Archivio del Tag ‘medicina’
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La libertà ai tempi del morbillo, i diktat di un’élite screditata
Cosa c’entra la questione vaccini con la crisi dell’Alitalia? Niente. O forse molto. Dipende dalla capacità di leggere nessi forse nemmeno tanto nascosti. Da ormai due anni è in atto una forsennata campagna di allarmismo terroristico nei confronti dell’opinione pubblica basata sulla necessità di incrementare le vaccinazioni di massa, giudicate in leggera flessione statistica. Non questo o quel vaccino in particolare: ma tutti, sempre, per qualunque problema. Si è partiti con articoli e interviste allarmanti sulle epidemie prossime venture (inesistenti picchi di meningite e pandemie di morbillo), si è continuato con lettere intimidatorie delle Asl a casa dei genitori riluttanti, si arriva al capitolo finale, con una legge in incubazione che vieterà l’ingresso a scuola ai non vaccinati e, quindi, obbligherà di fatto, l’intera popolazione giovanile ad adempiere al diktat. Ok, ma l’Alitalia? Ci arriviamo. Il fatto che molte famiglie abbiano scelto in questi anni di non vaccinare i figli e si ostinino a difendere la loro scelta, nonostante il dispiegamento di questa feroce campagna (senza precedenti), è solo un’altra manifestazione di quella diffusa “sfiducia nelle élite”, che è un dato costante e caratteristico di questa epoca.Una volta, il camice bianco, lo scienziato, il “dottore” (figura archetipale della Conoscenza oscura e salvifica), con il solo carisma della funzione e del titolo di studio, esercitavano un’indiscussa egemonia sul popolino, che ne riconosceva acriticamente l’autorità specialistica. Idem per le altre figure preposte alla direzione della società: il politico-amministratore, il banchiere, il dirigente di polizia, il giudice. Mettere in discussione ruoli e competenze delle élite era possibile solo per ristrettissime minoranze critiche, perché la stragrande maggioranza della popolazione non aveva gli strumenti culturali per dissentire dai “gruppi dirigenti”, dai loro linguaggi specialistici, dalle loro ingiunzioni spesso inspiegabili. Chi stava “in basso” era più o meno rassegnato a delegare ai piani superiori la gestione delle grandi questioni che oggi collochiamo nella dimensione etica e bio-politica. Oggi non è più così. Una larga fetta di popolazione, generalmente i settori un po’ più dinamici e informati, nutre un sospetto e uno scetticismo critico “a priori” sulle competenze e sui moventi di ogni gruppo dirigente. È un fenomeno trasversale e secondo alcuni questa sorda e ostile sfiducia di massa, che corre lungo l’asse verticale “basso-alto” della società, è l’essenza di quello che viene definito “populismo”.Una recente inchiesta statistica lamenta il fatto che molti genitori sono andati in questi anni a cercarsi sul web informazioni sui vaccini, finendo vittime di quelle che, i curatori delle inchieste, definiscono costernati come le “solite bufale”. Senza entrare nel merito di una faccenda medico-scientifica assai complessa, pare un atteggiamento saggio quello di muoversi autonomamente e acquisire informazioni. Perché si dovrebbero delegare acriticamente la salute propria o dei figli ad un medico di base o, peggio, alle burocrazie sanitarie? Perché ci si dovrebbe rassegnare all’idea che sia il presidente della Regione – non di rado mediocrissimo funzionario di partito – a decidere le delicatissime strategie di salute pubblica? Non è forse più saggio esercitare un giudizio critico “a priori” rispetto all’affidarsi (sempre “a priori”) a quella classe medica che ogni tanto – in autorevoli suoi segmenti – viene investita da inchieste giudiziarie (non bufale, ma atti delle Procure) mentre esercita sperimentazioni di massa sui pazienti del Servizio Sanitario pubblico per conto di Big Pharma? È a costoro che si dovrebbe consegnare integralmente il delicato tema politico della salute?Tra l’altro l’impressione è che spesso i medici, massa proletarizzata di lavoratori della sanità pubblica, non facciano che ribadire i contenuti delle circolari ministeriali che gli arrivano sulla scrivania. Non hanno le competenze proprie dell’immunologo o dell’epidemiologo, non adottano nemmeno il protocollo minimo richiesto da qualsiasi somministrazione medica: conoscenza preventiva della storia del paziente e osservazione successiva e prolungata nel tempo degli effetti del farmaco somministrato (tutte pratiche incompatibili con il “vaccinificio industriale”). È in tale quadro che il cittadino cerca autonomamente informazioni dove e come può, essendo sostanzialmente vietato da un clima isterico (decisamente antiscientifico) ogni serio e rigoroso dibattito pubblico in materia. E qui si apre l’altro grande nodo di questi tempi: l’uso del web e la questione di chi gestisce l’infosfera ingovernabile della “pubblica opinione”, che tanto inquieta le élite globali. Esisteva un tempo una verità ufficiale capace di imporsi nel discorso pubblico, a cui tutti gli operatori del settore umilmente concorrevano. Tale monopolio del discorso pubblico (di cosa si parla e come se ne parla) pare ormai decisamente incrinato. Si mettano l’anima in pace scienziati, politicanti e giornalisti. I buoi sono usciti e sempre meno gente aderirà ciecamente al pastone mainstream che viene propinato ogni sera nei telegiornali o nei compunti editoriali antipopulisti.E l’Alitalia? Cosa ha a che fare l’Alitalia con la questione vaccini? Il nesso tra i due contesti – vaccini e vertenze – va cercato sul medesimo terreno minato, quello del consenso e della fiducia nei “dirigenti-specialisti”. Nell’ultimo referendum in cui i lavoratori del gruppo hanno votato in massa contro l’ipotesi di accordo, in ballo c’era proprio un “pacchetto” di misure confezionato ad arte da tutti i “professionisti” della gestione delle crisi, convocati attorno a un tavolo in cui, come in una sceneggiatura, tutti i ruoli erano noti e definiti: gli amministratori del gruppo, gli investitori internazionali, i consulenti delle banche creditrici, i saggi politici intervenuti con sollecitudine per la salvezza della ex compagnia di bandiera, i sindacalisti buoni e responsabili. Oltre alla supposta autorevolezza di queste figure, incombeva anche qui il clima terroristico che era alimentato abilmente dai mezzi di comunicazione: «O votate Sì o domattina siete disoccupati». Un ben curioso esercizio di dialettica democratica. Si è detto ai dipendenti di Alitalia: «Ci dispiace, ragazzi; dobbiamo sforbiciare salari, tutele e occupazione, ma che volete mai, dovete conservare pazienza e fiducia, gli specialisti siamo noi, vorreste forse rivendicare il diritto alla gestione di una compagnia aerea? Dateci il vostro consenso, perché è attraverso quello che vi salveremo».Il no di massa dei lavoratori è stato definitivo e fulminante: un’epidemia di dissenso. Qual è il segno politico di tale pronunciamento? Uno solo: «Non ci fidiamo più. Vogliamo vedere il gioco. Non ci fate più paura. Vediamo di cosa siete capaci». Una sfida lanciata dal basso che ha sparigliato i soliti vecchi giochi, generando un panico confuso tra consiglieri di amministrazione, sottogoverno, sindacalismo di Stato, editorialisti: una manica di cialtroni che alla prova dei fatti, sbugiardati e sfiduciati, mostrano tutta la loro pochezza, l’assenza di strategie e di ogni visione che non sia spolpare, spezzettare e svendere la memoria industriale di questo paese. Torniamo ai vaccini. Se dovesse passare una legge sulle vaccinazioni coatte, che succederà di fronte a migliaia di genitori che rivendicheranno il diritto di decidere, comunque, della salute dei propri figli?Che succederà se sfideranno le autorità scolastiche, portando i loro ragazzi a scuola per adempiere a quello che, almeno fino ad oggi, in Italia, è un obbligo di legge? Finirà che deciderà il Tar del Lazio. Come è “normale” che sia in un paese patetico come questo, in cui ai piani alti della società, mentre si esibisce la protervia modernizzatrice, serpeggia una ottocentesca paura del “popolo” – sempre evocato, omaggiato, blandito, ma sotto sotto temuto per le sue imprevedibili reazioni. Le élite italiane sono oggi così deboli, prive di autorità e di egemonia, che ormai l’azione di governo si esercita solo attraverso il comando amministrativo, la decretazione d’urgenza a cui segue, di solito, l’ammucchiata bi-partisan. Sul piano sociale, questa debolezza si manifesta in tante vertenze sindacali o territoriali: tra i Palazzi del potere e le comunità (critiche o rancorose) spesso c’è solo una sfilza di celerini. Niente altro in mezzo. Nessun potere può reggere a lungo su una base di consenso così fragile: un po’ di truppe in camice bianco (i chierici delle varie corporazioni di regime), un po’ di truppe in divisa blu, e in mezzo uno sparuto drappello in giacca e cravatta che twitta moniti e minacce, isolato e intimorito.Una nota finale sulla questione delle libertà. Il sistema tardo-liberale fa di questa parola la sua fonte di legittimazione e la sua bandiera: si va in Afghanistan a liberare le donne in burqa, si svende il patrimonio pubblico per liberalizzare l’economia, si ridisegna tutto il quadro dei diritti individuali per allargare la libertà della persona. Ma se c’è un opzione o un diritto collettivo che cozza con gli imperativi del mercato (vedi la libertà di scelta terapeutica) la reazione del sistema è feroce come un missile Hellfire che piomba su una festa di matrimonio a Kandahar: la retorica pubblica sulle libertà, viene sostituita dalla riemersione delle vecchie care parole d’ordine della società disciplinare – proibire, censurare, espellere, ingabbiare, controllare. Le retoriche del politicamente corretto, del contrasto al populismo, delle isterie securitarie, si sostituiscono in un battibaleno alle ciance sulla libertà e i diritti. Se hai abbastanza soldi puoi farti fare un figlio con maternità surrogata da una disgraziata in Romania: ma se il pupo si vaccina o no (ciò che attiene alle grandi scelte di salute pubblica e business) questo lo decideranno loro.(Giovanni Iozzoli, “La libertà ai tempi del morbillo”, da “Carmilla Online” del 20 maggio 2017).Cosa c’entra la questione vaccini con la crisi dell’Alitalia? Niente. O forse molto. Dipende dalla capacità di leggere nessi forse nemmeno tanto nascosti. Da ormai due anni è in atto una forsennata campagna di allarmismo terroristico nei confronti dell’opinione pubblica basata sulla necessità di incrementare le vaccinazioni di massa, giudicate in leggera flessione statistica. Non questo o quel vaccino in particolare: ma tutti, sempre, per qualunque problema. Si è partiti con articoli e interviste allarmanti sulle epidemie prossime venture (inesistenti picchi di meningite e pandemie di morbillo), si è continuato con lettere intimidatorie delle Asl a casa dei genitori riluttanti, si arriva al capitolo finale, con una legge in incubazione che vieterà l’ingresso a scuola ai non vaccinati e, quindi, obbligherà di fatto, l’intera popolazione giovanile ad adempiere al diktat. Ok, ma l’Alitalia? Ci arriviamo. Il fatto che molte famiglie abbiano scelto in questi anni di non vaccinare i figli e si ostinino a difendere la loro scelta, nonostante il dispiegamento di questa feroce campagna (senza precedenti), è solo un’altra manifestazione di quella diffusa “sfiducia nelle élite”, che è un dato costante e caratteristico di questa epoca.
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Coi vaccini cresce la mortalità infantile, lo dice la sanità Usa
E’ ufficiale: i vaccini aumentano il tasso di mortalità infantile. Lo afferma l’istituto nazionale di sanità Usa, un’agenzia del dipartimento della salute. «Il dibattito sui vaccini va riaperto: esistono pericoli mortali e ignorati, con prove terrificanti», afferma Paolo Barnard, che ha scovato uno studio governativo del 2011 condotto da due ricercatori, Neil Miller e Gary Goldman, del “National Center for Biotechnology Information”, una costola delle “National Institutes of Healths”. Un allarme clamoroso: da studi statistici emerge che il rapporto tra vaccinazioni e salute è inversamente proporzionale. In altre parole: più sono i vaccini inoculati, più crescono la mortalità infantile e la “Sids”, sindrome del decesso improvviso infantile. Un sasso nello stagno, lo studio – largamente ignorato – di Miller e Goldman, condotto in un paese come gli Usa, che impone la somministrazione di 26 dosi-vaccino (ma lasciando ai genitori libertà di obiezione salvo in due Stati, Mississippi e West Virginia). L’analisi però si estende al resto del mondo. E si scopre che, anche nei paesi più poveri, in Africa e in Asia, la mortalità infantile cresce, anziché diminuire, proprio là dove si iniettano più vaccinazioni.L’analisi della regressione lineare della mortalità infantile media, scrivono i due ricercatori americani, «ha mostrato un’alta correlazione statistica significativa fra l’aumento del numero delle dosi-vaccino e l’aumento dei tassi di mortalità infantile». Già in premessa, gli studiosi raccomandano: «E’ essenziale che si faccia uno “screening” urgente della correlazione fra le dosi-vaccino, la loro tossicità biochimica o sinergistica, e il tasso di mortalità infantile». Secondo Barnard, «lo studio fa a pezzi Bill Gates»: se pensiamo ai bambini del terzo mondo, ci informa che di gran lunga la maggior causa di mortalità infantile non ha nulla a che vedere con le classiche malattie dell’infanzia, ma con la malnutrizione: li ammazza la fame». E qui, aggiunge Barnard, viene una clamorosa smentita al “teorema Bill Gates”, che proclama le vaccinazioni di massa nei paesi poveri come via di salvezza dei bimbi. Nei paesi poveri le vaccinazioni sono diffusissime, anche con tassi superiori al 90%, «eppure hanno lo stesso una “Imr” tragica». Per “Imr” si intende “Infant Mortality Rate”. «Per dare un termine di paragone, la “Imr” degli Usa è 6,2 morti su 1.000 parti; il Gambia obbliga i bambini a 22 dosi di vaccini, ma la “Imr” è di 68,8. La Mongolia somministra lo stesso numero di dosi vaccini, con “Imr” di 39,9».«Questo – scrivono Miller e Goldman – prova che la “Imr” in molto del terzo mondo ha assai più a che fare con la malnutrizione, acqua infetta, e sistemi sanitari carenti. Non l’assenza di vaccini». Peggio ancora: «Abbiamo scoperto che anche nei paesi in via di sviluppo esiste una relazione inversamente proprorzionale fra il numero dei vaccini somministrati e la “Imr”: le nazioni con la peggiore mortalità infantile sono quelle che somministrano ai bambini il maggior numero di vaccini». Lo studio torna all’Occidente ricco: gli hanno visto pochissimi progressi nel tasso di mortalità dall’anno 2000, e le tradizionali cause (complicanze da parto), secondo i due ricercatori «non spiegano questo fenomeno». Miller e Goldman fanno notare che, nel 2009, cinque delle 34 nazioni con il miglior tasso di “Imr” richiedevano solo 12 dosi-vaccino, il numero minore, mentre gli Stati Uniti ne richiedevano 26, il maggior numero al mondo. Tutto ciò, concludono, ci fornisce «la prova di una correlazione positiva: “Imr” e dosi-vaccino tendono a crescere assieme».Bimbi morti e vaccini vanno di pari passo, sottolinea Barnard, riportando un’altra frase-chiave dello studio: «Fra le 34 nazioni ricche analizzate, quelle che richiedono il più alto numero di vaccini, tendono ad avere la peggior “Imr”». Stessa tendenza per il “decesso improvviso infantile”, in gergo “Sids”, cioè “Sudden Infant Death Syndrome”. «Prima dei programmi di vaccinazione – afferma lo studio governativo Usa – la “Sids” era così rara che neppure veniva citata nelle statistiche della “Imr”», la mortalità infantile. E la tempistica è altrettanto allarmante: «Negli Usa le campagne di immunizzazione nazionali iniziarono nel 1960, e per la prima volta nella storia i nostri bambini furono vaccinati contro difterite, pertosse, tetano, polio, morbillo, orecchioni e rosolia. Improvvisamente – continuano Miller e Goldman – nel 1967 la medicina clinica coniò una nuova forma di mortalità infantile, la “Sids”. E dal 1980, la “Sids” è divenuta la maggior causa di mortalità post-neonatale in America». Uno studio citato dai due ricercatori «scoprì che 2/3 degli infanti morti di “Sids” erano stati vaccinati contro difterite-pertosse-tetano appena prima di morire».Secondo altri ricercatori citati, Fine e Chen, «i bambini muoiono di “Sids” a un tasso quasi 8 volte superiore alla norma entro 3 giorni dall’inoculazione contro difterite-pertosse-tetano». Un terzo studio documenta il caso di un infante di tre mesi, morto di “Sids” dopo una inoculazione di 6 vaccini contemporaneamente: «Questo caso ci offre un allarme unico nel capire il possibile ruolo di queste vaccinazioni nel causare morti improvvise in bambini vulnerabili». Infatti, avvertono gli scienziati, «senza studi anatomopatologici su larga scala di questi decessi infantili, alcuni casi chiaramente correlati alle vaccinazioni verranno ignorati». Queste informazioni, sottolinea Barnard, sono «documentazione scientifica ufficiale al più alto livello sanitario tecnologico del mondo, quello degli Usa», il cui governo è anche «il promotore mondiale dei vaccini». E lo studio è del 2011: «Loro sapevano che i vaccini possono uccidere».E’ ufficiale: i vaccini aumentano il tasso di mortalità infantile. Lo afferma l’istituto nazionale di sanità Usa, un’agenzia del dipartimento della salute. «Il dibattito sui vaccini va riaperto: esistono pericoli mortali e ignorati, con prove terrificanti», afferma Paolo Barnard, che ha scovato uno studio governativo del 2011 condotto da due ricercatori, Neil Miller e Gary Goldman, del “National Center for Biotechnology Information”, una costola dei “National Institutes of Healths”. Un allarme clamoroso: da studi statistici emerge che il rapporto tra vaccinazioni e salute è inversamente proporzionale. In altre parole: più sono i vaccini inoculati, più crescono la mortalità infantile e la “Sids”, sindrome del decesso improvviso infantile. Un sasso nello stagno, lo studio – largamente ignorato – di Miller e Goldman, condotto in un paese come gli Usa, che impone la somministrazione di 26 dosi-vaccino (ma lasciando ai genitori libertà di obiezione salvo in due Stati, Mississippi e West Virginia). L’analisi però si estende al resto del mondo. E si scopre che, anche nei paesi più poveri, in Africa e in Asia, la mortalità infantile cresce, anziché diminuire, proprio là dove si iniettano più vaccinazioni.
