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Magaldi: l’Italia perde perché la paura paralizza i gialloverdi
Il nemico spara sulla folla, ma i difensori si limitano a lanciare innocui petardi dalla torre su cui si sono rifugiati. E fissano l’orizzonte, nella speranza che arrivi qualcuno a salvarli dall’assedio. Ma sbagliano tutto, se sperano che quel qualcuno si chiami Donald Trump: «Il presidente americano non è generoso con l’Italia come lo fu Roosevelt: è stato eletto solo per smascherare l’equivoco della finta sinistra, rompendo gli schemi del pensiero unico. Ma resta un isolazionista, campione di un’America non così propensa a proiettarsi verso di noi, prigionieri dell’austeriy europea». Gioele Magaldi biasima Salvini e Di Maio, che ora sembrano invocare l’aiuto americano contro i censori di Bruxelles: possibile che l’Italia non abbia il coraggio di ribellarsi da sola, e aspetti sempre che siano altri a cavarle le castagne dal fuoco? Psicologia: «Il vero guaio dei gialloverdi è che hanno paura, e su quella paura campano, alla grande, i loro avversari. Se solo i nostri smettessero di farsela sotto, scoprirebbero che il nemico è assai meno forte di quello che pensano. Ma servirebbe innanzitutto un atto di coraggio. Per esempio: mandare a casa ministri inadeguati, come Tria a Moavero, e spedire a Bruxelles – come commissario Ue – qualcuno che incarni davvero la rottura, non l’ennesimo compromesso».C’era una volta il governo del cambiamento. Poi, del cambiamento è rimasta solo la speranza tenuta accesa dalla Lega, «l’unica ad aver resuscitato l’eresia post-keynesiana candidando economisti come Bagnai e Rinaldi, pronti a smontare il dogma neoliberista del rigore di bilancio che provoca ad arte la crisi eterna». Ma, dopo il fallito assalto a Bruxelles – senza neppure il fegato di sfondare il tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil, imposto da Maastricht per imbrigliare l’economia e minare il benessere diffuso – ora i gialloverdi galleggiano in un mare grigio, quello delle promesse mancate. Una su tutte: il magro sussidio che i 5 Stelle hanno chiamato reddito di cittadinanza, e che invece è solo «una tessera annonaria della povertà, che gli stessi beneficiari – pochissimi – si vergognano a esibire». Risultato: voti dimezzati. Elementare: in tanti hanno smesso di votarli, i grillini, se appaiono la copia scolorita della Lega o addirittura un possibile alleato del Pd-fantasma, come avevano lasciato credere alla vigilia delle europee. Chi sono, i 5 Stelle? Cosa sono diventati? Chi è davvero il Re Travicello piovuto a Palazzo Chigi quasi solo per “troncare e sopire”, andreottinanamente, le istanze salviniane?Ma a parte Giuseppe Conte, «Grillo Parlante non richiesto», nella lista dei deludenti c’è anche Marco Bussetti, ministro dell’istruzione. Per non parlare di Giulia Grillo, che al dicastero della sanità non ha fatto nulla per chiarire il caos-vaccini scatenato da Beatrice Lorenzin, su pressione di Big Pharma, sotto il governo Gentiloni. In web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, il presidente del Movimento Roosevelt ne ha per tutti: e il primo della lista è Giovanni Tria, già “diffidato” (massonicamente, in termini di richiamo alla lealtà) la scorsa settimana. «Il “fratello” Tria aveva promesso di attenersi a una linea progressista, opposta a quella dei circuiti massonici neoaristocratici che dominano l’Ue». Di fatto, al netto di qualche sterzata in extremis, il ministro dell’economia si limita – insieme a Conte – a giocare in difesa. Obiettivo: tentare di portare a casa, evitando la procedura d’infrazione, il ridicolo 2% di deficit contrattato a Bruxelles. Per l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, sarebbe stato necessario almeno un 4% per vederne gli effetti già in primavera, sotto forma di crescita, in virtù del “moltiplicatore della spesa pubblica”, in base al quale un investimento mirato, messo a bilancio come deficit, può fruttare anche il 300% in termini di Pil. Ma nulla di tutto ciò è accaduto, essendo mancato il coraggio di rivendicare l’autonomia finanziaria italiana.«Badate, non è solo una questione di deficit», sostiene Magaldi: «Basterebbe stralciare dal computo del deficit gli investimenti produttivi: infrastruttre strategiche e sostegno al sistema economico nazionale, famiglie e aziende, insieme a un robusto alleggerimento fiscale». Facile a dirsi, ma il Deep State è in agguato. Lo ha ricordato il pentastellato Pino Cabras al convegno “rooseveltiano” di Londra, sul New Deal di cui avrebbe bisogno l’Europa: «Non siamo soli, al governo», ha ricordato Cabras: «Insieme ai 5 Stelle e alla Lega c’è anche lo “Stato profondo”, che ha in mano l’alta burocrazia e rema contro il cambiamento». Per capirci: appena ti muovi, sale lo spread. «Ecco, appunto: se si cambiassero le regole della Bce – dice Magaldi – si potrebbero emettere finalmente gli eurobond, cioè titoli di Stato europei garantiti dalla banca centrale di Francoforte, e così lo spread sparirebbe automaticamente». Di nuovo: facile, in teoria. In pratica, invece, proprio il supermassone reazionario Mario Draghi – l’uomo che non vuole saperne, di eurobond – si è già premurato di bocciare persino i minibot, con cui il governo vorrebbe saldare i debiti pregressi della pubblica amministrazione, per evitare che le aziende creditrici falliscano. Non a caso: i soliti poteri forti stanno manovrando per portare proprio Draghi a Palazzo Chigi, per commissariare l’Italia dopo l’effimera sbornia di speranze gialloverdi.E che fanno, Salvini e Di Maio, mentre il paese sta scivolando verso una crisi catastrofica? «Vanno negli Usa, nella vana speranza che Trump possa aiutare l’Italia, stritolata dai veri sovranismi nazionalistici – quelli di Germania e Francia, protagonisti della Disunione Europea». Diciamola tutta, insiste Magaldi: «L’Europa non esiste proprio: è tutta da costruire, dalle fondamenta». Viceversa, vogliamo fare da soli? «Benissimo, ma il compito che avremmo di fronte sarebbe lo stesso, anche fuori dall’Ue e dall’Eurozona: l’Italia ha infrastrutture fatiscenti, trasporti insufficienti, aziende in crisi, salari bassi, lavoro scarso». Finora, l’Ue ha raccontato la fiaba del “pilota automatico” che governerebbe l’economia. «Una truffa, con cui il noeliberismo si è affermato come religione. E i risultati sono sotto i nostri occhi: gli italiani sono più poveri e precari». Unico possibile Piano-B: un New Deal rooseveltiano. «Massicci investimenti pubblici, oculati e strategici». Non si scappa: «Lo Stato deve poter spendere. L’Ue non vuole? Pazienza: dovrà rassegnarsi». Il problema è politico, ma si continua a girarcisi attorno facendo finta di niente: «I politici italiani devono capire di dover affrontare finalmente uno scontro, con Bruxelles. Senza questo, i governi – compreso quello gialloverde – naufragheranno, di fronte all’inevitabile fallimento: senza soldi, non è possibile varare nessuna politica salva-Italia».Siamo a un punto di svolta decisamente storico, secondo Magaldi: se non altro, Lega e 5 Stelle hanno sdoganato la dottrina sociale keynesiana, rompendo il tabù del marmoreo pensiero unico ancora presidiato dal Deep State italico, Bankitalia e Quirinale in primis. Guai a disobbedire ai mercati, disse Mattarella bocciando Paolo Savona come ministro dell’economia. Un anno fa, l’allora battagliero Di Maio insorse, gridando l’esatto contrario: peggio per noi, se continuiamo a farci dettare la politica economica dall’oligarchia finanziaria che impone le sue regole ai governi, vanificando le elezioni e mortificando la democrazia. Dov’è finito, oggi, il coraggio dei gialloverdi? Sbiadiscono, i grillini, declinando verso la palude dove agonizza il Pd di Zingaretti, ancora impantanato a recitare la mortale ortodossia neoliberista: «Come pure Forza Italia, lo stesso Pd ripete che quest’Europa andrebbe cambiata, ma si guarda bene dal dire come, cioè in senso progressista: spesa pubblica strategica, senza più vincoli di bilancio».L’ultimo guardiano del cambiamento, almeno a parole, è Salvini. Seguiranno i fatti? Per ora, i segnali non sono rassicuranti. Armando Siri, architetto della Flat Tax, è stato silurato dal giustizialismo elettoralistico dei 5 Stelle, senza che il capo della Lega sia insorto per lasciarlo al suo posto, nel governo. «E peggio: ora si fa il nome di Enzo Movero Milanesi come possibile commissario europeo, quando invece il massone neoconservatore Moavero – già “montiano”, anche se poi convertitosi teoricamente all’impostazione progressista – sarebbe da licenziare: graditissimo ai potenti neoaristocratici che comandano in Ue, come ministro degli esteri non ha fatto assolutamente niente. E vogliamo mandare lui, a Bruxelles, come rappresentante del governo del cambiamento?». Per Magaldi, la chiave sta nella dicotomia che oppone paura e coraggio. «Con che faccia c’è ancora chi propone l’uscita dall’euro e dall’Ue, quando il governo non ha osato neppure infrangere il totem del 3% del deficit?». Se solo trovasse la forza di agire, chiosa Magaldi, l’esecutivo avrebbe grandi sorprese: «Mettendo da parte la paura, scoprirebbe che il nemico non è affatto invincibile. E i nostri avversari lo sanno benissimo: per questo continuano a spaventarci». Gli unici a non capire come stanno le cose sembrano proprio i nostri ipotetici difensori: se non faranno sul serio, finiranno presto nel museo delle cere in compagnia di Renzi e di tutti gli altri rottamatori all’italiana, bravi solo a chiacchiere.Il nemico spara sulla folla, ma i difensori si limitano a lanciare innocui petardi dalla torre su cui si sono rifugiati. E fissano l’orizzonte, nella speranza che arrivi qualcuno a salvarli dall’assedio. Ma sbagliano tutto, se si illudono che quel qualcuno si chiami Donald Trump: «Il presidente americano non è generoso con l’Italia come lo fu Roosevelt: è stato eletto solo per smascherare l’equivoco della finta sinistra, rompendo gli schemi del pensiero unico. Ma resta un isolazionista, campione di un’America non così propensa a proiettarsi verso di noi, prigionieri dell’austeriy europea». Gioele Magaldi biasima Salvini e Di Maio, che ora sembrano invocare l’aiuto americano contro i censori di Bruxelles: possibile che l’Italia non abbia il coraggio di ribellarsi da sola, e aspetti sempre che siano altri a cavarle le castagne dal fuoco? Psicologia: «Il vero guaio dei gialloverdi è che hanno paura, e su quella paura campano, alla grande, i loro avversari. Se solo i nostri smettessero di farsela sotto, scoprirebbero che il nemico è assai meno forte di quello che pensano. Ma servirebbe innanzitutto un atto di coraggio. Per esempio: mandare a casa i ministri inadeguati, come Tria a Moavero, e spedire a Bruxelles – come commissario Ue – qualcuno che incarni davvero la rottura, non l’ennesimo compromesso».
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Foster: ora i boss dell’Ue faranno a pezzi l’Italia, ecco come
La lettera di Tria non ha convinto la Commissione Europea, che in un documento di 14 pagine ha attaccato le principali riforme del governo Conte e aperto la strada alla procedura di infrazione per debito eccessivo. Il governo, ricorda Federico Ferraù su “Sussidiario”, ha risposto dicendo di voler rispettare il Patto di Stabilità. «Apparentemente, dunque, i giochi sono ancora aperti: si tratta. Ma è un’illusione, perché il destino dell’Italia è già scritto». Lo ha deciso il club di Stati che contano. Quello che in Italia – e prima, forse, anche altrove – non si è capito è che non c’è politica che tenga, perché l’unica “politica” che vige nell’Ue è l’annientamento di chi vìola le regole, anche se le regole non hanno funzionato. A dirlo è Chris Foster, investitore professionista che ha operato sui mercati internazionali e che ha conosciuto molto da vicino gli ambienti dell’eurocrazia europea. È possibile, gli domanda Ferraù, che la Commissione uscente creda davvero di salvare l’Europa sanzionando chi viola le regole e insistendo sulle ricette di austerity, che sono la causa della vittoria dei populisti nelle urne? «Il piccolo super-club di paesi che controlla il grande “club a 28 Stati” ha le sue ragioni per gestire meglio il potere», dice Foster. «Per il centro-nord Europa, l’Italia da risorsa è diventata un problema da tutti i punti di vista. Meglio distruggerla definitivamente, sia dal punto di vista economico che politico».
