Archivio del Tag ‘Megachip’
-
Petrolio, dollari e potere: così Gheddafi ha perso la Libia
Buona parte della Libia si è rivoltata contro Gheddafi, cogliendo al volo il vento della Tunisia e quello dell’Egitto, quando il regime del raìs è entrato in crisi: avendo aperto la sua economia al capitalismo globalizzato, Tripoli ha accusato il colpo del crac finanziario mondiale del 2008, vedendo crollare i propri ricavi petroliferi. Ad aggiungere tensione sociale, l’enorme afflusso di lavoratori stranieri – forse due milioni – su una popolazione che raggiunge appena i sei milioni di abitanti. Questo lo scenario di crisi su cui ha avuto mano libera la rivolta, ispirata dalla Cirenaica e appoggiata dai clan tribali: l’occasione giusta per tentare di sbarazzarsi del Colonnello, protagonista di quarant’anni di feroce repressione, come del resto quasi tutti gli altri paesi petroliferi dell’area.
-
Missili su Gheddafi, la guerra in Libia ora divide l’Italia
Diluvio di missili cruise lanciati dalle navi americane insieme a raid aerei, prima francesi e poi anche inglesi, per annientare la capacità aeronautica di Gheddafi e imporre la “no-fly zone” invocata dagli insorti e dalla Lega Araba. L’attacco autorizzato dall’Onu è scattato alle 17.45 del 19 marzo, per fermare il massiccio bombardamento su Bengasi ordinato dal raìs in violazione del cessate il fuoco. Attacco accolto con sollievo dai ribelli e dal mondo arabo, che dall’Egitto alla Tunisia sta aiutando materialmente la popolazione e la resistenza libica contro il dittatore. Ma la “partecipazione attiva” dell’Italia, che schiera una squadra navale, 7 basi operative e decine di caccia pronti al decollo, divide il paese: il ministro Bossi protesta, minacciando di spaccare il governo.
-
Fukushima, lo tsunami smaschera il “nucleare sicuro”
«Terremoto in Giappone, scatta l’allarme nucleare. Evacuate 2000 persone residenti vicino alla centrale di Fukushima. Umberto Veronesi mette a disposizione il suo giardino». La fulminante battuta appare sul sito www.danieleluttazzi.it. Un terremoto terribile come quello giapponese, nel colpire al massimo grado un paese che porta in sé tutte le contraddizioni dello sviluppo più spinto, è un evento che parla a tutte le società e le fa riflettere sul loro futuro. Parla anche a noi in Italia. Il gravissimo incidente nucleare di Fukushima ci racconta ad esempio senza equivoci che la truffa del “nucleare sicuro” è una delle questioni più urgenti da smascherare. Con il referendum ne avremo l’occasione.
-
Ladri di acqua, cibo e petrolio: sta arrivando una catastrofe
Le pallottole ricoperte di zucchero del “libero mercato” stanno uccidendo i nostri figli. L’atto dell’uccidere è orchestrato, con fare distaccato, attraverso il commercio di programmi per il computer nelle Borse Merci di New York e Chicago, dove vengono stabiliti i prezzi mondiali del riso, del frumento e del granturco. Persone di paesi diversi vengono simultaneamente impoverite a causa del meccanismo del mercato mondiale. Una piccola parte di istituzioni finanziarie e società per azioni mondiali ha la capacità di determinare i prezzi degli alimenti base quotati nelle Borse Merci, con ripercussioni dirette sul tenore di vita di milioni di persone in tutto il mondo.
-
Il sud del mondo rivuole quel che gli abbiamo rubato
Rivoluzione democratica del mondo arabo? Per favore, chiamiamo le cose col loro nome: non è che i maghrebini e i mediorientali vogliano “finalmente” anche per sé la “nostra” magnifica democrazia liberale; svegliati da Internet e dalla tv satellitare, che rivela i nostri standard di vita, ora pretendono semplicemente che le loro vaste ricchezze siano resitituite e condivise, sottratte all’indegna custodia di dittature e satrapie che hanno finora sequestrato e derubato interi popoli per spartire il bottino petrolifero tra pochi intimi, a tutto vantaggio del business privilegiato occidentale. Restituzione del maltolto: questa la chiave del terremoto in corso, secondo lo storico Franco Cardini. Terremoto che parte dal Maghreb ma potrebbe coinvolgere l’intera Africa.
-
Dalla Libia il rischio di una nuova guerra planetaria
Parto dalle rivolte arabe per mettere sul tappeto un problema più generale. Per quanto riguarda il mondo arabo ritengo che siamo di fronte a cose molto diverse. In Egitto e Tunisia c’è il tentativo imperialista (Usa) e subimperialista (Ue) di mantenere il controllo della situazione cavalcando e indirizzando le rivolte popolari verso esiti rassicuranti e per certi versi preventivati, ovvero cambi delle guardia indolori, basandosi sui militari. Non è per nulla detto che la cosa funzioni, ma se anche il movimento popolare non dovesse fermarsi qui, si deve dotare di una direzione e di un’organizzazione, altrimenti saranno guai. Non siamo noi a doverlo insegnare a nessuno: qui è la Storia che dà lezioni a tutti.
