Archivio del Tag ‘medicina’
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Chi riportò l’Afghanistan al medioevo, più di trent’anni fa
«Questa sera, per la prima volta dall’11 Settembre, la nostra missione di guerra in Afghanistan è conclusa». Queste le parole di apertura del discorso di Obama sullo Stato dell’Unione del 2015. In realtà, circa 10.000 soldati e 20.000 appaltatori militari (leggi mercenari) rimangono in Afghanistan con incarichi imprecisati. «La guerra più lunga nella storia americana sta arrivando ad una conclusione responsabile», ha detto Obama. La verità è che più civili sono stati uccisi in Afghanistan nel 2014 che in qualsiasi anno da quando l’Onu tiene il conto. La maggior parte delle uccisioni – sia civili che militari – sono avvenute durante la presidenza di Obama. La tragedia dell’Afghanistan fa a gara con il crimine epico perpetrato in Indocina. Nel suo elogiato e più volte citato libro “La grande scacchiera: il primato americano e i suoi imperativi geostrategici”, Zbigniew Brzezinski, il padrino delle politiche americane dall’Afghanistan ad oggi, scrive che se l’obiettivo dell’America è quello di controllare l’Eurasia e di dominare il mondo, non può reggere una democrazia popolare, perché «la ricerca del potere non è un obiettivo che richiede passione popolare, la democrazia è nemica dell’impegno imperiale». Ha ragione.Come hanno rivelato “Wikileaks” e Edward Snowden, uno Stato di polizia e di controllo sta infatti soppiantando la democrazia. Nel 1976, Brzezinski, allora consigliere della sicurezza nazionale della presidenza Carter, ha dimostrato il suo punto di vista comminando un colpo mortale alla prima e unica democrazia dell’Afghanistan. Ma chi la conosce questa storia fondamentale? Nel 1960, una rivoluzione popolare dilagò in Afghanistan, il paese più povero della terra, riuscendo alla lunga nell’intento di rovesciare le vestigia del regime aristocratico nel 1978. Il Pdpa, Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan, formò un governo e compilò un programma di riforme che prevedeva l’abolizione del feudalesimo, la libertà per tutte le religioni, la parità di diritti per le donne e giustizia sociale per le minoranze etniche. Più di 13.000 prigionieri politici furono liberati e gli archivi di polizia pubblicamente bruciati. Il nuovo governo introdusse cure mediche gratuite per i più poveri; la condizione di bracciante fu abolita, un programma di alfabetizzazione di massa fu varato. I progressi che ci furono per le donne erano fino ad allora impensabili.Verso la fine del 1980, la metà degli studenti universitari erano donne, e le donne rappresentavano quasi la metà dei medici in Afghanistan, un terzo dei dipendenti pubblici e la maggior parte degli insegnanti. «Ogni ragazza», ricorda Saira Noorani, chirurga, «poteva andare a scuola e all’università. Potevamo andare dove volevamo e indossare quello che ci piaceva. Di venerdì andavamo al bar o al cinema a vedere l’ultimo film indiano e ascoltavamo la musica più in voga. Tutto cominciò ad andare storto quando i mujahedin iniziarono ad imporsi. Uccidevano gli insegnanti e bruciavano le scuole. Eravamo terrorizzati. Era strano e triste pensare che queste persone erano spalleggiate dall’Occidente». Il Pdpa al governo era sostenuto dall’Unione Sovietica, anche se, come l’ex segretario di Stato Usa, Cyrus Vance, ammise poi, non vi era alcuna prova di complicità sovietica [nella rivoluzione]». Preoccupato dalla crescente fiducia dei movimenti di liberazione in tutto il mondo, Brzezinski decise che, se l’Afghanistan avesse trionfato con il Pdpa, la sua indipendenza e il suo progresso avrebbero posto «la minaccia di un esempio promettente».Il 3 luglio 1979, la Casa Bianca segretamente autorizzò lo stanziamento di 500 milioni di dollari in armi e logistica per sostenere gruppi tribali “fondamentalisti”, conosciuti come i mujahedin. L’obiettivo era quello di rovesciare il primo governo laico e riformista dell’Afghanistan. Nel mese di agosto del 1979 l’ambasciata americana a Kabul segnalò che «gli interessi degli Stati Uniti sarebbero stati asserviti meglio [dalla scomparsa del Pdpa] malgrado ciò che questo avrebbe significato per le future riforme sociali ed economiche dell’Afghanistan». I mujaheddin furono i precursori di Al-Qaeda e dello Stato Islamico. Tra questi c’era Gulbuddin Hekmatyar, che ricevette decine di milioni di dollari in contanti dalla Cia. Le specialità di Hekmatyar erano il traffico di oppio e gettare acido in faccia alle donne che si rifiutavano di indossare il velo. Fu invitato a Londra e decantato dal primo ministro, Margaret Thatcher, come «combattente per la libertà». Forse questi fanatici sarebbero rimasti nel loro mondo tribale se Brzezinski non avesse promosso un movimento internazionale per favorire il fondamentalismo islamico in Asia centrale, così minando una politica laica di liberazione e “destabilizzando” l’Unione Sovietica, per creare, come scrisse poi nella sua autobiografia, «un po’ di musulmani esagitati».Il suo grande piano coincise con le ambizioni del dittatore pakistano, il generale Zia ul-Haq, per il dominio della regione. Nel 1986, la Cia e l’Isi, l’agenzia di intelligence del Pakistan, iniziarono a reclutare persone da tutto il mondo per promuovere la jihad afghana. Il multi-miliardario saudita Osama Bin Laden era tra questi. Agenti che un domani si sarebbero uniti ai Talebani e ad Al-Qaeda furono reclutati in un college islamico di Brooklyn, New York, e a loro fu impartita una formazione paramilitare in una zona di proprietà della Cia in Virginia. Questa fu chiamata “Operazione Ciclone” e il suo successo culminò nel 1996, quando l’ultimo presidente del Pdpa afghano, Mohammed Najibullah – che si era recato al cospetto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per implorare aiuto – fu impiccato a un lampione dai Talebani. Il risultato dell’Operazione Ciclone e dei suoi “pochi musulmani esagitati” fu l’11 settembre 2001. L’“Operazione Ciclone” divenne la “guerra al terrore”, in cui innumerevoli uomini, donne e bambini avrebbero perso la vita in tutto il mondo musulmano, dall’Afghanistan all’Iraq, allo Yemen, alla Somalia e alla Siria. Il messaggio dei cosiddetti tutori dell’ordine era e rimane: “O sei con noi o contro di noi”.(John Pilger, estratto da “Perché l’avanzata del fascismo è nuovamente il problema”, post scritto il 26 febbraio sul proprio blog e ripreso il 3 marzo 2015 da “Come Don Chisciotte”).«Questa sera, per la prima volta dall’11 Settembre, la nostra missione di guerra in Afghanistan è conclusa». Queste le parole di apertura del discorso di Obama sullo Stato dell’Unione del 2015. In realtà, circa 10.000 soldati e 20.000 appaltatori militari (leggi mercenari) rimangono in Afghanistan con incarichi imprecisati. «La guerra più lunga nella storia americana sta arrivando ad una conclusione responsabile», ha detto Obama. La verità è che più civili sono stati uccisi in Afghanistan nel 2014 che in qualsiasi anno da quando l’Onu tiene il conto. La maggior parte delle uccisioni – sia civili che militari – sono avvenute durante la presidenza di Obama. La tragedia dell’Afghanistan fa a gara con il crimine epico perpetrato in Indocina. Nel suo elogiato e più volte citato libro “La grande scacchiera: il primato americano e i suoi imperativi geostrategici”, Zbigniew Brzezinski, il padrino delle politiche americane dall’Afghanistan ad oggi, scrive che se l’obiettivo dell’America è quello di controllare l’Eurasia e di dominare il mondo, non può reggere una democrazia popolare, perché «la ricerca del potere non è un obiettivo che richiede passione popolare, la democrazia è nemica dell’impegno imperiale». Ha ragione.