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“Danni da vaccini? Niente paura, paga il ministro Lorenzin”
«Niente paura, i vaccini sono sicuri. Tant’è vero che, se dovessero sorgere problemi di salute in seguito all’inoculo, ne risponderei personalmente io, Beatrice Lorenzin, il vostro ministro». Scherzi a parte: se la sentirebbe, la Lorenzin, di firmare un documento del genere, rivolto ai milioni di genitori che ora il governo Gentiloni costringe a far super-vaccinare i figli, con ben 12 vaccinazioni obbligatorie (caso unico al mondo), sotto pena di sanzioni pesantissime, fino alla revoca della patria potestà? E’ quello che si domanda Massimo Mazzucco, che ha steso una “lettera aperta al ministro della salute”, nella quale invita la Lorenzin a sottoscrivere una garanzia di assoluta incolumità per i bambini, anche neonati, che – in virtù del clamoroso decreto d’urgenza di Palazzo Chigi – dovranno essere sottoposti a un piano di super-vaccinazione che non ha precedenti nella storia dell’umanità, nonostante le enormi perplessità che, in ambito medico-scientifico, stanno crescendo sui vaccini: molti dei quali appaiono inutili, alcuni probabilmente anche nocivi a causa delle sostanze neuro-tossiche in essi contenuti.«Gentile Ministro Lorenzin», esordisce Mazzucco, «lei condivide, insieme a gran parte dell’accademia scientifica, la posizione che “i vaccini sono sicuri”, e che “non esiste correlazione fra vaccini pediatrici e gravi disordini di tipo neurologico, come ad esempio l’autismo o altre malattie dello sviluppo”». E ora, continua Mazzucco su “Luogo Comune”, sempre rivolgendosi alla Lorenzin, «il suo governo vuole introdurre l’obbligatorietà vaccinale a livello nazionale, triplicando nel contempo il numero dei vaccini obbligatori». E dato che «l’imposizione di un obbligo di questo tipo comporta anche delle responsabilità da parte di chi lo impone», sottolinea Mazzucco, «la invitiamo a dimostrare con i fatti ciò che finora ha sostenuto a parole, firmando pubblicamente la dichiarazione che segue». Eccola: “Io sottoscritta Beatrice Lorenzin, in qualità di ministro della salute della repubblica italiana, mi assumo personalmente ogni reponsabilità che potesse derivare dall’inoculazione vaccinale obbligatoria ad un qualunque bambino italiano, qualora questo bambino dovesse subire dei gravi danni di tipo neurologico, certificati da un tribunale della repubblica italiana, in seguito a tale inoculazione”.In questo modo, continua Mazzucco, «non solo potrà rassicurare tutte le mamme italiane che oggi si preoccupano per la salute dei propri figli, ma potrà anche fugare il diffuso sospetto che l’introduzione dell’obbligo vaccinale (con contemporanea triplicazione del numero minimo) non sia affatto una esigenza di tipo sanitario, ma piuttosto un grosso regalo fatto dal nostro governo alle case farmaceutiche». E a proposito: ogni volta che la ministra ripete pubblicamente che “i vaccini saranno gratuiti”, «si ricordi anche di specificare che saranno certamente gratuiti per chi effettua la vaccinazione, ma che il costo di tali vaccinazioni sarà comunque pagato alle case farmaceutiche dallo Stato italiano, e quindi da tutti noi cittadini», conclude Mazzucco. «Da una parte quindi ci obbligate a vaccinarci, e dall’altra ci obbligate a pagare, con i soldi delle nostre tasse, il conto – triplicato – alle case farmaceutiche».«Niente paura, i vaccini sono sicuri. Tant’è vero che, se dovessero sorgere problemi di salute in seguito all’inoculo, ne risponderei personalmente io, Beatrice Lorenzin, il vostro ministro». Scherzi a parte: se la sentirebbe, la Lorenzin, di firmare un documento del genere, rivolto ai milioni di genitori che ora il governo Gentiloni costringe a far super-vaccinare i figli, con ben 12 vaccinazioni obbligatorie (caso unico al mondo), sotto pena di sanzioni pesantissime, fino alla revoca della patria potestà? E’ quello che si domanda Massimo Mazzucco, che ha steso una “lettera aperta al ministro della salute”, nella quale invita la Lorenzin a sottoscrivere una garanzia di assoluta incolumità per i bambini, anche neonati, che – in virtù del clamoroso decreto d’urgenza di Palazzo Chigi – dovranno essere sottoposti a un piano di super-vaccinazione che non ha precedenti nella storia dell’umanità, nonostante le enormi perplessità che, in ambito medico-scientifico, stanno crescendo sui vaccini: molti dei quali appaiono inutili, alcuni probabilmente anche nocivi a causa delle sostanze neuro-tossiche in essi contenuti.
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Armi silenziose per guerre tranquille, mentre noi dormiamo
Guardare una città dall’alto è come vedere un grande formicaio, migliaia di persone viaggiano freneticamente senza mai fermarsi a chiedersi perché corrono. Le scadenze, il lavoro e il tempo le tiene prigioniere mentre tutto intorno a loro sembra essere fermo e statico: ognuno di noi vive un mondo, quello ufficiale in cui vige la morale religiosa, la legge dei “buoni” e l’economia del business. In realtà noi siamo intrappolati in un altro mondo, quello ufficioso, in cui la democrazia non esiste più perché il potere lo hanno attribuito alle istituzioni sovranazionali, la libertà è un’illusione perché il controllo dei nostri istinti e dei nostri pensieri è già in atto, e la legge è quella del Governo Mondiale che mediante le sue sfere di controllo gestisce il sistema. La cibernetica è la nuova scienza sociale, è lo schema per controllare i sistemi complessi come quello nostro, in cui il biologico e l’economico si fondono. Un sistema cibernetico equilibrato crea una struttura a celle, in cui gli elementi interagiscono in modo da aumentare il valore della produzione, e ha la grande proprietà dell’autoregolamentazione. In altre parole, è fatto in modo che dopo ogni azione si attivi subito una contro-reazione, un evento che si dirige verso uno scenario crea automaticamente le condizioni per un evento con tendenza inversa che annulla il primo…È un ecosistema vero e proprio, un essere che vive, perché è in grado di far fronte da solo alle situazioni che mettono in discussione la sua esistenza. Sistemi del genere hanno una grande stabilità nel tempo, e possono funzionare bene solo se li guida un codice etico, un obiettivo che sia nell’interesse di tutti gli uomini. Questo tuttavia non sta accadendo, perché l’intero sistema lavora per soddisfare gli interessi di una classe ben più ristretta, degli Illuminati, degli dèi che non permetteranno mai che la scienza liberi il popolo. Ora utilizzano contro le popolazioni inermi delle armi biologiche, spingono gli uomini a non vivere ma a sopravvivere, invece di gettare proiettili mettono catene tramite i data base; invece di inviare soldati, innescano delle bombe tramite dei computer e sotto gli ordini dei vostri generali, che sono i banchieri. Certamente non fanno niente di evidente, perché non vediamo esplosioni oppure danni fisici, ma la nostra vita sociale viene distrutta ogni giorno dal finto progresso. Le masse e il pubblico non potranno mai capire quest’arma e dunque non potrà credere che non siamo realmente attaccati, se non avviene un fatto criminoso reale.Pensate a che fino ha fatto la democrazia: lei non esiste più ma nessuno lo dice. Il margine di azione degli Stati è sempre più ridotto dagli accordi economici internazionali sui quali non è stato chiesto l’opinione dei cittadini del mondo. Una sospensione proclamata della democrazia avrebbe provocato una rivoluzione, e se non è successo è perché è stato deciso di mantenere una democrazia di facciata: i cittadini continuano a votare, i programmi politici di “destra” e di “sinistra” sono gli stessi. Le elezioni, i telegiornali continuano di esistere, ma sono stati svuotati del loro contenuto. Un telegiornale contiene al massimo 2 a 3 minuti di cronaca sui fatti del giorno, mentre il resto sono argomenti di facciata, di reality-show sulla vita quotidiana. Le analisi dei giornalisti specializzati sono state eliminate, e l’informazione passa attraverso la censura, che consiste non nell’omettere le notizie ma nell’annegarle in un diluvio di notizie insignificanti diffuse da una moltitudine di mezzi con contenuto simile in modo che sembra esistere la pluralità e la democrazia.Tutta la finezza della censura moderna risiede nell’assenza di censori. Questi sono stati sostituiti efficacemente dalla “legge del mercato”, che fornisce i mezzi per finanziare il lavoro di inchiesta. Eventi importanti saranno lievemente accennati, e poi affiancati a notizie di inutili, mentre un attentato verrà trattato con reportage sulle strade e tra le persone per esagerare il dramma. Le informazioni vengono presentate con una tale confusione, affiancate tra di loro anche se di diversa importanza, e questo non permette la memorizzazione delle notizie, che rimangono della mente dello spettatore solo se presentate in modo strutturato e catalogato. Una peggiore memorizzazione colpisca la popolazione con l’amnesia, in modo da essere più semplice da manipolare… La manipolazione mediatica è solo uno degli elementi della strategia del “diversivo”, che consiste nel deviare l’attenzione dal pubblico dai problemi importanti, con una marea continua di distrazioni: tenere il pubblico occupato per creare armi silenziose per guerre tranquille. Questa strategia è indispensabile per impedire il pubblico di interessarsi alle conoscenze essenziali della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia, e infine della cibernetica.Per rendere efficace quest’arma silenziosa occorre innanzitutto mantenere il pubblico ignorante dei principi di base della conoscenza. Per creare l’ignoranza, la creatività e le attività mentali sono stati sabotati fornendo dei programmi di educazione di bassa qualità in matematica, logica, di economia. Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella stupidità; fare in modo che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi utilizzati per il suo controllo e la sua schiavitù. La qualità dell’educazione data alle classi inferiori deve essere bassa in modo tale che l’ignoranza isoli le classi inferiori dalle classi superiori; le persone vengono incoraggiate in pubblico a cullarsi nella mediocrità, o nell’essere stupide, volgari e incolte. Alla fine l’individuo si convincerà che lui è il solo responsabile della sua disgrazia, a causa dell’insufficienza della sua intelligenza, delle sue capacità, o dei suoi sforzi. Così, invece, al posto di rivoltarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto-svaluta e si colpevolizza e generando in lui uno stato depressivo che inibisce ogni reazione, dunque nessuna rivoluzione.La regola generale è che c’è un profitto nella confusione; più la confusione è grande, più il profitto è grande: il migliore approccio è di creare dei problemi, e poi di offrire delle soluzioni, con uno schema “problema-reazione-soluzione”. Per fare accettare una misura inaccettabile, basta applicarla progressivamente, in maniera graduale, per una durata di 10 anni; avrebbe provocato una rivoluzione se fosse stata applicata brutalmente. In alternativa, una decisione impopolare per essere accettata deve essere presentata come “dolorosa ma necessaria”, ottenendo in consenso presente per un’applicazione nel futuro: è sempre più facile accettare un sacrificio futuro che non un sacrificio immediato, anche perché si spera sempre che “in futuro tutto andrà meglio”. Pensate all’euro, e riflettete su quello che è stato ieri, quello che è oggi, e vedrete anche cosa sarà domani. Per circuire l’analisi razionale e il senso critico degli individui è sufficiente far leva sul piano emozionale: le porte dell’inconscio degli individui si spalancheranno, e allora potranno essere immesse idee, desideri, paure.Questo, grazie al fatto che conoscono l’individuo meglio di quanto lui possa conoscere se stesso; grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” è giunto ad una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psicologicamente. Il sistema è arrivato a conoscere l’individuo medio meglio di quanto questo non si conosca da sé. Ciò significa che nella maggioranza dei casi, il sistema detiene un più grande controllo ed un più grande potere sugli individui, superiore al potere e al controllo che gli individui hanno su se stessi. Se siete in cerca di una prova, non cercate la risposta al di fuori di voi stessi ma dentro di voi. Chiedetevi come faranno a impiantare