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Chavez fu ucciso, ma ora è Maduro a uccidere il Venezuela
Hugo Chavez è stato assassinato: la notizia è pressoché certa. Poi ci ha pensato l’indegno Maduro, a “terminare” il Venezuela. Ma non da solo: è stato aiutato, nell’opera di devastazione del paese, dai vizi capitali del “bolivarismo” venezuelano. La giusta crociata contro il latifondo ha finito per affidare le terre a cooperative gestite da incapaci, scelti per la loro fedeltà politica. Idem le imprese, simbolo dell’odiata borghesia “coloniale” e parassitaria, alleata dagli Usa: troppe aziende sono state consegnate ai militari, che le hanno fatte fallire. Risultato: il Pil è franato, togliendo al paese la capacità di produrre beni diversi dal petrolio. E quando il prezzo del greggio è crollato, si è spalancato il baratro. La tragedia? Ad affrontarla non c’era più il popolarissimo Chavez, ma l’incolore Maduro. Che poi, di fronte alle proteste, non ha trovato di meglio che forzare la Costituzione, sospendere la democrazia e far sparare sulla folla, salvo poi accusare gli yankee di aver strangolato il Venezuela. Chi oggi si ostina a difendere Maduro – scrive Giuseppe Angiuli, su “L’Intellettuale Dissidente” – dimostra la stessa cecità del potere imperiale neoliberista che ha fatto la guerra a Chavez fin dal primo giorno, cercando anche di deporlo con il golpe del 2002, neutralizzato dal popolo venezuelano che si strinse attorno al suo leader – l’unico che in tanti anni abbia davvero lavorato, giorno e notte, per il benessere della sua gente.Rifiutarsi di leggere con lucidità la storia recente del Venezuela, scrive Angiuli nella sua accurata ricostruzione, significa innanzitutto fare un torto ai venezuelani, oggi alla fame. Un affronto alla memoria dello stesso Chavez, strenuo difensore del suo popolo. E’ stato grande, Chavez, ma inevitabilmente imperfetto: proprio i suoi errori ottici, secondo Angiuli, hanno creato le premesse di una crisi spaventosa, che oggi – senza più il carisma e l’onestà di fondo del leader – stanno mettendo in pericolo il Venezuela. Il paese perde milioni di cittadini, ridotti a profughi. Mancano cibo e medicinali, e c’è anche il rischio concreto che le sue frontiere vengano violate da un intervento militare ispirato dagli Usa e condotto da paesi come la Colombia e l’inquietante Brasile di Bolsonaro. La domanda che sfugge, nel derby delle opposte tifoserie italiane ed europee, è la seguente: com’è possibile che sia finito nella disperazione di massa uno dei paesi virtualmente più ricchi del mondo? Quella del Venezuela è considerata la prima riserva petrolifera del pianeta: e da parte degli Usa, certamente ostili al regime chiavista, non c’è però mai stato nessun embargo del greggio venezuelano. Al contrario: proprio grazie all’export dell’oro nero, a Caracas negli ultimi vent’anni sono circolati fiumi di petrodollari. Che fine hanno fatto?All’inizio, miliardi di dollari sono serviti a finanziare il grandioso welfare ideato da Chavez per allievare le storiche sofferenze dei poveri. Ma non un soldo è stato investito nell’economia non-petrolifera. In compenso, grazie al controllo centralizzato della gestione dei cambi, è fiorito il contrabbando di valuta estera. E oggi si mangia acquistando alla borsa nera i generi alimentari che i gerarchi di Maduro – che controllano i petrodollari – fanno sparire all’ingresso del paese, prima che possano raggiungere i supermercati, dove i prezzi sarebbero calmierati per legge. Ma l’attuale tragedia del Venezuela – umanitaria, sociale, politica – non può impedire di guardare col necessario distacco (e col rispetto che merita) a quello che è stato il più clamoroso fenomeno sudamericano degli ultimi decenni: la “rivoluzione bolivariana” di Chavez, per 14 anni alla guida del paese caraibico. Un quasi-capolavoro, fondato su una scommessa di tipo socialista: nazionalizzare il petrolio per finanziare grandiosi programmi di assistenza e liberare la popolazione della piaga cronica della povertà, generata dallo spietato sfruttamento delle multinazionali occidentali.Nella sua meticolosa ricostruzione sulla crisi venezuelana pubblicata da “L’Intellettuale Dissidente”, Angiuli scrive che la morte di Chavez, nel marzo 2013, è «quasi certamente avvenuta per avvelenamento radioattivo, messo in atto da non ben identificati servizi segreti di qualche paese nemico». Magari gli Usa, che a Chavez non avevano mai perdonato il coraggio e l’indipendenza politica. O qualche entità sudamericana allineata alla Dottrina Monroe, secondo cui l’America Latina deve restare sottomessa a Washington. Il Venezuela di Chavez – poi letteralmente tradito da Maduro – ha rappresentato una grande speranza per tutto il Sud del mondo. Ma sarebbe sbagliato trasformarlo in un culto, osserva Angiuli: perché Chavez ha commesso l’errore (fatale) di basare il riscatto economico nazionale solo sul petrolio, mortificando l’industria e l’agricoltura. Ancora oggi, ridotto alla fame, il Venezuela continua a dividere: da una parte le destre neoliberiste che hanno sempre criminalizzato il chavismo fin dall’inizio, e dall’altra la vecchia sinistra terzomondista, che arriva a perdonare un dittatore come Maduro pur di non ammettere i gravi errori della politica venezuelana, che hanno messo nei guai il paese ben prima che scattasse l’accerchiamento geopolitico neoliberista che ha isolato il governo di Caracas.Il pensiero unico mainstream «tende a demonizzare alla radice l’intera vicenda del socialismo venezuelano, relegandola nell’ambito del caudillismo alla sudamericana». Per contro, gli epigoni delle residuali correnti marxiste-leniniste si erano illusi di poter finalmente riscattare, in Venezuela, «la tragica sconfitta del comunismo novecentesco», seppellito dalle macerie del Muro di Berlino. All’intera vicenda del “socialismo bolivariano” inaugurato da Hugo Chavez, Angiuli ammette di essersi accostato con emozione, sperando di trovarvi «un nuovo laboratorio politico capace di ripensare l’idea stessa e la pratica del socialismo». Angiuli è stato spesso in Venezuela, a stretto contatto con la società e con gli ambienti filogovernativi. Dopo l’entusiasmo, però, è subentrata l’amara disillusione. Beninteso: a prescindere dall’orrendo regime militare di Maduro, «resta in ogni caso intangibile – precisa Angiuli, a scanso di equivoci – il diritto del popolo venezuelano di costruire il suo futuro in condizioni di libertà, sovranità e autonomia rispetto a qualsiasi intervento di destabilizzazione esterna, a cominciare dalle esplicite minacce di invasione che ultimamente provengono dai governi dell’ultradestra insediatisi al potere delle nazioni vicine, con lo scontato supporto degli Usa che da sempre considerano quella parte del mondo come il proprio cortile di casa».Detto questo, ammette Angiuli, «è triste giungere alla conclusione di dover affermare che il socialismo venezuelano ha purtroppo tradito una buona parte dei suoi propositi, e oggi non può più costituire un modello positivo di giustizia e di benessere per i popoli oppressi di tutto il mondo». Cionondimeno, il “bolivarismo” di Chavez era partito con le migliori intenzioni. Analizzarne i difetti è indispensabile: provare a capire «cosa non ha funzionato in Venezuela» è fondamentale, per tentare di spiegarsi la drammatica situazione in cui oggi versa il paese che dette i natali al “libertador” Simon Bolivar, «un personaggio passato alla storia quale nemico giurato del colonialismo ispanico». Anche Hugo Chavez ha fatto la storia: la sua presa del potere a Caracas, a cavallo tra il 1998 e il 1999, ha simboleggiato per l’intero continente di Neruda e Garcia Marquez «la più grande sfida di discontinuità storico-politica rispetto alla lunga notte neoliberista, vissuta per alcuni decenni dall’America Latina». Micidiali le dittature militari filo-Usa degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. Per questo, è naturale che il chavismo abbia suscitato «una grande ondata di legittime speranze fra tutti i popoli».Ex ufficiale paracadutista dell’esercito venezuelano, tradizionalmente “popolare” anche nei suoi ranghi più alti, Hugo Chavez – autore di un fallito tentativo di colpo di Stato del 1992 ai danni dell’allora presidente in carica Carlos Andres Perez – era riuscito in pochi anni a far coagulare attorno a sé «i migliori sentimenti e le aspirazioni di riscatto delle fasce sociali medio-basse del suo paese, fino a quel momento escluse dal godimento dei profitti della “Venezuela Saudita”». L’ideologia di Chavez? Un mix originale e composito, «che attinge tanto al panamericanismo di Simon Bolivar quanto all’umanesimo socialista di ispirazione massonica caro a Giuseppe Garibaldi e a Salvador Allende». Innegabili le influenze esercitate dal pensiero di Antonio Gramsci e dalla prassi rivoluzionaria di Ernesto Che Guevara e Fidel Castro. «Cuba rivoluzionaria, la piccola isola che da decenni resiste ad un crudele embargo degli Usa, per Chavez costituiva un esempio di dignità e un prototipo da emulare, soprattutto sotto il profilo dell’indipendenza nazionale e della lotta all’imperialismo a stelle e strisce». E proprio a partire dagli accordi di mutua assistenza con la Cuba di Fidel – petrolio in cambio di medici – Hugo Chavez, appena insediatosi alla presidenza, iniziò a «costruire sapientemente il suo modello di integrazione politica latinoamericana attorno ai principi generali di cooperazione, equità e solidarietà».Lo stesso Che Guevara, nei suoi scritti, aveva ben individuato la “maledizione” dei paesi dell’America Latina, «storicamente condannati a programmare le loro economie non in base ai propri bisogni interni, bensì in rapporto agli appetiti famelici dei loro paesi dominanti». Fin dall’epoca del colonialismo ispano-portoghese, gli europei avevano imposto a quei territori un modello “rentista” o monoculturale, «tutto basato sull’estrazione a costo zero di materie prime»: un “prelievo forzoso” grazie a cui sarebbero state edificate le basi dell’impero industriale e capitalistico dell’Occidente. A partire dal suo esordio, ricorda Angiuli, «uno dei principali meriti politici di Hugo Chavez è stato quello di sottrarre il controllo dell’oro nero del Venezuela a quella ristretta borghesia “compradora” fortemente compromessa col capitalismo a stelle e strisce». Una borghesia che «per decenni, dopo essersi appropriata della rendita petrolifera, era stata abituata a delocalizzare sistematicamente i suoi profitti a Miami, umiliando il paese estrattore con delle infime royalties e con dei contratti-capestro». Fino a quel momento, gli immensi giacimenti petroliferi non avevano mai consentito al Venezuela di trarre risorse per investimenti sociali. A questo ha provveduto proprio Chavez, all’inizio del suo mandato, con una nossa clamorosa: nazionalizzare la compagnia petrolifera Pdvsa, per poi tenere alto il prezzo del greggio premendo sull’Opec – insieme all’Iraq di Saddam e alla Libia di Gheddafi – al fine di contenere i volumi di estrazione.Destinare la rendita petrolifera alla spesa assistenziale finalizzata ad appianare le gravi diseguaglianze sociali del suo popolo – prosegue Angiuli – ha costituito indubbiamente l’atto più rivoluzionario compiuto da Hugo Chavez. Interventi imponenti, per garantire servizi sanitari anche nei “barrios” più poveri e alfabetizzare milioni di venezuelani, compresi i gruppi indigeni. Diritti: la nuova Costituzione varata da Chavez nel 1999 «contiene sulla carta alcuni principi inediti che possono fare da insegnamento anche alle democrazie più avanzate». E’ fondata su una netta separazione fra i poteri e contempla molteplici strumenti di democrazia diretta: c’è anche l’istituto del “referendum revocatorio”, che consente perfino di far dimettere il presidente a metà mandato, mediante una consultazione popolare indetta dal basso. La nuova Carta, poi, decreta l’intangibilità di Madre Natura quale soggetto titolare di diritti. E in più tutela l’identità etnoculturale delle comunità dei nativi amerindi, «facendosi così portatrice di un generale messaggio di rinascita dell’orgoglio indigeno», dopo secoli di sottomissione ai “conquistadores” e ai “gringos”.Il primo decennio del chavismo, riconosce Giuseppe Angiuli, è stato contrassegnato «da un risveglio delle coscienze del popolo venezuelano e da una straordinaria voglia di partecipare a riscrivere la storia del proprio paese da parte di milioni di persone, fino ad allora del tutto escluse dalla scena politica e incapaci perfino di intendere lo stesso concetto di cittadinanza». Solo gli osservatori più prevenuti, sottolinea l’analista, possono avere finto di non accorgersi della reale genuinità che ha connotato i primi anni del processo politico “bolivariano”, contraddistinti da un fermento rivoluzionario autentico, addirittura emozionante. E contro l’imperialismo mercantile “yankee”, Chavez s’è mosso anche a livello geopolitico: ha dato vita all’Alba (Alianza Bolivariana para los pueblos de nuestra America), reclutando Cuba, la Bolivia del leader sindacale Evo Morales, l’Ecuador dell’economista Rafael Correa, il Nicaragua sandinista, l’Honduras di Manuel Zelaya e vari piccoli Stati insulari caraibici. Checché ne dicessero i media occidentali, sottolinea Angiuli, il governo di Chavez – fino alla sua rielezione nel 2012 – è sempre stato largamente supportato dal popolo venezuelano. Ma oggi, ribadisce, il Venezuela non sarebbe in crisi nera, se lo stesso Chavez non avesse commesso clamorose ingenuità sul piano economico.Dopo aver distribuito soldi a pioggia per «contrastare la povertà più estrema di una parte significativa della popolazione», il chavismo ha mancato l’appuntamento con lo sviluppo, nonostante la felice congiuntura petrolifera, col prezzo del barile rimasto sopra gli 80 dollari fino al novembre 2014. Nonostante il fiume di valuta forte, piovuto su Caracas per almeno un decennio, il governo «non ha mai messo in campo alcuna