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Contro l’arte del brutto, schiava del sistema delle merci
Cos’è che consente di accrescere la produzione annua di merci e, di conseguenza, incrementa i consumi di risorse naturali e di energia, le emissioni inquinanti, le emissioni climalteranti e i rifiuti? Le innovazioni tecnologiche finalizzate ad accrescere la produttività. I macchinari innovativi che in un dato intervallo di tempo consentono di produrre sempre di più, riducendo l’incidenza del lavoro umano sul valore aggiunto. Cos’è che riduce progressivamente gli intervalli di tempo in cui le risorse naturali transitano nello stato di merci prima di diventare rifiuti? Le innovazioni tecnologiche ed estetiche finalizzate a rendere obsoleti i prodotti in commercio, al fine di accelerare i processi di sostituzione.Cos’è che induce a progettare in continuazione prodotti tecnologicamente ed esteticamente innovativi, al fine di rendere obsoleti e trasformare in rifiuti in tempi sempre più brevi i prodotti in commercio? La necessità di tenere alta la domanda di merci, in modo da assorbire l’offerta crescente di merci attivata dalle innovazioni tecnologiche che accrescono la produttività. Le innovazioni di processo e di prodotto costituiscono la fisiologia dei sistemi economici finalizzati alla crescita della produzione di merci.Senza innovazioni di processo non potrebbe aumentare l’offerta di merci. Senza innovazioni di prodotto non potrebbe aumentare la domanda di merci. Le innovazioni di processo e di prodotto stanno esaurendo gli stock delle risorse non rinnovabili, hanno fatto crescere il consumo di risorse rinnovabili fino a superare le loro capacità di rigenerazione annua, sono la causa di fondo dell’effetto serra, stanno svuotando gli oceani di molte specie ittiche e li stanno riempiendo di ammassi di rifiuti di plastica grandi come continenti, hanno saturato la biosfera di sostanze tossiche, distrutto in pochi anni la bellezza di paesaggi lentamente antropizzati nel corso di secoli, ridotto la biodiversità e mineralizzato i terreni agricoli, esteso la fame nel mondo e causato le guerre sempre più atroci che da più di un secolo lo insanguinano. Le innovazioni finalizzate alla crescita della produzione e del consumo di merci stanno minacciando la sopravvivenza stessa dell’umanità. Poiché hanno bisogno delle innovazioni, i sistemi economici e produttivi finalizzati alla crescita della produzione di merci hanno anche bisogno di valorizzare culturalmente l’innovazione in quanto tale. La pietra angolare della cultura su cui modellano l’immaginario collettivo è l’identificazione tra i concetti di innovazione e di miglioramento.Nel loro paradigma culturale ogni innovazione è un miglioramento, senza innovazioni non ci sono miglioramenti; la storia è un costante progresso verso il meglio, le tappe di questo progresso sono scandite dalla successione delle innovazioni e la sua velocità dalla velocità con cui le innovazioni successive sostituiscono le precedenti. La valorizzazione culturale dell’innovazione in sé induce a immaginare il futuro come uno scrigno di inesauribili potenzialità di miglioramento su cui concentrare tutta l’attenzione, a pensare il passato come un deposito di materiali definitivamente inutilizzabili da dimenticare al più presto, a guardare sempre in avanti, come i marinai di vedetta in cima all’albero maestro dei galeoni, per riuscire a vedere prima degli altri le novità che si delineano all’orizzonte, a non girare mai indietro la testa perché se ci si attarda a osservare ciò che è stato non solo non si ricava niente di utile, ma si rischia di perdere posizioni nella corsa verso il nuovo e si finisce per fare la fine di Orfeo che, per essersi girato a vedere se Euridice continuava a seguirlo nella difficile anabasi dall’al di là, la perse definitivamente.Nella valorizzazione culturale dell’innovazione, all’arte è stato assegnato il compito di esplorare i confini più avanzati della modernità, cioè di rincorrere senza sosta il nuovo che, come l’orizzonte, si allontana passo dopo passo da chi cerca di avvicinarlo, perché c’è sempre un più nuovo in agguato del nuovo, un più nuovo che al suo apparire trasforma il nuovo in vecchio, in attesa di essere trasformato anch’esso in vecchio dal più nuovo che scalpita alle sue spalle. Nei sistemi economici finalizzati alla crescita della produzione di merci, l’arte, in tutte le forme in cui si manifesta (pittura, scultura, musica, poesia, architettura), è stata scacciata di forza dalla sua dimensione universale ed eterna e ha finito per trovarsi rinchiusa nella dimensione dell’effimero. Le è stato imposto di essere innovativa per essere sempre contemporanea, di sganciare il nuovo dall’abbraccio troppo stretto con le funzioni economiche e produttive a cui risponde nei sistemi economici finalizzati alla crescita, di cancellare dall’immaginario collettivo la percezione del suo ruolo distruttivo e di accompagnarlo in quella dimensione spirituale, non invischiata nelle miserie quotidiane della vita, in cui nel corso della storia gli esseri umani si sono abituati a collocare le manifestazioni artistiche.Per risvegliare l’umanità da questo incantesimo che la sta perdendo, occorre liberare la cultura dal vincolo della valorizzazione dell’innovazione, che le è stato imposto dal sistema economico e produttivo finalizzato alla crescita della produzione di merci. Accanto e in sintonia con chi si propone di liberare le attività economiche e produttive dal vincolo delle innovazioni finalizzate alla crescita, noi ci proponiamo di liberare tutte le forme dell’espressione artistica dal vincolo di valorizzare culturalmente l’innovazione, che ha dato un contributo essenziale alla formazione di un immaginario collettivo che considera un progresso la riduzione del lavoro a un “fare per fare sempre di più”. Per riportarlo alla sua essenza di “fare bene” finalizzato alla contemplazione di ciò che si è fatto, occorre ridefinire un sistema di valori in cui la bellezza torni ad essere più importante del profitto: perché, come si può contemplare ciò che si è fatto se non ha aggiunto bellezza alla bellezza originaria del mondo?Per trasformare dalle fondamenta il paradigma culturale oggi dominante, è necessario ricostruire un immaginario collettivo capace non solo di smascherare, irridendoli senza soggezione, i quattro trucchi da imbonitore con cui l’arte contemporanea persegue la valorizzazione culturale dell’innovazione, ma anche di riconoscere il segno dell’arte che penetra sino alle corde profonde dell’animo umano, vincendo i limiti dello spazio e del tempo; creando, come ha sempre fatto prima di essere irretita nella tela della modernità, un collegamento ininterrotto tra le generazioni. Perché l’arte, come ha scritto Egon Schiele sul muro della prigione in cui era rinchiuso, non è moderna. L’arte è eterna.(Manifesto “Per un rinascimento possibile”, sottoscritto da Gabriella Arduino, architetto e pittore; Vincent Cheynet, caporedattore de “La Décroissance”; Pier Paolo Dal Monte, medico e filosofo; Massimo De Maio, grafico ed ecologista; Filippo Laporta, saggista e critico letterario; Giordano Mancini, maestro d’arte, green manager; Maurizio Pallante, saggista; Alessandro Pertosa, ricercatore in filosofia; Mario Pisani, architetto; Paolo Portoghesi, architetto; Giannozzo Pucci, editore; Bruno Ricca, editore; Lucilio Santoni, scrittore; Filippo Schillaci, saggista).Sui temi enunciati dal “manifesto”, i firmatari – impegnati anche sul sito www.artedecrescita.it, promuovono un seminario a Firenze il 29, 30 e 31 maggio 2015 presso il monastero delle suore benedettine di Santa Marta, tel. 055.489089, pensione completa 45-65 euro al giorno, 60 posti disponibili. E’ possibile contribuire ai lavori anche inviando testi e materiali sul tema, entro il 31 marzo. Invio materiali e prenotazioni per il seminario: Maurizio Pallante, maur.pallante@gmail.com, Alessandro Pertosa, a.pertosa@libero.it, Vincent Cheynet, vincent.cheynet@casseursdepub.org).Cos’è che consente di accrescere la produzione annua di merci e, di conseguenza, incrementa i consumi di risorse naturali e di energia, le emissioni inquinanti, le emissioni climalteranti e i rifiuti? Le innovazioni tecnologiche finalizzate ad accrescere la produttività. I macchinari innovativi che in un dato intervallo di tempo consentono di produrre sempre di più, riducendo l’incidenza del lavoro umano sul valore aggiunto. Cos’è che riduce progressivamente gli intervalli di tempo in cui le risorse naturali transitano nello stato di merci prima di diventare rifiuti? Le innovazioni tecnologiche ed estetiche finalizzate a rendere obsoleti i prodotti in commercio, al fine di accelerare i processi di sostituzione. Cos’è che induce a progettare in continuazione prodotti tecnologicamente ed esteticamente innovativi, al fine di rendere obsoleti e trasformare in rifiuti in tempi sempre più brevi i prodotti in commercio? La necessità di tenere alta la domanda di merci, in modo da assorbire l’offerta crescente di merci attivata dalle innovazioni tecnologiche che accrescono la produttività. Le innovazioni di processo e di prodotto costituiscono la fisiologia dei sistemi economici finalizzati alla crescita della produzione di merci.
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Sapete cos’è accaduto alla bambina di questa fotografia?
L’8 giugno 1972 un aereo ha bombardato il villaggio di Trang Bang nel Vietnam del Sud, dopo che il pilota scambiò un gruppo di civili per delle truppe nemiche. Le bombe contenevano napalm, un combustibile altamente infiammabile che uccise e ustionò gravemente le persone a terra. La famosa immagine iconica in bianco e nero di quella vicenda, che rappresenta dei bambini in fuga dal villaggio in fiamme, ha vinto il Premio Pulitzer ed è stata scelta al “World Press Photo of the Year” nel 1972. E’ divenuta il simbolo degli orrori della guerra del Vietnam, della crudeltà di tutte le guerre per i bambini e le vittime civili. La protagonista della foto è una bambina di nove anni che corre nuda per la strada, disperata, dopo che i suoi vestiti hanno preso fuoco. Lei si chiama Kim Phuc Phan Thi e in quel momento stava partecipando con la sua famiglia ad una celebrazione religiosa presso una pagoda.
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Eurispes: disastro Italia, uno su due non arriva a fine mese