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Silenzio, parla Visco. La politica tace, e l’apocalisse avanza
«Attenzione a quelli che gridano che l’apocalisse è vicina: sbagliano». La realtà è peggiore, secondo Gioele Magaldi, perché «l’apocalisse è già in corso». Certo, «è un’apocalisse morbida, soft: un’apocalisse fredda», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt. In altre parole, «l’apocalisse è questa cosa strisciante e melensa, per cui tutto è lasciato nella stagnazione». A monte, l’economia risponde a dei dogmi. E mentre la narrazione mainstream «ci anestetizza il cervello e ci addormenta, coi giornalisti diffidati dal fare veramente il loro mestiere, dal mantenere la schiena dritta», i politici «sono resi incapaci di intendere e volere, e di agire». L’ultimo esempio? Silenzio di tomba, dall’intero schieramento gialloverde, dopo l’ultima esternazione di Ignazio Visco. Nel bocciare l’idea dei “minibot” («sarebbero solo altro debito»), il governatore di Bankitalia “ricorda” al governo chi comanda davvero: non la democrazia, ma il potere oligarchico che controlla il denaro al di sopra dei governi – e nella fattispecie quello italiano, a cui non verranno concessi i fondi necessari per dare ossigeno all’economia. In altre parole, dice Visco, “rassegnatevi all’austerity eterna”. «E’ la dottrina ipocrita del suo maestro Mario Draghi», protesta Magaldi: «Come se a dirigere l’economia europea fosse davvero il “pilota automatico” dei “mercati”, e non invece la sapiente regia di pochi oligarchi». Il problema? «Nessuno ha replicato a Visco, nemmeno Salvini e la Meloni».Se la politica subisce in silenzio un diktat del genere, si domanda Magaldi in web-streaming su YouTube, come può fare promesse agli italiani? Come si fa a tentare di risollevare l’economia, già sapendo che il potere incarnato da Visco (terminale italiano di Draghi) ti negherà i soldi necessari a sviluppare l’occupazione? Per Magaldi, il silenzio della politica di fronte a Bankitalia è sconcertante, inaccettabile. E proprio per coprire questo mutismo assordante, si preferisce ripiegare su temi innocui e irrilevanti, come quelli su cui perdono tempo Lega e 5 Stelle, litigando fra loro. «Da una parte il mainstream intrattiene gli italiani, per settimane, su una farsa come il matrimonio-fantasma di Pamela Prati, e dall’altra Roberto Fico polemizza con Salvini sull’idea di includere anche i migranti, come “nuovi italiani”, nella comunità nazionale che celebra se stessa il 2 giugno». Fiato alle trombe, titoloni sui giornali. Non una parola, invece, per ricordare a Ignazio Visco che non può essere la Banca d’Italia a dettare al governo la politica economica: che ci stanno a fare, i parlamentari eletti dal popolo, se non possono decidere niente di importante? E’ la tragica prassi della post-democrazia. Ma appunto: Salvini e Di Maio non erano stati votati proprio per metter fine a questo abuso di potere? E quindi perché tacciono, esattamente come i loro predecessori, non appena il governatore della banca centrale “spiega” loro che possono dedicarsi a qualunque cosa, tranne che al benessere dell’Italia?Non è strano neppure che la narrazione dei grandi media venda come notizia sensazionale l’ennesima “riservatissima” riunione del Bilderberg, che in realtà non ha segreti per nessuno. «Il Bilderberg – chiarisce Magaldi, autore del saggio “Massoni” che rivela il super-potere delle 36 Ur-Lodges che dominano il pianeta – è solo un’entità “paramassonica” come la Trilaterale, la Chatham House inglese, gli statunitensi Bohemian Club e Council on Foreign Relations». Organismi creati da supermassoni, ma aperti al reclutamento di “profani” eventualmente “servizievoli”. Nel 2019 fa notizia l’invito del Bilderberg esteso a Matteo Renzi? «L’ex premier – aggiunge Magaldi – aveva inutilmente bussato alle superlogge, che però non l’hanno accolto. Ora gli offrono, come magra consolazione, la passerella del Bilderberg: un salotto dove “non si tocca palla”, perché le grandi decisioni vengono prese altrove». Per esempio, nelle Ur-Lodes in cui militano gli stessi Visco e Draghi: quelli sono i veri centri di potere, che stabiliscono – come oggi in Italia – se un governo può essere messo in condizioni di sostenere i cittadini, oppure no. Ecco la verità che bisognerebbe urlare, una volta per tutte. E invece, ancora e sempre, si sceglie il silenzio.Dalla sua trincea, il Movimento Roosevelt agita esattamente questo spettro: il dominio subdolo del potere neoliberista ha sostanzialmente confiscato la democrazia, svuotandola del suo potenziale. Magaldi ricorda che il 14 luglio a Roma nascerà il “Partito che serve all’Italia”, cantiere politico per offrire agli italiani una prospettiva di riscatto basata sull’analisi sincera della situazione, mettendo a fuoco lo strapotere abusivo e inquinante dei santuari oligarchici. Salvini e Di Maio non osano replicare a Visco? Poi non lamentiamoci, dice Magaldi, se la crisi sta facendo marcire il paese. «L’apocalisse è già qui», insiste il presidente del Movimento Roosevelt: «E’ nei salari inadeguati, nelle pensioni troppo basse, nel lavoro che non si trova, nel paese che non rinnova le sue infrastrutture». Vale per l’Italia, ma anche per gli altri paesi. «L’apocalisse è nel mondo, che è pieno di sudditi e neo-sudditi. E’ nella diseguaglianza che aumenta: l’apocalisse è già qui, non c’è bisogno di paventare chissà quale evento. Viviamo in una condizione che non è accettabile, in un mondo che potrebbe dare, a ciascuno, dignità e prosperità». Che fare? Pretendere che il governo faccia valere i suoi diritti, a tutela degli italiani. E se non basta, dare vita a nuove forze politiche con un mandato inequivocabile: sfidare l’oligarchia, per restituire sovranità democratica all’Italia e all’Europa.«Attenzione a quelli che gridano che l’apocalisse è vicina: sbagliano». La realtà è peggiore, secondo Gioele Magaldi, perché «l’apocalisse è già in corso». Certo, «è un’apocalisse morbida, soft: un’apocalisse fredda», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt. In altre parole, «l’apocalisse è questa cosa strisciante e melensa, per cui tutto è lasciato nella stagnazione». A monte, l’economia risponde a dei dogmi. E mentre la narrazione mainstream «ci anestetizza il cervello e ci addormenta, coi giornalisti diffidati dal fare veramente il loro mestiere, dal mantenere la schiena dritta», i politici «sono resi incapaci di intendere e volere, e di agire». L’ultimo esempio? Silenzio di tomba, dall’intero schieramento gialloverde, dopo l’ultima esternazione di Ignazio Visco. Nel bocciare l’idea dei “minibot” («sarebbero solo altro debito»), il governatore di Bankitalia “ricorda” al governo chi comanda davvero: non la democrazia, ma il potere oligarchico che controlla il denaro al di sopra dei governi – e nella fattispecie quello italiano, a cui non verranno concessi i fondi necessari per dare ossigeno all’economia. In altre parole, dice Visco, “rassegnatevi all’austerity eterna”. «E’ la dottrina ipocrita del suo maestro Mario Draghi», protesta Magaldi: «Come se a dirigere l’economia europea fosse davvero il “pilota automatico” dei “mercati”, e non invece la sapiente regia di pochi oligarchi». Il problema? «Nessuno ha replicato a Visco, nemmeno Salvini e la Meloni».
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Carpeoro: ma con questi politici, l’Italia resterà sottomessa
Alla vigilia delle elezioni europee hanno azionato una tenaglia attorno a Salvini. Esempio: la nave Sea Watch. Salvini non voleva che entrasse nel porto, invece c’è entrata. Come? Grazie alla magistratura, che l’ha sequestrata. Quindi l’ha fatta attraccare e ha fatto esattamente quello che Salvini non voleva: ha fatto sbarcare i migranti. Poi vedrete che l’inchiesta verrà archiviata, ma intanto Salvini è stato beffato. E faranno sbarcare tutti i migranti in questo modo: ormai hanno capito come fare. Ogni volta che Salvini dirà “questa nave non entra”, la magistratura la sequestrerà e farà sbarcare i migranti. Ormai hanno trovato il trucco. Ma vi pare che le cose si possano fare così? D’altro canto, Salvini ha commesso i suoi errori. Questi politici hanno tutti lo stesso difetto: mettono le ambizioni al di sopra del progetto. Salvini pensa di prendere i voti solo con il culto della personalità. E questo in Italia funziona, ma solo a breve termine. Funziona per chi vuole vincerne una sola, di elezione. Chi vuole vincerne tante, invece, deve fare operazioni a lungo termine. Peraltro, in Italia, nell’immediato non si può fare più niente. Siamo talmente “imbalsamati” che gli obiettivi immediati ce li dobbiamo scordare. Dobbiamo capire tutti che ci tocca versare lacrime e sangue: fare fatica, facendo le cose giuste, però – perché adesso abbiamo lacrime, sangue e fatica ma facendo le cose sbagliate.Bisogna avere il coraggio di dire, agli italiani: “Io sono a lungo termine; se pretendete da me gli 80 euro il mese prossimo, rivolgetevi a qualcun altro”. Se poi gli italiani preferiscono così… Ma in questo modo il “qualcun altro” dura solo un giro, come Renzi. Nel frattempo restiamo sottomessi ai diktat del regime politico-finanziario europeo? L’Italia non deve contestare l’Europa, deve contestare il modo in cui è stata rappresentata la sua situazione economica. Il nostro paese ha il patrimonio artistico più grande del mondo, che non viene minimamente valutato. Gli altri, nei bilanci mettono finanche le noccioline; e noi non possiamo mettere a bilancio il nostro patrimonio artistico? Non è un bene? Non è un valore? Non è un patrimonio? Se io a casa ho un Renoir, nella dichiarazione dei redditi lo devo indicare. Invece lo Stato, nella “dichiarazione dei redditi” che fa per l’Europa, non ci può mettere il Colosseo. Se noi ottenessimo la revisione dei parametri economici – per un discorso di verità, non di bugia – possono garantire che il debito pubblico verrebbe azzerato. Gli stessi trattati europei non escludono neppure che, nel proprio patrimonio, si possano indicare dei beni di cui effettivamente si dispone. Non si tratta di rivedere le leggi, ma solo di dire la verità: di fare cioè delle dichiarazioni patrimoniali veritiere.Non osiamo farci valere: dipende dalla scarsa personalità dei nostri politici? Sono ricattabili, i politici italiani: tutti. Quindi, nel momento in cui alzano la voce, qualcuno gli telefona e gli dice: attenti, che in archivio ho un dossier, su di voi. Chi ha i dossier? I vari Attali, i vari Ledeen. Quali interessi difendono? I loro. Sono interessi anche personali: secondo voi questi personaggi chiedono la carità all’angolo della chiesa? Lavorano per banche, fondazioni finanziarie: tutte cose che hanno creato loro, che gestiscono loro, che manipolano loro. Le banche e gli organismi finanziari sono cose neutre, astratte: tutto dipende da chi li governa, da come li gestisce. E’ quello che intendo, quando parlo di “sovragestione”. Sarebbe un danno, per loro, se l’Italia potesse riscattarsi? No, non sarebbe un danno. Hanno semplicemente interesse a speculare sulle disgrazie: e quelle dell’Italia sono ottime, per specularci. Ma è solo una questione di guadagno: non hanno niente, contro l’Italia. Vorrei confortare tutti quanti: non c’è un odio verso il nostro paese. E’ come con la Grecia: nel momento in cui c’è la disgrazia, ci si specula sopra. Così funzionano, i pescecani. E la nostra disgrazia consiste nel fatto che, a suo tempo, non abbiamo rivendicato il nostro reale assetto economico e patrimoniale. Responsabilità di chi sedette al tavolo delle trattative per conto dell’Italia: è chiaro che la partita la perdi, se non cali i tuoi assi.Per contro, a quel tavolo non potevamo non sederci. Se fossimo rimasti fuori dal club europeo avrebbero strangolato la lira in modo inimmaginabile – come