Archivio del Tag ‘Medio Oriente’
-
Pax petrolifera, Palestina: ora Obama scarica Israele?
Sostegno alle riforme, sfida ai dittatori e partnership economica con Medio Oriente e Nord Africa. E soprattutto: rilancio del negoziato israelo-palestinese. Sono i quattro pilastri della nuova ricetta Obama sui «grandi cambiamenti in atto» grazie alle rivolte arabe. Per la prima volta, un presidente Usa scende in campo personalmente sulla questione più spinosa, la “guerra infinita” tra Israele e Palestina, che ha congelato la regione petrolifera per mezzo secolo. Applausi da Anp ed Europa, mentre il governo Netanyahu rifiuta l’idea di «tornare alle frontiere del 1967» disegnate dall’Onu, e Hamas per ora non si fida dell’America, che giudica «di parte», come in effetti è stata finora. La svolta di Obama però lascia intravedere un cambio d’orizzonte radicale, decisamente spiazzante.
-
Riciclare Al Qaeda per fermare la Primavera Araba
Osama Bin Laden è morto ufficialmente il 1° maggio 2011 perché non poteva compiere, alla svelta, il terzo voltafaccia della sua impetuosa carriera: prima uomo Cia in Afghanistan contro l’Urss, poi leader antiamericano. Ora i suoi sauditi servono nuovamente, come ai vecchi tempi, dalla parte dell’America: in Libia per eliminare Gheddafi e mettere le mani sul petrolio, in Egitto per annullare la rivoluzione democratica di piazza Tahrir e in Siria, per demolire Bashar Assad che non rompe con l’Iran, non fa la pace con Israele e non abbandona i palestinesi al loro destino. L’improvviso accordo tra Hamas e Abu Mazen, che ha spiazzato Tel Aviv? E’ la risposta dei palestinesi contro chi vorrebbe trasformare Assad in un dittatore, dopo aver infiltrato anche l’esercito siriano di cecchini che sparano sulla folla.
-
La Nato si avvicina al “tesoro” di Gheddafi, ormai in fuga
Muhammar Gheddafi in fuga nel deserto? La voce si rincorre con sempre maggiore insistenza dal 1° maggio, quando la Nato bombardò pesantemente la sua residenza-bunker di Tripoli, uccidendo – pare – il figlio Saif al Arab e tre nipoti del Colonnello. Come già nel 1986, quando sfuggì per un soffio alle bombe di Ronald Reagan perché avvisato all’ultimo minuto dai servizi segreti italiani su ordine del premier Bettino Craxi, sembra che anche stavolta Gheddafi sia uscito incolume dall’attentato grazie a sofisticate attrezzature tecnologiche fornite alla Libia da «un’ambasciata straniera», scrive “La Stampa”. Truppe del regime intanto in rotta anche a Misurata: l’Occidente si avvicina così al “tesoro” libico, sterminati giacimenti di greggio e di gas, nonché un’ingente riserva di denaro, miliardi di dollari.
-
Scadeva ora la carta Osama, forse morto prima del 2009
Osama Bin Laden forse era già morto nel 2009, quando Barack Obama – tra lo stupore generale – lo indicò come obiettivo numero uno degli Usa in Afghanistan. A sostenerlo non è un “teorico della cospirazione” ma il generale Fabio Mini, già comandante delle forze Nato in Kosovo. Mentre infuria la polemica per la decisione della Casa Bianca di non divulgare immagini del cadavere, “fatto sparire in mare” dopo il blitz in Pakistan di cui ora l’Onu contesta la legalità, il generale Mini mette a fuoco lo scenario: vero o falso l’ultimo atto della saga di Bin Laden, l’uscita di scena del super-terrorista rilancia Obama, gli permette di archiviare l’Afghanistan e prefigura una svolta mondiale, la fine della “guerra al terrorismo”. Perché proprio adesso? Perché le rivolte arabe dimostrano che Al Qaeda non esiste più, riducendo Bin Laden a «una carta ormai scaduta, o in scadenza».
-
Strage in Siria, Assad nel panico fa sparare sulla protesta
Anche la Siria è in fiamme: almeno 100 morti sono il tragico bilancio della protesta del “venerdì santo”, soffocata dalla feroce repressione scatenata il 22 aprile che ha suscitato le proteste di Usa e Onu. Libertà e democrazia, elezioni, via la censura e la legge marziale che schiaccia il paese da decenni. Risposte: prima promesse vane e ora pallottole, con l’esercito in campo a sparare sulla folla inferocita, nel paese-chiave del Medio Oriente, in bilico fra Turchia e Iran e in attrito permanente con Israele. Il presidente Bashar Assad non sa rispondere alla protesta con validi argomenti e ricorre alla violenza più brutale, prenotando probabilmente il suo suicidio politico, in un autentico bagno di sangue.