Italiani sempre più poveri, euroscettici e sfiduciati per il futuro. Il popolo italiano arranca sempre più: lo confermano gli ultimi dati ufficiali. Quasi metà degli italiani non riesce ad arrivare alla fine del mese, sette italiani su dieci hanno visto ridursi il potere d’acquisto e tagliano su tutto, dai regali ai viaggi. Quasi un italiano su due accetta ormai l’idea di trasferirsi all’estero, e quattro connazionali su dieci uscirebbero dall’euro. Il rapporto Eurispes sul 2015 mostra un “mal d’Italia” ancora grave e fortemente diffuso, effetto di una crisi economica e finanziaria che morde ormai da molti anni. «Lo Stivale purtroppo continua a essere zavorrato e il tanto atteso decollo dell’economia e degli occupati cozza contro un muro di scetticismo», scrive il blog “Fronte di Liberazione dai Banchieri”. E mentre la crisi pesa, spiega il presidente di Eurispes, Gian Maria Fara, «lo Stato sopravvive nutrendosi dei propri cittadini e delle proprie imprese, cioè della società che lo esprime. Con evidente miopia: che cosa accadrà quando non ci sarà più nulla di cui nutrirsi?».«Mentre l’economia va a rotoli e la società vive un pericoloso processo di disarticolazione – aggiunge Fara – assistiamo al trionfo di un apparato burocratico onnipotente e pervasivo, in grado di controllare ogni momento e ogni passaggio della nostra vita». Da qui l’allontanamento dalle istituzioni dei cittadini italiani, che prosegue “indisturbato” da anni. Colpa anche della burocrazia, attacca Fara: «Con l’incredibile incremento della produzione legislativa necessaria a regolare la nuova complessità sociale ed economica, la burocrazia da esecutore si è trasformata prima in attore, poi in protagonista, poi ancora in casta e, infine, in vero e proprio potere al pari, se non al di sopra, di quello politico, economico, giudiziario, legislativo, esecutivo, dell’informazione». La cartella clinica del “paziente Italia” è «piena zeppa di diagnosi gravi», avverte l’Eurispes. La principale continua a essere la disoccupazione, che indirettamente ha rafforzato il plotone degli euroscettici, intaccando inevitabilmente anche la credibilità della politica.Il 47% degli italiani non riesce ad arrivare a fine mese con le proprie entrate. La percentuale è aumentata di 16,4 punti rispetto al 2014. Solo il 44,2% degli intervistati riesce a raggiungere fine mese senza grandi difficoltà. Registra ancora un calo il potere d’acquisto degli italiani. L’indagine Eurispes rileva che sette italiani su dieci (71,5%) hanno visto nell’ultimo anno diminuire nettamente o in parte il proprio potere d’acquisto, un dato in linea con quanto rilevato nel 2014 (70%). Dall’inchiesta emerge che l’82,1% dei cittadini ha ridotto le risorse per i regali, l’80,8% ha rinunciato ai pasti fuori casa, il 74,7% ha tagliato le spese per viaggi e vacanze, l’80,1% ha ridotto quelle per articoli tecnologici (+8,5%). Aumentano, ad esempio, le rateizzazioni per far fronte alle spese mediche: nel 2014 il 46,7% degli intervistati ricorre alle rate per pagare cure mediche, si tratta di un incremento di 24,3 punti percentuali rispetto al 2013. Si pagano a rate anche automobili (62,4%), elettrodomestici (60,4%), computer e telefonini (50,3%). Cresce il fenomeno dell’usura: sarebbero 40.000 gli usurai in attività, soprattutto nel Nord Italia. Vittime soprattutto i commercianti, ma non solo.Quattro italiani su dieci (40,1%) pensano che sarebbe meglio uscire dall’euro: il rapporto Eurispes 2015 segnala che a inizio 2014 la quota di delusi dalla moneta unica si attestava al 25,7%. Il 55,5% degli euroscettici è convinto che l’Italia debba uscire dall’euro perché sarebbe la moneta unica il motivo principale dell’indebolimento della nostra economia. Inoltre, per il 22,7% l’euro avrebbe avvantaggiato soltanto i paesi più ricchi. I meno convinti sulla moneta unica sono soprattutto i lavoratori atipici (47,5%), vale a dire, segnala l’Eurispes, «quelle categorie più indebolite dalla crisi economica e dall’instabilità del mercato del lavoro». Gli occupati con contratto a tempo determinato si dividono invece in due fasce quantitativamente simili, con un 47,4% di favorevoli e un 42,1% di contrari. E’ in crescita il numero di chi non si sente in grado di dare garanzie alla propria famiglia con il proprio lavoro (64,7%). Per l’ Eurispes, il 28% di chi lavora deve ricorrere all’aiuto di genitori e parenti.Inoltre, secondo l’indagine, riuscire a risparmiare qualcosa in futuro è un miraggio per 8 italiani su 10: per il 38,5% la risposta è “certamente no”, per il 41,2% “probabilmente no”. Oltre la metà dei lavoratori (57,7%) non è per nulla ottimista sulle possibilità che la propria situazione lavorativa permetta di fare progetti per il futuro. Inoltre, il 57% dice di non riuscire a fronteggiare spese importanti, anche qui tuttavia si registra un lieve miglioramento rispetto al precedente 66,1% del 2014. Quasi la metà degli italiani (il 45,4%) si trasferirebbe all’estero se ci fossero le condizioni. La percentuale, soprattutto a causa della crisi economica e delle difficoltà per chi cerca lavoro in Italia, è cresciuta di quasi otto punti dal 2006. «I dati appaiono come una conferma del fatto che oggi le condizioni di vita nel nostro paese sono più difficili che in passato per molti cittadini, al punto da indurre una parte di loro a valutare l’opportunità di trasferirsi».Italiani sempre più poveri, euroscettici e sfiduciati per il futuro. Il popolo italiano arranca sempre più: lo confermano gli ultimi dati ufficiali. Quasi metà degli italiani non riesce ad arrivare alla fine del mese, sette italiani su dieci hanno visto ridursi il potere d’acquisto e tagliano su tutto, dai regali ai viaggi. Quasi un italiano su due accetta ormai l’idea di trasferirsi all’estero, e quattro connazionali su dieci uscirebbero dall’euro. Il rapporto Eurispes sul 2015 mostra un “mal d’Italia” ancora grave e fortemente diffuso, effetto di una crisi economica e finanziaria che morde ormai da molti anni. «Lo Stivale purtroppo continua a essere zavorrato e il tanto atteso decollo dell’economia e degli occupati cozza contro un muro di scetticismo», scrive il blog “Fronte di Liberazione dai Banchieri”. E mentre la crisi pesa, spiega il presidente di Eurispes, Gian Maria Fara, «lo Stato sopravvive nutrendosi dei propri cittadini e delle proprie imprese, cioè della società che lo esprime. Con evidente miopia: che cosa accadrà quando non ci sarà più nulla di cui nutrirsi?».
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Ministro della sanità: chi non può pagarsi le cure va ucciso
I poveri? Crepino pure: curarli costa troppo. Ci vorrebbe l’eutanasia, per sopprimere chi non può permettersi cure sanitarie private. La frase non è di Hilter, ma della ministra lituana della salute, Rimante Salaseviciute, secondo cui il denaro ovviamente conta molto più della vita umana. Se i paesi baltici si segnalano periodicamente per gaffe imbarazzanti – come l’arresto di Giulietto Chiesa in Estonia solo per impedirgli di esprimersi sulla relazione tra Europa e Russia – l’uscita della Salaseviciute è perfettamente consonante con il trattamento che la Germania, tramite la Troika Ue, ha imposto ai bambini greci, lasciati senza cibo sufficiente e senza assistenza medica. Tragedie che in Italia diventano commedia, come lo spettacolo della gente che si rovescia in testa secchiate d’acqua, ufficialmente per aiutare la raccolta fondi contro la Sla. Scena che dovrebbe «suscitare pena e indignazione», protesta il blog “Il Simplicissimus”, visto che era una trovata «sostanzialmente per fare i fresconi e richiamare servizi televisivi». Tanto più che «dopo le secchiate, compresa quella di Renzi irresistibilmente attratto dalle stupidaggini come l’ago della bussola lo è dal nord, non arrivano soldi o ne arrivano pochini: in tutto l’Occidente finora non si è raccolto nemmeno ciò che serve a comprare un F-35».Alla fine, continua il blog, si arriva a constatare che la ricerca su una malattia considerata rara non è sostenuta dai fondi pubblici, «il cui unico scopo è risparmiare per far contenta la finanza», quella tedesca, che impone all’Unione Europea la tortura della disciplina di bilancio, a sua volta prodotta dalla colossale mistificazione dell’euro, la non-moneta che gli Stati non possono utilizzare per le loro necessità. E addio solidarietà sociale, compreso il diritto alla salute: ormai anch’esso in via di estinzione, «nell’evanescente e terribile Europa delle banche». Mostruosa, dunque, ma anche drammaticamente corente con il clima di questi anni, la sortita della lituana Salaseviciute, «personaggio tra i più progressisti della piccola repubblica baltica sulla quale sventola la bandiera delle 12 stelle». Dichiarazione rilasciata alla radio nazionale: «L’eutanasia è una buona soluzione per gli strati deboli della società, per i poveri che non hanno i mezzi per pagare le cure sanitarie». Per la ministra, inoltre, è impensabile che la Lituania sviluppi uno stato sociale dove la sanità e le cure siano accessibili a tutti.«Evidentemente – scrive “Il Simplicissimus” – gli accorati appelli della Lagarde sull’allarmante aumento dell’età media e sulla incredibile tracotanza dei ceti popolari che pretenderebbero di usufruire dei progressi delle conoscenze mediche, fanno scuola». Vengono i brividi, aggiunge il blog, pensando che la Salaseviciute è stata promossa ministro della sanità per sostituire il compagno di partito e di governo Vytenis Andriukaitis, chiamato a far parte della nuova Commissione Europea guidata dall’impresentabile Jean-Claude Juncker, da più di trent’anni al servizio di multinazionali, élite finanziaria, servizi segreti e grandi evasori mondiali. Si comincia con le secchiate d’acqua in testa e poi si arriva alle pratiche di sterminio sociale auspicate in Lituania? «Sono due facce della stessa medaglia», se cominci a tagliare deficit e posti letto negli ospedali. Morale: il pubblico non deve più garantire l’accesso alla sanità di tutti i cittadini. «Buffoni e canaglie – conclude “Il Simplicissius” – compaiono sullo stesso piano ideologico come le figure speculari su una carta da gioco: quella del baro che ci sta portando via la posta accumulata in tanti anni di lotte e di speranze».I poveri? Crepino pure: curarli costa troppo. Ci vorrebbe l’eutanasia, per sopprimere chi non può permettersi cure sanitarie private. La frase non è di Hilter, ma della ministra lituana della salute, Rimante Salaseviciute, secondo cui il denaro ovviamente conta molto più della vita umana. Se i paesi baltici si segnalano periodicamente per gaffe imbarazzanti – come l’arresto di Giulietto Chiesa in Estonia solo per impedirgli di esprimersi sulla relazione tra Europa e Russia – l’uscita della Salaseviciute è perfettamente consonante con il trattamento che la Germania, tramite la Troika Ue, ha imposto ai bambini greci, lasciati senza cibo sufficiente e senza assistenza medica. Tragedie che in Italia diventano commedia, come lo spettacolo della gente che si rovescia in testa secchiate d’acqua, ufficialmente per aiutare la raccolta fondi contro la Sla. Scena che dovrebbe «suscitare pena e indignazione», protesta il blog “Il Simplicissimus”, visto che era una trovata «sostanzialmente per fare i fresconi e richiamare servizi televisivi». Tanto più che «dopo le secchiate, compresa quella di Renzi irresistibilmente attratto dalle stupidaggini come l’ago della bussola lo è dal nord, non arrivano soldi o ne arrivano pochini: in tutto l’Occidente finora non si è raccolto nemmeno ciò che serve a comprare un F-35».