seria misura per provare a debellare il vero cancro comune a tutti quei paesi la cui economia, come quella del Venezuela, si basa su un modello “rentista”», ovvero: «La dipendenza dalla estrazione della materia prima quale unica risorsa del proprio modello di sviluppo». Nonostante i tanti proclami, non è mai riuscito a diversificare le attività produttive: anzi, i governi chavisti hanno attuato «una massiccia politica di disincentivo al lavoro delle piccole e medie imprese», determinando così una contrazione drammatica del Pil, in quei settori, «con la conseguenza che la classe media è progressivamente scomparsa». Paradossale: «Oggi i venezuelani conducono in media un tenore di vita clamorosamente più basso di quello che si ricordi anche negli anni più bui della notte neoliberista dell’America Latina». E scontano «una diffusa scarsità di prodotti di prima necessità che oggi forse non si riscontra nemmeno a Cuba, paese ininterrottamente sotto embargo da più di mezzo secolo».Pessimo il bilancio dall’agricoltura: buona l’idea di una riforma agraria per smantellare i latifondi improduttivi. Ma poi è subentrata «una deriva ideologica di tipo estremistico velleitario, che ha condotto ad una espropriazione generalizzata delle terre anche di media dimensione». Terre assegnate «a improvvisate cooperative di lavoratori che non si sono mai realmente dimostrate all’altezza del loro compito», e con incarichi direzionali «troppo spesso affidati obbedendo unicamente a meri criteri di fedeltà politica». Risultato: la produzione agricola è crollata, ricorda Angiuli, persino per i più tipici prodotti alla base della dieta venezuelana: riso e farina di mais, frutta e verdura, polli d’allevamento, uova e caffè. Stessa sorte ha colpito l’industria: «Una analoga degenerazione demagogica del chavismo, nel segno del collettivismo spinto – scrive Angiuli – ha condotto negli anni a una diffusa e capillare occupazione delle fabbriche», da parte di «settori disinvolti delle forze armate». I militari, «arrogandosi il diritto di agire sempre e comunque nell’interesse del “pueblo” e contro l’odiata borghesia nazionale», si sono spesso impadroniti «con modalità arbitrarie e violente» dei mezzi di produzione, «lasciandoli cadere quasi sempre e molto presto in malora e facendo così crollare la produzione anche in quei settori nei quali – prima del chavismo – il Venezuela riusciva tranquillamente a soddisfare il suo fabbisogno interno, raggiungendo perfino l’obiettivo di esportare una discreta quantità di merci all’estero: ferro, acciaio, automobili, caffè».L’aspetto più inquietante di questo fallimento economico di dimensioni catastrofiche, scrive Angiuli, non risiede neppure nella pianificazione centralistica stile Urss e Cina maoista: il paradosso sta nella pessima gestione dell’oceano di petrodollari. Fino al 2013, il petrolio rappresentava ancora il 95% dell’export. Anziché sfruttare quell’enorme massa di denaro per rendere il Venezuela più autonomo economicamente, i governi socialisti «hanno finito per accentuare oltre ogni limite il tradizionale carattere “rentista” dell’economia venezuelana, legandone le sorti in modo irreversibile alla ciclicità dell’andamento del prezzo degli idrocarburi». Gli effetti di questa politica sono esplosi a partire dal 2015, con il crollo della quotazione del greggio: di colpo, il Venezuela ha incassato meno soldi, sia per il welfare che per pagare l’enorme volume di importazioni, cresciuto negli anni col progressivo calo della produzione interna di beni primari. Risultato: «La scarsità di prodotti sugli scaffali dei supermercati si è manifestata in modo crescente e irrimediabile». Ecco perché, osserva Angiuli, sta semplicemente mentendo, Maduro, quando si sforza ogni giorno di attribuire l’odierna crisi alla guerra economica orchestrata dall’odiato imperialismo yankee. Le sanzioni americane – varate da Obama e inasprite da Trump – non bastano a spiegare la catastrofica penuria di generi di prima necessità.Le stesse sanzioni, peraltro, non hanno impedito alle grandi banche d’affari statunitensi, prima fra tutte la Goldman Sachs, di investire copiose somme nell’acquisto di buoni obbligazionari emessi dalla compagnia petrolifera Pdvsa: «Un elemento che smaschera tanto l’ipocrisia del capitalismo a stelle e strisce quanto quella della retorica antimperialista così tanto sbandierata dal governo di Caracas». Inoltre, sebbene Trump abbia proibito nel 2018 l’acquisto di titoli del colosso petrolifero venezuelano, «nessun embargo commerciale petrolifero è mai stato decretato da Washington verso Caracas». Lo confermano i numeri delle esportazioni, che ora – non a caso – Maduro ha addirittura proibito di diffondere, roprio per non compromettere il suo vittimismo retorico che attribuisce al nemico imperialista la causa di ogni male. L’altra verità che Maduro nasconde, continua Angiuli, è che il suo Venezuela ha affidato a una ristretta oligarchia – società riconducibili all’establishment militare – l’intera gestione del cambio dei dollari necessari per accedere al mercato delle importazioni di beni dall’estero. Sono questi privilegiati ad accedere ai dollari, e in modo truffaldino, cioè con un cambio alterato sopravvalutando il bolivar: se la moneta venezuelana era stimata 1.000 a 1, rispetto al dollaro, l’élite governativa monopolista ha invece intascato 10 bolivar per ogni dollaro destinato ad acquistare beni dall’estero.Una volta che gli importatori della ristretta cerchia governativa hanno acquisito i dollari ad un cambio preferenziale e privilegiato, quella valuta forte, «ufficialmente necessaria per pagare le merci che si dovrebbero importare dall’estero», ha finito in realtà per alimentare «un circuito vorticoso e perverso, con cui gli stessi importatori filogovernativi sono troppo spesso riusciti ad occultare clandestinamente sia la valuta che le stesse merci importate». Una colossale frode valutaria, insomma, «che ogni giorno sottrae ricchezza al paese caraibico», e oggi costringe i venezuelani a lasciare le loro case. Elementare: «Se la moneta venezuelana viene scambiata sui mercati ad un valore reale spesso anche di 100 volte inferiore a quello con cui viene scambiata dagli organismi governativi, tutti coloro i quali sono nelle condizioni di mettere le mani sulla rendita petrolifera, una volta ottenuti i dollari col sistema del cambio preferenziale, ne investono effettivamente solo una parte nell’attività di importazione». E al contempo, aiutandosi con sovrafatturazioni fittizie (di merci mai effettivamente acquistate) occultano facilmente grandi quantità di valuta forte, trasferendole dei paradisi fiscali, «ovvero alimentando il mercato nero del dollaro all’interno degli stessi confini del Venezuela». Lo si capisce già all’aeroporto, appena si sbarca a Caracas: si viene assaliti da “agenti del cambio in nero” che offrono disinvoltamente i bolivar in cambio di dollari (o euro) secondo un rapporto di cambio molto distante da quello ufficiale.Per questo, aggiunge Angiuli, da quando si è diffusa la pratica governativa di sopravvalutare artificiosamente il bolivar, «il traffico di valuta è diventato di gran lunga il business più redditizio per chiunque riesca a venire in possesso di una certa quota della rendita petrolifera incamerata dal Venezuela». Negli anni, il fenomeno ha acquisito dimensioni impressionanti e incontrollabili. E il suo principale effetto nefasto sull’economia del paese è il generale disincentivo verso l’avvio di qualsiasi genere di attività produttiva. L’ex ministro per la pianificazione economica Jorge Giordani, grande amico di Chavez (dimessosi nel 2014 da ogni incarico governativo in polemica con Maduro) ha pubblicamente denunciato il furto, attraverso questo meccanismo fraudolento, di qualcosa come 25 miliardi di dollari dall’organismo governativo addetto alle operazioni di cambio su larga scala. E oltre al mercato nero di valuta, c’è anche la piaga che colpisce gli approvvigionamenti: il cibo, i medicinali e i prodotti manifatturieri che dovrebbero entrare in Venezuela a prezzo calmierato vengono in gran parte intercettati e rivenduti clandestinamente. Borsa nera: «Un formidabile, gigantesco contrabbando di merci vendute al mercato nero a prezzi molto più alti di quelli che il governo si sforza inutilmente di imporre nelle catene dei supermercati popolari», nei quali ormai scarseggia di tutto, dallo shampoo al dentifricio, dal sapone alla carta igienica.Giuseppe Angiuli lo descrive come «il disastro di una economia nazionale ormai strutturalmente e capillarmente fondata sul malaffare, sulla frode valutaria e sulla speculazione parassitaria, con un sistema di complicità e protezioni che purtroppo investe anche le sfere più alte del potere centrale». A questo si aggiunge l’iper-inflazione scatenata irresponsabilmente dalla banca centrale del Venezuela, «ricorsa in questi anni in misura sempre più massiccia alla stampa di cartamoneta priva di ogni copertura e valore reale». Tra il 1999 e il 2016, la massa monetaria circolante nel paese è cresciuta di circa il 33.000%. Inflazione folle: nel 2017 si è attestata al’830%, per poi raggiungere l’anno seguente il 4.684,3 percento, vero e proprio record mondiale. Secondo il Fmi, si viaggia ormai verso il “milione per cento” su base annua. Una catastrofe: paralisi economico-produttiva, l’iper-inflazione, crollo del valore reale dei salari. Generale impossibilità di procurarsi da vivere lavorando. Collasso del sistema sanitario nazionale, scarsità di viveri e medicinali, drammatico aumento della mortalità neonatale e della denutrizione infantile. Tutto questo sta oggi facendo vivere al Venezuela «un esodo di proporzioni bibliche dei suoi cittadini verso l’estero, come non si era mai visto nella storia recente del paese».Un fallimento così apocalittico, osserva Angiuli, avrebbe dovuto obbligare da tempo il governo Maduro ad adottare misure radicali, in forte discontinuità rispetto alle politiche suicide fin qui condotte. Di fronte all’esperazione popolare, sfociata in drammatiche proteste, Maduro ha risposto violando la Costituzione, truccando le elezioni e ordinando all’esercito di sparare sulla folla. Hugo Chavez non l’avrebbe mai fatto. Anzi: il “comandante” accettò lealmente il verdetto del referendum perduto, attraverso cui i venezuelani avevano bocciato la sua proposta di riforma costituzionale in senso presidenzialista. Maduro è solo, spelleggiato esclusivamente dai militari. Diversi dirigenti chavisti storici della prima ora – come l’ex ministro dell’ambiente Ana Elisa Osorio, l’ex ministro dell’economia Jorge Giordani, lo storico presidente della Pdvsa Rafael Ramirez e l’ex procuratrice generale Luisa Ortega Diaz – sono stati delegittimati ed emarginati. Qualcuno è riparato all’estero «per sottrarsi alla furia vendicatrice della cricca di potere vicina a Maduro».Non sappiamo quale futuro attende il Venezuela, conclude Angiuli, ma dopo vent’anni di chavismo «i risultati dell’economia del paese parlano un linguaggio implacabile, che non ammette repliche». Un fallimento di dimensioni così catastrofiche dimostra «l’evidente sconfitta politica del gruppo dirigente cresciuto all’ombra di Chavez, che non si è dimostrato all’altezza dei propri compiti storici». I meriti dell’azione ispiratrice dei primi anni del chavismo «andrebbero rivalorizzati e recuperati», ripensando le radici dottrinali del socialismo “bolivariano”, «che andrebbero rinforzate e vivificate». Attenzione: a livello geopolitico, il Venezuela resta «un attore decisivo per la possibile formazione di un nuovo mondo multipolare». E infatti, sottolinea Angiuli, «attorno alla tenuta dell’indipendenza del paese da eventuali aggressioni militari esterne si gioca gran parte del suo futuro». Certo, la catastrofe sociale potrebbe sfociare in esiti terribili. E se il Venezuela «dovesse progressivamente subire delle aggressioni militari da parte degli Usa o di paesi vicini governati dall’ultradestra, come la Colombia o il Brasile», secondo Angiuli occorrerà battersi «a difesa della sacrosanta intangibilità dei suoi confini e della sua legittima sovranità». Quello che non serve, per aiutare il Venezuela a uscire dall’incubo, è continuare a «fornire un sostegno acritico e fideistico al governo di Maduro». Meglio rileggere con onestà la grande storia di Hugo Chavez e anche i suoi limiti, onde avviare al più presto «quegli interventi indifferibili e vitali che il popolo venezuelano si attende, e di cui oggi non può più fare a meno».Hugo Chavez è stato assassinato: la notizia è pressoché certa. Poi ci ha pensato l’indegno Maduro, a “terminare” il Venezuela. Ma non da solo: è stato aiutato, nell’opera di devastazione del paese, dai vizi capitali del “bolivarismo” venezuelano. La giusta crociata contro il latifondo ha finito per affidare le terre a cooperative gestite da incapaci, scelti per la loro fedeltà politica. Idem le imprese, simbolo dell’odiata borghesia “coloniale” e parassitaria, alleata dagli Usa: troppe aziende sono state consegnate ai militari, che le hanno fatte fallire. Risultato: il paese ha perso la capacità di produrre beni diversi dal petrolio. E quando il prezzo del greggio è crollato, si è spalancato il baratro. La tragedia? Ad affrontarla non c’era più il popolarissimo Chavez, ma l’incolore Maduro. Che poi, di fronte alle proteste, non ha trovato di meglio che forzare la Costituzione, sospendere la democrazia e far sparare sulla folla, salvo poi accusare gli yankee di aver strangolato il Venezuela. Chi oggi si ostina a difendere Maduro – scrive Giuseppe Angiuli, su “L’Intellettuale Dissidente” – dimostra la stessa cecità del potere imperiale neoliberista che ha fatto la guerra a Chavez fin dal primo giorno, cercando anche di deporlo con il golpe del 2002, neutralizzato dal popolo venezuelano che si strinse attorno al suo leader – l’unico che in tanti anni abbia davvero lavorato, giorno e notte, per il benessere della sua gente.
