Archivio del Tag ‘menzogne’
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Israele minaccia Sanders: nel nostro paese non lo vogliamo
Oggi abbiamo appreso che l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Dannon, ha riferito all’Aipac che Bernie Sanders è un pazzo ignorante, un bugiardo o entrambe le cose. «Non vogliamo Sanders all’Aipac. Non lo vogliamo in Israele… Chiunque definisca il primo ministro israeliano un ‘razzista’ è un bugiardo, un idiota ignorante o entrambe le cose», ha annunciato l’ambasciatore Dannon. Le prove del razzismo israeliano e delle politiche razziste del governo Netanyahu sono, purtroppo, indiscutibili. Lo si può vedere in come il governo Netanyahu affronta il problema dei migranti di colore. O esaminare questo razzista disegno di legge nazionale israeliano. Ciò induce a chiedersi che cosa abbia motivato l’ambasciatore Dannon ad agire in modo così “antidiplomatico,” per indurlo ad attaccare in questo modo il leader del Partito Democratico, reo di aver espresso una critica motivata ad Israele e al suo primo ministro. Ma, ancor prima di porci questa domanda, dobbiamo considerare ciò che ci hanno fatto sapere gli stessi media israeliani.In una registrazione trapelata al pubblico, Natan Eshel, consulente anziano di Netanyahu, ha rivelato che «l’odio è ciò che unisce» la destra israeliana, e «funziona bene con gli elettori non ashkenaziti». Eshel, un ex dirigente dello staff di Netanyahu che aveva rassegnato le dimissioni a seguito di uno scandalo di natura sessuale, continua a lavorare con il primo ministro israeliano, e l’anno scorso aveva condotto i due negoziati per la formazione della coalizione di governo. Nella registrazione, Eshel spiega che il ministro del Likud (ed ex portavoce dell’Idf) Miri Regev è «molto brava» ad «agitare» i sostenitori del Likud. Eshel definisce la Regev «un animale», ma fa notare che le sue tattiche funzionano molto bene nell’«ottenere il sostegno della folla». È ragionevole pensare che la descrizione che l’ambasciatore Dannon fa del senatore Sanders servisse ad uno scopo simile: aizzare la folla dell’Aipac. E naturalmente i media ebraici britannici, insieme ai gruppi di pressione ebraici e alla lobby israeliana, hanno anch’essi usato questa tecnica fin dal 2017 per scatenare l’odio della folla verso il Partito Laburista e il suo leader, Jeremy Corbyn. Certa gente, a quanto pare, è unita dall’odio.Questa registrazione del consulente anziano di Netanyahu trapelata al pubblico fa luce sulla sempre crescente paura che gli ebrei hanno dell’antisemitismo. Quelli che sono così facilmente “uniti dall’odio” tendono a credere che anche il prossimo sia ugualmente carico di odio. La paura ebraica dell’antisemitismo può essere vista come una proiezione. Quelli che sono “uniti dall’odio” possono benissimo attribuire la propria astiosità ai loro vicini, non importa se palestinesi, elettori laburisti o addirittura leader democratici. Ciò che vediamo è una micidiale valanga di odio e di paura: più uno è gonfio di odio, più è tormentato dal pensiero che l’Altro sia afflitto dalla sua stessa animosità. Gesù Cristo aveva riscontrato questa caratteristica molto pericolosa tra i suoi stessi confratelli. La sua soluzione era stata scioccante, anche se semplice. Invece di accumulare armi, aveva detto ai suoi seguaci di porgere l’altra guancia: fare un passo avanti, amare il prossimo, staccarsi dal circolo vizioso, cercare la pace e l’armonia. Il destino di Gesù è noto a tutti. Come non è un segreto la sorte di quelli che cercano di predicare la pace agli israeliani e ai sionisti.(Gilad Atzmon, “L’odio, contro la pace e l’armonia”, dal blog di Atzmon del 2 marzo 2020; articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”. Originario di Israele e ora trasferitosi a Londra, Atzmon è un jazzista di fama internazionale, critico con Tel Aviv e attivamente boicottato dalle associazioni che supportano la politica dello Stato ebraico. L’Aipac, American Israel Public Affairs Committee, è un gruppo di pressione americano noto per il forte sostegno allo Stato di Israele; la lobby sionista è considerata il più potente e influente gruppo d’interesse a Washington. L’acronimo Idf indica invece le forme armate israeliane, largamente impiegate per la selvaggia repressione dei civili palestinesi. Quanto alle tensioni tra Israele e gli Usa, è impossibile non ricordare l’episodio del 1963: il premier David Ben Gurion preferì dimettersi, pur di sottrarsi all’invito di Kennedy a Washington per chiarire alla Casa Bianca le circostanze della costruzione clandestina della centrale nucleare israeliana di Dimona. Pochi mesi dopo, Kennedy verrà assassinato a Dallas).Oggi abbiamo appreso che l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Dannon, ha riferito all’Aipac che Bernie Sanders è un pazzo ignorante, un bugiardo o entrambe le cose. «Non vogliamo Sanders all’Aipac. Non lo vogliamo in Israele… Chiunque definisca il primo ministro israeliano un ‘razzista’ è un bugiardo, un idiota ignorante o entrambe le cose», ha annunciato l’ambasciatore Dannon. Le prove del razzismo israeliano e delle politiche razziste del governo Netanyahu sono, purtroppo, indiscutibili. Lo si può vedere in come il governo Netanyahu affronta il problema dei migranti di colore. O esaminare questo razzista disegno di legge nazionale israeliano. Ciò induce a chiedersi che cosa abbia motivato l’ambasciatore Dannon ad agire in modo così “antidiplomatico,” per indurlo ad attaccare in questo modo il leader del Partito Democratico, reo di aver espresso una critica motivata ad Israele e al suo primo ministro. Ma, ancor prima di porci questa domanda, dobbiamo considerare ciò che ci hanno fatto sapere gli stessi media israeliani.
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Tentazione: usare l’emergenza per un golpe, incluso il Mes
Il coronavirus sembra non volerne sapere dei modelli matematici fatti apposta per ingabbiarlo: le cifre crescono, e così assistiamo a una moltiplicazione dell’incertezza, mentre si consuma il balletto quotidiano dell’indecisione del governo. Attenti: il momento è propizio per instaurare uno “stato d’eccezione”. Lo afferma il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, intervistato da Federico Ferraù sul “Sussidiario“. «L’emergenza – spiega Mangia – consente di fare infinite cose che in condizioni normali non si potrebbero fare», dalla nomina di un “commissario al coronavirus” fino alla firma del Mes, passando per l’introduzione forzata del wireless 5G. Esistono precedenti: all’indomani del terremoto di Messina del 1908, lo Stato neo-unitario inventò l’istituzione del decreto-legge. «La disciplina dell’emergenza si è sviluppata simultaneamente in tutta Europa, e se n’è fatto ampio uso durante e soprattutto subito dopo la Prima Guerra Mondiale: basti pensare a una calamità come l’influenza spagnola, che uccise soltanto in Italia quasi 400.000 persone». Un giurista come Santi Romano diceva che l’emergenza è una fonte del diritto: «Vale sicuramente per il coronavirus. Pensiamo al decreto-legge 6/2020 appena varato dal governo e ad altro che potrebbe arrivare».
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Gioele Magaldi: non tutti i coronavirus vengono per nuocere
L’emergenza spread, l’incubo Mario Monti e “l’economicidio” del Pil, il crollo del made in Italy e il boom della disoccupazione. Infine, al posto di una doverosa battaglia per il ritorno alla sovranità nazionale, è andata in scena l’emergenza migranti, presentata come piaga biblica. Ora siamo all’emergenza virus, e senza colpo ferire: ovvero, senza che nel frattempo la politica sia rinsavita, si sia ripresa, sia riuscita finalmente a uscire dal coma, a recuperare lucidità. La parola “sfacelo”, forse, rende l’idea: la Libia nel caos e l’Italia sfrattata da Tripoli, il disastro del viadotto Morandi, Salvini al Papeete e le Sardine alla corte dei Benetton, concessionari negligenti delle autostrade. C’è qualcosa che non stia franando, in Italia? Vedasi il Movimento 5 Stelle, fino a ieri plebiscitario: dal referendum sull’euro alla genuflessione alla Merkel, tramite Ursula von der Leyen, fino all’inaudito governo-vergogna col nemico storico, il Pd, servizievole maggiordomo di Bruxelles. Impossibile anche solo ipotizzare qualcosa di diverso dalla sottomissione, per personaggi come Gualtieri e Gentiloni: impensabile, il pretendere dignità per l’Italia schiacciata dal rigore, dal Mes, da qualunque diavoleria progettata per mantenere sotto scacco la penisola.Quanto a Conte, giù la maschera: prima scatena il panico, poi si accorge dei danni anche economici provocati dalla gestione dilettantesca dell’epidemia. Ma attenti: forse, non tutti i coronavirus vengono per nuocere. Lo afferma, provocatoriamente, un osservatore come Gioele Magaldi. Il suo Movimento Roosevelt è nato nel 2015 per tentare di scuotere i partiti, risvegliandoli: non possiamo continuare così, incassando sconfitte e rinunciando a riconquistare il futuro. Capitolo fondamentale, le regole europee: di rigore si muore, e il rigore non è figlio di nessuna saggezza economica. E’ solo delirio ideologico, partorito da menti malate e bugiarde: quelle di un’élite che Magaldi definisce “neoaristocratica”, che ha forgiato il dogma neoliberista (tagliare lo Stato, la spesa pubblica) per depredare interi paesi, privatizzando beni strategici e condannandoli così al declino, come avviene per l’Italia. Nel saggio “Massoni”, edito da Chiarelettere, Magaldi – massone lui stesso, di marca progressista – sostiene che sia interamente massonico il gotha del potere globalista. Dopo la stagione rooseveltiana e keynesiana del benessere diffuso, questo super-potere è stato egemonizzato da un’élite reazionaria, neo-feudale, ispirata anche filosoficamente da dottrine elitarie.A reggere il pianeta sarebbe una sorta di aristocrazia dello spirito, nutrita di teorie come la “sinarchia” ottocentesca del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: solo noi possiamo capire il mondo e dunque governarlo, non certo il popolo bue. Da lì all’attuale “aristocrazia del denaro”, il passo è breve: solo business, in poche mani, dietro le quinte della psico-geopolitica di oggi. Magaldi lo ripete fino alla nausea: smettiamo di ragionare in termini di Occidente, Russia e Cina. Non è più tempo, non serve: i sistemi-paese esistono sempre, anche in termini “imperiali”, ma a decidere sono ormai altri soggetti, che restano in ombra: conventicole trasversali, comitive apolidi, comitati d’affari composti da americani e cinesi, europei e russi. Detengono leve formidabili: finanziarie, militari, di intelligence, mediatiche. Sono loro, a monte, a fare e disfare qualsiasi progetto, dalle crisi economiche alle eroiche imprese dell’Isis. Lo scopo è sempre occulto, i metodi raffinati. Molto più a valle, i media – ormai innocui e reticenti – ripetono la lezioncina del momento. E in fondo alla catena ci siamo noi, sempre a corto di informazioni attendibili. Vale anche per il coronavirus?Mentre giornali e televisioni si guardano bene dall’esplorare spiegazioni eterodosse e magari imbarazzanti, il web si scatena: nel mirino ci sono soprattutto gli Usa, in guerra con la Cina, capaci – in mille modi, teoricamente – di piegare il colosso asiatico. Anche su questo punto, Magaldi si esprime in controtendenza: e se fosse stato lo stesso sistema-Cina ad auto-sabotarsi, con il virus, per mascherare l’attesa frenata economica, comunque in arrivo, restituendo alla nuova superpotenza orientale un volto meno minaccioso, più umano e meritevole di solidarietà internazionale? Per accettare la plausibilità del ragionamento occorre prestare fede alla mole di informazioni che Magaldi dichiara di possedere, custodite in 6.000 pagine di dossier riservati. Antefatto: nel lontano 1980, la superloggia reazionaria “Three Eyes” dominata da Kissinger estende i suoi tentacoli in Cina, promettendo di inserire i cinesi nel grande gioco dell’economia, all’alba della grande gloablizzazione, senza pretendere che, in cambio, la Cina diventi democratica, accetti la presenza di sindacati e limiti l’inquinamento della sua industria.Sono le basi dello storico boom, grazie a cui – una volta entrata nel Wto – la Cina (che sorregge le sue aziende con poderosi aiuti di Stato) sbaraglierà la concorrenza occidentale, imponendo prodotti a basso costo e mettendo in crisi le aziende concorrenti, occidentali, a cui nel frattemo l’élite neoliberista (sempre lei) ha tolto gli auti statali e aumentato a dismisura il carico fiscale, attraverso le politiche di austerity. La Cina, riconosce Magaldi, ha saputo approfittare di questo “regalo” sbalordendo il mondo: ha debellato la povertà in pochissimi anni, dando vita a realizzazioni che sono d’esempio per l’intero pianeta. Ha fatto tutto da sola? No, ovviamente: è stata aiutata, con regole tuccate in partenza. Tecnicamente: concorrenza sleale. Le menti del piano? Occidentali, purtroppo. L’obiettivo: trasformare lo stesso Occidente in una altrettanto gigantesca Cina: cioè un sistema efficientissimo, che