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La crisi del sapere umanistico: non leggiamo più il mondo
La crisi del sapere umanistico è ormai conclamata: negli Usa 54 membri dell’“American Academy of Arts and Sciences” hanno denunciano il rischio della rapida scomparsa delle materie umanistiche dalle università americane; in Inghilterra la storia è stata esclusa da quasi tutti i corsi di studio; la geografia è quasi scomparsa dai corsi di insegnamento di metà Europa e resiste qua e là solo come geografia economica; gli studenti disertano i corsi di lettere, filosofia, storia, persino scienze politiche e giurisprudenza anche in Francia, Italia, Spagna. Resisticchiano le facoltà di lingue e letterature straniere o simili. Trionfa solo economia. Questo collasso è uno dei fenomeni culturali più inquietanti del tempo presente, contro il quale non servono a nulla le solite geremiadi. Esso è determinato da due cause principali fra loro connesse: le caratteristiche proprie del neoliberismo e il rifiuto degli umanisti di reinventarsi le loro discipline e ridefinire la loro figura sociale.Il neoliberismo ha prodotto una vistosa regressione culturale: la visione pan-economicista e la riduzione della stessa economia al solo filone walrasiano e derivati sono stati il brodo di coltura del maggior arretramento intellettuale mai registrato in epoca moderna. A questo si sono sommati, a ricaduta: la delegittimazione di ogni pensiero che non fosse quello liberista-liberale, che ha inaridito ogni confronto di idee; la pretesa di imporre comunque e dovunque la lingua inglese, funzionale solo alla dittatura culturale della produzione culturale made in Usa; una versione assai pedestre dell’utilitarismo, per cui qualsiasi attività è valutata in funzione del guadagno immediato. Da questo discendono i tagli alle spese culturali e per l’istruzione, di cui oggi gli intellettuali umanisti si risentono, ma dopo anni di acquiescenza. L’ondata neoliberista si è accompagnata ai cori festanti degli economisti massicciamente convertitisi a questo verbo, ma non ha trovato resistenze neppure fra i giuristi, gli storici, i sociologi, i politologi, che non hanno manifestato che rare e occasionali obiezioni, spesso improprie o più arretrate del fenomeno che avrebbero voluto criticare.E già questa scarsa attitudine a confrontarsi con l’ondata neoliberista è assai eloquente sulla capacità degli umanisti di confrontarsi con il tempo presente. La produzione storica, sociologica, politologica, giuridica, filosofica dell’ultimo quarto di secolo è, nella maggior parte dei casi, paccottiglia di nessun valore intellettuale. E’ tutto molto ripetitivo, stantio, privo di originalità e le opere di valore, per ciascuna disciplina, si contano sulle dita di un paio di mani. Diciamocelo sinceramente: se si trattasse di questo attuale assetto delle scienze umane, la loro scomparsa non sarebbe un gran danno. Il punto è che le discipline umanistiche non si sono adeguatamente confrontate con le vastissime conseguenze culturali della globalizzazione. Non che manchino studi sul fenomeno in sé (ad esempio quelli, peraltro non sempre soddisfacenti, di Zygmunt Bauman, Manuel Castells, Ulrich Beck, Alain Touraine), ma si tratta di punte individuali, che non si innestano su un solido reticolo di opere minori indispensabili a determinare una svolta complessiva di questa area di studi.E infatti si tratta in larga parte di opere che non si sottraggono ad un’ottica eurocentrica e non sfuggono ad un taglio specialistico disciplinare, che precludono molti sviluppi alla ricerca. La globalizzazione implica sia la mondializzazione dei rapporti, sia una stretta interdipendenza fra le sfere politica, economico-finanziaria, sociale, culturale, militare, e se il primo aspetto richiede imperiosamente un punto di vista più “centrale” e meno sbilanciato verso occidente, il secondo impone una capacità di analisi transdisciplinare, che allo stato si intravede solo in pochissime opere. Occorre un cambio di passo complessivo nei metodi; ripensare, soprattutto, la storica frattura fra scienze umane e scienze logiche, matematiche e naturali: i fisici, i biologi, i neurologi lo hanno capito e fanno sempre più frequenti incursioni nel mondo delle scienze umane, mentre gli umanisti (con l’eccezione di quei filosofi e psicologi che partecipano a progetti di scienze cognitive) tardano a comprenderlo e si tengono ancora troppo al di qua della linea di demarcazione che li separa dall’ “altra metà del cielo”.Quanti storici, sociologi e politologi immaginano di poter lavorare usando un modello di simulazione? E quanti di loro sono in grado di misurarsi con il campo delle scienze cognitive? Nelle nostre università si respira un’aria viziata perché da troppo tempo non si aprono le finestre. Certo che occorre continuare a studiare la letteratura greca e la Guerra dei Sette Anni, Leopardi e Weber, la secessione austriaca e la Riforma protestante, ma occorrerà ripensarli comparativamente agli sviluppi delle altre civiltà che, naturalmente, bisognerà studiare. Da due secoli e mezzo l’Europa (e tutto l’Occidente) ha costruito la sua identità intorno all’idea di modernità: l’Occidente è moderno per definizione e la modernità è occidentale allo stesso modo. E la globalizzazione è stata pensata come “modernizzazione del mondo” cioè come progetto di omologare tutto il mondo al modello occidentale. Ma le cose non stanno andando così: quello che le nostre scienze sociali pensavano fosse un modello universale si è rivelato solo il racconto di “come è andata in Europa”.La modernità è stata pensata come l’intreccio organico di sviluppo economico e urbanizzazione, di specificazione individuale e secolarizzazione, di affermazione dello Stato di diritto e disincanto del mondo, di nazione e acculturazione di massa, un insieme in cui ogni aspetto presuppone e rafforza l’altro. E abbiamo pensato che tutto questo avesse regole precise, che permettessero di replicarlo in ogni contesto, salvo trascurabili varianti locali. Ebbene, non sta andando affatto così: lo sviluppo economico non trascina dietro di sé quei processi di democratizzazione e secolarizzazione di cui si diceva, e ogni contesto sta avendo un suo sviluppo particolare. Questo obbliga a ripensare anche molte delle nostre convinzioni sulla nostra storia e sul modo con cui l’abbiamo interpretata ma, più ancora, ci obbliga ad un’opera di mediazione e di traduzione culturale: sia noi che i cinesi, gli indiani o gli egiziani abbiamo il concetto di nazione, ma siamo sicuri di dire tutti la stessa cosa? E lo stesso potremmo dire per concetti come classe, popolo, potere, secolarizzazione. E questo lavoro di riesame non riguarda solo storici, politologi e sociologi, ma anche giuristi, filosofi, letterati.Questo è il piano su cui le scienze umanistiche devono impegnarsi trasformandosi, ed è quello che ci dà la misura esatta del ritardo accumulato in questi anni, in gran parte dovuto allo statuto sociale dei nostri intellettuali umanisti, che da troppo tempo non hanno stimoli verso l’innovazione. Dopo gli anni ottanta, cessate le passioni politiche, che costituivano l’unico vero stimolo alla ricerca, gli umanisti si sono seduti sulla rendita di posizione di intellettuali burocratici retribuiti dallo Stato. Tutto oggi si riduce alla stucchevole rivendicazione del ruolo del “sapere inutile che ci renderà liberi”. Questa emerita sciocchezza, in realtà, vorrebbe dire che ci sono altre utilità oltre quelle economiche, il che è giusto, ma questo non implica che non debba esserci un calcolo dei costi e dei benefici dell’investimento e, se anche è accettabile l’idea che non sempre i benefici di un investimento culturale siano misurabili in termini monetari, non ce la si può cavare con i luoghi comuni sul “sapere critico” e simili.Un po’ di rapporto con il mercato non guasterebbe, per dare una scossa ai nostri intellettuali sedentarizzati. Non sto pensando all’università privata, che è un disastro anche peggiore che ha prodotto autori terribili come Francis Fukuyama, Niall Ferguson o Samuel Huntington. Sto pensando ad imprese autogestite degli intellettuali umanisti che si misurino con il mercato. Servirebbero anche cose minime, come ad esempio retribuire i docenti in base al numero di studenti che hanno, lasciando ovviamente gli studenti liberi di scegliere. Vediamo quante aule restano disperatamente vuote? Concludendo: certo che occorre difendere le materie umanistiche, ma questo sarà possibile solo cambiandole profondamente e mutando altrettanto radicalmente lo stato sociale dei suoi operatori, da “intellettuali” in “lavoratori della cultura”. La cultura non serve per i salotti.La crisi del sapere umanistico è ormai conclamata: negli Usa 54 membri dell’“American Academy of Arts and Sciences” hanno denunciano il rischio della rapida scomparsa delle materie umanistiche dalle università americane; in Inghilterra la storia è stata esclusa da quasi tutti i corsi di studio; la geografia è quasi scomparsa dai corsi di insegnamento di metà Europa e resiste qua e là solo come geografia economica; gli studenti disertano i corsi di lettere, filosofia, storia, persino scienze politiche e giurisprudenza anche in Francia, Italia, Spagna. Resisticchiano le facoltà di lingue e letterature straniere o simili. Trionfa solo economia. Questo collasso è uno dei fenomeni culturali più inquietanti del tempo presente, contro il quale non servono a nulla le solite geremiadi. Esso è determinato da due cause principali fra loro connesse: le caratteristiche proprie del neoliberismo e il rifiuto degli umanisti di reinventarsi le loro discipline e ridefinire la loro figura sociale.
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Attenzione al cretino, è molto più pericoloso del ladro