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Magaldi: 5 Stelle, bugie sul Venezuela e fallimenti in Italia
Mascalzoni: o siete ignoranti, all’oscuro dei fatti, o siete addirittura in malafede. E non si sa cosa sia peggio, visto che sedete addirittura al governo. Pazienza, se si trattasse dei soliti “leoni da tastiera”, che sui social diffondono falsità e distribuiscono insulti in modo sleale, protetti dall’anonimato, convinti di restare impuniti in eterno. Ma se si rivestono cariche istituzionali, non si può scadere fino a questo punto. Specie se, come in Venezuela, è in gioco la sicurezza di quasi 30 milioni di persone, ormai alle prese con un’emergenza umanitaria. Sono tantissimi i venezuelani di origine italiana, ieri vicini al governo socialista di Hugo Chavez e ora spaventati e mortificati: dall’invereconda autocrazia dell’indegno Nicolas Maduro, e dal silenzio ufficiale dell’Italia, il cui governo non prende posizione in modo netto sulla crisi in corso. E’ esasperato, Gioele Magaldi, di fronte all’opaca neutralità dei 5 Stelle: non riconoscendo Juan Guaidò come “presidente ad interim”, i pentastellati finiscono per supportare Maduro, cioè il politico fallimentare di cui la stragrande maggioranza dei venezuelani vorrebbe liberarsi. «Avevo dato del cialtrone ad Alessandro Di Battista – tuona Magaldi, in web-streaming su YouTube – ma ora allo stesso giudizio associo anche il vicepremier Luigi Di Maio, allineatosi a Di Battista, esattamente come il presidente della Camera, Roberto Fico».L’accusa: è semplicemente folle dare del “golpista” a Guaidò, solo perché è sostenuto dagli Usa. «L’autoproclamato presidente non ha fatto nulla che non fosse previsto dalla Costituzione del Venezuela: e il governo italiano non può fingere di non saperlo, come invece fanno i 5 Stelle». Scandisce i termini della questione, il presidente del Movimento Roosevelt: per chi non l’avesse ancora capito, ribadisce, Guaidò non è un “signor nessuno” messo lì dalla perfida America per rovesciare un governo legittimo. E’ il presidente del Parlamento. E la Costituzione del suo paese – in circostanze straordinarie, come queste – gli conferisce il potere, legale, di disconoscere il presidente in carica, sostituendolo in via strettamente provvisoria. Con un unico obiettivo: indire elezioni. Dove starebbe il golpismo? Per colpo di Stato si intende: presa del potere con metodi violenti, mediante l’uso della forza. Guaidò vuole forse cacciare Maduro per insediarsi stabilmente alla presidenza? No: si limita a compiere un passaggio costituzionale necessario, per imporre a Maduro il ripristino della legalità democratica. Vuole che i venezuenali possano tornare a votare. L’ultima volta che l’hanno fatto, lo scorso anno, il partito di Maduro ha praticamente vinto da solo: l’opposizione incarnata da Guaidò non si era neppure candidata, non ravvisando l’agibilità democratica della consultazione. Come si può parlare, seriamente, di golpe?Certo, il Venezuela è ricchissimo di petrolio: ha la prima riserva petrolifera del mondo, e ora è boicottato dagli Stati Uniti. Come ricorda Eugenio Benetazzo, c’è proprio il petrolio nel destino di Caracas, nel bene e nel male: usando i proventi del greggio, Hugo Chavez riuscì a condurre uno spettacolare programma di welfare, di stampo socialista. Maduro avrebbe voluto imitarlo, ma il crollo del prezzo del barile gliel’ha impedito. E quando il paese è scivolato nella crisi, l’erede di Chavez – a differenza del suo precedessore – non ha esitato a ricorrere alla repressione, di fronte alle proteste popolari. Maduro ha forzato ripetutamente la Costituzione, cosa che invece Chavez s’era ben guardato dal fare: aveva proposto una modifica costituzionale in senso presidenziale, ma aveva accettato (democraticamente) il verdetto contrario dei venezuelani. «Maduro – sintetizza Magaldi – ha letteralmente rovinato il gran lavoro svolto da Chavez». Non ci credete? E allora, suggerisce il presidente del Movimento Roosevelt, magari leggetevi su “L’Intellettuale Dissidente” le illuminanti analisi di un osservatore privilegiato come Giuseppe Angiuli, grande estimatore di Chavez e oggi rassegnato a descrivere “la triste parabola del socialismo bolivariano”, con ormai quasi 3 milioni di venezuali in fuga – per fame – nei paesi vicini.Lo fa notare lo stesso Benetazzo: è vero, il regime di Maduro si è trovato ad affrontare difficoltà serissime ed è stato progressivamente “accerchiato”. Ma la sua evidente incapacità è ormai diventata un problema insormontabile: al di là dell’avversione ideologica per il governo di Caracas, paesi come Brasile, Argentina ed Ecuador percepiscono Maduro come un ostacolo da rimuovere, non essendo in grado di impedire che il Venezuela si trasformi in una bomba sociale, nel teatro regionale di una catastrofe umanitaria. Alle Sette Sorelle – fa notare Gianni Minà – fa gola il petrolio venezuelano: il loro grande obiettivo è appropriarsi della Pdvsa, la compagnia petrolifera nazionale, tuttora statale. Tutto sembra congiurare contro Maduro: l’Ue lo ha scaricato, e la Banca d’Inghilterra rifiuta di restituire al Venezuela l’ingente riserva aurea di cui il paese virtualmente dispone, nei forzieri di Londra. Ma in tutto questo – insorge Magaldi – come si fa a non vedere da che parte sta, Juan Guaidò? Non agisce a nome delle perfide multinazionali, bensì del popolo venezuelano mortificato e affamato dalla crisi che Maduro non ha saputo affrontare, preferendo silenziare l’opposizione e reprimere ferocemente le proteste, anche calpestando la Costituzione che Hugo Chavez aveva sempre rispettato.Magaldi considera Guaidò un patriota, un vero sindacalista civile del suo paese. Un uomo coraggioso, pronto a rischiare la pelle in nome della democrazia. Il suo partito, “Voluntad Popular”, non è affatto neoliberista: è di ispirazione dichiaratamente liberaldemocratica. Magadi è trasparente: lui stesso, precisa, milita nello stesso network massonico internazionale di Guaidò, quello che si dichiara progressista e si oppone al dominio neo-oligarchico che ha confiscato la democrazia in tutto il pianeta. Come dire: di Guaidò potete fidarvi. In Venezuela, antichi supporter di Chavez masticano amaro, di fronte a quello che interpretano come un tradimento, e vedono in Guaidò un leale traghettatore. Ipotesi: un nuovo Venezuela, non più affamato né “normalizzato”, non ridotto a colonia neoliberale. Un paese senza più il carisma del chavismo, certo, ma senza neppure «gli eccessi statalistici che, in altri tempi, in Cile, prepararono le condizioni del golpe Usa che costò la vita ad Allende, altro massone progressista». Ma, a parte l’orientamento politico di Guaidò, «socialdemocratico, non certo reazionario», l’oppositore di Maduro – insiste Magaldi – riveste oggi un profilo istituzionale perfettamente legale, che solo un cieco potrebbe non vedere. Per questo, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, la vacuità bugiarda e cialtrona dei 5 Stelle, di fronte alla tragedia venezuelana, è pari alla fellonia parolaia del “governo del cambiamento”, che in Italia non sta cambiando proprio niente.Sparare proclami a vanvera su uno scenario lontano come il Venezuela, fa notare Magaldi, serve anche a distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica sulle miserie domestiche dell’infimo governo gialloverde. Nelle parole dei leader pentastellati risuonano echi terzomondisti e vetero-antiamericanisti? Male, dice Magaldi (atlantista dichiarato), perché è facile giocare con gli slogan, come fanno gli anonimi “eroi” del web complottista. L’imperialismo yankee è brutto? «Tutte le potenze del mondo, da sempre, attuano politiche di quel tipo». L’egemonia Usa è stata determinante per l’Italia? Eccome: «Ma chi demonizza gli Stati Uniti dimentica cos’era, l’Italia feroce di Mussolini con le sue leggi razziali. Dimentica che, senza il Piano Marshall, il paese – in macerie – non sarebbe mai diventato quello del boom economico. I detrattori degli Usa avrebbero preferito l’egemonia dell’Urss? Volevano che l’Italia diventasse come l’Albania? La Cecoslovacchia? L’Unghieria?». Ovvio, non c’è rosa senza spine: e l’Italia ne ha assaggiate parecchie. Bombe nelle piazze, stragismo, strategia della tensione, tentativi di golpe. Tutta roba americana, anche quella. Chi lo dice? Sempre Magaldi, nel saggio “Massoni”.Col piglio dello storico e del politologo, l’autore ha svelato retroscena mai prima chiariti: erano massoni statunitensi i burattinai della Loggia P2 di Licio Gelli, con la sua rete di servizi deviati e terroristi pilotati. Ma erano massoni statunitensi – di segno opposto, progressista – gli uomini come Arthur Schlesinger Jr., capaci di manovrare dietro le quinte per sventare tutti e tre i tentativi di colpo di Stato organizzati dai signori della “Three Eyes” capitanata da Kissinger, l’ispiratore del golpe in Cile, dall’onnipresente David Rockefeller (grande padrino della Trilaterale) e dal raffinato stratega Zbigniew Brzezinski, l’uomo che arruolò Osama Bin Laden in Afghanistan. Poi però, annota Magaldi, lo stesso Brzezinski ci riomase male, quando Bin Laden lasciò la “Three Eyes” per approdare alla “Hathor Pentalpha” dei Bush, cupola eversiva e terroristica, capace di progettare (con l’11 Settembre) la strategia della tensione internazionale che stiamo ancora scontando, per imporre – a mano armata – la peggior forma di globalizzazione. Uno schema a cui il pavido Obama non ha osato opporsi, e che oggi vede come il fumo negli occhi l’outsider assoluto che siede alla Casa Bianca, Donald Trump, l’uomo che oggi vorrebbe liberarsi di Maduro. Come dire: niente è come sembra, l’apparenza inganna. Più che gli Stati, la geopolitica la dettano gruppi ristretti, in lotta fra loro. Ma appena sale la tensione, ricompaiono le bandiere: e il derby lo vince l’emotività. Peccato veniale, prendere lucciole per lanterne, a patto che non si sieda al governo di un paese come l’Italia.Magaldi è stato un franco sostenitore del governo Conte, come unico possibile esecutivo “eretico” rispetto al dogma finto-europeista. Aveva scommesso sulla freschezza dei 5 Stelle e sulla conversione nazionale di Salvini, a capo di una Lega non più nordista. Sperava che l’esecutivo avesse il coraggio di resistere alle pressioni internazionali, esercitate prima ancora che il governo nascesse, con il “niet” su Paolo Savona all’economia. Ad ogni sconfitta, leghisti e grillini hanno alzato la voce: grandi proclami, per nascondere l’imbarazante verità. L’ipotesi di deficit al 2,4%? Troppo debole, per aiutare l’economia. Ma si sono dovuti rimangiare pure quella, piegandosi agli oligarchi di Bruxelles. Non hanno osato tener duro, i gialloverdi, neppure di fronte al clamoroso assist offerto in Francia, contro l’establishment eurocratico, dai Gilet Gialli. L’ultima cosa che oggi possono permettersi di fare, i 5 Stelle, è di dire stupidaggini su Juan Guaidò, insiste Magaldi: prima di parlare, si leggano la Costituzione del Venezuela. E smettano di essere ipocriti: «Il governo è pieno di massoni, anche se nel “contratto” (in modo discriminatorio, ledendo un diritto democratico) avevano scritto che non avrebbero dato spazio a esponenti della massoneria». Peggio: «Qualche settimana fa, esponenti della maggioranza erano venuti a chiedere la mia personale intercessione per essere aiutati, a livello europeo, dai circuiti massonici progressisti». E adesso vogliono farci la lenzioncina sul Venezuela?O siete ignoranti, all’oscuro dei fatti, o siete addirittura in malafede. E non si sa cosa sia peggio, visto che sedete addirittura al governo. Pazienza, se si trattasse dei soliti “leoni da tastiera”, che sui social diffondono falsità e distribuiscono insulti in modo sleale, protetti dall’anonimato, convinti di restare impuniti in eterno. Ma se si rivestono cariche istituzionali, non si può scadere fino a questo punto. Specie se, come in Venezuela, è in gioco la sicurezza di quasi 30 milioni di persone, ormai alle prese con un’emergenza umanitaria. Sono tantissimi i venezuelani di origine italiana, ieri vicini al governo socialista di Hugo Chavez e ora spaventati e mortificati: dall’invereconda autocrazia dell’indegno Nicolas Maduro, e dal silenzio ufficiale dell’Italia, il cui governo non prende posizione in modo netto sulla crisi in corso. E’ esasperato, Gioele Magaldi, di fronte all’opaca neutralità dei 5 Stelle: non riconoscendo Juan Guaidò come “presidente ad interim”, i pentastellati finiscono per supportare Maduro, cioè il politico fallimentare di cui la stragrande maggioranza dei venezuelani vorrebbe liberarsi. «Avevo dato del cialtrone ad Alessandro Di Battista – tuona Magaldi, in web-streaming su YouTube – ma ora allo stesso giudizio associo anche il vicepremier Luigi Di Maio, allineatosi a Di Battista, esattamente come il presidente della Camera, Roberto Fico».
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Minà: stampa vile, oscura l’infame assedio del Venezuela
Un drammatico tentativo di “regime change”, al culmine di un assedio spietato. Da sei anni, cioè dalla morte di Hugo Chavez, il Venezuela è stretto nella morsa imperiale degli Usa. Vero obiettivo: mettere le mani sulla Pdvsa, la compagnia petrolifera statale. Per inciso: il Venezuela dispone della maggior riserva di petrolio al mondo. Altro da aggiungere? Certo, a pesare è l’insipienza del governo Maduro, che è solo l’ombra del leader “bolivariano” a cui è succeduto. Ma sarebbe assurdo non vedere – come fa la grande stampa – a quali difficoltà è stato costretto, l’esecutivo di Caracas, dalla micidiale macchina del Washington Consensus. Lo afferma un grande giornalista come Gianni Minà, per lunghi anni rivoluzionario conduttore di programmi che hanno fatto la storia della televisione italiana. Intervistato da Fabrizio Verde per “L’Antidiplomatico”, Minà si schiera senza esitazione dalla parte di Maduro, che nella regione è sostenuto da paesi come il Messico e Cuba, la Bolivia e l’Uruguay. Il Venezuela, scrive Verde, si trova nuovamente sotto attacco: «A Washington hanno costruito il grottesco golpe con lo sconosciuto Guaidò che si è auto-nominato presidente ad interim». Minà sottolinea «l’incongruenza della politica degli Stati Uniti praticamente da sempre». E spiega: «Non saprei definire in altro modo le numerose guerre dichiarate da Washington, nell’ultimo mezzo secolo, in nome della democrazia e della libertà».Osservando conflitti come quello del Vietnam e ultimamente quelli in Medio Oriente, aggiunge Minà, «viene da domandarsi perché tutto questo si ripeta, visto che alla fine gli yankee si devono quasi sempre ritirare e rinunciare alle loro mire iniziali». Riguardo al Venezuela, appoggiato da Russia e Cina, Gianni Minà considera drammatica la situazione, senza la possibilità di una soluzione a breve: «E questo perché nessuno vuol dispiacere al paese della libertà, quello di Trump ovviamente». Spirano venti di guerra: corriamo il rischio che Caracas diventi una nuova Damasco? «Credo proprio di sì», risponde Minà, anche se, aggiunge, «con l’auto-nomina del candidato “americano”, tutto è diventato ridicolo: specialmente se a una tale “trovata” nessuno, neanche l’Unione Europea, ha avuto il coraggio di essere dissenziente e chiaro». Per bocca di John Bolton, gli Stati Uniti hanno annunciato nuove sanzioni contro la compagnia petrolifera statale Pdvsa, quinta fornitrice di petrolio per gli Usa. Inoltre sono stati congelati ben 7 miliardi di dollari della società di Caracas. Il vero obiettivo è quello di impadronirsi del petrolio venezuelano? «Credo che questo obiettivo sia palese», conferma Minà, secondo cui siamo letteralmente alle solite: le Sette Sorelle vogliono il petrolio venezuelano. Tutto il resto è coreografia. O tragedia: «Si può condannare alla fame un paese strategico che fa comodo all’economia di un altro paese? Pare di sì, in barba a tutte le dichiarazioni di moralità e di etica della politica».Secondo Fabrizio Verde, l’informazione sul Venezuela è spesso inquinata da “fake news” propalate senza soluzione di continuità dal circuito informativo mainstream. Perché tanto accanimento contro il Venezuela? La Rivoluzione Bolivariana rappresenta un esempio scomodo per troppi paesi schiacciati sotto il tallone di ferro del neoliberismo? Minà confessa «una punta di malinconia per la fine che ha fatto il nostro mestiere». E spiega: «Non ho letto o ascoltato infatti articoli seri, ma soltanto l’esaltazione della giustezza della politica nordamericana o la propaganda ritmata per cui (ormai da sei anni, dalla morte di Chavez) esiste un piano di mortificazione dei diritti dei venezuelani». Aggiunge: «Gli errori del governo di Maduro hanno fatto il resto, ma è vile assistere a un assedio del paese che dura da tempo, si esprime con atti golpisti ogni due, tre mesi, sparisce dall’informazione per un paio di volte al mese, dopo di che aspetta i dollari che devono arrivare dagli Stati Uniti per continuare una strategia infame e finisce, da giugno, per ignorare che le elezioni le ha vinte il governo chavista. Piaccia o non piaccia agli organizzatori di questi golpe».Le elezioni di cui parla Minà sono le presidenziali del 20 maggio 2018, contestate da alcune Ong. Maduro ha stravinto ottenendo quasi il 70% dei consensi (oltre 6 milioni di voti), battendo Henri Falcon (“Avanzata progressista”) e l’indipendente Javier Bertucci. Alla tornata elettorale però avevano rifiutato di partecipare “Prima la Giustizia”, “Azione Democratica” e “Volontà Popolare”, la formazione di Guaidò. Assediato dalle manifestazioni di piazza, in un video-appello “al popolo Usa”, oggi Maduro dichiara: «È stata avanzata una campagna brutale di immagini false, di immagini truccate e montate: non credete a tutto quello che affermano i media degli Stati Uniti, ve lo dico con il cuore». L’altra notizia è che la Banca d’Inghilterra ha clamorosamente rifiutato di consegnare al governo di Caracas la riserva aurea del Venezuela, di cui il paese ha disperato bisogno. In compenso, i venezuelani sono invitati a consolarsi con gli aiuti umanitari alternativi, richiesti da Guaidò e procurati di fatto dagli stessi poteri che oggi rifiutano di restituire al Venezuela l’oro dello Stato.Un drammatico tentativo di “regime change”, al culmine di un assedio spietato. Da sei anni, cioè dalla morte di Hugo Chavez, il Venezuela è stretto nella morsa imperiale degli Usa. Vero obiettivo: mettere le mani sulla Pdvsa, la compagnia petrolifera statale. Per inciso: il Venezuela dispone della maggior riserva di petrolio al mondo. Altro da aggiungere? Certo, a pesare è l’insipienza del governo Maduro, che è solo l’ombra del leader “bolivariano” a cui è succeduto. Ma sarebbe assurdo non vedere – come fa la grande stampa – a quali difficoltà è stato costretto, l’esecutivo di Caracas, dalla micidiale macchina del Washington Consensus. Lo afferma un grande giornalista come Gianni Minà, per lunghi anni rivoluzionario conduttore di programmi che hanno fatto la storia della televisione italiana. Intervistato da Fabrizio Verde per “L’Antidiplomatico”, Minà si schiera senza esitazione dalla parte di Maduro, che nella regione è sostenuto da paesi come il Messico e Cuba, la Bolivia e l’Uruguay. Il Venezuela, scrive Verde, si trova nuovamente sotto attacco: «A Washington hanno costruito il grottesco golpe con lo sconosciuto Guaidò che si è auto-nominato presidente ad interim». Minà sottolinea «l’incongruenza della politica degli Stati Uniti praticamente da sempre». E spiega: «Non saprei definire in altro modo le numerose guerre dichiarate da Washington, nell’ultimo mezzo secolo, in nome della democrazia e della libertà».
