ideale, contro il quale spera di ri-mobilitare a suo vantaggio quell’union sacrée orfana dell’antiberlusconismo di facciata, e quegli antifascisti a progetto che oggi fingono di non accorgersi che Salvini non è che la continuazione della dottrina Minniti con gli stessi mezzi», al netto di qualche “sceneggiata”. «Intanto l’élite Ue si prepara ancora una volta ad ammortizzare e neutralizzare le ambivalenti spinte al cambiamento espresse dagli elettori in tutti i paesi europei». In realtà i “sovranisti” come Orban e Marine Le Pen sono soltanto «meteore», destinate a brillare solo per un attimo, «per poi inabissarsi nella palude degli affari comuni». Lo conferma Gianni Rosini sul “Fatto Quotidiano”: sarà ancora il medesimo blocco di potere – popolari e socialisti, con in più i liberali – a gestire la farsa post-democratica delle istituzioni europee: a controllare Strasburgo sarà sempre l’alleanza trasversale che finora ha imposto le peggiori politiche di rigore. «Il successo dei partiti conservatori, euroscettici e nazionalisti c’è stato rispetto al 2014, ma non basta per pensare a un’apertura del Ppe a destra, come auspicato da Forza Italia e da Silvio Berlusconi».«Sarà quindi, con tutta probabilità, un’alleanza al centro – scrive il “Fatto” – quella che guiderà la nuova Unione. Nemmeno un’uscita di Orban dal Ppe, oggi sempre più improbabile, metterebbe in discussione la grande coalizione a tre». Aggiunge Sergio Luciano sul “Sussidiario”: «Le Pen e Farage in un simile quadro continueranno a essere attori comprimari ma irrilevanti. Quindi è impensabile, in queste condizioni, che la filiera decisionale, peraltro lunga e lenta, che da Strasburgo arriverà a fine anno alla Commissione Europea e in qualche modo anche alla Bce possa strizzare l’occhio alla manica larga necessaria al Capitano per fare una finanziaria con il deficit al 3,5 o al 4%». La Flat Tax, continua Luciano, pur essendo una formula cara ai paesi “sovranisti” teoricamente vicini alla Lega («ma in pratica vicini solo a se stessi, se no che sovranisti sarebbero?»), in realtà determina nell’immediato un calo del gettito che l’Italia «non è assolutamente in grado di fronteggiare, esponendo in bilancio la previsione di entrate compensative: come potrà mai, il Capitano, ottenere la luce verde europea su una misura simile?». E come potrà essere confermata “quota 100”, allo scadere dei due anni di test, «in un’Europa che non avrà nel frattempo rivisto il totem del 3% di rapporto massimo deficit/Pil?».«Meteor-Matteo, il cazzaro che vince le europee saturando i media, è una replica in saldo. Rispetto a Renzi nel ’14, Salvini ha 7 punti in meno, e calcolata l’astensione il suo 34% in realtà significa meno di 2 elettori su 10. Al tramonto però anche i nani proiettano lunghe ombre». Così Alessandra Daniele su “Carmilla” commenta l’esito – largamente atteso – delle europee: la Lega sopra il 34% e il Pd che risale al 22,7 sorpassando i grillini, franati fino al 17%. «Il rovinoso crollo grillino è una replica renziana in fast-forward: in meno d’un anno di governo, il Movimento 5 Stelle Spente ha già perduto metà degli elettori». La primissima esperienza politico-mediatica di Beppe Grillo, ricorda la Daniele, fu commentare da comico una maratona elettorale nei primi anni ’80 dell’ascesa di Craxi. «Ieri sera, nessuno dei grillini ha avuto il coraggio di apparire davanti alle telecamere per commentare il suicidio di massa che hanno compiuto favorendo l’ascesa di Salvini. Il cerchio s’è chiuso». E Zingaretti? «Ha esultato molto più di quanto il misero recupero del suo partito lo autorizzasse a fare», specie dopo aver candidato “frontman” come Giuliano Pisapia e Carlo Calenda, campioni di grigiore assoluto.