infatti stava già accadendo prima ancora dell’euro: don lo Sme e con la grande speculazione, la lira si sarebbe trasformata in una moneta ridicola. Mi si fa notare che un paese come la Corea del Sud è rimasto felicemente indipendente? Certo, ma in quel caso non hanno fatto l’Unione Asiatica: lì non c’è quel tipo di connessione finanziaria e di sovragestione che c’è da noi. Nel nostro caso, la sovragestione finanziaria esisteva già – prima ancora della creazione dell’Unione Europea. La grande speculazione c’era, eccome. La sterlina non è stata affatto strangolata? Certo, perché ha un impero suo: si chiama Commonwealth. Ha risorse, mercati e vie d’uscita enormi. Per questo la Gran Bretagna è stata costretta a uscire, dall’Ue: stava perdendo il Commonwealth. Ci sarà il boom del Brexit Party? Ormai in Inghilterra non si capisce più niente. Comunque il Regno Unito può andare dove vuole, tanto non va da nessuna parte, oggi. Se l’Europa fosse un organismo intelligente, darebbe all’Inghilterra una moratoria di 10 anni. Le direbbe: “Fa’ quello che vuoi. Esci, resta”. Invece di strangolarla, le dovrebbe dire: “Hai dieci anni di tempo, per decidere quello che vuoi fare”. Ma l’Europa non è un organismo intelligente.Ora si contestano anche le radici cristiane dell’Europa. Ma qualcuno può negare che il Cristianesimo faccia parte della storia europea? Fino al 100 dopo Cristo era un soggetto estraneo, limitato a una tradizione mediorientale. Poi ha fatto irruzione in Occidente – come anche il mitraismo e il sincretismo alessandrino, che univa le religioni greca, egizia e mitraica. C’erano tante influenze, perché ormai l’Impero Romano era una entità internazionale: c’era stata una specie di globalizzazione, e quindi è arrivato anche il Cristianesimo. Il problema? Aveva successo. Nei primi tre secoli del primo millennio era diventato, nell’Impero Romano, la religione maggioritaria. Al punto che Costantino fiutò la possibilità di farne una base solida del proprio potere imperiale, e così lo dichiarò religione di Stato. E dire che i cristiani erano stati perseguitati anche sanguinosamente, da imperatori come Traiano. Il guaio è che, una volta diventato religione di Stato, il Cristianesimo ha preso tutti i vizi del potere. Nella sua dimensione strutturale (che prima non aveva) si è plasmato proprio sul potere imperiale. E questa crescita – compresa questa sorta di tara – si è poi trasferita, pari pari, da impero a impero: dall’Impero Romano, poi sgretolato dalle invasioni, al risorgente Sacro Romano Impero.Il Sacro Romano Impero si fondava sul Cristianesimo: era il suo pilastro, tant’è vero che tutti gli imperatori venivano incoronati dal Papa (salvo momenti di frizione e conflitto per il potere materiale). Proprio il Sacro Romano Impero ci ha accompagnato direttamente fino alle porte dell’umanesimo e del Rinascimento. E cosa ha trasferito, fino ai giorni nostri? La trazione franco-germanica: comandavano francesi e tedeschi, esattamente come oggi. Questa è la vera radice europea. La storia ha una grande forza: esiste anche per chi non la riconosce. Contestare le radici cristiane dell’Europa (che non sono le uniche) è sbagliato. E’ un passaggio retorico, ma comunque irrilevante: perché alla fine la verità è che, oggi come allora, comandano i francesi e i tedeschi (a prescindere dalle istituzioni formali europee). Certo, la ricostruzione della storia non è facile, e spesso non è così veritiera. Abbiamo esempi anche recenti: una certa retorica vuole che l’Italia sia stata liberata dai partigiani, ma – se non fossero sbarcati gli americani – qui si girerebbe ancora con l’orbace.I partigiani sono stati il simbolo della reazione di una parte nobile del popolo, ma in pratica – piaccia o meno – l’Italia è stata liberata dagli americani. Si può discutere anche sul concetto di “liberazione”, certo. Ma resta il fatto che l’Italia, da sola, non si sarebbe liberata del fascismo. Americani o russi, non importa: qualcuno, da fuori, doveva intervenire. Liberata e rioccupata? Normale: la penisola è sempre stata occupata. E’ come il cesso della stazione, l’Italia: non lo trovi mai libero. Ma siamo noi che ci facciamo occupare. Non l’abbiamo difeso in niente, il nostro paese. Non abbiamo il senso dello Stato, ci manca il senso della nazione. Seguiamo poco persino la nazionale di calcio, perché non è divisiva: preferiamo le squadre di club, perché siamo campanilisti. Qualcuno si domanda perché Napoleone spogliò l’Italia di tanta arte: era il prezzo da pagare per il supporto dei francesi contro l’Impero Austro-Ungarico? Ma tutti quelli che sono venuti in Italia hanno spogliato il nostro paese. Ben prima di Napoleone, il Re di Francia (Francesco I) si portò via Leonardo: non si prese soltanto l’arte, ma pure l’artista.Alla vigilia delle elezioni europee hanno azionato una tenaglia attorno a Salvini. Esempio: la nave Sea Watch. Salvini non voleva che entrasse nel porto, invece c’è entrata. Come? Grazie alla magistratura, che l’ha sequestrata. Quindi l’ha fatta attraccare e ha fatto esattamente quello che Salvini non voleva: ha fatto sbarcare i migranti. Poi vedrete che l’inchiesta verrà archiviata, ma intanto Salvini è stato beffato. E faranno sbarcare tutti i migranti in questo modo: ormai hanno capito come fare. Ogni volta che Salvini dirà “questa nave non entra”, la magistratura la sequestrerà e farà sbarcare i migranti. Ormai hanno trovato il trucco. Ma vi pare che le cose si possano fare così? D’altro canto, Salvini ha commesso i suoi errori. Questi politici hanno tutti lo stesso difetto: mettono le ambizioni al di sopra del progetto. Salvini pensa di prendere i voti solo con il culto della personalità. E questo in Italia funziona, ma solo a breve termine. Funziona per chi vuole vincerne una sola, di elezione. Chi vuole vincerne tante, invece, deve fare operazioni a lungo termine. Peraltro, in Italia, nell’immediato non si può fare più niente. Siamo talmente “imbalsamati” che gli obiettivi immediati ce li dobbiamo scordare. Dobbiamo capire tutti che ci tocca versare lacrime e sangue: fare fatica, facendo le cose giuste, però – perché adesso abbiamo lacrime, sangue e fatica ma facendo le cose sbagliate.
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Sapelli: i giudici, Conte e gli omini-Lego comandati da fuori
«Perché a volte abbiamo la sensazione che chi comanda nel governo è Salvini?». «Se all’esterno o a voi stranieri richiama di più l’attenzione il ruolo o l’immagine di Salvini, che ha una grande capacità comunicativa, e credete che nel governo comandi lui, è una vostra illusione ottica. Alla guida del governo ci sono io. E Salvini, come Di Maio, è vicepresidente e leader di una delle due forze politiche». Giuseppe Conte ha risposto così alla domanda di “El País”. Chi comanda politicamente in Italia? Sì, politicamente e basta. Perché la grande innovazione dei sistemi poliarchici con alto gradiente di classi politiche eterodirette, com’è nel caso italico, è quella di autonomizzare sempre più fortemente le classi politiche medesime dalla società civile hegelianamente intesa. Per Hegel – e per Ferguson – la società civile costituisce lo spazio sociale di formazione della proprietà di qualsivoglia forma e dei mercati. Le classi politiche tradizionalmente intese mantenevano e mantengono con la società civile un rapporto costante, che è l’essenza del sistema poliarchico costruito dalle volizioni elettorali che si compongono in un parallelogramma di forze con la logica delle lobby e dei soft power che promanano dalla società civile.La politica economica ordoliberista (Fiscal Compact, deflazione, pilota automatico, debito come peccato irredimibile, distruzione dello Stato sociale) disgrega la società civile ed esalta il ruolo dell’eterodirezione delle classi politiche in qualche modo sempre presente in qualsivoglia sistema politico. La specificità italiana risiede nella frantumazione e debolezza della società civile, colpita dalla bassa dimensione dell’impresa in forma dominante e quindi con scarsissima capacità lobbistica, che tracima nell’aumento di potere delle classi politiche. Ma esse, le classi politiche, non hanno più potere proprio. Donde lo traggono, allora, se vogliono preformare in modo compulsivo, tramite la macchina parlamentare, la società secondo i loro fini? Non lo traggono solo dall’eterodirezione internazionale, com’è tipico del movimento pentastellato, ma altresì dalle vertebre statali rimaste attive.Nel caso italico, se si escludono le forze armate e i servizi segreti (tra i migliori al mondo e per questo estranei al gioco politico), l’unico potere vertebrato è quello giurisprudenziale, sempre più manifesto e attivo, soprattutto in prossimità delle prove elettorali. Pizzorno fu buon profeta, preconizzando lo strapotere compulsivo della magistratura come elemento attivo del parallelogramma delle forze poliarchiche. Accanto a esso vige il soft power internazionale. Nel governo italiano vi è a riguardo uno sbilanciamento delle forze. Il ruolo anglo-cinese è fortissimo e minaccia lo stesso profilo atlantico, che deve essere invece proprio del nostro storico interesse prevalente. Per questo l’intervista del premier Conte a “El País” è disarmante nella sua chiarezza. Esprime non il ruolo dominante di un mediatore, ma il certificato dello sbilanciamento del parallelogramma delle forze di ciò che rimane della società civile e il nuovo profilo delle forze politiche prevalentemente eterodirette. Ciò che rimane della società civile, ossia il lavoro dipendente e soprattutto le imprese piccole e medie, è sempre più escluso dall’azione di governo.Del resto, una classe politica peristaltica senza base sociale, ma con segmenti di relazione elettronica istantanea e volatile e molto limitata numericamente nei processi selettivi, non può condurre a termine nessun processo decisionale complesso. I gradi di libertà che questo segmento della classe politica eterodiretta una volta eletta detiene in misura rilevante (e questo è il dato democratico liberale che ancora pervade questo nuovo sistema del comando sociale italico) alimentano la fibrillazione continua di ciò che rimane del potere: nulla infatti si decide. L’altro segmento delle classi politiche con gradienti di eterodirezione assai minori, tanto al governo quanto all’opposizione, si trova incapace di esprimere un potere condizionante dinanzi all’attivismo eterodiretto. La follia shakespeariana domina così le italiche terre che son tornate al tempo dei goti, visigoti e longobardi. Dove sono i Boezio?«Perché a volte abbiamo la sensazione che chi comanda nel governo è Salvini?». «Se all’esterno o a voi stranieri richiama di più l’attenzione il ruolo o l’immagine di Salvini, che ha una grande capacità comunicativa, e credete che nel governo comandi lui, è una vostra illusione ottica. Alla guida del governo ci sono io. E Salvini, come Di Maio, è vicepresidente e leader di una delle due forze politiche». Giuseppe Conte ha risposto così alla domanda di “El País”. Chi comanda politicamente in Italia? Sì, politicamente e basta. Perché la grande innovazione dei sistemi poliarchici con alto gradiente di classi politiche eterodirette, com’è nel caso italico, è quella di autonomizzare sempre più fortemente le classi politiche medesime dalla società civile hegelianamente intesa. Per Hegel – e per Ferguson – la società civile costituisce lo spazio sociale di formazione della proprietà di qualsivoglia forma e dei mercati. Le classi politiche tradizionalmente intese mantenevano e mantengono con la società civile un rapporto costante, che è l’essenza del sistema poliarchico costruito dalle volizioni elettorali che si compongono in un parallelogramma di forze con la logica delle lobby e dei soft power che promanano dalla società civile.