Odiamo i ladri di denaro pubblico, giustamente. Ma non vediamo il vero pericolo: gli imbecilli. Sono loro, gli incapaci, a firmare i disastri peggiori. Aldo Giannuli consiglia di sfogliare i libri di storia: dimostrano che le catastrofi del pianeta non sono mai state causate dai disonesti, ma dagli inetti. Certo, «rubare denaro pubblico è un gesto assolutamente odioso che delegittima la democrazia, spesso affetta dalla corruzione, e crea disfunzioni sistemiche anche gravi», dunque «cacciare i politici corrotti è un obbligo». Ma, mentre l’opinione pubblica teme la corruzione dei politici, non fa caso alla piaga dell’inettitudine: «Il cretino fa tenerezza: si è convinti che, poverino, sbagli in buona fede. Per cui, pazienza se non ne imbrocca una». Non lo fa apposta: ha sbagliato, ma imparerà. Sintetizza Giannuli: voi da chi vi fareste operare, da un giovane medico onestissimo ma inesperto o da un chirurgo mascalzone, che magari prende tangenti sulle forniture dell’ospedale e rilascia certificati compiacenti ai mafiosi, però salva il 100% dei pazienti? «E cosa vi fa pensare che la politica sia diversa dalla chirurgia?».«Noi non dobbiamo scegliere “Mister onestà” o proclamare santo qualcuno, dobbiamo scegliere il miglior chirurgo o il politico più in grado di risolvere i problemi del paese», scrive Giannuli nel suo blog. Obiezione: come fidarsi di un disonesto mettendogli in mano la propria vita? «Debbo deludervi, l’esperienza storica insegna che molti grandi sono stati autentici banditi: avete idea dei traffici del “signor” Giulio Cesare? O della grande disinvoltura di Napoleone in materia di denaro pubblico? Danton era un corrotto terrificante, ma non c’è dubbio che sarebbe stato assai preferibile che vincesse lui al posto di quel fanatico dell’Incorruttibile Robespierre». Vogliamo parlare di Cavour? «Con il denaro pubblico fece scavare il grande canale che oggi porta il suo nome e che, del tutto incidentalmente, ha irrigato essenzialmente terre che gli appartenevano». Garibaldi? «Il figlio letteralmente rubò un milione del tempo al Banco di Napoli e tentò una maxi-speculazione con il progetto della deviazione del Tevere, sempre con la protezione e benedizione paterna». L’eroe? Un genio militare ma, «politicamente, era un vero imbecille».Un altro peso massimo della storia patria, Giolitti, era «un super-disonesto» ma, al tempo stesso, «un grande riformista che avrebbe tenuto il paese fuori dal carnaio della Prima Guerra Mondiale, a differenza di Salandra che ce lo portò». Lyndon Johnson: «Non era esattamente uno stinco di santo, ma fu il presidente più progressista e riformatore dopo Roosevelt». Il generale Maurice Gamelen, capo dello stato maggiore francese nel 1940, era un soldato integerrimo, al di sopra di ogni sospetto, ma «sotto il suo comando la Francia perse la guerra in quattro settimane e le truppe tedesche sfilarono sotto l’arco di trionfo». Pio X? «Un santo, però fu anche uno dei peggiori papi del Novecento, persecutore del modernismo», l’uomo che impedì ogni rinnovamento della Chiesa. In Urss, Laurentj Beria – capo del Kgb – disdegnava denaro, privilegi e benefici, «ma fu un criminale responsabile delle peggiori repressioni di epoca staliniana».Il presidente americano Herbert Hoover? «Non era particolarmente chiacchierato sul piano morale, ma fu un totale incapace che portò gli Usa al disastro nella crisi del 1929». Anche per questo, sottolinea Giannuli, è bene ricordarsi che «l’incompetenza è la maggior forma di disonestà, perché «se non sei pari al compito che ti è assegnato, ma resti al tuo posto, sei il peggiore delinquente che si possa trovare». Molti dei maggiori disastri della storia «sono ascrivibili più alle scelte di personaggi inetti che a personaggi corrotti». Spiegazione: se il corrotto è intelligente, ha tutto l’interesse ad allevare la sua “gallina dalle uova d’oro”. «Il che non costituisce l’autorizzazione a rubare a man salva, anche perché poi i corrotti non sono tutti Cavour, Danton e Giulio Cesare». Il punto è un altro: «Un corrotto puoi sempre sorvegliarlo, circondarlo di persone oneste e capaci, creare un sistema di controlli e, al limite, punirlo. Ma con un cretino cosa puoi fare?».Nel caso di un’emergenza che richieda genialità, prontezza di riflessi e inventiva, «il governante capace, intelligente e preparato forse sarà all’altezza della situazione, anche se dovesse essere un corrotto, mentre è certo che l’inetto sbaglierà tutto provocando catastrofi, anche se fosse il più onesto degli uomini». Stendhal diceva che “l’onestà è la virtù dei mediocri”. Certo esagerava, conclude Giannuli, «ma non sbagliava di molto, se considero il “festival della mediocrità” che stiamo vivendo, dove l’“onestismo”, insieme alla nonviolenza, al buonismo e all’ambientalismo fanatico è uno dei principali ingredienti della torta alla glassa della sinistra “politicamente corretta”». Attenzione: «Anteporre l’onestà alla competenza è una delle più sicure stimmate dell’antipolitica corrente: un segno di grande modestia intellettuale». Punire i disonesti? «Benissimo, aprire le celle. Ma solo dopo aver convocato il plotone di esecuzione per gli imbecilli».Odiamo i ladri di denaro pubblico, giustamente. Ma non vediamo il vero pericolo: gli imbecilli. Sono loro, gli incapaci, a firmare i disastri peggiori. Aldo Giannuli consiglia di sfogliare i libri di storia: dimostrano che le catastrofi del pianeta non sono mai state causate dai disonesti, ma dagli inetti. Certo, «rubare denaro pubblico è un gesto assolutamente odioso che delegittima la democrazia, spesso affetta dalla corruzione, e crea disfunzioni sistemiche anche gravi», dunque «cacciare i politici corrotti è un obbligo». Ma, mentre l’opinione pubblica teme la corruzione dei politici, non fa caso alla piaga dell’inettitudine: «Il cretino fa tenerezza: si è convinti che, poverino, sbagli in buona fede. Per cui, pazienza se non ne imbrocca una». Non lo fa apposta: ha sbagliato, ma imparerà. Sintetizza Giannuli: voi da chi vi fareste operare, da un giovane medico onestissimo ma inesperto o da un chirurgo mascalzone, che magari prende tangenti sulle forniture dell’ospedale e rilascia certificati compiacenti ai mafiosi, però salva il 100% dei pazienti? «E cosa vi fa pensare che la politica sia diversa dalla chirurgia?».
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Ok, prendete una mazza e spaccate pure la testa ai greci
«Ok, potete schiacciare la testa a quei greci, se è quello che volete fare». Così parlò Timothy Geithner, ex ministro del Tesoro di Obama, rispondendo agli europei che, nel 2010, volevano “fare a pezzi” la Grecia. Parole che «fanno inorridire», scrive Paolo Barnard, ora che il “Financial Times” ha trascritto le vere interviste a Geithner, all’epoca allarmato dalla volontà “stragistica” della Troika Ue, agli ordini della Germania, contro l’ignaro popolo greco. «Le teste tagliate in video dall’Isis muovono armate internazionali e disgustano il pubblico», scrive Barnard, ma «sono piccolezze di principianti, confronto a quello che hanno fatto i leader europei alla Grecia, e COME LO HANNO DECISO come lo hanno deciso. Non siamo nel 1942, siamo nel terzo millennio e dopo il nazismo abbiamo costruito un intero mondo di democrazie e leggi, trattati, tutele dei diritti umani – inutili a Dio e all’uomo». Infatti, continua Barnard, accade che «per una manciata di soldi» le famose grandi democrazie, nel 2010 siano «tornate alla Gestapo nazista per decimare, torturare, punire, cioè per perpetrare crimini contro l’umanità in Grecia, contro innocenti».Ora lo sappiamo, aggiunge Barnard, citando le trascrizioni delle parole di Geither. Risultato: secondo “Lancet”, la più autorevole rivista medica internazionale, «la Germania e il codazzo che le obbedisce, incluso il governo italiano», hanno di fatto «imposto alla Grecia la “giusta punizione economica”». Impietoso il bilancio tracciato da “Lancet”: 560.000 bambini denutriti, un milione di cittadini senza più accesso alla medicina di base, oltre 2 milioni di greci che devono bruciare i mobili di casa o rubare gasolio per scaldarsi d’inverno. In Grecia è tornata la malaria, le infezioni da Hiv sono aumentate del 3.126% per assenza di siringhe usa e getta e l’assistenza agli ammalati di tumore è calata del 48%, «abbandonati a morire senza neppure l’aspirina». E la mortalità infantile è aumentata del 43%, un tasso doppio di quello del Sudan. «Bambini morti al parto (guarda il tuo piccolo ora, adesso!, mentre leggi). Una strage infame».Questo Olocausto, scrive Barnard, fu deciso a tavolino «con un sadismo da SS» in un incontro del G7 a Iqualuit, un villaggio del Canada, nel febbraio 2010. «Il racconto di Geithner, ovviamente censurato nel suo recente libro, fa accartocciare il sangue». Vi si legge: «Io mi siedo a tavola e guardo il mio Blackberry… cazzo, sta succedendo un macello in Europa, la Borsa francese sta precipitando e tutti si chiedono chi ha messo soldi in Grecia… Gli europei ragliavano “adesso gliela facciamo vedere ai greci… fanno schifo… adesso li stritoliamo”. Questo era l’atteggiamento di tutti i leader europei. E dicevano “adesso davvero tiriamo fuori le mazze, e li macelliamo”, li volevano realmente fare a pezzi». Ma Geithner non è un filantropo: la sua reazione è «ovvia, fredda, disumana». Anche l’ex ministro di Obama, «come tutte queste belve da uccidere a vista per la strada, non considera neppure per un minuto che si sta parlando di donne, figli, persone, ammalati, e di future sofferenze da ghetto di Varsavia».Macché, aggiunge Barnard. Tutto quello che Geithner ha da dire è questo: «Ok, potete schiacciare la testa a quei greci, se è quello che volete fare, ma dovete essere certi che all’Europa e al mondo manderete un segnale opposto, di rassicurazione, per dirgli che saprete gestire la faccenda… Insomma, che saprete proteggere il resto d’Europa. Ok, impartitegli una lezione». Ed eccola, la “lezione”: «Infanticidio, ammalati che muoiono urlando di dolore, un popolo devastato, una nazione tornata al medioevo, generazioni condannate, e TUTTI INNOCENTI tutti innocenti», sottolinea Barnard. «A quell’incontro di Iqualuit in Canada nel febbraio 2010, e c’eravamo anche noi italiani, si decise una GUERRA D’AGGRESSIONE guerra d’aggressione contro un popolo ignaro e innocente».A Norimberga, ricorda Barnard, fu il giudice della Corte Suprema americana, Robert Jackson, a definire la guerra d’aggressione contro inermi come “il crimine internazionale supremo”, i cui responsabili furono infatti impiccati. «Oggi la giustizia non esiste più, esiste un mondo deforme oltre ogni limite dove “hanno reso plausibile l’inimmaginabile”», per citare l’economista statunitense Edward Herman. «E quei leader di quel G7 genocida possono farla franca». Per Barnard, andrebbero «uccisi a vista, senza pietà, come fu a Norimberga», perché, conclude, «io i bambini greci morti non li voglio sulla coscienza».«Ok, potete schiacciare la testa a quei greci, se è quello che volete fare». Così parlò Timothy Geithner, ex ministro del Tesoro di Obama, rispondendo agli europei che, nel 2010, volevano “fare a pezzi” la Grecia. Parole che «fanno inorridire», scrive Paolo Barnard, ora che il “Financial Times” ha trascritto le vere interviste a Geithner, all’epoca allarmato dalla volontà “stragistica” della Troika Ue, agli ordini della Germania, contro l’ignaro popolo greco. «Le teste tagliate in video dall’Isis muovono armate internazionali e disgustano il pubblico», scrive Barnard, ma «sono piccolezze di principianti, confronto a quello che hanno fatto i leader europei alla Grecia, e come lo hanno deciso. Non siamo nel 1942, siamo nel terzo millennio e dopo il nazismo abbiamo costruito un intero mondo di democrazie e leggi, trattati, tutele dei diritti umani – inutili a Dio e all’uomo». Infatti, continua Barnard, accade che «per una manciata di soldi» le famose grandi democrazie, nel 2010 siano «tornate alla Gestapo nazista per decimare, torturare, punire, cioè per perpetrare crimini contro l’umanità in Grecia, contro innocenti».