produce miliardi, ma senza più diritti democratici. Non ci credete? E’ utile ricordare la violentissima repressione degli studenti di Pechino, che nel 1989 invasero piazza Tienanmen reclamando l’avvento della democrazia, sull’onda dell’entusiasmo per la Perestrojka di Gorbaciov: i carri armati di Deng Xiaoping fecero capire da che parte stesse, l’impenetrabile dirigenza del Celeste Impero, un tempo “rossa”.Magaldi è tra quanti considerano il veleno neoliberista come una sorta di virus: un’arma di distruzione di massa. Dalla Cina, dice, c’è comunque da imparare. Il suo riscatto economico, ovviamente, non poteva prescindere dal ruolo finanziario dello Stato. E vale anche per noi, che ce lo siamo dimenticato: fu il Piano Marshall a far risorgere l’Italia ridotta in macerie. Fu l’Eni di Mattei a farla balzare in vetta alle classifiche. E ancora: fu la politica “socialista” della Prima Repubblica a far volare il made in Italy, mediante poderosi investimenti sociali e infrastrutturali. Con abbondanti lacrime di coccodrillo, una fetta del paese ha appena riabilitato Craxi. Al culmine del suo potere, il leader del Psi osò opporsi alla superpotenza americana durante la crisi di Sigonella, per difendere la sovranità italiana. Oggi, i nostri politici calano le brache al primo stormir di fronde che provenga dai grigi burocrati di Bruxelles. Ieri sapevamo dire di no a Reagan, oggi diciamo di sì al primo Dombrovskis che passa per strada. Eppure, l’Italia era diventata la quinta potenza mondiale proprio grazie al deficit: ospedali, scuole, ferrovie, autostrade. Il gruppo pubblico Iri era il maggior conglomerato industriale d’Europa: era stragetico, per alimentare lo sterminato indotto privato. E’ stato smantellato da Prodi, poi coadiuvato da Draghi per le restanti privatizzazioni all’italiana.Di nuovo: Prodi e Draghi (entrambi supermassoni, secondo Magaldi) si sono limitati ad eseguire ordini. C’era un piano: sabotare l’Italia, potenza scomoda perché forte della sua economia mista, pubblico-privata. Come la Cina di oggi? Sì, ma con una differenza: era un paese democratico, con diritti sociali conquistati al prezzo di dure lotte politiche e sindacali, persino negli anni agitati degli opposti estremismi. Terrorismo e strategia della tensione: tutte operazioni «progettate sempre dalla “Three Eyes” anche attraverso la P2 di Gelli». Ma neppure le bombe erano riuscite a piegare il Belpaese. C’è voluto il crollo del Muro di Berlino, la rottamazione giudiziaria della classe politica della Prima Repubblica, l’avvento dei privatizzatori al governo (D’Alema, Amato, Prodi). Prima ancora: Ciampi aveva aperto la prima gravissima falla, staccando Bankitalia dal Tesoro e impedendo alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato a costo zero. Di colpo, il debito pubblico – risorsa strategica per la crescita – divenne un problema. Poi è stato fatto diventare addirittura una colpa, nella distorsione orwelliana della narrazione economica neoliberista.E adesso eccoci qui, alle prese con il coronavirus e senza i soldi per affrontare l’emergenza. Gli spiccioli di cui parla il governo Conte fanno ridere, dice Magaldi, esattamente come i margini di flessibilità – solo briciole – graziosamente concessi dal potere feudale eurocratico, insediato a Bruxelles senza nessuna investitura popolare. Magaldi, europeista convinto, su questo è chiarissimo: servono gli eurobond, per sostenere i debiti pubblici e archiviare per sempre il fantasma dello spread. L’ha ripetuto anche Christine Lagarde, fino a ieri custode – con Draghi – del rigore europeo. E a proposito di Draghi, che sottobanco contende a Prodi la successione a Mattarella: l’ex cavaliere nero dell’ordoliberismo europeo ora sostiene che bisogna ribaltare il tavolo, mettere fine alla scarsità artificiosa di moneta e, addirittura, esplorare le possibilità offerte dalla Mmt, la liquidità illimitata per sostenere l’economia europea. Per Magaldi, il problema sta nel manico: lo statuto della Bce impone alla banca centrale di tenere bassa l’inflazione. Errore: il primo obiettivo dovrebbe essere la piena occupazione, costi quel che costi (anche perché, oltretutto, l’emissione di moneta oggi non costa nulla). Non è economia, è solo politica. E se quella italiana dorme ancora, chissà che non sia il maledetto coronavirus a svegliarla. Si citofoni alla Disunione Europea, reclamando il dovuto: oggi per l’Italia, domani per tutti. In modo che un giorno, finalmente, una Unione Europea cominci a esistere, per davvero.L’emergenza spread, l’incubo Mario Monti e “l’economicidio” del Pil, il crollo del made in Italy e il boom della disoccupazione. Infine, al posto di una doverosa battaglia per il ritorno alla sovranità nazionale, è andata in scena l’emergenza migranti, presentata come piaga biblica. Ora siamo all’emergenza virus, e senza colpo ferire: ovvero, senza che nel frattempo la politica sia rinsavita, si sia ripresa, sia riuscita finalmente a uscire dal coma, a recuperare lucidità. La parola “sfacelo”, forse, rende l’idea: la Libia nel caos e l’Italia sfrattata da Tripoli, il disastro del viadotto Morandi, Salvini al Papeete e le Sardine alla corte dei Benetton, concessionari negligenti delle autostrade. C’è qualcosa che non stia franando, in Italia? Vedasi il Movimento 5 Stelle, fino a ieri plebiscitario: dal referendum sull’euro alla genuflessione alla Merkel, tramite Ursula von der Leyen, fino all’inaudito governo-vergogna col nemico storico, il Pd, servizievole maggiordomo di Bruxelles. Impossibile anche solo ipotizzare qualcosa di diverso dalla sottomissione, per personaggi come Gualtieri e Gentiloni: impensabile, il pretendere dignità per l’Italia schiacciata dal rigore, dal Mes, da qualunque diavoleria progettata per mantenere sotto scacco la penisola.
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Paura e morte, la dittatura della superpotenza democratica
Il dittatore della Nato, Erdogan, ora fa a botte a viso aperto con la Siria, protetta dalla Russia. Nemmeno la Siria è la patria della democrazia, ma almeno non minaccia di precipitare anche l’Italia in qualche guerra. La Siria, come narrato dal generale clintoniano Wesley Clark, era – con la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran – tra gli obiettivi imperiali della superpotenza democratica. Sarebbe stata devastata, dalla potenza democratica e dai suoi tentacoli, per una serie di ragioni. Perché si era rifiutata di ospitare un gasdotto scomodo per l’egemonia energetica russa. E perché il governo di Damasco continua, imperterrito, a chiamare Territori Occupati le regioni della Cisgiordania che Israele ha rubato ai palestinesi, in barba alle inutili disposizioni delle Nazioni Unite. Soprattutto, il regime di Assad è laico, avanzato, progredito, largamente sostenuto dalla maggioranza della popolazione: è l’ultimo residuo del partito Baath, il fantasma del socialismo panarabo sorto con il sovranismo egiziano di Nasser, durante la decolonizzazione, e sopravvissuto con Saddam Hussein, il despota già alleato dell’impero democratico ma poi abbandonato, sconfitto e infine impiccato dalla superpotenza che ha arrostito donne e bambini con il fosforo bianco nella fornace di Fallujah, violando qualsiasi convenzione Onu sull’uso delle armi di distruzione di massa, in questo caso scatenate anche contro l’inerme popolazione civile.Nel 2020, tecnicamente, in molte regioni del mondo la parola democrazia non significa niente, nella migliore delle ipotesi (nella peggiore, equivale al rituale ricorrente di bombardamenti, guerre, milioni di esuli e rifugiati, tra inconfessabili calcoli economici e reciproche convenienze, tacitamente stipulate da oligarchie formalmente nemiche ma in realtà alleate, sottobanco). Il capolavoro della superpotenza democratica, in Medio Oriente, negli ultimi anni è stata la sua micidiale doppiezza: massimo appoggio alla peggiore di tutte le dittature dell’area, l’Arabia Saudita, e guerra sporca contro ogni altro attore della regione, destabilizzato dalle rivoluzioni colorate o brutalmente devastato attraverso bande armate di tagliagole. Lo spettacolo della democrazia atlantica in versione mediorientale lo hanno lungamente scontato, sulla loro pelle, prima gli iracheni e poi i siriani. Questi ultimi, in particolare, sono stati letteralmente assaliti dalle milizie terroristiche organizzate, protette, armate e finanziate dalla superpotenza democratica e dai suoi camerieri regionali. I tagliagole hanno seminato orrore, terrore e morte, fino a quando non è intervenuta la Russia. Liberata la Siria e restituito il territorio ai siriani, il turco Erdogan – uno dei manovali terroristici reclutati dalla superpotenza democratica – ora non accetta il verdetto militare, e prova a negare ai siriani il diritto a una vittoria compiutamente definitiva.Un vero e proprio eroe del riscatto nazionale siriano, il generale Qasem Soleimani – numero due del regime teocratico di Teheran, fiero avversario dell’Isis prima in Iraq e poi in Siria – è stato assassinato in modo brutale, a tradimento, con un raid terroristico a suon di missili ordinato dalla superpotenza democratica. La colpa di Soleimani? Una: era abile, stimato, autorevole. Legato all’oligarchia medievale dell’Iran, credeva nell’espansione della Mezzaluna Sciita come contrappeso geopolitico alla legge del taglione imposta dalla superpotenza democratica. Soleimani ha fatto la fine di Saddam, di Gheddafi, e di chiunque altro si opponesse – a vario titolo – alla spietata dittatura della superpotenza democratica. La cosiddetta opinione pubblica, nella patria mondiale della democrazia, è dominata da quattro famiglie, cui fanno capo centinaia di reti televisive. Un unico telegiornale, declinato in più modi, trasmette – 24 ore su 24 – le stesse notizie, distillate dalle medesime fonti. Ogni quattro anni, naturalmente, si vota. George Walker Bush divenne presidente a tavolino, per decreto, grazie a clamorosi brogli in Florida. Il suo successore, Barack Obama, aveva promesso – mentendo – di cambiare le regole del gioco: è stato il presidente che ha fatto assassinare più persone, nel mondo, attraverso gli omicidi mirati affidati ai droni.Obama, che ha dichiarato di aver ucciso anche Osama Bin Laden (spegnendo così il clamore sulle indiscrizioni riguardanti la sua vera origine – si sospettava che non fosse nato alle Hawaii, ma in Africa, cosa gli avrebbe impedito di candidarsi alla Casa Bianca) è stato anche il presidente che, dopo aver amnistiato i bari di Wall Street, si è inventato i Russiagate contro Putin, ha spintonato l’Europa per imporre le sanzioni alla Russia, ha fatto spiare anche il telefono privato di Angela Merkel. Poi la superpotenza democratica ha voltato pagina, con una nuova entusiasmante sfida elettorale: da una parte la cannibale Hillary Clinton, dall’altra il rozzo Donald Trump. Ora sono tutti d’accordo, ai piani alti, nel tagliare le unghie alla Cina: erano stati loro a delocalizzare in Asia (in paesi senza democrazia) la grande industria americana, ma adesso – visto che la Cina ha superato il maestro – pensano sia giunta l’ora di fare retromarcia, e intanto si godono le delizie del coronavirus. Nel frattempo, tra poco si rivota. Un candidato, Bernie Sanders, spara a zero sugli abusi razzisti del governo israeliano e si schiera con i palestinesi. Secondo tutti i bookmaker, non ha nemmeno una possibilità su mille di diventare il nuovo presidente della superpotenza democratica. Ecco il gioco: post-democrazia contro non-democrazia. Trovare la differenza.(Giorgio Cattaneo, 1° marzo 2020).Il dittatore della Nato, Erdogan, ora fa a botte a viso aperto con la Siria, protetta dalla Russia. Nemmeno la Siria è la patria della democrazia, ma almeno non minaccia di precipitare anche l’Italia in qualche guerra. La Siria, come narrato dal generale clintoniano Wesley Clark, era – con la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran – tra gli obiettivi imperiali della superpotenza democratica. Sarebbe stata devastata, dalla potenza democratica e dai suoi terminali, per una serie di ragioni. Perché si era rifiutata di ospitare un gasdotto scomodo per l’egemonia energetica russa. E perché il governo di Damasco, imperterrito, continuava (e continua) a chiamare Territori Occupati le regioni della Cisgiordania che Israele ha rubato ai palestinesi, in barba alle inutili disposizioni delle Nazioni Unite. Soprattutto, il regime di Assad è laico, avanzato, progredito, largamente sostenuto dalla maggioranza della popolazione: è l’ultima residua incarnazione del partito Baath, il fantasma del socialismo panarabo sorto con il sovranismo egiziano di Nasser, durante la decolonizzazione, e sopravvissuto con Saddam Hussein, il despota già alleato dell’impero democratico ma poi abbandonato, sconfitto e infine impiccato dalla superpotenza che ha arrostito donne e bambini con il fosforo bianco nella fornace di Fallujah, violando qualsiasi convenzione Onu sull’uso delle armi di distruzione di massa, in quel caso scatenate anche contro l’inerme popolazione civile.