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Carpeoro: ma con questi politici, l’Italia resterà sottomessa
Alla vigilia delle elezioni europee hanno azionato una tenaglia attorno a Salvini. Esempio: la nave Sea Watch. Salvini non voleva che entrasse nel porto, invece c’è entrata. Come? Grazie alla magistratura, che l’ha sequestrata. Quindi l’ha fatta attraccare e ha fatto esattamente quello che Salvini non voleva: ha fatto sbarcare i migranti. Poi vedrete che l’inchiesta verrà archiviata, ma intanto Salvini è stato beffato. E faranno sbarcare tutti i migranti in questo modo: ormai hanno capito come fare. Ogni volta che Salvini dirà “questa nave non entra”, la magistratura la sequestrerà e farà sbarcare i migranti. Ormai hanno trovato il trucco. Ma vi pare che le cose si possano fare così? D’altro canto, Salvini ha commesso i suoi errori. Questi politici hanno tutti lo stesso difetto: mettono le ambizioni al di sopra del progetto. Salvini pensa di prendere i voti solo con il culto della personalità. E questo in Italia funziona, ma solo a breve termine. Funziona per chi vuole vincerne una sola, di elezione. Chi vuole vincerne tante, invece, deve fare operazioni a lungo termine. Peraltro, in Italia, nell’immediato non si può fare più niente. Siamo talmente “imbalsamati” che gli obiettivi immediati ce li dobbiamo scordare. Dobbiamo capire tutti che ci tocca versare lacrime e sangue: fare fatica, facendo le cose giuste, però – perché adesso abbiamo lacrime, sangue e fatica ma facendo le cose sbagliate.Bisogna avere il coraggio di dire, agli italiani: “Io sono a lungo termine; se pretendete da me gli 80 euro il mese prossimo, rivolgetevi a qualcun altro”. Se poi gli italiani preferiscono così… Ma in questo modo il “qualcun altro” dura solo un giro, come Renzi. Nel frattempo restiamo sottomessi ai diktat del regime politico-finanziario europeo? L’Italia non deve contestare l’Europa, deve contestare il modo in cui è stata rappresentata la sua situazione economica. Il nostro paese ha il patrimonio artistico più grande del mondo, che non viene minimamente valutato. Gli altri, nei bilanci mettono finanche le noccioline; e noi non possiamo mettere a bilancio il nostro patrimonio artistico? Non è un bene? Non è un valore? Non è un patrimonio? Se io a casa ho un Renoir, nella dichiarazione dei redditi lo devo indicare. Invece lo Stato, nella “dichiarazione dei redditi” che fa per l’Europa, non ci può mettere il Colosseo. Se noi ottenessimo la revisione dei parametri economici – per un discorso di verità, non di bugia – possono garantire che il debito pubblico verrebbe azzerato. Gli stessi trattati europei non escludono neppure che, nel proprio patrimonio, si possano indicare dei beni di cui effettivamente si dispone. Non si tratta di rivedere le leggi, ma solo di dire la verità: di fare cioè delle dichiarazioni patrimoniali veritiere.Non osiamo farci valere: dipende dalla scarsa personalità dei nostri politici? Sono ricattabili, i politici italiani: tutti. Quindi, nel momento in cui alzano la voce, qualcuno gli telefona e gli dice: attenti, che in archivio ho un dossier, su di voi. Chi ha i dossier? I vari Attali, i vari Ledeen. Quali interessi difendono? I loro. Sono interessi anche personali: secondo voi questi personaggi chiedono la carità all’angolo della chiesa? Lavorano per banche, fondazioni finanziarie: tutte cose che hanno creato loro, che gestiscono loro, che manipolano loro. Le banche e gli organismi finanziari sono cose neutre, astratte: tutto dipende da chi li governa, da come li gestisce. E’ quello che intendo, quando parlo di “sovragestione”. Sarebbe un danno, per loro, se l’Italia potesse riscattarsi? No, non sarebbe un danno. Hanno semplicemente interesse a speculare sulle disgrazie: e quelle dell’Italia sono ottime, per specularci. Ma è solo una questione di guadagno: non hanno niente, contro l’Italia. Vorrei confortare tutti quanti: non c’è un odio verso il nostro paese. E’ come con la Grecia: nel momento in cui c’è la disgrazia, ci si specula sopra. Così funzionano, i pescecani. E la nostra disgrazia consiste nel fatto che, a suo tempo, non abbiamo rivendicato il nostro reale assetto economico e patrimoniale. Responsabilità di chi sedette al tavolo delle trattative per conto dell’Italia: è chiaro che la partita la perdi, se non cali i tuoi assi.Per contro, a quel tavolo non potevamo non sederci. Se fossimo rimasti fuori dal club europeo avrebbero strangolato la lira in modo inimmaginabile – come infatti stava già accadendo prima ancora dell’euro: don lo Sme e con la grande speculazione, la lira si sarebbe trasformata in una moneta ridicola. Mi si fa notare che un paese come la Corea del Sud è rimasto felicemente indipendente? Certo, ma in quel caso non hanno fatto l’Unione Asiatica: lì non c’è quel tipo di connessione finanziaria e di sovragestione che c’è da noi. Nel nostro caso, la sovragestione finanziaria esisteva già – prima ancora della creazione dell’Unione Europea. La grande speculazione c’era, eccome. La sterlina non è stata affatto strangolata? Certo, perché ha un impero suo: si chiama Commonwealth. Ha risorse, mercati e vie d’uscita enormi. Per questo la Gran Bretagna è stata costretta a uscire, dall’Ue: stava perdendo il Commonwealth. Ci sarà il boom del Brexit Party? Ormai in Inghilterra non si capisce più