Archivio del Tag ‘Medio Oriente’
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Galtung: licenza di uccidere, su ordine del fascista Obama
Barack Obama? Il capo di una «nazione-killer», che – per cercare di rallentare il proprio inesorabile declino imperiale – sperimenta un nuovo «fascismo globale», senza frontiere, fatto di terrorismo di Stato e uccisioni mirate ma molto imprecise, con migliaia di vittime civili. Lo afferma l’insigne sociologo norvegese Johan Galtung. In piena crisi, incalzato dai repubblicani, Obama «si rigioca il trucco retorico progressista che lo ha portato al potere nel 2008», anche se appena due anni dopo «si è svelato il bluff», subito punito dal rovescio elettorale delle votazioni di medio termine. Il pericolo? Si chiama fascismo, dice letteralmente Galtung, che avverte: «Ce n’è una varietà nazionale e una globale». Obama spia gli americani violando la loro privacy. E in più, addestra reparti-killer per eliminare segretamente “nemici” in tutto in mondo, americani e non.
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Bengasi contro Tripoli: la Libia sarà la nuova Somalia
Un’assemblea delle tribù e delle milizie riunita a Bengasi ha dato vita al “Consiglio provvisorio di Barqa”, Cirenaica, chiedendo la piena autonomia della regione da Tripoli. Mustafa Abdel Jalil, presidente del Cnt fino alle prossime elezioni di giugno, ha definito l’iniziativa la «sedizione dell’est» accusando non meglio precisati «paesi arabi» di avere fomentato la «cospirazione». Poi la minaccia: «Devono sapere che gli infiltrati e i fedelissimi dell’ex regime tentano di utilizzarli e noi siamo pronti a dissuaderli, anche con la forza». Replica Hamid Al-Hassi, capo militare della Cirenaica: «Siamo pronti a dare battaglia. Siamo dunque a quel rischio di guerra civile che lo stesso Jalil paventava di fronte all’anarchia delle milizie che spadroneggiano in Libia». La Libia “liberata” dalla Nato sta per diventare la nuova Somalia?
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La guerra di Fabio, a tu per tu con Gheddafi morto
Disertori e civili, giovani e non. Tutti originari di Zawiya e tutti volontari della guerra civile contro Gheddafi, la loro “rivoluzione”. «Vuoi venire con noi? E va bene, ma sappi che rischierai la pelle». Lui lo sa perfettamente: si chiama Fabio, è di Torino, ha in tasca una laurea in ingegneria ma, a trent’anni, ha deciso di gettarsi nella passione della sua vita: la fotografia di guerra, direttamente dal fronte. Per questo è accorso a Bengasi allo scoppio della rivolta, poi ha seguito i combattimenti a Brega e Ras-Lanuf, quindi ha deciso di seguire i suoi compagni di avventura, la squadra di combattenti di Zawiya, fino alla destinazione finale: Tripoli. Dopo la presa della capitale, Fabio si è spinto nella nella “città proibita” di Sirte, santuario blindato del morente regime e teatro della battaglia definitiva. Ed è stato il primo reporter al mondo a realizzare, a Misurata, i primi scatti “fermi” al corpo ormai senza vita di Muhammar Gheddafi.
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Anche l’Italia tra gli sconfitti della guerra contro Gheddafi
Gheddafi voleva una moneta unica africana, sostenuta dai proventi del petrolio, per uno sviluppo autonomo dell’Africa, capace di sganciare il continente nero dal controllo dell’Occidente: scommessa stroncata sul nascere, con la guerra. Un golpe, travestito da rivoluzione: non che i libici fossero felici di subire la spietata dittatura di Gheddafi, ma i leader della “nuova Libia” – tutti quanti: Jalil, Jibril, Younis – erano i più stretti collaboratori del “macellaio di Tripoli”. Qualcuno lo aveva capito fin dall’inizio: mentre le folle di Tunisi e del Cairo avevano assediato i palazzi del potere, il 17 febbraio 2011 erano stati gruppi armati ad attaccare posti di polizia e sedi governative a Bengasi. Operazione celebrata dai media come “lotta di liberazione”, in realtà pianificata da Parigi e Londra con l’appoggio di Washington, e totalmente subita da Roma: Berlusconi quella guerra non la voleva, e nel deserto libico l’Italia ha perso una quota molto rilevante della propria sovranità energetica.