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Non vi lasciano governare? Fate un atto eroico: dimettetevi
Fate una cosa fantastica, che nessuno ha mai osato fare prima d’ora: andatevene a casa. Sarebbe rivoluzionario, perché aprirebbe gli occhi alla gente. Finalmente, tutti avrebbero accesso alla verità, che è la seguente: qualsiasi governo in carica non è in grado di mantenere le sue promesse, a meno che non siano in linea, già in partenza, con il potere reale di chi comanda davvero. Ve l’immaginate cosa accadrebbe, in Italia, se i 5 Stelle dicessero una cosa simile? Non ci lasciano governare come vorremmo, quindi diciamo addio al governo e ci dimettiamo anche da parlamentari. Torniamo a casa, perché governare l’Italia è impossibile, anche se hai vinto le elezioni. Il giorno dopo, infatti, arriva qualcuno che ti spiega cosa puoi fare e cosa non puoi fare. E’ successo sempre, sta succedendo ancora. Al punto da lasciar sbiadire, fino a ridurre a zero, qualsiasi istanza di cambiamento. Il governo gialloverde è diventato una farsa, e in particolare i 5 Stelle stanno scivolando nel ridicolo. Perché non se ne vanno a casa? Sarebbe un gesto clamoroso, che gli italiani capirebbero. Dopo, allora, il cambiamento potrebbe cominciare davvero.E’ l’appello che Massimo Mazzucco, elettore deluso dai grillini, torna a rilanciare: se sei costretto a rimangiarti tutte le promesse – dal reddito di cittadinanza al rifiuto della legge Lorenzin sull’obbligo vaccinale – ti resta un’ultima carta, le dimissioni. Sarebbero esplosive e dirompenti, ribadisce Mazzucco, in web-streaming su YouTube. Se Di Maio, Toninelli e compagnia facessero una cosa simile – aggiunge – verrebbe giù il paese. Gli italiani si scuoterebbero. E i grandi media sarebbero costretti a dire finalmente la verità, ad ammettere che l’Italia non ha più sovranità su niente, non può prendere decisioni a tutela dei cittadini perché non piacciono al potere economico, l’unico che conti. L’obbligo vaccinale? Alto tradimento: il “contratto” di governo prevedeva il “superamento” della legge Lorenzin. Emergono notizie sui vaccini “sporchi” e sulle reazioni avverse? La Puglia ha dimostrato che 4 bambini su 10, dopo il vaccino, mostrano problemi anche gravi? Ma il ministro della salute, Giulia Grillo, diffonde uno spot in tv per far dire all’astronauta Samantha Criostoforetti che «i vaccini sono sicuri». Menzogna: lo sanno tutti, che non lo sono. Lo scrive, nero su bianco, la Corte Suprema degli Usa: i danni da vaccino «sono inevitabili». E al governo americano sono finora costati 4 miliardi di dollari in risarcimenti.Dove siete, cari 5 Stelle? Che ci fate, accanto a Salvini che si schiera per il Tav Torino-Lione, violando slealmente il patto di governo, la cui carta garantiva che quel progetto sarebbe stato sottoposto al severo vaglio dell’analisi costi-benefici? Dove siete, cari pentastellati, quando i poteri oligarchici che dominano l’Unione Europea vi costringono a rinunciare – a colpi di spread e di minacce, come la procedura d’infrazione – a tutte le promesse che avevate fatto agli elettori italiani? Che senso ha, restare al governo in queste condizioni? I militanti più ciecamente fanatici dicono che bisogna comunque resistere, mediare, tener duro? No, protesta Mazzucco. C’è ben altro, che si può fare. Qualcosa di estremo, pulito, trasparente. Dire, alla nazione: noi torniamo a casa, perché i grandi poteri (privati, non democratici) ci impediscono di governare come vorremmo. Se accadesse una cosa simile, lo choc sarebbe così enorme da produrre – allora sì – la rivoluzione di cui si riempivano la bocca, un tempo, i 5 Stelle. A quel punto, tutti gli italiani sarebbero con loro. E le elezioni successive si trasformerebbero in un plebliscito (e in un cataclisma, per tutti i poteri che hanno frenato, intralciato e sabotato il “governo del cambiamento”). Si tratta di compiere un’azione semplice, lineare. Unico requisito: il coraggio. Politici onesti, cioè coraggiosi. Qualcuno ne vede, in giro? Nemmeno col telescopio.Fate una cosa fantastica, che nessuno ha mai osato fare prima d’ora: andatevene a casa. Sarebbe rivoluzionario, perché aprirebbe gli occhi alla gente. Finalmente, tutti avrebbero accesso alla verità, che è la seguente: qualsiasi governo in carica non è in grado di mantenere le sue promesse, a meno che non siano in linea, già in partenza, con il potere reale di chi comanda davvero. Ve l’immaginate cosa accadrebbe, in Italia, se i 5 Stelle dicessero una cosa simile? Non ci lasciano governare come vorremmo, quindi diciamo addio al governo e ci dimettiamo anche da parlamentari. Torniamo a casa, perché governare l’Italia è impossibile, anche se hai vinto le elezioni. Il giorno dopo, infatti, arriva qualcuno che ti spiega cosa puoi fare e cosa non puoi fare. E’ successo sempre, sta succedendo ancora. Al punto da lasciar sbiadire, fino a ridurre a zero, qualsiasi istanza di cambiamento. Il governo gialloverde è diventato una farsa, e in particolare i 5 Stelle stanno scivolando nel ridicolo. Perché non se ne vanno a casa? Sarebbe un gesto clamoroso, che gli italiani capirebbero. Dopo, allora, il cambiamento potrebbe cominciare davvero.
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Parigi e Londra: chi ha pagato per avere Macron all’Eliseo
Secondo le rivelazioni del “Journal du dimanche” del 2 dicembre, tra marzo 2016 e maggio 2017 la metà dei finanziamenti di En Marche è arrivata da appena 913 donazioni. Il contributo del Regno Unito alla campagna presidenziale di Emmanuel Macron sarebbe superiore a quello delle dieci maggiori città francesi della provincia. Si tratta di un gruppo di sostenitori che, quando si tratta di aiutarsi tra amici, non fa economie. Il “Journal du dimanche”, che ha indagato sui conti de “La République en Marche” (Lrem), il 2 dicembre ha rivelato che l’epopea presidenziale di Emmanuel Macron è stata finanziata per metà da… al massimo 913 persone. Questo “club dei mille” ha donato non meno di 6,3 milioni di euro a En Marche nel periodo tra la sua formazione nel marzo 2016 e maggio 2017, il che rappresenta il 48% delle donazioni totali. Questa cifra impressionante è ad esempio superiore alla somma di tutte le donazioni fatte a candidati “minori”, come Nicolas Dupont-Aignan, Jean Lassalle, Philippe Poutou, François Asselineau, Nathalie Arthaud, Jacques Cheminade. Una cifra in grado di pilotare apertamente una candidatura per le elezioni presidenziali.In un sondaggio pubblicato lo scorso aprile, “Marianne” ha mostrato come, per lanciare la nomina dell’enarca, i collaboratori di Emmanuel Macron si siano finanziati principalmente tramite delle cene di raccolta fondi organizzate con esponenti dell’alta finanza. Alla fine del 2016, il 69% delle donazioni risultavano pervenute con questa modalità. En Marche poteva persino contare su un prezioso club di “400 contributori di oltre 5.000 euro”. L’inchiesta del “Jdd” conferma che questo circolo si è leggermente allargato nei primi sei mesi del 2017, ma non troppo. La cifra riportata, 913, corrisponde infatti al numero di donazioni superiori a 5.000 euro, ma non al numero di donatori, dato che il massimo ammontare è di 7.500 euro a persona all’anno. È infatti abbastanza probabile che molti dei ricchi mecenati dell’ex-Ispettore delle Finanze abbiano scelto di fare due donazioni, una nel 2016 e una nel 2017. Il famoso “club dei mille” è più probabilmente una più ristretta cerchia di circa 450 donatori.La geografia di queste donazioni rivela un altro squilibrio. Ne emerge il ritratto di un candidato ampiamente sostenuto nella regione parigina (il 56% del totale) e… nelle roccaforti della finanza all’estero, molto più che in provincia. Preoccupante, dal momento che in buona parte della “Francia periferica” si sta sollevando la protesta del movimento dei Gilet Gialli. Si viene in tal modo a sapere che le donazioni dalla Svizzera (95.000 euro) hanno portato più soldi a En Marche rispetto a quelle provenienti da Marsiglia (78.364 euro), la seconda città più grande della Francia! Con solo 18 benefattori ma con donazioni per 105.000 euro, i libanesi hanno fortemente contribuito all’emergere del macronismo, più dei 250.000 abitanti di Bordeaux e dei 230.000 abitanti di Lille insieme! Dopo Parigi, la seconda città più “macronizzata” non è altro che… Londra. Con 800.000 euro di donazioni, il Regno Unito ha contribuito più di tutte le dieci maggiori città francesi della provincia.Questa informazione dà un altro significato alla parziale rimozione della “exit tax” [imposta sugli utili in conto capitale per chi delocalizza], annunciata in gran pompa da Emmanuel Macron alla rivista americana “Forbes” lo scorso maggio. Nel tentativo di liberarsi della sua etichetta di “candidato dei ricchi”, l’ex banchiere avrebbe peraltro costretto i suoi collaboratori a mentire. Nel maggio 2017, il team di En Marche assicurava a “Libération” che la proporzione di donazioni di oltre 5.000 euro sulla raccolta totale fosse di “un terzo”. In realtà è la metà, come documenta oggi l’inchiesta del “Jdd”. Ciò diviene particolarmente interessante se raffrontato allo studio dell’Istituto delle politiche pubbliche pubblicato lo scorso ottobre, dal quale si evince che i grandi vincitori della politica fiscale di Emmanuel Macron sono… gli ultra-ricchi. L’1% più ricco ha visto i propri redditi aumentare del 6%, laddove le famiglie meno abbienti hanno perso l’1% del loro potere d’acquisto.(Étienne Girard, “La campagna presidenziale di Macron è stata finanziata per metà da un gruppo di neanche mille persone”, da “Marianne.net” del 2 dicembre 2018; articolo tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).Secondo le rivelazioni del “Journal du dimanche” del 2 dicembre, tra marzo 2016 e maggio 2017 la metà dei finanziamenti di En Marche è arrivata da appena 913 donazioni. Il contributo del Regno Unito alla campagna presidenziale di Emmanuel Macron sarebbe superiore a quello delle dieci maggiori città francesi della provincia. Si tratta di un gruppo di sostenitori che, quando si tratta di aiutarsi tra amici, non fa economie. Il “Journal du dimanche”, che ha indagato sui conti de “La République en Marche” (Lrem), il 2 dicembre ha rivelato che l’epopea presidenziale di Emmanuel Macron è stata finanziata per metà da… al massimo 913 persone. Questo “club dei mille” ha donato non meno di 6,3 milioni di euro a En Marche nel periodo tra la sua formazione nel marzo 2016 e maggio 2017, il che rappresenta il 48% delle donazioni totali. Questa cifra impressionante è ad esempio superiore alla somma di tutte le donazioni fatte a candidati “minori”, come Nicolas Dupont-Aignan, Jean Lassalle, Philippe Poutou, François Asselineau, Nathalie Arthaud, Jacques Cheminade. Una cifra in grado di pilotare apertamente una candidatura per le elezioni presidenziali.