niente. Comunque il Regno Unito può andare dove vuole, tanto non va da nessuna parte, oggi. Se l’Europa fosse un organismo intelligente, darebbe all’Inghilterra una moratoria di 10 anni. Le direbbe: “Fa’ quello che vuoi. Esci, resta”. Invece di strangolarla, le dovrebbe dire: “Hai dieci anni di tempo, per decidere quello che vuoi fare”. Ma l’Europa non è un organismo intelligente.Ora si contestano anche le radici cristiane dell’Europa. Ma qualcuno può negare che il Cristianesimo faccia parte della storia europea? Fino al 100 dopo Cristo era un soggetto estraneo, limitato a una tradizione mediorientale. Poi ha fatto irruzione in Occidente – come anche il mitraismo e il sincretismo alessandrino, che univa le religioni greca, egizia e mitraica. C’erano tante influenze, perché ormai l’Impero Romano era una entità internazionale: c’era stata una specie di globalizzazione, e quindi è arrivato anche il Cristianesimo. Il problema? Aveva successo. Nei primi tre secoli del primo millennio era diventato, nell’Impero Romano, la religione maggioritaria. Al punto che Costantino fiutò la possibilità di farne una base solida del proprio potere imperiale, e così lo dichiarò religione di Stato. E dire che i cristiani erano stati perseguitati anche sanguinosamente, da imperatori come Traiano. Il guaio è che, una volta diventato religione di Stato, il Cristianesimo ha preso tutti i vizi del potere. Nella sua dimensione strutturale (che prima non aveva) si è plasmato proprio sul potere imperiale. E questa crescita – compresa questa sorta di tara – si è poi trasferita, pari pari, da impero a impero: dall’Impero Romano, poi sgretolato dalle invasioni, al risorgente Sacro Romano Impero.Il Sacro Romano Impero si fondava sul Cristianesimo: era il suo pilastro, tant’è vero che tutti gli imperatori venivano incoronati dal Papa (salvo momenti di frizione e conflitto per il potere materiale). Proprio il Sacro Romano Impero ci ha accompagnato direttamente fino alle porte dell’umanesimo e del Rinascimento. E cosa ha trasferito, fino ai giorni nostri? La trazione franco-germanica: comandavano francesi e tedeschi, esattamente come oggi. Questa è la vera radice europea. La storia ha una grande forza: esiste anche per chi non la riconosce. Contestare le radici cristiane dell’Europa (che non sono le uniche) è sbagliato. E’ un passaggio retorico, ma comunque irrilevante: perché alla fine la verità è che, oggi come allora, comandano i francesi e i tedeschi (a prescindere dalle istituzioni formali europee). Certo, la ricostruzione della storia non è facile, e spesso non è così veritiera. Abbiamo esempi anche recenti: una certa retorica vuole che l’Italia sia stata liberata dai partigiani, ma – se non fossero sbarcati gli americani – qui si girerebbe ancora con l’orbace.I partigiani sono stati il simbolo della reazione di una parte nobile del popolo, ma in pratica – piaccia o meno – l’Italia è stata liberata dagli americani. Si può discutere anche sul concetto di “liberazione”, certo. Ma resta il fatto che l’Italia, da sola, non si sarebbe liberata del fascismo. Americani o russi, non importa: qualcuno, da fuori, doveva intervenire. Liberata e rioccupata? Normale: la penisola è sempre stata occupata. E’ come il cesso della stazione, l’Italia: non lo trovi mai libero. Ma siamo noi che ci facciamo occupare. Non l’abbiamo difeso in niente, il nostro paese. Non abbiamo il senso dello Stato, ci manca il senso della nazione. Seguiamo poco persino la nazionale di calcio, perché non è divisiva: preferiamo le squadre di club, perché siamo campanilisti. Qualcuno si domanda perché Napoleone spogliò l’Italia di tanta arte: era il prezzo da pagare per il supporto dei francesi contro l’Impero Austro-Ungarico? Ma tutti quelli che sono venuti in Italia hanno spogliato il nostro paese. Ben prima di Napoleone, il Re di Francia (Francesco I) si portò via Leonardo: non si prese soltanto l’arte, ma pure l’artista.Alla vigilia delle elezioni europee hanno azionato una tenaglia attorno a Salvini. Esempio: la nave Sea Watch. Salvini non voleva che entrasse nel porto, invece c’è entrata. Come? Grazie alla magistratura, che l’ha sequestrata. Quindi l’ha fatta attraccare e ha fatto esattamente quello che Salvini non voleva: ha fatto sbarcare i migranti. Poi vedrete che l’inchiesta verrà archiviata, ma intanto Salvini è stato beffato. E faranno sbarcare tutti i migranti in questo modo: ormai hanno capito come fare. Ogni volta che Salvini dirà “questa nave non entra”, la magistratura la sequestrerà e farà sbarcare i migranti. Ormai hanno trovato il trucco. Ma vi pare che le cose si possano fare così? D’altro canto, Salvini ha commesso i suoi errori. Questi politici hanno tutti lo stesso difetto: mettono le ambizioni al di sopra del progetto. Salvini pensa di prendere i voti solo con il culto della personalità. E questo in Italia funziona, ma solo a breve termine. Funziona per chi vuole vincerne una sola, di elezione. Chi vuole vincerne tante, invece, deve fare operazioni a lungo termine. Peraltro, in Italia, nell’immediato non si può fare più niente. Siamo talmente “imbalsamati” che gli obiettivi immediati ce li dobbiamo scordare. Dobbiamo capire tutti che ci tocca versare lacrime e sangue: fare fatica, facendo le cose giuste, però – perché adesso abbiamo lacrime, sangue e fatica ma facendo le cose sbagliate.