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Frecce Tricolori: piloti uccisi perché tacessero su Ustica?
Ramstein, 29 agosto 1988: collisione in volo tra due aerei delle “frecce tricolori”. Una strage: muoiono tre piloti e 67 spettatori. Forse non è stato un incidente: due dei piloti rimasti uccisi, Ivo Nutarelli e Mario Naldini, pochi giorni dopo avrebbero dovuto testimoniare su un’altra tragedia, quella di Ustica. La fatidica sera del 27 giugno 1980, in cui esplose in volo il Dc-9 Itavia con a bordo quattro membri dell’equipaggio e 77 passeggeri, tra cui 13 bambini, Nutarelli e Naldini erano anch’essi in volo, non lontano dalla rotta del velivolo di linea abbattuto, e avrebbero lanciato via radio un allarme aereo generale. Otto anni dopo, il disastro di Ramstein. E oggi, un dettaglio inquietante: il jet acrobatico di Nutarelli aveva il carrello inspiegabilmente aperto, così come il freno aerodinamico anteriore. I comandi erano stati manomessi?
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Crisi e guerra: contro la Cina, la geopolitica del caos
«È proprio vero il detto che chi non conosce la storia è condannato a ripeterla. Sembra d’assistere ad una riedizione degli eventi post-1929. E vogliamo dirla tutta? Il 1929 sfociò alfine nella Seconda Guerra Mondiale». Parola di Daniele Scalea, condirettore della rivista “Geopolitica”, che lancia uno sguardo ai pesanti rivolgimenti che hanno segnato il 2011: la Cina che cresce, l’Europa che vacilla, gli Usa che destabilizzano le aree-cerniera come l’Africa e il Mediterraneo, senza però un disegno chiaro: è la “geopolitica del caos” che, dalla Libia alla Siria, punta a generare conflitti regionali, per rallentare l’ascesa di Pechino e prendere tempo, in attesa che il petrolio del Medio Oriente diventi sempre meno strategico.
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Attenti, la guerra con l’Iran è già cominciata: in Siria
Misteriosi gruppi armati sparano sulla polizia, che risponde al fuoco e fa i primi morti, subito elevati al rango di “martiri”. E’ l’inizio della “narrazione del genocidio”, modello Libia. In pochi mesi, il governo è isolato dal resto del mondo e costretto a rincorrere l’emergenza. Ma il resto del mondo non sta a guardare: si affretta anzi ad ammassare uomini e mezzi alla frontiera, preparando un “corridoio umanitario” da cui gli “insorti” scateneranno l’offensiva finale. Si scrive Siria, ma si legge Iran: la caduta di Damasco, pianificata a tavolino dagli Usa, provocherà il crollo di Hezbollah in Libano e il totale isolamento di Teheran, vero obiettivo della prossima guerra americana che il presidente Barack Obama sta costruendo giorno per giorno.
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2012, Israele-Iran: la guerra di Obama per oscurare la crisi
Minacce, sanzioni economiche, test missilistici e manovre navali nel Golfo. Il palcoscenico della guerra è sotto gli occhi di tutti, ma quello che conta procede sottotraccia, da Washington a Tel Aviv. Obama ha firmato una legge straordinaria contro il dissenso, che consente la “detenzione a tempo indeterminato” di cittadini americani. E intanto sta trasformando Israele nella base di lancio per l’attacco contro l’Iran. In agenda, le grandiose esercitazioni congiunte della primavera 2012. Usa e Israele insieme, a comando unificato e con quartier generale a Stoccarda, cuore europeo del sistema difensivo americano in Europa. Il pericolo? L’escalation militare. Se voleranno missili contro Teheran, l’Iran reagirà. A quanto pare, è esattamente quello che gli Usa vogliono: una guerra globale, per azzerare i conti della crisi.