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Usa-Cina, la guerra sporca del coronavirus. Le vittime: noi
Epidemia artificiale, virus da laboratorio appositamente coltivato: attacco alla Cina da parte degli Usa o, addirittura, mossa cinese per contagiare l’Occidente e “vaccinarsi”, in anticipo, da qualsiasi analoga minaccia occidentale? Tutte domande che Simone Galgano riassume in tre possibili scenari, per spiegare il boom del coronavirus, partito in sordina con la notizia del primo contagio a Wuhan, a fine 2019. Premessa geopolitica: gli Usa hanno messo la Cina nel mirino, accusandola di competere in modo sleale nel mercato globale (prodotti a basso costo, senza tutele per i lavoratori e per l’ambiente). Ma fu proprio l’élite del capitalismo occidentale ad affidare al Sud-Est Asiatico il ruolo di “manifattura del pianeta”, che poi i cinesi hanno interpretato alla perfezione. Il potere globalista sapeva benissimo che la delocalizzazione delle industrie avrebbe creato disoccupazione in Occidente, e che il nuovo turbo-capitalismo cinese (controllato dall’oligarchia comunista) avrebbe messo in crisi l’Europa e gli Stati Uniti, imponendo prezzi insostenibilmente bassi. Oggi la leadership Usa “si ricorda” improvvisamente che la Cina non è democratica.Per inciso: Pechino detiene una fetta rilevante del mostruoso debito estero statunitense, il maggiore del mondo (gli Usa consumano, ma il costo lo scaricano sui cinesi). Comodo, oggi, per il debitore insolvente, dichiarare guerra proprio alla Cina, il creditore: guerra ufficiale, con i dazi, e guerra segreta a colpi di virus? L’ipotetica “guerra batteriologica Usa” è il primo dei tre scenari esplorati da Galgano, sul blog “Maestro di Dietrologia”. La cronistoria è precisa. Nel 2017, proprio a Wuhan (l’avanzatissima Silicon Valley cinese) viene aggiornato un importante centro di ricerca di livello 4: oltre al personale cinese operano l’Oms, scienziati inglesi e americani. Obiettivo delle ricerche: un progetto condiviso per la salute pubblica mondiale. Il laboratorio esiste dal 2014, e nel 2015 viene brevettato un vaccino per un nuovo ceppo di coronavirus, molto più pericoloso dell’attuale, grazie anche agli ingenti fondi della Commissione Europea e della Fondazione Gates. A marzo 2019, il Canada invia un pacchetto di virus letale da studiare in caso di contagio a Wuhan. Operazione inizialmente segreta, poi desecretata dallo stesso governo cinese, preoccupato per la pericolosità della circolazione di tali agenti patogeni nel suo territorio.Il 18 ottobre del 2019, il Global Security Studies della John Hopkins University, di concerto con la Fondazione Gates, Bloomberg e il World Economic Forum, riunisce 15 leader mondiali (politici, economisti, filantropi, scienziati e militari) per simulare una pandemia partita ipoteticamente dal Brasile. Lo studio, chiamato Evento 201, riproduce virtualmente un’emergenza di 18 mesi per una pandemia globale, con 65 milioni di morti. Precisamente, l’Evento 201 simula lo scoppio di un coronavirus “zoonotico” che si trasmette da pipistrelli e maiali all’uomo, esattamente come nella spiegazione “scientifica” che ci hanno raccontato i media dopo i primi casi di contagio. Sempre a Wuhan, il 15 ottobre scorso, in occasione dell’evento Military World Games si registra una presenza massiccia di militari occidentali e funzionari del Pentagono, oltre che apparati di intelligence. «Ed è curioso – scrive Galgano – che due settimane dopo, proprio nella stessa città e dopo tutti i precedenti studi virologici e le simulazioni effettuate, sia nata la pandemia: il tempo di incubazione può variare entro un range di 15 giorni e, guarda caso, i primi casi ufficiali sono venuti fuori lo scorso inverno».Secondo la rivista “The Lancet”, il primo caso di infezione risale ipoteticamente al 1° dicembre, e la persona contagiata non si sarebbe mai recata al famoso mercato ittico di Wuhan. Il primo decesso ufficiale è invece dell’11 gennaio 2020. L’emergenza massima cade proprio durante il capodanno cinese, il 25 gennaio, con flussi migratori di centinaia di milioni di persone in viaggio dalle campagne alle città, a bordo di treni e aerei: quale migliore occasione per estendere il contagio? Negli Usa, il super-esperto Francis Boyle lo afferma candidamente, evitando di ricordare che nei laboratori militari di Wuhan non ci sono solo scienziati cinesi. «Il coronavirus è un’arma da guerra biologica creata in un laboratorio di Wuhan, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne è già a conoscenza», afferma Boyle in un’intervista video rilasciata al sito “Geopolitics and Empire”. Il professor Boyle, docente di diritto all’Università dell’Illinois, nel 1989 ha redatto il Biological Weapons Act, la legge antiterrorismo per le armi biologiche. Boyle sostiene che il coronavirus, «un’arma da guerra biologica potenzialmente letale», sarebbe «fuoriuscito da un laboratorio di massima sicurezza» di Wuhan.Il governo cinese avrebbe quindi inizialmente cercato di coprire il caso, mentre ora sta adottando misure drastiche per contenere l’epidemia. E visto che il laboratorio Bsl-4 di Wuhan è anche un centro di ricerca dell’Oms, secondo Boyle la stessa organizzazione sanitaria mondiale «non poteva non sapere». Galgano ricorda gli avvertimenti del genarale Fabio Mini, già dirigente Nato: la guerra batteriologica sarà una delle più insidiose, nel futuro. In un mondo fino a ieri traumatizzato dall’Isis, creatura terroristica “fabbricata” in provetta da settori dell’intelligence occidentale, perché escludere che gli stessi poteri occulti che hanno scatenato l’Isis possano ricorrere anche ad agenti patogeni per provocare epidemie letali? «Ci sono troppi investimenti e studi in joinventure con l’apparato militare, per non solleticare certe idee e per non testare e utilizzare tali strumenti», riflette Galgano. «Perché mai gli Usa e altri paesi del blocco occidentale non dovrebbero utilizzare, come armi, eventuali virus da tempo studiati», visto che «il Pentagono, la Nato, l’Oms e tutte le Fondazioni occidentali hanno speso migliaia di miliardi di dollari e fatto ingenti investimenti ovunque in questo settore strategico?».Nella peggiore delle ipotesi, il Covid-19 potrebbe rappresentare «la prima di una lunga serie di pandemie non casuali, un primo vero test di massa per studiare gli effetti su larga scala, non più solamente relegati alle simulazioni teoriche, comprendendo il grado di sostenibilità delle popolazioni e dei diversi governi colpiti dalla “cattiva sorte”». Servirebbe a «verificare sul campo il funzionamento delle quarantene, la reazione delle persone e di eventuali isterie di massa», e in più – fatto non secondario – favorirebbe «una vaccinazione di massa sempre più accettata», oltre a provocare, nel frattempo, ingenti danni collaterali, e cioè «diverse conseguenze negative dal punto di vista finanziario, militare e geopolitico». Una “piccola pandemia” sembra tragicamente funzionale: può destabilizzare l’economia del “rivale”, «senza innescare necessariamente una guerra militare, che forse non converrebbe a nessuno». Per i suoi ipotetici ideatori sarebbe addirittura «un male minore», secondo “Maestro di Dietrologia”, «proprio ora che la Cina stava primeggiando economicamente, proprio durante il capodanno cinese, proprio nella stessa città dove la Fondazione Gates e la “sovragestione” hanno investito e operato nei laboratori di ricerca di Wuhan».Attenzione, sono solo ipotesi: «Non ci sono prove documentabili, ad oggi, che possa essere una strategia voluta». Ci sono semmai «ottimi indizi», sicuramente più numerosi di quelli che depongono a favore della pura casualità, a cui sembrano invece credere i media. Sono gli stessi media che, peraltro – lo ricordano vari medici italiani intervistati da Claudio Messora su “ByoBlu” – stanno trattando il coronavirus come fosse la peste, scatenando il panico tra la popolazione in modo criminale e irresponsabile, data anche la bassissima pericolosità del virus in Italia, che a quanto pare minaccia seriamente solo gli individui anziani e già molto malati. Ma guai a fare ipotesi complottistiche: in televsione, Diego Fusaro è stato zittito (e insultato, come se fosse pazzo) per il solo fatto di aver ipotizzato, a rigor di logica, la possibilità di includere, tra le altre, anche l’eventuale origine dolosa. Su Twitter, Paolo Barbard mette a fuoco un altro indizio preoccupante: a svelare la correlazione tra uomo e pipistrelli, nella propagazione del virus, è stata l’università californiana di Berkeley, e l’ha fatto con uno studio finanziato – con largo anticipo sull’epidemia – proprio dalla Darpa, l’agenzia del Pentagono specializzata in armi sperimentali, biologiche e batteriologiche. Interpellati i diretti interessati, Barnard registra le risposte: «Duemila righe di email firmate da Jared Adams, responsabile della comunicazione della