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Onu e Ocse: un mondo di migranti. Saremo tutti più poveri
«La migrazione può essere utile per tutti nella costruzione di società più inclusive e sostenibili. Globalmente, il numero di migranti internazionali ha raggiunto circa 258 milioni nel 2017, rispetto ai 173 milioni del 2000. La migrazione contribuisce alla crescita e allo sviluppo economico inclusivo e sostenibile sia nei paesi di origine che di destinazione. Nel 2017, i flussi di rimesse verso paesi a basso e medio reddito hanno raggiunto i 466 miliardi di dollari, oltre tre volte l’importo di Aps (Aiuti pubblici allo sviluppo) ricevuto nello stesso anno. Le rimesse costituiscono una fonte significativa del reddito familiare, migliorando la situazione delle famiglie e delle comunità attraverso investimenti in educazione, sanità, servizi igienico-sanitari, alloggi e infrastrutture. Anche i paesi di destinazione ne traggono beneficio, poiché i migranti spesso colmano le lacune del lavoro, creano posti di lavoro come imprenditori e pagano tasse e contributi di sicurezza sociale. Superando le avversità, molti migranti diventano i membri più dinamici della società, contribuendo allo sviluppo della scienza e della tecnologia e arricchendo le loro comunità di accoglienza attraverso la diversità culturale». E’ quanto si legge nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, a firma del cinese Liu Zhenmin, sottosegretario generale per gli affari economici e sociali Onu.Dunque, rispetto al 2000 le persone che hanno lasciato il proprio paese di nascita e ora vivono in altre nazioni sono aumentate di circa il 50% per cento (il 49% per l’esattezza) con un trend di continua crescita. Al di là dei toni ottimistici e irrealistici usati nel documento programmatico, possiamo estrapolare il presunto modello economico di sviluppo sostenuto dai fautori delle attuali migrazioni, che, a differenza di quelle passate, hanno raggiunto livelli massivi e seguono nuove direttrici. A innescare un ipotizzato circolo virtuoso di crescita sarebbero da un lato l’offerta da parte dei migranti di forza lavoro per richieste non soddisfatte da parte dei lavoratori locali, dell’altro il flusso di denaro inviato ai paesi di origine, che verrebbe utilizzato non solo per alleviare la povertà familiare, ma per investimenti produttivi nel tessuto economico nazionale. Un modello virtuoso e foriero di crescita, accompagnato da una convivenza felice, quasi simbiotica, tra migranti e cittadini dei paesi d’accoglienza. La realtà, purtroppo, si rivela tutt’altra e, come spesso accade in economia, non rispetta le condizioni ideali (o forse idealistiche) dei modelli adottati. Gran parte dei paesi di destinazione dei flussi migratori si trova a far fronte a una situazione di crisi duratura, che ha un notevole impatto sul lato della domanda e dell’occupazione.Inoltre, a fronte di un sistema di produzione sempre più automatizzato, la domanda di lavoro, soprattutto per profili non qualificati, è sempre più contratta. A seguito di un processo di iperglobalizzazione non governata, che in Europa ha trovato massima espressione nell’Eurozona, cresce la concorrenza tra lavoratori, mentre i salari e i diritti del lavoro sono in continuo ribasso. Non deve quindi stupirci se, in una simile contingenza, i flussi massivi di immigrati vadano a ingrossare la schiera dei disoccupati locali. Per quanto riguarda invece le rimesse, è provato come esse, che pure sono molto consistenti e in continua crescita, vengano utilizzate, soprattutto nel caso dell’Africa, per consumi primari da parte delle famiglie. In un continente dove permane l’ingerenza da parte di potenze (ex?) coloniali – come la Francia – e postcoloniali – come la Cina – le opportunità di investimento sono alquanto limitate, considerata la ricetta letale neoliberista imposta da decenni dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale (cfr “I coloni dell’austerity – Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”). In compenso, però, le rimesse rappresentano un business fiorente per le agenzie di trasferimento di denaro, che per quello inviato in Africa, ad esempio, applicano commissioni che arrivano al 10%.Dunque la situazione idilliaca di cui parla l’Onu non solo non esiste, ma è assolutamente irrealizzabile date le attuali condizioni dell’economia mondiale, destinate peraltro ad aggravarsi. Eppure lo stesso entusiasmo per i flussi migratori proviene da un’altra organizzazione internazionale, l’Ocse, che in un suo documento, “Le sfide politiche per i prossimi 50 anni” (2014), auspica che l’Europa e gli Stati Uniti accolgano da qui al 2060 la considerevole cifra di 50 milioni di migranti per soddisfare le richieste di forza lavoro necessaria (di nuovo!). Nello stesso documento l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo prospetta gli scenari economici futuri. Da qui al 2060, la crescita mondiale considerata a livello aggregato, ossia di paesi Ocse (nei quali rientrano le cosiddette economie occidentali) e non Ocse, subirà un rallentamento e si attesterà a livelli di gran lunga inferiori a quelli pre-crisi. Gli scenari previsti dagli economisti per il mercato del lavoro sono piuttosto drammatici. Essendo il modello economico futuro sempre più “technology oriented”, l’automazione ridurrà la domanda di lavoratori mediamente qualificati, mentre sopravviveranno quelli ad alto e basso livello di qualifica e responsabilità, cui corrisponde un correlato livello di salario.Ne conseguirà un inevitabile e inarrestabile aumento del tasso di disuguaglianza della popolazione: è il fenomeno già in atto della distruzione del ceto medio, elemento fondante e prerogativa del benessere delle economie occidentali. Su scala mondiale il livello di disuguaglianza (indice di Gini) da qui al 2060, mantenendo inalterato l’attuale modello economico, potrebbe riscontrare, secondo gli studi condotti, un’impennata addirittura del 40%. Dunque l’attuale e fallimentare modello economico che si vuole continuare ad applicare, di cui i flussi migratori sono un elemento portante, arrecherà un aumento della povertà e della disuguaglianza, per dimostrazione degli stessi suoi fautori. Tuttavia si persevera con miopia e ostinazione masochistica a somministrare la medesima letale ricetta a un paziente morente, intrappolati ormai nella logica neoliberista del Tina (“there is no alternative”). Eppure non solo esistono alternative, ma quella attuale è la peggiore tra le possibili. E’ giunta l’ora di cambiare rotta, e anche condottieri!(Ilaria Bifarini, “Un mondo di migranti: la ricetta che piace alle organizzazioni internazionali”, dal blog della Bifarini del 13 maggio 2019).«La migrazione può essere utile per tutti nella costruzione di società più inclusive e sostenibili. Globalmente, il numero di migranti internazionali ha raggiunto circa 258 milioni nel 2017, rispetto ai 173 milioni del 2000. La migrazione contribuisce alla crescita e allo sviluppo economico inclusivo e sostenibile sia nei paesi di origine che di destinazione. Nel 2017, i flussi di rimesse verso paesi a basso e medio reddito hanno raggiunto i 466 miliardi di dollari, oltre tre volte l’importo di Aps (Aiuti pubblici allo sviluppo) ricevuto nello stesso anno. Le rimesse costituiscono una fonte significativa del reddito familiare, migliorando la situazione delle famiglie e delle comunità attraverso investimenti in educazione, sanità, servizi igienico-sanitari, alloggi e infrastrutture. Anche i paesi di destinazione ne traggono beneficio, poiché i migranti spesso colmano le lacune del lavoro, creano posti di lavoro come imprenditori e pagano tasse e contributi di sicurezza sociale. Superando le avversità, molti migranti diventano i membri più dinamici della società, contribuendo allo sviluppo della scienza e della tecnologia e arricchendo le loro comunità di accoglienza attraverso la diversità culturale». E’ quanto si legge nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, a firma del cinese Liu Zhenmin, sottosegretario generale per gli affari economici e sociali Onu.