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Caduto il Muro, addio Italia: un declino che viene da lontano
L’inizio del declino italiano ha una data esatta ed è il 26 dicembre 1991. Quel giorno si sciolse ufficialmente l’Unione sovietica e finì la guerra fredda. E con la guerra fredda finì anche quella che potremmo chiamare l’eccezione italiana. Perché per 35 anni l’Italia era stata la frontiera geografica e politica dell’impero occidentale. Frontiera geografica (orientale) perché il blocco sovietico cominciava proprio sull’altra riva dell’Adriatico. Frontiera politica perché il Pci era il più forte partito comunista dell’Occidente. Quindi tutto fu messo in opera (e tutto fu consentito) perché l’Italia americana fosse una “success story”. Da qui il miracolo economico, da qui la straordinaria stabilità politica di un regime sostanzialmente monopartitico (i gabinetti cadevano sì uno dopo l’altro, ma a rotazione le poltrone erano occupate sempre dagli stessi).
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“Ribelli” di Bengasi in Siria per la prossima guerra Nato
Sta arrivando una guerra ancora più sporca di quella appena conclusa in Libia per rovesciare Gheddafi col pretesto umanitario. Nuovo obiettivo: Damasco, anticamera di Teheran. “Libia 2.0” uguale Siria? No, peggio: «E’ più “Libia 2.0 remix”», col solito alibi “R2p”, cioè “responsabilità di proteggere”, ovvero «i civili bombardati fino alla democrazia», ma stavolta senza neppure la copertura dell’Onu, perché Russia e Cina opporranno il veto. E mentre anche la Turchia soffia sul fuoco, Hillary Clinton scalda i reattori degli F-16: alla televisione indonesiana ha appena annunciato che in Siria sta per scatenarsi «una guerra civile», ben finanziata e «ben armata» da un’opposizione zeppa di disertori, ma non solo: il nuovo regime di Tripoli ha inviato al confine siriano 600 miliziani, reduci della “rivoluzione” contro Gheddafi.
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La pace fredda del Nord: l’Islanda riconosce la Palestina
Ghiaccio, fuoco e vulcani. Ma anche notizie. La prima, il rifiuto del debito. La seconda: il riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina. La piccola Islanda «è il primo paese europeo a compiere questo passo», ha annunciato il ministro degli esteri islandese Össur Skarphéðinsson, dopo che il Parlamento ha approvato, con 38 voti a favore su 63, una mozione per il riconoscimento della Palestina “come Stato sovrano e indipendente”, entro i confini del 1967. Una decisione storica, che riconosce l’Olp come il rappresentante legittimo dello Stato palestinese: il voto risale al 29 novembre, cioè il giorno in cui nel mondo si celebra la “giornata di solidarietà con il popolo palestinese”.
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La Russia: missili contro l’Europa se Israele minaccia l’Iran
Dopo la vistosa operazione di difesa preventiva della Siria, la Russia rilancia: Mosca è pronta a dislocare sistemi missilistici “Iskander” nell’enclave baltica di Kaliningrad, se la Nato insisterà nel voler dispiegare – stavolta contro l’Iran – lo scudo anti-missile che da anni preme per installare ai confini dell’ex Unione Sovietica. Complice anche la campagna elettorale moscovita, si riaccendono toni da guerra fredda attorno allo scenario sempre più instabile che minaccia il Medio Oriente, dove una potenza nucleare come Israele ha annunciato un possibile attacco a Teheran: la reazione missilistica dell’Iran potrebbe coinvolgere forze Usa nel Golfo o nel Mediterraneo, con conseguenze apocalittiche.