le pulci e i chip nel nostro corpo, o meglio, chiedetevi cosa oggi stanno facendo per realizzare l’impianto delle pulci. Stanno nascondendo i trapianti ad uso medico, per diminuire la diffidenza istintiva della gente sull’intrusione della macchina nel corpo, viene promossa la moda dei piercing, per abituare il la gente all’intrusione degli oggetti materiali nel corpo, viene reso obbligatorio il trapianto per l’identificazione degli animali domestici.Potrebbero anche organizzare, o lasciare organizzare, un attentato nucleare in una città occidentale per rendere obbligatori i trapianti di localizzazione e di identificazione per ogni individuo, in nome della “sicurezza” e della “lotta contro il terrorismo”… Pensateci bene, riflettete, non sarebbe tanto assurdo parlare di una città europea, che possiede il nucleare, e ha già subito minacce terroristiche, in un periodo di gravi scontri ideologici tra diverse culture religiose. Tutti nel profondo della loro coscienza sanno che qualcosa non va. Voi lo sapete ma non potete esprimervi, non potrete mai affrontare questo problema intelligentemente, perché è un’arma biologica, che non permetterà che gridiate e chiediate aiuto, perchè non sapete associarvi ad altri per difendervi. Questo veleno è iniettato lentamente fino ad indurre tutti ad adattarsi anche alla sua presenza, per cominciare a tollerare le sue ripercussioni fino a che la pressione psico-economica alienerà la vostra mentre, e quando noi resistere più lentamente vi abbandonerete al suicidio o asseconderete in sistema. Attacca le capacità, le opportunità degli individui della società, la loro mobilità, per manipolali; infetta le vostre fonti di energia sociali e naturali, le vostre forze deboli psichiche, mentali e emozionali. Guardate la vostra vita ed i vostri sacrifici, sarete tutti complottisti…(“Armi silenziose per guerre tranquille”, dal blog “Etelboro” del 20 settembre 2006).Guardare una città dall’alto è come vedere un grande formicaio, migliaia di persone viaggiano freneticamente senza mai fermarsi a chiedersi perché corrono. Le scadenze, il lavoro e il tempo le tiene prigioniere mentre tutto intorno a loro sembra essere fermo e statico: ognuno di noi vive un mondo, quello ufficiale in cui vige la morale religiosa, la legge dei “buoni” e l’economia del business. In realtà noi siamo intrappolati in un altro mondo, quello ufficioso, in cui la democrazia non esiste più perché il potere lo hanno attribuito alle istituzioni sovranazionali, la libertà è un’illusione perché il controllo dei nostri istinti e dei nostri pensieri è già in atto, e la legge è quella del Governo Mondiale che mediante le sue sfere di controllo gestisce il sistema. La cibernetica è la nuova scienza sociale, è lo schema per controllare i sistemi complessi come quello nostro, in cui il biologico e l’economico si fondono. Un sistema cibernetico equilibrato crea una struttura a celle, in cui gli elementi interagiscono in modo da aumentare il valore della produzione, e ha la grande proprietà dell’autoregolamentazione. In altre parole, è fatto in modo che dopo ogni azione si attivi subito una contro-reazione, un evento che si dirige verso uno scenario crea automaticamente le condizioni per un evento con tendenza inversa che annulla il primo…
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Errore medico: terza causa di morte, dopo cuore e cancro
«Ce ne siamo già occupati altre volte in passato: gli errori medici sono la terza causa di morte nel mondo occidentale, dopo le malattie cardiovascolari e il cancro». Quello che esce da un recente studio pubblicato dal “British Medical Journal” ha però dell’incredibile: l’errore medico non è incluso nei certificati medici e nelle statistiche riguardanti le cause di morte. «Questo significa una sola cosa: i numeri delle morti che noi tutti conosciamo sono sottostimati», afferma il nutrizionista Marcello Pamio, autore di svariati saggi sullo stretto rapporto fra alimentazione e salute. Morte provocata dal medico che sbaglia? «Le cause iatrogene potrebbero risalire il podio diventando la seconda o addirittura la prima causa di morte al mondo». Ovviamente i media tacciono, accusa Pamio: «Argomento tabù, gli sponsor sono sacri. Farmaci killer spietati? Assolutamente no, le droghe non si toccano, gli interessi economici sotterrano le morti che passano in secondo piano. Esattamente come i morti civili nelle guerre: danni collaterali. Oggi la realtà è la seguente: probabilmente i farmaci uccidono più delle guerre».A fare un po’ di luce sono due importanti ricercatori, Martin Makary e Michael Daniel, che hanno cercato di stimare il contributo dell’errore medico sul tasso di mortalità americano. L’oncologo Makary, in forza al prestigioso John Hopkins Hospital di Baltimora, nel Maryland, ha pubblicato studi sull’importanza della trasparenza nella sanità, ed è lo sviluppatore della “checklist” post-operatoria, precursore della “checklist” chirurgica istituita dall’Oms. Daniel è un suo allievo, specializzato nella ricerca per la sicurezza del paziente, anche in relazione all’analsi dell’efficienza del servizio sanitario. La loro ricerca risale al 2016 ed è stata pubblicata il 3 maggio scorso dalla prestigiosa rivista britannica. La lista annuale delle cause più comuni di morte negli Stati Uniti, spiega Pamio su “Disinformazione.it”, è stilata dal Cdc, il Centro di controllo e prevenzione delle malattie: è un elenco composto dai certificati di morte compilati da medici, agenzie funebri e medici legali. Uno dei maggiori limiti del certificato di morte è che fa affidamento al codice Icd, quello dell’assegnazione internazionale della classificazione delle patologie mortali. «Ciò che ne risulta è che le cause di morte non associate ad un codice Icd, come ad esempio fattori legati a errori dell’uomo o del sistema, non vengono menzionati», sottolinea Pamio.Dal Cdc sono comunque partiti i due ricercatori, che hanno analizzato la letteratura scientifica sugli errori medici, per identificare il loro “contributo” nella mortalità ai danni della popolazione negli Usa. L’errore medico? E’ stato definito «un atto inconsapevole», oppure «un processo che non raggiunge il risultato aspettato (errore di esecuzione)». O, ancora, un «errore di pianificazione» nella terapia, fino a «una deviazione del processo di cura». Il danno al paziente? «Può provenire da un errore medico a livello individuale o di sistema». Errare è umano, ovviamente. Ma, mentre molti sbagli non portano a conseguenze gravi, in altri casi invece una sola svista può bastare a determinare la morte dello sfortunato paziente. Pamio cita – tra i tantissimi – il caso di una giovane donna, inizialmente rimessa in sesto grazie a un delicato trapianto, ma poi morta (come appurato dall’autopsia) a causa di un ago che, durante un rilievo diagnostico profondo, le aveva lesionato il fegato. «Il certificato di morte riportò, però, che la causa del decesso era da ricondursi ad una patologia cardiovascolare della paziente». Quindi, il fatale errore medico “scomparve” dalle statistiche.Quanto è grande il problema? Negli Stati Uniti, spiega Pamio, la più comune fonte che riporta stime di decessi annuali causati da errori medici è un report datato 1999, «molto limitato e obsoleto», firmato dallo Iom, Istituto di Medicina. Il report descrive una media tra i 44.000 e i 98.000 decessi annuali. Le cifre però non si basano su una ricerca primaria condotta dall’istituto, ma su uno studio di pratica medica condotto ad Harvard nel lontano 1984, più uno secondo studio più recente, del 1992, condotto in Utah e in Colorado. Già nel 1993, Lucian Leape, un investigatore che si occupava dello studio di Harvard, pubblicò un articolo secondo il quale le stime riportate nel primo storico report erano troppo basse, sostenendo che il 78% anziché il 51% delle 180.000 morti “iatrogene” effettivamente riscontrate erano evitabili, senza contare poi che alcuni sostengono che tutte le morti causate dal medico siano evitabili. «Questa incidenza più elevata – aggiunge Pamio – è stata conseguentemente supportata da studi che affermano che il report Iom del 1999 ha sottostimato l’entità del problema». Un altro report del 2004, riguardante i decessi di pazienti ricoverati sempre negli Usa, stima che oltre mezzo milione di decessi (575.000) siano stati causati da errori medici tra il 2000 e il 2002, vale a dire circa 195.000 morti all’anno. Una conferma viene dal ministero statunitense della salute, che – basandosi su parziali rilevazioni d’archivio aggiornate solo fino al 2009 – arriva a contare 180.000 decessi, dovuti a errori medici, sempre in relazione a pazienti ricoverati in strutture ospedaliere.«Se questa media venisse applicata a tutte le ammissioni registrate negli ospedali statunitensi nel 2013 – ne deduce Marcello Pamio – il numero delle morti diventerebbe più di 400.000 all’anno, e cioè 4 volte maggiore alle morti stimate dallo Iom». Specialisti come Classes e Landrigan hanno cooperato a pubblicazioni riguardanti la sicurezza del paziente, scoprendo che lo 0,6% delle ammissioni ospedaliere nella Carolina del Nord, nell’arco di 6 anni (2002-2007), sono risultate letali a causa di eventi avversi: ed è stato stimato che il 63% fosse causato da errori medici. «Riportati ad una media nazionale, questi dati si traducono in 134.581 morti annuali di pazienti a causa di una scarsa cura». Da notare inoltre che nessuno di questi studi menziona le morti di pazienti curati esternamente, assistiti a casa o in ambulatori e cliniche private. «Noi – scrive Pamio – abbiamo calcolato una media di decessi causati da errori medici di 251.454 per anno, utilizzando gli studi sviluppati sul report dell’Iom del 1999, valutando anche le ammissioni ospedaliere registrate nel 2013 negli Stati Uniti», e restando ai soli pazienti ricoverati in ospedale.«Nonostante le nostre supposizioni fatte estrapolando dati di studi effettuati sul più ampio range di popolazione statunitense possibile – continua Pamio – emerge sempre di più la quasi totale assenza di dati nazionali evidenti e la conseguente necessità di una sistematica analisi di questo problema». Verificando le stime del Cdc, il centro clinico di controllo e prevenzione Usa, «se ne deduce che gli errori medici sono la terza causa più comune di decessi negli Stati Uniti». Una classifica impietosa, quella aggiorata al 2013: i decessi per malattie cardiache sono 611.000 e quelli per cancro 585.000, mentre i morti da “errore medico”, in ospedale, sono 251.000. «Gli errori medici che conducono alla morte del paziente – aggiunge Pamio – sono sottostimati e poco conosciuti anche in molti altri paesi, incluso il Regno Unito e il Canada». Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ben 117 nazioni codificano i decessi utilizzando la classifica standard Icd, che esclude l’errore umano. Al fenomeno va dato il giusto risalto, per «aumentare la consapevolezza e guidare alla collaborazione tra diverse realtà», investendo di più in termini di ricerca e prevenzione. E’ questo lo spirito che ha mosso i due autori dello studio pubblicato dal “British Medical Journal”, due prestigiosi specialisti – assicura Pamio – degni della massima fede.«Ce ne siamo già occupati altre volte in passato: gli errori medici sono la terza causa di morte nel mondo occidentale, dopo le malattie cardiovascolari e il cancro». Quello che esce da un recente studio pubblicato dal “British Medical Journal” ha però dell’incredibile: l’errore medico non è incluso nei certificati medici e nelle statistiche riguardanti le cause di morte. «Questo significa una sola cosa: i numeri delle morti che noi tutti conosciamo sono sottostimati», afferma il nutrizionista Marcello Pamio, autore di svariati saggi sullo stretto rapporto fra alimentazione e salute. Morte provocata dal medico che sbaglia? «Le cause iatrogene potrebbero risalire il podio diventando la seconda o addirittura la prima causa di morte al mondo». Ovviamente i media tacciono, accusa Pamio: «Argomento tabù, gli sponsor sono sacri. Farmaci killer spietati? Assolutamente no, le droghe non si toccano, gli interessi economici sotterrano le morti che passano in secondo piano. Esattamente come i morti civili nelle guerre: danni collaterali. Oggi la realtà è la seguente: probabilmente i farmaci uccidono più delle guerre».
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Incubo Fema: fronteggiare 6 milioni di ’superstiti’. Da cosa?