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Vaccini sicuri? Falso: negli Usa, risarcimenti per 4 miliardi
Oggi mi voglio rivolgere direttamente a un ministro della Repubblica italiana. Sul finire del 2018, infatti, il ministero della sanità di Giulia Grillo ha prodotto due comunicazioni istituzionali, cioè due spot pubblicitari, nei quali si promuovono le vaccinazioni, che vengono definite “sicure” all’interno dello spot stesso. E’ Samantha Cristoforetti, chiamata a fare da testimonial in uno di questi spot governativi, a rassicurarci tutti dicendo che i vaccini sono sicuri: «Facciamo squadra per la nostra salute, i vaccini funzionano e sono sicuri». Affermare che i vaccini sono sicuri è falso, clamorosamente falso e dimostrabilmente falso: basta guardare i dati più recenti del tribunale americano per la compensazione dei danni da vaccino, la cosiddetta Vaccine Court. La tabella è aggiornata al 31 dicembre 2018, meno di un mese fa: da quando è stato creato nel 1986 ad oggi, il tribunale dei vaccini americano ha erogato oltre 4 miliardi di dollari per i danneggiati da vaccino. Quindi, se i vaccini fossero sicuri, a chi li hanno dati questi 4 miliardi di dollari? Li hanno regalati al primo che passava di lì? Ovviamente no. Comunque sia, non c’è bisogno di confrontarsi con le cifre, se uno non vuole farlo: che i vaccini siano inevitabilmente non sicuri lo stabilisce, nero su bianco, la Corte Suprema americana.Basta leggere una delle sue sentenze più famose, “Bluesewitz versus Whyeth”, una sentenza del 2011 che fu scritta proprio per proteggere in modo definitivo le case farmaceutiche dalle denunce che continuavano a piovere contro di loro per i danni provocati dai vaccini. Nella sentenza, la Corte faceva riferimento alla legge 42 del codice legale americano, dicendo: questa legge esclude ogni responsabilità da parte del produttore per le inevitabili reazioni avverse dei vaccini. Più avanti, nella sentenza, la Corte Suprema spiega il concetto: la legge stabilisce che nessuna casa produttrice di vaccini possa essere denunciata in una causa civile, a partire dal 1° ottobre 1988, per danni derivanti da menomazione o morte da vaccino, se la menomazione o la morte siano sopraggiunti da effetti collaterali che erano inevitabili (nonostante il vaccino fosse stato preparato adeguatamente e fosse accompagnato dalle corrette indicazioni e controindicazioni). In altre parole, se ti fai il vaccino – dice la Corte Suprema – ti può succedere che ti vada male, ma non per questo potrai rivalerti sulle case farmaceutiche: i danni da vaccino te li paga lo Stato. Quindi, nel tentativo di proteggere economicamente le case farmaceutiche, lo Stato federale americano ha ammesso che i vaccini non siano sicuri, e da quel giorno si è accollato ogni spesa per i danni derivanti dalle vaccinazioni.Anche in Italia funziona così: tu non puoi fare causa direttamente alle case farmaceutiche, e i danneggiati da vaccino li risarcisce lo Stato. Peccato che lo stesso Stato che si offre così generosamente di ripagarti i danni (con i soldi tuoi, sia ben chiaro) sia proprio lo Stato che i vaccini ti ha obbligato a farli. Quindi, pensate al paradosso meraviglioso in cui viviamo: le case farmaceutiche producono i vaccini e ci mettono dentro quello che vogliono, tanto loro non sono responsabili in ogni caso. Noi cittadini veniamo obbligati a farci i vaccini, che vengono pagati alle case farmaceutiche con i soldi delle nostre tasse. E poi, se a qualcuno va male, c’è sempre lo Stato (ovvero sempre noi cittadini) che ripaga i danni, con i nostri soldi. Un po’ come in Cina, dove ti condannano a morte quando gli pare e piace, poi ti fucilano, e la pallottola per la fucilazione deve pure pagarla la famiglia del condannato. Nel frattempo, con questo meccanismo perverso, le case farmaceutiche si arricchiscono da far schifo – con un business di 27 miliardi di dollari all’anno, puliti puliti – senza correre il minimo rischio: il rischio che invece corriamo noi, che siamo obbligati a mettere in gioco la salute dei nostri figli.E adesso arriva pure lo Stato, nella forma del ministero della sanità, a raccontarci che i vaccini sono sicuri. E lo fa sempre con i nostri soldi: infatti, secondo voi, con cosa li paga, il ministero della sanità, i produttori dello spot pubblicitario? Sempre con i soldi dei cittadini. Ovviamente, rispetto a questa gente, Machiavelli era un dilettante. Ecco, questo è il paradigma complessivo che andrebbe affrontato, sulla questione vaccini: cittadini obbligati a rischiare la salute dei propri figli, con la scusa di epidemie inesistenti, per arricchire le case farmaceutiche con i nostri soldi – e poi obbligati a risarcire noi stessi, sempre con i nostri soldi, se per caso qualcosa va male. Ovviamente, per affrontare un argomento del genere ci vorrebbero dei politici “con le contropalle”, che qui da noi nemmeno con il telescopio si riescono a vedere.Nel frattempo però bisogna almeno correggere questa bugia plateale che i vaccini sono sicuri. Perché fin che lo dice Burioni va bene, fa parte del gioco: lui ha scelto di stare dalla parte di Big Pharma, e quindi la bugia ci può anche stare. Ma lei, ministro, non può mentire. Lei dovrebbe essere dalla parte dei cittadini: dovrebbe proteggerli, non ingannarli. Glielo ripeto: lo scrive, nero su bianco, la Corte Suprema americana. I vaccini sono “unavoidable unsafe”, cioè inevitabilmente non sicuri. Non c’è molto da girare intorno alla traduzione di queste due parole. Quindi, cara ministra Grillo, rifaccia lo spot (che è stato pagato con i nostri soldi) e faccia dire alla Cristoforetti, chiaro e tondo, che i vaccini non sono affatto sicuri. Oppure dia le dimissioni se ne vada a casa, perché evidentemente non è in grado di gestire la responsabilità che le è stata affidata, e che riguarda in primo luogo la salvaguardia della sicurezza di tutti i nostri bambini. Lei dice sempre che bisogna fare un’informazione corretta, e poi alla prima a disinformare la popolazione dicendo in uno spot che i vaccini sono sicuri? Oppure c’è anche una terza ipotesi, volendo: rimanga al suo posto e faccia finta di niente. Questo video glielo segnaleranno almeno mille persone diverse. Ma lei faccia finta di non averlo visto. Nel qual caso, avremo tutti la certezza assoluta che lei non sta dalla parte del cittadino, ma sta anche lei dalla parte di Big Pharma – insieme ai Burioni e a tanti altri ignoranti, che non sono nemmeno in grado di leggere una sentenza della Corte Suprema americana.(Massimo Mazzucco, video-appello “I vaccini non sono sicuri: lo dice la Corte Suprema americana”, rivolto al ministro della salute Giulia Grillo. Pubblicato su YouTube, l’appello è ripreso dal blog “Luogo Comune” il 30 gennaio 2019).Oggi mi voglio rivolgere direttamente a un ministro della Repubblica italiana. Sul finire del 2018, infatti, il ministero della sanità di Giulia Grillo ha prodotto due comunicazioni istituzionali, cioè due spot pubblicitari, nei quali si promuovono le vaccinazioni, che vengono definite “sicure” all’interno dello spot stesso. E’ Samantha Cristoforetti, chiamata a fare da testimonial in uno di questi spot governativi, a rassicurarci tutti dicendo che i vaccini sono sicuri: «Facciamo squadra per la nostra salute, i vaccini funzionano e sono sicuri». Affermare che i vaccini sono sicuri è falso, clamorosamente falso e dimostrabilmente falso: basta guardare i dati più recenti del tribunale americano per la compensazione dei danni da vaccino, la cosiddetta Vaccine Court. La tabella è aggiornata al 31 dicembre 2018, meno di un mese fa: da quando è stato creato nel 1986 ad oggi, il tribunale dei vaccini americano ha erogato oltre 4 miliardi di dollari per i danneggiati da vaccino. Quindi, se i vaccini fossero sicuri, a chi li hanno dati questi 4 miliardi di dollari? Li hanno regalati al primo che passava di lì? Ovviamente no. Comunque sia, non c’è bisogno di confrontarsi con le cifre, se uno non vuole farlo: che i vaccini siano inevitabilmente non sicuri lo stabilisce, nero su bianco, la Corte Suprema americana.
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Manson: mi condannate a morte, ma siete più morti di me
Ho passato la mia vita in carcere. Ho sempre visto la gente del mondo libero come i buoni e la gente nelle prigioni come i cattivi. Sono sempre stato in galera e sono rimasto stupido, osservando il vostro mondo crescere, senza riuscire a capirlo, senza capire le cose che voi fate. Ho fatto del mio meglio per tirare avanti nel vostro mondo. Ho fatto tutto ciò che ho potuto per andare d’accordo con voi, e non ho ordinato a nessuno di voi di fare nulla di più di quello che voleva fare. Quello che voglio è essere in pace, qualunque cosa comporti. Ma questo non me lo permettete. Perché il vostro mondo è fatto di immondizia ai lati della strada, e io sono una delle vostre immondizie. Ora volete uccidermi. Ma io sono già morto, lo sono stato per tutta la mia vita. Io vivo nel mio mondo, e sono il re del mio mondo, anche se è un immondezzaio, se è nel deserto o da qualunque altra parte. Voi potete uccidere il corpo, ma non potete uccidere l’anima. L’anima è sempre là, all’inizio e alla fine: non potete fermarla, è più grande di me. Nella mia mente io vivrò per sempre, e nella mia mente io ho sempre vissuto. Sono solo quello che avete costruito. Vi aspettate di spezzarmi? Impossibile, mi avete spezzato anni fa. Stavo seduto in cella quando il tipo mi apriva la porta e diceva: vuoi uscire? Io lo guardavo e dicevo: e tu, vuoi uscire? Tu sei in prigione, tutti voi siete in prigione. La legge che è in voi è peggiore della legge che è in me.Voi avete reso i vostri bambini quello che sono. Questi bambini che vengono da voi con i coltelli sono i vostri bambini, glielo avete insegnato voi. Dite quanto sono cattivi e assassini i vostri bambini, ma glielo avete insegnato voi. Voi avete reso i vostri bambini quello che sono. Ai bambini spiegate che cosa non devono fare nella speranza che escano e lo facciano, cosicché voi possiate giocare il vostro gioco con loro. Ai soldati insegnate ad uccidere, e loro vanno e uccidono; poi li processate e li mettete in prigione perché hanno ucciso. Se un soldato va sul campo di battaglia ci va rischiando la sua vita, ma questo gli dà il permesso di prenderne una? Non ho niente contro nessuno di voi. Non posso giudicare nessuno di voi. Ma penso che sia il momento buono perché voi tutti cominciate a guardarvi, e giudichiate le bugie nelle quali vivete. Voi non siete voi, siete solo dei riflessi; siete riflessi di tutto ciò che credete di sapere, di tutto quello che vi è stato insegnato. I vostri genitori vi hanno detto che cosa siete, vi hanno costruito prima che voi aveste sei anni, e quando eravate a scuola e vi facevate il segno della croce e giuravate fedeltà alla bandiera, loro in realtà vi intrappolavano, perché a quell’età voi non conoscevate nessuna menzogna finché quella menzogna non fu riflessa su di voi.E’ sbagliato non avere denaro, è sbagliato pagare in ritardo le rate della macchina, è sbagliato rompere la Tv, è sbagliato, è sbagliato… voi continuate, lo ammucchiate nella vostra mente, voi siete bastonati da tutto ciò e dalla vostra confusione. Ognuno di voi è solo un riflesso degli altri. Voi non mi sembrate veri. Mi sembrate il composto di ciò che qualcuno vi ha detto che siete. Voi vivete per le opinioni degli altri: non siete sicuri di come siete, e vi chiedete se sembrate a posto. Prendete un’altra alka seltzer e un’altra aspirina, e sperate di non dover pensare alla verità. Perché? Perché? Perché? I vostri perché vengono da vostra madre, vostra madre vi insegna i perché. Voi continuate a chiedere, e lei continua a dirvi i suoi perché. E vi riempite il vostro piccolo cervello di perché. Voi proiettate paura, e cercate qualcosa su cui proiettarla. Quando siete piccoli tenete la bocca chiusa, e quando qualcuno vi dice “seduto” voi vi sedete, finché non capite che lo potete colpire. E se lo capite vi alzate, lo colpite e dite a lui di sedersi. L’ira che riflettete su di me è l’ira che avete nei vostri confronti. Io sono voi. Voi siete il mio sangue. Voi siete mio fratello: è per questo che non posso combattervi.Non mi interessa come vi sembro, non mi interessa cosa pensate di me. E non mi interessa sapere cosa farete di me. Non avete alcuna idea di quello che state facendo, e voi state facendo ciò che fate solo per denaro. Non passerà molto tempo prima che vi uccidiate tutti da soli, perché siete tutti pazzi. Siete tutti assassini: uccidete cose migliori di voi. L’essere umano non esisterà ancora per molto tempo. Dio vi chiederà di prendervi le vostre responsabilità. Dovreste tutti guardarvi attorno, affrontare i vostri bambini e cominciare a seguirli e ascoltarli. Ma siete troppo sordi, muti e ciechi, per fermare ciò che state facendo. Ma va bene. Va tutto bene. Non fa davvero nessuna differenza, perché comunque stiamo andando tutti nello stesso posto. Tutto è perfetto. Voi avete portato sul banco dei testimoni il tizio che è contrario ad uccidere. E gli state chiedendo di uccidervi, di giudicarvi: perché voi tutti sapete, e io so che voi sapete, e voi sapete che io so che voi sapete. Quindi, chiudiamo il cerchio.(Charles Manson, discorso pronunciato in tribunale poco prima della condanna a morte, il 29 marzo 1971, poi commutata in ergasolo).Manson era accusato della strage di Cielo Drive, a Los Angeles, quando – il 9 agosto 1969 – in una villa furono assassinati Sharon Tate e quattro suoi amici. A carico di Manson, per la legge americana, anche il doppio omicidio di Leno LaBianca e sua moglie. Nato a Cincinnati il 12 novembre 1934, Manson è morto il 19 novembre 1917 dopo aver trascorso 46 anni dietro le sbarre. Nel blog “Petali di Loto”, Paolo Franceschetti ricorda che non gli fu permesso di pronunciare davanti alla corte, ma solo di fronte al giudice, il suo celebre discorso di commiato – l’ultimo atto del processo, prima della sentenza. Aver negato all’imputato la possibilità di rivolgersi alla corte (forse nel timore che cambiasse idea sulla sua colpevolezza), secondo l’avvocato Franceschetti costituì un’irregolarità formale, nella procedura giudiziaria. La condanna di Manson è tuttora controversa, e le prove della sua colpevolezza sono tutt’altro che granitiche.Il saggista Gianfranco Carpeoro mette in relazione Manson, allora aspirante rocker, con l’ex produttore discografico dei Beatles, il geniale Phil Spector, amico del regista Roman Polanski. Al regista, sostiene Carpeoro, Spector raccontò la storia della sua vita: i suoi genitori, satanisti, lo avevano “consacrato al diavolo”. Polanski avrebbe ripreso la vicenda nel film “Rosemary’s baby”, facendo infuriare Spector: fino al punto da spingerlo a far assassinare la moglie di Polanski, Sharon Tate? Sempre secondo Carpeoro, lo stesso Spector (ora in carcere per un altro omicidio) sarebbe legato sia all’assassinio di John Lennon che a quello di Michael Jackson. Lennon, ucciso dal giovane Mark David Chapman (che dirà che fu “il demonio” a spingerlo a sparare), si era rifiutato di cedere a Spector i diritti delle canzoni dei Beatles. Più tardi, Spector chiese di avere quei diritti da Michael Jackson, che nel frattempo li aveva acquistati. Jackson morì per l’iniezione letale praticatagli dal dottor Conrad Murray (condannato per l’omicidio). «Era stato proprio Spector – sostiene ancora Carpeoro – a fare in modo che Murray diventasse il medico di Michael Jackson».Secondo la ricostruzione di Carpeoro, è possibile che qualcun altro – non Manson – abbia commesso la strage di Cielo Drive nel ‘69. Ed è probabile che il mandante abbia chiesto a Manson e alla sua banda di inoltrarsi nella villa (lasciando impronte digitali ovunque) dopo che gli omicidi erano stati compiuti. E’ noto che Spector conosceva Manson, e che gli aveva promesso di aiutarlo a emergere, come musicista. Una volta in carcere, Manson non ha mai ammesso di aver compiuto la mattanza di Los Angeles, dando però la sensazione di non dire tutto quello che forse sapeva, al riguardo. Negli ultimi anni, dal carcere, ha chiesto di incontrare Spector – che però si è rifiutato di vederlo. Nel 2014, il legale di Spector ha annunciato che l’ex produttore musicale, ormai quasi ottantenne, ha perso definitivamente l’uso della parola.Ho passato la mia vita in carcere. Ho sempre visto la gente del mondo libero come i buoni e la gente nelle prigioni come i cattivi. Sono sempre stato in galera e sono rimasto stupido, osservando il vostro mondo crescere, senza riuscire a capirlo, senza capire le cose che voi fate. Ho fatto del mio meglio per tirare avanti nel vostro mondo. Ho fatto tutto ciò che ho potuto per andare d’accordo con voi, e non ho ordinato a nessuno di voi di fare nulla di più di quello che voleva fare. Quello che voglio è essere in pace, qualunque cosa comporti. Ma questo non me lo permettete. Perché il vostro mondo è fatto di immondizia ai lati della strada, e io sono una delle vostre immondizie. Ora volete uccidermi. Ma io sono già morto, lo sono stato per tutta la mia vita. Io vivo nel mio mondo, e sono il re del mio mondo, anche se è un immondezzaio, se è nel deserto o da qualunque altra parte. Voi potete uccidere il corpo, ma non potete uccidere l’anima. L’anima è sempre là, all’inizio e alla fine: non potete fermarla, è più grande di me. Nella mia mente io vivrò per sempre, e nella mia mente io ho sempre vissuto. Sono solo quello che avete costruito. Vi aspettate di spezzarmi? Impossibile, mi avete spezzato anni fa. Stavo seduto in cella quando il tipo mi apriva la porta e diceva: vuoi uscire? Io lo guardavo e dicevo: e tu, vuoi uscire? Tu sei in prigione, tutti voi siete in prigione. La legge che è in voi è peggiore della legge che è in me.