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Perché a Di Maio conviene mollare Salvini per Zingaretti
«Previsione flash: il Movimento 5 Dtelle e il Pd governeranno il paese. E lo faranno grazie alla strategia di Zingaretti e Di Maio che, pur diversissimi, avranno a breve l’occasione per un riscatto in termini di consenso». L’occasione, scrive Massimo Bordin su “Micidial”, sarà servita su un piatto d’argento proprio dalla Lega, «che non ha idee economiche degne di nota e che ha messo Borghi e Bagnai nell’angolino del Parlamento». Com’è risaputo, infatti, la strategia di Salvini «si è concentrata sui temi caldi come migrazione e sicurezza». Ma questi «non sono temi commestibili», e dopo un po’ di “divertimento” mediatico «la questione economica verrà a galla». Ovvero: «Prima di trastullarsi con barconi e ladri d’appartamento, la gggènte deve pur magnà». Secondo Bordin, «il bubbone non è ancora scoppiato perchè l’Italia galleggia sugli zero virgola (in su o in giù) da diversi anni», vivacchiando in qualche modo. «Con Renzi si è avuto qualche “più” minuscolo del Pil», davvero poca cosa, e quindi «la vita degli italiani – tra salari immobili e precariato – non è cambiata una cippa. Idem con il duo Conte-Tria». Riassumendo: «Il paese se n’era uscito massacrato dalla crisi del 2008 e dalle pressioni ordoliberiste sul debito pubblico, ma diciamo pure che dal 2014 ha galleggiato senza affogare». Eppure «non durerà», profetizza Bordin.A meno che la Ue non subisca una vera inversione di marcia (assai improbabile, peraltro) a seguito delle elezioni europee – aggiunge il blogger – l’Italia «si troverà presto in difficoltà come nel 2008», perché nel frattempo «non ha creato denaro tramite le banche, non ha monetizzato il debito per colpa dei “niet” della Banca Centrale di Francoforte», e in più «i suoi istituti di credito locali sono impossibilitati a prestare soldi (creandoli…) alle imprese del territorio». Di fatto, «la contrazione del credito si sta facendo sempre più pesante, anno dopo anno». Ragiona Bordin: è ipotizzabile che la Lega esca vincitrice alle elezioni europee, anche se non è detto che ciò accadrà con le cifre astronomiche dei sondaggi. In tal caso, «Di Maio dovrà subire un rimaneggiamento al governo, ma potrà così permettersi un profilo più polemico verso il suo partner». Aggiunge “Micidial”: «Se la Lega ai tempi di Bossi poteva fare il partito di lotta e di governo, ora questo ruolo potrà essere finalmente ricoperto dal Movimento 5 stelle, visto che le redini del governo passeranno in modo deciso alla Lega e con esse le principali responsabilità in termini di risultato».Con la recessione, però, secondo Bordin gli italiani cambieranno radicalmente idea “partitica”, cosa che ormai «fanno peraltro con una certa frequenza». E quello sarà il momento di Luigi Di Maio, che potrà affrancarsi da Salvini e avvicinarsi al Pd. «L’ex partito di centro (ora è di destra) guidato da Zingaretti non aspetta altro dai tempi della scomparsa di Renzi». Fantasie? Allucinazioni? Suggestioni? Mica tanto: l’ambiguità della dirigenza pentastellata emerge ogni giorno di più, aggravando il bilancio politico di un governo che – neppure sul fronte leghista – ha avuto il coraggio di sfidare Bruxelles nell’unico modo possibile, cioè difendendo a oltranza l’aumento del deficit (magari ben oltre il misero 2,4% inizialmente proposto) ed emettendo moneta statale parallela, non a debito, per tamponare le falle – meglio, i crateri – della disoccupazione dilagante. Unico merito dei gialloverdi: aver almeno denunciato il problema, nei primi mesi. Se però Salvini “abbaia, ma non morde” (e Di Maio lo abbandona, sfilandosi), niente di più facile che i poteri che “sovragestiscono” l’Italia pensino a un comodo inciucio tra grillini e Pd, rassicurante per Bruxelles, magari sotto l’egida di un super-commissario come Draghi.«Previsione flash: il Movimento 5 Dtelle e il Pd governeranno il paese. E lo faranno grazie alla strategia di Zingaretti e Di Maio che, pur diversissimi, avranno a breve l’occasione per un riscatto in termini di consenso». L’occasione, scrive Massimo Bordin su “Micidial”, sarà servita su un piatto d’argento proprio dalla Lega, «che non ha idee economiche degne di nota e che ha messo Borghi e Bagnai nell’angolino del Parlamento». Com’è risaputo, infatti, la strategia di Salvini «si è concentrata sui temi caldi come migrazione e sicurezza». Ma questi «non sono temi commestibili», e dopo un po’ di “divertimento” mediatico «la questione economica verrà a galla». Ovvero: «Prima di trastullarsi con barconi e ladri d’appartamento, la gggènte deve pur magnà». Secondo Bordin, «il bubbone non è ancora scoppiato perchè l’Italia galleggia sugli zero virgola (in su o in giù) da diversi anni», vivacchiando in qualche modo. «Con Renzi si è avuto qualche “più” minuscolo del Pil», davvero poca cosa, e quindi «la vita degli italiani – tra salari immobili e precariato – non è cambiata una cippa. Idem con il duo Conte-Tria». Riassumendo: «Il paese se n’era uscito massacrato dalla crisi del 2008 e dalle pressioni ordoliberiste sul debito pubblico, ma diciamo pure che dal 2014 ha galleggiato senza affogare». Eppure «non durerà», profetizza Bordin.