Darpa, e silenzio assoluto invece da parte di Cara Brook, la biologa responsabile della ricerca».Tutta colpa dei soliti “amerikani”, cioè del famigerato Deep State che, dopo aver assassinato i Kennedy e Martin Luther King, avrebbe organizzato l’auto-attentato dell’11 Settembre? Non è detto, osserva “Maestro di Dietrologia”: per Simone Galgano, c’è pure la possibilità che la Cina, ormai messa in stato di assedio dalla superpotenza atlantica, possa aver esibito «la prova di forza del Drago», auto-sabotandosi per dimostrare la sua capacità di resistenza, nel caso qualcuno pensasse davvero di sterminare i cinesi, altrimenti inarrestabili. Galgano la definisce un’eventualità non troppo remota: «La Cina mostrerebbe i muscoli, mettendo in campo una copertura sanitaria su larga scala difficilmente replicabile in altri paesi». Un paese che si presenta «più forte e unito che mai, dinnanzi a sciagure di qualsiasi natura». In pratica: «Sacrificando solo sul breve termine la sua economia», Pechino colpirebbe il business occidentale «puntando su un’economia autarchica, nazionalista, in netto contrasto con la globalizzazione vigente». Un avvertimento alla comunità internazionale: la Cina si salverebbe comunque, mentre a sprofondare saremmo noi. Beninteso: a partire dall’Africa, è in corso una guerra segreta, anche per il controllo delle materie prime.Da parte sua, Pechino non tollera il dissenso e non esita a schiacciare la protesta di Hong Kong. Sarebbe capace di attuare una simile strategia della tensione, tra lacrimogeni e virus, per cristallizzare il potere centrale? In questo – ed è il terzo scenario contemplato da Galgano – è impossibile non tenere conto delle Ur-Lodges, le potenti superlogge internazionali di cui parla Gioele Magaldi nel saggio “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014: si tratta di «un network di poteri transnazionali, composto da multinazionali di ogni settore strategico “senza patria”, da eserciti senza appartenenza nazionale, da poteri massonici, “magici” ed economici globalisti, che lavorano al di sopra delle entità statuali». Anche la Cina è coinvolta nelle sovragestioni supermassoniche. Reti elusive, che non agiscono per schemi rigidi: «Sono infinitamente più elastiche, non ideologiche. Mutano forma come camaleonti e la loro trasversalità determina la loro forza». In questa piramide di poteri, «ogni livello mette in atto le proprie strategie per soddisfare i suoi bisogni, e le due possibilità descritte precedentemente (una guerra batteriologica Usa e una prova di forza della Cina) possono in questo mondo essere valide entrambe e convivere come opzioni, senza contraddizioni sostanziali».Manipolazioni a catena: «Noi ingenuamente pensiamo che il potere si realizzi e finisca all’interno di Stati sovrani, ma quello è solo un nostro limite culturale e uno dei motivi per i quali viviamo ai piedi dell’oracolo», scrive Galgano. Questa, aggiunge, è «una sovragestione che necessita di abbeverarsi al capitalismo occidentale e di implementare nuove visioni orwelliane distopiche e dispotiche, che si nutre della medicalizzazione di massa e delle tecnologie pervasive di controllo strutturale, per governare i tempi della modernità dall’alto dei cieli, ad libitum». Dacci oggi il nostro virus quotidiano: «Perché dare limiti al potere quando, per definizione, esso non ha forma?». Lo stesso Magaldi ricorda che, nel 1981, le superlogge – soprattutto reazionarie, ma anche progressiste – firmarono lo storico patto “United Freemasons for Globalization”. Alla Cina di Deng Xiaoping – segretamente affiliato al club delle Ur-Lodges neoaristocratiche – fu permesso di entrare nel Wto, senza pretendere che il colosso asiatico si democratizzasse. Oggi, l’ala progressista della supermassoneria sovranazionale contesta questa scelta e pretende che Pechino cambi passo, aprendo alla democrazia. Simmetricamente, il fronte reazionario (rappresentato, al di là delle etichette, da politici “dem” come i Clinton) si intendeva benissimo, fino a ieri, con l’oligarchia cinese.Un equilibrio infranto ora dal protezionismo di Trump, che negli ultimissimi anni ha coagulato attorno a sé l’intera classe dirigente degli Usa, divenuta ostile alla Cina, come conferma un osservatore del calibro di Edward Luttwak. E’ la stessa Nancy Pelosi, boss del partito democratico e acerrima rivale di Trump, a sparare a man salva su Huawei, anche incorrendo in una gaffe clamorosa come quella segnalata da Massimo Mazzucco a “Contro Tv”, in collegamento con Giulietto Chiesa: la Pelosi ha ammesso di temere la tecnologia 5G made in China, proprio perché sa che il digitale (quando è di marca Usa) serve a controllare direttamente gli utenti, attraverso un poderoso spionaggio di massa. «C’è un grande conflitto in atto da diversi anni tra Usa e Cina, e uno dei tanti motivi oggi è rappresentato dal colosso Huawei per il controllo dell’etere globale», ribadisce Galgano. La conferenza sulla sicurezza di Monaco – aggiunge – è diventata l’arena di un nuovo scontro fra gli Usa di Trump e la Cina, che in questa occasione si è difesa sfoderando l’orgoglio socialista, all’insegna dello slogan “non ci fermerà nessuno”.Cuore del confronto, il veto americano su Huawei: «Un cavallo di Troia dei servizi cinesi», secondo il segretario di Stato americano Mike Pompeo, l’uomo che ha brindato all’uccisione in Iraq del leader iraniano Qasem Soleimani, alleato della Cina, assassinato dagli Usa in modo terroristico, con un missile. L’impero non scherza, se vede minacciati i suoi privilegi feudali: consentire a Huawei di installare la rete 5G in Europa «potrebbe arrivare a mettere a rischio la Nato», secondo il ministro della difesa Usa, Mark Esper. Il ministro degli esteri cinese Wang Yi replica senza mezzi termini: «Le accuse sulla Cina sono bugie. Negli Usa non si accetta l’idea del successo in uno Stato socialista, ma questo è ingiusto, i cinesi meritano una vita migliore». Aggiunge: «Nessuno potrà fermarci, la Cina uscirà più forte di prima dall’emergenza del coronavirus», che quindi – secondo Pechino – non comprometterà la crescita del gigante asiatico. «Non vogliamo conflitti con la Cina», dichiara Pompeo, che però avverte: Pechino deve smettere di esercitare pressioni «palesi e nascoste» su nazioni come Italia, Corea del Sud e Iran. «Tutti paesi – chiosa Galgano – curiosamentre tra i più colpiti da questo virus».Epidemia artificiale, virus da laboratorio appositamente coltivato: attacco alla Cina da parte degli Usa o, addirittura, mossa cinese per contagiare l’Occidente e “vaccinarsi”, in anticipo, da qualsiasi analoga minaccia occidentale? Tutte domande che Simone Galgano riassume in tre possibili scenari, per spiegare il boom del coronavirus, partito in sordina con la notizia del primo contagio a Wuhan, a fine 2019. Premessa geopolitica: gli Usa hanno messo la Cina nel mirino, accusandola di competere in modo sleale nel mercato globale (prodotti a basso costo, senza tutele per i lavoratori e per l’ambiente). Ma fu proprio l’élite del capitalismo occidentale ad affidare al Sud-Est Asiatico il ruolo di “manifattura del pianeta”, che poi i cinesi hanno interpretato alla perfezione. Il potere globalista sapeva benissimo che la delocalizzazione delle industrie avrebbe creato disoccupazione in Occidente, e che il nuovo turbo-capitalismo cinese (controllato dall’oligarchia comunista) avrebbe messo in crisi l’Europa e gli Stati Uniti, imponendo prezzi insostenibilmente bassi. Oggi la leadership Usa “si ricorda” improvvisamente che la Cina, non è democratica.
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Mai sprecare un’arma: virus, la guerra ibrida contro la Cina
La politica delle nuove Vie della Seta, o Belt and Road Initiative (Bri), era iniziata con il presidente Xi Jinping nel 2013, prima in Asia centrale (Nur-Sultan) e poi nel sud-est asiatico (Jakarta). Un anno dopo, l’economia cinese, a parità di potere di acquisto, aveva superato quella degli Stati Uniti. Inesorabilmente, anno dopo anno dall’inizio del millennio, la quota statunitense dell’economia globale si è andata riducendo, mentre quella della Cina è in costante ascesa. La Cina è già il centro nevralgico dell’economia globale e il principale partner commerciale di quasi 130 nazioni. Mentre l’economia degli Stati Uniti è un guscio vuoto e il modo, tipico dei giocatori d’azzardo, con cui il governo degli Stati Uniti si autofinazia (i mercati dei pronti contro termine e tutto il resto) viene visto come un incubo distopico, lo stato della civiltà avanza in una miriade di aree della ricerca tecnologica, anche grazie al Made in China 2025. La Cina supera di gran lunga gli Stati Uniti nel numero dei brevetti registrati e produce almeno otto volte più laureati Stem [scienze, tecnologia, ingegneria e matematica] all’anno rispetto agli Stati Uniti, guadagnandosi lo status di miglior contributore alla scienza globale.