-
Armi alla Libia: l’Italia è il primo fornitore europeo
Caccia, elicotteri, sistemi missilistici. E’ il made in Italy destinato al regime di Gheddafi: l’Italia non solo è uno dei principali partner commerciali della Libia, ma è il maggiore esportatore europeo di armamenti per il Colonnello. Secondo l’Unione Europea, nel biennio 2008-2009 l’Italia ha autorizzato le proprie aziende all’invio di armamenti alla Libia per oltre 205 milioni di euro, vale a dire più di un terzo di tutte le autorizzazioni rilasciate dall’Ue (quasi 600 milioni di euro). Dopo l’Italia, nella “classifica” degli esportatori di armi verso la Libia figurano la Francia (143 milioni di euro), la piccola Malta (quasi 80 milioni), la Germania (57), il Regno Unito (53) e il Portogallo (21). Anche questo – oltre al timore per i connazionali intrappolati dalla rivolta e per il futuro dei pozzi di petrolio – spiega la lunga prudenza delle diplomazie nella crisi libica.
-
Giovani arabi: rivoluzione Al Jazeera, l’Occidente balbetta
Non è quello del comunismo. E, per ora, non lo si può chiamare “fantasma della democrazia”. E’ una rivolta da fine dell’Impero. E’ uno dei sintomi della crisi globale del pianeta, che progressivamente sta sostituendo, e sostituirà completamente in pochi anni, tutte le agiografie adoranti della globalizzazione imperiale. E’ un figlio di molti fattori, che non possono essere ridotti a uno, come gran parte della stampa occidentale sta scribacchiando in questi giorni. Non è la rivoluzione dei “social network” americani, anche se vi hanno contribuito. Non è la rivoluzione democratica all’occidentale, anche se questo aspetto fa capolino, per esempio in Egitto.
-
Il mondo brucia, l’America vacilla: si prepara una guerra?
Signori, sveglia: nessuno ne parla, ma il pericolo non è mai stato così vicino. Ha un nome antico e, purtroppo, senza tempo: è la guerra, il conflitto planetario, l’incubo che il mondo si ostina a rimuovere dalla propria narrazione quotidiana. Eppure: se la Cina continua a crescere in modo impressionante, e l’Occidente non accenna a voler ridurre i propri smodati consumi, nel giro di pochissimi anni la torta sarà impossibile da spartire. E visto che la potenza militare americana è super-indebitata, il pericolo cresce: qualcuno – i soliti banchieri che governano l’economia mondiale? – potrebbe spingere verso una drastica soluzione finale, ancora una volta militare, per azzerare il debito e conquistare l’accesso alle risorse strategiche.
-
Siamo pecore, non osiamo reagire alla Casta feudale
Il benessere ci ha fatto male: il quattrino, lo status symbol, tutte queste cose si sono generalizzate perché non ci sono più quei valori che io chiamo pre-politici e che non riguardano né questo né quel partito ma riguardano l’uomo in quanto tale. Noi ci siamo tremendamente involgariti su tutti i piani, anche su questo. Cominciò Craxi al processo Cusani quando disse che nessuno poteva dirsi innocente? Questo è il vecchio trucco di “tutti colpevoli, nessun colpevole” con cui Craxi tenta di salvarsi. Ed è senz’altro vero che gruppi finanziari molto forti non erano sottoposti a ricatto, ma non c’era appalto senza tangente politica, e questo riguardava anche piccoli e medi imprenditori che certamente non incutevano timore a nessuno ma erano concussi.
-
Obama, l’Egitto e la dura legge imposta da Israele
Hosni Mubarak è un signore di 82 anni. Le manifestazioni di questi giorni hanno dimostrato, poi, quanto il popolo egiziano lo ama. Facendo queste due semplici considerazioni, ieri sera il presidente degli Stati Uniti ha fatto un discorso in cui ingiunge, con fare piuttosto autoritario, a Hosni Mubarak a fare delle “riforme” e a “dialogare” con il popolo. Questo non vuol dire mandare via Hosni Mubarak dopo 30 anni di fedele servizio; ma è una bella bacchettata a un impiegato che non ha saputo fare il suo mestiere. Così, quando Hosni Mubarak se ne andrà, o in Arabia Saudita o direttamente in Paradiso, la colpa non sarà data agli Stati Uniti.
-
Padrone debole, vassalli morti: l’Impero sta franando
L’Egitto è in fiamme e il regime di Mubarak è alle corde. È la terza rivolta popolare che scuote le rive del Mediterraneo in poche settimane. Tunisia, Albania, Egitto. Più in là Algeri. A prima vista non c’è connessione tra le tre situazioni. A prima vista Berisha, Ben Alì e Mubarak sono tre problemi del tutto sconnessi tra di loro. Ma certe “serie” difficilmente sono del tutto casuali. L’impressione è che una stessa onda – al tempo stesso di inquietudine e di speranza – stia volando sull’intera area. Questa impressione potrebbe avere un’origine non immediatamente visibile, ma unica: stiamo assistendo al manifestarsi di una grande crepa nell’un tempo solida muraglia egemonica dell’Impero.