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L’Italia affonda e la Chiesa gareggia in ricchezza con gli Usa
Non si sono ancora sopite le polemiche per la decisione dell’elemosiniere del Papa di pagare l’elettricità di un palazzo occupato a Roma. Secondo una parte consistente dei commentatori politici, la decisione avrebbe chiari intenti polemici nei confronti dello Stato italiano ed anche di Matteo Salvini («pagherò le bollette arretrate degli inquilini e anche quelle del ministro», ha ironizzato l’elemosiniere del Pontefice). Insomma, dietro il pagamento di una bolletta, più che l’intento evangelico ci sarebbe quello politico. Papa Bergoglio sarebbe anche intenzionato non a punire, bensì a premiare il cardinale elemosiniere Krajewski conferendogli un ministero. Con la fine del potere universale della Chiesa cattolica nel medioevo, il papato ha inaugurato una nuova serie di sfide con le organizzazioni statali. La Chiesa è sopravvissuta, ma ha anche sempre sonoramente perso queste sfide, ridimensionandosi territorialmente fino a diventare lo Stato sovrano più piccolo del mondo. Tra le tante dispute, è degna di riflessione quella tra la Chiesa romana del Cinquecento e il Re d’Inghilterra, perché ripensarla oggi nei rapporti Stato italiano/Città del Vaticano potrebbe aiutare non poco a capire come “altri” risolsero il problema del debito pubblico.Come molti ricorderanno dagli insegnamenti scolastici, l’allora sovrano d’Inghilterra Enrico VIII pronunciò l’atto di supremazia sul cattolicesimo perché le alte sfere pontificie non accettarono il divorzio tra il Re e la sua consorte Caterina d’Aragona. Non si trattò di uno scisma teologico e dottrinale, dunque, ma di una disputa personale del Re con il Papa ed il suo cardinale di riferimento, Reginald Pole. Quel che non viene mai detto con sufficiente enfasi, invece, è che la disputa tra le due organizzazioni consentì all’Inghilterra di sanare il proprio debito pubblico. La dissoluzione dei monasteri, infatti, fu un processo che dal 1536 al 1540 permise ad Enrico VIII di confiscare le proprietà della Chiesa cattolica nell’isola. Grazie al possesso dei terreni d’Oltremanica, infatti, la Chiesa vantava entrate 3 volte maggiori rispetto a quelle dello Stato. A ben guardare, il ricavato delle vendite dei monasteri e dei terreni fu piuttosto deludente rispetto alle aspettative iniziali, ma consentì comunque all’Inghilterra di avere meno problemi economici di altri Stati in quell’epoca.Tornando all’attualità, e come si può ben immaginare, la Chiesa cattolica possiede, in Italia e fuori dal Belpaese, immobili che per quantità e qualità farebbero impallidire 100 confische di Enrico VIII. Il 20 per cento del patrimonio immobiliare italiano è in mano alla Chiesa, ma se calcoliamo anche quanto c’è fuori dai confini italiani, il papato può contare sullo stesso numero di ospedali, scuole e università di un gigante come gli Stati Uniti d’America. A Roma, città dai prezzi esorbitanti al metro quadro, un quarto degli immobili presenti è di proprietà del Vaticano. Secondo studi del “Sole 24 Ore”, solo in Italia, la Chiesa possiederebbe beni per miliardi di euro; e contando anche ciò che il Papa possiede fuori dall’Italia, la cifra supera i 2.000 miliardi solo di immobili. Va anche ricordato, a tal proposito, che la Città del Vaticano è una monarchia assoluta, una delle pochissime rimaste al mondo assieme al Brunei, all’Oman, agli Emirati Arabi e all’Arabia Saudita, e che il Papa – personalmente – risulta anche il proprietario “in solido” dei beni citati. In questo veloce conteggio, sono ovviamente esclusi conti bancari, depositi vari e oro, la cui consistenza è avvolta nel più assoluto mistero.Stiamo forse dicendo che sarebbe bene confiscare le proprietà della Chiesa? Non diamo nessuna valutazione, ma non sarebbe la prima volta che uno Stato lo fa a seguito di ingerenze politiche di stampo teocratico. Oltre ad Enrico VIII ci furono anche i francesi nel periodo della Rivoluzione, che dopo la Costituzione Civile del Clero provvidero ad assegnare ai cittadini i beni ecclesiastici presenti in Francia. Inoltre, che ci fosse bisogno di andare d’accordo col clero fu un’idea del Duce, che nel 1929 sottoscritte i Patti Lateranensi; ma i grandi protagonisti risorgimentali – Mazzini, Garibaldi, Cavour e i liberali che governarono l’Italia per più di sessantanni dopo l’Unità – non fecero concordati con la Chiesa e governarono tranquillamente il paese anche senza avere la simpatia e il consenso del Papa di turno.