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Ulfkotte: noi giornalisti siamo corrotti e vi abbiamo tradito
«Sono stato un giornalista per circa 25 anni, e sono stato educato a mentire, tradire e a non dire la verità al pubblico». Lo confessa Udo Ulfkotte, uno dei più famosi giornalisti tedeschi. Il 13 gennaio 2017 fu trovato morto, a soli 56 anni. Diagnosi: infarto. «Senza alcuna autopsia, fu cremato immediatamente», ricorda Francesco Santoianni su “L’Antidiplomatico”, salutando il libro “Giornalisti comprati”, ora finalmente in arrivo nelle librerie italiane. «Un libro zeppo di nomi e cognomi di giornalisti (tra i quali lo stesso Ulfkotte) che si sono venduti pubblicando “notizie” inventate da servizi di sicurezza, governi, aziende, lobby», scrive Santonianni. «Un libro che, dopo un successo straordinario in Germania nel 2014, per anni non è stato più ristampato (lo trovavate, usato, sul web a cifre elevatissime) e che ora viene pubblicato in Italia dall’editore Zambon». Anziché soffermarsi «sui tantissimi episodi di conclamata corruzione e di asservimento dei media riportati nel libro», Santoianni preferisce riportare in calce l’indice del volume, clamorosamente eloquente, nonché quella che è stata l’ultima dichiarazione pubblica di Ulfkotte.Libertà di stampa simulata: la verità esclusivamente per i giornalisti? Nel libro si parla di “verità comprate” tra “reti d’élite e servizi segreti”. Ulfkotte racconta «come fui corrotto da una compagnia petrolifera». Titoli di questo tenore: “Frankfurter Allgemeine Zeitung: dietro le sue quinte c’è a volte una testa corrotta”. Oppure: “Come i giornalisti finanziano le loro ville in Toscana”. Ulfkotte definisce «ben lubrificato» quello che chiama «il famigerato sistema dei premi giornalistici». Bel panorama, non c’è che dire: «Interviste compiacenti, viaggi come inviato speciale e frode fiscale». Uno sguardo impietoso, sul “lavoro sporco” dei giornalisti di oggi. Altro titolo: “La spirale del silenzio: cosa non c’è nei giornali”. In alternativa, il sistema media come “manganello”, ovvero: “Oggi su, domani giù: esecuzioni mediatiche”. «I media tedeschi e americani cercano di portare alla guerra le persone in Europa, per fare la guerra alla Russia», scrisse Ulfkotte poco prima di morire. «Questo è un punto di non ritorno, e ho intenzione di alzarmi e dire che non è giusto quello che ho fatto in passato: manipolare le persone per fare propaganda contro la Russia».Aggiungeva Ulfkotte: «Non è giusto quello che i miei colleghi fanno e hanno fatto in passato, perché sono corrotti e tradiscono il popolo: non solo quello della Germania, ma tutto il popolo europeo». Amare conclusioni: «Agli Stati Uniti e all’Occidente non è bastato vincere sul socialismo burocratico dell’Est Europa, ora puntano alla conquista della Russia e alle sue risorse e poi al suo più potente vicino: la Cina». Era la sua allarmante visione geopolitica: «Il disegno è chiaro e solo la codardia dei governi europei e le brigate di giornalisti comprati assecondano questo piano di egemonia globale che, inevitabilmente, determinerà una Terza Guerra Mondiale che non sarà combattuta coi carri armati ma coi missili nucleari». I nostri media? «Omologati, obbedienti all’autorità e riluttanti a fare ricerche», pronti a trasformare la Russia in una minaccia reale. Udo Ulfkotte parla dell’Atlantik-Brucke, il ponte atlantista del massimo potere che costringe l’informazione «nella morsa dei servizi segreti». Parla di «contatti controversi, elogi imbarazzanti, potere sotto copertura». Tecniche di propaganda classica, spacciate per giornalismo: sono tanti «i trucchi per l’inganno verbale della politica e dei media».Il terzo capitolo si apre nel modo più esplicito: “La verità sotto copertura: giornalisti di prima classe in linea con le élite”. Ci sono anche giornalisti “testimoni di nozze”, alla corte del potere politico. Dai “troll” di Obama al fantasma dei Rockefeller, nell’eterna Commissione Trilaterale, fino alle imbarazzanti passerelle del Bilderberg. Come comprarsi un giornalista, istruzioni per l’uso: è quella che Ulfkotte chiama “l’informazione viscida”, sostenendo che «due terzi dei giornalisti sono corrotti». Si va avanti a colpi di “piacevoli favori”, per rendere i media “compatibili” con l’agenda del potere, tra “guadagni aggiuntivi” e “lavaggi del cervello”. In tutto questo, Ulfkotte legge “il fallimento della democrazia”. Scrive: «Ho molta paura per una nuova guerra in Europa e non mi piace avere di nuovo questo pericolo, perché la guerra non è mai venuta da sé». Vero: «C’è sempre gente che spinge per la guerra, e a spingere non sono solo i politici ma anche i giornalisti». Ecco il guaio: «Noi giornalisti abbiamo tradito i nostri lettori, spingiamo per la guerra». Si ribellava, Ulfkotte: «Non voglio più questo, sono stufo di questa propaganda. Viviamo in una repubblica delle banane e non in un paese democratico dove c’è la libertà di stampa».(Il libro di Udo Ulfkotte, “Gekaufte Journalisten”, sarò presto nelle librerie italiane, edito da Zambon, con prefazione di Diego Siragusa).«Sono stato un giornalista per circa 25 anni, e sono stato educato a mentire, tradire e a non dire la verità al pubblico». Lo confessa Udo Ulfkotte, uno dei più famosi giornalisti tedeschi. Il 13 gennaio 2017 fu trovato morto, a soli 56 anni. Diagnosi: infarto. «Senza alcuna autopsia, fu cremato immediatamente», ricorda Francesco Santoianni su “L’Antidiplomatico“, salutando il libro “Giornalisti comprati”, ora finalmente in arrivo nelle librerie italiane. «Un libro zeppo di nomi e cognomi di giornalisti (tra i quali lo stesso Ulfkotte) che si sono venduti pubblicando “notizie” inventate da servizi di sicurezza, governi, aziende, lobby», scrive Santonianni. «Un libro che, dopo un successo straordinario in Germania nel 2014, per anni non è stato più ristampato (lo trovavate, usato, sul web a cifre elevatissime) e che ora viene pubblicato in Italia dall’editore Zambon». Anziché soffermarsi «sui tantissimi episodi di conclamata corruzione e di asservimento dei media riportati nel libro», Santoianni preferisce riportare in calce l’indice del volume, clamorosamente eloquente, nonché quella che è stata l’ultima dichiarazione pubblica di Ulfkotte.
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Coronavirus, la Cina sa che il Pentagono prepara la guerra
Paolo Liguori, direttore di TgCom24, ha detto che il coronavirus sarebbe uscito da un laboratorio militare cinese di Wuhan? Siamo alle prese con mille incertezze: non possiamo ancora fare affermazioni precise. Illustri virologi, tra cui Burioni, ritengono che il vettore originario possa essere un pipistrello. “Ritengono”: prove, non ce ne sono. Altra questione: Xi Jinping è sincero oppure no? La mia tesi è questa: il problema è troppo grande, perché Xi Jinping possa scherzare, su questo, o far finta di niente. Il problema colpisce la Cina duramente, la colpirà ancora più duramente e ci colpirà tutti. Non credo sia possibile pensare che il presidente cinese sia un irresponsabile. Credo che Xi Jinping ci abbia detto la verità, o meglio quello che sa lui. Non sono sicuro che tutto quello che sa Xi Jinping sia la verità: la stanno cercando, anche loro. In secondo luogo, credo che qualunque alto dirigente cinese non possa ignorare che, nei documenti ufficiali del Pentagono, c’è scritto – nero su bianco, e in modo esplicito – che la Cina, insieme alla Russia, è un nemico decisivo degli Stati Uniti d’America. In questi documenti, ufficialmente presentati al Parlamento, il Pentagono aggiunge che gli Stati Uniti devono «prepararsi a una guerra imminente» con la Cina.Hanno ragione? Hanno torto? Non è importante. L’importante è che lo dicano, che gli Stati Uniti si stanno preparando a una guerra “imminente” con la Cina, che «implicherà grandi perdite per la stessa popolazione civile degli Stati Uniti». Sono cose che cito da un documento ufficiale del Pentagono, sottoposto al giudizio e al voto del Senato degli Stati Uniti e della Camera dei rappresentanti. Quindi: se io fossi un dirigente cinese, potrei trascurare questo fatto? No, ovviamente. Dobbiamo trascurarlo, noi? Non credo: è uno dei fattori del problema, e quindi dovrà essere tenuto sotto la lente d’ingrandimento, con la massima attenzione. C’è chi pensa che qualcuno, per conto degli Usa, possa essersi “lasciato scappare” quel virus per mettere in ginocchio quello che è il maggior competitore economico dell’America a livello mondiale? Come si sa, io non nascondo una mia precisa opinione: ritengo che il gruppo dirigente degli Stati Uniti sia dominato da un gruppo di dementi. Lo ritenevo prima dell’attuale presidente, e lo ritengo tuttora. Dico “dementi”, perché tutti i loro atti conducono a una situazione di guerra, nel mondo. Quindi, di fronte a un caso come quello del coronavirus, non posso dimenticare quello che penso. Insisto: penso che siano dei dementi, e dai dementi non ci può aspettare nulla di buono né di rassicurante.Mi limito a questo, perché non conosciamo con precisione la situazione. Posso semmai aggiungere una considerazione che ci riguarda da vicino. In tanti, ormai, stanno cominciando a capire che stiamo vivendo in un mondo assolutamente vulnerabile. A prescindere da tutte le teorie e dalle ipotesi che si possono fare, su quello che sta accadendo, davanti ai nostri occhi dovrebbe balenare, chiara come il sole, la constatazione che questo mondo è straordinariamente vulnerabile. Se ad esempio le cose che stiamo vedendo in questo momento dovessero andare male, noi ci troveremmo di fronte a un mondo radicalmente diverso, da quello che conosciamo, e questo avverrebbe nello spazio di poche decine di settimane. Di fronte a emergenze di questo tipo siamo tutti impreparati, a partire da chi deve prendere le decisioni. Quello che vediamo dice che le cose accadono più velocemente di quanto l’organizzazione economica, politica, sociale e militare del paese sia in grado di fronteggiare. Siamo colti di sorpresa, clamorosamente. Quando è stata proclamata la chiusura del collegamento Cina-Italia, erano già in volo 5 aerei italiani appena decollati dalla Cina. Che ne è stato, di quei passeggeri (italiani e cinesi) virtualmente a rischio di contagio? Sono stati posti in stato di osservazione?Tralasciando le polemiche, il fatto è che stiamo vivendo in una società vulnerabile – che è anche impazzita, visto che non è in grado di governare se stessa. E questo dovrebbe porre dei problemi, al governo delle grandi corporations e dei grandi Stati. Possiamo andare avanti in questa direzione senza introdurre dei cambiamenti radicali, in tempi rapidi? Su La7, Mentana si è scandalizzato per l’ultima indagine sociologica dell’Eurispes, secondo cui il 15% degli italiani non crede all’Olocausto, ritiene che la Shoah sia stata un’invenzione (o comunque un’esagerazione). Ma perché tanto sdegno? Caro Mentana, chi è il responsabile del fatto che il 15% degli italiani non sa niente della storia della Seconda Gerra Mondiale? Ma siete voi, che avete fatto la televisione. Siete voi, che avete dato la disinformazione. E adesso, Mentana, ti stupisci che il 15% degli italiani non ti creda? Ma tu agli italiani hai raccontato un sacco di bugie, in tutti questi anni. E non li hai formati, non li hai informati, non ti sei scandalizzato per la loro ignoranza. E così anche adesso, di fronte all’evidenza di un collasso organizzativo e intellettuale della società in cui viviamo, c’è ancora gente che dice che è tutto normale, e che le cose devono andare avanti così.(Giulietto Chiesa, dichiarazioni rilasciate il 31 gennaio 2020 a “Contro Tv”, in video-chat con Massimo Mazzucco; video ripreso su YouTube e pubblicato sul blog “Luogo Comune”).Paolo Liguori, direttore di TgCom24, ha detto che il coronavirus sarebbe uscito da un laboratorio militare cinese di Wuhan? Siamo alle prese con mille incertezze: non possiamo ancora fare affermazioni precise. Illustri virologi, tra cui Burioni, ritengono che il vettore originario possa essere un pipistrello. “Ritengono”: prove, non ce ne sono. Altra questione: Xi Jinping è sincero oppure no? La mia tesi è questa: il problema è troppo grande, perché Xi Jinping possa scherzare, su questo, o far finta di niente. Il problema colpisce la Cina duramente, la colpirà ancora più duramente e ci colpirà tutti. Non credo sia possibile pensare che il presidente cinese sia un irresponsabile. Credo che Xi Jinping ci abbia detto la verità, o meglio quello che sa lui. Non sono sicuro che tutto quello che sa Xi Jinping sia la verità: la stanno cercando, anche loro. In secondo luogo, credo che qualunque alto dirigente cinese non possa ignorare che, nei documenti ufficiali del Pentagono, c’è scritto – nero su bianco, e in modo esplicito – che la Cina, insieme alla Russia, è un nemico decisivo degli Stati Uniti d’America. In questi documenti, ufficialmente presentati al Parlamento, il Pentagono aggiunge che gli Stati Uniti devono «prepararsi a una guerra imminente» con la Cina.