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Ebola e bioterrorismo, chi tocca muore: strage di scienziati
«Il pericolo, nella ricerca della verità, è che qualche volta la si trova» (William Faulkner). Nel periodo compreso tra il 12 novembre 2001 e l’11 febbraio 2002, ben sette microbiologi scoprono a proprie spese che fare il loro mestiere è più pericoloso che correre in Formula Uno, fare bungee-jumping tutti i week-end e coltivare l’hobby del sesso non protetto. Anche altri microbiologi faranno in seguito una brutta fine. Non tutti i microbiologi sono tuttavia egualmente a rischio; i microbiologi specializzati in sequenziamento del Dna sarebbero i più suscettibili di morire in circostanze “strane ed inconsuete”. Precisiamo che il sequenziamento del Dna è una delle tecniche necessarie dell’emergente campo di applicazione delle armi biologiche di distruzione di massa, soprattutto per ciò che riguarda la creazione di nuovi virus e batteri. Tuttavia, il mestiere di microbiologo era diventato a rischio già qualche tempo prima. Curiosamente, proprio all’indomani dell’11 Settembre o giù di lì.Il 4 ottobre 2001, infatti, un aereo commerciale in volo tra Israele e Novosibirsk fu abbattuto “per errore” sopra il Mar Nero da un missile terra-aria ucraino fuori rotta di 100 chilometri rispetto a presunte esercitazioni in atto. Inizialmente si diffuse la voce che si trattasse di un volo charter, invece si trattava di un regolare volo di linea, il volo “Air Sibir 1812”. Novosibirsk è nota come la capitale scientifica della Siberia, ed è riconosciuta come sede di importanti ricerche microbiologiche. Si ritiene che sull’aereo precipitato si trovassero almeno cinque microbiologi israeliani. Il 12 novembre 2001, Benito Que, 52 anni, esperto in malattie infettive e biologo cellulare, venne trovato in coma per strada vicino al laboratorio della Università Medica di Miami, dove lavorava. Il “Miami Herald” scrisse che sarebbe stato assalito da quattro persone armate di mazze da baseball, ma la versione ufficiale fu che era stato colto da malore. Morì il 6 dicembre. Era esperto di sequenziamento del Dna. Aveva lavorato con Don C. Wiley e con David Kelly, altri due microbiologi morti “suicidi”.Quattro giorni dopo, il 16 novembre 2001, Don C. Wiley, 57 anni, uno dei più eminenti esperti americani del settore, scomparve. La sua auto a noleggio fu trovata abbandonata sull’Hernando de Soto Bridge vicino a Memphis, Tenn, col serbatoio pieno e le chiavi nel cruscotto. Wiley era appena uscito da una cena ed era in procinto di partire per una vacanza con la famiglia. Il suo corpo fu trovato il 20 dicembre nel Mississipi, a 500 chilometri di distanza. La tesi ufficiale fu che, forse a causa di una vertigine, fosse caduto nel fiume dal ponte. Wiley era un esperto su come il sistema immunitario risponda ad attacchi virali come l’Hiv, l’Ebola e l’influenza. Aveva vinto un importante premio per il suo lavoro nel campo dei vaccini anti-virali. Si occupava di sequenziamento del Dna. Aveva lavorato con David Kelly.Il 23 novembre 2001, Vladimir Pasechnik, 64 anni, biologo specializzato in passatempi simpatici come la vaporizzazione di peste bubbonica, fu trovato morto a Wiltshire, Inghilterra, non lontano da casa. Pasechnik era stato responsabile per lo sviluppo di armi biologiche in Unione Sovietica ed era passato al blocco occidentale nei primi anni Novanta. Il giorno dopo, 24 novembre, un aereo della Crossair precipitò in Svizzera. Tra i passeggeri vi erano tre eminenti israeliani: Yaakov Matzner, 54 anni, preside di medicina della Università Ebraica, Amiramp Eldor, 59 anni, capo del dipartimento di ematologia dell’ospedale Ichilov di Tel Aviv, e Avishai Berkman, 50 anni, direttore del dipartimento di salute pubblica di Tel Aviv. Il 10 dicembre, Robert Schwartz, 57 anni, fu trovato assassinato nella sua casa di campagna nella contea di Loudoun, in Virginia. Si occupava di sequenziamento del Dna e organismi patogeni.L’11 dicembre, Set Van Nguyen, 44 anni, fu trovato morto all’ingresso di una camera refrigerata nel laboratorio dove lavorava, a Geelong nello Stato di Victoria, in Australia. Van Nguyen era entrato nella camera refrigerata senza accorgersi che era satura di un gas velenoso, che lo aveva ucciso rapidamente. Nello stesso centro di ricerca, cinque anni prima era stato isolato un virus della famiglia delle Paramyxoviridae, lo stesso ceppo al quale appartiene il virus della Sars. Tale virus era stato identificato come trasmissibile agli esseri umani. Il 9 febbraio 2002, Victor Korshunov, 56 anni, direttore della subfacoltà di microbiologia alla Università statale medica di Mosca, fu trovato morto in una strada. Altri due scienziati russi, Ivan Glebov ed Alexi Brushlinski, erano stati uccisi nelle settimane precedenti.L’11 febbraio 2002, Ian Langford, 40 anni, fu trovato morto nella sua residenza a Norwich, Inghilterra. Il 27 febbraio, Tanya Holzmayer, 46 anni, scienziata russa emigrata negli Stati Uniti, fu uccisa a colpi di pistola da un altro microbiologo, Guyang Huang, il quale poco dopo fu trovato morto in un parco con la pistola vicino alla propria mano. La Holzmayer si occupava di genoma umano. David Wynn-Williams, 55 anni, astrobiologo impegnato nella ricerca sulla possibile esistenza di microbi extraterrestri, il 24 marzo morì investito da un’auto mentre faceva jogging. Il giorno dopo, Steven Mostow, 63 anni, noto come “dottor influenza” per la sua esperienza nel trattamento dell’influenza, morì schiantandosi col suo Cessna in fase di atterraggio, apparentemente per il distacco di uno dei motori. Mostow era anche un noto esperto in bioterrorismo.Il 24 giugno 2003 morì in Africa il dottor Leland Rickman, 47 anni, apparentemente per un malore. Era un esperto di malattie infettive, nonché consulente in materia di bioterrorismo. Da ultimo (ma siamo sicuri?), il 17 luglio, David Kelly, 59 anni, esperto microbiologo nonché consulente in armi biologiche di distruzione di massa per il governo britannico, fu trovato morto in un bosco. L’inchiesta terminò con una dichiarazione di suicidio, ma ogni evidenza suggerisce che si sia invece trattato di un omicidio. Mesi dopo, emersero testimonianze sul fatto che Kelly sarebbe stato in procinto di scrivere un libro sui programmi di guerra biologica delle grandi nazioni. C’è chi aggiunge alla lista anche Jeffrey Paris, 49 anni, trovato spiaccicato a fianco di un parcheggio automobilistico il 6 novembre 2001, e Christopher Legallo, 33 anni, analista di problemi del terrorismo, schiantatosi in aereo il 30 settembre 2002. Su quest’aereo avrebbe dovuto trovarsi anche sua moglie, Laura Koepfler, analista nel campo delle armi di distruzione di massa, ma aveva cambiato programma all’ultimo momento. Qui mi fermo, ma gli strambi decessi di microbiologi sarebbero proseguiti in seguito.Secondo Maurizio Blondet, nel giugno 2004 la somma dei microbiologi morti in circostanze anomale sarebbe giunta a ventiquattro. Per sapere se la morte di tutti questi microbiologi è solo un’anomalia statistica degna di nota, bisognerebbe conoscere la quantità esatta di microbiologi che ci sono al mondo e calcolare se il tasso percentuale di decessi bizzarri è superiore alla norma. Non ho questo dato, né tutto sommato mi interessa. Certe volte, il dubbio è di gran lunga preferibile alla certezza. Preferisco sbagliarmi senza esserne sicuro piuttosto che essere sicuro di non sbagliarmi. Per la seconda edizione del libro (“Il mito dell’11 Settembre, l’opzione del dottor Stranamore”), nel 2007 aggiungiamo per scrupolo che la Sfiga dei Microbiologi prosegue imperterrita. I 15 microbiologi sono nel frattempo cresciuti sino a varie decine. Elencarli tutti non avrebbe alcun senso, ne riportiamo solo alcuni a mo’ di esempio.John Clark, un microbiologo i cui studi avevano aperto la strada alla clonazione della famosa pecora Dolly, si impicca il 12 agosto 2004. Leonid Strachunsky, specialista nella creazione di microbi resistenti alle armi biologiche, ucciso l’8 giugno 2005 da una bottiglia di champagne che anziché dargli alla testa gli ha dato sulla testa. Un bel colpo secco. David Banks, esperto in prevenzione di epidemie e quarantene, muore l’8 maggio 2005 a bordo del solito aereo che casca. Matthew Allison, biologo molecolare, il 13 ottobre 2004 entra nella sua auto parcheggiata che esplode come succede solo nei film. E terminiamo i nostri esempi con Antonina Presnyakova, scienziata che si occupava direttamente di armi biologiche e che il 25 maggio 2004 crede anch’essa di trovarsi in un film e quindi si punge per sbaglio con un ago infetto di Ebola, che ovviamente la uccide. Se non ne avete abbastanza, su Internet la lista continua.Non è la prima volta che scienziati di un settore specifico muoiono in rapida successione temporale in condizioni misteriose. Era accaduto pochi anni prima in Inghilterra ad almeno sei scienziati della Marconi (c’è chi dice che furono parecchi di più), a quel tempo colosso industriale, oggi sull’orlo del fallimento. Tuttavia, siamo appena usciti dal cinema dove abbiamo rivisto “America under Attack”, in versione Director’s Cut, e già ci troviamo alle prese con un nuovo film che si preannuncia così tosto da farci completamente dimenticare quello che abbiamo appena visto. Forse arriveremo addirittura a rimpiangere “America under Attack” e con esso i bei tempi in cui la partecipazione di tutti gli spettatori alla realizzazione di un colossal mediatico non era ancora un dovere sociale. O un destino inevitabile. Con “Sars Attack II” oppure “Sars Attack III”, la musica potrebbe infatti essere completamente diversa.(Roberto Quaglia, “Il caso dei microbiologi scomparsi”, da “Mondialisation” del 3 novembre 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”).«Il pericolo, nella ricerca della verità, è che qualche volta la si trova» (William Faulkner). Nel periodo compreso tra il 12 novembre 2001 e l’11 febbraio 2002, ben sette microbiologi scoprono a proprie spese che fare il loro mestiere è più pericoloso che correre in Formula Uno, fare bungee-jumping tutti i week-end e coltivare l’hobby del sesso non protetto. Anche altri microbiologi faranno in seguito una brutta fine. Non tutti i microbiologi sono tuttavia egualmente a rischio; i microbiologi specializzati in sequenziamento del Dna sarebbero i più suscettibili di morire in circostanze “strane ed inconsuete”. Precisiamo che il sequenziamento del Dna è una delle tecniche necessarie dell’emergente campo di applicazione delle armi biologiche di distruzione di massa, soprattutto per ciò che riguarda la creazione di nuovi virus e batteri. Tuttavia, il mestiere di microbiologo era diventato a rischio già qualche tempo prima. Curiosamente, proprio all’indomani dell’11 Settembre o giù di lì.