Campi di detenzione e soccorso, scorte di sopravvivenza, decine di migliaia di soldati addestrati alla guerra domestica, antisommossa. E poi enormi concentrazioni di mezzi blindati, caricati su treni. E persino bare multiple, per milioni di persone, dislocate negli Usa. Voci che sul web si riconcorrono da anni e si vanno infittendo, come segnala Gabriele Lombardo, che su “Seven Network” parla della Fema, la Federal Emergency Management Agency, e della «mega emergenza, tra campi, bare, scorte, mezzi e altre stanezze», attorno al presunto iper-attivismo della protezione civile americana. Fonti? Esclusivamente «in rete, tra siti governativi, di protesta contro i campi, e notizie che arrivano da tutti i fronti (compresi video che ci mostrano queste zone con riprese aeree)». Fantasie? Incubi? Nel romanzo “La strada”, Cormac McCarthy mette in scena gli ultimi superstiti di un’umanità livida e pericolosa, devastata da una catastrofe apocalittica. Qualcuno si sta preparando a qualcosa di simile? «Ormai – scrive Lombardo – sono anni che sentiamo parlare di campi di concentramento e detenzione, dell’acquisto di bare a sei posti, di intere aree di cimiteri, di razioni liofilizzate a milioni, mezzi speciali. Ma di cosa stiamo parlando, realmente?».La domanda: «Cosa c’è in moto, e a cosa servono tutti questi preparativi ed accantonamenti di materiale? A cosa servono tutti questi campi e l’approvvigionamento di scorte alimentari e di beni di prima necessità, soccorso, sopravvivenza e via discorrendo?». “Seven Network” individua tre tipologie di “campi” sul territorio Usa: «Il primo tipo, in effetti, come dicono le voci complottistiche, sembra un campo di prigionia classico, il secondo sembra un campo di protezione e il terzo sembra addirittura un agglomerato urbano indipendente». Nel campo di primo tipo, «già visto nei “lager”e “gulag” rispettivamente tedeschi e sovietici», l’area è delimitata da cerchi concentrici di filo spinato militare, invalicabile. Nella seconda tipologia, invece, «non ci sono le sporgenze con il filo spinato dal lato interno, cosa che dimostra che è chi sta dentro a dover essere protetto da chi invece sta fuori dal campo». L’ospite, protetto con torrette e postazioni per mitragliatrici, «non viene considerato un possibile fuggitivo-prigioniero o una minaccia». Nel terzo tipo di campi Fema, poi, non ci sono nemmeno recinzioni vere e proprie. Al suo interno, anziché baracche in legno come nei precedenti, si trovano mezzi bianchi, camper e roulotte, oppure case prefabbricate antivento, anche’esse bianche, dotate di ogni comfort e circondate da canali idrici e aree coltivabili.«Negli ultimi due tipi di campi di cui abbiamo parlato, è presente una struttura centrale fortificata che sembra essere costruita per la difesa urbana estrema, e soprattutto nel caso dei campi di protezione (i terzi descritti), la fortificazione interna sembra poter ospitare per giorni molti civili e militari, dove check-point con tanto di ingressi con sbarre rotanti automatizzate e cemento armato ovunque, impediscono l’ingresso a chi non ha permessi per entrare». Per Lombardo, sembra di osservare «un tipico punto di controllo e smistamento persone delle aree a rischio terrorismo, guerra urbana e rivolte armate, come quelli già visti nello Stato d’Israele o dopo le guerre di Afghanistan e Iraq». Deduzione: «È probabile che i tre tipi di campi abbiano tre scopi differenti», come se il governo avesse «preparato vari tipi di piani di emergenza per tipi differenti di situazione». I documenti di emergenza della protezione civile statunitense contemplano «terremoti devastanti, eruzioni vulcaniche cataclismatiche, attacchi terroristici nucleari, epidemie incontrollabili, pandemie globali, guerra chimica e batteriologica, impatto di una grande meteora, multi-impatto meteoritico, mega-tsunami, black-out totale prolungato, militarizzazione del sistema con legge marziale, impiego dell’esercito per disarmo forzato dei civili, e tanto altro ancora».In effetti, aggiunge “Seven Network”, è possibile che in ogni zona degli Stati americani sotto un unico comando abbiano creato strutture differenti sul territorio per diverse situazioni verificabili, «e questo spiegherebbe in buona parte anche l’incredibile dislocamento e concentramento in punti precisi di mezzi militari, di mezzi da escavazione, di gruppi elettrogeni, potabilizzatori di acqua, e molti altri veicoli». Non va dimenticato che negli Usa ci sono altissimi rischi di cataclisma: uragani, inondazioni e tifoni. Dunque, «alcune procedure del Fema, così come alcuni assembramenti di mezzi, potrebbero essere giustificate». A inquietare, ovviamente, sono i numeri: perché tante bare? «Alcune fonti», sempre su web, «parlano di 500.000 bare da 6 posti ciascuno, ovvero contenitori per tre milioni di corpi», mentre «altre fonti» (non precisate) parlano addirittura di 6 milioni di bare “multiple”, cioè riservate a 36 milioni di corpi. Le classiche “fake news”? Un risvolto non verificabile, né confermato da nessuna fonte ufficiale, riguarda le voci del “sequestro”, da parte dell’esercito, di intere aree cimiteriali. Più precise invece le informazioni sulle bare, in materiale plastico, prodotrte dall’azienda Polyguard & Co che si occupa specificatamente di bare “sicure”, asettiche ed ermetiche, al riparo da infiltrazioni di qualsiasi genere.«Un’altra stranezza assurda – aggiunge Lombardo – è l’acquisto da parte di alcuni Stati americani di ghigliottine automatiche; risulta infatti, da documenti, che alcuni Stati ne hanno comprate per un totale di 200 unità, e questo apre scenari sconcertanti ed enigmatici». Altra “stranezza”, «l’acquisto di migliaia di mezzi antisommossa, e l’addestramento da parte del governo Usa di oltre 30.0000 soldati in guerra urbana». Tra le priorità dell’addestramento ci sarebbero «l’irruzione in casa, il blocco di persone in fuga, il disarmo con uso della forza dei civili, l’abbattimento di persone che minacciano i militari o altri civili con armi, le irruzioni elicotteristiche su circuito urbano e in mezzo al traffico autostradale, il trasporto e la scorta di gruppi di civili con mezzi blindati e treni speciali, l’uso di munizioni ad ogiva forata». “Seven Network” riferisce di esercitazioni a Houston e Los Angeles, dove «gli elicotteri hanno terrorizzato le persone bloccate in autostrada durante un’esercitazione sparando munizioni a salve», nei primi mesi del 2013. «In questi episodi, si simulava un’incursione sopra i civili incolonnati e bloccati in autostrada».Altre esercitazioni si sarebbero svolte «in città degli Stati del Sud», dove i militari in assetto antiterrorismo «irrompevano in abitazioni civili per snidare uomini armati che facevano resistenza». Poi c’è la grande concentrazione di mezzi, cresciuta a dismisura sotto la presidenza Obama: «Le testimonianze di persone che hanno parlato attraverso i media o principalmente divulgato informazioni in rete attraverso foto e video, hanno largamente dimostrato la presenza di mezzi militari antisommossa non solo statunitensi ma anche di altre nazioni in molte città americane, di mezzi militari da difesa e combattimento schierati nel deserto del Nevada e in quello della California, di intere caserme e aree adiacenti a quelle metropolitane». Si parla di «quantità incredibili di pale meccaniche, gruppi elettrogeni, camion da trasporto materiali, ruspe, potabilizzatori d’acqua, mezzi per il monitoraggio dell’inquinamento, per le telecomunicazioni satellitari e tanti altri tipi di velivoli strani ed inconsueti». Quanto all’accumulo di provviste, si stima possa servire a milioni di persone, con anche «kit medici, acqua potabile, coperte termiche, cibo in scatola», il tutto destinato a “superstiti”.Secondo Lombardo, «i campi Fema possono ospitare 42-48 milioni di persone, le bare e le sepolture della stessa agenzia ne possono ospitare 6-36 milioni a seconda del reale numero, le scorte di sopravvivenza sono calcolate per 6 milioni di superstiti, quelle di cibo se consideriamo i 10 giorni di razionamento a persona (tre pasti giornalieri ciascuno come specificato proprio dall’ente governativo) abbiamo pasti per più di 6 milioni di superstiti». Lombardo considera “gonfiato” il numero di persone ospitabili nei campi: «Considerando la quantità di campi presenti negli Stati Uniti e la loro grandezza, e non per ultimo il numero approssimativo di strutture al loro interno, possiamo certamente scendere a circa 6 milioni di persone». E quindi: 6 milioni di superstiti, reclusi-ospiti-protetti, da sfamare e da seppellire? «Sarà solo una teoria strampalata oppure è una concreta possibilità?».Campi di detenzione e soccorso, scorte di sopravvivenza, decine di migliaia di soldati addestrati alla guerra domestica, antisommossa. E poi enormi concentrazioni di mezzi blindati, caricati su treni. E persino bare multiple, per milioni di persone, dislocate negli Usa. Voci che sul web si riconcorrono da anni e si vanno infittendo, come segnala Gabriele Lombardo, che su “Seven Network” parla della Fema, la Federal Emergency Management Agency, e della «mega emergenza, tra campi, bare, scorte, mezzi e altre stranezze», attorno al presunto iper-attivismo della protezione civile americana. Fonti? Esclusivamente «in rete, tra siti governativi, di protesta contro i campi, e notizie che arrivano da tutti i fronti (compresi video che ci mostrano queste zone con riprese aeree)». Fantasie? Incubi? Nel romanzo “La strada”, Cormac McCarthy mette in scena gli ultimi superstiti di un’umanità livida e pericolosa, devastata da una catastrofe apocalittica. Qualcuno si sta preparando a qualcosa di simile? «Ormai – scrive Lombardo – sono anni che sentiamo parlare di campi di concentramento e detenzione, dell’acquisto di bare a sei posti, di intere aree di cimiteri, di razioni liofilizzate a milioni, mezzi speciali. Ma di cosa stiamo parlando, realmente?».
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Vinny Ooh: il primo “alieno” ex-umano, senza più i genitali
«Il mondo è bello perché è vario. Anche se a volte qualcuno esagera». È il caso di Vinny Ooh, 22enne americano che ha subito ben 110 operazioni chirurgiche per diventare “un alieno”. «Ora ha in programma un intervento per la rimozione dei genitali, dei capezzoli e dell’ombelico», riferisce Rachele Nenzi sul “Giornale”. «Voglio essere un essere alieno senza sesso», dice lui. «Voglio che il mio io interiore si rifletta all’esterno». Il suo obiettivo è quello di diventare un alieno “genderless”, letteralmente senze genere: né maschio, né femmina. Più precisamente, come ha dichiarato al “Daily Mail”: «Voglio essere un ibrido». Per provarci, da quando aveva 17 anni, ha speso oltre 50.000 dollari in operazioni di chirurgia plastica. «Voglio essere senza sesso e senza genere», ha ribaduto ai medici. «E sono stato fortunato», sostiene. Vinny fa il “make-up artist” a Los Angeles, scrive “Supereva”: «La sua vita sembrerebbe “normale”, se non fosse che il ragazzo ha un’idea fissa: «Il mio obiettivo – dice – è quello di cambiare la mentalità di tutti circa le “bambole umane”. Sto cercando di svegliare la gente per mostrare loro che i ruoli di genere nella società non importano e dimostrare che abbiamo bisogno di essere solo degli esseri umani migliori».La sua trasformazione, iniziata anni fa, non si è ancora completata. E ora, continua “Supereva”, Vinny sogna di diventare presto l’essere perfetto che ha sempre sognato. Nel frattempo si è sottoposto a oltre 100 interventi di chirurgia plastica e indossa quotidianamente lenti a contatto nere, unghie finte e parrucche. «L’immagine complessiva che voglio avere è quella di un alieno», insiste. «Voglio essere un ibrido, non maschio o femmina. Ho voluto essere senza sesso e senza genere da quando avevo 17 anni». E come farà senza più i genitali? «Potrei vivere senza organi sessuali, quindi perché dovrei avere un pene o una vagina?». Inoltre, sottolinea il “Giornale”, «per assomigliare di più a un alieno, o a quello che l’immaginario e il cinema ci hanno insegnato, indossa grandi lenti a contatto annerite e artigli». Per diventare “un alieno”, Vinny non ha badato a spese ed è finito numerose volte sotto i bisturi. Per lui, riassume “Supereva”, ci sono stati ben 12 interventi riempitivi alle guance, 5 operazioni al naso e 2 alla fronte, perché la conformazione del volto fosse simile a quella di un alieno (o almeno a come se lo immagina lui).Le labbra carnose invece sono il risultato di 5 “filler” per le labbra e diverse sedute di botox. Inoltre si è sottoposto a laser al viso e a 35 trattamenti in tutto il corpo. «E mentre negli Stati Uniti in tanti si scandalizzano e lo criticano per il suo comportamento bizzarro, lui sta già programmando la prossima operazione: prossimamente si farà rimuovere i capezzoli e l’ombelico, ma soprattutto gli organi genitali». Lo scopo di tutte queste operazioni? Secondo il giovane è quello di creare addirittura una nuova specie: «Vinny – racconta, parlando di sé in terza persona – è un alieno di una generazione di nuovi individui che vogliono un aspetto diverso». E azzarda una profezia: «Entro 15 anni, centinaia di persone inizieranno a voler sembrare come lui». Chiosa “Leonardo.it”: «Da oggi in poi, oltre all’alieno, simpatico, di “Avanti un altro”, ricordiamoci anche di Vinny, il ragazzo americano che ha fatto più di 110 operazioni chirurgiche per assomigliare sempre più a un essere extraterrestre». Viviamo strani giorni, cantava Battiato. Ma era solo il 1996: il futuro “alieno” di Los Angeles era appena nato e poppava il latte, come tutti i bebè.«Il mondo è bello perché è vario. Anche se a volte qualcuno esagera». È il caso di Vinny Ooh, 22enne americano che ha subito ben 110 operazioni chirurgiche per diventare “un alieno”. «Ora ha in programma un intervento per la rimozione dei genitali, dei capezzoli e dell’ombelico», riferisce Rachele Nenzi sul “Giornale”. «Voglio essere un essere alieno senza sesso», dice lui. «Voglio che il mio io interiore si rifletta all’esterno». Il suo obiettivo è quello di diventare un alieno “genderless”, letteralmente senze genere: né maschio, né femmina. Più precisamente, come ha dichiarato al “Daily Mail”: «Voglio essere un ibrido». Per provarci, da quando aveva 17 anni, ha speso oltre 50.000 dollari in operazioni di chirurgia plastica. «Voglio essere senza sesso e senza genere», ha ribaduto ai medici. «E sono stato fortunato», sostiene. Vinny fa il “make-up artist” a Los Angeles, scrive “Supereva”: «La sua vita sembrerebbe “normale”, se non fosse che il ragazzo ha un’idea fissa: «Il mio obiettivo – dice – è quello di cambiare la mentalità di tutti circa le “bambole umane”. Sto cercando di svegliare la gente per mostrare loro che i ruoli di genere nella società non importano e dimostrare che abbiamo bisogno di essere solo degli esseri umani migliori».
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Ecco perché Steve Jobs non lasciava usare l’iPad ai suoi figli
Un articolo pubblicato sul “New York Times” nel 2014 ha rivelato che il fondatore dell’Apple, Steve Jobs, insieme ad altri dirigenti di società tecnologiche, limitava ai propri figli l’utilizzo di dispositivi elettronici fino a proibirli. Secondo il giornale, in una delle sue interviste, Jobs affermò che i suoi figli non avrebbero utilizzato, una delle sue creazioni più popolari, l’ iPad. «Cerchiamo di ridurre al limite la quantità di tecnologia che i nostri figli possono usare a casa», ha detto il fondatore del colosso informatico. L’articolo rivela che un numero significativo di amministratori delegati di aziende tecnologiche, come Jobs, vivono secondo regole del tutto diverse da quelle suggerite, alla popolazione americana, dalle loro stesse aziende. Anche il Ceo della 3D Robotics, azienda produttrice di droni, Chris Anderson, ha il controllo totale sull’utilizzo di qualsiasi “gadget” dei suoi figli. Spiega questa sua scelta educativa perché ha vissuto «in prima persona i pericoli della tecnologia». «Non voglio che i miei figli passino la stessa cosa», ha confessato.Il fondatore di Twitter, Blogger e Medium, Evan Williams, e sua moglie, Sara Williams, per esempio, hanno regalato ai loro due bambini centinaia di libri che possono leggere quando vogliono invece che un iPad. Walter Isaacson, l’autore di “Steve Jobs”, afferma: «Ogni sera Steve faceva in modo di fare cena nel grande tavolo lungo nella loro cucina, discutendo di libri e storia e una varietà di cose. Nessuno ha mai tirato fuori un iPad o un computer. I bambini non sembrano richiedere per niente di tutti questi dispositivi». Secondo diversi studi clinici, l’utilizzo continuativo di dispositivi elettronici da parte dei bambini può portare a un aumento dei disturbi della vista e del sonno. Inoltre, i ricercatori ritengono che le frequenze wireless per la connessione a Internet usate dall’iPad e da altri tablet possano rappresentare potenziali rischi per la salute ed essere cancerogene.Questi dispositivi possono causare una diminuzione degli scambi tra il nucleo e la membrana cellulare, riducendo poco a poco la differenza di potenziale elettrico della cellula, causando così un malfunzionamento che può generare disfunzioni e malattie. Spesso infatti un luogo, reso insalubre dalla presenza di antenne per la telefonia mobile, di impianto elettrico e di cellulari, ha effetti biologici negativi sulla vita della persona: ne perturba l’energia e l’equilibrio individuale, provocando intolleranze e danni alla salute psicofisica e indebolendola nella sua totalità o funzioni di essa, anche solo in determinati periodi.Tra gli influssi nocivi più comunemente si notano malesseri di pertinenza neuropsicologica come sonno inquieto con frequenti risvegli e incubi, sonno non soddisfacente con sensazione di stanchezza o bassa energia mattutina, risveglio difficile e lungo, insonnia perniciosa, mancanza di concentrazione, stanchezza cronica, ricorrente mal di testa e di schiena, disturbi della colonna vertebrale, depressione atipica, inquietudine non spiegabile, sterilità, tachicardia e ipertensione essenziale, manifestazioni patologiche (senza accertate cause organiche) da sistema immunitario debilitato, emicranie resistenti alle terapie ufficiali frequentemente associate a irritabilità, brividi ed invecchiamento della pelle. Ciò avviene, con ampia variabilità individuale, in base alla sensibilità personale (più esposti sono i bambini e le donne), al livello di soglia di vulnerabilità allo stress e alla somma dei campi elettromagnetici negativi presenti nell’ambiente circostante.(Paolo Zucconi, “Ecco perché Steve Jobs non lasciava usare l’iPad ai suoi figli”; estratto da “Il manuale pratico del benessere”, edizioni Ipertesto, ripreso da “La Crepa nel Muro” il 9 dicembre 2016).Un articolo pubblicato sul “New York Times” nel 2014 ha rivelato che il fondatore dell’Apple, Steve Jobs, insieme ad altri dirigenti di società tecnologiche, limitava ai propri figli l’utilizzo di dispositivi elettronici fino a proibirli. Secondo il giornale, in una delle sue interviste, Jobs affermò che i suoi figli non avrebbero utilizzato, una delle sue creazioni più popolari, l’ iPad. «Cerchiamo di ridurre al limite la quantità di tecnologia che i nostri figli possono usare a casa», ha detto il fondatore del colosso informatico. L’articolo rivela che un numero significativo di amministratori delegati di aziende tecnologiche, come Jobs, vivono secondo regole del tutto diverse da quelle suggerite, alla popolazione americana, dalle loro stesse aziende. Anche il Ceo della 3D Robotics, azienda produttrice di droni, Chris Anderson, ha il controllo totale sull’utilizzo di qualsiasi “gadget” dei suoi figli. Spiega questa sua scelta educativa perché ha vissuto «in prima persona i pericoli della tecnologia». «Non voglio che i miei figli passino la stessa cosa», ha confessato.
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E se poi, un bel giorno, scopri che non era vero niente?