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L’Italia frana, mentre Salvini & Sardine pensano all’Emilia
Mentre le Sardine prodiane si affannano nelle piazze a insultare l’Uomo Nero sulla base di slogan vuoti e istericamente pericolosi, come la pretesa di togliere all’odiato nemico la libertà di esprimersi sul web, emerge sempre più chiaramente la vera natura dell’altro colossale abbaglio gialloverde, il cosiddetto fronte sovranista (in realtà solo salvinista). E’ vistoso il panico del Pd di fronte alle elezioni emiliane, in una Regione-simbolo che, per la prima volta nella storia, sembra seriamente contesa dal centrodestra. Ma pur di sviare l’attenzione dal vero pericolo – la fine dell’eterno poltronificio “rosso” – il Pd preferisce scendere sullo stesso terreno di Salvini, fingendo cioè di credere che a Bologna sia in gioco chissà cosa, la fine del mondo, il tramonto dell’umanesimo di fronte all’incombere della barbarie. L’Emilia come linea del Piave, come soglia psicologica: se crollasse, però, insieme all’onesto buongoverno dell’uscente Bonaccini finirebbe rottamato soprattutto lo storico radicamento territoriale di un potere che, partendo dalla genuinità campagnola dei tanti industriosi Peppone, una volta insediatosi a Roma (dopo la fine della Prima Repubblica) ha tranquillamente svenduto il paese alla famelica finanza globalista, grazie a condottieri anti-italiani come Prodi. E qualcuno può pensare seriamente che, con il baldo Salvini, la musica sarebbe diversa?In premessa, ovviamente, del Pd si può dire tutto il male possibile. Liquidati Moro dalla strategia della tensione e Bettino Craxi da Mani Pulite, la filiera ex-Pci ha consegnato quel che restava dell’elettorato di sinistra al turbocapitalismo neoliberista e privatizzatore, che ha distrutto l’economia mista (gruppo Iri) che faceva dell’Italia un paese anomalo, insopportabilmente benestante grazie al traino dell’industria di Stato, pur al netto delle tante piaghe nazionali: il clientelismo atavico e la corruzione dei partiti, l’evasione fiscale record, il ruolo invasivo delle mafie nell’economia. Quell’Italia è stata sabotata già nel 1981 con il divorzio fra Tesoro e Bankitalia, poi al resto ha provveduto il Trattato di Maastricht: dopo il lavoro sporco affidato a Prodi e Draghi, il “vincolo esterno” imposto alla politica nazionale è stato salutato con giubilo da leader come D’Alema. Agli ex amici dell’Urss è stato finalmente permesso di guidare il paese, sia pure solo formalmente, a patto che si limitassero a eseguire gli ordini del grande capitale finanziario neoliberale. Un’opera che solo l’ex sinistra poteva condurre in porto, con provvedimenti come la legge Treu per ridimensionare il peso e i diritti dei lavoratori, d’intesa con la Cgil.A conferma delle menzogne quotidiane fabbricate dalla propaganda sinistrese, per finire l’opera c’è stato bisogno che si chiudesse l’inutile parentesi del cosiddetto ventennio berlusconiano: la pietra tombale sui diritti del lavoro è infatti giunta solo con Renzi, sotto forma di Jobs Act e abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Contro il nuovo partito scelto dal potere per regnare sull’Italia si era levato il Movimento 5 Stelle, che aveva individuato nel Pd – giustamente – il vero nemico della sovranità italiana. Se però l’ex sinistra aveva fatto ricorso a politiche sofisticate e a menti raffinatissime per ingannare l’elettorato, spacciando per medicina il veleno che veniva somministrato al paese, i grillini hanno sfondato alla velocità della luce ogni limite estetico, ogni diaframma di decenza politica: in un pugno di mesi hanno rinnegato al 100% il loro programma iniziale, calpestando tutte le promesse e gettando nella spazzatura le speranze di un elettore su tre. Per un anno, usando come paravento l’uomo-ombra Giuseppe Conte, al governo coi 5 Stelle c’era pure la Lega di Matteo Salvini, che aveva ereditato da Bossi un Carroccio al 4% dei consensi. Quadruplicati, i suffragi leghisti, occupando stabilmente le televisioni per anni, essenzialmente con invettive: contro l’euro e l’Europa matrigna, contro i migranti e i campi Rom da spianare con le ruspe, contro l’atlantismo servile da rimpiazzare con una politica multipolare più rispettosa della Russia e delle istanze nazionali, ricalcando posizioni come quelle espresse in Francia da Marine Le Pen e in Ungheria da Viktor Orban.Una volta al governo, però, il Capitano (coraggioso, a quanto patre, solo a parole) ha cominciato a frenare: ha ingoiato la bocciatura di Paolo Savona imposta dai grandi poteri tramite Mattarella, ha subito senza fiatare il siluramento del fido Armando Siri, l’uomo della Flat Tax, e ha incassato l’umiliante “niet” di Bruxelles in relazione alla richiesta di espandere il deficit: si trattava peraltro solo del minimo sindacale, per finanziare investimenti capaci di dare un po’ di fiato al made in Italy, ma al nostro paese è stato negato anche quello. Di che pasta fosse il sovranismo di Salvini lo si è poi visto nel dicembre 2018, con l’avvilente genuflessione di fronte a uno dei massimi terminali del potere imperialista, nella versione israeliana incarnata dal famigerato Benjamin Netanyahu, uno dei politici più pericolosi del Medio Oriente. Il resto è cronachetta: le penose risse sugli sbarchi e gli strascichi giudiziari all’italiana mentre il vero potere si mangia la Libia, l’inaudita condanna inflitta alla Lega (costretta a “restituire” 49 milioni di euro, in realtà mai rubati) e l’imbarazzante vicenda di Gianluca Savoini, sorpreso a Mosca a discutere di forniture energetiche: fatto su cui Salvini si è finora rifiutato di dare spiegazioni.Unico politico italiano capace di esprimere un esultante tifo calcistico a favore del brutale omicidio del generale iraniano Qasem Soleimani, l’ex mattatore del Papeete è oggi contestato dalle Sardine essenzialmente per il lessico politicamente sgarbato, intollerabile per il buonismo dei gretini che proprio non vedono i 100 trilioni di dollari già pronti, per la speculazione del secolo che si avvale dell’ingenuità della minorenne svedese. Un grande spettacolo per ciechi: da una parte l’implume Greta elogiata dal fantasma-Zingaretti e dall’altra il villanzone lombardo, mentre i tre grandi poteri del mondo (gli azionisti di Vanguard, BlackRock e State Street) stabiliscono – al posto dei politici – come dovremo vivere e cosa dovremo pensare, nei prossimi anni. Avanza nel modo pià subdolo l’ambigua rete wireless 5G, destinata a rivoluzionare il nostro modo di esistere e di lavorare. Secondo medici e scienziati, prima di decretarne la sicurezza per la salute pubblica occorrerebbero almeno tre anni di test e di studi seri e indipendenti, che invece nessuno pretende: del 5G non si preoccupano né Salvini né le Sardine, per non parlare del Pd e dei resti umani pentastellati.Per la prima volta nella storia repubblicana, 130.000 bambini italiani quest’anno sono stati esclusi da nidi e materne: la tragedia dell’obbligo vaccinale imposto senza motivazioni mediche ha messo nei guai milioni di famiglie, ma il problema semplicemente non esiste nell’agenda politica di nessun soggetto, inclusa la Lega e i suoi valorosi detrattori “ittici”. Le autostrade crollano, l’Ilva agonizza e l’Alitalia traballa, la Fiat svende ai francesi l’auto italiana senza dare nessuna garanzia sulla sopravvivenza degli stabilimenti nazionali, ma Salvini & Sardine (come anche grillini e zingarettiani, meloniani e renziani) hanno ben altro per la testa: legge elettorale, prescrizione, taglio dei parlamentari. E soprattutto: elezioni regionali in Emilia Romagna, cruciale bivio per i destini delle italiche poltrone. Interrogativi amletici: riusciranno i Conte-boys e resistere un altro anno, per piazzare 500 figurine (suggerite dai soliti sovragestori) negli enti strategici del sottopotere, fino ad arrivare poi alla poltronissima del Quirinale? Viceversa – ohibò – scatterebbe l’ora di Matteo Salvini, l’eroe del glorioso sovranismo italiano ispirato direttamente da Medjugorje. Lui, il titanico artefice del riscatto nazionale, armato di crocefisso e devoto a San Donald, noto patrono dell’indipendenza italiana di cielo, di terra e di mare.Mentre le Sardine prodiane si affannano nelle piazze a insultare l’Uomo Nero sulla base di slogan vuoti e istericamente pericolosi, come la pretesa di togliere all’odiato nemico la libertà di esprimersi sul web, emerge sempre più chiaramente la vera natura dell’altro colossale abbaglio gialloverde, il cosiddetto fronte sovranista (in realtà solo salvinista). E’ vistoso il panico del Pd di fronte alle elezioni emiliane, in una Regione-simbolo che, per la prima volta nella storia, sembra seriamente contesa dal centrodestra. Ma pur di sviare l’attenzione dal vero pericolo – la fine dell’eterno poltronificio “rosso” – il Pd preferisce scendere sullo stesso terreno di Salvini, fingendo cioè di credere che a Bologna sia in gioco chissà cosa, la fine del mondo, il tramonto dell’umanesimo di fronte all’incombere della barbarie. L’Emilia come linea del Piave, come soglia psicologica: se crollasse, però, insieme all’onesto buongoverno dell’uscente Bonaccini finirebbe rottamato soprattutto lo storico radicamento territoriale di un potere che, partendo dalla genuinità campagnola dei tanti industriosi Peppone, una volta insediatosi a Roma (dopo la fine della Prima Repubblica) ha tranquillamente svenduto il paese alla famelica finanza globalista, grazie a condottieri anti-italiani come Prodi. E qualcuno può pensare seriamente che, con il baldo Salvini, la musica sarebbe diversa?