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Le sanzioni Usa hanno ucciso 40.000 persone in Venezuela
Potrebbe ammontare a 40.000 il numero delle persone morte in Venezuela a causa delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti, che hanno reso più difficile per la gente comune avere accesso al cibo, ai medicinali e alle apparecchiature mediche, secondo quanto descritto da un nuovo report. Il rapporto, pubblicato dal Centre for Economic and Policy Research (Cepr), un centro studi di ispirazione progressista con sede a Washington, sostiene che queste morti sarebbero avvenute in seguito all’imposizione delle sanzioni a partire dall’estate del 2017. Sostiene inoltre che la situazione è probabilmente peggiorata con l’imposizione di ulteriori e più dure sanzioni all’inizio di quest’anno, sanzioni che hanno colpito l’industria del petrolio, di vitale importanza per il Venezuela, e che rappresentano parte dello sforzo compiuto dall’amministrazione Trump per cacciare il presidente Nicolas Maduro. «Le sanzioni stanno privando i venezuelani di medicinali salvavita, apparecchiature mediche, cibo e altri beni di importazione essenziali», dice il report firmato da Jeffrey Sachs, noto economista della Columbia University, e Mark Weisbrot. «Questo è illegale sia secondo le leggi statunitensi sia secondo quelle internazionali, ed è illegale in base ai trattati firmati dagli stessi Usa. Il Congresso dovrebbe decidersi a fermare tutto questo».Gli autori del report basano le loro stime sui dati relativi all’aumento della mortalità secondo l’indagine nazionale venezuelana sulle condizioni di vita, nota con la sigla “Encovi”. L’indagine sulle condizioni di vita viene condotta annualmente da tre diverse università del Venezuela. Da questa indagine si evince un aumento del 31% nella mortalità generale tra il 2017 e il 2018, con un totale di oltre 40.000 morti in più. Weisbrot, co-fondatore del Cepr, ha detto all’“Independent” che gli autori non possono dimostrare direttamente che queste morti “in eccesso” siano la conseguenza delle sanzioni. Tuttavia afferma che questo aumento è stato parallelo all’imposizione delle sanzioni e al crollo della produzione di petrolio, che da decenni è un pilastro dell’economia venezuelana. «Non è possibile dimostrare uno scenario controfattuale», dice Weisbrot, «però queste morti in eccesso nel periodo considerato non hanno nessun’altra spiegazione identificabile». Le sanzioni dell’agosto 2017 hanno impedito al governo venezuelano di prendere denaro in prestito dai mercati finanziari statunitensi, e hanno impedito la ristrutturazione del debito estero, dice il report.«A seguito dell’ordine esecutivo dell’agosto 2017 la produzione di petrolio è crollata, diminuendo di oltre tre volte rispetto al tasso dei venti mesi precedenti», ha aggiunto. «Questo è ciò che ci si può aspettare a seguito della perdita dell’accesso al credito e conseguentemente della possibilità di coprire le spese di manutenzione e le operazioni, e di attuare gli investimenti necessari a mantenere i livelli di produzione. Questo declino accelerato nella produzione di petrolio avrebbe causato una perdita di sei miliardi di dollari nei proventi petroliferi durante l’anno seguente». Il report afferma che dall’inizio dell’imposizione delle nuove sanzioni contro l’industria del petrolio, la situazione si è fatta più difficile per la gente comune. Gli Stati Uniti hanno rapporti tesi col Venezuela da decenni, nonostante il paese sudamericano sia storicamente uno dei maggiori fornitori di greggio. Le relazioni si sono compromesse sempre di più dopo l’elezione di Donald Trump.All’inizio dell’anno Trump ha riconosciuto il leader dell’opposizione Juan Guaidò come legittimo presidente del paese e lo ha sostenuto nel tentativo di formare un governo parallelo. Gli Stati Uniti hanno ammesso che le sanzioni dovevano servire alla cacciata di Maduro, che ha ottenuto un secondo mandato come presidente con le elezioni dello scorso anno, elezioni che però non sono state riconosciute da molti paesi occidentali, nonostante diversi osservatori indipendenti ne abbiano giudicato corretto e legittimo lo svolgimento. I critici del leader venezuelano dicono che Maduro è stato a guardare mentre l’economia crollava e più di tre milioni di persone hanno abbandonato il paese per sfuggire alla mancanza di generi alimentari e al caos. Il governo Maduro è stato accusato di essere sempre più autocratico e di basarsi sulla lealtà politica in cambio di generi di sussistenza e altri beni. Durante un comizio a Miami, in febbraio, Trump ha esortato i vertici dell’esercito venezuelano alla diserzione. «Maduro non è un patriota venezuelano, è un burattino di Cuba», ha detto Trump.Non è la prima volta che viene levata una voce di denuncia sull’impatto umanitario delle sanzioni Usa. In gennaio un report speciale dell’Onu firmato da Idriss Jazairy aveva detto che le sanzioni «possono portare alla fame, alla mancanza di medicinali, e non sono la risposta alla crisi in Venezuela». «La coercizione, sia essa militare o economica, non deve mai essere usata per cercare di cambiare un governo in uno stato sovrano», ha detto. «L’uso delle sanzioni da parte di potenze esterne al fine di rovesciare un governo eletto è una violazione di tutte le norme del diritto internazionale». Nel frattempo Alfred de Zayas, ex relatore speciale dell’Onu, che ha finito il mandato in marzo, ha accusato gli Usa di essersi impegnati in una «guerra economica» contro il Venezuela, che secondo lui ha danneggiato l’economia e ucciso molti venezuelani. Alla richiesta di commentare il report secondo il quale le sanzioni di Washington avrebbero ucciso decine di migliaia di persone, il dipartimento di Stato Usa ha dichiarato che «come gli stessi autori ammettono, il rapporto è basato su speculazioni e congetture».«La situazione economica in Venezuela è in peggioramento da decenni, come gli stessi venezuelani confermano, a causa dell’inettitudine e della cattiva gestione di Maduro. Quest’ultimo assieme ai suoi amici corrotti sono gli unici responsabili delle sofferenze del popolo venezuelano e della fuga di oltre tre milioni di cittadini verso altri paesi, oltre agli innumerevoli morti», ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato. «Le nostre sanzioni sono state una risposta alla corruzione, alla cattiva gestione, agli abusi, e stanno servendo a togliere al regime di Maduro i fondi che questo usa per reprimere il popolo del Venezuela». Il report del Cepr afferma che le sanzioni Usa «rispecchiano esattamente la definizione di pena collettiva inflitta a una popolazione civile, così come descritta sia dalla convenzione internazionale di Ginevra che da quella dell’Aia, di cui gli Stati Uniti sono sottoscrittori. Queste sanzioni sono illegali secondo il diritto internazionale».(Andrew Buncombe, “Le sanzioni degli Stati Uniti sul Venezuela responsabili di ‘decine di migliaia’ di morti, sostiene un nuovo rapporto”, da “The Independent” del 26 aprile 2019; articolo tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).Potrebbe ammontare a 40.000 il numero delle persone morte in Venezuela a causa delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti, che hanno reso più difficile per la gente comune avere accesso al cibo, ai medicinali e alle apparecchiature mediche, secondo quanto descritto da un nuovo report. Il rapporto, pubblicato dal Centre for Economic and Policy Research (Cepr), un centro studi di ispirazione progressista con sede a Washington, sostiene che queste morti sarebbero avvenute in seguito all’imposizione delle sanzioni a partire dall’estate del 2017. Sostiene inoltre che la situazione è probabilmente peggiorata con l’imposizione di ulteriori e più dure sanzioni all’inizio di quest’anno, sanzioni che hanno colpito l’industria del petrolio, di vitale importanza per il Venezuela, e che rappresentano parte dello sforzo compiuto dall’amministrazione Trump per cacciare il presidente Nicolas Maduro. «Le sanzioni stanno privando i venezuelani di medicinali salvavita, apparecchiature mediche, cibo e altri beni di importazione essenziali», dice il report firmato da Jeffrey Sachs, noto economista della Columbia University, e Mark Weisbrot. «Questo è illegale sia secondo le leggi statunitensi sia secondo quelle internazionali, ed è illegale in base ai trattati firmati dagli stessi Usa. Il Congresso dovrebbe decidersi a fermare tutto questo».
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A Milano tutta la verità sulla scomparsa di Federico Caffè
Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.Cosa c’era in ballo? Il nuovo assetto del mondo: l’imminente crollo dell’Urss e l’avvento della “dittatura” tecnocratica di Bruxelles, fondata sull’austerity. Fino al dilagare del neoliberismo globalizzato, dominato dalla finanza predatoria. Nel saggio “Il più grande crimine”, Paolo Barnard indica una data precisa per l’inizio della grande restaurazione, da parte dell’élite antidemocratica: il 1971, anno in cui a Wall Street l’avvocato d’affari Lewis Powell fu incaricato dalla Camera di Commercio Usa di redigere il famigerato Memorandum per la riconquista del potere da parte dell’oligarchia, costretta sulla difensiva per decenni in tutto l’Occidente grazie alla storica avanzata del progressismo liberale, socialista e sindacale. Era il segnale della “fine della ricreazione”: da allora, sempre meno diritti – per tutti. Ci vollero anni, naturalmente, per passare ai fatti. E’ del 1975 il manifesto “La crisi della democrazia”, commissionato dalla Trilaterale a Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki. La tesi: troppa democrazia fa male. Parola d’ordine: togliere agli Stati il potere di spesa, necessario per alimentare il welfare e quindi il benessere diffuso.Cinque anni dopo esplosero Ronald Reagan negli Stati Uniti e Margaret Thatcher nel Regno Unito. Cattivi maestri: l’austriaco Friedrich von Hayek e l’americano Milton Friedman, economista della Scuola di Chicago. Stesso dogma: tagliare il debito pubblico, rinunciare al deficit. Pareggio di bilancio: meno soldi al popolo, all’economia reale. Un incubo, culminato con i recentissimi orrori del rigore europeo, capace di martirizzare la Grecia lasciando gli ospedali senza medicine per i bambini. Come si è potuti arrivare a tanto? In molti modi, e attraverso infiniti passaggi. Il primo dei quali è tristemente noto: la demolizione di John Maynard Keynes, il più eminente economista del ‘900. Se il lascito di Marx aveva forgiato la coscienza sociale degli operai, sfruttati dal capitalismo selvaggio, l’inglese Keynes escogitò un sistema perfetto per rimettere in equilibrio capitale e lavoro, attraverso la leva finanziaria strategica dello Stato. Ereditando un’America messa in ginocchio dalla Grande Depressione del 1929, Roosevelt con il New Deal fece esattamente il contrario di quanto gli aveva consigliato la destra economica: anziché tagliare la spesa per “risanare” i conti pubblici, mise mano a un deficit illimitato per creare lavoro.L’altra mossa, decisiva, fu il Glass-Steagall Act: netta separazione tra banche d’affari e credito ordinario, per evitare che i risparmi di famiglie e imprese finissero ancora una volta nella roulette della Borsa. Un atto eroico, la guerra contro la finanza speculativa, rinnegato – a distanza di mezzo secolo – dal “progressista” Bill Clinton, subito dopo il famoso sexgate che l’aveva travolto, l’affare Monica Lewinsky. Nel frattempo, in Europa, era stato Tony Blair a rottamare il socialismo liberaldemocratico dei laburisti, inaugurando – con Clinton – la sciagurata “terza via” che avrebbe condotto l’ex sinistra a smarrire se stessa. Desolante il caso italiano: passando per Romano Prodi, lo smantellatore dell’Iri, si va dal Massimo D’Alema che nel 1999 si vantava di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni, per arrivare all’infimo Bersani, capace nel 2011 si sottomettere il Pd al governo Monti, sottoscrivendo i tagli senza anestesia, il Fiscal Compact, la legge Fornero sulle pensioni e il pareggio di bilancio in Costituzione.Una pesca miracolosa, quella condotta dall’élite tra le fila dell’ex sinistra: a partire dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la regia di Ciampi, la vera “notte della Repubblica” (attacco ai diritti del lavoro, flessibilità e precarizzazione) è stata condotta con la complicità di personaggi come Visco, Bassanini, Padoa Schioppa, Amato, lo stesso Ciampi e altri baroni della nuova tecnocrazia “incoronata” da Mani Pulite, al servizio delle potenze straniere intenzionate a saccheggiare il Belpaese grazie alla “cura” finto-europeista. Lo spiegò lo stesso Galloni in una memorabile intervista a “ByoBlu”: la deindustrializzazione dell’Italia fu pretesa della Germania come compensazione, in cambio della rinuncia al marco. Era stata la Francia di Mitterrand a imporre l’euro ai tedeschi, pena il veto francese alla riunificazione delle due Germanie. Cominciava una festa, per molta parte d’Europa, caduta la Cortina di Ferro grazie a Gorbaciov. Per l’Italia, invece, il sogno si sarebbe trasformato in un incubo. Supremo regista della grande illusione, Mario Draghi: a bordo del Britannia di mise a disposizione dei poteri che progettavano la svendita del paese, venendo poi premiato prima come governatore di Bankitalia e poi come presidente della Bce.Oggi, grazie a tutto questo, è diventato “normale” che un governo italiano non riesca a ottenere un deficit del 2,4% (irrisorio), ed è “fisiologico” che il fantasma dell’ex sinistra – il Pd – trovi giusto che siano i commissari Ue, non eletti da nessuno, a poter calpestare un esecutivo regolarmente eletto. Peggio: è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a spiegare – bocciando la nomina di Paolo Savona come ministro dell’economia – che sono i mercati, e non gli elettori, ad avere l’ultima parola. Contro questa palude si muove il laboratorio politico rappresentato dal Movimento Roosevelt. Obiettivo: ribaltare il tavolo delle convenzioni dogmatiche degli ultimi trent’anni, risvegliando la politica dormiente fino a portarla a riscrivere le regole. La prima: Europa o meno, il popolo deve tornare