(Massimo Bordin, “Viene da Enrico VIII d’Inghilterra la soluzione per il debito pubblico italiano”, dal blog “Micidial” del 14 maggio 2019).Non si sono ancora sopite le polemiche per la decisione dell’elemosiniere del Papa di pagare l’elettricità di un palazzo occupato a Roma. Secondo una parte consistente dei commentatori politici, la decisione avrebbe chiari intenti polemici nei confronti dello Stato italiano ed anche di Matteo Salvini («pagherò le bollette arretrate degli inquilini e anche quelle del ministro», ha ironizzato l’elemosiniere del Pontefice). Insomma, dietro il pagamento di una bolletta, più che l’intento evangelico ci sarebbe quello politico. Papa Bergoglio sarebbe anche intenzionato non a punire, bensì a premiare il cardinale elemosiniere Krajewski conferendogli un ministero. Con la fine del potere universale della Chiesa cattolica nel medioevo, il papato ha inaugurato una nuova serie di sfide con le organizzazioni statali. La Chiesa è sopravvissuta, ma ha anche sempre sonoramente perso queste sfide, ridimensionandosi territorialmente fino a diventare lo Stato sovrano più piccolo del mondo. Tra le tante dispute, è degna di riflessione quella tra la Chiesa romana del Cinquecento e il Re d’Inghilterra, perché ripensarla oggi nei rapporti Stato italiano/Città del Vaticano potrebbe aiutare non poco a capire come “altri” risolsero il problema del debito pubblico.
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Feltrinelli espelle Altaforte: la vergogna di Torino continua
Che spiegazione dare dell’incidente del Salone del Libro di Torino, dove la casa editrice Altaforte è stata esclusa perché ritenuta vicina a CasaPound, movimento peraltro considerato perfettamente legale? Io sono un militante di CasaPound, e non l’ho mai nascosto. Altaforte invece è indipendente da CasaPound. E’ talmente indipendente da pubblicare un libro-intervista del ministro dell’interno Salvini, che di fatto è uno dei principali competitor del movimento. Per questo ho vissuto un conflitto personale. Poi mi sono arreso, perché comunque una casa editrice deve provare a fare anche delle provocazioni culturali. Questa poi non è nemmeno una provocazione, è solo un’intervista all’uomo più in vista del momento. E dato che la casa editrice si definisce sovranista, è chiaro che ha cercato di coinvolgere l’uomo che in questo momento sta portando in auge proprio questo tema. Le spiegazioni che mi sono dato, purtroppo, sono legate anche ai numeri del Salone del Libro: nel 2015 la rassegna torinese contata 300.000 ingressi. Poi c’è stato un lento decadimento: fino ad arrivare al 2019, quando ha perso più della metà dei visitatori (in soli quattro anni). Questo perché? Bastava andare a vedere gli stand del democraticissimo Salone del Libro per rendersi conto che era diventato una specie di centro sociale. Erano evidenziate in ogni modo bandiere antifasciste, scritte “qui c’è un editore antifascista”.Il che significa, secondo me, che esiste una sorta di lobby del pensiero, di lobby della cultura, che si sta stringendo in un proprio giardinetto, che alla fine non darà più né fiori né frutti. Lo dico tenendo conto di alcune persone che hanno influenzato la vicenda di Altaforte a Torino, in particolare Christian Raimo, consulente editoriale del Salone: in un post su Facebook ha scritto che la politica è una questione occupazione di spazi, e quindi Altaforte non aveva diritto a quello spazio. Ebbene, questo gli si è ritorto contro. Perché, rispetto all’anno precedente, il Salone ha perso altri 20.000 visitatori (sono scesi a 160.000). Chiara Giannini, l’autrice di “Io sono Matteo Salvini”, sostiene che è stato un attacco al capo della Lega. Sicuramente è stato un attacco a tutto tondo, anche a Salvini, perché è il personaggio più scomodo e più inviso alla sinistra italiana. Senza fargli pubblicità, devo dire però che sta mantenendo le promesse che aveva fatto in campagna elettorale (a differenza, forse, di quello che fanno a sinistra). Però secondo me sono molto scomode anche altre tematiche, che noi trattiamo. Per esempio l’immigrazione, con il libro di Francesca Totolo “Inferno SpA”. Abbiamo trattato il tema del colonialismo francese in Africa con il libro “I coloni dell’austerity”, di Ilaria Bifarini, che parla del franco Cfa (e di fatto mi permetto anche di dire che, secondo me, siamo stati noi a riportarlo in auge circa quattro mesi fa, all’epoca della mini-crisi diplomatica fra Italia e Francia).Poi abbiamo trattato il tema del neo-femminismo, quindi la lobby che sta dietro al mondo Lgbt, con un bellissimo libro di Francesco Borgonovo, “L’era delle streghe”. Sicuramente abbiamo trattato il tema dell’Unione Europea e dell’euro con un libro di Marco Mori, “La morte della Repubblica”. E abbiamo altri testi interessanti, come “La nazione fatidica” di Adriano Scianca. Noi siamo nati appena 8 mesi fa. E’ chiaro che tutto questo rumore non ce l’aspettavamo, sono sincero. Però, ecco: c’è un attacco a tutto tondo. Io stesso indagato? A quanto pare è stato fatto un esposto – per apologia di fascismo – da parte del sindaco di Torino, Chiara Appendino, e del presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino. Quello che mi si contesta è un reato d’opinione, riferendosi a mie dichiarazioni. Premetto: non mi pento di nulla di ciò che ho detto, ma sono cose che tenderei a non ripetere, qui, anche perché devo chiarire la mia posizione di fronte alle autorità giudiziarie, che avranno il compito di appurare se quelle mie dichiarazioni sono un