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Koenig: vergogna, Soleimani invitato a Baghdad da Trump
Immagina, il cosiddetto leader mondiale ti invita in un paese straniero per aiutarti a mediare tra diverse fazioni; tu accetti, e quando arrivi all’aeroporto lui ti uccide. Quindi sorride e si vanta, con assoluta soddisfazione, di aver dato l’ordine di uccidere – uccidere con il telecomando, con il drone. Molto peggio dell’omicidio extragiudiziale, perché in quel caso non c’erano mai state accuse contro di te, tranne che per le bugie. È esattamente quello che è successo con l’amato, geniale e carismatico generale iraniano Qassem Soleimani. Ed è quello che i miseri servi di Trump, come il segretario agli esteri Mike Pompeo e il ministro della guerra, Mark Esper, negano spudoratamente: vale a dire che lo avevano invitato, per intermediazione del primo ministro iracheno. Davanti a una conferenza stampa della Casa Bianca, ridendo cinicamente, Pompeo ha chiesto ai giornalisti: credereste a queste sciocchezze? E ovviamente, nessuno dei giornalisti del sistema mediatico mainstream oserebbe dire di sì, anche se ci credessero. Invece ridono convenientemente, per esprimere il loro accordo con l’orribile assassino, in piena complicità con l’uomo che hanno di fronte, per così dire il più alto diplomatico degli Stati barbari.I giornalisti del sistema mainstream media sono troppo codardi per temere di rischiare il lavoro o di perdere l’accesso alla sala stampa della Casa Bianca. Tuttavia, questo è esattamente ciò che il primo ministro iracheno, Adil Abdul-Mahdi, ha detto, incredulo per l’accaduto: «Trump prima mi chiede di mediare con l’Iran, e poi uccide il mio invitato». Abdul-Mahdi ha sicuramente più credibilità di Trump o di uno dei suoi compari, dello stesso Pompeo che, non molto tempo fa, disse a “Rt”: «Quando ero il direttore della Cia, mentivamo, tradivamo, rubavamo. Abbiamo avuto interi corsi di formazione. Ti ricorda la gloria dell’esperimento americano». Il generale Soleimani è stato prelevato all’aeroporto di Baghdad da Abu Mahdi al-Muhandis, comandante militare iracheno e leader delle forze di mobilitazione popolare. Sono partiti con un Suv, quando i missili-drone statunitensi li hanno colpiti e polverizzati, insieme ad altri 10 militari di alto rango di entrambi i paesi. Soleimani aveva l’immunità diplomatica – e gli Stati Uniti lo sapevano. Ma nessuna regola, nessuna legge e nessuno standard etico è rispettato da Washington. Un comportamento molto simile a quello dei barbari.Il generale Soleimani, che era molto più che un generale, era anche un grande diplomatico, fu richiesto dal primo ministro Abdul-Mahdi per conto di Trump di venire a Bagdad per far parte di un processo di mediazione che Trump aveva chiesto a Mahdi di guidare, per allentare le tensioni tra Iran e Arabia Saudita, nonché tra Stati Uniti e Iran. Era uno stratagemma vile e codardo per assassinare Qassem Soleimani. Quanto in profondità puoi affondare? Non ci sono parole per descrivere un crimine così orribile. Pompeo, rotto a ogni menzogna, ha trovato immediatamente una formula di copertura: Soleimani era un terrorista e un pericolo per la sicurezza nazionale Usa. Attenzione, caro lettore: nessun iraniano, né il generale Soleimani né nessun altro, ha mai minacciato gli Stati Uniti, né con le parole, né con le armi. Invece, il capo-barbaro ha avuto l’audacia di minacciare l’Iran di colpire 52 siti del suo patrimonio culturale, nel caso in cui l’Iran avesse osato vendicarsi. Come ulteriore atto immediato contro la legge, Trump ha vietato al ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, di andare alle Nazioni Unite a New York per rivolgersi al Consiglio di Sicurezza, semplicemente rifiutando il visto d’ingresso negli Stati Uniti.Ciò è contrario alla Carta delle Nazioni Unite firmata dagli Stati Uniti nel 1947, in base alla quale ai rappresentanti stranieri deve essere sempre consentito l’accesso al territorio delle Nazioni Unite a New York (lo stesso vale per le Nazioni Unite a Ginevra). E dov’è il signor António Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite, quando ne hai bisogno? Che cosa ha da dire? Nulla, un grande nulla. Non ha nemmeno condannato l’omicidio del generale Soleimani. Ecco cos’è diventato l’Onu: un corpo senza denti e senza valore, pronto a eseguire le disposizioni dell’Impero Barbarico. Che triste eredità. Quand’è che la maggioranza degli Stati membri chiederanno l’espulsione degli Stati Uniti dall’Onu? Ci sono 120 Stati non allineati che si trovano dietro paesi che sono molestati, oppressi e sanzionati dagli Stati Uniti, come Venezuela, Cuba, Iran, Afghanistan, Siria, Corea del Nord. Perché non alzarsi all’unisono e fare dell’Onu – senza più il tiranno barbarico – ciò che la sua carta dice di essere?(Peter Koenig, estratto dal post “L’Occidente è gestito da barbari”, pubblicato su “Global Research” il 13 gennaio 2020. Economista e analista geopolitico, specialista in ecologia e risorse idriche, Koenig ha lavorato per oltre 30 anni con la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale della Sanità in tutto il mondo).Immagina, il cosiddetto leader mondiale ti invita in un paese straniero per aiutarti a mediare tra diverse fazioni; tu accetti, e quando arrivi all’aeroporto lui ti uccide. Quindi sorride e si vanta, con assoluta soddisfazione, di aver dato l’ordine di uccidere – uccidere con il telecomando, con il drone. Molto peggio dell’omicidio extragiudiziale, perché in quel caso non c’erano mai state accuse contro di te, tranne che per le bugie. È esattamente quello che è successo con l’amato, geniale e carismatico generale iraniano Qassem Soleimani. Ed è quello che i miseri servi di Trump, come il segretario agli esteri Mike Pompeo e il ministro della guerra, Mark Esper, negano spudoratamente: vale a dire che lo avevano invitato, per intermediazione del primo ministro iracheno. Davanti a una conferenza stampa della Casa Bianca, ridendo cinicamente, Pompeo ha chiesto ai giornalisti: credereste a queste sciocchezze? E ovviamente, nessuno dei giornalisti del sistema mediatico mainstream oserebbe dire di sì, anche se ci credessero. Invece ridono convenientemente, per esprimere il loro accordo con l’orribile assassino, in piena complicità con l’uomo che hanno di fronte, per così dire il più alto diplomatico degli Stati barbari.
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Iran, la crisi ha un vincitore: la Germania, lontana dagli Usa
La crisi iraniana ha una conseguenza inattesa, almeno da quanti l’hanno creata. Ed è la nuova distanza che si sta palesando tra Germania e Stati Uniti. Non un accadimento improvviso, ma un processo iniziato da tempo, che fa più larghe le sponde dell’Atlantico. Ma prima occorre tornare all’omicidio di Qassem Soleimani, avvenuto in terra irachena, e precisamente all’aeroporto di Baghdad, che ha reso furibondi gli sciiti del paese. Non solo per l’uccisione del generale iraniano da loro venerato, ma anche per quella del vice comandante delle Forze di mobilitazione popolare, Abu Mahdi al-Muhandis. Un atto di guerra contro l’Iraq che si associa a quello perpetrato contro l’Iran per l’assassinio di Soleimani, perché le milizie sciite sono coordinate con l’esercito regolare iracheno, riconosciute quindi a livello statale, dato il loro contributo alla lotta contro l’Isis. Non solo, la strage è stata compiuta sul loro territorio, contro tutte le norme del diritto internazionale. Una duplice azione di guerra, dunque, che ha spinto il Parlamento iracheno a votare per l’espulsione delle forze americane dal paese, delibera diventata esecutiva con la nota del premier Adil Abd al-Mahdi, che ha invitato il Pentagono a definire un percorso per il loro ritiro.Sorprendente, e contro tutte le norme del diritto internazionale, la risposta degli Stati Uniti, che per bocca di Mike Pompeo hanno incredibilmente riaffermato la “partnership” strategica con l’Iraq. Altra dichiarazione di guerra, che rischia di provocarne una vera, peraltro nel paese che gli Usa hanno invaso nel 2003 con false motivazioni (vedi armi di distruzione di massa). Ecco che a questo punto si segnala la decisione della Germania, che per prima ha ritirato le sue truppe dall’Iraq, dando il “la” al ritiro-dispiegamento dei militari inviati dagli altri paesi europei. Decisione secca e irreversibile, a sorpresa. Alla quale segue l’annuncio che la Germania costruirà nuove navi da guerra per 6 miliardi di euro (”Reuters”), cosa che prospetta un paese più assertivo sulla scena internazionale. Nello stesso giorno, la notizia della creazione di un “networking d’élite” per “rafforzare i legami tra Germania e Cina” (”Reuters”), che suona come una ribellione aperta all’approccio aggressivo di Washington nei confronti di Pechino. Tutto questo segnala un distacco dagli Usa, che sta allontanando la Germania dalla tutela americana, che grava su di essa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.Non è cosa di adesso, ma adesso è palese. Un distacco che nasce con Trump e il suo approccio aggressivo al mondo e alla globalizzazione. Il presidente Usa ha più volte ipotizzato e imposto sanzioni contro le industrie tedesche, in particolare quelle automobilistiche (identificate come una “minaccia alla sicurezza nazionale”), e la sua amministrazione ha minacciato sfracelli contro il Nord Stream 2, che porterà il gas russo direttamente in Germania. Una pressione insistente che però non ha spaventato i tedeschi, che nel recente incontro Merkel-Putin hanno ribadito la loro determinazione a portare a termine il contestato gasdotto. Peraltro, in questo incontro, si è delineato il summit di Berlino, che il 19 ospiterà un incontro sulla Libia, alla quale sembrano disposti a partecipare sia Serraj che Haftar, che si contendono il governo del paese, cosa che sottende un interesse anche mediterraneo della Germania. Il fatto che l’annuncio ufficiale di tale vertice sia stato dato subito dopo quello analogo di Mosca (fallito a metà: comunque Putin è riuscito a convocare i due irriducibili duellanti), indica che la collaborazione con la Russia va ben oltre il Nord Stream 2.Berlino va avanti, dunque, nonostante il contrasto americano. E forse la criticità iraniana, che ha rischiato la Terza Guerra Mondiale, spaventando tanti, ha contribuito ad accelerare tale processo. Nel mondo non più globalizzato – la globalizzazione sopravviverà, ma in altra forma – la Germania si sta attrezzando alla corsa in solitaria. Allentati, anche se non rotti, i vincoli che la costringevano nella ristretta sfera occidentale, si sta predisponendo a competere con gli altri Stati-nazione, America compresa, dispiegando una libertà d’azione nuova. Resta da capire come ciò inciderà sull’Unione Europea, ma è prematuro fare analisi prima dell’ormai prossima Brexit, che peraltro potrebbe rilanciare il vecchio e innato antagonismo tra l’insulare Britannia e il continente a trazione teutonica. In attesa degli sviluppi europei, va registrata come novità questa nuova proiezione tedesca, che da gigante economico e nano politico vuole acquisire un peso geopolitico mai rincorso finora. Nuovo e importante tassello verso la de-globalizzazione del mondo.(Davide Malacaria, “La crisi iraniana accelera la corsa in solitaria della Germania”, dall’inserto “Piccole Note” sul “Giornale” del 13 gennaio 2020).La crisi iraniana ha una conseguenza inattesa, almeno da quanti l’hanno creata. Ed è la nuova distanza che si sta palesando tra Germania e Stati Uniti. Non un accadimento improvviso, ma un processo iniziato da tempo, che fa più larghe le sponde dell’Atlantico. Ma prima occorre tornare all’omicidio di Qassem Soleimani, avvenuto in terra irachena, e precisamente all’aeroporto di Baghdad, che ha reso furibondi gli sciiti del paese. Non solo per l’uccisione del generale iraniano da loro venerato, ma anche per quella del vice comandante delle Forze di mobilitazione popolare, Abu Mahdi al-Muhandis. Un atto di guerra contro l’Iraq che si associa a quello perpetrato contro l’Iran per l’assassinio di Soleimani, perché le milizie sciite sono coordinate con l’esercito regolare iracheno, riconosciute quindi a livello statale, dato il loro contributo alla lotta contro l’Isis. Non solo, la strage è stata compiuta sul loro territorio, contro tutte le norme del diritto internazionale. Una duplice azione di guerra, dunque, che ha spinto il Parlamento iracheno a votare per l’espulsione delle forze americane dal paese, delibera diventata esecutiva con la nota del premier Adil Abd al-Mahdi, che ha invitato il Pentagono a definire un percorso per il loro ritiro.