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Ebola, un’emergenza pro-Fmi alimentata da menzogne
Ci sono sempre un’emergenza o una catastrofe annunciata che possano giustificare un business. Oggi il Fmi e la sua consorella, la Banca Mondiale, “sposano” l’emergenza-Ebola. Le “previsioni” del Fmi e della Banca Mondiale a proposito dell’Africa sono, naturalmente, apocalittiche. Il Fmi veste i panni della longanimità e consente ai paesi africani di sforare col deficit pur di finanziare il fronteggiamento dell’emergenza. Il direttore della Banca Mondiale incita i governi, compresi quelli europei, a spendere ora per non affrontare costi più elevati in futuro (sempre le solite attendibili previsioni!). Si tratta di versare miliardi nelle casse delle multinazionali farmaceutiche, altruisticamente già impegnate nella lotta contro il virus. Se i soldi non li hai, ci saranno pur sempre anime buone, come il Fmi e la Banca Mondiale, disposte a prestarteli, chiaramente con adeguati interessi. I dubbi e i sospetti sull’emergenza-Ebola non mancano; anzi, vengono avanzate ovvie obiezioni. Il paese più “infetto”, secondo i media, sarebbe la Liberia, che però è anche il paese storicamente più infestato dalla Cia, dato che la Liberia fu il primo Stato creato oltreoceano dagli Usa.L’Organizzazione Mondiale della Sanità è notoriamente una lobby delle multinazionali farmaceutiche; mentre per il Fmi e per la sua consorella c’è la possibilità di tenere ancora più strettamente per il collo l’Africa e l’Europa. Sempre a proposito di sovrastime, soltanto chi sopravvaluta la categoria dei giornalisti può ritenere che sia necessario un complotto per creare queste bolle mediatiche. Non tutti i giornalisti sono lobbisti di professione, come quelli di “Report”, o agenti dei servizi segreti, come Renato Farina (“l’agente Betulla”: uno dei rari casi venuti alla luce, ancora coperto di complicità e ipocrisie). Ma per vedere compattamente schierati gli “operatori dell’informazione” dietro la bandiera dell’emergenza di turno, è più che sufficiente fare affidamento sul loro conformismo e sul loro carrierismo. Qualche testata giornalistica finge di voler approfondire la notizia, ma ci si serve sempre della consulenza di medici, i quali, se tentassero di esporre anche timidi dubbi su quanto afferma l’Oms, si ritroverebbero radiati dall’albo prima ancora di finire la frase.Se si volesse fare appena sul serio, occorrerebbe rivolgersi quantomeno a dei biologi, meno esposti a rischi di rappresaglia immediata. Dato che le notizie non controllate sono non-notizie, si può constatare tranquillamente che non esiste un’informazione sull’Ebola, ma solo propaganda. Intanto si crea confusione per prevenire la circolazione su Internet di dettagli che possano smontare l’emergenza-Ebola. Alcuni “seri” giornali di lingua inglese fanno circolare la “notizia” secondo cui le amministrazioni ospedaliere invierebbero attori a presentarsi al pronto soccorso per manifestare i sintomi dell’Ebola; ciò allo scopo di testare la reattività dei medici in prima linea. La “notizia” è assurda, poiché nessun attore è in grado di simulare in modo credibile una grave infezione virale, se non portandosi dietro un tecnico degli effetti speciali. Ma pseudo-notizie del genere intasano la Rete, a discapito di chi cerca dettagli concreti.(Estratto da “Ebola, un’emergenza pro-Fmi”, da “Anarchismo Comidad” del 18 ottobre 2014).Ci sono sempre un’emergenza o una catastrofe annunciata che possano giustificare un business. Oggi il Fmi e la sua consorella, la Banca Mondiale, “sposano” l’emergenza-Ebola. Le “previsioni” del Fmi e della Banca Mondiale a proposito dell’Africa sono, naturalmente, apocalittiche. Il Fmi veste i panni della longanimità e consente ai paesi africani di sforare col deficit pur di finanziare il fronteggiamento dell’emergenza. Il direttore della Banca Mondiale incita i governi, compresi quelli europei, a spendere ora per non affrontare costi più elevati in futuro (sempre le solite attendibili previsioni!). Si tratta di versare miliardi nelle casse delle multinazionali farmaceutiche, altruisticamente già impegnate nella lotta contro il virus. Se i soldi non li hai, ci saranno pur sempre anime buone, come il Fmi e la Banca Mondiale, disposte a prestarteli, chiaramente con adeguati interessi. I dubbi e i sospetti sull’emergenza-Ebola non mancano; anzi, vengono avanzate ovvie obiezioni. Il paese più “infetto”, secondo i media, sarebbe la Liberia, che però è anche il paese storicamente più infestato dalla Cia, dato che la Liberia fu il primo Stato creato oltreoceano dagli Usa.
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Rubare l’Africa agli africani: è il piano del dottor Ebola
Ogni “psyop” ha bisogno di eroi, così come di cattivi. Le cosiddette epidemie vengono fuori da veri e propri piani strategici politico-commerciali. La strategia sembra essere partorita dalla Cia. Di seguito, alcune mie note che vi racconteranno la storia. Uno: Come è costruita la Medical Matrix: “Gli eroi vengono a salvarci.” I dottori allestiscono cliniche nel mezzo delle epidemie e salvano vite umane. Fanno miracoli. Due: Gli eroi richiedono più cliniche, più centri medici, più ospedali. “La soluzione completa.” Tre: C’è una grande disparità nelle cure mediche tra ricchi e poveri. Questa disparità deve essere superata. Questa è la missione. Quattro: Queste sono tutte bugie. Cinque: Molti dottori, operatori medici, manager farmaceutici, ricercatori e Ong sanno che sono bugie. Sei: Nessuna epidemia da batterio/virus può essere risolta con interventi medici, perché queste epidemie non sono causate da germi. Le cause sono dovute a sistemi immunitari deboli e indifesi che non riescono a contrastare i germi.Sette: Non molto tempo dopo che un’epidemia abbia concluso il suo corso, una nuova si diffonde nello stesso territorio. Otto: Tutto dipende dal territorio nel quale i sistemi immunitari debilitati sono condizione costante. Nove: Qualsiasi vecchio germe che sfugge da questi territori, finisce per mietere molte vittime. Dieci: Il diffondersi di sistemi immunitari debilitati non è causata da fattori medici e sono questi fattori che vanno eliminati. Undici: I veri fattori che riducono le difese del sistema immunitario includono: forte malnutrizione, fame, guerra, acqua inquinata, mancanza del rispetto di norme igieniche basilari, terre fertili rubate alla popolazione, rifiuti industriali e pesticidi, farmaci tossici e vaccini che finiscono per influire ulteriormente in modo negativo sui sistemi immunitari.Dodici: L’immagine del dottore-eroe è una sorta di diversificazione, una storia di copertura, un modo di cancellare le vere cause delle malattie e un modo di evitare che si risolvano le vere cause. Tredici: Una popolazione distrutta e debilitata non ha le capacità per resistere alla conquista delle loro terre e delle loro risorse. Quattordici: Se il tasso di distruzione/mortalità non è abbastanza alto da soddisfare le aspettative dei depopolazionisti, si possono introdurre più vaccini tossici. Si possono aggiungere ulteriori elementi tossici ai vaccini. Si possono somministrare altre medicine tossiche e diffondere più pesticidi. Si può dare il via a una nuova guerra.Se volete un perfetto esempio di storia di copertura (“cover story”), leggete l’intervista dell’episodio “Democracy Now!, Dr. Paul Farmer on African Ebola Outbreak: Growing Inequality in Global Healthcare at Root of Crisis”. Il dottor Farmer è il co-fondatore di una Ong di Harvard, “Partners in Health”. Inoltre, è professore ad Harvard e special advisor all’Onu. Ha la fama del dottore-eroe. Dice: «Penso che la cosa da capire è che tutto questo (diffusione dell’Ebola) è il risultato di durature e crescenti disuguaglianze nell’accesso ai sistemi sanitari e ciò include sia gli operatori, sia le strumentazioni, sia i sistemi stessi». Non una volta, nella lunga intervista, vengono menzionate le vere cause alla base della diffusione dell’epidemia. Invece, il tema è: disuguaglianza nel sistema sanitario. Questo è un diversivo.Quando parliamo di epidemie, questa è una grande bugia. Costruiamo più cliniche mediche per i più poveri e la vita cambierà. Certo che cambierà. Prendiamo una persona che soffre di una malattia gastrointestinale mortale perché beve abitualmente acqua di fogna pompata nelle reti idriche, e diamogli antibiotici. Fantastico. Grazie, dottore. Prendiamo una persona che a stento riesce a stare in piedi perché piena di vaccini tossici – oltre a un sistema immunitario già gravemente compromesso – e diamogli… cosa? Un anti-depressivo? L’Azt (Azidotimidina)? Risolviamo milioni di casi di fame nel mondo con medicinali? La verità è chiara. «La tua casa sta bruciando. Tre delle otto stanze sono a fuoco. Sai perché? Perché c’è bisogno di una nuova tinteggiata alle pareti. Guarda l’imbianchino-eroe. E’ sulla scala a tinteggiare le pareti esterne. Diamogli il Premio Nobel». Sapete, ci sono molte persone che vogliono essere associate a “cause umanitarie.” Vogliono sentirsi meglio. Così scelgono un simbolo – un dottore-eroe, un politico, un’organizzazione medica – e dicono: «Questa è bontà d’animo. I miei esempi sono ottimi. Io sono buono. Tutto quello che sta accadendo non è tragico? Dobbiamo aiutare. Dobbiamo rimediare alla “diseguaglianza del sistema sanitario”». Quanti zimbelli possono “ballare sulla capocchia di uno spillo”? Apparentemente non c’è limite.(Jon Rappoport, “Il mito dell’eorico dottor Ebola”, dal blog di Rappoport del 17 settembre 2014, tradotto da “Come Don Chisciotte”. Autore di “The Matrix Rvealed”, “Exit from the Matrix” e “Power outside the Matrix”, Rappoport è stato candidato in California al Congresso Usa e nominato per il Premio Pulitzer per il suo lavoro di reporter investigativo, con alle spalle trent’anni di esperienza e inchieste su politica, medicina e salute per “Cbs Healthwatch”, “LA Weekly”, “Spin Magazine”, “Stern” e altri giornali e periodici americani ed europei).Ogni “psyop” ha bisogno di eroi, così come di cattivi. Le cosiddette epidemie vengono fuori da veri e propri piani strategici politico-commerciali. La strategia sembra essere partorita dalla Cia. Di seguito, alcune mie note che vi racconteranno la storia. Uno: Come è costruita la Medical Matrix: “Gli eroi vengono a salvarci.” I dottori allestiscono cliniche nel mezzo delle epidemie e salvano vite umane. Fanno miracoli. Due: Gli eroi richiedono più cliniche, più centri medici, più ospedali. “La soluzione completa.” Tre: C’è una grande disparità nelle cure mediche tra ricchi e poveri. Questa disparità deve essere superata. Questa è la missione. Quattro: Queste sono tutte bugie. Cinque: Molti dottori, operatori medici, manager farmaceutici, ricercatori e Ong sanno che sono bugie. Sei: Nessuna epidemia da batterio/virus può essere risolta con interventi medici, perché queste epidemie non sono causate da germi. Le cause sono dovute a sistemi immunitari deboli e indifesi che non riescono a contrastare i germi.