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Scanu: l’informazione sporca è complice dei vaccini sporchi
Ci sono tanti modi per mentire: produrre dati falsi, interpretare in modo tendenzioso quelli disponibili. Ingigantire fatti irrilevanti o, al contrario, sminuire dati importanti. E magari omettere informazioni indispensabili. Nella stampa italiana, scrive Patrizia Scanu, segretaria del Movimento Roosevelt, non è raro imbattersi in questo tipo di disinformazione. Un caso esemplare? I vaccini imposti. Magari “sporchi” e inefficaci (come denunciato dall’ordine dei biologi) oppure pericolosi, tali da creare problemi al 40% dei bambini vaccinati (come riscontrato dalla Regione Puglia). Due notizie devastanti, capaci di demolire la certezza “teologica” sui vaccini sicuri. Qualcuno ne ha parlato, sui grandi media? Giornalisti non pervenuti: silenti, distratti, reticenti. Spesso ripiegano sull’autocensura, «come compromesso accettabile per tutelare la carriera, la vita familiare o la propria incolumità personale». Quanto siano micidiali, le “fake news” ufficiali che ci mettono tutti in pericolo, lo si era già visto con la Lorenzin: nessuna testata andò a controllare se fosse vera la notizia dei 270 bambini inglesi morti per morbillo nel 2013 (non lo era: non ne morì nessuno).L’aver lasciato circolare una menzogna così grave, e su una questione così delicata per la tutela dei cittadini più indifesi, «rimarrà nella storia nazionale come un atto vergognoso e imperdonabile, un vero e proprio tradimento», scrive Patrizia Scanu sul blog del Movimento Roosevelt. Il tema è sempre più scottante, dopo il patto per frenare la ricerca scientifica scritto da Roberto Burioni e firmato da Grillo, Renzi e Mentana. Un gruppo di medici, oggi, ricorre la magistratura per diffidare lo stesso Burioni dal diffondere notizie false, sui vaccini. Ma non è che i telegiornali strombazzino l’evento: silenziarono addirittura l’annuncio ufficiale della commissione difesa, che a inizio anno parlò di 7.000 militari italiani (di cui 1.000 già morti) colpiti da malattie gravissime, al 50% imputabili proprio alle vaccinazioni somministrate. «Il fatto stesso di aver tenuto all’oscuro i cittadini dei contenuti più scottanti di un fondamentale atto parlamentare – osserva Patrizia Scanu – appare una manipolazione della verità di dimensione inaudita», anche perché «l’omissione è una menzogna non meno grave della produzione di dati falsi», visto che i suoi effetti sono identici, ovvero: «Impedire la formazione di un’opinione fondata».Nelle ultime settimane, poi, «siamo giunti all’apoteosi della menzogna». Omertà assoluta sulla “farmacovigilanza attiva” promossa dalla Puglia: anziché limitarsi ad attendere eventuali ricoveri, la Regione ha attentamente controllato, giorno per giorno, i bambini vaccinati. Risultato increscioso: problemi per 4 piccoli su 10. Senza la sorveglianza attiva, infatti, solo una minima parte degli effetti indesiderati finisce nelle statistiche, che quindi sono inattendibili. Su “Quotidiano Sanità”, Silvio Tafuri scrive che in Italia – su 7 milioni di bambini vaccinati – si sono riscontrate 900 problematicità, ma soltanto 56 “eventi avversi gravi”. Ben diverso lo scenario illuminato dalla Puglia: su 1.672 soggetti inclusi nel progetto di vigilanza attiva, sono ben 656 le segnalazioni di eventi avversi, esattamente il 39,23% del totale. «Ma non ci avevano detto a reti unificate che erano uno su un milione? O addirittura, come aveva affermato Alberto Villani, presidente dell’Associazione italiana di pediatria, 3 o 4 negli ultimi vent’anni?». Pallottoliere alla mano, la Puglia costringe a cambiare le statistiche: estendendo la vigilanza attiva, i casi critici sarebbero 392.300 su ogni milione, cioè 4 bambini su 10. Allora – conclude Parizia Scanu – era fondata eccome, la preoccupazione dei genitori “somari e ignoranti”.Quanti casi verrebbero fuori, se la vaccinovigilanza attiva venisse condotta in tutte le Asl d’Italia? E quali sorprese avremmo se si analizzassero gli effetti indesiderati di tutti i vaccini? E se si prolungasse oltre i 12 mesi di questo studio? E se si studiassero gli effetti a lungo termine? Si scopre poi che gli effetti avversi sono correlati alla somministrazione contemporanea di due vaccini virali, quadrivalente Mprv (morbillo, parotite, rosolia e varicella) e l’Hav (epatite A). E la stragrande maggioranza dei casi riguarda bambini di età inferiore ai due anni. «E se avesse avuto ragione quel pazzo di Andrew Wakefield a suggerire di non vaccinare contro morbillo, parotite e rosolia prima dei due anni, per ridurre gli effetti avversi? E se non fossero poi così dementi i genitori a chiedere che non vengano iniettati troppi vaccini contemporaneamente, specie antivirali?». E poi: qualcuno, nel report della regione Puglia, commenta questi sconvolgenti risultati? «No, assolutamente. Va tutto bene, madama la marchesa». Domande obbligatorie, che i media non si pongono: quanti sono i danneggiati gravi che non guariscono, moltiplicati per tutte le dosi di tutti i vaccini di tutti i bambini italiani? Sono di più o di meno dei danneggiati dalle malattie per le quali si vaccina?Come si fa a dire che “questo vaccino è assolutamente sicuro”, a fronte di questi dati? E le autorità sanitarie? Hanno commentato? Nessuno lo ha fatto, scrive Patrizia Scanu: lo ha scoperto un gruppo di genitori del Moige, ascoltati dalla commissione sanità in Senato il 20 novembre scorso. «Poi, come sempre, è calato il silenzio». Stessa coltre di nebbia sulla notizia, ancora più sconvolgente, diffusa da un unico giornale (il quotidiano romano “Il Tempo”, diretto da Franco Bechis) riguardo alle contro-analisi commissionate ai biologi italiani dal Corvelva, associazione veneta di genitori contrari all’obbligo vaccinale. Immediati gli strepiti delle “vestali della scienza”, che gridano alla bufala e tacciano di ignoranza i laboratori coinvolti. “Repubblica” parla addirittura di 130 scienziati, pezzi grossi delle università italiane, edi ben 15 istituzioni straniere, senza però elencarne i nomi. «Il tono come sempre è sprezzante – annota Scanu – e mira a screditare i dati di Corvelva», A difendere le analisi indipendenti, oltre al presidente dei biologi Vincenzo D’Anna, provvede la dottoressa Loretta Bolgan, laureatasi ad Harvard, ma al mainstream non basta.Perché tanta sdegnosa riprovazione? «Perché dal laboratorio – risponde Patrizia Scanu – vengono fuori risultati agghiaccianti, benché del tutto provvisori, e soprattutto perché la notizia è trapelata, rompendo la spirale del silenzio». Alcuni campioni di “vaccini sicuri” sono risultati infarciti di antibiotici, diserbanti, erbicidi, acaricidi e metaboliti della morfina. Sono state rilevate sequenze di Dna umano (feti) e non umano (virus e retrovirus nocivi, batteri, vermi). L’Aifa si difende: i vaccini, dice, sono sottoposti ad analisi incrociate – delle aziende produttrici, e di laboratori accreditati. Benissimo, risponde D’Anna: allora esibitele, queste analisi: se sono davvero così rassicuranti, perché non mostrarle? Servirebbe a zittire, a ragion veduta, i genitori del Corvelva. Che – essendo ben informati – sono perfettamente al corrente dello scandalo emerso negli Stati Uniti, a proposito di mancanza totale di trasparenza, proprio sui vaccini. L’avvocato Robert Kennedy junior, rampollo della nota famiglia, ha scoperto che – nel suo grande paese – da ormai 32 anni nessuno esegue più controlli autonomi sulla sicurezza dei vaccini.Ovvero: «Nessuno controlla, in modo indipendente dalle aziende, la sicurezza dei preparati vaccinali, mentre per tutti gli altri farmaci i controlli sono molto stretti e vincolanti». Nel solo 2016, le segnalazioni di danni da vaccino negli Usa sono state 59.711 (con ben 432 morti). Visto che ma manca la vigilanza attiva (e quindi ufficialmente i problema tocca solo l’1% dei vaccinati), secondo Kennedy i bambini realmente danneggiati potrebbero essere quasi 6 milioni in un solo anno, con ben 43.200 bambini morti a causa del vaccino. Possibile? Teoricamente, la notizia è enorme: perché la stampa non si incarica di verificarla? Riguardo all’obbligo vaccinale, insiste Patrizia Scanu, «non siamo di fronte a una questione scientifica, ma a una questione politica, etico-giuridica e di libertà dell’informazione». Ovvero: «Non si può obbligare nessuno a un trattamento medico non necessario alla sopravvivenza, perché il corpo è inviolabile». Né si può «limitare l’esercizio di un diritto civile come il diritto all’istruzione, per costringere a compiere un’azione contraria alla propria volontà e di dubbia sicurezza per la propria incolumità».E’ insopportabile e pericoloso, aggiunge la segretaria del Movimento Roosevelt, che la stampa «continui a fare propaganda, anziché informazione, e a nascondere informazioni determinanti per la pubblica opinione». Le autorità sanitarie? Devono garantire con ogni trasparenza possibile la salute dei cittadini: non possono trattenere o manipolare informazioni così rilevanti quando è in gioco il benessere fisico dei più indifesi. «Senza trasparenza non c’è democrazia». Libertà di espressione, di critica, di informazione: qui manca tutto. «Se non altro, le analisi del Corvelva hanno il merito di aver rotto il muro di fallacie propagandistiche e di affermazioni dogmatiche (e dogmaticamente false) con le quali si è finora impedito un dibattito serio sulle vaccinazioni obbligatorie». Espellere dall’ordine i medici scomodi disonora la scienza e svilisce la democrazia. Occorre alzare lo sguardo, insiste Patrizia Scanu: «Il problema – gravissimo e gravemente minaccioso per tutti noi – è quello dell’informazione manipolata, non la falsa e artificiosa contrapposizione tra “pro-vax” e “no-vax”».Ci sono tanti modi per mentire: produrre dati falsi, interpretare in modo tendenzioso quelli disponibili. Ingigantire fatti irrilevanti o, al contrario, sminuire dati importanti. E magari omettere informazioni indispensabili. Nella stampa italiana, scrive Patrizia Scanu, segretaria del Movimento Roosevelt, non è raro imbattersi in questo tipo di disinformazione. Un caso esemplare? I vaccini imposti. Magari “sporchi” e inefficaci (come denunciato dall’ordine dei biologi) oppure pericolosi, tali da creare problemi al 40% dei bambini vaccinati (come riscontrato dalla Regione Puglia). Due notizie devastanti, capaci di demolire la certezza “teologica” sui vaccini sicuri. Qualcuno ne ha parlato, sui grandi media? Giornalisti non pervenuti: silenti, distratti, reticenti. Spesso ripiegano sull’autocensura, «come compromesso accettabile per tutelare la carriera, la vita familiare o la propria incolumità personale». Quanto siano micidiali, le “fake news” ufficiali che ci mettono tutti in pericolo, lo si era già visto con la Lorenzin: nessuna testata andò a controllare se fosse vera la notizia dei 270 bambini inglesi morti per morbillo nel 2013 (non lo era: non ne morì nessuno).
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Germogli di cotone sulla Luna (e balle spaziali sulla Terra)
E’ di pochi giorni fa la notizia che i cinesi sarebbero andati sulla luna a piantare germogli di cotone. Apprendo ora con profonda tristezza che il germoglio è morto. Ero piccolo quando andammo per la prima volta sulla luna. Già alle elementari mi ponevo alcune domande, ed ero sicuro che da grande forse avrei capito. Mi domandavo come facessero ad atterrare su un punto (uno) sulla luna, e dichiarare solennemente “non c’è vita sulla luna”. Ma non potrebbero esserci altre forme di vita invisibili ai nostri occhi? Non potrebbero esserci esseri che si sono nascosti al nostro arrivo, magari sotto terra? Esseri capaci di vivere in circostanze climatiche totalmente diverse dalle nostre? Poi gettavo nel dimenticatoio quelle domande. Loro sono scienziati – pensavo – sapranno bene quello che dicono; da grande capirò. Poi divenni grande, iniziai a ragionare e capii che era l’arroganza degli scienziati a decretare che non ci fosse vita; perché un minimo di buon senso basterebbe per capire che possono esistere migliaia di forme di vita diverse dalle nostre, ancorché noi non possiamo vederle. Ma la scienza purtroppo non va a braccetto col buon senso, quando se ne fa di essa una religione. Poi sono venuti i documentari di Mazzucco, e ho capito che la storia della luna è proprio una balla.