Perché l’oro è così importante? L’oro, non il ferro, l’argento, altri metalli. Perché si è scoperto che l’oro, incorruttibile, può isolare al 100% da radiazioni pericolose, provenienti da tecnologie avanzate. Lo affermano i controversi studiosi della cosiddetta paleo-astronautica, che si interrogano sul singolare interesse manifestato, per l’oro, da tutti gli “dèi” dell’antichità, chiamati Viracochas sulle Ande nel regno Inca, Túatha Dé Dànann in Irlanda, Elohim in Palestina, Annunaki in Mesopotamia, Theòi in Grecia, Vimana in India. E ancora: Kachinas in Arizona, Muxul nello Yucatan presso i Maya, Dogu in Giappone, Wakinyan in Nord America presso i Lakota Sioux, Nommo in Mali presso i Dogon. Una cosa è sicura: a un certo punto, nella storia, l’oro viene improvvisamente apprezzato e ricercato, estratto, lavorato, tesaurizzato, utilizzato come valore di scambio. Tutti quegli esseri appassionati all’oro, spesso chiamati Figli delle Stelle perché comparsi a bordo di formidabili mezzi volanti, raffigurati in sculture e altorilievi ancora oggi visibili un po’ in tutto il mondo, instaurarono dominazioni di tipo coloniale, imponendo sempre – alle popolazioni assoggettate – lo stesso “sacrificio” quotidiano: bruciare, per loro, il grasso (inizialmente dei neonati primogeniti, poi solo di agnelli) presente in prossimità di certi organi, fegato e reni.Grasso che, una volta bruciato, produce un fumo inebriante e “calmante”, come spiegano nella Bibbia i sudditi di Jahwè, uno degli Elohim dell’area palestinese, divenuto celebre attraverso il drammatico racconto biblico – Jahwè (o anche Jeohwà o Jihwì, a seconda delle vocalizzazioni convenzionali introdotte solo nel medioevo dai biblisti ebrei della scuola masoretica) era il dispotico, temutissimo padrone della famiglia di Giacobbe-Israele, poi successivamente trasformato, dalla teologia, addirittura in “Dio unico”. Nell’antica Roma, quello stesso grasso era chiamato “omentum”. Stesse disposizioni: era la parte “sacra”, cioè riservata esclusivamente agli “dèi”, perché fosse bruciata (quindi “sacrificata”) solo per loro, pena la morte dei trasgressori. Quel particolare grasso che sovrasta gli organi interni non è come l’adipe, provvisorio e accumulato con l’alimentazione, ma è un grasso stratificato fin dall’infanzia, addirittura dalla nascita. Se bruciato, confermano i chimici, produce un fumo che sprigiona molecole pressoché identiche a quelle delle endorfine, fortemente psicotrope, il cui odore ricorda il profumo appetitoso che si libera dal barbecue durante una grigliata.L’astronauta italiana Samantha Cristoforetti, di ritorno dallo spazio, ha dichiarato che, lassù, aleggia un odore di carne bruciata. Gli scienziati spiegano che quell’odore si diffonde, anche in un’astronave, man mano che si prolunga la missione, perché le condizioni ambientali all’interno del veicolo spaziale accelerano la morte di milioni di cellule epiteliali – morte che, appunto, produce quell’odore. Di recente, poi, ricercatori hanno scoperto che il vino rosso contiene una sostanza particolarissima, il resveratrolo, che protegge le ossa da svariate complicazioni, inclusa la “friabilità” che colpisce lo scheletro negli astronauti esposti a lunghi soggiorni orbitali. La Bibbia racconta che Jahwè beveva vino spesso e volentieri (fece impiantare una vigna a Noè, subito dopo lo sbarco dall’Arca), mentre i testi sumero-accadici riferiscono che gli Annunaki gradivano molto la birra. Elohim, Vimana e tutti gli altri: Figli delle Stelle? “Vimàn” era il nome di una compagnia aerea del Bangladesh, ricorda Mauro Biglino. “In India voliamo da tremila anni”, era uno slogan pubblicitario dell’Air India. El-Al è invece il nome della celebre compagnia israeliana.Se la tradizione rabbinica racchiusa nel Talmud ammette con assoluta tranquillità la presenza della manipolazione genetica nella Genesi – basta vedere come vennero al mondo Adamo ed Eva, disse il professor Safran, rabbino e docente universario di etica medica in Israele, all’epoca della clonazione della pecora Dolly – è davvero impossibile trascurare gli studi più recenti dei genetisti, che mettono in crisi l’evoluzionismo darwiniano: è come se fosse intervenuto qualcosa a “correggere” l’evoluzione, accelerandola – non solo per il Sapiens, ma anche per la pecora e la mucca, la patata, il grano. Cioè gli animali e i vegetali che popolavano il Gan Eden di cui parla la Bibbia, da cui i primi ibridi – Adamo ed Eva, appunto – furono allontanati preventivamente, prima cioè che potessero approfondire “le pratiche dell’albero della vita”, acquisendo cioè le medesime conoscenze, dunque il medesimo potere, dei loro “creatori”, gli Elohim, veri specialisti in genetica sperimentale, a quanto sembra.Emerge un’altra verità, dunque, sui cosiddetti “testi sacri”, da cui discende un impianto di pensiero – e di potere – almeno bimillenario. Non stupisce, quindi, il grande successo dei bestseller di Biglino, pubblicati anche da Mondadori, né l’entusiasmo delle centinaia di persone che affollano le sue frequentissime conferenze. Di Biglino si può apprezzare innanzitutto la correttezza, nella sua impostazione preliminare: non metto in discussione l’esistenza di Dio, ripete, perché non ho le certezze degli atei; mi limito a dimostrare che quella della Bibbia non è una divinità ma solo un Elohim, di cui la stessa Bibbia nomina almeno 20 “colleghi”, di equivalente status, senza peraltro mai spiegare il significato della parola Elohim, che nessuno al mondo conosce. Inoltre, nella Bibbia non sono presenti, mai, i concetti-chiave del monoteismo: creazione, eternità, immortalità, divinità. Il verbo tradotto con “creare” è Baraa, che significa dividere, separare (i cieli dalle acque, le acque dalle terre – Genesi). E della parola Olàm, ancora e sempre tradotta con “eternità”, e che in realtà significa “tempo molto lungo”, i dizionari raccomandano: non tradurla mai con il termine “eternità”.Lo scorso marzo, Biglino è stato protagonista, a Milano, di un importante confronto con eminenti teologi: un importante sacerdote e docente di teologia dell’università cattolica, un arcivescovo ortodosso, il rabbino capo della comunità ebraica di Torino e un insigne biblista, pastore valdese, co-autore di alcuni tra i più importanti dizionari di ebraico e aramaico antico. Nessuno ha messo in discussione le sue tesi. Tutti, al contrario, hanno ammesso che la Bibbia è stata ampiamente travisata. Ma lì si fermano: non denunciano, cioè, il fatto che venga ancora oggi regolarmente travisata. Dice Biglino: nel 95% dei casi, chi professa e propaga le grandi religioni monoteiste che si pretendono originate da quel libro (e quindi: Papi, vescovi, parroci, catechisti, pastori) non conosce neppure la lingua in cui quel libro è scritto. Pretende di “far dire” a quel libro determinate verità, per di più “sacre”, ma non conosce – alla lettera – il testo, nella lingua originaria. Senza contare, poi, che la Bibbia resta una raccolta (non uniforme) di testi di epoche diverse, tutti senza fonte: non è possibile risalire con certezza neppure a un autore; nessuno dei testi biblici ha una chiara paternità – tantomeno i libri più famosi e celebrati, come quello attribuito all’ipotetico profeta Isaia.Anche per questo, mezzo secolo fa, i biblisti ebraici hanno varato il “Bible Project” con il compito, entro 200 anni, di ricostruire una Bibbia più attendibile. L’unica certezza, dicono, è che la Bibbia di oggi – riveduta e corretta per l’ultima volta dai masoreti all’epoca di Carlomagno – non è l’originale. Inoltre mancano una decina di libri, pure citati qua e là: quei libri sono scomparsi. E le incongruenze sintattiche presenti nella versione masoretica dimostrano il grado di manipolazione cui quei testi sono stati sottoposti, nel corso dei secoli. Biglino dice: mi si rimprovera di offrire una lettura letterale del testo, anziché allegorica, simbologica, esoterica, teologica. Va bene, teniamo pure conto di tutte le interpretazioni possibili. Ma aggiunge: perché privarci della versione letterale, sia pure di un testo che sappiamo essere così pesantemente rimaneggiato? Non si sa neppure in che lingua fosse scritto, l’originale: all’epoca della prima stesura della Genesi, per esempio, la lingua ebraica non esisteva ancora. Dunque non sappiamo in che lingua fosse scritto, quel libro, né tantomeno come venissero pronunciate, le parole in esso contenute. Poi intervenne la traduzione in ebraico, ma con le sole consonanti; le vocali furono introdotte solo fra il VI e l’XVIII secolo dopo Cristo, quando appunto “Yhw” divenne finalmente “Jahwè” (ma aJahwènche “Jihwì” e “Jeohwah”).Nonostante tutto ciò, insiste Biglino, perché non provare a leggere il testo così com’è, dando per buona – per un attimo – l’idea che racconti fatti realmente accaduti? Si scoprirebbe, conclude, che la storia narrata – vera o falsa che sia – non è priva di coerenza. Ed è, tra l’altro, la fotocopia perfetta di molti altri libri antichi preesistenti, “sacri” e non, come la trilogia fondativa di un popolo geograficamente contiguo a quello ebraico, i sumero-babilonesi. Quei testi mesopotamici sono l’Atrahasis, l’Enuma Elish e l’Epopea di Gilgamesh. Raccontano tutti la stessa storia: e cioè l’arrivo (da cielo?) di individui potentissimi ma non onnipotenti, molto longevi ma non immortali, in possesso esclusivo di tecnologie fantascientifiche, decisi a colonizzare territori imponendo la loro legge (i comandamenti di Jahwè non sono 10, ma oltre 600) e stabilendo alleanze con singole tribù, in lotta perenne tra loro per la spartizione di piccoli territori. Il patto: voi lavorate per me (mi servite, mi nutrite, mi bruciate quel famoso grasso e mi obbedite in tutto) e io vi aiuto a conquistare “terre promesse”. Se disobbedite, vi stermino. Jahwè, è scritto nella Bibbia, arrivò a uccidere in massa 24.000 sudditi disobbedienti.Quello che Biglino contesta è che, nonostante le evidenze e le conferme provenienti dagli ambiti di studio più disparati (dall’esegesi ebraica all’autorevole École Biblique dei domenicani di Gerusalemme) le traduzioni erronee continuino a essere presenti nelle Bibbie attualmente stampate. In sintesi, il primo problema è Dio. Nella Bibbia, semplicemente, non c’è, dice Biglino. C’è Jahwè, che però è sempre in compagnia dei “colleghi” Milkòm, Kamòsh, e tanti altri. Viene tradotto con “Altissimo” il nome Eliòn, che invece è un individuo «chiaramente indicato come il capo degli Elohim: è scritto nel testo biblico che ne presiede un’assemblea, nientemeno». E addirittura è tradotto coi termini “eterno” e “onnipotente” il nome El Shaddai, letteralmente “signore della steppa”, cioè l’Elohim nel quale si imbatté Abramo. Allo stesso modo, altri termini vengono sempre tradotti in modo consapevolmente inappropriato e fuorviante: Kavod, per esempio. Il contesto biblico lo presenta come un’arma da guerra, un oggetto volante e pericoloso, dotato di armanenti micidiali. Viene tradotto: “gloria”. Così, il “Kavod di Jahwè” diventa la “gloria di Dio”.Quando appare, il Kavod solleva un gran vento, il Ruach – che viene tradotto “spirito”. Sotto il Kavod sono fissati 4 Cherubini. Mezzi meccanici volanti, secondo i rabbini: robot, monoposto. Per l’esegesi teologica cristiana, invece, i Cherubini sono “angeli”, così come gli altri “angeli”, incorporei e alati, che la Bibbia invece chiama Malachìm, presentandoli come individui in carne e ossa, di cui gli umani hanno paura – sono soldati, ufficiali degli Elohim, portaordini pericolosi, molesti, inquietanti. «L’angelo apparve alla vista di Gedeone, volando con leggerezza», e poi «scomparve», scrive la traduzione cristiana della Bibbia, che invece nell’originale, in ebraico, scrive che «il Malach» si fece vedere da Gedeone, e poi «se ne andà camminando». Pura invenzione, il volo, così come l’attraversamento miracoloso del Mar Rosso: «Nel testo c’è scritto che Mosè e i suoi attraversarono solo uno Yam Suf, un canneto. Nessun mare, tantomeno Rosso».Quanto agli “angeli”, più tardi, il fondatore del cristianesimo, Paolo di Tarso, raccomanda alle giovani donne di coprirsi il capo con il velo, se partecipano ad assemblee, e di farlo «a motivo degli angeli», poiché sono sessualmente eccitabili e poco raccomandabili, violenti. Biglino “corregge” anche l’interpretazione della comparsa dell’Arcangelo Gabriele, quello dell’Annunciazione: «Gabriele non è un nome proprio ma solo un termine comune, funzionale: deriva da Ghevèr-El, e essere “il Ghevèr di un El”, per di più “arcangelo”, significa essere un potente ufficiale di alto grado». Dallo studio condotto da Biglino appare evidente la fabbricazione artificiale di un culto, la cui radice viene attribuita a un libro debitamente leggendario, in quanto antico, scritto in una lingua sconosciuta ai più. Lo studioso contesta chi ritiene obbligatoria una lettura necessariamente cifrata: «Quando furono scritti, i testi biblici, a saper leggere e scrivere erano in pochissimi: che motivi avrebbero avuto per dover nascondere il loro racconto sotto il velo simbolico-allegorico?».La prima versione della Bibbia divulgata nel Mediterraneo oltre la Palestina, detta “Bibbia dei Settanta”, fu tradotta in greco ad Alessandria d’Egitto, secondo Biglino ricorrendo a una massiccia interpolazione interpretativa ispirata dal pensiero platonico, che – a differenza della Bibbia – contempla le nozioni filosofiche di trascendenza, divinità, creazione, eternità. Gli ebrei considerano la “Bibbia dei Settanta”, letteralmente, «una tragedia per l’umanità». Eppure, sottolinea lo stesso Biglino, è proprio quella Bibbia in greco ad aver poi originato quella in latino, che è alla base della teologia cattolica e quindi delle Bibbie in italiano per le famiglie. Il lavoro del ricercatore torinese non mette in crisi solo la teologia ufficiale su cui si basano le istituzioni religiose, ma anche l’esegesi alternativa fornita dall’esoterismo, acutamente suggestiva, fondata sulla lettura allegorica e simbolica del testo – lettura che, come quella cattolica, non mette mai in discussione la presenza della divinità nell’Antico Testamento. Diversa ancora l’interpretazione offerta dalla Cabala, che dal testo originario ricava essenzialmente relazioni, assai criptiche, tra valori numerico-simbolici, come se la Bibbia fosse in realtà una complessa trama numerica, velata dalla narrazione superficiale di eventi di per sé non così importanti quanto invece il tessuto ermetico sottostante.Certo è singolare la produzione, negli ultimi anni, di una tale quantità di informazioni, ormai di pubblico dominio, che riguardano in particolare l’interpretazione della storia antica, sacra e non, ma anche una radicale rilettura dell’approccio scientifico alla conoscenza, rivalutando sia i testi sacri, fondativi delle grandi religioni, sia l’opera di esoteristi particolarmente illuminanti – filosofi, medici, artisti, alchimisti, proto-scienziati – che tendono a fornire chiavi di interpretazione delle “leggi universali” i “leggi di natura” molto simili a quelle cui oggi pervengono i settori più avanzati della scienza stessa, a cominciare dalla fisica, dall’astrofisica, dalla geofisica, dalla meccanica quantistica, con le recenti indagini sulla reale consistenza della materia, in cui si suppone che il visibile e l’invisibile rispondano alle stesse leggi, essendo costituiti della medesima energia. Da qui le riflessioni sulla percezione del tempo e della vita stessa, sulla cosiddetta Energia Oscura, sulla Materia Bianca cerebrale di cui i neurologi ammettono di non sapere praticamente nulla.Fisici come Vittorio Marchi e Giuliana Conforto sostengono che la realtà sensibile non sia altro che rappresentazione, e che il nostro cervello non percepisca che il 2% di quanto ci circonda, sulla Terra – per non parlare dell’universo, di cui sappiamo ben poco, al di là del nostro minuscolo sistema solare. Un numero sempre maggiore di storici e antropologi sospetta che la storia sia interamente da riscrivere: a quanto pare non furono gli egizi a erigere le piramidi; quelle scoperte in Bosnia sono più antiche e più grandi di quelle dell’Egitto. Né tantomeno conosciamo la storia misteriosa dei Sumeri, che sorsero all’improvviso come civiltà già formata, in possesso di conoscenze evolute (architettura, agricoltura, scrittura). Forse, ipotizza Biglino sempre prendendo la Bibbia alla lettera, i Sumeri erano la discendenza di Caino, che – essendo cresciuto nel Gan Eden – era stato formato e istruito dagli Elohim.L’esegesi ebraica ritiene ormai in modo unanime che Abramo, storicamente, non sia mai esistito. Quantomeno, il personaggio biblico rispondente a quel nome era evidentemente un sumero, spinto dagli Elohim a vagare “lungi dalla casa di padre mio”, viaggiando fino in Palestina. Poi, i Sumeri scomparvero di colpo, in coincidenza con la distruzione delle città ribelli di Sodoma e Gomorra, operata dagli Elohim impiegando “l’arma dei terrore”, che sprigionò nell’atmosfera una nube letale – i venti dovettero sospingerla fino alla regione di Babilonia, dove è documentata la strage della popolazione (con sintomi da contaminazione nucleare) e la fuga precipitosa degli “dèi” locali, gli Annunaki, che presero il largo a bordo dei loro “carri celesti”, in tutto simili al Kavod di Jahwè.Perché l’oro è così importante? L’oro, non il ferro, l’argento, altri metalli. Forse perché si suppone che l’oro, incorruttibile, possa isolare al 100% da radiazioni pericolose, provenienti da tecnologie avanzate? Lo affermano i controversi studiosi della cosiddetta paleo-astronautica, che si interrogano sul singolare interesse manifestato, per l’oro, da tutti gli “dèi” dell’antichità, chiamati Viracochas sulle Ande nel regno Inca, Túatha Dé Dànann in Irlanda, Elohim in Palestina, Annunaki in Mesopotamia, Theòi in Grecia, mentre Vimana è il nome che in India designa le antiche, ipotetiche astronavi dei Veda. E ancora: i semi-dei “venuti dal cielo” prendono il nome di Kachinas in Arizona, Muxul nello Yucatan presso i Maya, Dogu in Giappone, Wakinyan in Nord America presso i Lakota Sioux, Nommo in Mali presso i Dogon. Una cosa è sicura: a un certo punto, nella storia, l’oro viene improvvisamente apprezzato e ricercato, estratto, lavorato, tesaurizzato, utilizzato come valore di scambio. Tutti quegli esseri appassionati all’oro, spesso chiamati Figli delle Stelle perché comparsi a bordo di formidabili mezzi volanti, raffigurati in sculture e altorilievi ancora oggi visibili in diverse parti del mondo, instaurarono dominazioni di tipo coloniale, imponendo sempre – alle popolazioni assoggettate – lo stesso “sacrificio” quotidiano: bruciare, per loro, il grasso (inizialmente dei neonati primogeniti, poi solo di agnelli) presente in prossimità di certi organi, fegato e reni.