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L’Ebola? E’ un super-virus nato nei laboratori americani
Sarà solo un tragico caso, ma l’esplosione dell’epidemia di Ebola coincide con una serie di ricerche militari. Ricerche in atto negli Usa, in Canada e in Russia, dirette a potenziare il virus per studiare il modo migliore per combatterlo. Dettagli tecnici? Top secret. Ma, nei laboratori, Ebola è stato quasi certamente reso trasmissibile per via aerea e più resistente alle cure, in modo da mettere a punto i farmaci più idonei a contrastarne gli effetti. E il terribile sospetto, scrive Marco Mostallino su “Lettera 43”, è che la sua recente, devastante diffusione sia in qualche modo dovuta a una falla nei sistemi di sicurezza di quei laboratori ad alto rischio. Un terribile sospetto: il virus, negli ultimi mesi, ha infettato in Africa occidentale circa 8.000 persone, provocando il decesso di oltre 3.800 pazienti, con un tasso di mortalità che supera il 46% dei malati. «Il sospetto che siamo alle prese con un super-Ebola, creato dai ricercatori e molto più potente dell’originale, è suffragato dal confronto con il totale di circa 2.500 persone uccise dal virus fino all’anno scorso dal 1976, anno della sua scoperta». Ci sono tre precedenti: nel 1976 in Inghilterra e nel 2004 negli Usa (con due ricercatori contagiati e poi guariti) e, sempre nel 2004, in Russia, quando uno scienziato perse la vita dopo essere stato infettato.Da tempo gli Stati Uniti hanno in corso studi, coordinati dalla difesa e diretti a esplorare tutte le possibilità evolutive della malattia, per anticiparle attraverso la coltura di un super-virus: la prova, scrive Mostallino, si trova in un documento del ministero della salute americano, redatto e diffuso dall’ufficio incaricato di affrontare le emergenze sanitarie. «Si tratta di un protocollo di sicurezza dall’applicazione obbligatoria per tutte quelle istituzioni sanitarie (pubbliche e private) impegnate nella cosiddetta “dual research”, ovvero la ricerca definita “a doppio taglio” perché, spiega il Dipartimento della Salute Usa, può generare risultati “benefici o estremamente dannosi”, secondo l’utilizzo che se ne fa e la maniera di maneggiare le fonti di un possibile contagio». La ragione di queste «prassi da apprendisti stregoni», e di tutte le misure di sicurezza che le accompagnano, secondo “Lettera 43” risiede nel timore degli Stati Uniti di subire attacchi batteriologici a opera di gruppi terroristici appoggiati da scienziati senza scrupoli. Di qui la decisione di «potenziare le capacità di contagio e la resistenza dei virus più pericolosi, in modo da essere pronti a fronteggiare anche le peggiori emergenze».Così si rinforza l’Ebola, ma anche l’aviaria, la peste e l’antrace, insieme al botulino e all’afta epizootica, «un morbo che colpisce gli animali e che, negli anni passati, ha devastato migliaia di allevamenti in Europa». Sempre il documento del governo statunitense indica tutti i tipi di ricerche alle quali i protocolli di massima sicurezza devono essere applicati. «La lista degli esperimenti ad altissimo rischio svolti nei laboratori americani parla da sola», avverte Mostallino. Nell’ordine: accrescimento degli effetti dannosi dell’agente patogeno o della tossina, distruzione delle difese immunitarie, conferimento all’agente o alla tossina di una resistenza alle efficaci profilassi cliniche. Si lavora anche per potenziare la stabilità, la trasmissibilità o lo spargimento dell’agente patogeno, per modificare l’ambiente che ospita l’agente tossico e per potenziare la sensibilità della popolazione alla tossina, quindi si studia come abbattere le difese umane naturali contro la malattia. E infine si parla anche di «generazione o ricostituzione di un agente patogeno o di una tossina ormai eradicata tra quelle della lista al punto precedente», ovvero l’elenco di malattie considerate ad altissimo rischio, tra le quali il governo Usa indica appunto anche l’Ebola.«È un elenco terribile, che non ha bisogno di commenti», rileva Mostallino. «Ma l’ultima prassi contenuta nel punto G, cioè la resurrezione in provetta di un morbo da tempo scomparso ma il cui virus è conservato nei laboratori, è considerata forse la più letale, perché il corpo umano ha ormai perduto le capacità di combattere un virus che non si presenta più da molti anni». Tra le sorprese, si scopre che – in laboratorio – l’Ebola è diventato trasmissibile anche per via aerea, mentre la scienza lo considera trasmissibile solo tramite contatto fisico con pazienti infetti. Eppure, è provato che in due laboratori nordamericani si sia cercato di potenziare la malattia, rendendo il contagio possibile senza contatto fisico: «Si tratta di un’altra prova che per motivi sanitari è stato messo in atto il tentativo di trasformare l’Ebola in un super-virus, capace di diffondersi con estrema facilità». Il primo laboratorio, come spiega l’associazione dei medici canadesi, è il centro studi “Upmc Center for Health Security” di Baltimora, dove gli Stati Uniti studiano i virus e le tossine che, secondo il Dipartimento della Difesa, potrebbero essere utilizzati da gruppi senza scrupoli per attacchi di “bioterrorismo”.L’altro laboratorio si trova in Canada, a Winnipeg, ed è il “National Microbiology Laboratory”, nel quale, secondo la rivista dell’associazione nazionale dei medici canadesi, nel 2012 venne fatta una «intrigante scoperta»: l’Ebola passò da esemplari di suini ad alcune scimmie, senza che queste ultime fossero entrate in contatto fisico coi maiali. Le scimmie – alcuni macachi – si infettarono senza mai toccare sangue, lacrime o sudore dei maiali. Per “Lettera 43” si tratta proprio del tipo di ricerca più pericoloso, quell’arma “a doppio taglio” per la quale il Dipartimento della Salute degli Stati Uniti impone rigidissimi protocolli di sicurezza. Alla base di tanta esasperazione, la paura del “bioterrorismo” che oggi oppone Stati Uniti e Russia: «Entrambi i colossi mondiali, infatti, studiano e potenziano l’Ebola, con l’obiettivo di essere pronti a un eventuale conflitto scatenato dal nemico attraverso il contagio». Insomma, per Mostallino «è in atto una sorta di guerra fredda batteriologica che viene combattuta nei laboratori pubblici e privati, controllati e finanziati dai governi di Washington e Mosca». Dal 2001 a oggi, ovvero dopo il panico scatenato dagli attentati dell’11 Settembre, sempre secondo la rivista dei medici canadesi, gli Stati Uniti hanno speso 79 miliardi di dollari nei programmi di difesa nazionale contro gli attacchi batteriologici. Di questi, ben 26 miliardi sono stati investiti nella specifica ricerca sul potenziamento e il contrasto delle malattie infettive.«L’idea di fondo è dunque quella di creare il super-virus, così da poterlo combattere, prima che sia il nemico a realizzarlo e a utilizzarlo in una azione terroristica o di guerra tra Stati», sintetizza “Lettera 43”. Concreto, quindi, il pericolo denunciato dal dottor Martin Furmanski, un medico statunitense specializzato nella ricerca sulle armi biologiche e batteriologiche: in un recente articolo pubblicato sulla rivista “Bulletin of the Atomic Scientists” dall’eloquente titolo “Rischio di pandemie e fuga dai laboratori: una profezia che si auto-avvera”, lo scienziato spiega che «il rischio di una pandemia provocata dall’uomo e diffusa a causa di una fuga (di agenti patogeni) da un laboratorio non è ipotetico: un caso avvenne nel 1977 proprio perché si pensava che il rischio di una pandemia fosse imminente». Furmanski spiega che si trattava della “influenza umana H1N1”, ovvero di una ripresa della terribile epidemia di influenza “Spagnola” che nel 1918 uccise milioni di persone in tutta Europa. «Il caso più famoso di ritorno del contagio della influenza da “H1N1-A” fu il riemergere della malattia nel maggio del 1977 in Cina e poco tempo dopo in Unione Sovietica» per poi diffondersi nel resto del mondo, soprattutto tra la popolazione giovane, al di sotto dei 20 anni.Racconta ancora lo scienziato: «Una serie di test genetici suggerirono sulle prime che potesse trattarsi di un virus fuggito dai laboratori nel 1949-50» e, anni dopo, «alcune tecniche avanzate di ricerca genetica confermarono l’ipotesi». Insieme a numerosi virologi che studiarono il caso, aggiunge “Lettera 43”, Furmanski oggi sostiene che «ironicamente» l’epidemia fu provocata dalla fuga del virus da un laboratorio americano nel quale si cercava un vaccino per prepararsi a fronteggiare un contagio globale che ancora non c’era, e che fu generato proprio dal tentativo di evitarlo. L’influenza “H1N1” non è il solo caso di epidemia scatenata dagli apprendisti stregoni: lo scienziato cita, tra gli altri, gli 80 casi di vaiolo riscontrati in Gran Bretagna tra il 1963 e il 1978 a causa di tre differenti fughe del virus da altrettanti laboratori nei quali veniva studiato e rafforzato. Oggi gli scienziati ritengono che «se un agente patogeno riappare dopo anni o decenni di assenza, si può ritenere che sia fuggito da un laboratorio nel quale era stato conservato inerte per anni». Che la costruzione di un super-virus dell’Ebola fosse in corso al momento della ricomparsa della malattia, praticamente sparita da anni – conclude Mostallino – è un dato assodato e ammesso dagli stessi laboratori nordamericani, oltre che dal protocollo di sicurezza del governo Usa, il quale mette in guarda contro gli enormi rischi della “dual research”, la ricerca a doppio taglio.Sarà solo un tragico caso, ma l’esplosione dell’epidemia di Ebola coincide con una serie di ricerche militari. Ricerche in atto negli Usa, in Canada e in Russia, dirette a potenziare il virus per studiare il modo migliore per combatterlo. Dettagli tecnici? Top secret. Ma, nei laboratori, Ebola è stato quasi certamente reso trasmissibile per via aerea e più resistente alle cure, in modo da mettere a punto i farmaci più idonei a contrastarne gli effetti. E il terribile sospetto, scrive Marco Mostallino su “Lettera 43”, è che la sua recente, devastante diffusione sia in qualche modo dovuta a una falla nei sistemi di sicurezza di quei laboratori ad alto rischio. Un terribile sospetto: il virus, negli ultimi mesi, ha infettato in Africa occidentale circa 8.000 persone, provocando il decesso di oltre 3.800 pazienti, con un tasso di mortalità che supera il 46% dei malati. «Il sospetto che siamo alle prese con un super-Ebola, creato dai ricercatori e molto più potente dell’originale, è suffragato dal confronto con il totale di circa 2.500 persone uccise dal virus fino all’anno scorso dal 1976, anno della sua scoperta». Ci sono tre precedenti: nel 1976 in Inghilterra e nel 2004 negli Usa (con due ricercatori contagiati e poi guariti) e, sempre nel 2004, in Russia, quando uno scienziato perse la vita dopo essere stato infettato.