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Reddito e pensioni, la truffa gialloverde che piace a Juncker
Finalmente abbiamo il decreto su reddito di cittadinanza e sulla “cosiddetta” (lo dice anche il testo della legge) quota 100. Vengono tutte confermate le peggiori anticipazioni di questi giorni, che spesso sui social erano state bollate come “fake news” dai fanatici del governo. Purtroppo non è così. Vediamo i punti cardine dei due provvedimenti. Cominciamo dal reddito. Di cittadinanza ce ne è davvero poca, e anche di reddito; naturalmente non si può che essere contenti se lo Stato dà dei soldi ai poveri, tuttavia non possiamo certo chiamare dignitoso e civile un sistema che sottopone il povero disoccupato a clausole sempre più vessatorie fino a diventare insopportabili. Questo è il modello Thatcher che vediamo denunciato nei film di Ken Loach: ti dò dei soldi ma tu sei a disposizione della burocrazia e delle imprese. Vediamo. Il reddito viene assegnato a chi ha un Isee inferiore a 9.360 euro, i famosi 780 euro mensili che rappresenterebbero la soglia della povertà assoluta. Il principio è che lo stato concorre con quanto manca per raggiungere quella cifra. Quindi hai Isee zero? Allora prenderai tutti i 9.360 euro, ma tutto ciò che guadagni (o il valore della casa che eventualmente possiedi) ti verrà scalato da quella cifra.Naturalmente qui faccio un esempio limite; ci sono spese, c’è la famiglia, si possono cumulare più redditi se in una famiglia ci sono più disoccupati maggiorenni, insomma bisogna andare al Caf e poi all’Inps con una pila di documenti, ad esempio per dimostrare quanto è vecchia l’auto, se se ne ha una. Tuttavia alla fine il concetto è chiaro: saranno davvero pochi coloro che incasseranno tutti i 780 euro mensili, che titolano il provvedimento. Anche il governo, per chiarire, ha scritto che comunque nessuno degli aventi diritto potrà avere meno di 480 euro all’anno, 40 al mese. Il reddito viene assegnato a tutti i residenti in Italia che ne abbiano diritto. Attenzione però, perché bisogna essere residenti da almeno 10 anni. Questo vale per i migranti, ma anche per cittadini italiani che siano andati a lavorare all’estero e poi siano tornati avendo perso lì il lavoro. Il limite avrebbe dovuto essere di soli 5 anni, ma Salvini è intervenuto per evitare che troppi migranti avessero il reddito. Così, per togliere soldi ai migranti, li hanno tolti anche agli italiani in difficoltà. Meditate, razzisti, meditate.Il reddito va anche ai pensionati con più di 65 anni che prendano meno di 780 euro mensili. Siccome questi sono milioni e si prevede di sostenerne solo una piccola quota, spetterà all’Inps fare una selezione sociale (come, lo vedremo). Il reddito verrà versato in una social card che ha degli obblighi di spesa. Chi la detiene potrà prelevare solo 100 euro al mese in contanti. Il resto dovrà essere speso direttamente e mensilmente. Ci sarà un controllo su come vengono spesi i soldi. In ogni caso i soldi sono sempre quelli, quanti che siano coloro che ne avrebbero diritto. In una clausola chiaramente concordata con Bruxelles, il governo si impegna a tenere fissa la spesa per il reddito. Per capirci: se alla fine ne avesse diritto un milione di persone, la spesa è 6 miliardi. Se però fossero tre i milioni a fare domanda, la spesa sarebbe sempre di 6 miliardi, quindi gli stessi soldi sarebbero divisi tra più persone. Altro che 780 euro. “Rimodulare”, si chiama, nel linguaggio del governo.Tutti gli interessati al reddito che hanno meno di 65 anni dovranno rendersi disponibili al cosiddetto Patto di Lavoro. Esso è indispensabile per ottenere il reddito, e chi lo sottoscrive entra nel gorgo della collocabilità. Che ha il doppio scopo di costringere le persone ad accettare lavori purchessia, o di far risparmiate tanti soldi allo Stato. Infatti il reddito dura 18 mesi, poi si salta un mese e successivamente lo si può riavere, ma a terribili condizioni. La principale delle quali è che non si può rifiutare nessuna proposta di lavoro in tutto il territorio nazionale. Un disoccupato calabrese che rifiuti un lavoro di 800 euro a Milano perderà il reddito. Ma la tagliola scatterà anche prima. Infatti solo la prima proposta di lavoro “congruo” (chissà che vuol dire) sarà entro 100 km e nei primi 6 mesi di reddito, poi scatteranno 250 km, che sono tanti, implicano già il trasferimento, e dopo 12 mesi questa proposta non potrà essere rifiutata. Insomma, alla fine o emigri o perdi tutto. Salvini odia i migranti esteri e vuole rimpiazzarli con tanti migranti interni.Il Patto di Lavoro implica 35 ore mensili medie di lavori socialmente utili, partecipazione obbligata a corsi di formazione e una partecipazione quotidiana alle piattaforme informatiche di collocamento istituite apposta. Il tutto sotto gli occhi di un tutore-collocatore. Le aziende che assumeranno i titolari di reddito riceveranno un premio se non li licenziano prima di 24 mesi; questo, per il governo, è l’assunzione a tempo indeterminato. Il premio sarà pari almeno a 5 mensilità di reddito. Lo stesso premio lo riceveranno i tutori-collocatori o gli enti bilaterali tra sindacati e imprese, che avranno un ruolo centrale in tutto il percorso formativo e che riceveranno almeno 5 mensilità per ogni lavoratore collocato. Sa un po’ di caporalato di Stato, ma tanti termini inglesi aggiusteranno tutto. In conclusione, il reddito di cittadinanza era stato presentato come un strumento atto a rendere più forti le persone nel mercato del lavoro, per impedire la concorrenza al ribasso sui salari. Qui invece si fa l’opposto, si usa il reddito per l’avviamento coatto al lavoro alle condizioni peggiori, “o mangi ’sta minestra o salti dalla finestra” è il motto che guida il reddito di cittadinanza sfruttata di Di Maio.Vediamo ora la “cosiddetta” quota 100. Come era chiaro da tempo, non c’è nessuna abolizione e neppure riforma della legge Fornero, che resta pienamente in vigore con alcuni interventi temporanei e con una finestra di pensionamenti anticipati e penalizzati che si chiuderà. Dal 1° aprile cominceranno ad andare in pensione coloro che hanno già maturato il requisito di 62 anni di età e 38 anni di contributi. Si procederà per scaglioni e, tra la maturazione del diritto e l’effettivo pensionamento, dovranno passare almeno tre mesi per i privati, sei mesi per i pubblici. Il provvedimento vale per il 2019, 2920 e 2021, poi scatterà l’innalzamento in base al legame con l’aspettativa di vita. Cioè è una finestra una tantum. La pensione viene penalizzata sulla base dei meccanismi, che restano in vigore, della legge Fornero. Cioè: si svalutano i contributi in proporzione alla distanza anagrafica dalla pensione di vecchiaia. Il governo riconosce questo, e pertanto favorisce gli accordi tra aziende e sindacati per integrare la pensione. Per capirci: così si aiutano banche e grandi aziende a svecchiare il personale. Per questo Confindustria & C sono felici del provvedimento: via dipendenti anziani e costosi, dentro giovani pagati la metà e senza articolo 18.Viene soppresso l’aumento di 5 mesi dell’età della pensione di vecchiaia e di quella d’anzianità, scattato il primo gennaio. Però c’è anche qui il trucco dei tre mesi. Chi arriva all’età della pensione deve aspettare almeno in questa misura. Così viene abolito l’aumento di cinque, ma se ne introduce uno di tre mesi, per giunta non pagato. Non so quanto convengano i due mesi risparmiati rispetto alla Fornero. Vengono confermate opzione-donna ed Ape Social, che però sono state fatte proprio da chi ha votato la legge Fornero e non hanno cambiato in nulla le iniquità del sistema pensionistico. I dipendenti pubblici che andranno in pensione a 62 anni dovranno aspettare quasi cinque anni per avere la liquidazione, anche qui in base alla legge Fornero. Tuttavia potranno farsi prestare i soldi da banche con cui le amministrazioni pubbliche dovrebbero definire apposite convenzioni, con i relativi interessi. Cambiano i governi, ma porcate con le banche si fanno sempre.E a proposito di porcate, non ci saranno sostituzioni per chi esce, visto che le assunzioni pubbliche sono bloccate fino a novembre, cioè fino alla prossima finanziaria lacrime e sangue. Tutto qui, solo la propaganda menzognera del governo, con la stupidità complice delle opposizioni di Pd e Forza Italia, può far credere che qui si sia davvero istituito il reddito di cittadinanza o che sia stata colpita la legge Fornero, che invece continuerà a far danni. Salvini e Di Maio hanno solo varato una versione povera e feroce della legge tedesca Hartz IV e hanno concesso un prepensionamento per alcune generazioni di impiegati, cosa che fanno tutti i governi in tutti i paesi. Per questo Juncker ha messo il suo bollino sulla manovra: essa è perfettamente compatibile con le politiche liberiste della Ue. Anzi le realizza, finanziandole con un poderoso aumento dell’Iva e con i tagli alla scuola e allo stato sociale. Che naturalmente andranno in vigore dopo le elezioni europee. Intanto la montagna di promesse di Salvini e Di Maio ha partorito il topolino di Juncker.(Giorgio Cremaschi, “E la montagna di promesse di Salvini e Di Maio partorì il topolino di Juncker”, da “Micromega” del 9 gennaio 2019).Finalmente abbiamo il decreto su reddito di cittadinanza e sulla “cosiddetta” (lo dice anche il testo della legge) quota 100. Vengono tutte confermate le peggiori anticipazioni di questi giorni, che spesso sui social erano state bollate come “fake news” dai fanatici del governo. Purtroppo non è così. Vediamo i punti cardine dei due provvedimenti. Cominciamo dal reddito. Di cittadinanza ce ne è davvero poca, e anche di reddito; naturalmente non si può che essere contenti se lo Stato dà dei soldi ai poveri, tuttavia non possiamo certo chiamare dignitoso e civile un sistema che sottopone il povero disoccupato a clausole sempre più vessatorie fino a diventare insopportabili. Questo è il modello Thatcher che vediamo denunciato nei film di Ken Loach: ti dò dei soldi ma tu sei a disposizione della burocrazia e delle imprese. Vediamo. Il reddito viene assegnato a chi ha un Isee inferiore a 9.360 euro, i famosi 780 euro mensili che rappresenterebbero la soglia della povertà assoluta. Il principio è che lo stato concorre con quanto manca per raggiungere quella cifra. Quindi hai Isee zero? Allora prenderai tutti i 9.360 euro, ma tutto ciò che guadagni (o il valore della casa che eventualmente possiedi) ti verrà scalato da quella cifra.
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La verità sul debito italiano: siamo stati “rapinati” nel 1981
Spread e debito pubblico: fanno ormai parte delle nostre vite, ne sentiamo parlare continuamente, ossessivamente, tanto da preoccuparcene più della disoccupazione giovanile a livelli inverosimili e di una mancata crescita che ormai ci sta traghettando dalla crisi alla recessione. Eppure l’opinione pubblica ha talmente interiorizzato la narrazione mercato-centrica del mainstream che non sembra credere ad altro: siamo stati spendaccioni e irresponsabili (Piigs) e dobbiamo dunque espiare le nostre colpe con una giusta dose di rigore e disciplina. Dunque l’austerity è la giusta – nonché unica – strada da percorrere, così come vuole l’approccio dogmatico del modello economico neoliberista, il tatcheriano Tina, “there is no alternative”. Abbiamo un debito pubblico intorno al 130% del Pil, secondo in Ue solo a quello della Grecia, per cui meritiamo la condizione di sorvegliati speciali di Bruxelles e di essere dunque defraudati di una nostra politica fiscale autonoma (di quella monetaria siamo già stati privati). È la strada indicata dalla “virtuosa” Germania, esempio di disciplina e rispetto delle regole per noi italiani, così dissoluti e un anche un po’ scostumati. Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro.Con un atto quasi univoco, cioè una semplice missiva all’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, Andreatta mette fine alla possibilità del governo di finanziare monetariamente il proprio disavanzo. Rimuovendo l’obbligo allora vigente da parte di Palazzo Koch di acquistare i titoli di Stato emessi sul mercato primario, la Banca d’Italia dismette il ruolo di prestatrice di ultima istanza. D’ora in poi, per finanziare la propria spesa pubblica, l’Italia deve attingere ai mercati finanziari privati, con la conseguente esplosione dei tassi d’interesse rispetto a quelli garantiti in precedenza. Ma non solo: viene rivisto il meccanismo di collocamento dei titoli di Stato, introducendo il cosiddetto “prezzo marginale d’asta”, che consente agli operatori finanziari di aggiudicarsi i titoli al prezzo più basso tra quelli offerti e, quindi, al tasso di interesse più alto. Ad esempio, se durante un’emissione di 50 miliardi di Btp, 40 vengono aggiudicati a un rendimento del 3%, mentre il restante al 5%, alla fine tutti i 50 miliardi saranno aggiudicati al 5%! Gli effetti sono tanto disastrosi quanto immediati: l’ammontare di debito, che nel 1981 era intorno al 58,5%, dopo soli tre anni raddoppia e nel 1994 arriva al 121% del Pil.Come riportato dallo stesso Andreatta alcuni anni dopo, questo stravolgimento strutturale era necessario per salvaguardare i rapporti tra Unione Europea e Italia, e per consentire al nostro paese di aderire allo Sme, ossia l’accordo precursore del sistema euro. Quando l’Italia fa il suo ingresso nell’euro non risponde ai parametri del debito pubblico richiesti da Maastricht, ma l’interesse politico e l’artefatto entusiasmo generale per la sua partecipazione hanno la meglio. Sarà la crisi del 2008 a far emergere tutti i limiti e la fallimentarietà di un’area valutaria non ottimale e insostenibile come l’Eurozona: l’Italia, come altri paesi, senza la possibilità di ricorrere alla svalutazione del cambio, non riesce a recuperare terreno. Il debito pubblico, che finora era rientrato in una fase discendente, passa dal 102,4% al 131,8% del 2017. Una crescita notevole, ma di gran lunga ridimensionata se paragonata all’incremento del debito pubblico di altri paesi dell’area euro, come Spagna, Portogallo e la stessa Francia.Nello stesso arco temporale, infatti, Madrid ha visto il suo debito pubblico schizzare dal 38,5% al 98,3%, il che significa un tasso incrementale di circa il 150%! La crisi non ha risparmiato neanche il vicino Portogallo, che è arrivato lo scorso anno a un livello del debito molto vicino al nostro (125,7%), partendo da un “contenuto” 71,7% del 2008. Eppure i due paesi iberici hanno sforato ripetute volte il famigerato vincolo del 3% – parametro tanto assiomatico quanto infondato – permettendo così all’economia di tornare a crescere, a differenza di quella italiana che si è incamminata nel percorso distruttivo dell’austerity. Situazione analoga per la Francia, con un valore del debito pubblico allo scoppiare della crisi inferiore del 70% e che oggi si aggira intorno al 100%, ma senza che ciò le abbia impedito di aumentare la spesa pubblica e il deficit di bilancio, assicurando in questo modo la crescita del Pil.Dunque, sintetizzando, il nostro famigerato debito pubblico è sì più elevato, ma è partito da una situazione di evidente svantaggio, ed è cresciuto in termini percentuali del tutto in linea con l’andamento degli altri paesi dell’euro a seguito della crisi; anzi, anche meno di altri, come abbiamo visto, e aggravato dalle politiche di austerity, i cui effetti deprimenti sull’economia sono conclamati. Rimane il problema dei tassi d’interesse (da cui il famigerato spread), da noi più elevati che altrove, proprio a causa delle modalità dei meccanismi di collocamento dei titoli di Stato introdotte a seguito dell’epocale divorzio tra i due istituti finanziari italiani. È stato stimato che in trent’anni abbiamo pagato la colossale cifra di 3mila miliardi di interessi sul debito pubblico! In queste circostanze a nulla valgono gli sforzi fiscali dell’Italia, che registra da quasi trent’anni avanzo primario, ossia quella situazione, del tutto antisociale, per cui lo Stato incassa più di quanto spende, esclusi gli interessi sul debito pubblico. Per onorare il costo del debito, ossia quell’assurda creazione del denaro dal denaro, vengono sottratte risorse finanziarie per servizi pubblici e sostegno alla popolazione in difficoltà. Dunque, una redistribuzione al contrario, dai cittadini ai mercati finanziari. Il tempo delle riforme è ormai improcrastinabile.(Ilaria Bifarini, “Tutta la verità sul debito pubblico, contro le menzogne di Bruxelles”, da “Il Primato Nazionale” del 10 gennaio 2019).Spread e debito pubblico: fanno ormai parte delle nostre vite, ne sentiamo parlare continuamente, ossessivamente, tanto da preoccuparcene più della disoccupazione giovanile a livelli inverosimili e di una mancata crescita che ormai ci sta traghettando dalla crisi alla recessione. Eppure l’opinione pubblica ha talmente interiorizzato la narrazione mercato-centrica del mainstream che non sembra credere ad altro: siamo stati spendaccioni e irresponsabili (Piigs) e dobbiamo dunque espiare le nostre colpe con una giusta dose di rigore e disciplina. Dunque l’austerity è la giusta – nonché unica – strada da percorrere, così come vuole l’approccio dogmatico del modello economico neoliberista, il tatcheriano Tina, “there is no alternative”. Abbiamo un debito pubblico intorno al 130% del Pil, secondo in Ue solo a quello della Grecia, per cui meritiamo la condizione di sorvegliati speciali di Bruxelles e di essere dunque defraudati di una nostra politica fiscale autonoma (di quella monetaria siamo già stati privati). È la strada indicata dalla “virtuosa” Germania, esempio di disciplina e rispetto delle regole per noi italiani, così dissoluti e un anche un po’ scostumati. Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro.