sovrano. Tradotto: le elezioni devono poter decidere chi governerà davvero, e come. E a dire di no a un governo eletto potrà essere solo, domani, un governo federale europeo a sua volta emanato democraticamente dall’Europarlamento, sulla base di una Costituzione democratica che oggi l’Ue non sa neppure cosa sia. Chi l’ha detto che il deficit non può superare il 3% del Pil? Il Trattato di Maastricht va gettato nella spazzatura, ecco il punto. Bel problema: da dove cominciare?La prima cosa da fare è dire finalmente la verità: lo sostiene Magaldi, che il Movimento Roosevelt l’ha creato. Rivelazioni e denunce continue, da parte sua. Mattarella? Un paramassone che obbedisce al massone Visco di Bankitalia, a sua volta un burattino del massone Draghi. Di Maio che omaggia la Merkel, dopo aver ceduto sul deficit gialloverde? Brutto segno: tenta di accreditarsi presso le superlogge come la Golden Eurasia, quella della Cancelliera, sperando così di sopravvivere al prevedibile declino dei 5 Stelle. Grande occasione perduta, il governo del non-cambiamento, di fatto prono ai diktat della Disunione Europea che sta mandando in malora l’economia del continente. Fenomeno vistoso: si sta impoverendo la classe media alla velocità della luce, come dimostrano i Gilet Gialli in Francia, dove qualcuno – dice sempre Magaldi – ha pensato bene di dare alle fiamme persino un simbolo nazionale come Notre-Dame. Sono sempre loro, i registi occulti della strategia della tensione europea: hanno seminato il terrore nelle piazze per spianare la strada all’austerity dei governi.Rosselli, Palme e Sankara: ecco, da dove ripartire. Socialismo liberale: il grande premier svedese voleva “tagliare le unghie al capitalismo”. Stava per essere eletto segretario generale dell’Onu: poltrona da cui avrebbe vegliato anche sull’Europa, impedendo che si arrivasse a questo aborto di Unione Europea. Certo, c’è dell’altro: qualcuno nel frattempo avrebbe fatto entrare la Cina nel Wto senza pretendere nessuna garanzia, da Pechino, sui diritti dei lavoratori. Risultato: concorrenza sleale sui prezzi delle merci e grande crisi della manifattura occidentale. E qualcun altro, l’11 settembre del 2001, avrebbe fatto saltare in aria le Torri Gemelle a New York. Obiettivo: poter invadere l’Iraq e l’Afghanistan, fabbricando il fantasma del terrorismo jihadista (Al-Qaeda, Isis) con cui ricattare il mondo. Bagni di sangue (Libia, Siria) o rivoluzioni colorate (Georgia, Ucraina), o magari primavere arabe (Tunisia, Egitto): il risultato non cambia, si punta sempre sul caos. Così l’Italia si scanna sui migranti e il Pd attacca Salvini anziché Macron. E nessuno guarda al di là del mare.Lo fa Ilaria Bifarini, anche lei attesa al convegno di Milano con il suo saggio “I coloni dell’austerity”, ovvero “Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”. Negli anni ‘80, quando Olof Palme faceva della Svezia il paradiso europeo del welfare, l’africano Thomas Sankara trasformava l’Alto Volta coloniale nel coraggiosissimo Burkina Faso, il “paese degli uomini liberi”, con una promessa: nessuno, qui, morirà più di fame. Lo disse ad alta voce, nel 1987, davanti ai leader africani: chiediamo all’Occidente di cancellare il debito dell’Africa. Tre mesi dopo fu ucciso, su mandato francese. In Africa, il giovane Sankara godeva di un prestigio immenso, pari a quello di Palme in Europa. Con loro ancora al potere, non avremmo visto né questa Ue né i barconi dei migranti. Il premier svedese era stato freddato un anno prima, da un killer rimasto sconosciuto. Non così i mandanti: “La palma svedese sta per cadere”, telegrafò alla vigilia dell’omicidio Licio Gelli, il capo della P2, avvertendo il parlamentare statunitense Philip Guarino. Lo scrive, nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, lo stesso Gianfranco Carpeoro, altro esponente “rooseveltiano” impegnato nell’assise milanese, da cui ora si attendono precise rivelazioni sulle connessioni tra i delitti Palme e Sankara e la scomparsa di Caffè. Erano uomini da eliminare: troppo ingombranti, per chi voleva instaurare – in Europa e nel mondo – il regno del caos e dei profitti stellari, al prezzo dell’impoverimento generale.Tutto questo, purtroppo, è molto massonico. Lo sostiene Gioele Magaldi, che nel suo saggio spiega che nel 1980 tutte le superlogge – anche quelle progressiste – aderirono al patto “United Freemasons for Globalization”. Una tregua armata, dopo che negli anni Sessanta erano stati uccisi Bob Kennedy e Martin Luther King: un ticket fantastico, che le Ur-Lodges democratiche avrebbero voluto alla Casa Bianca, come presidente e vice. E’ come se la stessa mano provvedesse a uccidere gli avversari che non si possono corrompere né intimidire. Per inciso, aggiunge Magaldi, erano massoni anche Palme e Sankara, così come Gandhi, Mandela e lo stesso Yitzhak Rabin, assassinato da manovalanza estremista. Quanto al convegno di Milano, chiosa Magaldi, non si tratta di limitarsi a celebrare la memoria di giganti come Rosselli e Palme, Sankara e Caffè: l’intenzione è quella di creare una nuova agenda politica, in base alla quale nessuno possa più fingere di essere progressista mentre soggiace alla post-democrazia Ue. Una sfida a viso aperto: c’è da fare una rivoluzione culturale. Il pareggio di bilancio? E’ un crimine politico contro il popolo. Sarebbe ben lieto di spiegarlo autorevolmente lo stesso Caffè, se fosse ancora qui, in questa Italia le cui televisioni spacciano per verità le frottole quotidiane di personaggi come Elsa Fornero e Carlo Cottarelli, mestieranti nostrani del peggior neoliberismo.(Il convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli, Thomas Sankara e contro la crisi globale della democrazia” è promosso dal Movimento Roosevelt venerdì 3 maggio 2019 a Milano, col patrocinio del Comune, presso la sala conferenze del Museo del Risorgimento a Palazzo Moriggia, via Borgonuovo 23 (zona Brera), dalle ore 10 alle 17.30. Interverranno Angelo Turco, Gioele Magaldi e l’ambasciatore italiano in Svezia Marco Cospito, insieme a Felice Besostri, Nino Galloni, Paolo Becchi, Gianfranco Carpeoro, Otto Bitjoka, Marco Moiso, Sergio Magaldi, Egidio Rangone, Danilo Broggi, Pierluigi Winkler, Giovanni Smaldone, Michele Petrocelli, Aldo Storti, Marco Perduca e Lorenzo Pernetti. Nel corso dell’evento, introdotto da brevi rappresentazioni teatrali su Sankara e Rosselli offerte da Ricky Dujany e Diego Coscia, verrà presentato il bestseller di Ilaria Bifarini “I coloni dell’austerity”, mentre Carlo Toto e Paolo Mosca anticiperanno il trailer del docu-film “M: il Back-Office del Potere”. Tra i dirigenti del Movimento Roosevelt interverranno anche Daniele Cavaleiro, Roberto Alice, Fiorella Rustici, Zvetan Lilov, Alberto Allas, Roberto Luongo, Roberto Hechich, Massimo Della Siega e Roberto Peron. Per informazioni: segreteria generale e presidenza del MR. Coordinamento ufficio stampa e relazioni esterne: Monica Soldano, 348.2879901).Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.
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Notte della sinistra? Troppo americana la verità di Rampini
Da troppo tempo il capitale mondiale si è affidato ai servigi d’una sinistra che, ripudiato il classico ruolo di tutela degli interessi delle classi subalterne, si è schierata dalla parte dei potenti. Ora è il momento di sbarazzarsi di questi servi sciocchi che, per voler strafare, si sono sputtanati al punto da non poter più garantire legittimità al regime neoliberista. Allertate dal dilagare del populismo («uno spettro che si aggira per l’Europa» lo ha definito il “New York Times”, parafrasando un detto di Marx) le élite dominanti sguinzagliano i migliori cervelli per escogitare alternative. Costoro suggeriscono due possibili soluzioni: da un lato, la cooptazione dei populismi di destra per investirli del ruolo di garanti della continuità del sistema, dall’altro, la ricostruzione di una sinistra social-liberale capace di riottenere il consenso popolare. L’ultimo libro di Federico Rampini, noto corrispondente di “Repubblica” da New York (“La notte della sinistra”, Mondadori), inscrive l’autore fra i promotori della seconda soluzione.Il libro contiene una serie di feroci critiche nei confronti delle sinistre “fighette”, tali da far impallidire quelle che il sottoscritto ha rivolto contro lo stesso bersaglio (Vedi “Il socialismo è morto. Viva il socialismo”, Meltemi): la sinistra che ha abbandonato al loro destino i deboli, si salva l’anima impegnandosi a proteggere gli ultimi solo se e quando sono immigrati stranieri (regalando alle destre la rappresentanza della rabbia degli autoctoni poveri); la sinistra “cosmopolita” esalta l’apertura dei mercati finanziari, rinunciando a proteggere l’economia nazionale dalla colonizzazione straniera (spalancando ponti d’oro alla propaganda “sovranista”); la sinistra “politicamente corretta”, relegati in soffitta Gramsci e Pasolini, elegge a propri eroi intellettuali star hollywoodiane e boss della canzone e dello spettacolo, gente che esibisce sgargianti divise femministe e antirazziste confezionate dai loro consulenti di marketing; la sinistra “ecologista”, che viaggia su auto elettriche da centomila euro, pretende che gli sfigati che circolano su sgangherate utilitarie finanzino le politiche ambientaliste pagando tasse sul carburante “sporco” (innescando la rabbia dei gilet gialli contro Parigi).Rampini è passato dalla parte del popolo e chiama alla rivoluzione? Non proprio, come vedremo. La sua indignazione nei confronti del “buonismo” dei militanti no border, per esempio, è compatibile con un atteggiamento apologetico nei confronti di vecchi e nuovi colonialismi. La sinistra recita il mea culpa per i crimini occidentali che provocano la miseria degli altri popoli, costringendoli a migrare? Così rimuove colpe e responsabilità delle presunte “vittime”, sentenzia Rampini, che poi aggiunge: bene e male sono equamente distribuiti e noi non siamo l’ombelico del mondo. Curiosa critica dell’eurocentrismo, visto che non contesta la missione “civilizzatrice” dell’Occidente, purché affidata al comando imperiale americano, orientato – beninteso – in senso progressista, “di sinistra”. La polemica di Rampini contro le sinistre radical chic, si accompagna infatti al sogno di rilanciare la vecchia, cara sinistra del trentennio glorioso, quella sinistra keynesiana/kennediana che gestiva il compromesso fra capitale e lavoro, assicurava welfare, occupazione e salari decenti e cooptava le classi subalterne nella lotta contro la minaccia sovietica.Nostalgia delle sinistre socialdemocratiche al tempo della guerra fredda, che mai si sarebbero sognate di mettere in discussione l’egemonia americana, né avrebbero imboccato la via dell’austerità, suscitando la reazione populista. Nostalgia di politiche che solo la guerra fredda, evocando lo spettro di un’alternativa globale al sistema capitalista, aveva reso possibili. Ecco perché Rampini fa di tutto per resuscitare quello spettro, coltivando un’ideologia che potremmo definire “anticomunismo senza comunisti”. Così la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping vengono arruolati per evocare l’immagine di un nuovo “Impero del male”, sorvolando sul fatto che a giocare il ruolo di aggressore e provocatore, in questa nuova sfida planetaria, sono gli Stati Uniti assai più di questi paesi. Così il tentato golpe contro Maduro, ispirato da Washington e affidato a una figura priva di ogni legittimazione democratica, viene presentato come un intervento “umanitario” per restaurare la democrazia, e non come l’ennesima interferenza in un Paese latinoamericano per mantenere il controllo sul “cortile di casa” senza sottilizzare sui mezzi (do you remember Allende?). Così Snowden e Assange, da eroi della lotta per la trasparenza dell’informazione (come venivano descritti fino a qualche anno fa anche dalla maggior parte dei media occidentali), diventano infami spie russe.Concludo osservando che il libro di Rampini è stato fin troppo profetico in merito all’ultimo punto, tanto che – a costo di apparire “complottista” – mi sorge il dubbio che disponesse di informazioni riservate sull’imminenza del blitz nell’ambasciata ecuadoriana di Londra per catturare Assange. In ogni caso, il libro ha anticipato la campagna denigratoria che i media hanno scatenato contro i “traditori” dell’Occidente, con toni da propaganda prebellica. Vedi quanto scrive Beppe Severgnini sul “Corriere della Sera”: «È vero: gli Stati Uniti hanno abusato della propria supremazia tecnologica per infiltrarsi nella vita di troppe persone, negli Usa e all’estero. Ma è lecito istigare una fonte a commettere un reato, come ha fatto Assange con Chelsea Manning, che sottrasse migliaia di documenti segreti? È giusto che tutto sia sempre noto a tutti?». Traduco: è giusto che i cittadini sappiano cosa succede nel segreto dei comandi militari? Non è meglio tenerli all’oscuro sui crimini commessi dal proprio campo, in modo che continuino a credere che il male sta tutto dall’altra parte?(Carlo Formenti, “Rampini, Assange e la notte della sinistra”, da “Micromega” del 15 aprile 2019).Da troppo tempo il capitale mondiale si è affidato ai servigi d’una sinistra che, ripudiato il classico ruolo di tutela degli interessi delle classi subalterne, si è schierata dalla parte dei potenti. Ora è il momento di sbarazzarsi di questi servi sciocchi che, per voler strafare, si sono sputtanati al punto da non poter più garantire legittimità al regime neoliberista. Allertate dal dilagare del populismo («uno spettro che si aggira per l’Europa» lo ha definito il “New York Times”, parafrasando un detto di Marx) le élite dominanti sguinzagliano i migliori cervelli per escogitare alternative. Costoro suggeriscono due possibili soluzioni: da un lato, la cooptazione dei populismi di destra per investirli del ruolo di garanti della continuità del sistema, dall’altro, la ricostruzione di una sinistra social-liberale capace di riottenere il consenso popolare. L’ultimo libro di Federico Rampini, noto corrispondente di “Repubblica” da New York (“La notte della sinistra”, Mondadori), inscrive l’autore fra i promotori della seconda soluzione.