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Bufale giganti: per seppellire indizi sui “giganti” veri?
Scheletri di giganti alti 4 metri, scoperti in America e subito occultati: scoperta clamorosa, ma “insabbiata” da una autorevolissima istituzione scientifica come la Smithsonian Institution, un glorioso organismo scientifico finanziato dal governo degli Stati Uniti. Una sentenza della Corte Suprema americana, si legge sul web in diversi blog, avrebbe «costretto la Smithsonian Institution a rilasciare i documenti classificati risalenti agli inizi del 1900 che dimostrano che l’organizzazione è stata coinvolta in una grande, storica copertura di prove». Documenti che proverebbero «la scoperta di migliaia di scheletri di giganti umani rinvenuti in tutta l’America: fu ordinato di distruggerli dagli amministratori di alto livello per proteggere la principale cronologia corrente dell’evoluzione umana». Davvero? Niente affatto: quegli scheletri non sono mai stati distrutti. E per un semplice motivo: non sono mai esistiti. Lo ripetono in coro altre fonti, sempre su Internet, secondo cui la storia rientrerebbe tra le classiche “fake news”, sempre più in voga per gettare discredito sulle vere notizie che circolano sul web, disturbando gli omertosi silenzi del mainstream.Le accuse sarebbero state mosse «dall’istituzione americana di Alternative Archeology (Aiaa)», che affermerebbe che la Smithsonian Institution «aveva distrutto migliaia di scheletri di giganti umani nei primi anni del 1900», scrive il blog “Compl8”. «E questa accusa non è stata presa alla leggera da parte della Smithsonian, che ha risposto facendo causa all’organizzazione per diffamazione», visto che l’iniziativa finirebbe per danneggiare la reputazione di un istituto culturale che ha da 168 anni di storia: basato a Washington ma con 19 musei, negli Usa e non solo, lo Smithsonian dispone di 142 milioni di pezzi, nelle sue collezioni, che ne fanno il più grande complesso di musei al mondo. La storia degli scheletri dei giganti, tenuta nascosta fino alla denuncia avallata dalla Corte Suprema? Tutto falso, assicurano siti come “ThatsFake.com” e “BadSatireToday.com”: una vicenda inventata, di sana pianta, da un’unica fonte, il sito “World News Daily Report”, che si definisce «giornale ebreo sionista americano basato a Tel Aviv, specializzato in archeologia biblica e altri misteri della Terra». Il newsmagazine, attivo dal 1988 e con alle spalle oltre 200.000 edizioni, dichiara di essere gestito da giornalisti pluri-premiati «cristiani, musulmani ed ebrei», nonché da «ex agenti del Mossad e veterani dell’esercito israeliano». Il sito però non ne riporta i nomi, e lo stesso “scoop” sugli scheletri extra-large non è firmato.La tesi sostenuta: durante «la causa in tribunale», sarebbero stati «portati alla luce molti elementi», tanto da costringere «molti informatori della Smithsonian» ad ammettere l’esistenza di documenti che, «presumibilmente», comprovavano «la distruzione di decine di migliaia di scheletri di giganti». Esseri decisamente fuori misura, «che raggiungevano un’altezza tra i 6 e 12 piedi (fra circa 2 metri e 4 metri)». Il “World News Daily Report” cita un nome, quello di James Churward, definito «il portavoce Aiaa», associazione archeologica che “UnveilingKnowledge.com” definisce «immaginaria»: sul web non esiste proprio, non dispone di un sito. Nessuna traccia nemmeno del James Churward, citato dal newsmagazine israeliano. L’accusa: «C’è stata una copertura importante dalle istituzioni archeologiche occidentali, fin dai primi anni del 1900, per farci credere che l’America è stata colonizzata da popolazioni asiatiche che migrarono attraverso lo stretto di Bering circa 15.000 anni fa, quando in realtà, ci sono centinaia di migliaia di sepolture e tumuli in tutta l’America, che i nativi affermano che esistevano già prima di loro, e che mostrano tracce di una civiltà altamente sviluppata, con un uso complesso di leghe metalliche, e in cui si trovano gli scheletri di giganti umani, ma ancora non vengono denunciati dai media e dalle agenzie di stampa».Si cita anche l’enorme femore che sarebbe stato scoperto in Ohio nel 2011, ma il “World News Daily Report” va oltre: sostiene che in sede giudiziaria sarebbe stato esibito «un osso lungo 1,3 metri» che, nientemeno, sarebbe stato «rubato dalla Smithsonian da uno dei loro stessi curatori di alto livello a metà degli anni ’30, che aveva conservato l’osso per tutta la vita, e che sul letto di morte aveva ammesso per iscritto che ci furono operazioni sotto copertura dello Smithsonian per far sparire questi scheletri di giganti definitivamente». E ancora: «Stiamo nascondendo la verità sui progenitori dell’umanità, i nostri antenati, i giganti che popolavano la terra come ricordato anche nella Bibbia e nei testi antichi del mondo». Il sito “ThatsFake” smentisce tutto e dichiara falsa l’intera ricostruzione: la denuncia, la causa legale, tutto quanto. «L’intero articolo è una bufala», scrive. «Non è mai stata effettuata alcuna ammissione di quel genere da parte dello Smithsonian». L’esistenza di esseri umani giganti, quelli che la stessa Bibbia chiama “Nephilim”, oppone da lungo tempo evoluzionisti e creazionisti, aggiunge “ThatsFake”. «Ciò ha portato a molte teorie del complotto, che sostengono lo Smithsonian ed enti governativi abbiano coperto l’esistenza di esseri umani giganti per “proteggere la teoria dell’evoluzione umana”».Sempre il sito anti-bufale ammette che il web pullula di foto che ritraggono persone accanto a ossa gigantesche, in apparenza umane, ma sostiene che «è dimostrato che la maggior parte di queste sono state manipolate digitalmente». I giganti, comunque, appassionano: “Esoterya.com” riferisce del ritrovamento di «resti scheletrici di un essere umano di dimensioni fenomenali» scoperto nel 2004 nel nord dell’India da ricercatori di “National Geographic”, subito però “blindati” «dall’esercito indiano». Molti hanno dato la notizia per falsa, aggiunge “Esoterya”, che però cita «il femore di un gigante» che sarebbe stato «spedito in Spagna da Hernán Cortés durante la conquista del Messico». Tracce di altri “giganti” sarebbero state avvistate da esploratori come Magellano, Drake, Hernández , mentre «alcuni soldati a Lampock Ranch, in California, rinvennero lo scheletro di un gigante», ma purtroppo «un frate cattolico ordinò loro di sotterrarlo nuovamente perché i nativi locali erano adirati da tale profanazione», attribuendo quei resti «a un antico dio». Non c’è odore di “fake news”, invece, nel Gigante di Castelnau, cioè i tre frammenti ossei fossili (probabilmente omero, tibia e femore) scoperti dall’antropologo Georges Vacher de Lapouge nel 1890, in Francia.Quei resti affiorarono da un tumulo relativo a una sepoltura dell’Età del Bronzo, databile probabilmente al Neolitico. «Secondo de Lapouge – si legge su Wikipedia – le ossa fossili potrebbero appartenere ad uno dei più grandi esseri umani mai esistiti. Sulla base della dimensione dei frammenti, egli riteneva che l’uomo potesse essere alto circa 3,5 metri». Sui frammenti ossei del presunto gigante, aggiunge Wikipedia, non sono stati pubblicati studi moderni con revisione paritaria. Però il Gigante di Castelnau fu studiato all’università di Montpellier da Sabatier e Delage, professori rispettivamente di zoologia e paleontologia, oltre ad altri anatomisti. «Nel 1892, i frammenti furono approfonditamente studiati dal dottor Paul Louis André Kiener, professore di anatomia patologica presso la Scuola di Medicina di Montpellier». Kiener concluse che i frammenti «rappresentavano “una razza molto alta”, non trovandoli però anomali nelle dimensioni». Due anni dopo, notizie di stampa riportarono un’ulteriore scoperta di ossa umane “giganti” rinvenute nel corso dello scavo di un’area cimiteriale preistorica a Montpellier, ad appena 5 chilometri da Castelnau, individuata durante scavi per opere idriche. «Si rinvennero teschi che misuravano “28, 31 e 32 pollici di circonferenza”, assieme ad altre ossa di proporzioni gigantesche che indicavano l’appartenenza a una popolazione umana alta “tra 10 e 15 piedi” (circa 3-4,5 metri)».Sono le stesse dimensioni, che ricorrono praticamente ovunque. Quelle ossa, scrive ancora Wikipedia, furono poi trasmesse all’Accademia delle Scienze a Parigi per ulteriori studi, di cui non si precisano gli esiti. Ma la curiosità per queste ipotetiche, misteriose creature – di cui non parla solo la Bibbia, ma anche l’Odissea (Polifemo) – non accenna a scemare: l’ultima notizia viene dalla Sardegna, dove un paio d’anni fa è emerso uno scheletro di grandi dimensioni nel complesso nuragico di Barru, tra i comuni di Guamaggiore e Guasila. «Ha un femore enorme», disse il sindaco di Guamaggiore, Nello Cappai, citato dal quotidiano “L’Unione Sarda”, parlando di un osso risultato poi lungo 60 centimetri. Tempo fa fece il giro del web la storia, diffusa dal giornale tedesco “Blid”, del dito mummificato, lungo 38 centimetri, che sarebbe stato scoperto da un tombarolo egiziano vicino alla piramide di Giza e fotografato dallo svizzero Gregory Spoerri.Per Zecharia Sitchin, il padre della paleo-astronautica, la controversa teoria basata sulla reinterpretazione degli antichi testi sumeri, proprio nei giganti sarebbero riscontrabili le tracce dei nostri veri progenitori. In libri come “Il pianeta degli dei” e “Quando i giganti abitavano la Terra”, il ricercatore azero-statunitense sostiene che gli Elohim biblici che dissero “Creiamo Adamo a nostra immagine e somiglianza” siano stati gli dei della Sumeria e di Babilonia, gli Anunnaki giunti sulla Terra dal loro pianeta, Nibiru. Secondo Sitchin, Adamo fu geneticamente progettato circa 300.000 anni, quando i geni degli Anunnaki vennero uniti a quelli di un ominide. Poi, secondo la Bibbia, vennero celebrati matrimoni misti: sulla Terra abitarono i Giganti, che presero in moglie le discendenti di Adamo, dando alla luce “uomini eroici”, figure che l’autore riconduce ai semidei delle tradizioni sumere e babilonesi, tra cui il famoso re mesopotamico Gilgamesh, colui che rivendicò il diritto all’immortalità, e Utnapishtim, l’eroe babilonese del Diluvio. Ma allora tutti noi discendiamo da semidei? Lo storico romano Giuseppe Flavio, nel 79 dopo Cristo, scrive: «Vi erano dei giganti. Molto più grandi e di forma diversa rispetto alle persone normali. Terribile a vedersi. Chi non ha visto con i miei occhi, non può credere che siano stati così immensi».Un sito che si occupa di aspetti scientifici poco noti, “Il Navigatore Curioso”, rievoca la storia di 18 scheletri giganti scoperti nel Wisconsin nel maggio del 1912 da un team di archeologi del Beloit College. Una notizia accolta con enorme risalto dai grandi giornali: uno scavo realizzato presso il lago Delavan «portò alla luce oltre duecento tumuli con effigie che furono considerate come esempio classico della cultura Woodland», una ascendenza preistorica americana che si crede risalga al primo millennio avanti Cristo. «Ma ciò che stupì i ricercatori fu il ritrovamento di diciotto scheletri dalle dimensioni enormi e con i crani allungati, scoperta che non si adattava affatto alle nozioni classiche contenute nei libri di testo. Gli scheletri erano veramente enormi e, benchè avessero fattezze umane, non potevano appartenere a esseri umani normali. La notizia – aggiunge il “Navigatore Curioso” – ebbe una grande eco e fece molto scalpore, tanto che il “New York Times” riportò la notizia tra le sue pagine. Forse, a quei tempi, c’era più libertà e meno paura rispetto alle scoperte che potevano cambiare le consolidate credenze scientifiche fondate solo su teorie». L’unica certezza che abbiamo, ripete Mauro Biglino, noto per la rilettura letterale della Bibbia, è che la nostra storia è interamente da scrivere. E se qualcuno ha davvero “paura” di possibili verità scomode, forse non c’è niente di meglio che qualche bufala “gigante”: l’ideale, per seppellire nel ridicolo qualsiasi pista alternativa a quella ufficiale.Scheletri di giganti alti 4 metri, scoperti in America e subito occultati: scoperta clamorosa, ma “insabbiata” da una autorevolissima istituzione scientifica come la Smithsonian Institution, un glorioso organismo scientifico finanziato dal governo degli Stati Uniti. Una sentenza della Corte Suprema americana, si legge sul web in diversi blog, avrebbe «costretto la Smithsonian Institution a rilasciare i documenti classificati risalenti agli inizi del 1900 che dimostrano che l’organizzazione è stata coinvolta in una grande, storica copertura di prove». Documenti che proverebbero «la scoperta di migliaia di scheletri di giganti umani rinvenuti in tutta l’America: fu ordinato di distruggerli dagli amministratori di alto livello per proteggere la principale cronologia corrente dell’evoluzione umana». Davvero? Niente affatto: quegli scheletri non sono mai stati distrutti. E per un semplice motivo: non sono mai esistiti. Lo ripetono in coro altre fonti, sempre su Internet, secondo cui la storia rientrerebbe tra le classiche “fake news”, sempre più in voga per gettare discredito sulle vere notizie che circolano sul web, disturbando gli omertosi silenzi del mainstream.