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Chiesa, Mazzucco, Messora, Fusaro: quante verità oscurate
«È la stampa, bellezza. E tu non puoi farci niente». Lo dice uno straordinario Humphrey Bogart alla fine del film “Deadline” di Richard Brooks (in italiano, “L’ultima minaccia”). Era il 1952: una profezia. Ancora oggi, ufficialmente, le Torri Gemelle sono crollate per colpa dell’impatto con aerei dirottati. La “demolizione programmata” è stata ormai dimostrata da oltre duemila architetti e ingegneri, eppure per l’11 Settembre la “verità” resta quella palesemente falsa. Grazie a chi? Ai media mainstream, che spacciano “fake news” governative. Il primo a denunciarlo, riguardo al caso delle Twin Towers, in Italia fu Giulietto Chiesa, con il libro “La guerra infinita”, uscito nel 2003 per Feltrinelli (e vendutissimo, nonostante il silenzio di giornali e televisioni). Ebbe più fortuna mediatica qualche anno dopo Massimo Mazzucco, con il suo esplosivo documentario “Inganno globale”, trasmesso da Mentana in prima serata a “Matrix”, su Canale 5. Un’eccezione, mai più ripetuta. «Arrivato a La7 – dice Mazzucco – Mentana poteva essere “il primo degli ultimi”, dando voce agli esclusi, e invece ha scelto di restare “l’ultimo dei primi”, accodandosi all’ufficialità». In compenso, ormai l’opinione pubblica più disincantata è letteralmente esplosa: milioni di persone, anche in Italia, la verità ufficiale non se la bevono più.Fino a ieri, ad esempio, sarebbe stato impensabile organizzare un evento come quello in programma il 13 gennaio a Treviso: con Mazzucco e Chiesa, insieme a personaggi come Claudio Messora di “ByoBlu”, Diego Fusaro, Enrica Perucchietti. A promuovere l’operazione-verità è l’associazione SalusBellatrix, coordinata da Francesca Salvador: una delle voci della nuova cultura italiana, indipendente dai circuiti mainstream. Verità “altre”, in tutti i campi: dalla sconcertante Bibbia tradotta (alla lettera) da Mauro Biglino, al potere occulto delle 36 superlogge che dominano il mondo, svelato da Gioele Magaldi in “Massoni”, altro bestseller-fantasma (gettonatissimo dai lettori e oscurato da giornali e televisioni). Quanto conta, questa Italia? Abbastanza, se è vero che il Movimento 5 Stelle nato dal web ora è al governo, e che Marcello Foa (autore de “Gli stregoni della notizia”, che mette alla berlina i media e le loro menzogne) oggi è presidente della Rai. Conta parecchio, la nuova società in subbuglio, non solo nel nostro paese: se l’oligarca tedesco Günther Oettinger (Commissione Ue) ottiene una legge-bavaglio per frenare il web limitando i link e obbligando le piattaforme a filtrare i contenuti dei blog, un altro oligarca (Emmanuel Macron, prodotto massonico di casa Rothschild) è costretto a vedersela con i Gilet Gialli che paralizzano la Francia.Vuoi vedere che i pionieri come Francesca Salvador avevano visto giusto, anni fa, quando cominciarono ad aggregare platee attorno ai primi narratori eretici? Sono tante, in Italia, le entità culturali come la trevigiana SalusBellatrix: attraverso YouTube, sono riuscite a fare opinione diffondendo informazioni e idee. C’è un’Italia che il mainstream l’ha semplicemente aggirato, prendendolo alle spalle. Un dirigente del Cnr si lascia scappare, da Bruno Vespa, che è in un corso un esperimento di controllo climatico mondiale? A completare l’informazione provvede Mazzucco, nell’appendice YouTube della web-radio “Border Nights”: spiega che, già durante l’alluvione di Firenze, lo stesso Cnr emise un rapporto sui test, allora in corso, di “inseminazione” delle nubi per aumentare le precipitazioni. Forse così risulta meno oscura la possibile origine di fenomeni disastrosi, come i nubifragi che hanno raso al suolo le foreste delle Dolomiti. Il cielo è sempre meno blu, rigato fin dal mattino dalle scie stranamente persistenti rilasciate dagli aerei? Mentre il mainstream tenta di deridere chi “crede alle scie chimiche” (neanche fossero un dogma di fede, anziché un fenomeno visibile), sempre su “Border Nights” il generale Fabio Mini, già dirigente della Nato, avverte: i cittadini hanno il diritto di pretendere spiegazioni esaurienti, finora mai fornite, su questo fenomeno.«Remare contro la corrente della menzogna e dell’inganno – ammette Giulietto Chiesa – è faccenda che richiede pazienza quasi infinita, e anche rischio: può costare la vita». Costa sicuramente «la rinuncia a onori e prebende». E comporta «la disponibilità di non avere, in vita, alcun riconoscimento pubblico delle verità che sono state scoperte». Perché i “padroni universali” e i loro “gate keepers” hanno i mezzi per impedire che le vere notizie arrivino agli occhi e alle orecchie delle grandi masse popolari, spesso così condizionate – ormai da decenni – da non riuscire neppure ad accettarle, certe verità imbarazzanti. Lo sanno benissimo anche gli altri relatori della conferenza di Treviso: non poteva sperare, Mazzucco, che facesse il giro dei telegiornali la rivelazione dell’ultimo suo documentario “American Moon”, che dimostra – grazie al contributo dei più famosi fotografi del mondo – che le immagini del presunto “allunaggio” diffuse in mondovisione nel 1969 erano state realizzate in studio. Dalla trincea di “ByoBlu”, lo stesso Messora – cui Google ha rimosso di colpo la possibilità di finanziarsi con la pubblicità – sa benissimo quanto cosa lottare per informare i concittadini.Per dirla con Diego Fusaro, si tratta di dribblare «i padroni del discorso e la manipolazione di massa». Ne sa qualcosa Enrica Perucchietti, che ha spiegato – in brillanti saggi – come le “fake news” spacciate dai media servano anche a coprire il terrorismo “false flag”, quello che in Europa non colpisce mai nessun centro di potere, ma solo e sempre innocui passanti. “Fake news” sono anche quelle che proteggono, molto spesso, il business di Big Pharma, specie nel caso dei vaccini: ben poco spazio è stato concesso, mesi fa, alla notizia dei 7.000 militari italiani ammalatisi dopo frettolose somministrazioni. Quasi-silenzio anche sulla Puglia, dove la Regione – l’unica ad aver istituito un servizio di “farmacovigilanza atttiva” – ha scoperto che, tra i bambini appena vaccinati, 4 su 10 subiscono reazioni avverse. Là dove invece non si può tacere, perché la fonte è il presidente dell’ordine dei biologi, si cerca di far passare per pazzo il “disturbatore”, peraltro intervistato da un unico giornale, “Il Tempo”, diretto da Franco Bechis. Eppure, la notizia veicolata dal rappresentante dei biologi italiani, Vincenzo D’Anna, è clamorosa: sono stati scoperti vaccini contaminati (con antibiotici, feti abortiti e persino diserbanti agricoli) e vaccini inefficaci, perché privi nei necessari agenti immunizzanti.Di verità scientiche occultate è esperto Giorgio Iacuzzo, un altro degli esperti attesi a Treviso: ha lavorato nel cinema scientifico e tecnologico, scrive per periodici italiani e stranieri ed è pronto a rivelare alcuni dei “segreti di Stato in pillole” di cui è a conoscenza. Verità indicibili attorno al mondo scientifico, come quella sull’espianto degli organi: si intitola “Morte cerebrale, verità o finzione”, la relazione a cura del professor Rocco Maruotti, primario di chirurgia. Ulteriori informazioni, al pubblico di Treviso, saranno fornite da Sonia Saterini Burighel, della Lega Antipredazione Veneto. Tema: “La confusione in atto, in ordine alla donazione di organi, imposta nelle anagrafi quando il cittadino va a rinnovare la carta d’identità”. Primo passo: evitare gli equivoci. Che sono quotidiani (e spesso voluti, nel mondo dell’informazione) specie se c’è di mezzo una traduzione: lo conferma Paola Iacobini, laureata a Londra in mediazione linguistica. E’ un oceano, ormai, l’ambito di quella che un tempo si sarebbe chiamata controinformazione, all’epoca in cui il giornalismo aveva ancora una sua dignità: magari era reticente in qualche caso per compiacere l’editore, ma non aveva ancora abdicato alla sua funzione. Per il Premio Pulitzer americano Seymour Hersh, oggi non piangeremmo milioni di morti, se solo la stampa avesse smesso di fare il suo dovere: avremmo avuto meno stragi, meno guerre, meno terrorismo “sotto falsa bandiera”.Secondo Giulietto Chiesa, sempre assai pessimista sul destino che ci attende, c’è però uno spiraglio di luce, che si è aperto soltanto in quest’ultimo decennio: «La perdita del controllo da parte di coloro che erano certi di esserselo già definitivamente assicurato, per i secoli dei secoli». Sempre per Chiesa, la fibrillazione dei “gate keepers” sta assumendo vertici così acuti «da lasciarci supporre che temano di essere travolti dagli stessi strumenti di controllo e dominio che ritenevano le loro creazioni più perfette». Aggiunge: «Sono ora impegnati allo spasimo per costruire dighe atte a frenare il fiume e i canali per deviarne le correnti». Certo, siamo ancora molto lontani dall’ora della verità. «Ma a noi resta la sottile soddisfazione di osservare il terrore che pervade i dominatori e la loro affannosa ricerca di una via d’uscita». Fausto Carotenuto, già analista geopolitico dell’intelligence Nato (ora passato a una visione spiritualistica dell’esistenza), insiste su una tesi: almeno un terzo dell’umanità starebbe letteralmente uscendo dal letargo. «Se il mondo sta diventando così feroce – dice – è proprio perché i decisori lo sanno, e temono questo risveglio che ormai è in corso, e che sarà inarrestabile». Il sistema di dominio affina strumenti di manipolazione sempre più sofisticati? Vero, ma c’è anche il rovescio della medaglia: «Ci controllano perché ci temono. Facciamo paura, perché siamo tanti. Il nostro problema? Non ce ne rendiamo conto. Crediamo che i dominatori siano invincibili. Ma non lo sono, e lo sanno».(Sul sito dell’associazione SalusBellatrix sono rintracciabili tutte indicazioni per partecipare alla conferenza “E’ la stampa, bellezza”, domenica 13 gennaio 2019 a Treviso).«È la stampa, bellezza. E tu non puoi farci niente». Lo dice uno straordinario Humphrey Bogart alla fine del film “Deadline” di Richard Brooks (in italiano, “L’ultima minaccia”). Era il 1952: una profezia. Ancora oggi, ufficialmente, le Torri Gemelle sono crollate per colpa dell’impatto con aerei dirottati. La “demolizione programmata” è stata ormai dimostrata da oltre duemila architetti e ingegneri, eppure per l’11 Settembre la “verità” resta quella palesemente falsa. Grazie a chi? Ai media mainstream, che spacciano “fake news” governative. Il primo a denunciarlo, riguardo al caso delle Twin Towers, in Italia fu Giulietto Chiesa, con il libro “La guerra infinita”, uscito nel 2003 per Feltrinelli (e vendutissimo, nonostante il silenzio di giornali e televisioni). Ebbe più fortuna mediatica qualche anno dopo Massimo Mazzucco, con il suo esplosivo documentario “Inganno globale”, trasmesso da Mentana in prima serata a “Matrix”, su Canale 5. Un’eccezione, mai più ripetuta. «Arrivato a La7 – dice Mazzucco – Mentana poteva essere “il primo degli ultimi”, dando voce agli esclusi, e invece ha scelto di restare “l’ultimo dei primi”, accodandosi all’ufficialità». In compenso, ormai l’opinione pubblica più disincantata è letteralmente esplosa: milioni di persone, anche in Italia, la verità ufficiale non se la bevono più.