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Carpeoro: Craxi ucciso dai nostri nemici, complici gli italiani
Dove siamo, col cervello, mentre le cose accadono? Perché non riusciamo quasi mai a leggerne il vero segno? Fa impressione, oggi, ascoltare i mea culpa di tanti italiani che, vent’anni dopo la sua morte nella solitudine di Hammamet, rimpiangono in Bettino Craxi il politico puro, lo statista, l’uomo irriducibilmente indipendente dal sistema mainstream, anche a costo di apparire antipatico, altezzoso, insopportabile. E fa ancora più impressione ascoltare un suo antico collaboratore come Gianfranco Carpeoro, spietato con gli storici detrattori di Craxi: «Fino a quando continueranno a dar retta a gente come Travaglio e Scanzi, gli italiani verranno sodomizzati quotidianamente». La durezza di Carpeoro è impietosa: «Quelli che oggi ancora scrivono, mentendo, che Berlusconi fu una sorta di erede politico di Craxi, dimenticano la lite furobonda che li oppose. Insieme ad Andreotti, Craxi costrinse Berlusconi a cedere “l’Espresso” e “Repubblica”. Così poi Berlusconi tradì Craxi, scatenando le sue televisioni nel cavalcare Mani Pulite». L’Italia del benessere stava finendo: «Prodi svendette la Sme a De Benedetti per 600 milioni, e il gruppo fu poi rivenduto per 20 miliardi». Era l’inizio della fine: per “terminare” l’Italia, dopo aver eliminato Moro, bisognava far fuori anche Craxi: «I nemici di Bettino erano gli stessi che avevano tolto di mezzo Moro, per la salvezza del quale proprio Craxi (con Pannella) fu l’unico a battersi».Avvocato per trent’anni, Carpeoro (Pecoraro, all’anagrafe) – massone, simbologo, saggista e romanziere – era cresciuto tra i giovani socialisti calabresi alla corte di Giacomo Mancini. A Milano, aveva seguito Bobo Craxi e ricoperto vari incarichi nel Psi. Poi, tra lui e il leader socialista c’erano stati dissapori, quando a Carlo Tognoli fu preferito Paolo Pilliteri come sindaco milanese: «Il problema, con Bettino, era che non accettava che gli si desse torto, né in pubblico né in privato». Si riconciliariono in piena tempesta Mani Pulite: «Gli scrissi, apprezzò le mie parole. Poi, quando riparò ad Hammamet, andai a trovarlo due volte». Beninteso: «Craxi non è semplicemente morto: è stato ucciso», sottolinea Carpeoro, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. L’accusa: gli fu impedito di essere curato in modo adeguato, in Italia, senza venire arrestato. Era piagato dal diabete, insidiato da un tumore. E Craxi preferì morire, piuttosto che affrontare il carcere. In un suo libro appena uscito, Fabio Martini ricorda: l’allora premier Massimo D’Alema chiese al procuratore Francesco Saverio Borrelli di attivare una procedura umanitaria, in modo che Craxi potesse essere operato a Milano, da uomo libero. Ma Borrelli rifiutò. A quel punto, D’Alema avrebbe potuto emanare un decreto, ma non osò farlo. E Craxi, poco dopo, morì. «In carcere, sarebbe sopravvissuto tre giorni», dice Carpeoro: «E per impedirgli di dire la sua, comunque, gli avevano minacciato i figli».Rivelazioni clamorose, anticipate da Carpeoro nel 2015 durante una conferenza dell’associazione “Salus Bellatrix” di Vittorio Veneto, guidata da Francesca Salvador. «Perché Craxi non si difese a viso aperto, contrattaccando, visto che si sentiva vittima di un complotto? Ci aveva provato, contattando Paolo Mieli, Giovanni Minoli e Giancarlo Santalmassi, cioè il “Corriere” e la televisione. Ma quella sera stessa lo raggiunse un avvertimento anonimo e minaccioso all’hotel Raphael, dove alloggiava a Roma». Messaggio esplicito: attento, se parli colpiremo i tuoi figli. «Nel giro di poche ore lo chiamarono Bobo e Stefania: lui aveva trovato la sua casa messa a soqquadro, mentre a lei avevano anche preso i vestiti dagli armadi e glieli avevano bruciati sul terrazzo». I figli erano spaventati, il padre pure: i responsabili della sicurezza di Craxi gli dissero che si trattava di minacce credibili, pericolose. Al che, continua Carpeoro, Bettino rinunciò alle interviste-bomba e passò al Piano-B: «Chiamò l’allora capo della polizia, Vincenzo Parisi, e lo incaricò di mediare coi giudici di Milano». L’offerta: siate “morbidi”, e io lascerò l’Italia. Detto fatto: «In molti notarono l’anomala mitezza di Di Pietro nell’interrogatorio di Craxi». Era il segnale atteso: Craxi lasciò il paese da uomo libero, come pattuito. «La Tunisia, l’estradizione non l’avrebbe mai concessa. Ma l’Italia non l’ha comunque mai chiesta».Ipocrisie colossali? E non è tutto: «Nell’archivio del tribunale di Milano – aggiunge Carpeoro – c’è una stanza inaccessibile dove sono tuttora tenuti sotto chiave i dossier riguardanti 6 anni di indagini condotte prima che si venisse a sapere di Mani Pulite». Indagini-fantasma? «A quanto pare, condotte con metodi non legali», cioè senza avvertire gli indagati. «Me ne parlò direttamente un magistrato», dichiara Carpeoro. «Riferii subito la cosa a Bettino, ma decise di non fare nulla: sottovalutò il pericolo. Io comunque sono pronto a testimoniare in aula, se si apre un’inchiesta su questo». Si riaprirà? Carpeoro ne dubita: «Troppi poteri forti non vogliono che se ne parli: dovranno passare altri dieci anni, prima che questo capitolo si possa riaprire». Ancora tanti, i protagonisti in circolazione. L’ex giustiziere Di Pietro? «Una figura interamente costruita per affondare l’Italia colpendo Craxi. Ogni giorno era a colazione con il console americano: al punto che, per l’imbarazzo, gli Usa furono costretti a liberarsi di quel diplomatico». Bruciava ancora la notte di Sigonella: quale altro leader europeo aveva mai osato far circondare i marines dalla propria polizia, per proteggere un commando palestinese? Gli americani volevano Abu Abbas, inviato da Arafat per risolvere la crisi della nave da crociera Achille Lauro. Craxi lo difese, in nome della sovranità nazionale, pagando per questo un prezzo altissimo.«Quello che i cialtroni della nostra carta stampata continuano a non dire, e a far finta di non sapere – aggiunge Carpeoro – è che l’unica vittima dei sequestratori della nave, l’anziano paralitico Lion Klinghoffer, non era solo un pensionato ebreo con passaporto statunitense: era anche e soprattutto un alto esponente del B’nai B’rith», l’esclusiva massoneria ebraica che rappresenta il nerbo del Mossad, che in quegli anni si era reso responsabile di azioni sanguinose contro i palestinesi. Era il 1985: l’Italia, quinta potenza industriale del mondo, aveva ancora una politica estera (oltre che un vero governo). Bel problema: andava “risolto”. Aldo Moro era stato “sistemato” come sappiamo, dopo esser stato minacciato di morte da Henry Kissinger. Un anno dopo Sigonella, i killer colpirono Olof Palme a Stoccolma: «Era il leader carismatico dei socialisti europei», ricorda Carpeoro: «Lui vivo, non sarebbero mai riusciti a fare questo aborto di Ue». Per un po’ resistette la Francia, «ma lo stesso Mitterrand fu messo fuori gioco». Restava Craxi, e si sa com’è finita. «Se ti metti contro certi poteri, devi solo sperare di vincere», aggiunge Carpeoro: «Sai già in partenza che, se perdi, poi finisci ad Hammanet. E infine muori, assassinato – di fatto – dai nemici del tuo paese, e con la complicità dei tuoi stessi concittadini, che il potere ha messo contro di te».Carpeoro non fa sconti, agli italiani: si sono lasciati manipolare, come i topolini dal pifferaio di Hameln. Solo oggi, vent’anni dopo, molti di loro aprono gli occhi. «Craxi aveva un progetto ben preciso: voleva un’Europa unita, ma governata dai socialisti». Era stata la dottrina di Olof Palme: «Tagliare le unghie al capitalismo, frenarne gli eccessi». Peccato che il potere, in programma, avesse ben altro: neoliberismo assoluto e “totalitario”, svuotamento della democrazia e sottomissione della politica. Tagli alla spesa, crollo della classe media, rigore fiscale, mortificazione dell’economia reale a favore delle grandi concentrazioni finanziarie. In altre parole, l’attuale Disunione Europea: «Profetiche, in questo senso, le invettive di Craxi da Hammamet di fronte all’avvento dell’euro: ma ormai era un leader screditato in ogni modo, esiliato, latitante». Si era battuto per l’Italia, senza che gli italiani se ne accorgessero. La fine della scala mobile? Per Carpeoro, una concessione tattica al sistema. Il “serpente monetario” Sme? Una vittoria craxiana: uno stratagemma per proteggere la lira dalle speculazioni dei Soros. Dopo di lui, il diluvio: privaizzazioni selvagge, fine dello Stato. Oggi l’Italia è in ginocchio, col cappello in mano a mendicare elemosine a Bruxelles, e senza uno straccio di progetto politico – e men che meno, di statista – in grado di disegnare un futuro diverso.Ha stravinto il peggior potere, il neoliberismo finanziario che ci ha imposto l’austerity come dogma religioso. E l’Italia l’ha messa nel sacco nel solito modo, cooptando italiani “collaborazionisti”. «Siamo un paese così, fin dal Rinascimento: pur di sconfiggere la signoria rivale, ci si allea con gli stranieri». Ben lieti, i baroni dell’ex Pci, di accettare il “vincolo esterno” imposto dall’Ue alla politica italiana: caduta la Prima Repubblica arrivarono finalmente al governo, ma a patto di obbedire agli ordini della sovragestione internazionale. «Craxi fu tolto di mezzo perché, esattamente come Moro, una cosa simile non l’avrebbe mai accettata. Non c’era modo di piegarlo: bisognava eliminarlo». Il suo grande errore? «Si fidava degli italiani: immaginava che prima o poi capissero che lavorava per loro». E invece, gli hanno dato del ladro. Non cambiarono idea neppure il giorno che nessun parlamentare alzò la mano per contestarlo, quando in Parlamento chiese: qualcuno può dire di non aver mai percepito finanziamenti politici illegali? «Si evita sempre di ricordare che, in assenza di una legge adeguata per coprire i costi della politica, la Dc fu finanziata per decenni dagli Usa, e il Pci dall’Urss». Ma il ladro era “Bottino” Craxi, come lo chiama Travaglio, anche se persino Borrelli – prima di morire – si è domandato se Mani Pulite non abbia finito per favorire i grandi poteri che volevano depredare l’Italia.«E’ vero che i soldi servivano a finanziare il partito, ma qualcosa restava attaccato alle dita», dice a Craxi un personaggio del film “Hammamet”. «Di sicuro – replica Carpeoro – le dita non erano quelle di Craxi, che per sé non hai preteso una lira: del suo famoso “tesoro”, solo immaginario, non c’è traccia». Aveva tollerato personaggi discutibili, nel Psi? «Certo, ma era inevitabile: se avesse tagliato anche quelli, avrebbe dimezzato i voti. E il suo grande cruccio è sempre stato quello di non essere riuscito a superare il 15%. Già così, comunque, dava fastidio sia alla Dc che al Pci, che avrebbero preferito fingere in eterno di combattarsi, continuando a spartirsi il potere sottobanco in modo consociativo». Cos’è mancato, a Craxi? Gli italiani: il consenso del paese, nonostante gli enormi successi economici. «E il bello è che la parola “socialismo” riscuoteva generale simpatia». Il maggior merito di Craxi? «Aver sgombrato il campo, una volta per tutte, dalla lotta di classe: l’idea di poter raggiungere un socialismo vero con le riforme, cioè senza la violenza di una rivoluzione». Riforme per il popolo, non contro il popolo (come quelle neoliberiste). E com’è che il potenziale campione diventa un nemico pubblico? Pensiero magico: la fabbricazione dell’Uomo Nero. Carpeoro ne fa una teoria argomentata: si educa la gente a votare “contro”, se si vuole distruggere un paese. Caduto un avversario, eccone un altro. L’importante è non costruire mai niente di buono. Ed eccoci qua, con Salvini e le Sardine, Conte e Di Maio. E l’Italia – o quel che ne resta – divorata in un sol boccone dal pescecane di turno.Dove siamo, col cervello, mentre le cose accadono? Perché non riusciamo quasi mai a leggerne il vero segno? Fa impressione, oggi, ascoltare i mea culpa di tanti italiani che, vent’anni dopo la sua morte nella solitudine di Hammamet, rimpiangono in Bettino Craxi il politico puro, lo statista, l’uomo irriducibilmente indipendente dal sistema mainstream, anche a costo di apparire antipatico, altezzoso, insopportabile. E fa ancora più impressione ascoltare un suo antico collaboratore come Gianfranco Carpeoro, spietato con gli storici detrattori di Craxi: «Fino a quando continueranno a dar retta a gente come Travaglio e Scanzi, gli italiani verranno sodomizzati quotidianamente». La durezza di Carpeoro è impietosa: «Quelli che oggi ancora scrivono, mentendo, che Berlusconi fu una sorta di erede politico di Craxi, dimenticano la lite furobonda che li oppose. Insieme ad Andreotti, Craxi costrinse Berlusconi a cedere “l’Espresso” e “Repubblica”. Così poi Berlusconi tradì Craxi, scatenando le sue televisioni nel cavalcare Mani Pulite». L’Italia del benessere in crescita stava finendo: «Prodi svendette la Sme a De Benedetti per 600 milioni, e il gruppo fu poi rivenduto per 20 miliardi». Era l’inizio della fine: per “terminare” il Belpaese, dopo aver eliminato Moro, bisognava far fuori anche Craxi: «I nemici di Bettino erano gli stessi che avevano tolto di mezzo Moro, per la salvezza del quale proprio Craxi (con Pannella) fu l’unico a battersi».