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Italia commissariata, dal giorno della demolizione di Craxi
Il 19 gennaio del 2000, e cioè 17 anni fa, moriva Bettino Craxi. Aveva 65 anni, un tumore al rene curato male, un cuore malandato, curato malissimo. Il cuore a un certo punto si fermò. Non fu fatto molto per salvarlo. Non fu fatto niente, dall’Italia. Craxi era nato a Milano ed è morto ad Hammamet, in Tunisia, esule. Era stato segretario del partito socialista per quasi vent’anni e presidente del Consiglio per più di tre. In Italia aveva subito condanne penali per finanziamento illecito del suo partito e per corruzione. Quasi dieci anni di carcere in tutto. Prima delle condanne si era trasferito in Tunisia. Se fosse rientrato sarebbe morto in cella. Craxi ha sempre respinto l’accusa di corruzione personale. Non c’erano prove. E non furono mai trovati i proventi. In genere quando uno prende gigantesche tangenti e le mette in tasca, poi da qualche parte questi soldi saltano fuori. In banca, in acquisti, in grandi ville, motoscafi. Non furono mai trovati. I figli non li hanno mai visti. La moglie neppure. Lui non li ha mai utilizzati. Non ha lasciato proprietà, eredità, tesori. Craxi era un malfattore, o è stato invece uno statista importante sconfitto da una gigantesca operazione giudiziaria?La seconda ipotesi francamente è più probabile. La prima è quella più diffusa nell’opinione pubblica, sostenuta con grande impegno da quasi tutta la stampa, difesa e spada sguainata da gran parte della magistratura. Craxi era stato uno degli uomini più importanti e potenti d’Italia, negli anni Ottanta, aveva goduto di grande prestigio internazionale. Si era scontrato e aveva dialogato con Reagan, col Vaticano, con Israele e i paesi Arabi, con Gorbaciov, con quasi tutti i leader internazionali. Aveva sostenuto furiose battaglie con i comunisti in Italia, con Berlinguer e Occhetto e D’Alema; e anche con la Dc, con De Mita, con Forlani, epici gli scontri con Andreotti; con la Dc aveva collaborato per anni e governato insieme. Bene, male? Poi ne discutiamo. Aveva anche firmato con la Chiesa il nuovo concordato. Morì solo solo. Solo: abbandonato da tutti. Stefania, sua figlia, racconta di quando la mamma la chiamò al telefono, nell’autunno del ‘99, e le disse che Bettino era stato ricoverato a Tunisi, un attacco di cuore. Lei era a Milano, si precipitò e poi cercò di muovere mari e monti per fare curare il padre. Non si mossero i monti e il mare restò immobile.Craxi fu curato all’ospedale militare di Tunisi. Stefania riuscì ad avere gli esami clinici e li spedì a Milano, al San Raffaele, lì aveva degli amici. Le risposero che c’era un tumore al rene e che andava operato subito, se no poteva diffondersi. Invece passarono ancora due mesi, perché a Tunisi nessuno se la sentiva di operarlo. Arrivò un chirurgo da Milano, operò Craxi in una sala operatoria dove due infermieri tenevano in braccio la lampada per fare luce. Portò via il rene, ma era tardi. Il tumore si era propagato, doveva essere operato prima, si poteva salvare, ma non ci fu verso. In quei giorni drammatici dell’ottobre 1999 Craxi era caduto in profonda depressione. Non c’è da stupirsi, no? Parlava poco, non aveva forse voglia di curarsi. Era un uomo disperato: indignato, disgustato e disperato. Stefania mi ha raccontato che lei non sapeva a che santo votarsi: non conosceva persone potenti. Il Psi non esisteva più. Chiamò Giuliano Ferrara e gli chiese di intervenire con D’Alema. Il giorno dopo Ferrara gli disse che D’Alema faceva sapere che un salvacondotto per l’Italia era impossibile, la Procura di Milano avrebbe immediatamente chiesto l’arresto e il trasferimento in carcere.Stefania chiese a Ferrara se D’Alema potesse intervenire sui francesi, i francesi sono sempre stati generosi con la concessione dell’asilo politico. Era più che naturale che glielo concedessero. Curarsi a Parigi dava qualche garanzia in più che curarsi all’ospedale militare di Tunisi. Passarono solo 24 ore e Jospin, che era il primo ministro francese, rilasciò una dichiarazione alle agenzie: «Bettino Craxi non è benvenuto in Francia». Quella, più o meno, fu l’ultima parola della politica su Craxi. Fu la parola decisiva dell’establishment italiano e internazionale. Craxi deve morire. Il 19 gennaio Craxi – per una volta – obbedì e se andò all’altro mondo. E’ curioso che quasi vent’anni dopo la sua morte, e mentre cade il venticinquesimo anniversario dell’inizio della stagione di Tangentopoli (Mario Chiesa fu arrestato il 17 febbraio del 1992, e da lì cominciò tutto, da quel giorno iniziò la liquidazione della prima repubblica), qui in Italia nessuno mai abbia voluto aprire una riflessione su cosa successe in quegli anni, sul perché Craxi fu spinto all’esilio e alla morte, sul senso dell’inchiesta Mani Pulite, sul peso della figura di Craxi nella storia della repubblica. Ci provò Giorgio Napolitano, qualche anno fa. Ma nessuno gli diede retta. Vogliamo provarci? Partendo dalla domanda essenziale: Statista o brigante.Forse sapete che Bettino Craxi negli anni Ottanta scriveva dei corsivi sull’“Avanti!”, il giornale del suo partito, firmandoli “Ghino di Tacco”. Ghino era un bandito gentiluomo vissuto verso la metà del 1200 dalle parti di Siena, a Radicofani. Boccaccio parla di lui come una brava persona. A Craxi non dispiaceva la qualifica di brigante. Perché era un irregolare della politica. Uno che rompeva gli schemi, che non amava il politically correct. Però non fu un bandito e fu certamente uno statista. Persino Gerardo D’Ambrosio, uno dei più feroci tra i Pm del pool che annientò Craxi, qualche anno fa ha dichiarato: non gli interessava l’arricchimento, gli interessava il potere politico. Già: Craxi amava in modo viscerale la politica. La politica e la sua autonomia. Attenzione a questa parola di origine greca: autonomia. Perché è una delle protagoniste assolute di questa storia. Prima di parlarne però affrontiamo la questione giudiziaria. Era colpevole o innocente? Sicuramente era colpevole di finanziamento illecito del suo partito. Lo ha sempre ammesso. E prima di lasciare l’Italia lo proclamò in un famosissimo discorso parlamentare, pronunciato in un’aula di Montecitorio strapiena e silente.Raccontò di come tutti i partiti si finanziavano illegalmente: tutti. Anche quelli dell’opposizione, anche il Pci. Disse: se qualcuno vuole smentirmi si alzi in piedi e presto la storia lo condannerà come spergiuro. Beh, non si alzò nessuno. Il sistema politico in quegli anni – come adesso – era molto costoso. E i partiti si finanziavano o facendo venire i soldi dall’estero o prendendo tangenti. Pessima abitudine? Certo, pessima abitudine, ma è una cosa molto, molto diversa dalla corruzione personale. E in genere il reato, che è sempre personale e non collettivo, non era commesso direttamente dai capi dei partiti, ma dagli amministratori: per Craxi invece valse la formula, del tutto antigiuridica, “non poteva non sapere”. Craxi era colpevole. Nello stesso modo nel quale erano stati colpevoli De Gasperi, Togliatti, Nenni, la Malfa, Moro, Fanfani, Berlinguer, De Mita, Forlani… Sapete di qualcuno di loro condannato a 10 anni in cella e morto solo e vituperato in esilio? Ecco, qui sta l’ingiustizia. Poi c’è il giudizio politico. Che è sempre molto discutibile. Craxi si occupò di due cose. La prima era guidare la modernizzazione dell’Italia che usciva dagli anni di ferro e di fuoco delle grandi conquiste operaie e popolari, e anche della grande violenza, del terrorismo, e infine della crisi economica e dell’inflazione. Craxi pensò a riforme politiche e sociali che permettessero di stabilizzare il paese e di interrompere l’inflazione.La seconda cosa della quale si preoccupò, strettamente legata alla prima, era la necessità di salvare e di dare un ruolo alla sinistra in anni nei quali, dopo la vittoria di Reagan e della Thatcher, il liberismo stava dilagando. Craxi cercò di trovare uno spazio per la sinistra, senza opporsi al liberismo. Provò a immaginare una sinistra che dall’interno della rivoluzione reaganiana ritrovava una sua missione, attenuava le asprezze di Reagan e conciliava mercatismo e stato sociale. Un po’ fu l’anticipatore di Blair e anche di Clinton (e anche di Prodi, e D’Alema e Renzi…). Craxi operò negli anni precedenti alla caduta del comunismo, ma si comportò come se la fine del comunismo fosse già avvenuta. Questa forse è stata la sua intuizione più straordinaria. Ma andò sprecata. Personalmente non ho mai condiviso quella sua impresa, e cioè il tentativo di fondare un liberismo di sinistra. Così come, personalmente, continuo a pensare che fu un errore tagliare la scala mobile, e che quell’errore di Craxi costa ancora caro alla sinistra. Ma questa è la mia opinione, e va confrontata con la storia reale, e non credo che sia facile avere certezze.Quel che certo è che Craxi si misurò con questa impresa mostrando la statura dello statista, e non cercando qualche voto, un po’ di consenso, o fortuna personale. Poi possiamo discutere finché volete se fu un buono o un cattivo statista. Così come possiamo farlo per De Gasperi, per Fanfani, per Moro. E qui arriviamo a quella parolina: l’autonomia della politica. Solo in una società dove esiste l’autonomia della politica è possibile che vivano ed operano gli statisti. Se l’autonomia non esiste, allora i leader politici sono solo funzionari di altri poteri. Dell’economia, della magistratura, della grande finanza, delle multinazionali… In Italia l’autonomia della politica è morta e sepolta da tempo. L’ha sepolta proprio l’inchiesta di Mani Pulite. C’erano, negli anni Settanta, tre leader, più di tutti gli altri, che avevano chiarissimo il valore dell’autonomia. Uno era Moro, uno era Berlinguer e il terzo, il più giovane, era Craxi. Alla fine degli anni Ottanta Moro e Berlinguer erano morti. Era rimasto solo Craxi. Io credo che fu essenzialmente per questa ragione che Craxi fu scelto come bersaglio, come colosso da abbattere, e fu abbattuto.Lui era convinto che ci fu un complotto. Sospettava che lo guidassero gli americani, ancora furiosi per lo sgarbo che gli aveva fatto ai tempi di Sigonella, quando ordinò ai carabinieri di circondare i Marines che volevano impedire la partenza di un un aereo con a bordo un esponente della lotta armata palestinese. I carabinieri spianarono i mitra. Si sfiorò lo scontro armato. Alla fine, in piena notte, Reagan cedette e l’aereo partì. Sì, certo, non gliela perdonò. Io non credo però che ci fu un complotto. Non credo che c’entrassero gli americani. Penso che molte realtà diverse (economia, editoria, magistratura) in modo distinto e indipendente, ma in alleanza tra loro, pensarono che Tangentopoli fosse la grande occasione per liquidare definitivamente l’autonomia della politica e per avviare una gigantesca ripartizione del potere di Stato. Per questo presero Craxi a simbolo da demolire. Perché senza di lui l’autonomia della politica non aveva più interpreti.Dal punto di vista giudiziario “mani pulite” ha avuto un risultato incerto. Migliaia e migliaia di politici imputati, centinaia e centinaia arrestati, circa un terzo di loro, poi, condannati, moltissimi invece assolti ( ma azzoppati e messi al margine della lotta politica), diversi suicidi, anche illustrissimi come quelli dei presidenti dell’Eni e della Montedison. Dal punto di vista politico invece l’operazione fu un successo. La redistribuzione del potere fu realizzata. Alla stampa toccarono le briciole, anche perché nel frattempo era sceso in campo Berlusconi. All’imprenditoria e alla grande finanza andò la parte più grande del bottino, anche perché decise di collaborare attivamente con i magistrati, e dunque fu risparmiata dalle inchieste. Quanto alla magistratura, portò a casa parecchi risultati. Alcuni molto concreti: la fine dell’immunità parlamentare, che poneva Camera e Senato in una condizione di timore e di subalternità verso i Pm; la fine della possibilità di concedere l’animista; la fine della discussione sulla separazione delle carriere, sulla responsabilità civile, e in sostanza la fine della prospettiva di una riforma della giustizia.Altri risultati furono più di prospettiva: l’enorme aumento della popolarità, fino a permettere al Procuratore di Milano – in violazione di qualunque etica professionale – di incitare il popolo alla rivolta contro la politica (“resistere, resistere, resistere… ”) senza che nessuno osasse contestarlo, anzi, tra gli applausi; il via libera all’abitudine dell’interventismo delle Procure in grandi scelte politiche ( di alcune parlava giorni fa Pierluigi Battista sul “Corriere della Sera”); l’enorme aumento del potere di controllo sulla stampa e sulla Tv; la totale autonomia. Ora a me restano due domande. La prima è questa: quanto è stata mutilata la nostra democrazia da questi avvenimenti che hanno segnato tutto l’ultimo quarto di secolo? E questa mutilazione è servita ad aumentare il tasso di moralità nella vita pubblica, oppure non è servita a niente ed è stata, dunque, solo una grandiosa e riuscita operazione di potere?E la seconda domanda è di tipo storico, ma anche umano: è giusto che un paese, e il suo popolo, riempano di fango una figura eminente della propria storica democratica, come è stato Craxi, solo per comodità, per codardia, per “patibolismo”, deturpando la verità vera, rinunciando a sapere cosa è stato nella realtà il proprio passato? Io penso di no. Da vecchio anticraxiano penso che dobbiamo qualcosa a Bettino Craxi.(Piero Sansonetti, “Da anticraxiano vi dico: gli dobbiamo qualcosa”, da “Il Dubbio” del 19 gennaio 2017).Il 19 gennaio del 2000, e cioè 17 anni fa, moriva Bettino Craxi. Aveva 65 anni, un tumore al rene curato male, un cuore malandato, curato malissimo. Il cuore a un certo punto si fermò. Non fu fatto molto per salvarlo. Non fu fatto niente, dall’Italia. Craxi era nato a Milano ed è morto ad Hammamet, in Tunisia, esule. Era stato segretario del partito socialista per quasi vent’anni e presidente del Consiglio per più di tre. In Italia aveva subito condanne penali per finanziamento illecito del suo partito e per corruzione. Quasi dieci anni di carcere in tutto. Prima delle condanne si era trasferito in Tunisia. Se fosse rientrato sarebbe morto in cella. Craxi ha sempre respinto l’accusa di corruzione personale. Non c’erano prove. E non furono mai trovati i proventi. In genere quando uno prende gigantesche tangenti e le mette in tasca, poi da qualche parte questi soldi saltano fuori. In banca, in acquisti, in grandi ville, motoscafi. Non furono mai trovati. I figli non li hanno mai visti. La moglie neppure. Lui non li ha mai utilizzati. Non ha lasciato proprietà, eredità, tesori. Craxi era un malfattore, o è stato invece uno statista importante sconfitto da una gigantesca operazione giudiziaria?