-
Se il mondo brucia, vacilla il dogma della crescita infinita
La Lega Araba, dice il falco Edward Luttwak, avrebbe avuto tutti i mezzi militari necessari per intervenire il Libia: invece ha preferito ripararsi dietro la coalizione Nato, lasciando all’Occidente la parte del cattivo. Se non altro, i governi arabi hanno confermato l’appoggio alla risoluzione Onu, con due eccezioni: Siria e Algeria. La Siria è scossa dal vento del Maghreb, la polizia ha sparato sulla folla e ora il presidente Assad tenta una tardiva retromarcia promettendo riforme; l’Algeria è da anni un cratere pronto a riesplodere: la rivolta deflagrata coi primi moti tunisini ed egiziani è stata per ora soffocata della repressione. Il mondo sta letteralmente bruciando, e non solo quello arabo.
-
Dalla Libia il rischio di una nuova guerra planetaria
Parto dalle rivolte arabe per mettere sul tappeto un problema più generale. Per quanto riguarda il mondo arabo ritengo che siamo di fronte a cose molto diverse. In Egitto e Tunisia c’è il tentativo imperialista (Usa) e subimperialista (Ue) di mantenere il controllo della situazione cavalcando e indirizzando le rivolte popolari verso esiti rassicuranti e per certi versi preventivati, ovvero cambi delle guardia indolori, basandosi sui militari. Non è per nulla detto che la cosa funzioni, ma se anche il movimento popolare non dovesse fermarsi qui, si deve dotare di una direzione e di un’organizzazione, altrimenti saranno guai. Non siamo noi a doverlo insegnare a nessuno: qui è la Storia che dà lezioni a tutti.
-
Sangue sulla protesta, la rivolta raggiunge l’Africa di Sankara
Il vento rivoluzionario del Nord Africa e del Medio Oriente ora spira anche sugli altipiani del continente nero, nel “paese dei puri” fondato dal presidente-martire Thomas Sankara, assassinato nella capitale Ouagadougu dopo aver sfidato lo strapotere neo-coloniale dell’Occidente: proprio il Burkina Faso ora è sull’orlo della rivolta, dopo che il regime filo-francese di Blaise Compaoré ha fatto reprimere nel sangue la protesta popolare scatenatasi per l’ennesimo crimine del governo, l’uccisione dello studente Justin Zongo, bastonato a morte dalla polizia. La situazione nel paese africano è ritenuta esplosiva, dopo la feroce ondata di repressione: 7 morti in appena tre giorni.
-
L’inizio della fine: dittature ko, tutti gli autogol dell’Impero
Le rivolte popolari in Tunisia, Egitto, Libia, Algeria, Marocco, Bahrein segnano l’inizio della fine dell’Impero americano, e occidentale, in quelle regioni. Da quando hanno vinto la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti, nonostante tutte le loro belle parole di democrazia, hanno sostenuto i dittatori più infami, corrotti e sanguinari, purché gli facessero comodo, quando non hanno fomentato direttamente dei golpe militari. E questa realpolitik imperialista gli si è sempre ritorta contro o li ha messi in situazioni insostenibili.
-
Lo spettro di Tienanmen: la Cina teme la Rivoluzione araba
La Cina ha paura della “rivoluzione dei gelsomini” che sta spazzando via le dittature post-coloniali del Mediterraneo: Pechino in questi giorni blocca in anticipo proteste, dispone limitazioni al web, impedisce manifestazioni di sostegno ai giovani libici che lottano contro i colpi di coda del sanguinario regime di Gheddafi. La paura ha un nome tristemente noto: Tienanmen. Proprio nella “piazza della pace celeste”, oggi sinistramente evocata dal tiranno libico in agonia, il regime comunista guidato allora dall’anziano Deng Xiaoping ordinò la brutale repressione degli studenti democratici, sgombrati coi carri armati in un bagno di sangue. Una tragedia rimossa, il cui spettro continua però a inquietare il Dragone cinese, ora che nel mondo arabo – forziere petrolifero del mondo – soffia forte il vento della libertà.
-
Giovani arabi: rivoluzione Al Jazeera, l’Occidente balbetta
Non è quello del comunismo. E, per ora, non lo si può chiamare “fantasma della democrazia”. E’ una rivolta da fine dell’Impero. E’ uno dei sintomi della crisi globale del pianeta, che progressivamente sta sostituendo, e sostituirà completamente in pochi anni, tutte le agiografie adoranti della globalizzazione imperiale. E’ un figlio di molti fattori, che non possono essere ridotti a uno, come gran parte della stampa occidentale sta scribacchiando in questi giorni. Non è la rivoluzione dei “social network” americani, anche se vi hanno contribuito. Non è la rivoluzione democratica all’occidentale, anche se questo aspetto fa capolino, per esempio in Egitto.
-
Il mondo brucia, l’America vacilla: si prepara una guerra?
Signori, sveglia: nessuno ne parla, ma il pericolo non è mai stato così vicino. Ha un nome antico e, purtroppo, senza tempo: è la guerra, il conflitto planetario, l’incubo che il mondo si ostina a rimuovere dalla propria narrazione quotidiana. Eppure: se la Cina continua a crescere in modo impressionante, e l’Occidente non accenna a voler ridurre i propri smodati consumi, nel giro di pochissimi anni la torta sarà impossibile da spartire. E visto che la potenza militare americana è super-indebitata, il pericolo cresce: qualcuno – i soliti banchieri che governano l’economia mondiale? – potrebbe spingere verso una drastica soluzione finale, ancora una volta militare, per azzerare il debito e conquistare l’accesso alle risorse strategiche.