reato o meno. Io intanto le anticipo, dicendo che il reato non c’è. Comunque è assurdo, secondo me, il fatto che oggi il reato d’opinione esista ancora.Ho subito un blitz – anche simpatico – da parte di Filippo Roma de “Le Iene”, che mi è venuto a fare un po’ di provocazioni (anche scherzose, per una volta) e insieme abbiamo scherzato sul discorso della libertà di espressione. La nostra Costituzione viene sbandierata moltissimo, dalla sinistra, che forse non la legge più da tanto tempo: altrimenti si ricorderebbe che esiste un articolo, il 21, che consente la libertà di parola. A Filippo Roma ho fatto questa battuta: è mai possibile che io venga accusato in questo modo, mentre durante il fascismo, il 1° maggio 1925, Benedetto Croce potè firmare il Manifesto degli Intellettuali Antifascisti senza ricevere nessun tipo di censura da parte del regime? Nel 2019, invece, Francesco Polacchi (che per carità, non si permette neanche lontanamente di paragonarsi a Croce) non può presentare un libro-intervista su un uomo che verrà votato da un italiano su tre. E’ un po’ bizzarra, la situazione. Ci ha giovato, l’inatteso clamore del Salone di Torino? C’è chi rispolvera il vecchio adagio: bene o male, purchè se ne parli. In realtà io sono scettico: secondo me, questo libro aveva già di per sé un potenziale incredibile di vendita.Comunque, Matteo Salvini verrà votato, verosimilmente, da otto milioni di persone. E il fatto che in questo momento il libro sia in cima alla classifica di Amazon non dipende solo dalla polemica torinese. Salvini è comunque l’uomo del momento, che ha trasformato un partito del 4% portandolo probabilmente al 30-35% nell’arco di tre-quattro anni. Ha sicuramente un consenso incredibile. Quindi, secondo me, tutta la vicenda di Torino ci ha comunque danneggiato. Sono convinto che, al Salone del Libro, senza la rescissione del contratto avremmo venduto qualche migliaio di libri. Dunque a mio parere ci è stato inflitto un danno gravissimo, anche perché poi la Feltrinelli – e non solo lei – ha chiuso il canale distributivo per Altaforte: hanno quindi creato un danno anche commerciale, per la distribuzione. Immagino abbiano ricevuto pressioni, sia esterne che interne, per non far espandere la nostra casa editrice. E questo è gravissimo, perché ne va della reperibilità dei libri – non solo quello di Salvini, ma proprio tutti i titoli di Altaforte. Per carità, loro possono fare le loro scelte. E noi inviteremo i clienti ad acquistare i nostri libri da altre parti.(Francesco Polacchi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti in apertura della puntata di “Border Nights” del 14 maggio 2019. Polacchi, esponente di CasaPound, è il referente della casa editrice Altaforte, clamorosamente espulsa dal Salone del Libro di Torino per la polemica scoppiata in relazione a passate dichiarazioni dello stesso Polacchi, che ebbe a definirsi “fascista”. «Quando si arriva a escludere dei libri e una casa editrice da un evento importante, mi chiedo se siamo nel 2019 o in un’altra epoca», commenta Frabetti, che annuncia che la sua web-radio, libertaria e ultra-democratica, nelle prossime settimane si impegnerà a ospitare gli autori di Altaforte, per presentare i loro libri. «I reati d’opinione sarebbero da abolire», aggiunge Frabetti, pensando alla sinistra europeista che ha cacciato l’editrice dal Salone di Torino: «Ai benpensanti piace tanto, questa Unione Europea. Peccato che poi vengano applicati raramente i principi che la Corte Europea sancisce spesso, legati anche alle opinioni e alla libertà di stampa. Belle parole, che tali rimangono».Che spiegazione dare dell’incidente del Salone del Libro di Torino, dove la casa editrice Altaforte è stata esclusa perché ritenuta vicina a CasaPound, movimento peraltro considerato perfettamente legale? Io sono un militante di CasaPound, e non l’ho mai nascosto. Altaforte invece è indipendente da CasaPound. E’ talmente indipendente da pubblicare un libro-intervista del ministro dell’interno Salvini, che di fatto è uno dei principali competitor del movimento. Per questo ho vissuto un conflitto personale. Poi mi sono arreso, perché comunque una casa editrice deve provare a fare anche delle provocazioni culturali. Questa poi non è nemmeno una provocazione, è solo un’intervista all’uomo più in vista del momento. E dato che la casa editrice si definisce sovranista, è chiaro che ha cercato di coinvolgere l’uomo che in questo momento sta portando in auge proprio questo tema. Le spiegazioni che mi sono dato, purtroppo, sono legate anche ai numeri del Salone del Libro: nel 2015 la rassegna torinese contava 300.000 ingressi. Poi c’è stato un lento decadimento: fino ad arrivare al 2019, quando ha perso più della metà dei visitatori (in soli quattro anni). Questo perché? Bastava andare a vedere gli stand del democraticissimo Salone del Libro per rendersi conto che era diventato una specie di centro sociale. Erano evidenziate in ogni modo bandiere antifasciste, scritte “qui c’è un editore antifascista”.