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Michelangelo Florio Crollalanza, in arte William Shakespeare
La probabile origine messinese di William Shakespeare, nato nell’aprile del 1564 e spentosi 52 anni dopo, il 23 aprile 1616, nasce varie considerazioni che hanno come denominatore comune la città dello Stretto, sia nella produzione letteraria del grande drammaturgo che nelle vicende della sua vita. Lo ricorda Nino Principiato su “Messina ieri e oggi”, facendo notare che la commedia “Molto rumore per nulla” (“Much ado about nothing”), scritta da “Shakespeare” tra il 1598 e il 1599, è interamente ambientata a Messina e con personaggi tutti messinesi. Nel 1927 un giornalista romano, Santi Paladino, con un articolo sul quotidiano “L’Impero” dal titolo “Il grande tragico Shakespeare sarebbe italiano”, affermò che il “bardo di Stratford” sarebbe stato il calvinista siciliano Michelangelo Florio (Michel Agnolo), figlio di Giovanni Florio e di Guglielmina Crollalanza. Paladino si basò sul ritrovamento di un volumetto del Florio che conteneva numerosi proverbi che si ritrovano tutti anche nell’“Amleto”, tesi a cui dedicò due libri, già nel 1929 e poi nel 1955, “Un italiano autore delle opere shakespeariane”.La teoria dell’origine messinese del grande drammaturgo, scrive Principiato, era stata avanzata anche in sede universitaria, nel 1950, dalla cattedra di storia del diritto italiano dell’ateneo di Palermo, dal professor Enrico Besta. Molto più recentemente, Martino Iuvara da Ispica (Ragusa), pubblicò nel 2002 un volume intitolato “Shakespeare era italiano”, in cui riprese le varie tesi esposte nel tempo, arricchendole con alcuni particolari inediti frutto di sue ricerche. «In particolare – precisa Principiato – avrebbe chiarito il mistero del nome italiano del Bardo che, secondo lo studioso ispicese, era Michelangelo Florio, figlio di un medico e di una nobile siciliana, Guglielma Crollalanza, da cui la traduzione inglese di William Shakespeare». La notizia fu «una ghiottoneria per tutti gli organi di stampa, non solo italiani». Lo stesso “Times”, in articolo di Richard Owen, «uscì sulla vicenda con toni sorprendentemente accondiscendenti verso la tesi di Iuvara», secondo cui il vero Shakespeare, cioè Michelangelo Florio, nacque a Messina il 23 aprile 1564 da Giovanni Florio, medico e pastore calvinista di origine palermitana, e dalla nobile Guglielma Crollalanza.Il piccolo Michelangelo, cioè il futuro William, si rivelò subito un bambino prodigio, dotato di grande genialità e appassionato della lettura. A 16 anni conseguì il diploma del Gimnasium in latino, greco e storia. Giovanissimo, a conferma delle sue doti, scrisse una commedia in dialetto dal titolo “Tantu trafficu ppi nenti”. «A causa delle credenze religiose del padre, Michelangelo (o Shakespeare, se preferite), non più al sicuro a causa dell’Inquisizione, venne prima mandato in Valtellina e poi a Milano, Padova, Verona, Faenza e Venezia. Ebbe anche il tempo di tornare a Messina, ma la sua permanenza nella città dello stretto durò poco», continua Principiato. A 21 anni Michelangelo iniziò il suo personale “giro del mondo”: soggiornò prima ad Atene, dove fu insegnante, poi in Danimarca, Austria, Francia e Spagna. «Tornato ancora una volta in Italia, precisamente a Tresivio, s’innamorò di Giulietta». Ma la storia tra i due «finì in tragedia con il rapimento, per cause religiose, e la successiva morte di quest’ultima». Sconvolto per la morte dell’amata, Michelangelo si trasferì a Venezia ma, dopo che anche il padre per le stesse ragioni fu trucidato, decise di mettersi in salvo trasferendosi a Londra. «È qui che Michelangelo Florio cambia identità e diventa il famoso William Shakespeare».«Lasciatosi alle spalle tutte le paure e i dolori precedenti», “Shakespeare” ebbe finalmente modo di dedicarsi a scrivere per il teatro, continua Principiato. «Le rappresentazioni dei suoi testi ebbero grande consenso tra il pubblico. Ma grande merito del successo andava al dotto e letterato cugino che lo aiutò nelle traduzioni dall’italiano all’inglese e alla moglie, sposata quando il drammaturgo aveva 28 anni, e di 8 anni più grande di lui». Superate le iniziali difficoltà legate al problema della lingua, “Shakespeare” «si impadronì perfettamente dell’inglese, coniando addirittura migliaia di nuovi vocaboli e arricchendo in maniera straordinaria la propria produzione letteraria». Divenne ricco e famoso, e le sue opere molto apprezzate. Morì a Londra il 23 aprile 1616, sempre secondo lo Iuvara. Sicché, “Molto rumore per nulla” sarebbe la versione italiana di “Tantu trafficu ppi nenti”, che Michelangelo Florio di Crollalanza scrisse a Messina intorno al 1579 (manoscritto andato perduto). Ma sono davvero tante le argomentazioni sulla presunta messinesità di Shakespeare, a cominciare da “Amleto”, in cui compaiono i cognomi di due studenti danesi, Rosencrantz e Guildenstern, che frequentarono l’università di Padova e che Michelangelo Florio aveva conoscciuto. Nella stessa opera si trovano poi molti proverbi, pubblicati da Florio, senza pseudonimi, nel volumetto “I secondi frutti”.L’origine italiana di Shakespeare, continua Principiato, forse può spiegare i molti luoghi, presenti nelle sue opere, che caratterizzano l’Italia e i nomi italiani: “Romeo e Giulietta”, “Otello”, “Due signori di Verona”, “Sogno di una notte di mezza estate” e “Il mercante di Venezia”, oltre a “Molto rumore per nulla”. Poi “La bisbetica domata”, che è di Padova. E ancora: “Misura per misura”, “Giulio Cesare”, “Il racconto dell’inverno” e “La tempesta”, che inizia a Milano. «Più di un terzo (ben 15) dei suoi 37 drammi sono ambientati in Italia». «Nel “Mercante di Venezia” il colore locale è stupefacente: esatte espressioni marinaresche sono poste in bocca a Salanio e Salerio, si parla del traghetto che unisce Venezia alla terraferma e si dà l’esatta Belmont (cioè Montebello, un sobborgo di Venezia) e Padova, che deve essere percorsa da Porzia e Nerissa». Proprio nel “Mercante”, il Bardo «rivela una approfondita conoscenza della legislazione veneziana del tempo, completamente diversa da quella vigente in Inghilterra e che nessun inglese del tempo conosce così bene». E c’è di più: «Il maestro Bellario, citato nel testo, adombra un personaggio realmente esistito e molto famoso nell’ambiente giuridico padovano, il professor Ottonello Discalzio». La gran parte delle opere firmate Shakespeare rivela una conoscenza diretta dei luoghi che Michelangelo Florio ha visitato durante la sua giovinezza girovaga. E “Giulietta e Romeo” appare chiaramente come una trasfigurazione artistica della storia d’amore vissuta durante la giovinezza.Nei registri della scuola secondaria di Stratford, la “Grammar School”, non compare il nome di nessun William Shakespeare, annota Principiato. Si sa che l’artista frequentasse a Londra un “Club In”. In quel club, però, non risulta registrato fra i soci nessuno “Shakespeare”, mentre vi risulta registrato Michelangelo Florio. «E’ noto che la sciattezza della biografia di Shakespeare, raffrontata alla grande mole della sua opera teatrale, ha fatto negare a molti studiosi l’autenticità della sua esistenza, e ritenere essere egli il prestanome di personaggi più famosi». I drammi di Shakespeare, poi, «rivelano una straordinaria esperienza secolare». Aveva ad esempio una buona conoscenza della legge, e fece largo uso di termini e precedenti legali: nel 1860 John Bucknill scriveva di lui dicendo che conosceva a fondo la medicina. Lo stesso si può dire delle sue nozioni di caccia, falconeria e altri sport, come pure dell’etichetta di corte. Lo storico John Mitchell lo definisce «lo scrittore che sapeva tutto». Un uomo di lettere? Il padre di William, John, (quello inglese) era un guantaio, commerciava in lana e forse faceva il macellaio. Era proveniente da una famiglia di contadini e piccoli proprietari terrieri (yeomen) del Warwickshire: un suddito rispettato, ma illetterato.E’ noto che “Shakespeare” conoscesse bene anche la storia romana: sapeva anche che Pompeo aveva soggiornato a Messina, nel 36 a.C. Nella Commedia “Antonio e Cleopatra”, infatti, conoscendo questi fatti storici, parla della casa di Pompeo che è a Messina e proprio lì ambienta l’atto II, scena I: “Messina. In casa di Pompeo. Entrano Pompeo, Menecrate e Menas, in assetto di guerra”». In “Molto rumore per nulla”, commedia degli equivoci, «sono riscontrabili modi di dire e doppi sensi propri della parlata messinese», addirittura “Mìzzeca, eccellenza!” (Atto V scena I). Osserva Principiato: “crollare”, in italiano antico, significava “scrollare”, dimenare qua e là; quindi “crollalanza” è traducente perfetto di “shakespeare”. «L’atto da cui deriva il cognome risale alla “Germania” di Tacito: “Si displicuit sententia, fremitu aspernantur; sin placuit, frameas concutiunt. Honoratissimum adsensus genus est armis laudare», (capitolo 11). Traduzione: “Se il parere non è piaciuto, [I germanici in assemblea] lo respingono mormorando; se invece è piaciuto [s]crollano le lance. È il modo più onorevole d’approvazione, lodare con le armi”. E la voce “crollare”, nell’autorevolissimo Tommaseo-Bellini, «dimostra indubitabilmente l’accezione antica di “crollare” che equivale al “concutio” tacitiano e allo “shake” scespiriano».I biografi, aggiunge Principiato, ipotizzano che Shakespeare abbia maturato la sua vasta conoscenza della legge e la sua accurata familiarità con i modi, il gergo e i costumi degli avvocati dopo essere stato lui stesso, per poco tempo, il cancelliere del tribunale di Stratford. Ipotesi ben poco credibile. E poi: chi conservò i manoscritti di Shakespeare? Attorno a Stratford non ve n’era traccia. «Un religioso del XVIII secolo controllò tutte le biblioteche private nel raggio di 80 chilometri da Stratford-on-Avon senza trovare un solo volume che fosse appartenuto a Shakespeare». E i manoscritti dei drammi, aggiunge Principiato, costituiscono un problema ancora maggiore: «Non risulta che sia stato preservato nessuno degli originali. Trentasei drammi furono pubblicati nel primo in-folio del 1623, sette anni dopo la morte di Shakespeare. E’ da ritenere che tutte le opere fossero in mano ai Florio, che non potevano ufficialmente giustificarne la provenienza». Tutto questo, nonostante tenga ancora banco – ufficialmente – la vulgata della nazionalità britannica del grande artista.L’opinione maggioritaria tra gli studiosi identifica infatti il drammaturgo con il William Shakespeare nato a Stratford-on-Avon nel 1564, trasferitosi a Londra e diventato attore e contitolare della compagnia teatrale chiamata “Lord Chamberlain’s Men”, proprietaria del Globe Theatre a Londra. Quest’uomo divise la propria vita tra Londra e Stratford, dove si ritirò nel 1613 e dove sarebbe poi morto nel 1616. Di lui possediamo la data di battesimo, il 26 aprile 1564. Oltre ad alcuni particolari sui genitori di Shakespeare, gli storici sono inoltre in possesso del certificato di matrimonio di William – datato 27 novembre 1582 – e dei certificati di battesimo dei suoi tre figli. «La visione scettica afferma invece che lo Shakespeare di Stratford fu semplicemente il prestanome di un altro drammaturgo non rivelatosi». Argomenti a sostegno di questa tesi: «Le ambiguità e le informazioni mancanti nella visione tradizionale e l’affermazione che le opere teatrali di Shakespeare richiedevano un livello culturale (compresa la conoscenza per le lingue straniere) maggiore di quello che si suppone Shakespeare avesse». In più, svariati indizi «suggeriscono che l’autore sia deceduto mentre lo Shakespeare di Stratford era ancora in vita: i dubbi sulla sua paternità espressi da suoi contemporanei».Gli “stratfordiani” sostengono che Shakespeare avrebbe potuto frequentare la The King’s School di Stratford fino all’età di quattordici anni, dove avrebbe studiato i poeti latini e le opere teatrali di autori come Plauto e Ovidio. Ma si tratta di semplici congetture, obietta Principiato, perché «non esistono registri di ammissione o di frequenza che parlino di lui in alcuna scuola secondaria, college o università». Molti “anti-stratfordiani”, poi, si interrogano sul trattino che spesso appare nel nome, spezzanmdolo in due (“Shake-speare”): secondo loro indica che si tratti di uno pseudonimo. Quel trattino, ad esempio, appare sul frontespizio dei “Sonetti” del 1609. Uno studioso di Oxford come Charlton Ogburn fa notare che, fra le 32 edizioni delle opere di Shakespeare pubblicate prima del “First Folio” del 1623 in cui l’autore veniva menzionato, il nome conteneva il trattino in ben 15 casi, quasi la metà. «Ciò è molto significativo, poiché rafforza la tesi del cognome composto: scrolla = shake, lanza/lancia=speare». Altre stranezze, infine, sulla sua morte: nel 1700 Richard Davies scrisse che morì da cattolico, «frase che forse potrebbe confermare la circostanza che egli fosse in precedenza calvinista, come Michelangelo Florio, per poi convertirsi al cattolicesimo». Ma soprattutto: «Quando muore, il 23 aprile 1616, nessuna commozione né lutto nazionale si registrano in Inghilterra, quasi fosse uno straniero».La probabile origine messinese di William Shakespeare, nato nell’aprile del 1564 e spentosi 52 anni dopo, il 23 aprile 1616, nasce da varie considerazioni che hanno come denominatore comune la città dello Stretto, sia nella produzione letteraria del grande drammaturgo che nelle vicende della sua vita. Lo ricorda Nino Principiato su “Messina ieri e oggi”, facendo notare che la commedia “Molto rumore per nulla” (“Much ado about nothing”), scritta da “Shakespeare” tra il 1598 e il 1599, è interamente ambientata a Messina e con personaggi tutti messinesi. Nel 1927 un giornalista romano, Santi Paladino, con un articolo sul quotidiano “L’Impero” dal titolo “Il grande tragico Shakespeare sarebbe italiano”, affermò che il “bardo di Stratford” sarebbe stato il calvinista siciliano Michelangelo Florio (Michel Agnolo), figlio di Giovanni Florio e di Guglielmina Crollalanza. Paladino si basò sul ritrovamento di un volumetto del Florio che conteneva numerosi proverbi che si ritrovano tutti anche nell’“Amleto”, tesi a cui dedicò due libri, già nel 1929 e poi nel 1955, “Un italiano autore delle opere shakespeariane”.