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Federico Caffè fu fatto sparire dai killer di Palme e Sankara
Non abbiate paura, il Deep State non è più un monolite oscuro: tra le sue fila oggi ci sono anche i “buoni”, che vigilano sui politici coraggiosi. Tesi firmata da Gioele Magaldi, frontman italiano della massoneria progressista sovranazionale e autore del saggio “Massoni”, che nel 2014 ha svelato il vero volto – supermassonico – dell’oligarchia reazionaria che da decenni regge le sorti del pianeta. In vena di rivelazioni, Magaldi oggi si spinge oltre. Il caso Julian Assange? Aspettate e vedrete: non tutti i mali vengono per nuocere. Può darsi che il suo ruvido arresto non preluda a chissà quale punzione: niente di più facile che si ritorca contro i personaggi messi in imbarazzo proprio dal fondatore di Wikileaks (come Hillary Clinton, accusata di aver truccato le primarie democratiche Usa, che in realtà sarebbero state vinte dall’outsider Bernie Sanders). E non è tutto: il 3 maggio, a Milano, sono in arrivo rivelazioni potenzialmente esplosive sul mistero del professor Federico Caffè, insigne economista keynesiano scomparso da Roma il 15 aprile 1987. Dietro, anticipa Magaldi, c’è la stessa mano che un anno prima aveva assassinato il premier svedese Olof Palme, e che di lì a poco avrebbe ucciso Thomas Sankara, leader rivoluzionario del Burkina Faso. Tre personaggi scomodi, che ostacolavano il dominio globale neoliberista. Oggi però – altra notizia – non sarebbe più possibile eliminarli: «Fare il gioco sporco, ai nemici della democrazia, non conviene più: sanno perfettamente che in quello stesso Deep State ci sono anche elementi progressisti».Unico indizio a disposizione, per ora: la sicurezza italiana. Tra il 2015 e il 2016, dopo la strage nella redazione parigina di Charlie Hebdo, l’intera Europa sembrava sul punto di trasformarsi in un mattatoio. Eppure, Magaldi annunciò: vedrete che il nostro paese non subirà attentati. Motivo: l’antiterrorismo italiano è “pulito” e coopera strettamente con settori della Cia altrettanto leali. Il terrorismo targato Isis, aggiunse, può colpire solo in paesi dove i servizi segreti sono infiltrati dagli agenti della strategia della tensione: la Francia in primis, ma anche – come si è visto – il Belgio e la Spagna, il Regno Unito e la Germania. In altre parole: se i “cattivi” hanno orchestrato il terrore per affermare il loro potere (magari impaurendo Hollande per poi lanciare Macron), sul fronte opposto i “buoni” si sono accordati per unire le forze e proteggere almeno uno Stato europeo: non un paese a caso, naturalmente, ma l’Italia che di lì a poco sarebbe diventata gialloverde. Messaggio: non siete più onnipotenti, se c’è un pezzo di Europa che resta al riparo del vostro stragismo che spara nel mucchio, mietendo vittime tra i passanti. E sarà proprio l’Italia la prima pietra su cui costruire una nuova Europa, finalmente democratica.Missione compiuta? Solo a metà: gli ultimi anni in Italia sono trascorsi senza sangue, ma il governo Conte si è lasciato ugualmente spaventare da Bruxelles. Colpa del Deep State, ammette il deputato grillino Pino Cabras: al governo, dice, insieme ai 5 Stelle e alla Lega c’è anche un terzo incomodo, lo “Stato profondo” che ha potentissimi terminali anche al Quirinale, e lavora per sabotare il cambiamento. Nel bloccare la nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia, Sergio Mattarella spiegò che “i mercati” (veri padroni della situazione, quindi, a prescindere dalle elezioni) non l’avrebbero gradito, quel ministro. Con Savona all’economia, non avrebbero esitanto a mettere nei guai l’Italia con il ricatto dello spread. Dal convegno londinese sul New Deal Europeo, organizzato dal Movimento Roosevelt, Cabras ha rincarato la dose: lo “Stato profondo” è insediato ovunque, anche nei ministeri oltre che al Colle, e sta frenando qualsiasi cambio di paradigma: «Lega e 5 Stelle sono divisi su tutto, tranne che su un punto: resistere al Deep State, nel tentativo di dare più soldi agli italiani». Magaldi apprezza il coraggio di Cabras, la cui denuncia – clamorosa – è passata sotto silenzio, letteralmente ignorata dai media. «Il Deep State, però, non può diventare un alibi: perché il governo gialloverde non ci ha nemmeno provato, a rompere le regole Ue con un bel 10% di deficit. Si è limitato a quel misero e inutile 2%, prendendo schiaffoni a Bruxelles e tornando a Roma con la coda tra le gambe».Poteva andare diversamente? «Doveva», dice Magaldi. Che spiega: tutto sta cambiando, ai piani alti. «E già oggi, i politici intenzionati a lavorare per il benessere della collettività non hanno più motivo di avere paura di essere soli, di fronte a chi vorrebbe delegittimarli con la diffamazione o addirittura ucciderli, come nel caso di Palme e Sankara, o magari farli sparire, come accadde a Federico Caffè». Ed ecco la rivelazione, che Magaldi anticipa il 15 aprile a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming settimanale del lunedì, su YouTube: al convegno milanese del 3 maggio (“Nel segno di Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara, contro la crisi globale della democrazia”) sarà lo stesso Magaldi a fornire dettagli inediti sui mandanti della sparizione di Caffè. Altre notizie clamorose saranno fornite dall’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt e già allievo di Federico Caffè. Il professore era il più importante economista keynesiano: formò personaggi come Mario Draghi e Marcello De Cecco, Bruno Amoroso e Ignazio Visco (Bankitalia), Franco Archibugi e Giorgio Ruffolo. E poi Luigi Spaventa, Enrico Giovannini, Ezio Tarantelli (assassinato dalle Br) e lo stesso Alberto Bagnai, ora senatore leghista.Persino Wikipedia scrive che Federico Caffè fu uno dei principali diffusori della dottrina keynesiana in Italia, occupandosi tanto di politiche macroeconomiche che di “economia del benessere”: «Al centro delle sue riflessioni economiche ci fu sempre la necessità di assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i ceti più deboli». In altre parole, era il “cervello” dell’economia democratico-progressista: piena occupazione e welfare, cioè l’esatto contrario della politica del rigore che avrebbe preso il sopravvento, diventando un dogma – lo strapotere dei “mercati” – cui sembra piegarsi anche il Quirinale. La sua improvvisa scomparsa è un mistero rimasto irrisolto? Ufficialmente sì, ma non per Magaldi: secondo il presidente del Movimento Roosevelt, il convegno di Milano strapperà finalmente il velo sul caso Caffè. «C’è un filo rosso – avverte – che lega la sua sparizione agli omicidi di Olof Palme e Thomas Sankara». Palme, carismatico leader socialdemocratico svedese, era il faro del socialismo europeo: aveva varato il miglior welfare del continente e stava per essere eletto segretario generale dell’Onu. Una carica che gli avrebbe consentito di vegliare anche sull’Europa, scongiurando l’avvento del feroce ordoliberismo mercantilista che, da Maastricht in poi, ha rimesso in sella l’élite impoverendo il 99% della popolazione.Quanto a Sankara, parla per lui l’esodo dei migranti che sbarcano in Italia partendo dall’Africa Subsahariana affamata dal neocolonialismo: tre mesi prima di essere assassinato, il giovane leader del Burkina Faso aveva chiesto la cancellazione del debito estero e la fine degli aiuti finanziari all’Africa, vere e proprie catene post-coloniali. Il sogno del socialista Sankara? Un’Africa libera e sovrana, padrona a casa propria, capace di crescere basandosi sulle sue forze. «C’è un nesso che collega l’omicidio di Sankara e quello di Palme alla sparizione di Federico Caffè», insiste Magaldi, preparandosi a fornire dettagli inediti su quegli eventi che, nella seconda metà degli anni ‘80, hanno contribuito a plasmare lo sconfortante scenario di oggi. Un nome esemplare? Mario Draghi: il super-banchiere della Bce «non ha seguito il suo maestro, Federico Caffè, e oggi è nel gotha dei burattinai, degli artefici della involuzione post-democratica dell’Europa e del mantenimento del paradigma ideologico neoliberista in Europa e nel mondo». Paradigma spietato, per il quale ha duramente lavorato il Deep State massonico reazionario di cui lo stesso Draghi, secondo Magaldi, è un autorevolissimo esponente.Si può credere, a Magaldi? Qualcuno, di fronte al saggio “Massoni” (bestseller italiano, ignorato dai media mainstream) si è ritratto, rifugiandosi dietro l’assenza di prove documentali. Falso problema, assicura l’autore, che in premessa avverte: «Chiunque si senta diffamato me lo segnali, ed esibirò le carte che lo riguardano: dispongo di 6.000 pagine di documenti, troppo ingombranti per essere inseriti in un volume». Corollario: nessuno dei tantissimi big menzionati – Napolitano e Monti, lo stesso Draghi – si è azzardato a smentire alcunché. Meglio la consegna del silenzio. Ma il meccanismo innescato da quel libro sembra inesorabile: operazione trasparenza. Nel 2015, Magaldi ha fondato il Movimento Roosevelt. A fine marzo, ha promosso a Londra un confronto strategico tra economisti e politologi per mettere a fuoco un possibile New Deal europeo, basato sul recupero di Keynes (spesa pubblica strategica) per abbattere l’ideologia dell’austerity e restituire benessere alla popolazione. E ora è in arrivo l’assise milanese su Rosselli, Palme e Sankara, con anche le inedite news sulla sorte di Federico Caffè. «Questo incontro serve a dire: viviamo da decenni sotto la cappa di un’ideologia imperante e pervasiva, egemonizzante – il neoliberismo – che noi adesso rifiutiamo radicalmente».Il Movimento Roosevelt, continua Magaldi, si ispira alla lezione di Rosselli, Palme e Sankara: «Il nostro è un laboratorio politico che ha iniziato il suo percorso rivoluzionario a Londra, e a Milano affronta la sua seconda tappa». Teoria e pratica del Piano-B: «La nostra è un’ideologia social-liberale, opposta al neoliberismo: vogliamo proporla in Europa e nel mondo, ridando fiato a una corrente di pensiero che è stata rimossa, nei vari centrosinistra e centrodestra di tutto l’Occidente, a favore di una pervasività dogmatica del neoliberismo». Non si scherzava, ai tempi di Rosselli, ucciso su mandato del regime fascista di Mussolini. Ma c’era poco da ridere anche all’epoca di Palme, unico premier europeo assassinato mentre era in carica: freddato nella civilissima Svezia all’uscita di un cinema, nel cuore dell’Europa democratica. Il killer? Rimasto nell’ombra, ma fino a un certo punto: gli svedesi ricordano benissimo la strana morte del giallista Stieg Larsson, che al caso Palme si era interessato svolgendo indagini accurate, fino a consegnare alla polizia svariati documenti. La pista: servizi segreti, Deep State oscuro. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016, Gianfranco Carpeoro – dirigente del Movimento Roosevelt – ricorda che, alla vigilia dell’omicidio Palme, un certo Licio Gelli indirizzò al senatore statunitense Philip Guarino il seguente telegramma: “La palma svedese sta per cadere”.Se ti metti contro il Deep State, puoi rischiare la pelle: succede spesso, ed è capitato anche a Julian Assange. «Puoi essere fatto fuori con la diffamazione e la delegittimazione, con il fango che ti gettano addosso, oppure puoi essere eliminato». Assange? «Ha avuto coraggio», ammette Magaldi: «C’è dell’eroismo, nel suo agire». Per Magaldi, però, il destino del fondatore di Wikileaks non è segnato: «La questione è estremamente complessa», si limita per ora a dire l’autore di “Massoni”, lasciando capire che attorno al giornalista australiano si muovono forze diverse e opposte, e che l’estradizione richiesta da Trump potrebbe non trasformarsi in una feroce vendetta nei confronti di Assange. Il motivo? Sempre lo stesso: starebbe cambiando la natura del Deep State. O meglio, la sua composizione. «Oggi, se si ha il coraggio di svolgere il proprio mandato democratico – dichiara Magaldi – lo si può fare senza più il timore di essere eliminati, perché nel Deep State c’è stata, è in corso e si sta irrobustendo di mese in mese una riorganizzazione dei circuiti massonici progressisti, i quali non consentiranno – come è stato in passato – che nessun sincero politico democratico venga assassinato o eliminato in modo improprio».Beninteso: il nemico è ancora molto potente. Uomini che hanno conquistato i posti chiave della finanza, dell’economia, degli Stati. Magaldi li definisce «gli alfieri della massoneria neoaristocratica, i costruttori dell’ideologia neoliberista: quelli che tuttora gestiscono una globalizzazione di merci e capitali che non è fatta anche di diritti, di democrazia e di giustizia sociale». Ma aggiunge: «Credetemi, oggi a quei signori non conviene giocare sporco, nel momento in cui nella questione sono coinvolti anche i massoni democratico-progressisti che hanno la stessa consuetudine con il Deep State. Non gli conviene, è un problema di calcolo». E insiste: «Se c’è qualcuno che vuole agire a beneficio del popolo non abbia paura, non si lasci fermare da minacce o blandizie. Vada avanti per la sua strada, perché c’è chi è in grado, con la sua sola presenza, di frapporsi alle indebite interferenze da parte di rappresentanti del Deep State che vogliono sovvertire le regole del gioco democratico, piegandole a interessi opachi di natura privata». Per questo, aggiunge Magaldi, non hanno più scuse tutti quei politici «divenuti maggiordomi e camerieri, senza più quella forza di elaborazione politica che a molti, nel Novecento, è costata la vita».Oggi, assicura Magaldi, i politici che volessero davvero «difendere il senso e la dignità del proprio mandato, operando al servizio della collettività», possono evitare di farsi intimidire o corrompere per eseguire gli ordini dei soliti burattinai: «Li invito a cercare proprio nell’ambito del Deep State quei circuiti progressisti che sono impegnati per la difesa della democrazia, e che quindi potranno garantire che il Deep State oscuro non interferisca più con lo svolgimento di una normale dialettica democratica». Magaldi è stato affiliato alla Thomas Paine, la più progressista delle 36 Ur-Lodges che gestiscono il back-office del potere mondiale. Il suo Grande Oriente Democratico, movimento massonico d’opinione, è collegato alle superlogge progressiste. E’ in corso una sorta di guerra inframassonica: dopo decenni di letargo, la componente democratica si starebbe risvegliando. Le prove del contrattacco in corso? Tanto per cominciare, la sicurezza di cui ha goduto l’Italia durante l’ultima stagione dell’infame auto-terrorismo europeo, targato Isis ma gestito da settori inquinati dell’intelligence. E ora, dice Magaldi, i cavalieri oscuri del peggior Deep State si preparino: il convegno di Milano svelerà dettagli clamorosi anche sulla misteriosa scomparsa di Federico Caffè.Non abbiate paura, il Deep State non è più un monolite oscuro: tra le sue fila oggi ci sono anche i “buoni”, che vigilano sui politici coraggiosi. Tesi firmata da Gioele Magaldi, frontman italiano della massoneria progressista sovranazionale e autore del saggio “Massoni”, che nel 2014 ha svelato il vero volto – supermassonico – dell’oligarchia reazionaria che da decenni regge le sorti del pianeta. In vena di rivelazioni, Magaldi oggi si spinge oltre. Il caso Julian Assange? Aspettate e vedrete: non tutti i mali vengono per nuocere. Può darsi che il suo ruvido arresto non preluda a chissà quale punizione: niente di più facile che si ritorca contro i personaggi messi in imbarazzo proprio dal fondatore di Wikileaks (come Hillary Clinton, accusata di aver truccato le primarie democratiche Usa, che in realtà sarebbero state vinte dall’outsider Bernie Sanders). E non è tutto: il 3 maggio, a Milano, sono in arrivo rivelazioni potenzialmente esplosive sul mistero del professor Federico Caffè, insigne economista keynesiano scomparso da Roma il 15 aprile 1987. Dietro, anticipa Magaldi, c’è la stessa mano che un anno prima aveva assassinato il premier svedese Olof Palme, e che di lì a poco avrebbe ucciso Thomas Sankara, leader rivoluzionario del Burkina Faso. Tre personaggi scomodi, che ostacolavano il dominio globale neoliberista. Oggi però – altra notizia – non sarebbe più possibile eliminarli: «Fare il gioco sporco, ai nemici della democrazia, non conviene più: sanno perfettamente che in quello stesso Deep State ci sono anche elementi progressisti».
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Bifarini: da 30 anni lo Stato spende meno di quanto incassa
Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Con un atto quasi univoco, cioè una semplice missiva all’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, Andreatta mette fine alla possibilità del governo di finanziare monetariamente il proprio disavanzo. Rimuovendo l’obbligo allora vigente da parte di Palazzo Koch di acquistare i titoli di Stato emessi sul mercato primario, la Banca d’Italia dismette il ruolo di prestatrice di ultima istanza. D’ora in poi, per finanziare la propria spesa pubblica, l’Italia deve attingere ai mercati finanziari privati, con la conseguente esplosione dei tassi d’interesse rispetto a quelli garantiti in precedenza. Ma non solo: viene rivisto il meccanismo di collocamento dei titoli di Stato, introducendo il cosiddetto «prezzo marginale d’asta», che consente agli operatori finanziari di aggiudicarsi i titoli al prezzo più basso tra quelli offerti e, quindi, al tasso di interesse più alto. Ad esempio, se durante un’emissione di 50 miliardi di Btp, 40 vengono aggiudicati a un rendimento del 3%, mentre il restante al 5%, alla fine tutti i 50 miliardi saranno aggiudicati al 5%!Spread e debito pubblico: fanno ormai parte delle nostre vite, ne sentiamo parlare continuamente, ossessivamente, tanto da preoccuparcene più della disoccupazione giovanile a livelli inverosimili e di una mancata crescita che ormai ci sta traghettando dalla crisi alla recessione. Eppure l’opinione pubblica ha talmente interiorizzato la narrazione mercato-centrica del mainstream che non sembra credere ad altro: siamo stati spendaccioni e irresponsabili (Piigs) e dobbiamo dunque espiare le nostre colpe con una giusta dose di rigore e disciplina. Dunque l’austerity è la giusta – nonché unica – strada da percorrere, così come vuole l’approccio dogmatico del modello economico neoliberista, il tatcheriano “Tina”, there is no alternative. Abbiamo un debito pubblico intorno al 130% del Pil, secondo in Ue solo a quello della Grecia, per cui meritiamo la condizione di sorvegliati speciali di Bruxelles e di essere dunque defraudati di una nostra politica fiscale autonoma (di quella monetaria siamo già stati privati). È la strada indicata dalla «virtuosa» Germania, esempio di disciplina e rispetto delle regole per noi italiani, così dissoluti e un anche un po’ scostumati.Gli effetti sono tanto disastrosi quanto immediati: l’ammontare di debito, che nel 1981 era intorno al 58,5%, dopo soli tre anni raddoppia e nel 1994 arriva al 121% del Pil. Come riportato dallo stesso Andreatta alcuni anni dopo, questo stravolgimento strutturale era necessario per salvaguardare i rapporti tra Unione europea e Italia, e per consentire al nostro paese di aderire allo Sme, ossia l’accordo precursore del sistema euro. Quando l’Italia fa il suo ingresso nell’euro non risponde ai parametri del debito pubblico richiesti da Maastricht, ma l’interesse politico e l’artefatto entusiasmo generale per la sua partecipazione hanno la meglio. Sarà la crisi del 2008 a far emergere tutti i limiti e la fallimentarietà di un’area valutaria non ottimale e insostenibile come l’Eurozona: l’Italia, come altri paesi, senza la possibilità di ricorrere alla svalutazione del cambio, non riesce a recuperare terreno. Il debito pubblico, che finora era rientrato in una fase discendente, passa dal 102,4% al 131,8% del 2017. Una crescita notevole, ma di gran lunga ridimensionata se paragonata all’incremento del debito pubblico di altri paesi dell’area euro, come Spagna, Portogallo e la stessa Francia.Nello stesso arco temporale, infatti, Madrid ha visto il suo debito pubblico schizzare dal 38,5% al 98,3%, il che significa un tasso incrementale di circa il 150%! La crisi non ha risparmiato neanche il vicino Portogallo, che è arrivato lo scorso anno a un livello del debito molto vicino al nostro (125,7%), partendo da un “contenuto” 71,7% del 2008. Eppure i due paesi iberici hanno sforato ripetute volte il famigerato vincolo del 3% – parametro tanto assiomatico quanto infondato – permettendo così all’economia di tornare a crescere, a differenza di quella italiana che si è incamminata nel percorso distruttivo dell’austerity. Situazione analoga per la Francia, con un valore del debito pubblico allo scoppiare della crisi inferiore del 70% e che oggi si aggira intorno al 100%, ma senza che ciò le abbia impedito di aumentare la spesa pubblica e il deficit di bilancio, assicurando in questo modo la crescita del Pil. Dunque, sintetizzando, il nostro famigerato debito pubblico è sì più elevato, ma è partito da una situazione di evidente svantaggio, ed è cresciuto in termini percentuali del tutto in linea con l’andamento degli altri paesi dell’euro a seguito della crisi; anzi, anche meno di altri, come abbiamo visto, e aggravato dalle politiche di austerity, i cui effetti deprimenti sull’economia sono conclamati.Rimane il problema dei tassi d’interesse (da cui il famigerato spread), da noi più elevati che altrove, proprio a causa delle modalità dei meccanismi di collocamento dei titoli di Stato introdotto a seguito dell’epocale divorzio tra i due istituti finanziari italiani. È stato stimato che in trent’anni abbiamo pagato la colossale cifra di 3mila miliardi di interessi sul debito pubblico! In queste circostanze a nulla valgono gli sforzi fiscali dell’Italia, che registra da quasi trent’anni avanzo primario, ossia quella situazione, del tutto antisociale, per cui lo Stato incassa più di quanto spende, esclusi gli interessi sul debito pubblico. Per onerare il costo del debito, ossia quell’assurda creazione del denaro dal denaro, vengono sottratte risorse finanziarie per servizi pubblici e sostegno alla popolazione in difficoltà. Dunque, una redistribuzione al contrario, dai cittadini ai mercati finanziari. Il tempo delle riforme è ormai improcrastinabile.(Ilaria Bifarini, “La verità sul debito pubblico italiano”, dal blog della Bifarini del 29 marzo 2019).Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Con un atto quasi univoco, cioè una semplice missiva all’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, Andreatta mette fine alla possibilità del governo di finanziare monetariamente il proprio disavanzo. Rimuovendo l’obbligo allora vigente da parte di Palazzo Koch di acquistare i titoli di Stato emessi sul mercato primario, la Banca d’Italia dismette il ruolo di prestatrice di ultima istanza. D’ora in poi, per finanziare la propria spesa pubblica, l’Italia deve attingere ai mercati finanziari privati, con la conseguente esplosione dei tassi d’interesse rispetto a quelli garantiti in precedenza. Ma non solo: viene rivisto il meccanismo di collocamento dei titoli di Stato, introducendo il cosiddetto «prezzo marginale d’asta», che consente agli operatori finanziari di aggiudicarsi i titoli al prezzo più basso tra quelli offerti e, quindi, al tasso di interesse più alto. Ad esempio, se durante un’emissione di 50 miliardi di Btp, 40 vengono aggiudicati a un rendimento del 3%, mentre il restante al 5%, alla fine tutti i 50 miliardi saranno aggiudicati al 5%!
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Economia tedesca a picco, ecco perché l’Ue teme la Brexit
La Germania è decisiva per l’economia Ue. Non è una novità. La novità è che l’economia tedesca sta collassando. Non rallentando… nemmeno attraversando delle turbolenze. I tedeschi sono una potenza industriale ed esportatrice. E il trend di queste due cose è in declino da più di un anno. La bilancia commerciale degli ultimi due trimestri è stata la peggiore dal 2016. E l’euro si è deprezzato del 13% da gennaio 2018. Questo è possibile perché gran parte delle esportazioni tedesche sono dirette agli altri paesi Ue e questi sono pieni di debiti fin sopra i capelli. Inoltre, il dato di marzo del Pmi tedesco (Indice gestionale per gli acquisti manifatturieri), ben al di sotto delle attese, è stato confermato questa settimana dai numeri di aprile, che sono semplicemente orribili. La previsione del 22 marzo ha sbagliato di più di 3 punti, il dato è del 44,7 contro aspettative del 48,0 (qualunque dato sotto il 50 significa una contrazione). Una contrazione si è verificata (sorprendendo ancora una volta i mercati) anche a febbraio. Infatti, non ci sono stati che dati in ribasso, alcuni dei quali analogamente orribili, a partire dall’inizio dello scorso anno.Questo è soltanto il più drammatico tra gli gli indici economici tedeschi. Ma i dati sono tutti pessimi. Ciò mette la Germania sulla via della recessione. Di nuovo, non è una novità per chiunque stesse guardando attentamente i mercati. Ne parlo per smascherare la follia che circonda la Brexit e fornire un contesto sensato. Ho definito la Brexit una minaccia esistenziale per la Ue. Lo è, e anche di più. Questo è il motivo per cui tutti, su entrambe le sponde della Manica, stanno lavorando alacremente per sabotarla. Nel mio ultimo articolo per “Strategic Culture” faccio i nomi dei responsabili. L’Ue non vuole la Brexit e se dovesse accadere, infliggerebbe un danno incredibile al sistema politico britannico e alla sua integrità. Non c’è alcuna vera differenza rispetto a quanto accaduto in Grecia nel 2015. Tutto fu pilotato da Angela Merkel allora ed è pilotato dalla Merkel oggi. L’intransigenza della Ue nelle negoziazioni, a parte non avere altre alternative, è un bluff elaborato per separare e dividere la classe politica britannica, ora che il popolo ha votato per l’uscita.Trovo patetico vedere la Merkel impegnata questa settimana in un affascinante tour in Irlanda per presentare il suo lato materno e contribuire ad alleviare il dolore dell’aperto tradimento del sistema politico britannico da parte di Theresa May. Ora che la soluzione si avvicina, la Merkel e Donald Tusk stanno giocando la parte del poliziotto buono, mentre Guy Verhofstadt interpreta il poliziotto cattivo con la bava alla bocca. La discesa tedesca nei guai economici è ora il principale problema per la Merkel, anche se dubito che lei sia pienamente consapevole delle implicazioni. Tutti tendono a giudicare erroneamente normale la situazione, e per lei il Progetto Europeo dovrebbe essere abbastanza forte da superare qualsiasi tempesta. Ma se non dovesse esserlo? L’opinione diffusa è che tenere il Regno Unito nella Ue, nel ruolo di mucca da mungere, sia importante per assicurare il prolungarsi del dominio tedesco sull’Unione. E penso che questo sia quello di cui sono convinti a Bruxelles. Tuttavia, inizio a credere che la realtà sia differente da quello che pensano i burattinai.Quindi, sostengo che, di fatto, la Germania e la Merkel hanno già perso la guerra per tenere insieme la Ue, a prescindere dalla Brexit. La distruzione del sistema politico britannico non renderà gli inglesi più facili da controllare, ma più difficili. Non spaventerà i recalcitranti come l’italiano Matteo Salvini o Marine Le Pen in Francia. Li farà infuriare. Il fallimento dell’economia tedesca nel tenere insieme l’Unione colpirà molto velocemente e come un boomerang la leadership tedesca della Ue. Già lo vediamo quando il presidente francese Emmanuel Macron si discosta apertamente dalla Germania sulla Brexit. Moltissime persone, inclusi i Remainer di Londra, sostengono di non poter sopravvivere contro un’economia più grande, più forte come quella della Ue, ossia della Germania. Molto di quello che tiene insieme la Ue è la volontà di tutti gli altri di sopportate la visione tedesca dell’integrazione fino a quando la Germania è disposta a metterci i soldi. Tuttavia, sembra sempre più che questo non avverrà in futuro. L’Ue ha quasi raggiunto il limite sui trasferimenti interni, il che testimonia quanto deboli siano le prospettive economiche di lungo termine per la Germania sotto l’attuale agenda politica.Arriverà un momento in cui una semplice ricaduta in recessione non sarà più un’altra fase ciclica di ribasso che può essere risolta dalla stampante e dalle magie della banca centrale. Diventerà qualcosa che i politici non potranno imporre con la forza e i media non potranno addolcire. La recessione tedesca è arrivata a causa dei problemi strutturali del buco nero fiscale che è la Ue. Sta causando ovvie fughe di capitale verso gli asset Usa – il dollaro, le azioni e le obbligazioni, tutte insieme. Ha fatto alzare il prezzo degli asset sicuri in Europa a livelli oltre l’assurdo. E ancora, nessuno ha il coraggio di dire che c’è una crisi! Siccome esiste ancora un po’ di margine nell’economia tedesca, ancora non si sono visti gli effetti sui consumatori. Pertanto, esiste sufficiente spazio per tutti per raccontare ancora frottole. Ma i risparmi stanno salendo rapidamente, mentre la spesa dei consumatori è in diminuzione. Le notizie sono ancora sufficientemente contrastanti da non aver ancora iniziato a inguaiare ulteriormente la Merkel a livello politico. Ma aspettate. Succederà.(Tom Luongo, “L’economia tedesca è un morto che cammina”, da “Voci dall’Estero” del 6 aprile 2019).La Germania è decisiva per l’economia Ue. Non è una novità. La novità è che l’economia tedesca sta collassando. Non rallentando… nemmeno attraversando delle turbolenze. I tedeschi sono una potenza industriale ed esportatrice. E il trend di queste due cose è in declino da più di un anno. La bilancia commerciale degli ultimi due trimestri è stata la peggiore dal 2016. E l’euro si è deprezzato del 13% da gennaio 2018. Questo è possibile perché gran parte delle esportazioni tedesche sono dirette agli altri paesi Ue e questi sono pieni di debiti fin sopra i capelli. Inoltre, il dato di marzo del Pmi tedesco (Indice gestionale per gli acquisti manifatturieri), ben al di sotto delle attese, è stato confermato questa settimana dai numeri di aprile, che sono semplicemente orribili. La previsione del 22 marzo ha sbagliato di più di 3 punti, il dato è del 44,7 contro aspettative del 48,0 (qualunque dato sotto il 50 significa una contrazione). Una contrazione si è verificata (sorprendendo ancora una volta i mercati) anche a febbraio. Infatti, non ci sono stati che dati in ribasso, alcuni dei quali analogamente orribili, a partire dall’inizio dello scorso anno.
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Sapelli: l’Italia si salva con Roosevelt, fuori dal rigore Ue
La Flat Tax voluta dalla Lega è una misura sensata perché espansiva, ma da sola non basta. Andrebbe fatta insieme alle sburocratizzazione, e su questo punto l’avvocato e premier Conte dovrebbe essere d’accordo. Dopo quello destinato alle partite Iva, adesso Salvini chiede l’introduzione di un secondo modulo: tassa del 15% per i redditi di lavoratori dipendenti e famiglie fino a 50.000 euro. La Flat Tax per le partite Iva è stata un passo avanti importante. Anche questa seconda detassazione mi pare equa, progressiva. Per capirci: i ricchi continuano a pagare le tasse. È quello che preme a Di Maio? Ho letto. In ogni caso, il vecchio vocabolario politico l’avrebbe definita una misura socialdemocratica. È molto significativo dei tempi che corrono. Questo depone a favore della Lega. Con l’economia ferma, può aiutare i consumi e quindi la produzione e il lavoro? Quando c’è una crisi si devono fare misure espansive. Non come fece Hoover, che subito dopo il ’29 aumentò le tasse, ma come fece Roosevelt, che le diminuì e aumentò invece la spesa pubblica. Perché la Flat Tax funzioni, però, ci vuole tempo. Tempo per introdurre altre misure di politica economica che funzionino.Penso per esempio a ciò che occorre perché le famiglie investano di più nell’educazione dei figli. Una famiglia italiana non dovrebbe vedersi precluse delle scuole di qualità perché costano troppo. Serve un disegno più ampio di politica economica, ma non lo vedo. Da un lato perché il pensiero economico non esiste più; a Bruxelles governa quello algoritmico. Dall’altro perché occorrerebbe anche essere favorevoli alle infrastrutture, alle opere pubbliche. E contrari a una commissione parlamentare permanente di inchiesta sulle banche, altrimenti nessuno investirà più in questo paese. Si dice che Mattarella sarebbe pronto a nominare Draghi senatore a vita, come per un Monti-bis? Non voglio nemmeno pensarci. Ho troppa stima del presidente della Repubblica, della sua persona oltre che del suo ruolo istituzionale, per immaginare che possa avere in mente una cosa simile. E mi sembra anche incredibile che qualcuno dotato di buon senso possa pensare che lui lo pensi. Perché vorrebbe dire non avere proprio imparato nulla. Abbandonare il regime parlamentare per instaurare di fatto un sistema neo-presidenziale e tecnocratico ha ridotto l’Italia a un cumulo di macerie. Sarebbe l’epilogo di una deriva sbagliata, iniziata con Carli e proseguita con Ciampi. Un volta, quando i governatori avevano finito il loro mandato, stavano a casa. Magari a scrivere libri, come Paolo Baffi.Di Maio ha scritto una lettera al “Corriere” in cui, da alleato di governo di Salvini, fa professione di europeismo. È solo campagna elettorale? Anche se lo fosse, sarebbe comunque nell’ordine delle cose. Il M5S sta svolgendo lo stesso compito assolto in Grecia da Tsipras e si va sempre più caratterizzando come movimento alla Boulanger. Non mi stupisce: la base è formata dal “popolo degli abissi”, ma la cuspide, il gruppo dirigente, è neoliberista, e come tale incorpora l’ordoliberismo, come Orbán e compagnia. Dicono di fare una battaglia per l’Europa sociale, poi appena possono si adeguano alle regole europee. E pian piano si dimenticano di essere stati eletti per rinegoziare i trattati, se mai ne sono stati consapevoli. Dunque il M5S non è l’alleato giusto per la Lega? Io ho sempre pensato che il rapporto fosse innaturale. La Lega potrebbe e dovrebbe diventare il partito della borghesia nazionale, fatta di piccole-medie imprese e di lavoratori. Per questo Salvini farebbe bene a non andare con Marine Le Pen.Salvini ha riunito a Milano esponenti di partiti “sovranisti” europei come Afd, Finns Party e Dansk Folkeparti. Molti sottolineano le contraddizioni tra la Lega e il rigore sui parametri che alcuni di questi alleati pretenderebbero dall’Italia dopo il voto? Non uso la parola “sovranismo” perché non vuol dire nulla. Dico però che la Lega è stata l’unico partito a non votare il Fiscal Compact nel 2012. In Europa ci sono contrari al Patto di stabilità a sinistra, al centro e a destra. La Lega deve essere coerente con quello che ha fatto e privilegiare le alleanze con chi è d’accordo su questo punto. Purtroppo non sappiamo cos’avrebbero fatto i 5 Stelle. Cosa dovrebbe fare Salvini? Guardare al Ppe. Se si cambieranno le regole europee, si farà perché lo vuole la Germania. Occorre parlare con i tedeschi. Manfred Weber è bavarese, non prussiano. Mi sembra una persona ragionevole. Ha detto che alleanze con Salvini non ne vuol fare? Non importa. In Parlamento si va per fare politica, non per seguire la “tradizione” di chi rema all’indietro.E il Pse? Il Partito socialista è perduto, è fuori dalla storia. Il socialismo francese è morto, anche se io sono convinto che in qualche modo risorgerà. In giro, però, ci sono uomini più vicini alla Lega di quanto non si creda: Chevènement, Mélenchon… Leghisti in pectore? Difendere la nazione oggi ha senso non per rinchiudersi in un mandato nazionalistico, che non a caso è l’accezione deformante confezionata su misura dagli avversari del “sovranismo”, ma per tornare ad impossessarsi della politica economica. Questo bisogna fare, non affidarsi ad alleati che non si sa dove portano. Un suggerimento a Giovanni Tria? Si ricordi che suoi colleghi come Baldassarri e Paganetto hanno avuto molti dubbi sul Fiscal Compact. Manifesti anche i suoi, di dubbi. Continui a mediare tra le istanze politiche e le esigenze che abbiamo di non spaventare i mercati. E faccia di tutto per impedire una stoltezza come la Commissione parlamentare di inchiesta sulle banche. Il paese uscirebbe dal consesso civile.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Europee 2019: non basta un Def, l’Italia si salva se cambia i trattati Ue”, pubblicata su “Il Sussidiario” il 9 aprile 2019).La Flat Tax voluta dalla Lega è una misura sensata perché espansiva, ma da sola non basta. Andrebbe fatta insieme alle sburocratizzazione, e su questo punto l’avvocato e premier Conte dovrebbe essere d’accordo. Dopo quello destinato alle partite Iva, adesso Salvini chiede l’introduzione di un secondo modulo: tassa del 15% per i redditi di lavoratori dipendenti e famiglie fino a 50.000 euro. La Flat Tax per le partite Iva è stata un passo avanti importante. Anche questa seconda detassazione mi pare equa, progressiva. Per capirci: i ricchi continuano a pagare le tasse. È quello che preme a Di Maio? Ho letto. In ogni caso, il vecchio vocabolario politico l’avrebbe definita una misura socialdemocratica. È molto significativo dei tempi che corrono. Questo depone a favore della Lega. Con l’economia ferma, può aiutare i consumi e quindi la produzione e il lavoro? Quando c’è una crisi si devono fare misure espansive. Non come fece Hoover, che subito dopo il ’29 aumentò le tasse, ma come fece Roosevelt, che le diminuì e aumentò invece la spesa pubblica. Perché la Flat Tax funzioni, però, ci vuole tempo. Tempo per introdurre altre misure di politica economica che funzionino.